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| Santa Madre Nuova - Interno Alcuni minuti dopo « ...li ho salvati dall'oblio, Shakan. » L a voce del Sovrano si fece più cupa, alterata ed ambigua, mentre seguitava a rispondermi imperturbabile, freddo ed ancor più oscuro del solito. Mi parve di vedere i suoi tratti camuffarsi poco, in una forma del tutto impercettibile ad un occhio inesperto, ma probabilmente evidente per il sottoscritto: anima corrotta, fantasma regale e divino, il Re sembrò danzare al ritmo di una misteriosa melodia che nessuno poteva udire, nuotando quasi nel mare di memorie che lentamente, ma inesorabilmente, prese ad elencarmi, rinfacciandomi, allo stesso tempo, tutta la potenza di un uomo, come lui, capace di soggiogare un intero villaggio di provincia, e tutta la misericordia di un Signore, altrettanto capace di nutrirsi di tutti i ricordi dei propri adepti, custodendoli come risorse eterne e preziose. Affascinarsi alla visione di quell’immagine del Re, fu una sensazione pressappoco unica nel suo genere: mi parve di leggere qualcosa di me stesso, del mio potere e di ciò che ero diventato, nelle movenze del sovrano. L’avrei potuta interpretare come un incauto sbeffeggiamento di ciò che io avevo osato, ma non mi sentii in grado di muover critica alcuna a quelle tetre effusioni: era raccapricciante ed estasiante al tempo stesso, ammirarne le evoluzioni. Era fascinoso come vedere la nera mietitrice danzare sotto gli occhi del condannato, corromperlo e sedurlo, prima di tagliargli il capo. Era come attendere la morte, ma in un vortice di desiderio ed effusioni lascive.
Un’esperienza sublime e agghiacciante al tempo stesso. Mi resi conto che mai e poi mai avrei potuto probabilmente replicare altrettanto t e r r o r e in qualsivoglia vittima, per tutta la mia vita. Un terrore allo stato puro. Non indotto, non innaturale. Ma originale, mio proprio, autentico, eppure tanto forte da risultare...
... a t t r a e n t e ed a f f a s c i n a n t e. I l Re parlò delle vite, delle emozioni, dei turbamenti, delle malattie e delle fascinazioni degli abitanti di Bottiglia verde, dimostrando quanto ormai vivessero in se anche i più insignificanti dettagli della loro esistenza: dimostrando quanto la loro morte avesse avuto un significato preciso, un significato che si legava a doppio intreccio con quello dell’esistenza del Re stesso. In lui, d’ora in poi, sarebbero vissuti per l’eternità: altrimenti, un dono tanto grande mai sarebbe stato concesso.« ...e in compenso, ho lasciato che anche loro comprendessero qualcosa in più su di me. » Il prezzo o la contropartita, dunque, era stata condividere qualcosa del Re, riempirli con i propri turbamenti e spingerli a comprendere di più le gesta del sovrano: a capire l’entità e la sofferenza della sua stessa gloria...
...a non s e r b a r g l i r a n c o r e. F eci in tempo a scorgere in lontananza uno dei corpi ergersi nella zona dell’altare: ma fu solo un attimo, prima che ai miei occhi non fosse risparmiato altro che un velo di scuro buio. La Chiesa piombò nell’oscurità proprio mentre il Re giungeva al culmine delle proprie parole, accompagnando la discesa verso il nero con un sonoro boato ed alcuni passi pesanti. Non badai a nulla di tutto ciò – né a cosa potesse esser capitato agli altri due – badai solo a quel discorso apparentemente insensato, a quel lucido sciorinare di memorie slegate tra loro, ma che, se collegate con la lucidità propria di un uditore accorto, non avrebbero che potuto rivelarsi per tutta la loro i n q u i e t a razionalità. Mi ritrovai, ancora una volta, a chiedermi per me stesso quanto mai un essere potesse desiderare il potere per far qualcosa di simile. Ma, soprattutto, a quale scopo: a quale scopo compiere simili gesta? A quale scopo scomodare tanto tempo, come per ricercare in altri le memorie liete di qualcosa che si considera, o si ipotizza, di aver comunque perso per sempre? Cosa c’era dietro la maschera fredda e distaccata del Re?« e ora, Shakan... mi piacerebbe che tu fossi il primo a condividere qualcosa con me. »
N el buio della chiesa, ove non più m’era possibile nemmeno scorgere la sagoma effimera del Sovrano, mi ritrovai a seguirne il suono delle parole, la direzione degli oscuri discorsi, e a provare a carpire il senso di quelle parole e di quelle gesta, mirando nel vuoto la sfuggevole lungimiranza di un signore di cui tentavo a stento di avvicinare la potenza e condivider le passioni. Al buio, forse, avrei riprovato ancora, condividendo l’oscurità dei pensieri del signore stesso e ritrovando nel nero caos quel lucido ordine di idee che gli occhi evidentemente non mi permettevano più di scorgere. Poi vidi qualcosa, ma la vidi soltanto quando fosse troppo tardi per scansarla. La potenza del sovrano sovrastarmi, nella figura di una mano bianca e pallida che tentava vigorosamente di afferrarmi il capo e stritolarlo per il proprio diletto. La vidi distintamente la mano – che fosse o meno reale – e mi parve per qualche attimo di poterne disconoscere la condivisone d’intenti, che pur in precedenza avevo blaterato di preferire. Per un attimo, mi parve. Ma subito dopo mi resi conto che la mia stessa esistenza sarebbe stata forse condizionata da quell’attimo di scelta: da quella frazione di buia lucidità. Scegliere: e farlo in fretta. Scegliere se divenire parte degli intenti del sovrano, assoggettarmi alla potenza e rischiare una vita al suo seguito, senza dignità e volontà, o rifugiarmi – ancora una volta – nella grigia viltà di una fuga senza perdono, di un’esistenza che sarebbe continuata, come quella fino ad ora, una vita da suddito del dolore e vittima dell’altrui delirio. Avrei – altrimenti – potuto conoscere la fonte del delirio del Sovrano, forse, e capire come plasmare io stesso – d’ora in avanti – la realtà con i miei di deliri? Forse: e mi sarebbe costato molto. Ma mi sarei pentito del contrario: marcendo nel dubbio. Mi decisi, quindi, ad abbandonarmi a quell’onda di potenza, a quel magma oscuro ed informe di pensieri che, in una frazione di secondo, mi investirono, distruggendomi...
...ma non avrei s e r b a t o r a n c o r e. D i ciò che vidi dopo, poi, non fui conscio nemmeno io stesso. Non fin quando non avessi avuto modo di comprendere e capire realmente. Non fin quando non avessi avuto per vero il t e m p o di assorbire quel flusso infinito e devastante di memorie che mi pervase l’animo in una frazione di secondo, come una lama fredda piantata verticalmente dal basso ventre e cacciata nel corpo fino a raggiungere il centro del cervello.
Un flusso oscuro, basso ed informe, risalì dai piedi fino alla punta dei capelli. Passandomi da parte a parte.
Rapido ed indomabile Camminavo con passo fermo, respirando piano sotto la maschera fredda. Avanzando, la gente – tutta la gente – pareva accorgersi della mia presenza, fermando ogni azione, terminando ciò che stava facendo, concedendosi qualche secondo per ammirare – muta – la bellezza del portamento. Per qualche attimo, gli unici suoni della camera delle torture, sembrarono essere i miei passi che si avvicinavano al tavolo da poker. Sedetti al seggio porpora, lascivo, e non fui sorpreso di vedere alle spalle dei miei avversari numerose ragazze, nude ed impaurite, rinchiuse in una gabbia.
« Ma guarda un po'. Allora non era una balla quella di giocarsi quelle del secondo anno. »
« Non preoccupatevi ragazze... presto vi tirerò fuori di lì. »
L’affermazione aveva un tono sarcastico ed udii il gruppo alle mie spalle scoppiare in una fragorosa risata: ogni sussulto di quei suoni, però, parve insinuarsi nelle nude ragazze fin nelle tremolanti ossa.
« Zitto, stronzo! »
Una delle maschere davanti a me batté un pugno sul datolo, scatenando un boato di sdegno.
« Fin che ci saremo noi in questa scuola, non ti permetteremo di fare il bello e il cattivo tempo! Pensi forse che ci divertiamo a minacciare delle ragazze e portarle qui, solo per insegnarti un po' di disciplina?! »
Risi, fissando il mio interlocutore.
« Come non mi diverto io a leggere i libri che lei mi da per compito, professore. Trovo "Il Principe" una delle peggiori letture che abbia mai affrontato... dunque lo scambio non può essere più equo di così. E' sempre comunque triste denotare come l'unico modo che abbiate per mettermi in riga sia... il Poker. »
Colpii nel segno. La maschera ritrasse la mano e si abbandonò sul suo seggio, dedicando uno sguardo impietosito alle ragazze catturate alle mie spalle. Per vero, però, non potevo dire di aver terminato, ancora: allungai un mazzo di carte verso un'altro personaggio che, col volto celato, scrutava tristemente abbattuto le sue stesse ginocchia.
« Cavaliere, prego... a lei la mano. »
Dissi.
"Trône du Roi ~ Charles Étienne Chevalier"
Charles Étienne Chevalier
…di professione insegnante.
▬▬▬▬▬▬▬▬▬
« Ti considererò sempre come il più brillante studente che il "Trono del Re" abbia mai conosciuto. »
Affermò, ricomponendosi.
« E come un figlio, per me. »
Nonostante la serietà della rivelazione, trattenni a stendo le risate. Infine, con grande sforzo, mi liberai soltanto in un lungo sospiro verso il basso, ma con le lacrime agli occhi.
« Bel discorso, vecchio! – dissi – Poi dimmi da che libro l'hai tirato fuori, eh. »
Lo superai, con apparente indifferenza. Tuttavia, non riuscii a muovere un solo passo in più. L’uomo innanzi mi trattenne per la spalla, dimostrando una forza incredibile.
« Ray! Davvero non capisci?! »
Questa volta parlava con tono irato, colmo di rabbia.
« Potresti regnare sul mondo intero con le tue potenzialità... se solo seguissi le lezioni e una giusta morale! E invece... e invece! Invece sei qui a fare da Monarca dirigendo una sorta di... "Fobiarchia" per quattro gatti randagi chiusi in una cantina! Guardati! »
Una lancia prese forma nei miei palmi, nello stesso istante in cui la mano del Cavaliere aveva osato fermami, per poi lanciarsi contro il suo volto e dividerlo da parte a parte. Il sangue mi macchiò i vestiti, mentre io, immobile, sudavo e respiravo lento, a fatica, ansante, insoddisfatto per ciò che avevo appena compiuto. Voltandomi, vidi il corpo trafitto ai miei piedi. Lo squadrai, immutabile, prima di afferrare la lancia e stringerla fra le dita tremanti della mano. La conficcai ancora più nelle carni, e la feci girare su se stessa. Poi la estrassi, e questa si dissolse come neve al sole fra le mani, veloce com'era stata generata. Lo sguardo fiero, mi rivolsi al corpo senza vita sotto di me, un'ultima volta, sibilando come una serpe.
« Se davvero mi amavi così tanto... Rinascerai come padre, per me. E mi difenderai come mio cavaliere. »
▬▬▬▬▬▬▬▬▬
Vidi all'interno della gabbia ancora una ragazza. Bellissima. I capelli neri, corti. Il viso aggraziato e gli occhi oltremare, gelidi come il ghiaccio. La pelle pallida. Il seno sostenuto, fiero e alto, faceva da indice alle curve di tutto il corpo, non esagerate, ma cresciute con la maestria di un direttore d'orchestra. Tutto nel corpo di lei richiamava femminilità. Le braccia esili, le dita lunghe, la pancia piatta e tonica e le gambe lunghe e lisce come la seta. Non potendo combattere il desiderio, mi ritrovai a studiarla con intensità disperata, sentendo il sangue nel corpo discendere dalla testa, pericolosamente verso il basso. Mi avvicinai, e le presi il palmo della mano, gentile. Tutto nei miei gesti sarebbe apparso oltremodo chiaro, probabilmente: sia alla ragazza che alla folla. Quella donna, da quel momento, era diventata mia. Sarebbe dovuto essere così. Peccato che lei non fosse d'accordo.
« Non sfiorarmi nemmeno. »
Ritirò la mano lenta, sottraendola con garbo alla mia stretta.
« Maleducato. »
Detto questo uscì dalla gabbia, prese un drappo trovato lì accanto per coprirsi e, con inusuale regalità, si diresse verso l'uscita della sala, scomparendo allo sguardo dei presenti. Il tutto nel silenzio più assoluto. Tutti parevano allarmati e straniti: nessuno pareva osare anche soltanto pensare quali pene avrebbe dovuto soffrire quella donna per essersi ribellata al mio volere, al volere del Re, e anzi, per non aver accettato l'onore di passare del tempo con me.
▬▬▬▬▬▬▬▬▬
« Ti intrufoli nella mia camera di notte, senza presentarti e mostrandoti delusa della mia stanchezza... – dissi, con tono divertito – ...la sfacciataggine di voi smorfiose del primo anno cresce ogni giorno di più, mi sembra. »
Sorrisi alla ragazza, seguitando a fissarla intensamente e facendomi più eretto, per poi sedermi lungo il cuscino, poggiato allo schienale del letto.
« Fare una battuta su questa situazione sarebbe troppo facile persino per me, mia dolce... »
Quasi interrompendomi, lei mi si sedette accanto, al di sopra del materasso, ad una distanza ravvicinata. Nel petto potevo sentire i battiti del cuore aumentare rapidamente. Poi, lei sorrise.
« ...Perché dovrei negarlo? »
Disse con voce pur sempre dura, nemmeno minimamente scalfita dal sorriso che aveva colorato il suo viso.
« Se sono qui, è per essere conquistata. »
Alzò una mano ad aggiustarsi una ciocca di capelli scivolata innanzi al volto con eleganza, prima di terminare.
« Voglio essere tentata dalla bestia che la scuola tanto teme... – Aggiunse – ...e tentare di conoscerla ed ammansirla. »
Allungò una mano verso di me, quindi, facendomi cenno di afferrarla. Dal canto mio, le risposi con una freddezza fuori dal comune.
« Sarebbe d'uopo presentarsi, se non altro, considerato il tono del discorso. »
La vidi ritirare la mano un poco, colta in fallo. Nei suoi occhi parve leggersi un lampo di indecisione e sicurezza che, però, svanì nel giro di pochi attimi.
« Sì... scusami. » Accennò imbarazzata « Il mio nome è... »
...il mio n o m e... è...
▬▬▬▬▬▬▬▬▬
« ...malata, Ray. »
La voce di Alejandro mi risuonò nel capo fastidiosa ed insopportabile.
« Fra qualche anno non riuscirà più nemmeno a camminare, secondo quello che dicono i libri. »
Vidi il ragazzo biondo tentennare ed esitare sotto il mio sguardo diretto, la laccata di capelli secchi come il grano cadergli in uno scomposto ciuffo innanzi agli occhi, che cercava inutilmente di continuare a disfare. I movimenti frenetici delle dita lo rendevano sempre più simile ad un topo, mano a mano che pigolava le sue speculazioni.
« Non puoi farti accompagnare da una così! »
Continuò insistente, miagolando fastidioso.
« E' una storpia, Ray! Una storpia! »
...una storpia...
Un sentimento cupo mi pervase l’animo, rubandomi il respiro. Non volevo ascoltare: non volevo sentire. Non poteva essere. Non lei. Lei era una parte di me, ed io ero perfetto. Niente di me poteva essere storpio.
« Alejandro, non sai quel che dici. » Lo interruppi con severità « Avrai sbagliato persona. »
Poi il suddito mi squadrò, quasi illuminato da un lampo di genio.
« Immaginavo che avresti detto qualcosa di simile, sai... »
Esordì subdolo
« Ti conosco meglio di quanto io stesso sospettassi. »
Vi fu una breve pausa, e Alejandro cercò di riassettare nuovamente la propria capigliatura, insicuro.
« Zacarias è già andato a farle visita... »
Un sorriso malefico si aprì sul suo volto
« ...Non dovrai più preoccuparti di lei. »
▬▬▬▬▬▬▬▬▬
I corpi di Zacarias e Alejandro giacevano in una pozza di sangue, accanto a me. Quello di lei, invece, era tremante e arrancava al suolo, ai piedi delle scale. Zacarias l'aveva spinta dalla scalinata e lei non riusciva più a rialzarsi. La vidi strisciare in terra come un verme, sputando e rigurgitando, attonito. La malattia delle ossa che l'affliggeva da quando era bambina non le avrebbe permesso di rialzarsi, da sola. Sarebbe morta lì se nessuno l'avesse sollevata. Lei, una parta di me... una storpia. La vidi voltarsi nella mia direzione, e sorridermi felice. I riflessi mi tagliarono in due il viso, mentre indossavo la Persona di Loec. Piangevo. Alzai il fucile.
Ciò che lessi nel suo viso, quel tempo, non fu paura, né risentimento. Semmai, l'ultimo desiderio di un'amante, che mi chiedeva di vivere anche per lei. E quando alle sue labbra pallide sfuggì un sincero: "Ti amo", tutto ciò che riuscii a risponderle fu: "Lo so". Di certo, fu quell'episodio a cambiarmi, tant'é che ancora oggi, ripensandoci, mi rattristo. | Ciò che lessi nel suo viso, quel tempo, non fu paura, né risentimento. Semmai, l'ultimo desiderio di una preda, che mi chiedeva di vivere di lei. E quando alle sue labbra morte sfuggì un debole: "Ti amo", tutto ciò che, secco, le risposi fu: "Lo vedo". Di certo, fu quell'episodio a cambiarmi, tant'é che ancora oggi, ripensandoci, rido. |
...Rido e mi rattristo...
...Rido...
Vestiva in modo bizzarro, e aveva su di se numerose cicatrici, segno evidente di battaglia e... debolezza. Debolezza precedente, forse, poiché non riuscivo a capacitarmi di come una persona simile potesse avere tante stupide ferite sul proprio corpo. Certo, se avessi saputo che Shagwell, del quale – al tempo – nemmeno conoscevo il nome, si era procurato la gran parte di quelle da solo, la mia impressione sarebbe stata radicalmente differente.
«Bella entrata in scena, Sire, i miei complimenti. Degna di un grande Re, senza ombra di dubbio.»
La sua voce apparve profonda, roca e forte. Per qualche ragione apparve diversa alle mie orecchie: diversa da quella udita in precedenza Ora pareva quasi uno schiaffo violento ad ogni parola. Seguitò a fissarmi, non irriverente e nemmeno intimorito: piuttosto incuriosito, divertito come solo un folle potesse mostrarsi compiaciuto innanzi alla mia persona. Parve accennare un inchino che fece tintinnare i campanellini sulla sua testa, nascosti in qualche dove di quell’intricata capigliatura nera, sfumata di scarlatto.
«Shagwell "il Guitto", se compiace a sua maestà.»
Disse, rialzando il capo e sorridendo. Mostrava non solo una dentatura impeccabile, ma anche una lucente pazzia nelle gocce di sangue che erano i suoi occhi, cremisi come il suo animo.
«Si dice che ogni Re abbia bisogno di una corte. Io sarò il tuo Giullare, se lo vorrai.»
Mi parve di apprezzare. Apprezzare il tono col quale quell’essere mi si rivolgeva, crudo e potente. La sua voce secca, ma forte, pareva in grado di scuotere gli animi, pur essendo in dubbio in quale direzione. Ne assaporai comunque il suono, il vano tentativo di divorarmi i timpani. Shagwell mi sembrò una delle poche persone ad avere abbastanza coraggio per parlare più di me, pur trovandosi innanzi alla mia figura. D’altronde, avevo sempre odiato la consuetudine dei deboli di soffocare le parole in gola per paura di lasciarsi scappare chissà quali indelicatezze, compiacendomi, invece, della sfrontatezza dei coraggiosi. Di coloro che affrontano il destino: e ne subiscono le punizioni. Ancor di più, però, apprezzavo i pochi che usavano ammirarmi per la mia natura, non per secondi fini, chi mi avrebbe seguito per scelta personale, e per piacenza del mio essere, non per godere di riflesso del mio potere. Le uniche persone che avrei potuto considerare fedeli in senso assoluto. Shagwell trovò da subito ogni condizione per farmelo apparire come il più grande dei seguaci, il più fedele dei compagni. Per il resto, bastarono soltanto poche parole.
« Mi piace come idea. »
...Shagwell...
▬▬▬▬▬▬▬▬▬
Il giullare pazzo. Una delle poche persone per la quale avrei scatenato una guerra, pur di riaverlo con me...
« Quando lo trovammo si faceva chiamare "numero sei". »
...Shagwell...
« Era molto diverso da come lo conoscete voi. Aveva sempre il sorriso sulle labbra, eppure non era folle. Diceva di essere uno straniero, un viaggiatore. Il Caprone lo assegnò a una delle sette compagnie, come fosse stato una recluta qualsiasi. »
« Ma era evidente che si sbagliava... Sei aveva con sé un'arma pericolosa. »
« Quella stessa spada che brandisce ancora oggi, il cui nome è presagio di sventura. »
« Iblīs Naylah, la Puttana Cremisi. »
« Sei morì per decapitazione una notte di molti anni fa. Ucciso da quella spada e tradito da colui che chiamava fratello. »
« Di quei tempi i miei studi sull'immortalità si erano appena conclusi. Ma, come ogni uomo di scienza, non mi sentivo affatto appagato: volevo di più. Volevo conoscere tutti i segreti della vita e della morte che ancora m'erano preclusi. Cercai l'Asgradel e lo trovai... Così espressi il mio desiderio: riportare in vita Numero Sei. »
...Shagwell...?
« Quello stronzo ci raccontò ogni cosa, senza trascurare i dettagli. Ma era cambiato. »
« La morte lo aveva reso pazzo. »
« E ora? Ti aspetti forse che alla luce di queste meticolose spiegazioni io non mi adoperi e non vada a salvare Shagwell? »
Tentennai...
« Il mio Shagwell? »
Mi sentivo ancora stordito e leggermente provato... Troppo per potermi concedere il lusso di prendere le armi contro due nemici così pericolosi e sperare di uscirne indenne – io o i miei sottoposti.
« Dimmi Oberrin: per quale ragione, giunto fino a questo punto... »
passai lo sguardo su ognuno dei miei sudditi ancora in vita, ancora accanto a me, e persino su John Doe, realizzando che non avrei potuto proteggerli tutti, nel caso in cui mi fossi messo a combattere: la mia risposta...
« ...non dovrei concludere, e riprendermi ciò che è mio? »
▬▬▬▬▬▬▬▬▬
« Non saresti dovuto venire. »
Shagwell pareva furioso poiché, forse, avevo rischiato di ostacolare la sua vendetta. Lo sapevo bene. Ma io – il Re – ero furioso poiché Shagwell non mi aveva raccontato nulla ed era sparito dalla mia corte all'improvviso. E Shagwell lo sapeva bene. Il giullare ora mi voltava le spalle, a cavalcioni dei merli quasi distrutti, con le due puttane - la mora e la rossa - adagiate accanto. Non ci sarebbero state riconciliazioni: no. Mossi qualche passo in direzione del mio compagno poi iniziai a correre Vidi il giullare voltarsi nella mia direzione, presumibilmente incuriosito dai passi rapidi. Infine, quando mi trovai ad una distanza adeguata da lui... ...lo colpii.. con un pugno in pieno viso. Un pugno che racchiudeva in sé tutta la mia forza. Un cazzotto che, se solo avesse colpito una persona meno allenata di Shagwell, ne avrebbe presumibilmente spaccato il naso. Un pugno da rissa. Una botta che solitamente non avevo concesso neppure ai miei peggiori nemici. Un pugno goffo, scoordinato ed ansimante.
« Torniamo a casa » latrai sospirando « Shagwell. »
Il volto del giullare parve contorcesi in una smorfia sconosciuta, o dimenticata per tanto tempo: un sorriso apparentemente sincero e sereno. Mi afferò la mano stretta a pugno e la scostò lentamente dal proprio volto tumefatto. In una movenza cruda, ma quasi tenera.
« Sì. »
Così ero. Seduto sul trono, con la testa rovesciata all'indietro, le braccia senza vita abbandonate lungo il marmo gelido e incollate solamente per i gomiti, che lasciavano dondolare le mani bianche e cadaveriche in maniera scomposta. La maschera cucita sul viso, pesante come un macigno, spingeva il mento verso l'alto, alzando una smorfia di compiaciuto risentimento al soffitto. Le vesti nere.
Immaginavo: il finale triste di un personaggio malvagio, per cui nessuno proverà alcuna pietà. Il finale di una persona che, dunque, intuiva già molti dei propri finali, ma che da essi non si era mai lasciata ostacolare.
La vita è un peso quando sai che non potrà finire bene. E' una maratona nella quale corrono ansia, paranoia ed apprensione: una corsa in cui il risentimento e la paura sono sempre qualche passo avanti al desiderio di cambiare, di migliorare. Una morte che si scioglie lentamente dentro al petto, prima dolorosa, poi sempre più stancante e malinconica. Un miasma a cui l'unico rimedio è la speranza; persino per me. La speranza che nei propri ricordi si nasconda quella cucitura che potrà condurti verso un lieto fine - la speranza di incappare in uno di quei nodi dimenticati, che possano risollevarti.
Un nodo che non avevo mai trovato. Mi soffermavo a pensare di come avessi speso la vita a risolvere il rompicapo di un punto della trama incompiuto: nel tentativo di ritornare ad un ricordo disperso. E, una volta ritrovato, non avervi visto altro che finali peggiori di quelli che già conoscevo.
...Alejandro...
...Zacarias...
...Lei...
Abbandonato come una bambola scucita su quel trono di marmo, prendevo coscienza di come avrei vissuto molto meglio senza i ricordi della loro morte: con l'augurio, invero, che le memorie mancanti potessero essere sintomo di rinnovata speranza. L'ombra scheletrica di Loec, poggiata sul suo viso, raccontava la cura.
Rantolai. Tossii. Poi mi ripresi: scossi le dita formicolanti mentre il sangue riprendeva il suo circolo. Morto e resuscitato. Andato e tornato, come gli avvenimenti della mia vita: tornati, erano andati.
Mi avvicinai ad un corpo deceduto da poco tempo: le pupille vitree erano riverse sul soffitto tracimanti dell'orrore di ciò che le aveva abbandonate lì, pietrificate, a corpo morto. Le estrassi maneggiando il bisturi con ben poca maestria, scavandone all'interno lunghi tagli opalini, dopodiché vi impressi una corona di cenere nera, carbonizzando le estremità delle iridi con l'attizzatoio che tenevo nell'altra mano.. Poggiai quindi i bulbi su un assetto di legno e la mano sulla fronte viscosa e glutinosa del carcame, lubrica come il terreno quando vi ci si versa sopra una colata di miele, o pece. Spinsi, dunque, quanto bastava perché le ossa della salma si piegassero crepitando e cigolando con dolenza prima di spezzarsi del tutto. Quantunque mi impegnassi, non avrebbe funzionato su un cadavere. Necessitavo di corpi vivi, per soddisfare la mia coscienza. Fu quella realizzazione a illuminarmi con un'idea, come quando si scorge un faro in mezzo ad una tempesta. Corpi vivi? Ne avevo a sufficienza: quasi troppi.
« Don't worry, mio prodigo Kodoku. »
Affermai, benché fosse solo Chevalier ad ascoltarmi, abbandonando bisturi e attizzatoio poco lontano.
« Presto - molto presto - potrai venire alla luce. »
▬▬▬▬▬▬▬▬▬
Poggiai la tazza di thé sul tavolino di cristallo che mi divideva dal mio interlocutore, prima di rivolgergli la parola.
« Spero che questa convocazione improvvisa non abbia scombussolato troppo i tuoi ritmi... ma come ho saputo del tuo arrivo, non potevo certo rischiare che i nostri comuni nemici ci impedissero di incontrarci prima del tempo. »
« Io posso proteggerti. »
Schioccai le labbra con determinazione: avevo alzato la voce il tanto bastante perché quella affermazione risultasse ben più prepotente del resto del discorso.
« Ma in cambio, ti chiedo solamente di permettermi di controllare il tuo compagno per un breve periodo di tempo. »
Dissi, sorridendo.
« Lo riavrai quando avrà terminato il compito che ho intenzione di assegnargli. »
Tesi il palmo verso quello del mio interlocutore, aspettandomi che l'altro lo stringesse. Perché non avrebbe dovuto, in fondo?
« Mi sembra uno scambio equo, no? »
Lo spaventapasseri parve rifletterci, meditare con l’aria di chi valuta la convenienza di un accordo.
"Protezione..."
Mormorò. Poi, sorseggiando l'ultimo goccio della bevanda, ripose la tazzina accuratamente sul tavolo.
"Mi pare giusto, sì."
Protese il braccio e ricambiò la stretta, siglando l'intesa con una presa salda.
"Avrete il Kishin, Sire... Ma, mi raccomando: abbiatene cura."
...abbiate cura del Kishin...
▬▬▬▬▬▬▬▬▬
...Kishin...
« Perfetto. Ogni cosa... »
...senza più la maschera del demone, sorrisi, svelando a tutti l’espressione sul mio volto...
« ...è andata secondo i piani. »
▬▬▬▬▬▬▬▬▬
Chevalier agì rapidamente. Prima che la frusta di Shakan potesse raggiungere il corpo privo di sensi di Shelozagh, afferrò bruscamente lo spettro e lo sollevò, impedendogli l'offesa. Lo fissai per un attimo, rivolgendogli la parola.
« Rispettiamo le volontà del gigante buono, vuoi? »
Arrisi con alterigia, senza scompormi.
« Siete stati talmente bravi, ghostbuster, che ho appena deciso che oggi non morirà nessuno. »
Infine mi dilungai in un lungo applauso, mentre il Golem abbandonava Shakan in terra con gentilezza. Risi di gusto, quella volta. Una delle poche.
...risi...
...lo conoscevo...?
M i accasciai al suolo, tenendo la testa fra le mani, lasciandomi andare al dolore intenso e alla sofferenza. Ricaddi, infine, come uno di quei cadaveri scorticati, nella pozza di sangue sotto ai miei piedi: assaporai l’odore acre di quel rosso oscuro, il gusto perverso di quel liquido dannato. Poi, posi una mano nel terreno, sentendola affondare nel liquame umido e freddo: cercai a fatica di ergermi, almeno un poco. Sentivo il cuore battere e gli occhi pulsare di rosso fuoco, mentre dalla testa colavano gocce gelide di sangue, miste ad altre poco più calde, che – pur poco cosciente – non ebbi difficoltà a distinguere come mie. Del mio cranio: sangue del mio cervello. Nel mentre, continuavo di quando in quando a rivedere alcune di quelle memorie che, rapide e fugaci, seguitavano a tormentarmi. Continuavano a riflettersi nel mio animo, rispecchiandosi nel mio stesso dolore e confondendovi quello dell’uomo al quale quelle memorie erano appartenute.
L’uomo innanzi a me – da qualche parte nel buio.
N on lo vedevo, non lo sentivo. Ma sapevo che – in qualche modo – era ancora vicino a me, continuava a fissarmi. Dunque questi erano i suoi ricordi? La sua vita? La sua esistenza? Prendevo lentamente coscienza del tormento di un uomo potente che era probabilmente caduto vittima della sua stessa potenza e, per questo, aveva pagato un prezzo altissimo. Un prezzo unico e irripetibile. Che forse chiamasse gloria il semplice ricercar la propria serenità di un tempo? Quella serenità che aveva assaporato per poco e così tragicamente perduto: quella serenità che solo pochi eletti potevano dire di avergli restituito, nella sua lunga vita, e che era deciso a proteggere, pur di scatenare guerre...? Guerre alle quali pure io mi ero trovato a partecipare, insieme a decine di anime innocenti. Di anime perdute. Morte. In questo senso, riuscii a muovermi a pietà – pietà per quell’uomo tanto potente, ma non troppo dissimile da me. Pietà per qualcuno che per seguitare a vivere in pace con se stesso, nella speranza di un futuro più caritatevole, era stato costretto a plasmare i propri pensieri di modo da perderli, e desiderare che la perdita di questi potesse tramutarsi, da sola, in fonte di speranza. Pensieri che non aveva esitato a rinchiudere in quei corpi morti – forse – nel tentativo di manipolarli e farne marionette del proprio teatro. Farne attori della propria solitudine. Schiavi del proprio desiderio di rivalsa.
Ed io? Io addivenivo ora ad essere uno di quegli schiavi, una di quelle marionette, in quanto corpo vivo commisto di quelle memorie perverse? Perché aveva condiviso con me un tale fardello? Perché aveva reso in me quella colpa?
F orse perché potessi comprenderlo? Forse perché... potessi... quasi, perdonarlo? D’altronde io non potevo dirmi troppo diverso: un tempo lascivo, corrotto, sadico nella mia immoralità, pur io avevo finito per perder ogni speranza nell’illusione del potere. E di quello stesso potere ero finito per esser vittima, immobilizzato, imprigionato e – poi – ucciso da tutti coloro che avevo riunito intorno a me, che avevo chiamato alleati e che non avevano esitato a chiamarmi traditore quando mi resi cosciente di quanto oltre ci eravamo spinti. Di quanto avessimo varcato la soglia dell’u m a n a m e n t e c o n s e n t i t o. E pur io avevo pagato un prezzo, il prezzo del peccato. Avevo perso tutto, ero morto. Ed ero risorto dalla mia bara con l’unico scopo di vendicarmi contro i miei assalitori: senza considerare – mai – quelle che fossero state le mie colpe. Forse, anche per questo, quell’uomo mi aveva reso partecipe della sua storia?
<< ...R a y... >>
Sofferente e distrutto, non riuscii a marcami dei soliti convenevoli, dimenticando – infine – anche i regali titoli per l’uomo a cui mi rivolgevo. A quel punto – però – considerai anche che ogni formalità sarebbe passata in second’ordine, a fronte del caotico volgersi degli eventi.
<< ...p e r c h e...? Perché... mi hai reso... partecipe... di... ciò...? >>
Balbettavo affannato, barcollando e cercando invano con le mani di trovare nei dintorni una qualche colonna, muro o struttura di qualche genere che potesse fungermi da sostegno, arrivando a toccare con le braccia tutto quello che con gli occhi mi era ormai proibito scorgere.
<< ...tu... hai forse... dato un nome... alla tua... sofferenza? >>
<< L’hai vinta o assoggettata... in qualche modo... ? >>
Provai a volger lo sguardo fisso innanzi a me, sperando di non sbagliarmi. Sperando, inoltre, che tutto quello fosse altro dal "semplice" preludio alla mia morte cerebrale. Che quella decadente follia fosse il tentativo del Sovrano di smuovermi dalla mia illusa lucidità, per una più irrazionale comprensione del dolore, e non, più propriamente, l’arma più efficace da usare contro le lame di un assassino. L’arma più adatta per rendermi simile a quei cadaveri e appendermi, con loro, per la più sporgente delle travi...
<< ...puoi... tu... insegnarmi... come fare? >> ReC: 275 | AeV: 250 | PeRf: 150 | PeRm: 275 | CaeM: 200 | ♦ | Immenso: 40% | Alto: 20% | Medio: 10% | Basso: 5% |
Del Fisico: Tre ferite leggere alla mano sinistra (Basso) Del Psichico: Al limite della follia, devastato mentalmente (Critico). Dell'Energia: 124% Delle Attive: //
Delle Passive:
Solitudine (razziale): difesa psionica passiva Non pago per le mie colpe (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione; Il potere è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%; Che io sia dannato (personale di metagame): permette di usare abilità necromante; Vivi il mio tormento (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici.
Delle Armi:
Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti; Frusta: legata alla cintura
Del Riassunto: //
Delle Note:
E' strabiliante che ogni volta che mi capita di dire "ho scritto probabilmente il più lungo post di Asgradel", venga smentito al post successivo. Questo credo sia davvero il più lungo e faticoso post mai scritto e che mai scrivero su questa piattaforma XD Voglio precisare una cosa, però, perché ci tengo: le memorie inserite, oltre ad essere il frutto di una breve cernita (avrei dovuto scrivere per settimane per inserire tutte le memorie importanti del pg di Ray) sono state reinterpretate in base al mio stile. Ovvero alla prima persona. Il motivo è semplice: Shakan lo scrivo così e le memorie vengono reinterpretate in base al suo "stile", che in una visione GdR-In si dovrebbe tradurre nel suo modo di interpretare la realtà, ovvero in prima persona e molto introspettivamente. Non so se si capisce... Comunque, le descrizioni e le emozioni sono quelle direttamente legate alle memorie (e riproducono comunque più o meno fedelmente le scene da cui sono tratte): ho interpretato il concetto di "memorie" come una rivisitazione in prima persona della vita di Ray, quindi come se in quelle scene Shakan stesso divenisse Ray e sentisse su di se le emozioni, i pensieri e le postulazioni del Sovrano. In tutto questo, spero di non aver fatto grossi errori e, sopratutto, spero di non aver esagerato o rovinato alcuna di queste bellissime scene, comunque. Infine, perdonatemi eventuali errori che molto probabilmente ci saranno. Inoltre, penso si evinca dal post i motivi per cui Shakan non interpreta l'azione di Ray come un "attacco" propriamente detto, pur conscio che potrebbe aver capito male e che - in tal caso - sarà l'ultima cosa idiota che farà in vita sua. Però se ne assume il rischio (anche perché ormai è un pò fuori di melone). Ho riletto più volte ma il post è davvero lungo e qualcosa mi sarà sfuggita, se possibile domani lo rivedo ancora.
edit: correzioni varie (e non credo saranno le ultime)
Edited by janz - 16/11/2010, 14:43
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