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Nell'aria. Se ne sentiva l'odore appena impercettibile. Al primo impatto si riallacciava nella memoria agli olezzi sgradevoli che emanavano i cadaveri in putrefazione. Poi passavano i secondi, e i minuti, e allora quella traccia diveniva tutt'uno con l'aria, si amalgamava per bene e ne si perdeva l'identità. Diveniva improvvisamente un odore dolce, normale, come se fosse sempre stato accanto a Kasumi. Quello era uno dei primi sintomi della Follia. La brutta bestia che stava segregata e rintanata nei meandri del suo cervello, e da oltre alle sbarre d'acciaio che il piccolo aveva imposto con tanta forza, ululava, si dimenava straziando le orecchie del Burattinaio con una sola parola: Libertà. E una risata sadica riempiva il vuoto che gli rimaneva dentro. Risuonava ed eccheggiava, entrando in risonanza con ogni più piccolo collegamento nervoso della testa, fino a far vibrare tutti i neuroni, pizzicandoli, sui quali cantava una smielata ninna nanna. Ecco che giungeva il suo momento. Ecco la lingua inumidire le labra ossessivamente. Ecco la mano dell'innocente pronta a liberare il Kishin.
« Non dovresti essere qui. I bambini vanno a letto presto. » La stupidità tipica di una mente femminile. Solo l'anima pettegola e oca di una donna aveva potuto sputare una frase così ovvia, così priva di senso, così stracolma di senso materno tanto da sentirne la nausea. Sapeva di un abbraccio materno che Kasumi non aveva chiesto. Quella era la voce della Regina di tutte le oche sciocche e pettegole della corte, l'erbaccia dall'aspetto più grazioso che la fanghiglia del castello, sulle rive del fosso, aveva rigurgitato, come se fosse roba sua. Voleva bene a sua Madre. E per questa debolezza si odiava molto. Aveva promesso di starle accanto. Si roteò, il movimento del busto fu accompagnato da un lieve gemito di Jack che rimaneva saldamente aggrappato al Padrone. I suoi orbi neri senza fine erano sbarratti e fissavano la Madre con aria severa e ira. Kasumi rimase gelido, non sollevò il capo, ma come i ciechi manteneva le orecchie in ascolto e le labbra appena dischiuse. Nessun espressione fuggiva dalle sue labbra.
« Chi è quello Madre? » Vide l'uomo dai capelli argentei, color della cenere, stringere la mano. La mano di lei. Affusolata, candida, perfetta, la mano di una donna, una delicata creatura celestiale che inibiva le coscenze degli uomini; bestie che poi sbavavano e lottavano tra loro, con morsi e grida, solo per stringere le cosce di quella sgualdrina tra le mani e affondare tutta la virilità che Dio aveva concesso loro tra le gambe, serpi e orsi si arrampicavano sui corpi delle signore che godevano di quel peccato feroce, gemendo appena come teneri agnellini per poi strepitare come grasse vacche un insaziabile - ancora -. Odiava gli uomini. Odiava il genere maschile. Odiava le donne. Odiava il genere femminile. I loro sporchi giochi, i loro bisogni fisici, le loro voglie dannatamente incotrollabili. Se seolo avesse avuto più potere avrebbe potuto tra le lacrime ucciderli. E piangere alla fine di tutto per ritrovarsi finalmente solo e libero. E piangere fino alla fine dei tempi.
« Un estraneo. E' la specie che prediligi. » Rapidi, silenziosi, gli estranei erano gli amanti fugaci perfetti. Sotto alle coperte ci mettevano tutta la passione possibile, ci mettevano impegno e spesso gli scappavano parole romantiche, tanto che si scioglievano nell'aria, e allora tu, donna bellissima, o ragazzina, smarrita tra la realtà e il sogno ti chiedevi cosa era giusto e cosa sbagliato, e intanto gioisci di essere riuscita un'altra volta a colmare il vuoto. Gli amanti fuggono. E rimani sola tra le lenzuola, sola con un vuoto dentro al tuo cuore che scava e affamato strepita, ha bisogno di amore, ha bisogni di quelle fatiche insensate e di ricompense sfuggevoli, brevi, ha bisogno di sentire un altro uomo abbracciato al tuo corpo. E tu hai bisogno di sentirlo fremere nuovamente. Sorrise compiaciuto ed affranto allo stesso tempo
« Vai a crogiolarti accanto al suo corpo. Vattene. E lasciami solo. » Si ruotò nuovamente e continuò a osservare il corpo del Kishin lasciare a poco a poco questo mondo. Gli tornava in mente il Padre, alla memoria tornava la sua figura ancora così ben distinta e chiara, bellissima e impeccabile. Amava quell'immagine e ringraziava di non averla gettata via dai suoi ricordi, ma anche se tentava di riassaporarla si accorgeva che non sapeva di nulla. Clow era suo Padre, un uomo che aveva amato con tutta la forza della sua anima, finita in pezzi, qualcuno che non c'era più e che non gli stringeva più la mano. La mano di Clow era gelida, allora Kasumi si concentrava sperando di poter riscaldare la sua abbastanza per entrambi. Lui non l'aveva mai sfiorata sua Madre, nemmeno una volta. Qualche abbraccio, qualche carezza, qualche fugace sguardo d'intesa, ma mai si era permesso di insudicare il suo corpo. Nemmeno dopo la cura. Non l'aveva toccata. Kasumi non giudicava, decideva. Sin dall'inizio aveva rinunciato a un amore che mai si sarebbe potuto realizzare: quello per una creatura figlia dei ricordi, falsa. Una lacrima gli rigò il viso. Il Burattinaio non se ne accorse nemmeno e lasciò che cadesse a terra.
Allora mi rendo conto che per quanto io sia intelligente. Per quanto volte io possa aver frantumato la mia anima. Per quante volte io abbia ucciso e sotterrato i miei sentimenti. Per quante volte io abbia martoriato questo mio corpo, alleato inconsapevole. Non sarò mai capace di liberarmi dal ricordo di questo amore. Sudicio, sporco e peccaminoso. Che Dio possa avere pietà di me. - Diario di Studio, Dr. Kasumi
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