« Bellum omnium contra omnes. »
Senza spada i patti | non sono che parole
Oh come lo odiava;
il marmo lucido, i candelabri, l'argento e l'alabastro
l'uopo di mettersi in ghingheri, agghindarsi, fare gli onori di casa
il profumo delle rose, la sensazione asciutta della porcellana sul suo viso
e quel colletto che lo tirava un po', solo un poco.
Non guardava la folla né alcuno degli invitati da cui essa era formata; non si aspettava nulla da loro.
Il suo sguardo si adagiava in realtà ben oltre le mura di quella camera così prepotentemente chiusa su di sé, dove persino i lampadari sembravano capaci di toglierti il respiro tanto quanto quell'inebriante e soffocante profumo di rose. Pareva quasi misurare le doti e le virtù di un ipotetico interrogato pesandone il fegato e gli attributi, tagliente e affilato nella parte del
cattivo.
E se lo sguardo lo studiava, con la lingua inumidiva le labbra che iniziavano a seccarglisi oltre la maschera; con la mano andava ad allungare le dita sotto le vesti alla ricerca della tacita approvazione del ferro; con la bocca strideva una lunga smorfia stonata lungo il viso.
Quanti - si chiedeva - si sarebbero accorti della mancanza di un innocuo coltello da cucina lungo il tavolo del buffet?
Quando - seguitava - la mondanità si sarebbe fatta tanto opprimente da costringerlo ad estrarlo da sotto le vesti e a spingerlo nel petto del più vicino?
Perché le usanze non potevano certo essere turbate dal mero tentativo di una rissa. Perché il rispetto per le tradizioni non poteva certo permettere loro di sconfinare da un destino già scritto, dai propri partner già assegnati, dall'ebbro gusto del vino che già mieteva le prime vittime, dalle strette cuciture delle vesti. No, no... qualcuno doveva morire, qualcosa doveva accadere.
Non prima, però, del suo discorso.
Fu un tonfo sordo a risvegliarlo dal suo torpore. Forse quello delle porte che si aprivano e chiudevano per introdurre l'ennesimo ospite, forse quello di un ballerino incauto andato a scontrarsi con un suo collega; presumibilmente, quello del suo cuore. Dalla sua posizione gli giungeva solo una risacca confusa di ciò che, un piano più sotto, dovevano essere saluti e chiacchiericci. E si allungava sul suo viso - duro e grigio come uno scoglio - lasciando ben poco all'immaginazione e ben più alla corrente. Gli invitati sciabordavano in fila da un capo all'altro della sala come le onde di un mare senza vento, terminando con lo spiaggiare melaconicamente lungo il tavolo delle vivande. Una vista intollerabile.
Bambini. Bambini che dormivano nei loro letti incapaci di comprendere quanto fosse vicino il mostro che avrebbe tormentato i loro incubi. Una maschera del sole che si avvicinava ad una donna; Dalys - il portamento era inequivocabile per chi l'aveva già conosciuta - che veniva adescata da un playboy; Kirakisho - sì, l'aveva riconosciuta - che con la sua solita ingenuità andava ad approcciarsi alla persona che più, tra le tutte, la incuriosiva. Dame attente a non farsi scoprire, altre sorprese da se stesse. Signori incapaci di crearsi un proprio spazio, mestamente adagiate al tavolo del buffet.
Prese un lungo, lungo respiro. La musica si era abbassata e le luci si erano spostate. Tutti gli invitati si stavano lentamente accorgendo che il momento del suo discorso stava per arrivare.
Si fece attendere per più di un minuto prima di alzarsi e allungarsi lungo la balconata dove tutti, ora, potevano vederlo.
« Vacche. »Forse non esordì come era stato sperato. La musica si spense per un breve istante mentre all'ingiuria rispondeva solo l'eco della voce del sovrano.
« Ecco cosa siete: Un enorme gregge di vacche ingioiellate che pascolano sotto lo sguardo dei loro macellai. »Ed eccolo. Il sovrano faceva il suo primo passo avanti esponendosi al giudizio del pubblico sottostante, solo dopo essersi accertato che la sua cattiveria fosse giunta alle orecchie di ognuno dei suoi ospiti che, pochi secondi dopo, l'avrebbero visto alzare una mano nella loro direzione e distenderla lungo tutta la sala come a voler indicare ciascuno degli invitati.
« Non offendetevi signori, non fermatevi alle apparenze e constatate la situazione in cui vi trovate. » - Continuò tagliente, lasciando che una nota di sincera allegria alleggerisse il suo tono - « Voi - dopo aver superato un difficoltoso primo turno per i quali vi faccio i miei più sentiti complimenti - avete accettato l'invito ad una celebrazione durante la quale potreste ritrovarvi a danzare con la persona che conficcherà una lama nel vostro cuore. »Prese un lungo respiro prima di continuare, lasciando che il vociare della camera sottostante e i sopraccigli inarcati delle persone lo superassero senza sfiorarlo.
« E vi divertite, pure! Gradite il buffet, danzate e chiacchierate; siete talmente cechi alle cose da essere capaci di sdraiarvi su di un altare solo perché vi è stato assicurato che nessuno degli invitati potrà nuocervi. Chiedetevi: lo fate per ingenuità? Perché vi credete invincibili? Perché vi sentite al sicuro? »Silenzio. Non la risposta che si aspettava, ma se la sarebbe fatta bastare.
Schioccò le labbra, come se stesse per enunciare una verità ineccepibile.
« E' che nessuno di voi è disposto a cedere il passo. »Se solo avessero potuto vedere la smorfia di puro piacere che si era appena aperta sul suo viso, sotto la maschera! Una lunga fila di denti bianchi a stuprarne ogni singolo lineamento, come un taglio aperto in una tela. Non aveva mai voluto offenderli, né tanto meno incitarli.
« Ed è giusto così! Se siete qui è perché avete vinto la vostra prima battaglia e se vorrete continuare ad esserci dovrete continuare a vincere le prossime. State combattendo una guerra di tutti contro tutti: E' meravigliosamente lodevole come nessuno di voi sia disposto a cedere un singolo passo. E quindi... » Allungò ancora una volta la mano innanzi a sé, evocativa « ...Presentatevi! Accoppiatevi! Ballate! Solo ai codardi è concessa l'onta di tirarsi indietro. »Abbassò il palme, cercando di ritrovare un contegno.
Lentamente, mentre i suoi passi iniziavano a scendere la scalinata che lo elevava a tutti i presenti per portarlo in mezzo a loro, il suo viso si alzava e si rovesciava indietro nel tentativo di recuperare un tono. Non desiderava che i suoi ospiti accogliessero le sue parole come una provocazione, quanto più come un incoraggiamento; una spinta.
Con le dita toccò una tartina posta sul tavolo del buffet, concedendosi un istante per portarla elegantemente alla bocca, prima di continuare.
« Non credete a chi vi dice che l'importante è partecipare. Solo uno di voi riuscirà a guadagnarsi la vittoria, alla fine. Solo quello che, tra voi tutti, riuscirà a sconfiggere ogni avversario che gli si parerà innanzi: Non c'è spazio né per l'umiltà né per la compassione. E poi... guardatevi! Tutti unici. Tutti incredibili. Tutti numeri uno. Avete fatto venire voglia persino a me di scommettere su chi di voi sarà capace di primeggiare sugli altri. »Alzò due dita alla maschera, riassettandola sul viso. Stava divagando.
Posò gli occhi su ognuno dei presenti,
valutandoli e giudicandoli senza alcun ritegno, premettendo la presunzione che pendessero dalle sue labbra alla sua conclusione.
Schioccò la lingua un paio di volte prima di concedergliela, e passò un indice sotto quel colletto che aveva iniziato a tirarlo così tanto, tanto fastidiosamente.
« Ricordate » - annunciò autoritario - « Il vero numero uno è solamente quello che non perde mai. »CITAZIONE
Ogni offesa non è da intendersi detta da me ma unicamente dal mio personaggio, sul quale non sono tutt'ora convinto di avere il pieno controllo.
...Bé, ma ormai lo sapete com'è fatto