E' incredibile quello che fa la gente per rendersi presentabile.
C'è chi si trucca, chi si veste elegante, chi si tinge le unghie, il tutto seguendo un proprio canone di bellezza più o meno appariscente. Quel giorno però, tutti i partecipanti dovevano rispettarne uno in particolare, senza il quale non sarebbero stati accettati al "fantastico" evento di quella sera: portare una maschera.
L'evento in questione, infatti, era un ballo in maschera, organizzato niente meno dal Re che non perde mai. Un avvenimento importante, che sicuramente avrebbe attirato molta gente di tutto il regno.
Evan compreso.
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Le porte del salone si spalancarono, rivelando una sala tutta agghindata con ogni lusso possibile e immaginabile per l'occasione. Ovvio, non ci si poteva aspettare altro dal sovrano di quelle terre, tanto orgoglioso e vanaglorioso da definirsi invincibile.
La folla di gente che affluì dopo l'apertura era incredibile. Uomini e donne di ogni razza e età, tutti aventi una maschera sul volto, pronti ad avventarsi e cibarsi di tutto ciò che il loro re gli gettava. E fra questi vi era la strega, che quel giorno però si sarebbe fatta chiamare con un altro nome: Gatto.
Con la maschera sul volto, ondeggio fra la folla, evitando di sbattere contro gli altri invitati. Uno solo era il suo obbiettivo: il buffet, la lunga tavola che pareva arrivare e congiungere le due parti opposte del salone, tanto lunga era la sua estensione.
Vi arrivò in un attimo, e subito allungò la mano su quella che pareva essere un rinfrescante bicchiere di latte, che mandò giù tutto d'un fiato. Dopodiché, da bravo gatto, si avventò sul pesce servito, mangiandolo con foga, senza tuttavia sporcare il suo vestito.
«Miao.»
Aveva detto con un sorriso, un po' per esprimere la propria sazietà e un po' per replicare alle poche persone che avevano notato i suoi modi. Quel giorno lui era un gatto, e si doveva comportare come tale, o almeno in parte. Di certo non avrebbe preso a pulirsi con la lingua o a camminare a quattro zampe, ma avrebbe fatto almeno il minimo indispensabile per calarsi nella sua parte. Fusa comprese.
«Miei graditissimi ospiti!»
Drizzò le orecchie - metaforicamente parlando - quando la voce del re risuonò forte in tutta la sala e, come molti altri, si girò verso di lui notando per la prima volta l'orribile maschera che nascondeva il sovrano. Ma, tutto sommato, era normale che egli avesse un "volto" diverso dagli altri, che lo distinguesse in qualche modo dalla "plebaglia".
«Questa sera potrete assistere a un prodigio della scienza!»
Ovvero, il motivo per cui tutti loro erano lì.
Prese un'altra sorsata di latte, stavolta bevendo con più calma e raffinatezza. In un certo senso, la sua figura lo inquietava. La figura di un demone pronto a cibarsi della carne di ignari animali. Tutto questo gli dava i brividi.
«A breve, potrete assistere al mio personalissimo Kodoku: fino a quel momento, godetevi la festa!»
Lasciò cadere il latte, incurante di essersi macchiato le scarpe e il bordo dei pantaloni. Gli si spezzo il fiato in gola e lo sguardo si perse nel vuoto. Smise di fare quel brontolio tipico di ogni gatto quando è felice e si sedette, celato dalla maschera felina il suo volto assunse un'aria pensosa e al contempo preoccupata.
Negromanzia.
Merda.
Negromanzia.
L'arte che permette di evocare creature di altri mondi. Di evocare spiriti dell'altro mondo e relegarli nei cadaveri. Di creare e manipolare creature aberranti. Di soggiogare al proprio volere demoni e farne i propri schiavi, o viceversa. La negromanzia è una pratica oscura, tanto potente da riuscire a corrompere persino le menti più sagaci e intelligenti. Una volta conosciuta rare sono le persone che resistono al suo richiamo, e ancor più rare sono quelle che se ne tengono alla larga pur sapendone il potenziale. Tentatrice, accoglie le persone nel suo grembo, per poi abbattere ogni loro resistenza e spremere la loro vita. Fino all'esaurimento.
Individui schiavi di un'arte che credevano di poter controllare.
La fine era sempre quella.
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Si sedette nella sedia più vicina che trovò, aveva l'aria di chi ha appena avuto un malore. Gli doleva la testa e un senso di nausea gli affiorò in gola. Appoggio schiena e nuca al muro in marmo, sperava di essersi liberato per sempre di quella... "cosa". Invece no, lo continuava a perseguitare, ovunque andasse, ovunque fuggisse. Prima o poi lo ritrovava.
Sempre.
Sudava freddo solo nel sentirne il nome, specialmente se pronunciato da qualcuno di molto potente. Con lo sguardo cercò le uscite, ansioso. Poteva uscire e fuggire ancora una volta, ma cosa sarebbe cambiato?
Niente.
Deglutì sonoramente, allentandosi frettolosamente la cravatta. Decise di fare qualcosa che andava contro il suo istinto, contro le sue abitudini, contro tutto ciò che aveva fatto sino a quel giorno e contro quella vocina che gli rimbombava nella testa e diceva: "fuggi, fuggi". Volle restare e osservare quel prodigio della scienza annunciato.
Kodoku.
Un prodigio che per Evan era solo un'aberrazione.
Creato da un demone mascherato da re.
«Un Kodoku è una creatura che viene a formarsi con l'amalgamarsi di numerose entità in una sola.»
Il tintinnio del cucchiaio contro il bicchiere precedette la frase, e tanto bastò ad attirare l'attenzione. La sua e quella degli altri invitati, tutti - o quasi - fissavano il demone re con il fiato sospeso, desiderosi che egli continuasse la frase.
«Provate a immaginare di chiudere numerose, piccole creature in un solo barattolo e poi incantarlo, facendo in modo che quelle morenti divengano parte di quelle ancora in vita.»
Il disgusto prese il sopravvento su tutte le altre emozioni della strega, che voltò e abbassò il capo al solo pensiero dell'orribile essere che sarebbe uscito da una pratica tanto oscura. Ogni parola non faceva altro che accrescere il suo desiderio di fuggire via, ma al contempo lo incuriosiva sempre più. La verità era una sola: voleva restare.
«L'ultimo sopravvissuto muterebbe in un demone che è conosciuto, in materia, col nome di Kodoku una creatura aberrante e incontrollabile, in grado di generare altre creature simili a lei - trafficando con le loro stesse anime al suo interno. Una fonte inesauribile di mostri, demoni e incubi della peggior specie.»
Dopo quelle parole si alzò dalla sedia. Era talmente nervoso da non riuscire a stare fermo. Indeciso se seguire l'istinto o la ragione - scappare o restare -, continuò ad ascoltare ciò che il sovrano diceva, senza fare nulla per schermare la propria mente dalla sua parlantina arguta e concisa.
Propria solo di colui paragonabile ad un demone.
«Signori e signore io ho soggiogato una di queste creature e l'ho fatta mia.»
Trattenne il fiato e aprì bene gli occhi. Anche lui, come la folla, era stato infine catturato dalle parole del re demone, che pareva bearsi della sua posizione di regale superiorità. Subito dopo la frase, il sipario si alzò, mostrando l'orrido e raccapricciante spettacolo celato al suo interno: un uomo.
Che però di umano aveva ben poco.
«Ecco a voi: Il Kishin!»
Inizialmente,dovette trattenere un conato di vomito, poi i suoi occhi si persero in quelli della creatura, nelle ossa esposte, nelle dita magre e in tutti gli altri particolari che distinguevano la sua figura e che la rendevano unica nel suo genere. Un prodigio non per la scienza, ma per la negromanzia.
Nel suo stomaco si accalcarono una serie di emozioni discordanti: paura e curiosità, rispetto e orrore.
Disprezzo e compassione.
E fu proprio quest'ultima a spingerlo verso la campana, verso il fenomeno da baraccone, fino a raggiungere le persone che componevano la "prima linea". Aprì a bocca come per dire qualcosa, ma le parole scivolarono via dalla sua lingua come le ombre dalla luce del sole.
Non sapeva cosa dire, ma voleva dire qualcosa; non sapeva cosa fare, ma voleva fare qualcosa; non sapeva come comportarsi davanti ad un orrore del genere. Semplicemente stava lì, fermo nella sua posizione a guardarlo incantato, ammaliato.
«Noi... stgrrhiamo... finendo...?
E fu proprio il balbettio della creatura a svegliarlo da quel sogno ad occhi aperti, a fargli ricordare che cosa pensava riguardo ad atti del genere e che odiava la negromanzia.
Si voltò velocemente, dando le spalle all'abominio rinchiuso.
Tuttavia il gatto non celava uno sguardo furibondo o disgustato, ma degli occhi pregni di compassione e pena per quelle anime trasformate in un unico - grande - peccato contro natura.
Si sedette lontano dalla campana, capendo che fino a quel momento non aveva servito un re o un demone.
Solo un altro negromante.
MascheraHo scritto la reazione di Evan sia prima che dopo il secondo post del re, sono separate dal hr.