Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

L'incubo, L'abiezione

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view post Posted on 9/6/2010, 20:57
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Darth Side
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Incubo.
Non seppe descrivere in altro modo quella serie indistinta di cupe sensazioni che presero a pervaderlo una volta terminata l'arringa del Re; alla cui teatralità e superbia, si era però aggiunta un affermazione che non avrebbe voluto sentire, una verità tanto scomoda quanto lancinante.
Il Kodoku del Re che non perde mai.
Un prodigio - a Suo dire- l'orgoglio di un Re che lesinava i complimenti per i propri gerarchi e non desisteva invece dal compiacersi per una sua opera, un mostro che seppe istintivamente avere un potere indescrivibile.
Un essere che avrebbe potuto soppiantare lui e gli altri mostri che lo circondavano poco fuori dalla sala, a partire da Noki per passare da Sennar, terminando poi con l'altera Rosa del Maniero, diretta sottoposta del Monarca.
Li avrebbe soppiantati tutti, quel mostro f o r s e.
E mentre con lo sguardo vuoto rifletteva, tessendo trame improbabili nate dal disagio di quelle poche parole, si destò improvvisamente, accorgendosi solo con qualche secondo di ritardo di come proprio lei, la Rossa, avesse deciso di aprire le danze, e cominciare a schernirlo.

No. Non questa sera.



Non con questa maschera.





Lo sguardo ancora vacuo a causa delle trame tessute dalla parole del Re e dalla paranoia nata di conseguenza si spostò su Noki -in forma demoniaca, destandosi come da un sogno, e sospirando debolmente.
Parole, parole. P a r o l e. Sempre quelle del Re, sentite poco tempo prima nell'intimidazione lanciatagli da Lui in persona, in quell'ordine che gli vietava espressamente di avercela ancora con lui.
Quella sera le cose sarebbero funzionate alla perfezione.
E si augurò che anche il demone pensasse lo stesso.
Mosse il capo come a scrollarsi di dosso tutti i pensieri che lo attanagliavano, fissando unicamente la Rosa che lo invitava ad avanzare, a entrare per primo nella stanza. Era il minore in grado di tutto il gruppetto, e il fatto che fosse il Vice capitano a protendere il proprio braccio per invitarlo a passare, rendeva il tutto ancora più ironico- per usare un eufemismo.
Un brivido gli percorse la schiena, quasi consigliandoli di insultarla e passare davvero oltre, di fregarsene altamente e rispondere con il consueto sarcasmo o con un'imprecazione. Poi si ricordò del gatto che gli celava il volto, e la consapevolezza di potersi concedere una pausa dalla sua alterigia gli fornì la lucidità necessaria a muoversi verso di lei con passo lento, girandole attorno fino a raggiungere le dita di lei protese verso l'interno della stanza, senza togliergli una sguardo a metà tra il lieto e il malizioso di dosso.
Gli si parò innanzi stirandosi la giacca nera, aspettando ch'ella rialzasse il capo per perdersi nei suoi occhi e parlare stupirla come non faceva da tanto t a n t o tempo.
Pacato e lieve, quasi un sussurro.

« Non prima di lei, Pavone. »

Nessuna inflessione sarcastica, nessuna ironia malata.
Solo un pizzico di malizia accompagnò il suono lieve delle sue parole.
Una richiesta accompagnata da un inchino simile a quello di lei, un gesto che era ben più che mera cavalleria. Lui la invitava a giocare. Sveglia e scaltra, la Rosa era decisamente più gatta di quanto non fosse lui, e con quelle movenze, quei toni le volle far capire dove voleva arrivare.

Giochiamo?
Ti va?

Le maschere. Erano la causa di tutto.
Avevano il potere di scegliere chi essere, di cambiare per una sera, di vivere un sogno che si sarebbe spezzato al termine del ballo, a festa finita. Non avrebbero dovuto pensare a mostri che potevano soppiantare gli uomini più fidati del Re, a genitori di cui ormai erano orfani, a Monarchi che rimproveravano in seguito a risse fuoriluogo.
Potevano cominciare da zero.

Allora?
Ti va di giocare?



Nell'attesa della risposta di lei, un pensiero allargò il sorriso in un divertimento che per poco non gli fece perdere il contegno, costretto a soffocare una lieve risata.
E se avesse davvero accettato il suo invito?
Un istante dopo, quando la consapevolezza dell'impossibile lo raggiunse.
Lei. La Rosa Accompagnata ad un solo uomo?
Ci sarebbe stato da ridere.
E l'ennesimo sorriso gli si aprì in volto; flebile ed educato rimandò la scelta alla donna.
Rosa o pavone.
Il passato o la libertà?



Scegliere se essere la figura che si porta in volto, o scegliere se essere se stessi.
I volti celati, gli abiti sfarzosi... nessuno si sarebbe avveduto dell'identità dell'altro.
Chiunque poteva essere tutti o nessuno, se stesso o il proprio opposto.
Non vi era differenza alcuna, non quella sera,
non al ballo del Re.




SPOILER (click to view)
LInk Maschera
L'animale da me scelto è visibile al Link qui sopra, ovviamente, non appena potrò hostarla da qualche parte, editerò il post xD
 
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Eugène Blanchard
view post Posted on 9/6/2010, 21:04




Un tintinnio. Il vetro delle provette lasciava trasparire una figura intenta nelle sue faccende: molto, a giudicare da quel continuo vorticare della sua sagoma, ondeggiante tra bianco della capigliatura ed il rosa cupo della pelle. Il dottor Blanchard non aveva molta voglia di uscire, quella sera; era molto occupato, come si poteva notare dall'azzuffata di calamai, penne e calcoli astronomici assolutamente incomprensibili...

Almeno per i comuni mortali.

Con un gesto secco, chiuse il portone di legno dietro le sue spalle. Per l'occasione, una festa in maschera del Re che non perde mai, aveva anche dato un tocco di colore alla sua figura: aveva aggiunto al suo solito completo giacca e pantaloni una maschera da gufo; probabilmente non sarebbe stata all'altezza di tante altre presenti all'evento, ma quanto meno non avrebbe dato troppo nell'occhio. Non era ancora riuscito ad entrare a far parte della corte del Re e, di questo passo, non ci sarebbe riuscito mai. Al contrario di quello che aveva pensato, l'organizzatore del ricevimento era un uomo molto, molto più difficile da avvicinare rispetto ai suoi calcoli: in genere un conquistare si fa vedere spesso dai suoi sottoposti, vuoi per tiranneggiarli, vuoi per spronarli; il Re che non perde mai era assolutamente diverso da quello che ci si potrebbe aspettare da un uomo del suo calibro, cosa che rendeva la faccenda ancora più interessante.

« Questa sera potrete assistere a un prodigio della scienza! »

Scienza?

Nessuno, davvero nessuno sarebbe riuscito a far drizzare le orecchie a Eugène in quel modo. Da molto tempo ormai nulla riusciva più ad interessarlo od entusiasmarlo a tal punto da costringerlo a fare ben più che fingere di seguire il filo di un discorso: il Re c'era riuscito con una sola frase.

Prodigio della scienza?

Avrebbe dato un braccio per saperne di più, ma quella sera non sarebbe stato necessario: il suo Signore in persona gli avrebbe offerto questa possibilità gratuitamente. Già gli piaceva, quel governante. Oltretutto, sperava davvero che qualcosa andasse storto: un suo intervento tempestivo gli avrebbe permesso di mettersi in buona luce non solo con gli ospiti, ma col Re stesso; ergo, raggiungere i suoi obiettivi sarebbe stato ancor più facile di quanto pensasse; l'apice della conoscenza era vicino.

Il suo sorriso tradiva l'eccitazione per il momento che si apprestava ad appagare la sua sete di conoscenza, tanto che fece uno sforzo non indifferente per reprimere il desiderio di leccarsi le labbra come una fiera in attesa del pasto.

Il Gufo era saggio, dunque avrebbe aspettato: c'era ancora molto tempo perché tutto andasse storto.



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view post Posted on 9/6/2010, 21:47
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Like a paper airplane


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Era già pronta a lasciarli passare.
A sorridere alle loro spalle, coperta appena dalla striscia scura del becco, lasciando che il bel corpo si sollevasse una volta che loro fossero scomparsi tra la folla.
Ma lui.
L’angelo di Cenere.
Il Gatto.
Non si era comportato secondo le aspettative.
Si irrigidì all’improvviso all’udire la sua risposta. La colpì come il solletico sulla pancia, come una carezza sul viso, come un commento proibito a un concerto silenzioso. Era il dettaglio fuori posto, era l’unghia contro il vetro. Era quel particolare meravigliosamente inaspettato che rende la scena piccante.
Ed era rivolto a lei.
Palesemente una provocazione.
La sfidava a giocare al suo stesso gioco. La sfidava perché quella sera era lui il gatto. E lei il volatile, possibile preda degli artigli affilati. Ma un volatile troppo superbo per fuggire, abbastanza temerario da arruffare le piume.
Ripresasi dalla sorpresa sorrise immediatamente, le labbra distese, gli occhi saettanti attraverso le venature screziate della maschera.
Gli porse il braccio ben sapendo che l’avrebbe accettato, incurvando flessuosa la schiena scoperta, muovendo i primi passi verso l’uscita.
La Rosa che non sarebbe entrata da sola. La Rosa con un uomo. La Rosa a braccio di uno sconosciuto mascherato da gatto. Quale cosa intrigante. Di uno sconosciuto così galante da evitare di chiamarla per nome in quel gioco di maschere.
L’aveva invitata ad un gioco.
Un gioco adorabile.
E lei amava rispondere ai giochi, amava scommettere, amava giocare bene le proprie carte.
Gli portò le labbra all’orecchio, un soffio tiepido che sfiorava il volto di lui, che assecondava lo spirito leggero e vanesio della bestia dalle magnifiche piume.



Allora, signor Gatto, facciamoli morire d’invidia”.



Come bestie nel serraglio guarderanno invidiose il gatto e il pavone.
Come galline nel pollaio invidieranno le piume per poi finire vittima dei famelici artigli.
Un accordo di caccia.
Un accordo a cui tu sfuggirai pavone? Oppure ne sarai vittima? Oppure anche il tuo collo affusolato pronuncerà il suo ultimo canto?
Vale la pena di rischiare, non è vero?


 
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view post Posted on 11/6/2010, 23:28
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Maestro
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D
anze. Danze conviviali, gioiose e spensierate mi circondarono in breve tempo, senza che avessi tempo anche soltanto di accorgemene, concentrato com'ero nelle parole appena pronunciate dal Re demonio. Sembrava tutto pianificato a dovere: tutto organizzato apposta per isolarmi ancor più nella mia immobile ignoranza. Isolarmi, certo, era quanto di più consono mi riuscisse negli ultimi tempi, in una festa in maschera poi, ancor di più: d'altra parte, però, la latitanza di qualsiasi legame che potesse avvicinarmi alla corte del sovrano e aprirmi le porte dei segreti che tanto agognavo, ma altrettanto ignoravo, mi irritava alquanto, per come mi privava degli appoggi di cui evitentemente necessitavo. E se non mi ci cacciavo da solo, ormai, in tali condizioni, il destino pareva godere nel tirarmici dentro. Maledizione!

V
agavo, dunque, per il lucido salone, strisciando tra coppie danzanti e gruppi ciancianti. Sfioravo maschere brillanti, manti sfarzosi e abiti eleganti, avanzando tra la folla. Scrutavo i presenti, incrociandone sguardi, studiandone movenze e analizzandone ogni singola sfaccettatura, nella speranza di riconoscere qualcuno, di trovare un aggancio che potesse iniziarmi a quelle ciance e mi permettesse di entrare nelle grazie di chi mi avrebbe svelato alcuni dei segreti che bramavo e ancora ignoravo.

U
n suono distratto, apparentemente leggero e innocente, improvvisamente sovvenne alle mie orecchie. Un suono che in un attimo, da rumore distante e sfuggende, si amplificò nel mio animo tramutandosi in qualcosa di familiare e ben distinto. Una voce, un accento particolare, che non avrei potuto non riconoscere.
L'accento l'avevo udito diverse sere prima, nonostante il mio interlocutore avesse cercato, consciamente o meno non lo so, di mascherarlo, proferendo soltanto poche frasi sottovoce. Un accento che non era parte di me, non più, ma che non avrei potuto non sentire come familiare.
Era l'accento che da ricco nobile ero stato educato a limare, a nascondere, perché rozzo e poco avvezzo alla vita dei ricchi palazzi. Un accento che, poi, ero stato costretto a dimenticare del tutto, a distruggere, insieme al mio nome e ai miei affetti.

Era l'accento della mia terra.

Era l'accento dello straniero.



R
imasi immobile per alcuni secondi, cercando di individuare da che lato spirasse la corrente di quei suoni. Poi mi girai nella direzione prescelta, facendo alcuni passi. Vidi una figura intenta a conversare distrattamente con altri invitati. Avanzai, dunque, con passo deciso, studiando le forme e le movenze del mio obiettivo, convincendomi che fosse proprio lui, l'uomo che avevo incontrato la sera prima della guerra, lo straniero che proveniva dalle mie stesse terre e sul quale avrei voluto meglio indagare. Avanzai dal lato, di modo che potesse vedermi soltanto quando fossi a pochi passi da lui. Mi premurai che non avesse la possibilità di ignorarmi: avrei imposto la mia presenza, peccando si superbia, ma non potevo perdere anche quell'occasione di conversare con lui.

. . . L u c i a n . . .



U
n nuovo suono, familiare e vicino. Ma distruttivo: dirompente e devastante, molto meno piacevole di un semplice accento della propria città. Un nome che avevo dovuto distruggere, dimenticare e che ora ritornava a galla in modo tanto dirompente da togliermi il fiato quasi. Mi giunse ben distinto dalla direzione verso la quale camminavo, come un brivido gelido diretto verso il cuore.
A pronunciarlo era stato proprio lo straniero, conversando con altri presenti. Egli, dunque, conosceva quel nome e, per qualche ragione, rendeva di esso partecipi gli altri invitati.

Come lo conosceva?

Perché ne discorreva?

Poteva essere solo una beffarda coincidenza?



S
entii il cuore salire in gola. L'ansia far preda di ogni mia certezza. Ero in pericolo, forse? Quell'uomo conosceva il mio passato o condivideva qualche segreto che avrei dovuto rifuggire? Mi bloccai a pochi passi da lui, incerto sul da farsi, se superarlo da un lato e sfuggirgli o fingere che nulla fosse accaduto.
Ormai era tardi, dovevo parlargli. Anzi, dovevo capire quanto conoscesse del mio passato e del passato di Lithien.



Felice di scoprire che non siete costato come tributo alla guerra, messer Kresiler. Mi riconoscete? Sono l'essere che avete sapientemente erudito la notte prima della partenza per il Sud...



P
arlai a voce bassa, simulando il tono di quella notte, di modo che potesse risultargli più familiare, nascondendo a fatica le ultime vibrazioni di tensione...



Posso chiedervi cosa vi codunce in questa ricorrenza? Forse la volontà di esibire quella maschera così singolare?



C
onclusi, con un tono quasi sarcastico, cercando così di celare più efficacemente il mio nervosismo. D'altronde ormai non potevo più sottrarmi a quell'esame, dovevo scoprirne di più. E, ad ogni modo, potevo ben contare sulla protezione delle mie innumerevoli maschere.

 
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Arlic
view post Posted on 11/6/2010, 23:55




» Il Gatto Cieco


Era seduto sul trono. Dove un Re si doveva trovare. Kasumi era seduto su una sedia imbottita, ricoperta di velluto rosso. Stava comodo. Le gambette insicure si avvinghiavano a quelle della sedia, come l'edera sull'albero, e stringendo le ginocchia stringeva Jack al petto. Lui lo aveva preso in giro a non finire sul fatto di andare alla festa o meno, lo aveva canzonato a lungo e gli aveva ribadito che lui una maschera non l'aveva, e nemmeno con un muro davanti sarebbe riuscito a fronteggiare il sovrano. Forse per questo la sua maschera bianca non aveva alcun buco per gli occhi, nemmebno una fessura da cui intravedere la festa. Rimaneva seduto e in disparte, le orecchie tese pronte a colgliere qualsiasi rumore. Alla fine di tutto avrebbe stretto la mano di sua Madre e sarebbero tornati insieme agli alloggi. Solo allora se la sarebbe potuta levare.
Uccidilo.
Aveva preso a parlare. Non stava mai zitta la vocina che aveva nella testa; era sempre la stessa, quando aveva bisogno di sfogarsi spuntava fuori dal nulla, quasi si fosse costruita un rifugio negli intrecci delle fibre nervose del cervello. Probabilmente aveva preso un neurone per casa sua e da quello aveva eretto una piccola fortezza per corrodere tutto il pensiero del Marionettista. Prendeva a dargli ordini e spesso era fastidiosa, ma nella maggior parte dei casi la ascoltava: sapeva sempre ciò di cui aveva bisogno, ciò che aveva bisogno di vedere e sentire per rasserenarsi; è poco importava se questo qualcosa fosse staccare la testa di una gallina o torturare l'ennesima cavia martoriata. La rendeva felice.
Oggi avrebbero litigato. Kasumi non le rispondeva, la ignorava completamente, chinando il capo sempre più.
Fallo. Fallo. Fallo.
Quella sera non aveva voglia di farsi prendere dalla Follia e lasciarsi divorare come d'uso. Quella sera si sentiva stranamente impotente. Perché lui lo aveva già battuto ancor prima di poter sostenere uno scontro.

« Cos'è un Kodoku? »

Quella vocina fastidiosa proveniva dalle sue ginocchia, dalla bocca incavata in una zucca, che probabilmente già beffarda si era dilatata in un ghigno. A Kasumi non andava di rispondere. il fatto che il Re lo avesse anticipato sul tempo lo faceva impazzire. Creare un Kodoku? Puttanate. Non poteva crederci. Persino due mostri come loro dovevano sottomettersi alle regole delle scienze oscure. Creare una mostruosità simile comportava ripercussioni orrende sulla condizione dello scienziato che gli aveva dato vita.
Non era roba sua, doveva essere roba di qualcun altro.

« Io sono un Kodoku? »
« No. »
« Tu lo sai fare un Kodoku? »
« Si. »

La domanda seguente sarebbe stata ovvia quanto maleficamente ironica: e allora perché non ne hai già messo uno in piedi tutto tuo?
Jack ridacchiava e agitava la testolina attirando l'attenzione comune. Godeva del dispiacere del padrone, e nel mentre faceva tintinnare gli artigli metallici come se stesse cercando tutto a un tratto di comporre una sinfonia, una sinfonia in onore della sconfitta.
Kasumi abbassò nuovamente il capo.
Per questo portava la maschera del Gatto Cieco.
Mai mostrare in pubblico un sentimento così deplorevole.
Rimase in silenzio.
Nessuno si sarebbe avvicinato.
 
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Zephyr Luxen VanRubren
view post Posted on 12/6/2010, 12:15




Era rimasto ad osservarla con sguardo provocatorio, ansioso di conoscere la risposta che tanto bramava, che avrebbe sciolto gli ultimi nodi che lo separavano dalla sala.
L'aveva invitata a giocare, a divertirsi con gli ospiti del loro Re,

« M i a o . . . »


Un sussurro che di felino aveva ben poco, un chiaro quanto ironico gesto d'assenso che aveva tutta l'intenzione di manifestare la soddisfazione appena regalatagli dalla donna, un verso che rimarcava con malcelata chiarezza il patto appena stretto.
Quello con la donna più indomabile dell'intero Clan, con lei, il vice capitano: la Rosa.
Colei che tutti potevano avere ma che n e s s u n o poteva vantare possedere.
E subito allungò il braccio verso di lei, stringendola in risposta al tentennamento di qualche istante, quando aveva esitato vista la nomea che aleggiava su di essa. Ingenuamente aveva pensato ch'ella potesse avere dei dubbi, che si tirasse indietro.
No. Non quella sera.
Non con le maschere a celare i volti delle anime che le indossavano.
In un momento che parve infinito le mani dei due s'incontrarono in una stretta tenue, atto finale del suggello del patto citato prima, tenue e delicata stretta di pura complicità, alleanza tra il gatto e il pavone, tra il cacciatore e la preda.
O meglio, tra il predatore e un predatore suo pari. Perchè, quella sera, in quella stanza, entrambi sarebbero andati a caccia tra gli ospiti del Re che non perde mai, tra i buffoni che infestavano la corte con i loro squallidi desideri di vivere della luce riflessa dell'Invincibile Monarca.


Invidia.
Per una volta sarebbero stati gli altri a provarla nei suoi confronti.
Non il contrario.



L'ironico ribaltamento del destino, del tiepido sogno farcito di fasto e di eleganza che si apprestava a vivere con la donna più desiderabile del Maniero gli aprì un sorriso in volto. Compiaciuto e pronto a prendersi la rivincita sul mondo che l'aveva rifiutato.

« Andiamo, quindi. »



Le parlò all'orecchio, similmente a quanto fatto da lei un istante prima. Soffiò con delicatezza, sussurrandole parole che l'avrebbero solleticata per prepararla a dare il via alle danze in un ballo dove loro, l o r o sarebbero stati al centro della sala.
E tutti gli altri a guardare.
E tutti gli altri a i n v i d i a r e.
E se c'era un'emozione umana che non aveva mai imparato nè a contenere nè a sopportare, a reprimere o soffocare, era proprio questa. L'irresistibile bisogno di bramare qualcosa che non si ha e, una volta raggiunta la consapevolezza dell'impossibilità di ottenere l'oggetto del disio, guardarlo da lontano, scrutandolo con fare sospetto, imprecando sottovoce in un rantolo di rabbia.
Perchè non lo puoi possedere.

Si prese una pausa.
La prese con la forza e la presunzione di potersi lasciare alle spalle il passato.
Per una sera.

Lo sguardo s'involò quindi verso gli altri due, come a interrogarli per capire cosa lo sciacallo e il coniglio avessero deciso di fare, concedendosi per un istante di sorridere anche in loro direzione, nel presagio di una loro eventuale scesa in campo

« E voi » Esordì così, tra il divertito e il curioso « Signori Ufficiali? »

Dimentico della propria posizione, dimentico del gravoso rispetto e della deferenza con i quali era costretto rivolgersi a loro, parlò a entrambi gli ufficiali presenti come fossero suoi pari. Perchè non ci sarebbero state disparità di sorta, al Ballo del Re.
Li aveva conosciuti entrambi -in circostanze diverse- ma non avrebbe saputo dire cosa la loro indole gli avrebbe suggerito fare. Il ramingo sarebbe stato al gioco? Il demone introverso l'avrebbe guardato male?
O avrebbero accettato entrambi?

« Avete deciso chi -questa sera- vorreste essere? »

Le danze sarebbero cominciate, con la ruota della splendida coda del pavone e con il passo leggero ed elegante del gatto.
Sospirò, drizzando la schiena per prepararsi all'ingresso, per entrare in scena.


SPOILER (click to view)
Il post prima l'avevo inviato con l'account sbagliato :v: Da questo giro in poi vedrò di rimediare :look:
 
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~ Jecht
view post Posted on 12/6/2010, 13:45




« Ohohohohohoho OHOHOHOH! »
Non appena aveva saputo che si sarebbe tenuto un ballo in maschera a tema animale l'idea gli balenò rapida come un raggio di sole e come tale accese le sue minute membra in una rara idea geniale.
Camminava fiero, molto più del solito, le braccia ondeggiavano possenti e la sua camminata pareva quella di un re che per la prima volta mette piede nell'ultimo terreno conquistato.
Allungò entrambe la braccia davanti a se e spinse con forza le due ante della porta aprendole di scatto e creando, come suo solito, una gran confusione.
« Oggi il RE sono IO!»
Marcò per bene le parole "re" ed "io" come volesse rimarcare il concetto a tutti i presenti.
Ora che la luce della festa aveva illuminato il suo viso si poteva vedere sul suo volto una ridicola maschera da leone, il Re degli animali.
Non che fosse abituato alle feste in maschera a castello o che si trovasse a suo agio in queste circostanze. Jecht, ad ogni modo, sapeva adattarsi a tutto o meglio, sapeva adattare tutto il resto al suo stile.
Si poteva intuire che il Berserker fosse un pesce fuor d'acqua dal suo abbigliamento o dal suo "non-abbigliamento". Come al solito era a torso nudo e portava una salopette usata solo come pantalone, era anche stracciata e lurida. Di certo non era l'ospite ideale per una festa di quel livello. Ma lui sorrideva, rideva di gusto per il suo umorismo dozzinale e finché era contento perché lamentarsi?
Inizialmente dovette scrutare per bene la situazione: Un disastro. Non c'era baldoria, ognuno si faceva i cavoli propri e non c'era nessuno con un bicchiere in mano. Dov'erano i fiumi d'alcool? E il gruppo di bardi pronti a far scatenare il loro pubblico? Cosa diavolo erano tutti quei bisbigli di sottofondo? In che cavolo di postaccio era finito?

Oh, ma almeno per una cosa quella bizzara festa si salvava, si. Una cosa che non può mancare per nessun motivo, ancora più importante dell'alcool: Le donzelle!
« Bene, abbiamo la materia prima.»
eh eh eh
Iniziò a guardarsi intorno assatanato muovendo, fomentato, le dita delle mani quasi fosse ansioso di arraffare qualcosa o qualcuno.
Nonostante la massiccia presenza di pubblico maschile le donne non mancavano. Jecht cercava lo sguardo di ognuna di queste, sosteneva di poter capire la personalità di ogni donna solo grazie ad un gioco di sguardi, in realtà ne capiva ben poco. Trovare lo sguardo della maggior parte non fu difficile, alcune non smettevano di fissarlo per via dei suoi atteggiamenti rudi che traspiravano da quella maschera come un fiume in piena senza diga. Ma con quelle donne non c'era gusto, che fosse stato un interesse positivo o meno aveva già attirato la loro attenzione, sarebbe stato difficile divertirsi e il divertimento veniva prima di tutto.
Strano.
Per quanto fosse rozzo e rude Jecht ci sapeva fare con le donne. D'altronde è inevitabile, spesso le donne si trovano ad avere fantasie sugli uomini come lui, nonostante preferiscano una compagnia più acculturata. Quando si parlava di suscitare istinti animali, il Berserker era il migliore.

Iniziò dunque la ricerca della donzella ideale per quella serata, qualcuna che non si fosse troppo impressionata dell'aspetto del Berserk, qualcuna troppo occupata anche per dare confidenza ai suoi accompagnatori. Ne vide una che sembrava rispecchiare quelle descrizioni; da quando era entrata non aveva posato una sola volta lo sguardo sull'uomo per non parlare della sua eleganza sopraffina. Vestiva di mille colori sgargianti e la sua maschera era particolare e raffinata. Sembrava la classica tipa tutta sulle sue, non che a Jecht dispiacessero ma preferiva quelle un po più semplici, meno sofisticate.
La sua curiosità fu gli costò caro, allungò il viso di lato per poterne incrociare lo sguardo e fu la fine.
All'improvviso una strana sensazione di calore iniziò a risalire dallo stomaco per osarsi con pesantezza sulla testa, sentiva caldo ma non sudava, continuava fissarla e non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Si, era una ragazza indubbiamente affascinante, lo si poteva notare dal suo fisico ideale e, nonostante non si potesse vedere per bene il viso, i lineamenti davano ad intendere una bellezza esotica. Ma tutto questo bastava a generare un senso di attrazione tanto forte?

Il Re iniziò finalmente a parlare e Jecht si trovò costretto ad ignorare ogni sua parola, ormai focalizzatosi sulla donna, non vi era nessun altro in quella sala. Passarono pochi minuti che per il guerriero parvero secondi, iniziò a camminare in sua direzione, passi lenti e concentrati, l'espressione da stupido fortunatamente nascosta dalla maschera. Neanche se ne rese conto e si trovava a due passi dalla donna di cue si era invaghito in un istante. Si inchinò cercando contemporaneamente di afferrare delicatamente la sua mano per baciarne il dorso, raramente era così galante.
« Così tanti uomini al suo fianco e nessuno che la invita a ballare.»
Alzò il viso a voler incrociare nuovamente lo sguardo della sua nuova dea, così da marcare con la sua pausa una proposta ben architettata. La provocazione era mirata, ma il guerriero non degnò di un solo sguardo colui che sembrava essere il cavaliere dello strano volatile. Quel gattaccio non si sarebbe messo tra lui e l'eleganza di quella donna, no. Sarebbe scoppiata la rissa se si fosse azzardato a pronunciar parola.
« Certe persone non sanno come portare rispetto ad una ninfa la cui bellezza e paragonabile a quella di un fiore.»
E si rialzò continuando a porgere la mano a palmo rivolto verso l'alto.
« Concederebbe a me l'onore?»



SPOILER (click to view)

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Subisco la passiva della Rosa. Ogni riferimento ai fiori è puramente casuale



Edited by ~ Jecht - 12/6/2010, 15:37
 
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view post Posted on 12/6/2010, 16:36
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Ma bene!
Bene, bene, bene!
Accarezzando il proprio calice di gassosa - in pochi sapevano dell'insofferenza del Re per gli alcoolici: molti l'avrebbero semplicemente scambiato per un elegante bicchiere di spumante - il sovrano non poté che ritenersi incredibilmente soddisfatto dall'affluenza che aveva riscosso la sua mite festicciola imbastita nella gratificazione e nel lusso: la celebrazione del suo successo.
Batté un paio di volte con un cucchiaio sul bordo del bicchiere, nel tentativo di richiamare l'attenzione dei presenti nella maniera più raffinata che conoscesse; quando tutti si volsero verso di lui, quindi, iniziò con i tanto attesi annunci.

« Un Kodoku » schioccò le labbra con superbia « è una creatura che viene a formarsi con l'amalgamarsi di numerose entità in una sola. »
Accompagnò la spiegazione con un ampio gesto delle mani
« Provate a immaginare di chiudere numerose, piccole creature in un solo barattolo »
e fece il gesto di chiudere un recipiente, poi quello di battervi una piccola bacchetta sopra
« e poi incantarlo, facendo in modo che quelle morenti divengano parte di quelle ancora in vita. »
fece quindi il gesto di schiudere il barattolo immaginario che teneva fra le mani
« L'ultimo sopravvissuto muterebbe in un demone che è conosciuto, in materia, col nome di Kodoku » sospirò « una creatura aberrante e incontrollabile, in grado di generare altre creature simili a lei - trafficando con le loro stesse anime al suo interno. Una fonte inesauribile di mostri, demoni e incubi della peggior specie. »
Si allontanò quindi dal centro della sala, avvicinandosi ad un piccolo palco coperto da un sipario.
Tutto stava andando esattamente secondo i suoi piani: aveva minacciato efficacemente Jason, barattando il diritto di essere protetto (ndr: non essere ucciso) con il prestito (ndr: estorsione) del suo fedele compagno: Il Kishin.
Ne aveva sentito parlare sul piano dimensionale di Endlos: un Kodoku sviluppatosi naturalmente.
Un'entità che, a breve, avrebbe iniziato a partorie una quantità incalcolabile di demoni e incubi della peggior specie, nella sua continua evoluzione. Una creatura in grado di assorbire e malleare a propria somiglianza le anime dei morti.
Un mostro che
doveva essere suo.

E siccome non voleva che tutti gli sforzi compiuti fino a quell'istante nell'ambito del progetto dell'abiezione fossero stati vani, aveva fatto in modo che tre partecipanti al torneo fossero assorbiti dal Kishin, prima della presentazione.
Ora, a breve, avrebbe aperto il sipario e rivelato al pubblico la sua nuova conquista
un padre di demoni
un incubo
la fonte di un potere inesauribile.

« Signori e signore » non riuscì a nascondere una punta di emozione, mentre si annunciava vibrante « io ho soggiogato una di queste creature e l'ho fatta mia. »
Aprì il sipario: oltre, un tubo di vetro. All'interno della campana, un cadavere - vivo.
« Ecco a voi: Il Kishin! »


CITAZIONE
Attendete il mio prossimo post prima di rispondere qualsiasi cosa.

 
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Kishin
view post Posted on 12/6/2010, 16:44




Molto tempo fa

« Un Bebilith dite? » il nome del demone risvegliò il suo interesse, spingendolo a sollevare un sopracciglio in un gesto di sincera curiosità « Non una creature che la milizia del buon » accentuò quell'ultimo attributo con una sformia di disgusto « Aymeric non sia in grado di fronteggiare da sola - dunque perché mai chiedere il mio aiuto? »
Il messo innanzi a lui tentennò per qualche istante saltellando da un piede d'appoggio all'altro, rimandandogli un'espressione di tremebondo sbigottimento: che si attendeva che lui si armasse contro ogni demone che fosse riuscito a penetrare le mura solamente perché con i suoi poteri sarebbe stato in grado di sottometterli facilmente?
Era un uomo del popolo, non certo uno stupido. Demoni chiamano demoni che chiamano demoni - non certo una specie con la quale è possibile confrontarsi a lungo tempo senza qualche intoppo. Lui lo sapeva bene: li aveva studiati con lungimiranza e da diverso tempo, in fondo.

« M-m-ma... » squittì il messo, trovato il coraggio di interrompere Cheval nelle sue riflessioni « Il magistrato sostiene che non si tratta di un Bebilith qualsiasi! Che sia stato ingigantito con un sortilegio; che disponga di una forza e di un'astuzia non sue! » esitò per riprendere fiato « Lei è l'unico che può aiutarci: in fondo lo sanno tutti che lei è avvezzo all'utilizzo e lo studio delle arti oscu... ehm... »
Bastò uno sguardo per gelarlo e pietrificargli la lingua prima che rivelasse nozioni che non era saggio dimostrare di poter conoscere. Il messo di fece improvvisamente muto, capendo di essersi spinto oltre; tuttavia, dopo qualche lungo attimo di silenzio, ebbe il coraggio di rinnovare il proprio sguardo implorante, indugiando su quello fiero e fermo di Cheval innanzi a lui.
Il magistrato dondolò il vino nel proprio bicchiere per qualche istante, prima di prendere la sua decisione.

« Conducetemi da questa belva, dunque. »

In seguito, l'avrebbe potuto giurare: lasciato il palazzo e salito sul marciapiede aveva volto lo sguardo alla finestra di Aymeric e lì
aveva visto la figura del suo signore affacciarsi e poi ritirarsi
come se lo stesse spiando, o controllando.

Oggi

I Bebilith si fecero frenetici al suo interno.
Zampettanti fra i loro castelli di bava lattiginosa graffiarono i suoi organi e i suoi tendini, quasi volessero costringerlo ad andarsene di lì. Si affacciavano dalle sue orbite cave per assistere allo spettacolo che stava prendendo piede innanzi a loro - spettatori che lo osservavano come fosse una bestia in gabbia.
O meglio, in tubo: si trovava infatti in un alto tubo di vetro che non aveva possibilità di infrangere con le sue sole forze - una fredda campana dalla quale tutte le creature innanzi a lui potevano bearsi del gusto di averlo intrappolato.
spettanti mondani che assistono al leone in gabbia in uno zoo; che asserviscono la tigre che
la
fanno
s-a-l-t-a-r-e.
che schifo.
schifoschifoschifo.
e ogni cosa
fa così male che brucia lo stomaco
gli sguardi bruciano e loro devono - dovranno - saranno
divorati
CHECREPINOCHECREPINOCHECREPINO
tutti uguali, ad inseguire i pettegolezzi. A bearsi delle ingiurie rivolte agli altri, rivolte a lui
come quel messo, quella volta

quale messo? chi ricorda?

L'inedia lo spinse improvvisamente a piegarsi in due, rivoltando i pugni contro la campana di vetro che lo custodiva.
I suoi figli, i suoi nati - da quanto tempo non mangiavano? - si rivoltavano rovesciandosi nel suo corpo. Erano mesi che sentiva le proprie carni ripiegarsi su se stesse - come se si stessero riformando, come se stessero mutando profondamente. Si sentiva un serpente che cambia la propria pelle.
Aveva avuto le mestruazioni, attacchi di nausea e rigettato bile sul fondo del tubo. Aveva sentito i molti muoversi in tanti dentro di lui, premendo per uscire dal suo ventre, eradicandolo.
E tutto ciò gli aveva provocato un dolore incalcolabile; una sofferenza che
anche in quel momento
non cessava.

image

« noi... »
barbugliò babelico
« stgrrhiamo... finendo...? »


CITAZIONE
Piccola descrizione fisica del Kishin, così sapete come orientarvi: Non ha labbra. Parti della sua pelle sono riverse in brandelli su quella che ancora non si è staccata. Diverse delle sue ossa sono esposte allo sguardo di chiunque lo esamini. Il colore della sua pelle è candido come la neve, azzurro come quello di un corpo abbandonato nell'acqua per lungo tempo, screziato da macchie di sangue ormai seccatevisi sopra e costellato da violenti ematomi che gli decorano la parte destra del viso, quasi come un tatuaggio. I suoi capelli sono lunghi e neri, ma tanto deboli da poter cadere al minimo soffio di vento: Il suo capo è infatti una costellazione di macchie prive di capigliatura, dove la nuda pelle viene esposta ai raggi del sole. Le sue mani sono scheletriche quanto le braccia e le gambe, ricoperte da macchie nere sottopelle. Le dita sono affusolate e le unghie abbandonate a sé stesse.
Per tutte queste ragioni, usa coprire il suo stesso corpo con dei drappi di colore azzurro/verde, stracci, in realtà, così da nascondere la sua stessa figura agli occhi di chiunque.

Potete proseguire con la festa 8D!

 
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¬Lenny
view post Posted on 13/6/2010, 18:56




Era tutto inutile.
Mentre sorseggiava champagne ben freddo in un lungo bicchiere,corretto con il sapore di succo di limone,
Cognac, e cubetti di ghiaccio con incastonati i chicchi d’uva, Raphael comprese quanto fosse tutto... inutile.
Champagne: uno dei tonici migliori contro ogni tipo di malore a tavola. Ergo: quella strana e ottenebrante sensazione
di nausea, giramento di testa, lingua gonfia e rasposa, disidratazione causata dalla forte sudorazione..
Raphael poggiò la schiena contro il muro marmoreo, premendosi la mancina sulla tempia.
Bollente.
Ovunque gente vestita da fiere di qualsiasi ceppo d’appartenenza chiacchieravano e ridevano e discutevano e chiacchieravano
e ballavano e bevevano e chiacchieravano e posavano il loro empio sguardo su quell’unico figuro al centro esatto della sala.
Un Re mascherato da Demone.
Intelligenza molto, sin troppo al di là dell’umana stirpe.
Questo Raphael lo sapeva benissimo.
In quel luogo, in quel giorno, Raphael potette solo averne la più fulgida conferma.
« Un Kodoku è una creatura che viene a formarsi con l'amalgamarsi di numerose entità in una sola. »
La voce tracotante e piena di sé che Raphael ben conosceva permeò nuovamente l’aria viziata del salone.
E tutto fu subito un voltarsi e un aprir bene le orecchie e un chiuder bene le bocche.
Giusto il tempo per spalancarle nuovamente dallo stupore.
Raphael fissava scuro in volto il sovrano mentre biascicava parole senza senso accompagnato da gesticoli insulsi.
« Provate a immaginare di chiudere numerose, piccole creature in un solo barattolo e poi incantarlo, facendo in modo che quelle morenti divengano parte di quelle ancora in vita.
L'ultimo sopravvissuto muterebbe in un demone che è conosciuto, in materia, col nome di Kodoku »

???
L’espressione di Raphael era l’espressione di tutti.
Mosso più da una curiosità personale che da una cosciente e doverosa, Raphael sorseggiò ancora quel
dolce champagne, avvertendo con indifferenza lo sfrigolare delle bollicine sulla punta della lingua.
« una creatura aberrante e incontrollabile, in grado di generare altre creature simili a lei - trafficando con le loro stesse anime al suo interno. Una fonte inesauribile di mostri, demoni e incubi della peggior specie. »
Intelligenza con il demonio.
Un piano più che nefando, più che abietto (e qui Raphael ben intese il perché del nome del torneo), più che scellerato.
Era semplicemente folle.
Follia pura, follia guidata dal peggiore dei vizi: l’ambizione.
L’ambizione di quell’insulso monarca l’avrebbe prima o poi portato alla rovina, pensò il Sorel.
« Signori e signore io ho soggiogato una di queste creature e l'ho fatta mia. »
Quale arrogante pretesa! Quale presuntuosa affermazione!
Raphael in quanto guerriero dell’Inquisitrice Bianca prestava attenzione alle piccole cose, poiché esse possono rappresentare ostacoli difficili.
“Il diavolo si nasconde nei dettagli” diceva un antico proverbio.
Uno spino, per piccolo che sia, fa interrompere la marcia a un viaggiatore. Una piccola cellula invisibile
può distruggere un organismo sano. Il ricordo di un istante di paura nel passato ridesta ogni mattina
vigliaccheria. Una frazione di secondo apre la guardia al colpo fatale del nemico.
Raphael era sempre attento alle piccole cose. A volte era duro con se stesso, ma preferiva comportarsi in questa maniera.
Eppure durante quella celebrazione (di cosa lo comprese appena dopo) tutte quelle piccole cose, dal malessere fisico
a quello psicologico, dalla maschera demoniaca del sovrano a quelle indossate dagli invitati, dalla campana di vetro
all’aberrazione che vi era imprigionata all’interno, dalla candida pelle (macchè pelle, era carne, solo un agglomerato
di carne) alle macchie sanguigne dell’essere, se poi fosse mai stato vivo, dalle sue ciocche come pasta viscida e inerte
alle ossa ben visibili, dagli occhi come porte per l’Inferno stesso agli ematomi presenti sul viso.
Tutte queste piccole grandi cose contribuirono a far sussultare il Sorel dalla sorpresa, dalla paura, dal ribrezzo.
« Ecco a voi: Il Kishin! »
Il bicchiere di champagne cadde dalla mano di Raphael ridotta oramai ad un pezzo di carne insensibile.
Si schiantò sul pavimento di marmo in una conflagrazione di schegge vetrose e schizzi di champagne.
Raphael non parve neanche accorgersene. La sua mente era in un altro luogo, a meditare su altre cose.
Kudoku.
Kishin.
Raphael aveva un solo nome per quell’essere: demonio.
Che quel Kishin era imprigionato in una campana di vetro poteva significare solo una cosa: nemmeno
il Grande Re dei dannati era in grado di controllarlo. Non ancora, almeno.
Quell’essere che confabulava parole inintelligibili fra sé e sé non avrebbe potuto mai avere alcun padrone,
qualora ciò che il sovrano aveva detto poco prima fosse stato veritiero.
Un amalgamarsi di numerose entità.
Un barattolo contenente più creature.
Non un mostro.
Una legione di mostri.
Una sottospecie di Azazel.
« Sarà la sua stessa folle ambizione a surclassarlo. »
Fu l'unico commento che, come un singulto involontario, venne proferito dalle labbra del Coniglio.
In quel momento Raphael sentì il preciso dovere morale, in quanto ufficiale dei Sorya, di raccogliere ancora più informazioni
su quel Kishin. Doveva ancora osservare. Osservare senza mai interferire.
Si allontanò dalla pozza di champagne e vetro, dirigendosi a passo svelto lontano dai mascherati, lontano dal Kishin, lontano da Lui.
In un luogo abbastanza isolato da poter osservare bene l’evolversi della vicenda studiando il corpo del Kudoku.
Pregando l’Inquisitrice di dargli la forza necessaria per non vomitare.

 
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lorenzoxxx25
view post Posted on 13/6/2010, 23:29





E' incredibile quello che fa la gente per rendersi presentabile.
C'è chi si trucca, chi si veste elegante, chi si tinge le unghie, il tutto seguendo un proprio canone di bellezza più o meno appariscente. Quel giorno però, tutti i partecipanti dovevano rispettarne uno in particolare, senza il quale non sarebbero stati accettati al "fantastico" evento di quella sera: portare una maschera.
L'evento in questione, infatti, era un ballo in maschera, organizzato niente meno dal Re che non perde mai. Un avvenimento importante, che sicuramente avrebbe attirato molta gente di tutto il regno.
Evan compreso.
~
Le porte del salone si spalancarono, rivelando una sala tutta agghindata con ogni lusso possibile e immaginabile per l'occasione. Ovvio, non ci si poteva aspettare altro dal sovrano di quelle terre, tanto orgoglioso e vanaglorioso da definirsi invincibile.
La folla di gente che affluì dopo l'apertura era incredibile. Uomini e donne di ogni razza e età, tutti aventi una maschera sul volto, pronti ad avventarsi e cibarsi di tutto ciò che il loro re gli gettava. E fra questi vi era la strega, che quel giorno però si sarebbe fatta chiamare con un altro nome: Gatto.
Con la maschera sul volto, ondeggio fra la folla, evitando di sbattere contro gli altri invitati. Uno solo era il suo obbiettivo: il buffet, la lunga tavola che pareva arrivare e congiungere le due parti opposte del salone, tanto lunga era la sua estensione.
Vi arrivò in un attimo, e subito allungò la mano su quella che pareva essere un rinfrescante bicchiere di latte, che mandò giù tutto d'un fiato. Dopodiché, da bravo gatto, si avventò sul pesce servito, mangiandolo con foga, senza tuttavia sporcare il suo vestito.
«Miao.»
Aveva detto con un sorriso, un po' per esprimere la propria sazietà e un po' per replicare alle poche persone che avevano notato i suoi modi. Quel giorno lui era un gatto, e si doveva comportare come tale, o almeno in parte. Di certo non avrebbe preso a pulirsi con la lingua o a camminare a quattro zampe, ma avrebbe fatto almeno il minimo indispensabile per calarsi nella sua parte. Fusa comprese.
«Miei graditissimi ospiti!»
Drizzò le orecchie - metaforicamente parlando - quando la voce del re risuonò forte in tutta la sala e, come molti altri, si girò verso di lui notando per la prima volta l'orribile maschera che nascondeva il sovrano. Ma, tutto sommato, era normale che egli avesse un "volto" diverso dagli altri, che lo distinguesse in qualche modo dalla "plebaglia".
«Questa sera potrete assistere a un prodigio della scienza!»
Ovvero, il motivo per cui tutti loro erano lì.
Prese un'altra sorsata di latte, stavolta bevendo con più calma e raffinatezza. In un certo senso, la sua figura lo inquietava. La figura di un demone pronto a cibarsi della carne di ignari animali. Tutto questo gli dava i brividi.
«A breve, potrete assistere al mio personalissimo Kodoku: fino a quel momento, godetevi la festa!»
Lasciò cadere il latte, incurante di essersi macchiato le scarpe e il bordo dei pantaloni. Gli si spezzo il fiato in gola e lo sguardo si perse nel vuoto. Smise di fare quel brontolio tipico di ogni gatto quando è felice e si sedette, celato dalla maschera felina il suo volto assunse un'aria pensosa e al contempo preoccupata.
Negromanzia.
Merda.



Negromanzia.
L'arte che permette di evocare creature di altri mondi. Di evocare spiriti dell'altro mondo e relegarli nei cadaveri. Di creare e manipolare creature aberranti. Di soggiogare al proprio volere demoni e farne i propri schiavi, o viceversa. La negromanzia è una pratica oscura, tanto potente da riuscire a corrompere persino le menti più sagaci e intelligenti. Una volta conosciuta rare sono le persone che resistono al suo richiamo, e ancor più rare sono quelle che se ne tengono alla larga pur sapendone il potenziale. Tentatrice, accoglie le persone nel suo grembo, per poi abbattere ogni loro resistenza e spremere la loro vita. Fino all'esaurimento.
Individui schiavi di un'arte che credevano di poter controllare.
La fine era sempre quella.
~
Si sedette nella sedia più vicina che trovò, aveva l'aria di chi ha appena avuto un malore. Gli doleva la testa e un senso di nausea gli affiorò in gola. Appoggio schiena e nuca al muro in marmo, sperava di essersi liberato per sempre di quella... "cosa". Invece no, lo continuava a perseguitare, ovunque andasse, ovunque fuggisse. Prima o poi lo ritrovava.
Sempre.
Sudava freddo solo nel sentirne il nome, specialmente se pronunciato da qualcuno di molto potente. Con lo sguardo cercò le uscite, ansioso. Poteva uscire e fuggire ancora una volta, ma cosa sarebbe cambiato?
Niente.
Deglutì sonoramente, allentandosi frettolosamente la cravatta. Decise di fare qualcosa che andava contro il suo istinto, contro le sue abitudini, contro tutto ciò che aveva fatto sino a quel giorno e contro quella vocina che gli rimbombava nella testa e diceva: "fuggi, fuggi". Volle restare e osservare quel prodigio della scienza annunciato.
Kodoku.
Un prodigio che per Evan era solo un'aberrazione.
Creato da un demone mascherato da re.
«Un Kodoku è una creatura che viene a formarsi con l'amalgamarsi di numerose entità in una sola.»
Il tintinnio del cucchiaio contro il bicchiere precedette la frase, e tanto bastò ad attirare l'attenzione. La sua e quella degli altri invitati, tutti - o quasi - fissavano il demone re con il fiato sospeso, desiderosi che egli continuasse la frase.
«Provate a immaginare di chiudere numerose, piccole creature in un solo barattolo e poi incantarlo, facendo in modo che quelle morenti divengano parte di quelle ancora in vita.»
Il disgusto prese il sopravvento su tutte le altre emozioni della strega, che voltò e abbassò il capo al solo pensiero dell'orribile essere che sarebbe uscito da una pratica tanto oscura. Ogni parola non faceva altro che accrescere il suo desiderio di fuggire via, ma al contempo lo incuriosiva sempre più. La verità era una sola: voleva restare.
«L'ultimo sopravvissuto muterebbe in un demone che è conosciuto, in materia, col nome di Kodoku una creatura aberrante e incontrollabile, in grado di generare altre creature simili a lei - trafficando con le loro stesse anime al suo interno. Una fonte inesauribile di mostri, demoni e incubi della peggior specie.»
Dopo quelle parole si alzò dalla sedia. Era talmente nervoso da non riuscire a stare fermo. Indeciso se seguire l'istinto o la ragione - scappare o restare -, continuò ad ascoltare ciò che il sovrano diceva, senza fare nulla per schermare la propria mente dalla sua parlantina arguta e concisa.
Propria solo di colui paragonabile ad un demone.
«Signori e signore io ho soggiogato una di queste creature e l'ho fatta mia.»
Trattenne il fiato e aprì bene gli occhi. Anche lui, come la folla, era stato infine catturato dalle parole del re demone, che pareva bearsi della sua posizione di regale superiorità. Subito dopo la frase, il sipario si alzò, mostrando l'orrido e raccapricciante spettacolo celato al suo interno: un uomo.
Che però di umano aveva ben poco.
«Ecco a voi: Il Kishin!»
Inizialmente,dovette trattenere un conato di vomito, poi i suoi occhi si persero in quelli della creatura, nelle ossa esposte, nelle dita magre e in tutti gli altri particolari che distinguevano la sua figura e che la rendevano unica nel suo genere. Un prodigio non per la scienza, ma per la negromanzia.
Nel suo stomaco si accalcarono una serie di emozioni discordanti: paura e curiosità, rispetto e orrore.
Disprezzo e compassione.
E fu proprio quest'ultima a spingerlo verso la campana, verso il fenomeno da baraccone, fino a raggiungere le persone che componevano la "prima linea". Aprì a bocca come per dire qualcosa, ma le parole scivolarono via dalla sua lingua come le ombre dalla luce del sole.
Non sapeva cosa dire, ma voleva dire qualcosa; non sapeva cosa fare, ma voleva fare qualcosa; non sapeva come comportarsi davanti ad un orrore del genere. Semplicemente stava lì, fermo nella sua posizione a guardarlo incantato, ammaliato.
«Noi... stgrrhiamo... finendo...?
E fu proprio il balbettio della creatura a svegliarlo da quel sogno ad occhi aperti, a fargli ricordare che cosa pensava riguardo ad atti del genere e che odiava la negromanzia.
Si voltò velocemente, dando le spalle all'abominio rinchiuso.
Tuttavia il gatto non celava uno sguardo furibondo o disgustato, ma degli occhi pregni di compassione e pena per quelle anime trasformate in un unico - grande - peccato contro natura.
Si sedette lontano dalla campana, capendo che fino a quel momento non aveva servito un re o un demone.
Solo un altro negromante.


SPOILER (click to view)
Maschera
Ho scritto la reazione di Evan sia prima che dopo il secondo post del re, sono separate dal hr.

 
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Zephyr Luxen VanRubren
view post Posted on 14/6/2010, 15:26




Furono sufficienti solo pochi istanti perchè le sue convinzioni gli si palesassero innanzi, lorde e umane come aveva previsto.
Aveva pensato all'invidia e ai mortali, ai loro desideri e al ribaltamento di fronte che ci sarebbe stato in quella sala: a coloro cui sarebbe toccato d'invidiarlo per una sera.
Sudicio e consunto, l'umano che non aveva davvero idea del posto in cui era finito, si presentò all'attenzione dei Gerarchi con ben poca cura di sè, e con ancora meno deferenza. Estraniato dal resto del mobilio appariva il classico pesce fuor d'acqua.
E mirava a lei, la Rosa.
Il pavone.
Ma forse non aveva notato che LUI aveva già la mano di lei. Forse si era trattato di una semplice svista e nulla più. Forse era già oltremodo ubriaco.

« Così tanti uomini al suo fianco e nessuno che la invita a ballare.»

Come prego?
Suppongo di aver inteso male.

Si concesse un istante di indecisione stringendo con pressione leggermente maggiore i polpastrelli del volatile accanto a lui, lasciando che il suo calore lo intorpidisse quanto bastante a lasciar sfumare le parole dell'ubriaco dietro una placida e calma coltre d'indecisione.

« Certe persone non sanno come portare rispetto ad una ninfa la cui bellezza e paragonabile a quella di un fiore. »

Si riferiva a lui? Davvero?
Uno sguardo sbigottito si sbarrò oltre la maschera del gatto, cogliendo il ragazzo alla sprovvista, troppo indaffarato a bearsi della propria condizione per pensare che qualcuno -decisamente sciatto- avesse la presunzione di pararglisi innanzi e sfoggiare una simile faccia tosta -che in altre circostanze avrebbe divelto con pochi colpi.

Come prego?
Suppongo abbiate sbagliato persona.

Avrebbe quindi avvicinato ancor di più il Pavone accanto a lui, cingendolo con un braccio come avrebbe fatto un bimbo come un gioco prezioso, dando modo al tizio di avvedersi della totale mancanza di speranze che questi aveva di fare sua la Rosa.
Suscitandone l'invidia, sperava.
Il volto celato dalla maschera di lei si sarebbe appoggiato sul petto del ragazzo, e poi -sapeva- lei avrebbe sorriso con malizia cacciando via l'uomo che osava interrompere il loro gioco.

« Concederebbe a me l'onore?»

Il debole sorriso nato dal compiacimento per l'azione appena compiuta si dissolse all'istante, trasportato lontano dal paio di sfere cremisi sgranate a n c o r a sull'essere che a n c o r a sfidava impunemente la pazienza di un Oracolo che, quella sera, avrebbe fatto volentieri a meno di perderla.
Sentì il senno dapprima creparsi, per poi infrangersi in terra in uno stillicidio di cristalli spezzati, rompendosi come uno specchio impattato da quell'enorme masso che era l'ostinazione del mortale.

« Direi proprio di no. »

La risposta giunse secca e vagamente infastidita.
Malgrado la maschera celasse la posizione di cui i due godevano all'interno del Clan, Cenere non si sarebbe fatto certo problemi a mettere le cose in chiaro anche senza mostrare il proprio volto.
Sostituì la risposta della donna con rapida solerzia, sostituendosi alla suadente voce del pavone per far sì ch'ella non si disturbasse nel parlare con un essere del genere - non che lui, invece, ne fu troppo contento.
Degnò l'uomo di poche parole, giusto il tempo necessario a fargli intendere l'andazzo, per poi volgersi al pavone e muovergli un cenno d'intesa.
Non appena questa avrebbe quindi risposto con cenno d'assenso, i due si sarebbero mossi all'interno della sala lontano dagli inopportuni.




IL Re calamitò su di sè l'attenzione di tutti.
Come attratto da un magnete la cui potenza non rendeva capace lo sguardo di puntare altrove, gli occhi del ragazzo rimasero a fissare incuriositi la sagome del Monarca, percorsi da una vaga vena di terrore.
Poi un brivido. E il vuoto.
Il nulla totale assorbì la sala e i suoi ospiti; persino il pavone accanto a lui divenne solo un'ombra. Circondato dal nero più completo e assoluto, Cenere si scoprì vittima per l'ennesima volta dei propri pensieri; s o l o

« Ecco a voi: Il Kishin! »


Mosse un passo in avanti, incerto e traballante. Gli occhi sgranati sull'aberrazione appena comparsa.
Sentì la forza della mano che afferrava il pavone perdere forza, come a voler cadere in terra, come privata del vigore dal mostro del Monarca -il Suo Monarca.
L'abisso. Stava sprofondando nell'abisso della gelida e impassibile disperazione.

« ... »

Il poco fiato che gli uscì dalla bocca aperta in un muta sorpresa, non si riempì di voce, atono come di rado accadeva.
Successe tutto nell'istante in cui il Sovrano scoprì -con malcelata soddisfazione- il telo che copriva le fattezze dell'essere -?- che aveva portato lì, nella sala da ballo, per mostrare ai suoi ospiti cosa il suo potere era in grado di fare, quali immonde bestie era in grado di sottomettere.
Lembi di pelle ricadevano sui tessuti ancora attaccati, ossa prive di muscoli venivano mostrate a un pubblico -che sperava essere- scioccato e allibito. La bocca mancava di labbra tanto quanto il capo era chiazzato da parti prive di capelli, e i pochi e lunghi fili neri che spuntavano dal cranio scarno non davano certo una buona impressione. Ematomi e ferite tumefatte, sangue rappreso costellavano il corpo pallido di quel cadavere.
Un cadavere ancora vivo.
Magia arcana, magia di morte.
Poteri oscuri e dimenticati.
Un sussultò dell'angelo costrinse la mancina a ghermire la porzione di petto che copriva il cuore, il volto aperto per un istante in una smorfia dolorante. Come una voce sibillina la volontà dell'angelo gli suggerì come quella bestia andasse distrutta, come un essere ripugnante e abietto dovesse essere spazzato via il prima possibile.
Allontanò lo sguardo di lato, distogliendo l'attenzione dalle insinuazioni dell'angelo che lo volevano contro il volere del Re, allontanando lo sguardo di lato mentre sentiva un senso di soffocamento pervaderlo, come a costringerlo a togliersi la maschera dal volto.
No. Non sarebbe sottostato all'angelo.
La lucente convinzione che l'angelo stava cercando di propinargli si faceva forte dell'istintiva paura provata da Zephyr verso la creatura del quale il Monarca andava fiero. Temeva di essere soppiantato, sostituito come una gomma bucata o un giocattolo vecchio e usurato.
Per questo l'angelo quasi riuscì a scavare in lui per costringerlo a remare contro la volontà del Monarca e uccidere il Suo mostro. Il tutto, però, sarebbe risultato, ovviamente, in un errore dalle proporzioni gigantesche, nonché irreparabile.
E questo, Cenere non poteva permetterselo.
Ora più lucido e disilluso, cercò conforto tra le dita dita del pavone, stringendole con più vigore nel tentativo che le iridi di smeraldo di lei lo riconducessero alla realtà distorta di quella festa, che lo allontanassero dai dubbi appena nati che già lo tormentavano come fossero latenti da anni.
Con sguardo fermo e impassibile, le iridi cremisi le chiesero di parlargli.
Poche sillabe, qualche soffio; aliti di voce che gli avrebbero restituito la consapevolezza del gioco nel quale si stavano lasciando andare.
Chiedeva poco.
D a v v e r o.

SPOILER (click to view)
@Jecht: non volermene. Ovviamente, è il pg che fa tutto da solo xD

@Anna: tu sai cosa fare e come comportarti. Ovviamente hai piena libertà su Zeph.

@Maio e Allea: la vostra risposta alla domanda precedente verrà inserita nel prossimo post, non preoccupatevi.



 
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~ D a l y s
view post Posted on 14/6/2010, 16:44




Era già pronta ad entrare in scena e recitare la propria parte.
La mano di lui nella propria, l’ego solleticato da quel verso di animale che nascondeva molte verità. Non le importava lui si fosse appena rivolto anche agli altri, chiamandoli in causa. Lei ben sapeva quale partita stessero disputando, segretamente, la scacchiera nascosta sotto le falde dei manti e delle gonne, le pedine incarnate da ogni ballerino mascherato di quella notte. Una partita che avrebbero vinto. Perché il loro Re non poteva perdere mai.
Lei aveva scelto di essere provocante, quella notte. E le ciglia dai buchi della maschera ebbero un fremito lieve.
Ma qualcuno decise di sospendere per un attimo la sua recita, il dramma della prima attrice appena giunta sul palco. L’occhio di bue, i riflettori già la illuminavano e ogni spettatore si aspettava la prima, orgasmica battuta.
Quando ecco che entrava in scena Leporello a far sorridere il pubblico teso. Un sorriso tirato, che ben presto diviene grassa risata, poiché il viso tetro della primadonna è oscurato dalle goffe movenze della controparte.



« Così tanti uomini al suo fianco e nessuno che la invita a ballare.»



Aggrottò la fronte, stringendo appena la mano del proprio compagno, quasi a richiamare la sua attenzione su quella scena, sull’uomo che aveva osato tanto.
Forse avrebbe potuto stuzzicare la fantasia di quelle dame lì presenti, dame tormentate dalla noia e dai loro uomini profumati e imbellettati. Uomini che, per inciso, nelle calde notti estive passavano dalle stanze della Rosa, poiché le loro dame sapevano annoiarsi ma non in egual modo evadere tale sensazione.
Quell’uomo credeva di poter produrre attrazione su di lei, su di lei che da tempo non sapeva provare altro sentimento che il senso della bellezza, il ferino piacere della caccia. Sorrise, il becco adunco e nero che avrebbe volentieri colpito quell’importuno al viso, accecandolo nello stesso modo in cui il pavone geloso colpisce i rivali.
Ma non era lei, quella sera, a dover porre giustizia. Così le sue labbra smeraldo si incurvarono sarcastiche, e certo avrebbe formulato una risposta cruda, tagliente.
Non fu però necessario che lei parlasse. Senza che avesse bisogno di sollecitarlo, il braccio del gerarca le passò intorno alla vita, attirandola a sè. Per una volta non fu lei a dover agire, per una volta non dovette fingere di opporre resistenza. Presa in contropiede dovette solamente abbandonarsi contro di lui, il viso dipinto contro il suo petto. Volti celati da maschere, il cuore di lui contro il proprio orecchio, la pelle percepibile sotto la stoffa leggera. non la Rosa e l'Angelo. Semplicemente due ballerini qualsiasi, liberi di fingersi, liberi di proteggersi, di invertire il dominio come meglio avessero creduto. Già pensava di rivolgere un'ironica richiesta di clemenza al proprio accompagnatore, quando si dovette interrompere.
Perchè un secondo evento venne a turbare la quiete della festa. Prima il buffone comparso nel tragico momento della morte di Giulietta e Romeo. E ora il mostro che emerge nel mezzo della corte goliardica di Don Giovanni.
Le sue orecchie, prima che i suoi occhi, vennero catturate dalla voce del Sovrano. Come per un riflesso spontaneo il suo capo si levò deferente ad ascoltarlo.



« Ecco a voi: Il Kishin! »



Credeva di aver tremato per il Re.
Credeva di temerlo sopra ogni altra cosa, sopra la morte stessa.
Ma quello che emerse nel cilindro di vetro. Quella…quella cosa, non riusciva nemmeno a trovare posto nella sua mente. Quella era come le Voci, della stessa materia marcia e degradata, della stessa consistenza viva. Era un incubo, qualcosa che ci auguriamo non esista, che raccontiamo nelle storie per spaventare i bambini.
Qualunque cosa fosse comprendeva perché avesse attratto il Re. Era morta. Eppure viveva. Parlava di decadenza e ritorno. Una morte in vita. Come lei. Solo molto più brutta. Con il brutto fuori e non dentro. Un guanto rivoltato. E quindi molto più pericoloso. Molto più orripilante.
Un brivido istintivo la scosse.
Un brivido che presto divenne parte della recita imbastita per la serata. Le consentì ad un tempo di aggirare l’ostacolo della risposta allo sconosciuto e di continuare la propria partita. Si strinse al petto del proprio accompagnatore, quasi necessitasse di protezione, mentre le mani si aggrappavano alla stoffa come quelle di una bambina spaventata.
Si domandò se il sovrano desiderasse un applauso. Forse in un altro momento glielo avrebbe tributato. Ma ora era il pavone. Un animale troppo orgoglioso per applaudire. Troppo altero per ammirare la bruttezza. Troppo pavido per non fuggire davanti alla creatura che potrebbe strappargli le piume ad una ad una.


 
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Allea
view post Posted on 14/6/2010, 22:20




« Avete deciso chi -questa sera- vorreste essere? »
Avrebbe forse dovuto provare fastidio?
Avrebbe forse dovuto indisporsi al tono irriverente del gatto?
Eppure sentire a parole gli stessi pensieri che, poco prima, gli avevano attraversato la mente non lo infastidiva, non lo faceva arrabbiare. Lo lasciava completamente indifferente.
Non era mai stato un fan della gerarchia, in ogni caso, non era superiore agli altri per il suo stato. Non aveva alcun interesse ad essere superiore a quei piccoli vermi. Sentire un suo sottoposto dimenticarsi della loro differenza gli era completamente indifferente.
Ma, ancora una volta, il coniglio pensò a chi avrebbe potuto essere quella sera.
Avrebbe potuto essere chiunque o nessuno o forse entrambi, in un turbinio di maschere e abiti sfarzosi.
Noia.
E poi qualcosa nella sua mente parlò con una vocina stridula ed insopportabile e no, lei dovrebbe dormire; no, dovrebbe esserci lei a quella stupida festa.
No, lei non dovrebbe essere in grado di parlargli.
Non lo sai, Fratellone? Ad una festa bisogna divertirsi
Si portò una mano alla tempia, pressando due dita contro la sua pelle, cercando di scacciare quella spiacevole sensazione. Lei non era la benvenuta nella sua mente, non era la benvenuta lì.
Era come quando perdeva il controllo e poteva quasi sentire la sua presenza e l’odiava. L’odiava così tanto.
Ad una festa bisogna divertirsi, è la regola
Che stupidaggine, non era la bambina lui, non gli interessava infrangere le regole, non poteva fregargliene di meno.
Ma tu sei annoiato e non ti piace essere annoiato
E per una volta la bambina aveva ragione – e, probabilmente, quella non era la bambina ma la sua coscienza, o qualcosa di simile perché la bambina non sapeva assolutamente nulla della sua esistenza.
E per un secondo pensò alla domanda del gatto, chi sarebbe stato quella sera?
Chi avrebbe voluto essere?
Nessuno, tutti, me, te, lui.
Aveva davvero così tanta importanza?
E il coniglio sorrise, da dietro la maschera, da dietro le bende, un sorriso che nessuno avrebbe potuto vedere, un sorriso illuminato d’oro e dipinto di nero.
Chi vorresti essere?
E Noki cominciò a camminare, superando il gatto e il pavone, non preoccupandosi di cosa avrebbe fatto lo sciacallo.
Forse aveva scelto chi essere, forse sarebbe cambiato completamente, ma lanciò un ultimo sguardo al gatto e perché mai dovrei dirlo a te? fu quello che cercò di fargli arrivare, nonostante la sua voce non l’avrebbe mai aiutato.
E il coniglio entrò nella foresta.




La prima cosa che notò fu che non era l’unico coniglio a quella festa - fastidio - la seconda era che il Re era l’unico, tra loro, a non indossare la maschera di un animale - indifferenza.
« Un Kodoku è una creatura che viene a formarsi con l'amalgamarsi di numerose entità in una sola.
Provate a immaginare di chiudere numerose, piccole creature in un solo barattolo e poi incantarlo, facendo in modo che quelle morenti divengano parte di quelle ancora in vita.
»
La terza furono le parole del Re.
Aveva come l’impressione che la Strega avrebbe gradito quel discorso, quel Kudoku e, semplicemente per questa ragione,
Noki l’odiava.
O forse odiare era una parola troppo forte, era un semplice fastidio impellente, un prurito insistente.
La Megera avrebbe probabilmente guardato il Re con interesse, un bicchiere di vino rosso in mano –
Lei adorava il vino, non l’aveva mai vista bere altro in tutti quegli anni –
E il fatto che potesse immaginarsela così perfettamente gli lasciò una sensazione sgradevole addosso.
« L'ultimo sopravvissuto muterebbe in un demone che è conosciuto, in materia, col nome di Kodoku una creatura aberrante e incontrollabile, in grado di generare altre creature simili a lei - trafficando con le loro stesse anime al suo interno. Una fonte inesauribile di mostri, demoni e incubi della peggior specie. »
E a quel punto la donna avrebbe fatto girare il vino nel bicchiere una singola volta, senza staccare gli occhi dal monarca, non un sorriso, non un movimento, ma sarebbe stata catturata.
Noki era semplicemente annoiato.
E interessato, allo stesso tempo, come se non potesse staccare gli occhi, come se quella donna fosse lì, a spingerlo a guardare.
« Ecco a voi: Il Kishin! »
Disgustoso. Rivoltante.
Ripugnante. Nauseabondo.
Intrigante.
Questo quello che, probabilmente, stava passando nelle menti degli invitati del Re. In un miscuglio di stupore e meraviglia e ammirazione.
Noki si portò la mano al cappello, sistemandoselo meglio sulla testa, e tutto quello che riusciva a pensare era che quel tubo sembrava
Stretto
Nero
Troppo Stretto
Gli mancava l’aria
Non riusciva a vedere nulla.

Indietreggiò di un passo, andando a sbattere contro qualcuno, probabilmente; avrebbero pensato che si fosse sentito male alla vista di quell’essere, quel Kudoku, quel Kishin.
Stretto
Nero
Troppo Stretto
Gli mancava l’aria
Non riusciva a vedere nulla.

Era un essere orrido, Noki lo poteva riconoscere, ma provare disgusto per qualcosa era troppo faticoso per lui.
Quella sensazione di oppressione che, invece, l’aveva colto era arrivata da sola, senza nessuno sforzo, come la cosa più normale del mondo.
Smettila! Non distogliere lo sguardo! E’ magnifico
Disgustoso. Rivoltante.
Ripugnante. Nauseabondo.
Intrigante.
E Noki riportò lo sguardo sull’essere e su quella gabbia.
Il Kishin, il Kudoku del Re.
Cosa voleva farne di lui? Cosa ne sarebbe rimasto di quell’ammasso di carne e ossa che sembrava più un morto che un vivo?
Non gl’interessava, no.
O forse sì.
E qualcosa pressava sulla sua tempia: un ricordo, una sensazione,
una frase.
O forse sì, perché tu eri esattamente come lui.


 
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Alicia.
view post Posted on 15/6/2010, 00:00




« Don't open your eyes,
You won't like what you see.
The blind have been blessed with security.
Don't open your eyes, take it from me. ¹ »


Attendeva, mostrando un barlume di nervosismo, manifestatosi attraverso il passaggio di un calice di vino rosso da una mano all'altra. Tutta quella situazione le pareva paradossale, ogni singolo invitato -ai suoi occhi- sembrava soltanto l'ennesimo mattone posizionato da quel Re per costruire il proprio muro di vanagloria ed egocentrismo. Non vi erano altre spiegazione che giustificassero un tale spiegamento di forze per una "festa mondana", troppe persone erano presenti e troppe persone non erano interessate minimamente a socializzare.
Aspettavano a loro volta l'ennesimo inganno del sovrano, perchè ogni cosa che faceva, anche quella semplice "mostra", era per lui e per il proprio compiacimento personale.
Lei ne era sicura, dopo aver tastato con mano le radici dell'egoismo su cui si fondava l'intero suo regno.
Anche lui, dietro alla sua demoniaca maschera, era in attesa di qualcosa, aspettava le reazioni della massa, che avrebbero ulteriormente accresciuto le ramificazioni del suo Ego, infestando con maggior oppressione le menti altrui.
Ciò che si aspettava era che tutti loro lo ammirassero, che lo temessero e che lo adorassero come un Dio, l'apice raggiungibile dall'Io umano.

Quello che accadde pochi istanti dopo terrorizzò ed allo stesso tempo affascinò gran parte dei presenti, ammaliati dalla presentazione del Re, che in dosate e ragionate parole, spiegò il perchè di quella cerimonia; o almeno, spiegò ciò che voleva che gli altri sapessero. Nulla vi era di vero in lui, solo ciò che non diceva.
Con ritrovato vigore, ritornò a parlare ai mascherati, adducendo a mitologie e leggende assai poco credibili.
Quell'uomo, secondo i piani della Bianca, non avrebbe dovuto giocare con il Male, non avrebbe dovuto nemmeno mai averne a che fare.
Le sue speranze di veder il Toryu come un alleato si affievolivano sempre più, come la ragione nel discorso del Re. Non poteva credere a simili storie, lei non sarebbe rimasta schiava di quel teatro inscenato dal migliore dei burattinai.
I suoi fili non l'avrebbero mai manovrata, la sua mente era superiore.
Era mossa da qualcosa di ben più pericoloso e solido di un semplice credo.


Scoprendo la gabbia di vetro poco distante dal palco, generò non poco scalpore in quella sala, chi da sotto la maschera se la rideva e chi invece deglutiva acqua per ricacciare indietro un prossimo conato di vomito.
Tutti quanti avevano in comune lo stupore, palesato da uno sguardo stralunato, che era facilmente visibile dai fori presenti in ogni pittoresca maschera.

"Don't open your eyes,
You won't like what you see.
The blind have been blessed with security."


Gli assenti da quella "Festa" erano senz'altro i più fortunati, avevano avuto il privilegio di non assistere ad un simile teatro degli orrori, privando i loro occhi della vista di quell'inumana condizione.
I resti di quello che un tempo era un uomo erano esposti a tutti, preservati, per così dire, in una teca di vetro, come è consuetudine fare con gli animali in una qualsiasi mostra. Ancora una volta il Re, metteva in chiaro chi fosse a comandare, come se i presenti ne avessero la necessità.
Di tutte le atrocità commesse dai sovrani, la schiavitù era una delle peggiori, un crimine senza la possibilità di redenzione, nella remota possibilità che volesse ottenerla.
La Regina si pentì ben presto di quella sua visita, era palese come il suo alleato tanto atteso, altro non fosse che l'ennesimo umano deviato dalla propria imperfezione.
Soltanto lei negava quella verità così chiara, così pura.

Evadeva quelle storie raccontate dal Sovrano su Kodoku e simili costrutti di malvagità, qual'ora fossero realmente esistiti, avrebbe spazzato via anche loro, fino a che in quel mondo non fosse rimasta alcuna traccia dell'oscurità che l'aveva attanagliato per ere.

Le sue sottili dita andarono a rimuovere, solo parzialmente, la maschera ornitologica, in modo da darle una maggiore visuale di ciò che le sue iridi temevano d'osservare.
Vedere riflesso nei suoi cerulei occhi quell'immagine così straziante, portò inevitabilmente alla sua mente il dolore provato da quell'individuo.
Poteva sentire distintamente le sue urla.

"Slave SCREAMS!
Slave SCREAMS!
Slave SCREAMS!
Slave SCREAMS!"


La sua carne strappata da quella macchina ben oliata d'odio.
Le sue mani, protese verso un libertà che non potrà mai appartenergli.
Poteva essere felice di quella sua condizione ? Poteva esserlo il Re ?

Queste domande affollarono la sua mente, già soggiogata dai dubbi e dai timori che quel nuovo nemico le istillava.
Il calice che nervosamente si passava tra le dita cadde a terra, mostrando a tutti la propria rottura con un fragoroso rumore.
Il vermiglio liquido si espanse sul pavimento.
Non era altro sangue.

« ...Terminate questo abominio. »

Il suo sguardo apatico ritornò a svettare sul suo volto, mostrando una ritrovata calma. La maschera venne calcata nuovamente su di esso, mentre quelle parole quasi sussurrate si fecero leggermente più forti.
Non abbastanza da elevarsi oltre le URLA.

¹ Happiness In Slavery dei Nine Inch Nails.
Img - Colorize by Me.


 
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