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| Capitolo VII: l'anima nostra, che è aria, ci sostiene
Quando cadde su di lei sentì un brivido percorrerle la schiena. Non era leggero come si sarebbe aspettata, non era un'entità inconsistente in procinto di scomparire. Pareva un uomo in tutto e per tutto, poteva perfino sentire il suo profumo. Profumo di potere, di bestia braccata che lotterà fino alla fine, di consapevolezza e di disillusione. Emanava forte da lui, proprio come la saggezza che trapelava dai suoi occhi. Il fuoco l'aveva sfiorato appena, ma i suoi occhi parevano gravati da altri colpi, da altre ferite. Il sangue gli colava dal fianco, proprio come a lei, e in un istante lungo una vita pensò che ora sarebbe scivolato di lato, morto, e lei avrebbe potuto alzarsi e sorridere ai propri compagni. È fatta, avrebbe detto, e si sarebbe dimenticata di quel momentaneo turbamento. Invece, con una prontezza che non si sarebbe aspettata, quel demone portò le mani al collo di lei. Erano forti, due morse d'acciaio che la battaglia non aveva allentato. Come avevano stretto l'elsa dell'enorme spada ora si avvinghiavano alla sua gola, cercando di toglierle il respiro. Non voleva andarsene solo, oppure cercava di vendicarsi per ciò che lei gli aveva fatto? Non sapeva che in quel modo rivolgeva la schiena a tutti gli altri, rendendosi vulnerabile preda di qualsiasi attacco? I pensieri le si affollavano nella mente come tanti appunti scompaginati dal vento, senza che riuscisse a dare loro un ordine effettivo. Sentiva la forte stretta sulla pelle, quasi volesse ferirla, sentiva l'aria liberarsi incontrollata attraverso le narici. Socchiuse le labbra, cercando respiro, cercando di sfuggire all'oppressione che le abbracciava il petto. Inarcò la schiena in alto, mentre con le mani cercava inutilmente di graffiarlo, di liberarsi. Le labbra aperte come per un bacio, il corpo teso nello spasmo di sopravvivere, ancora una volta, di sfuggire alle tenebre che parevano spalancarsi verso di lei. Ebbe paura, molta, sapendo che le energie l'avrebbero abbandonata, che lui era più forte, più pesante, e che presto non avrebbe più potuto scalciare a terra, non avrebbe più potuto agitarsi per sgusciare al suo abbraccio mortale. Occhi, occhi nella notte. Due occhi che imploravano pietà. Non appartenevano al presente, bensì al passato. Allora era stata lei ad affondare, ad uccidere, a dichiarare la fine di quella vita che tanto le aveva fatto del male. E ora era in posizione di svantaggio e implorava nello stesso modo, senza parole, con l'occhiata silente della lepre tra le fauci del levriero, con l'orgoglio del guerriero che non vuole piegarsi ad elemosinare speranza. Ciò che più la stupì, che registrò sebbene fosse quasi in preda al panico, fu che anche l'altro aveva la sua stessa espressione. Non pareva curarsi della vittoria su di lei, della propria preponderanza. Era come se il suo destino fosse già stato scritto, oppure come se lo immaginasse, se potesse raccontare la fine della favola prima ancora di doverla narrare. Sentì le sue labbra all'orecchio, la sua voce di uomo con poco di umano, il suo tono appena ansimante, l'alito della morte che spirava con il suo fiato.
CITAZIONE “.. non nel fuoco degli inferi ma nel tuo voglio morire.. Non un demone ma un dio state uccidendo e questo atto terribile ricadrà su di voi.”
Sentì freddo, sentì paura. Perché in qualche modo recondito che non voleva indagare seppe che lui aveva ragione. Avrebbero pagato quell'oltraggio. Se veramente si fosse trattato di un dio avrebbero commesso il sacrilegio più grave. Pensò ai propri dei, a quelli che facevano venerare alle vergini, al sacrificio sulla piramide di cui lei era stata protagonista, con la candida veste e l'anima pura. Era un dio come quelli che lei ora stava distruggendo. Che senso avrebbe avuto affidare loro la vita sapendo di aver ucciso uno dei loro fratelli? Sarebbe diventata una giustiziera più forte delle schiere celesti, ma al tempo stesso avrebbe distrutto l'ultima speranza, l'ultimo appiglio, l'ultima fiducia. Valeva davvero la pena? Aveva varcato il limite fino a tal punto? Ripensò a poco prima, a quando era stata decisa a farla finita e aveva disprezzato la donna che aveva offerto al nemico una possibilità di salvezza. Sentì che quella creatura non poteva morire in modo tanto meschino. Ma se non avesse fatto nulla, se avesse continuato a resistere a quel modo, se l'avesse uccisa, gli altri lo avrebbero massacrato. Non avrebbero potuto capire, sapere. Lei sì. Si chiese perché l'avesse scelta, perché avesse rivelato ogni cosa proprio a lei. Nei suoi occhi bruciava intenso il desiderio, la voglia di poter sistemare tutto. Ma ancora una volta non ne aveva il potere. E stava morendo. L'energia scemava da lei ad ogni respiro sempre più faticoso. Sentiva uno strano gelo invaderla. Non voleva andarsene. Poteva tentare il tutto e per tutto, tentare di salvare se stessa e anche lui. Ma sarebbe stato quasi impossibile. Uno dei due avrebbe probabilmente dovuto soccombere. Fortunatamente lui troneggiava sopra di lei senza schiacciarla, come ogni guerriero è abituato a fare. Piegò le gambe. Fitta allo stomaco, fitta dietro le ginocchia, un'ondata di macchie colorate che riempivano gli occhi e il cervello affaticato. Era ancora rapida. Avrebbe puntato in piedi contro il suo stomaco, avrebbe spinto di lato, cercando di ribaltarlo sotto di sé. Non sapeva se lui avrebbe ceduto, se fosse già così debole da non poterle resistere. Ma almeno, una volta a terra, gli altri non avrebbero potuto colpirlo, macchiarsi di quel peccato. Viva o morta gli avrebbe fatto scudo con il proprio corpo. Uno. Due. Tre. Ora avrebbe spinto. E contemporaneamente, in un impulso spontaneo, forse dettato dal suo momentaneo delirio, si piegò in avanti, sfiorando le labbra di lui con le proprie, con quel fiato che fuggiva come i granelli della clessidra. Morire o vivere. Proteggere. Salvare. Non peccare. Non c'erano più domande. Solo alternative. Solo possibilità. Se lui non l'avesse mollata lei sarebbe morta, perché i suoi compagni non avrebbero più potuto colpirlo. Se lei fosse sopravvissuta avrebbe dovuto giustificare il proprio gesto. In ogni caso lo avrebbe dovuto difendere. Non voleva ucciderlo, non questa volta. Nel suo sguardo, in quegli occhi che si facevano un po' più opachi, brillava ancora la sete di morte, di vendetta, di riscatto. Ma questo non le avrebbe impedito di ragionare, di capire cosa fosse meglio per tutti. Bene e male. Peccato e redenzione. Uccidere o salvare. Respirare. Aria. ...CITAZIONE (ReC 250) · (AeV 150) · (PeRf 200) · (PeRm 225) · (CaeM 200) Status: Ferita al polpaccio, lieve contusione per la caduta, ferita lieve alla spalla, perde le forze a causa del rischio di soffocamento Consumi: Medio per la danza (-11%), Basso+Basso per i due attacchi di fuoco (-14%), Medio per la spinta data con gambe e busto (-11%) Equipaggiamento: Spinadirosa (solo portata), Ara-Stherin (solo portati); Shaimal-Norhas (solo portato); Pergamene: // Note: Mah, provo a salvare la pelle al nostro amico (xD) volevo postare prima così potrete commentare il mio gesto ahimè sconsiderato...
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