| Foxy's dream |
| | Gli occhi furono lesi da un impercettibile bagliore, lo stesso che annunciava l’imminente inizio di un nuovo giorno. Tremavano. Insicure e pigre come solo al mattino le di lei palpebre si schiusero, nell’intento di scorgere tra le informi figure inanimate presenti nella stanza qualcosa che potesse esserle familiare. Su e giù. Ancora. Ancora una volta. Mentre la mente supplicava un ultimo istante di dolce nulla e rassicurante oscurità. Ma la vita và avanti, non aspetta né sottostà al volere della pigrizia e dell’ozio, no! Doveva rialzarsi e combattere quella spossatezza, quella fiacchezza frutto di mille e più eventi accaduti sin troppo rapidamente per una semplice e giovane donna. Eppure la violenza dei ricordi la atterrò nuovamente, ancora una volta, come se lo strascico di quanto avvenuto non volesse abbandonarla, complice quell’acre sapore di sangue che le dava la nausea tanto era forte e rivoltante per il suo fine e raffinato palato. Fu forte. Si costrinse ad alzare per poi ridistendersi più comodamente sul letto sfatto, incurante delle disdicevoli condizioni in cui versava il mobilio della stanza gentilmente affidatale dall’Incompreso. Balmur! Sì, quell’uomo. Cosa le aveva fatto? Quale arcano incanto aveva ridestato quelle rimembranze tanto amare da poter patire ancora le fitte di quel truce dolore? Balmur… quale era il suo segreto? Cosa voleva da lei? Le sue risposte erano sin troppo vaghe, e si fermavano alla semplice illustrazione oggettiva dei fatti. Cosa stava vivendo quell’uomo? Di certo non era un leader, no! Questi ultimi sono soliti enfatizzare i propri discorsi come a dargli vita, uno spessore che possa insinuarsi nelle convinzioni degli uditori, no! Lui era un tipo solitario, sin troppo avvezzo agli usi di corte. Un cavaliere forse, o un aristocratico. Cosa era Balmur in realtà? Afflitta da quei confusi pensieri gli occhi si chiusero ancora un volta, per abbandonarsi finalmente ad un riposo degno di questo nome, dove anche la mente e non solo il corpo avrebbe ottenuto il ristoro tanto agognato.
E fu sera. Un giorno intero trascorso fra le morbide e calde braccia di Morfeo, che l’avevano cullata al ritmo di profondi respiri e dei gemiti dell’ennesimo sonno tormentato da quei ricordi a cui la donna, al sol pensiero, tornava a tremare. Si alzò portandosi una mano al viso, mentre i suoi occhi erano riflessi ancora nelle visioni della propria mente. V’era del sangue per terra, di chi era? Suo? Dell’Incompreso? Ma probabilmente d’entrambi. Dopotutto meno di ventiquattro ore prima s’era scatenata una lite furibonda fra quelle mura, ma perché era tutto così confuso? Si maledisse nuovamente, non concependo il motivo per cui ogni cosa legata alla sua persona fosse così maledettamente sfuggevole e sfocata, come se ogni cosa fosse una mera illusione e lei non fosse altro che la protagonista d’un sogno fatto d’altri. No! Doveva infrangere quel sogno, vivere e soprattutto non lasciarsi vivere, negandosi all’oblio nonostante quel richiamo fosse tanto delizioso e gentile.
Si guardò attorno. Tutto maledettamente in disordine. Svogliatamente si chinò e rimise a posto qualunque cosa incrociasse i suoi passi fiacchi e lenti. L’armatura, le mitene, la sedia e quelle carte, che parevano gettate in terra quasi di proposito. Le raccolse. Una ad una fino a che le ebbe tutte nel palmo della propria mano. Cosa farne adesso? Non aveva proprio voglia di rivederlo, né tantomeno di parlargli, e dopo qualche tentennamento dovuto all’imbarazzo della situazione ammise a sé stessa che la migliore opzione sarebbe stata quella di consegnarle al barista presente al piano di sotto che pareva essergli tanto amico. Si armò della semplice spada, che verosimilmente riposava nel fodero altrettanto scuro e fosco, ancora immobile al fianco del proprio letto. La afferrò di colpo senza precauzione alcuna per un oggetto tanto caro a lei, con la stessa confidenza con cui si parla ad un vecchio amico o ad un fratello. La legò saldamente alla cintola ed uscì dalla stanza, mentre la destra stringeva convulsamente quelle carte.
Tutto quel frastuono la innervosiva, era sera dopotutto, e proprio in quelle ore la taverna pareva riempirsi d’ogni strano figuro presente nella città. Chi urlava, chi beveva tranquillamente, e chi si picchiava dimenandosi nelle oramai banali risse, ma a lei non importava, fintanto quegl’uomini non la importunavano poteva ritenersi estranea a tutto, e come tale non si sarebbe intromessa né avrebbe reagito, ma quel chiasso le dava troppo fastidio. Avrebbe voluto dare fuoco a tutto e a tutti, sicché ne avesse tutte le capacità necessarie per farlo davvero, ma no! Quel luogo doveva restare in piedi, almeno per il momento, fino a quando avrebbe saputo di più su quanto stava accadendo.
Il passo era cadenzato, ritmico, di chi è solito comportarsi come un soldato piuttosto che da donna, ma che importava? Ancora qualche attimo e sarebbe uscita da quel covo di peccaminosi, che parevano aver fatto del vizio e della depravazione il pasto delle loro anime. Si avvicinò al bancone dove trovò rapidamente chi cercava, dopotutto era impossibile non notare un uomo alto più di due metri e di una corporatura “abbondante” come la sua.
« Queste sono di Balmur. » Esordì sommessamente all’imponente oste mentre l’imbarazzo per quanto accaduto nella stanza al piano di sopra le calava nuovamente in viso quasi fosse un ragazzina qualsiasi.
« Potresti ridargliele al suo ritorno? » Aggiunse poco dopo voltandosi, incurante della risposta dell’omone e di ciò che avrebbe pensato riguardo a quella bizzarra richiesta, ma ancora una volta non le importava, no!
Anyway the wind blows, doesn't really matter to me… Lasciò tutto alle proprie spalle, la missione da intraprendere, il chiasso assordante, il fragore di quelle risa sguaiate, persino parte del suo equipaggiamento, e fu lieta di vedere la propria montatura ancora lì, ritta, possente, forte, un cavallo Shire che molti tra cavalieri e non le avrebbero certamente invidiato.
« Tranquillo… adesso ce ne andiamo, torneremo tra qualche giorno. » Le sussurrò avvicinandosi al di lui muso e accarezzandogli il collo. Ma non tergiversò oltre. Sapeva! Sapeva che non avrebbe resistito ancora per molto rinchiusa in quella bettola, sapeva che la vita và oltre il confine di quel che è reale, sapeva che non sarebbe stata in grado di andare avanti se non avesse affrontato ancora una volta il suo passato brutalmente resuscitato dall’Incompreso. E si precipitò in una rapida cavalcata, quasi stesse fuggendo. Ma da cosa scappava se non da sé stessa? La medesima sé stessa che tanto amava e tanto odiava al contempo, la medesima sé stessa che era morta e poi risorta, sì! Lo avrebbe fatto.
Uscì dalle porte della città mentre la luna si ergeva limpida e chiara alta nel cielo, sfidando le lucenti stelle sebbene fosse una lotta palesemente impari. Ma che importava? Cosa le importava di quel cielo, seppur incantevole come solo in poche notti d’estate lo fosse, e cavalcava, stringendo le redini a sé, come a divenire un tutt’uno con l’animale.
Fu notte e fu giorno. Ancora. Per quante volte? Quattro, forse cinque. Cosa fece in quei giorni la paladina? Ma restava tempo. E galoppò e viaggiò, sul dorso di Cursed, compagno e spettatore allo stesso tempo, privo del dono della parola in quanto mero animale, ma era quel che voleva: silenzio. Silenzio perché doveva pensare, ma a cosa non è dato sapere. E passarono i giorni, gli ultimi che le restavano, ma cosa hai fatto in quei giorni Alexandra? Con chi hai riso o con chi hai pianto? Hai amato o odiato? Hai sorriso a qualcosa o a qualcuno, o la tristezza che ti porti addietro è stata la tua unica compagna? Cosa hai cercato? Sei scappata o inseguivi qualcosa? Perchè non parli o mia regina? Perché sei muta a te stessa? La verità fa male, ma scappare è altrettanto doloroso. E’ la strada che hai scelto? Ne sei sicura? Bene! Se è quel che vuoi non posso che accondiscendere alla tua richiesta.
Is this the real life, is this just fantasy? Caught in a landslide, no escape from reality Open your eyes, look up to the skies and see. Dieci giorni. Dieci giorni trascorsi chissà dove, persa tra passato e presente. Ma tornò a quella locanda, fiera come una regina, no! Come una leonessa, lo stesso animale a cui fu spesso comparata quando poteva ancora vantare la nomea di sovrana. Come nulla fosse entrò, per poi salire alla propria camera e recuperare quel poco che le apparteneva, un paio di mitene e un’armatura, effige anch’esse di quel che accadde tempo addietro. Si preparò. Si armò. Senza più pensieri che gravassero sulla sua anima, senza più tormenti, almeno per il momento; e si presentò giù, in attesa del fato, aspettando quel che doveva accadere senza troppi problemi o difficoltà mosse dall’incertezza.
Se è così che deve andare, ebbene… che così sia.
CITAZIONE Energia: 100% Stato psicologico: serena Condizioni fisiche: Recuperati i danni subiti, quindi: Illesa ReC: 225 AeV: 200 PeRf: 225 PeRm: 300 CaeM: 200 Abilità attive in uso: Abilità passive in uso:Black as my flaming Sword § (Effetto passivo del Dominio, primo livello) Vegeance presenta sulla lama un incantamento scritto in runico, una lingua antica e oramai dimenticata. Lei stessa non è ancora in grado di comprendere cosa vi sia inciso ma riesce comunque a trarvi potere semplicemente posandovi la mano ed infondendole potere magico. Quest'arma potrà in qualsiasi momento innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. Black as my flaming Sword Punch § (Effetto passivo del Dominio, secondo livello) Così come su Vegeance, anche sulle Demon's claws vi è inciso un incantamento in runico, precisamente sul palmo, tramite le quali è possibile utilizzare il fuoco nero proprio del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risultano sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili. Black as my Will § (Effetto passivo dell'abilità razziale) Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato il potere magico insito in lei, raggiunto il 10% delle energie infatti non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. Black as my Sway § (Abilità personale passiva) Il dominio di Alexandra sul suo corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. Note:Premetto col dire che ho voluto inserire uno zampino di mistero nel testo (10 giorni O_O), appunto per rendere un po' più intrigante il post. Inoltre ho voluto sperimentare la tecnica del " non descrivere", quindi se non vi piace ditemelo ed eviterò di riproporre questa cosa in futuro. Semmai si presentasse l'occasione scriverò sotto forma di flashback quanto fatto da Ale nei suddetti 10 giorni nei prossimi post, in modo da non lasciare nulla di non descritto PS: quanto scritto in inglese sono frasi della canzone Bohemienne Raphsody dei Queen... spero gradiate
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