Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Valzer al crepuscolo ~ Ninna nanna

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view post Posted on 15/5/2011, 22:42
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Dopo tanto vagare nell'ombra si arriva al punto in cui si smette di cercare. Il punto in cui ci si dimentica, eventualmente, ciò che si andava cercando. La strada percorsa, i sentieri da battere, i volti e le voci ed ogni forma altra e perduta suo malgrado in un tempo in rivoluzione, tutto– nulla, nulla ha più un posto.

Frammenti d'uno specchio spezzato gettati per terra come pezzi di un ciclopico puzzle, cocci residui di storie diverse che diverse immagini racchiudono e riflettono, diversi tempi e diversi luoghi scagliati dall'illusione di univocità nell'angolino più scuro dell'abisso cosmico, nell'ansa più buia del fiume del mondo.

Io sono una forza dell'universo.
Sono cieco alla vita, lontano. Vento tra le fronde del tempo, io non vedo anime.
Questo frammento nero, opaco, racconta una storia diversa, con voce diversa. Questo specchio racchiude, riflette l'immagine d'una stanza scura nel ventre della terra. Cinque spiriti nel gioco della quadriglia, tutti sordi e ciechi, già danzano nel buio.
Ignoto il luogo, certo, dove il piccolo messaggero della distruzione posa adesso i suoi duri calzari. Arthur è cieco alla vita, lontano. Non vede anime, no: ha gli occhi ancora chiusi.

Riposto nello specchio, in un cassetto remoto, c'è un piccolo letto bianco. Un frammento ignorato, poco importante, che narra la morte d'un uomo. Forse.
Avrebbe anche raccolto quel pezzo di vetro, il tassello dimenticato che mancava a quella storia, ma non lo fece. Lo osservò dall'alto, notando magari il volto dell'uomo nel letto, sotto alle lenzuola pulite. Il sangue sulla corazza del rosso puzzava ancora, ed era l'odore del morto. Era l'oblio di un viso antico, sepolto nel remoto passato. Ignoto.
Uno spirito in meno nel gioco della quadriglia: i suoi occhi non si riapriranno.
Corri nel buio, cavaliere del sogno.

Cammina nell'ombra, Finnegan.
Arthur Finnegan, il piccolo messaggero della distruzione. Io, sempre io.
In piedi entro la soglia dell'Asgradel, muto: il tempo non esiste. Non c'è spazio nell'ombra della torre, non c'è vita. Cammina piano nell'ombra, Finnegan. Fai silenzio.
Sorpassa i pezzetti dei ricordi passati, o frammenti di futuro.
Dopo tanto vagare nella luce si arriva al punto in cui si inizia a cercare. Il punto in cui ci si ricorda, eventualmente, ciò che è perduto. La strada da prendere, i sentieri che mai verranno battuti, i volti e le voci e ogni forma altra e rimembrata suo malgrado in un tempo in rotazione, nulla– tutto quanto ha allora una corretta collocazione.
Arthur smise di chiedersi perché. Smise di cercare, tra quei pezzetti di storia, quale fosse il giusto posto da occupare nella progressione. Smise di danzare nell'ombra e prese a camminare dritto, alla cieca.

Un bagliore lontano, rumore di passi. Un piccolo trapezio bianco aprì una breccia nel nero vuoto interstellare. Freddo.
Freddo il mondo, il cielo, la via. Gelide sono le mani di questi piccoli dei, tanto divertenti nei loro giochi. Ancora tiepidi, d'altro canto, gli occhi della bestia.
Arthur cammina dritto verso la luce proiettata dalla porticina aperta. Arthur arriva al punto, dopo tanto vagare nel buio più nero dei confini del mondo, in cui smette di cercare una parte da interpretare.

Arturo è facilmente individuabile a causa della sua grande luminosità e del suo caratteristico colore arancione, molto vivo; si rintraccia prolungando la curvatura indicata dal timone del Grande Carro verso sud. Nell'astronomia Hindu corrisponde alla tredicesima Nakshatra (suddivisione del cielo), chiamata Svātī, che significa o il grande camminatore, in riferimento forse alla sua lontananza dallo zodiaco, o la perla, la gemma, il grano di corallo, in riferimento probabilmente alla sua luminosità.

Defunti sono gli eoni di Kronos, nello spirito dell'illuminato.
Buia la strada da percorrere, come il nero fondo del cielo. Arthur è una forza dell'universo.
Io sono cieco e sordo, adesso, ai capricci del fato. Io –
Io sono vivo, adesso, a dispetto degli dei e del destino. Io mi ergo fiero contro il vento del mondo come un'ultima piccola nave dalle vele rosse che affronta la più grande delle tempeste, la più terribile delle fiere.
Io sono il vento ed il fuoco nelle fronde del tempo, immorale, immortale.

Io sono il grande camminatore, ancora una volta, per la cute della terra. Aratro del mondo, maldestro messia. Io sono la più luminosa delle stelle, Arturo, terribile, crepitante.
Guarda ora le mie mani, marionetta dei demoni sovrani: non sono ancora aperte e salde come artigli? Non i miei capelli già diritti come sul capo d'un leone di montagna? Non altrettanto determinato, non altrettanto forte ti sembro? Ascolta la mia voce e guarda bene i miei occhi, rosso vivo, adesso, come la stella di cui porto il nome. Questo, questo è il mio pianto di gioia. Oh, sagoma nera nella luce di Velta, non ti sembro io più basso, scuro e terribile di quegli dei che servi? Non forse più reale?
Viva e ribollente la nebbia attorno al mio corpo ferito, ancora umano, turbina e tuona come una nuvola di tempesta. Io sono il fato.
Suonano grevi come sulla pelle di un timpano i miei piedi, mentre cammino verso di te. Non ti sembro forse abbastanza cieco, abbastanza sordo?
Oh, lo sono. Io, Io sono l'ultimo grido degli uomini, che uomo non sono più. Io sono una legge fisica, una funzione ancora non studiata. Osserva il mio passato, tu che dei miei ricordi hai adesso il volto. Guarda le mie orme, il mio mantello scarlatto.
Avverti la mia corsa, adesso, ed il bagliore della mia spada. Senti il gelo del tempo che scorre nelle tue arterie putrescenti, oh dolce fantasma del mio amore perduto.
Sideris – ti chiamavi Sideris, giusto?
Dolci occhi d'oricalco azzurro, splendenti tesori perduti nella foschia rossa d'una nuvola di sangue disciolto in mare, e di un altro frammento di una storia diversa.
« Mi senti, donna? » Esordì il guerriero. « Riesci a vedermi? »
Ogni cosa è perduta, come la corrente del fiume che scende a valle.
« Io sono qui! » Arthur sta correndo verso la porta. « Io! » Accelera.
« Sono io il tuo giocattolo, oggi! » Il punto in cui si smette di cercare.
Non ci serve un posto nell'universo, nessuna locazione idealmente corretta.

« MUORI »

Cinque sagome nere contro la luce di quel trapezio ora vicino, quel foro sul mondo, danzano ora nel gioco della quadriglia. Infinite sono le figure del ballo, le possibili variabili.
Impara i passi, studia la funzione. Corri, salta, uccidi.
Nulla più che una forza dell'universo, Arthur. Nulla di più.
Solo una spada che balena nella penombra, eventualmente una testa che rotola.
Riesci a vederla?


-





SPOILER (click to view)
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Arthur Finnegan

CITAZIONE

ReC: 250
AeV: 225
PeRf: 375
PeRm:175
CaeM: 250
Energia: 65%
Stato psicologico: Danno mentale di livello alto.
Condizioni fisiche: Danni residui e di lievissima entità alla spalla sinistra.

Passive sfruttate:


CITAZIONE
Passiva di dominio - II
Non solo forza, ma anche estrema Resistenza. I portatori di questo Dominio, man mano che il loro potere crescerà, riusciranno a scoprirne nuove ed esaltanti caratteristiche. La seconda in ordine crescente sarà appunto un notevole incremento della Resistenza Fisica, intesa come irrobustimento del corpo del portatore. In particolare, a prescindere dalla Razza, il possessore del Dominio a questo livello possiederà una pelle molto più coriacea del normale, più difficile da scalfire. Inoltre sanguinerà leggermente meno, in quanto sarà più difficile scatenare emorragie nel suo corpo, ed infine potrà avvalersi di un'ossatura pressoché indistruttibile, poiché sarà estremamente remota la possibilità che le sue ossa si fratturino.

CITAZIONE
Passiva di dominio - I
La forza dei portatori di questo Dominio è, come già accennato, estremamente elevata. Non solo in termini numerici, sia chiaro. Essi sono proprio forti a prescindere da qualsiasi standard, tant'è che, a questo livello del Dominio, gli sarà possibile sollevare pesi molto elevati. Un esempio? Spade bastarde a due mani, mazze chiodate enormi, alabarde di grosse dimensioni...tutte queste armi saranno impugnate senza problemi dal possessore del Dominio, che le maneggerà come fossero spade normali, o fioretti leggeri.

CITAZIONE
Anello del potere maggiore
Risparmio del 3% su ogni tech castata.



Attive impiegate:


CITAZIONE
Arma Sacra (x2) - incastonata in Daydream, compagno animale. - Secondo turno - 2/3 usi perCombat. Per le specifiche vedere anche il post precedente.
La nebbia fantasma continua a fluttuarmi attorno, agendo da cuscinetto tra me e il nemico.

CITAZIONE
Urlo di Guerra - Pergamena a costo basso, già descritta precedentemente. La uso urlando 'MUORI'.

CITAZIONE
Dreambreaker - Personale variabile, potenza media.
___Finnegan, con un rapido e potentissimo scatto delle gambe, compie un movimento a incredibile velocità in direzione del suo avversario, raggiungendolo sempre ed indipendentemente da dove si trovi (salvo eventuali abilità difensive) e colpendolo con un'arma o in tackle.
___Il colpo non richiede particolari tempi di concentrazione e la sua potenza e velocità sono proporzionali alla quantità di energia che si decide di impiegare, risultando ad esempio completamente istantaneo e praticamente inindividuabile se attuato con un consumo immenso di energie. L'efficacia della tecnica non varia a seconda della distanza a cui si trova il nemico, e può essere attuata sia a distanza ravvicinata che a diversi metri dall'avversario, a patto che si trovi nel campo visivo di Finnegan.
___Le modalità d'impatto saranno determinate di volta in volta, ma è estremamente improbabile che il guerriero riesca ad interrompere lo scatto in modo brusco, ogni colpo portato con questa tecnica porterà quindi Finnegan ad investire fisicamente l'avversario o semplicemente a sorpassarlo, fermandosi solo dopo alle sue spalle. La potenza e la velocità del colpo saranno corrispondenti al consumo energetico e la sua efficacia dipendente dalla PeRf del cavaliere.
___Volendo, Dreambreaker può essere utilizzata come tecnica evasiva o semplicemente per compiere uno spostamento più rapido del normale, ma con l'impossibilità di arrestare bruscamente lo scatto.

In questo caso particolare è usata in combinazione con l'attacco fisico portato con la spada.



Riassunto & Note:



Dunque: amalgamando il tutto con il mio proto-flusso narrativo ho catapultato Finn nel luogo buio dove ci troviamo. A proposito: dove ci troviamo? Vabbè, andiamo avanti...
In un flash vedo Shivian nel letto, senza particolari rimorsi, e continuo a descrivere la frammentaria e sfaccettata visione del mondo di quel tossico di Arthur mentre vede la porta che si apre in lontananza e inizia a camminarci incontro.
Monologo interiore, accelero il passo, esterno a voce l'ultima parte del monologo e lancio l'urlo di guerra con l'ultima parola mentre scatto in dreambreaker contro la dottoressa, cercando anche di approfittare del fatto che il nemico sta guardando Zaide.
Il mio nebuloso compagno animale, che ancora mi fluttua attorno carico di energia, ha ancora una carica di potenza alta residua dallo scorso turno, e va a colpire il nemico appena prima della mia spada e del mio corpo.
L'altro attacco è un dreambreaker (assalto potenza media basata su perf, tipo carica) che va ad accompagnare il fendente che porto con la spada con l'intenzione di decapitare la bestia, che nel frattempo vedo in volto, subendo la psionica, vedendola appunto con le fattezze dell'amata/odiata Sideris.
L'ordine dei miei attacchi, portati in una manciata di secondi, è:
-Urlo di guerra
-Nebbia magica potenza alta
-Dreambreaker potenza media con fendente.

Il dreambreaker ha una traiettoria diagonale rispetto alla porta, quindi se il colpo va a segno dovrei riuscire a spostare il mostro dalla soglia, per la gioia di tutti i partecipanti.
Vai, Foxey!

 
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Foxy's dream
view post Posted on 17/5/2011, 19:34






Una corsa contro il tempo, una fuga dal destino, la ricerca affannosa della libertà negata, la stessa libertà che avevano inconsciamente ripudiato nell’esatto momento in cui avevano deciso di addentrarsi in quel gioco malato e perverso.
Correva.
Il respiro corto, affannoso.
Nulla esisteva intorno alla regina, nulla ai suoi occhi e nulla ai suoi orecchi. Né gemiti o urla, né clangori d’arme o imprecazioni. Aveva eretto un muro attorno al proprio cuore, negatosi il desiderio di aiutare coloro i quali adesso poteva chiamare compagni. Una parola dolce e ingenua allo stesso tempo, carezzevole, dal sapore mai saggiato prima, eppure mai come in quel momento ne aveva assaporato così caldamente il gusto, il piacere del non essere soli.
Un laconico sorriso le si abbozzò in volto, la beffa del tempo, dell’essere semplicemente umani, il ricordo perduto e adesso ritrovato. Chiuse gli occhi precipitandosi a capo chino nell’oscurità di Velta, nel suo mefitico ventre in cui ogni raggio di luce, ogni speranza, ogni forma di aspettativa cedeva brutalmente il passo alla disperazione, allo sminuirsi a semplice astante, alla vivida illusione d’impotenza.


Buio.
Non vedeva, solo lo squillante farneticare dell’enigmatica donna dal camice bianco: ancora lei. E poi un istante, abbandonò il mondo così come lo conosceva. Vista, udito, olfatto, gusto, tatto. Rinunciò a quel mondo per accoglierlo sotto una nuova percezione più astratta e siderea, una dimensione fatta di sensazioni e suggestioni, di versi sibillini e di mugolii indistinti, qualcosa che trascendeva la logica per radicarsi nell’istinto più puro e genuino, nell’essenza abnegante dell’Io per divenire parte di un tutt’uno inscindibile.
Sospirò piano, confortata.
Erano lì, vicini a lei - non molto distanti. Shakan, Arthur.
Schiuse le palpebre lentamente, cercando di intravedere fra gli strascichi d’ombre qualcosa che potesse confortarla, qualcosa che le suggerisse di star inoltrandosi nella giusta direzione, di star adoperandosi nell’equo e nel legittimo.
Voltò il capo a destra e a manca, rapidamente. L’oscurità pareva abbracciarla, confonderla con i suoi atoni riflessi se non per un puntino lontano, luminoso e quasi abbagliante. Più eloquente di mille parole, più espressiva di un’indicazione: quella porta era la via da percorrere, la seconda tappa del calvario intrapreso.

Forza
« Avanti. »


Un sussurro appena. Incitamento a sé stessa.
Prese a camminare, silenziosa.
Ritmico il tintinnare metallico di armi e armatura, metronomo argentino di una melodia tutta sua, orchestrata dalla pura e semplice volontà. I bassi del suo cuore parevano echeggiare fra pareti invisibili, nella selva di mille occhi che la puntavano guardinghi, fermi e immobili.
Tra le fronde e le nebbie, tra i capitelli e le colonne, aberranti creature si nascondevano fameliche e predatorie, ma verosimilmente salde e statuarie, congelate in attesa di un ordine, di un motivo qualsiasi per dare sfogo all’impulsività primordiale, ancestrale motore della vita.
Un passo dopo l’altro.
Poteva vederne i lineamenti controluce, l’arcuarsi di zanne e artigli, di viscidi tentacoli e l’incresparsi di folte criniere, il tutto in tonalità chiaroscuro a rendere ancor più tetro e lugubre un retroterra irto di pericoli e sorprese, d’illusioni e ingannevoli realtà.

" Come il negativo di una diapositiva, ella brilla della medesima luce, ma opposta.
E se le chiedessi di risplendere un poco di più, un solo misero scintillio ancora, ella non potrebbe far altro che volgere lo sguardo al Vero sole e da esso rubare il chiarore, la bellezza. E tramutarla in oscurità. Poiché ciò che è Falso non potrà mai originare dal nulla, creare dal niente. Potrà copiare. Potrà emulare."


" E Corrompere "


Con superficiale attenzione non poté che stare ancora in ascolto della guida dalla lingua di serpe, pungente e tagliente, ogni sua parola era un’arma, ogni frase era un fendente pronto a ledere e sfiancare gli animi sotto il tossico sussurro dell’inerzia.

Cosa stava facendo?
Perché lo stava facendo?


Non aveva risposte certe, e questa condizione infieriva sul suo animo tormentato spossandolo ancor più. Era lì per un sogno, un orizzonte, un obiettivo condiviso da tutti - forse. Ma era anche il suo obiettivo o si trattava dell’ennesimo espediente con il quale ingannava inconsciamente sé stessa? L’incertezza, il dubbio si introdusse in lei, e vorace intarlò ogni sicurezza.
Sollevò il capo puntando lo sguardo in quello della dama: che stesse proferendo il vero? Erano davvero tutti inutili i loro sforzi? E il sangue versato - e il sudore gettato? Possibile che le loro limitazioni riflettessero esattamente le loro possibilità?
Improvvisamente però, avanti a sé, non ebbe più quella donna bionda e dai tratti delicati, ma un uomo dall’ispida barba e dai tratti maturi, tuttavia ancora forte e vigoroso. Era chiaro leggerlo nelle iridi, monito per molti, rimprovero ancor prima delle parole. Quello sguardo, sì! Lo ricordava ancora bene - troppo bene. Forse l’unico uomo di cui aveva mai avuto timore, l’unico che non avrebbe mai osato contraddire - e per questo lo odiava. Lo odiava così come odiava sé stessa, così fragile e volubile, eppure forte e inarrestabile agli occhi del prossimo, una maschera velante una donna come tante, né cavaliere o principessa o ancor più regina. Semplicemente lei, semplicemente Alexandra.

« P-padre.
Io… »


Non riusciva ad articolare alcun suono riconducibile a locuzioni di senso compiuto, troppo confusa e troppo debole per farlo, preda ancora una volta del rapporto di amore e odio con quell’uomo.
Senza un motivo valido una lacrima le colò lungo la gote, e poi il ricordo di una donna affacciata al letto di morte del padre, impassibile, fredda, ambiziosa. In quella memoria, in sogno, lei aveva veduto tutto dall’onnisciente posizione di un’entità dal volto ignoto, un distaccato scambio di sguardi, non padre e figlia ma men che conoscenti, due perfetti estranei che nulla avevano compreso l’uno dell’altro. E poi fu lei ad osservare, rientrata nel suo corpo vide il proprio riflesso nelle orbite vitree del fu re, e su quella triste linea orizzontale, nel genuflettersi della memoria, un qualcosa di sbagliato, di inesatto. Per un istante, un solo e fuggevole istante, le parve di vedere lo stesso uomo sul quale Shakan s’era scagliato prima, sofferente, in bilico fra la vita e la morte - nello stesso letto, nella medesima occasione.
Abbassò il capo non riuscendo più a sopportare la colpa per non essere mai stata figlia, la colpa per non aver mai neppure tentato d’esserlo. Una colpa condivisa da entrambi, una colpa della quale solo lei ne subiva il peso, adesso. Chissà se in punto di morte si fosse pentito anche lui di quella scelta? Chissà se in vita l’aveva mai considerata figlia e non proprietà?

« MUORI »


D o n g


Il rintocco di campane della basilica di St’Héloise, la fine della cerimonia, la fine del sogno. Una fiammella si spense e allo stesso tempo un rogo prese vita. La pretenziosa irruenza di Finnegan la salvò ancora una volta dal baratro dell’indolenza ricordandole i propositi che l’animarono nel momento stesso in cui fu incoronata, nella stessa chiesa dove un’epoca ebbe fine. Il cerchio non si era ancora chiuso, la vita procedeva avanti incalzante.
Un’opportunità. Arthur adesso le offriva l’opportunità di andare avanti sulla strada che aveva scelto, sì! E come una stella risplendette di luce propria, anche se per un solo istante si liberò delle ombre che la stavano soffocando, e slanciandosi in avanti corse verso quella porta, verso la via d’uscita dall’incubo nel quale annaspava, partecipe d'un tacito gioco di squadra.

« …mi dispiace.
Ma è troppo tardi. »





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CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 83% - 6% - 2% - 5% = 70%
Status psicologico: Provata e frustrata ma pronta alla prova successiva [Alto]
Condizioni fisiche: Illesa

______________________ _ _

Abilità attive:

• Little Mind ~
Una tecnica utile contro gli avversari più subdoli. Grazie ad essa, Alexandra, potrà liberarsi da qualsiasi effetto negativo che affligge la propria mente, che si tratti di illusioni, confusioni, maledizioni o semplicemente influenze psicologiche purché di livello Medio o inferiore. Questa tecnica basa la propria potenza sulla ReC. [Pergamena del Paladino: Rivelazione]

• Shiny ~
Spendendo un quantitativo di energie pari a Basso, Alexandra potrà lanciare un flash abbagliante da qualsiasi punto dal suo corpo, o dal corpo stesso, che accecherà e stordirà l'avversario per qualche secondo. Il flash costringerà i demoni a tornare in forma umana, e gli arrecherà grandi danni se trovatisi a fronteggiarlo in forma demoniaca e, inoltre, non arrecherà alcun tipo di impedimento all'agente, che potrà utilizzarlo come utilissima mossa elusiva prima di un attacco. Il flash non avrà alcun tipo di effetto contro gli angeli. [Pergamena del Paladino: Flash abbagliante]
____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

_______________________________________________________ _ _

Note:

*pfiu* Che fatica.
Bene! Il post qui presente rivela una serie di cambiamenti in Alexandra a cui neanch'io ero preparata, ma la lunga serie d'eventi inattesi e complici le psioniche scagliatele, non posso far altro che accettare di buon grado questa evoluzione. Anzi, stà diventando molto interessante.
By the way: riprendo il post da dove avevo lasciato Ale, ovvero dalla fuga dallo spazio antistante alla torre di Velta per fiondarsi di gran carriera all'interno della torre stessa.
Visto che è tutto buio, Ale percepisce per sommi capi quel che le è attorno grazie al Bracciale dell'Auspex, naturalmente nulla di eccessivamente preciso.
A questo punto nota la porta schiusasi a causa della luce, e lentamente si avvia facendo estrema attenzione a quel che le è attorno, suggestionata e vagamente intimorita un po' da tutto.
Ascoltando le parole della dottoressa non può che "accusare il colpo" a causa dell'indole altalenante, e dopo alcune domande sospese nel vuoto viene colpita dalla psionica della dottoressa che fa sì che si tramuti in suo padre.
In quel rapporto d'amore e odio scopre colpe volutamente dimenticate, scoprendosi a sua volta debole e immatura, quasi fuoriluogo. E ripensando al letto di morte del padre (il primo capitolo del background nella scheda pg di Ale ne parla ampiamente) ha un accavallamento di visioni con Shivian morente (ho scelto questo ripiego per non staccare troppo le due cose, così le ho mescolate insieme - spero di non aver fatto alcun danno).
Logisticamente parlando, a questo punto, Finnegan esordisce con l'urlo di guerra che nella mente di Ale è comparato al Dong delle campane di St’Héloise in occasione del funerale del padre, e sul suonare delle campane utilizza "Rivelazione" per difendersi dall'urlo di guerra e riprendersi, recuperando la razionalità che la contraddistingue quando in condizioni normali.
Infine ripensa al giuramento fatto quando incoronata e alle promesse fatte, e si libera delle ombre che la soffocano con un "Flash abbagliante" che mi è doppiamente utile per sottolineare l'espressività del momento e per aprirmi un ulteriore varco verso la porta luminosa, cercando di unire l'utilità alla funzionalità.

Bhé, spero che il post sia piaciuto, e spero abbiate gradito questa nuova direzione di Alexandra... decisamente più umana del solito.
Buon lavoro a tutti. ^^

 
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view post Posted on 18/5/2011, 11:19
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Capitolo n. 4 - Baratro del silenzio.




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...

Passi nel buio.
Le luci si erano spente, come velate da una sottile patina di nebbia. Non c'era alcun alone di luce. Oscurità, e null'altro.
Il Dannato tentennò. Si fermò un poco sui suoi passi, ma senza tentare di prendere la spada in mano; non aveva paura. E neppure avrebbe potuto sentirla. Il buio era il suo Destino. Il suo passato.
Il suo presente. La sua
E T E R N I T A '
Il sorriso, prima increspatosi, riprese a tendere privo di allegria la pelle, o ciò che, un tempo, era stata tale. Il tatuaggio, invisibile nel buio, si modellava nella sua espressione. Il petto si gonfiava, brevi respiri nell'aria malata, fatta di polvere,
e di Morte.

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-

Stava bene, nel buio.

Le sue gambe ripresero a muoversi, piano, in un'unica direzione. Avanti a sé, sullo stesso terreno solcato qualche secondo prima dalla ragazza, dalla seguace di Eitinel, dal membro del Consiglio del proprio Clan. Di colei che, proprio come il Guardiano, era a servizio del Male.
Quello del Mastro di Chiavi. I passi di questi che, ancora, rimbombavano vividi nella sua mente, tracce indelebili del passaggio, sentieri da percorrere per le sue membra.
I suoi occhi si stavano abituando all'oscurità. Riusciva a vedere, a scorgere alcune figure, le stesse che aveva seguito, e da cui era stato seguito, poco dopo ...

Finché si aprì una porta.
La luce era lontana, era debole, era solo un triangolo nel buio... Ma egli non la volle vedere. Predatore nel buio, i suoi occhi non avevano bisogno di quella luce, non avevano bisogno di vedere. Il suo corpo, quella luce, la rigettava.
Non voleva che i suoi occhi fossero
a c c e c a t i
dalla pur flebile luce.
No -
- volle il buio. Lui ... era il buio. Era l'oblio dei Sogni una volta aperti gli occhi.
Era il destino agli occhi dell'uomo comune.


qualcosa
di
indefinito
diverso
solamente un v o l t o s b i a d i t o



Volle chiudersi, volle respingere la luce. Non doveva farla entrare in sé, non poteva lasciare che interrompesse ciò che la sua mente creava continuamente. La doveva lasciare fuori, doveva essere tutto o s c u r o, nessuna traccia di Bianco, nessuna traccia -
Ti prego, non farmi questo, Eitinel.
- Chiuse gli occhi.
La luce si spense, nuovamente. Il suo respiro diminuì di velocità, dal momento in cui le tenebre l'avevano di nuovo avvolto. Era tornato nel suo Sogno.
Suo, e di nessun altro.
E le immagini iniziarono a materializzarsi nella sua mente, tingendosi di un colore azzurrino, colore che aleggiava intorno alle nere figure che popolavano il luogo. Ed erano molteplici, e immobili, e vicine a loro.
Troppe figure ignote, troppo vicine, ma lui ne voleva solo una, le altre non erano di alcun interesse. La ragazza, e nessun altro. Ed era finalmente a pochi passi da lui, pochi, buoni per poter compiere la sua missione ... - un'ondata di luce destabilizzò la postura del Guardiano, le sue pupille si restrinsero in un movimento involontario come accecate dalla luce solare, sebbene fossero ancora celate dalle palpebre, il suo corpo subì quasi una spinta in avanti, verso qualcosa che, prima, non c'era.
Non era possibile.
Il suo cuore prese a battere rapido, senza sosta. Si trovava in una stanza d'ospedale,
completamente, troppo b i a n c a
priva di arredo, qualche macchinario immobile e, sul letto, privo di sensi, c'era l'essere simile a lui. L'uomo con cui aveva parlato prima che i rintocchi iniziarono a far crollare Velta. L'unico che avrebbe potuto dare una risposta ai suoi interrogativi, l'unico che poteva capirlo ... Era morto. Lo sapeva, vedeva il corpo immobile, e poteva essere solamente addormentato, nulla più, ma - lo sapeva, sapeva che la figura davanti a lui, era deceduta. Con un tremolio la scena si sciolse, ghiaccio all'aria, e tornò buio. Durò tutto poco meno di un istante, ma fu abbastanza.
Il suo respiro rimase affannato, rapido. Le sue mani tremavano. La sua schiena fu percorsa da un brivido.
Le auree azzurrine, si muovevano intorno a lui.

Non poteva sopportare oltre.
Eitinel aveva lasciato uccidere -
(aveva ucciso)
l'unico che poteva aiutarlo a comprendere ciò che era diventato. La sua padrona lo stava punendo per aver pensato cose cattive. Gli stava mostrando che egli apparteneva a lei, a lei soltanto, e nessuno,
N E S S U N O

... poteva aiutarlo.
Era solo.
Cadde sulle ginocchia, prive di forza.
Voleva lasciarsi tormentare
ancora, ancora, ancora
dalla propria mente, lasciare che questa vagasse libera per il suo Sogno, voleva uscire da quella Torre per non ritornarci mai più, ma non lo fece. Era inutile. Completamente, inutile.
E nello stesso momento in cui si alzò un urlo, rimbombando nelle pareti della sala, nello stesso momento in cui un'ombra azzurra si muoveva rapidamente verso un'altra ombra azzurra, il Dannato rise. La sua
folle
risata si mescolò all'eco del suono, anche se, forse, sarebbe stata comunque troppo debole per poter essere udita.
Espirando tutto il fiato che aveva in corpo, assumendo meno ossigeno di quanto ne aveva espulso e tendendo le labbra in un sorriso quasi innocente
(era solamente privo di speranza privo di ogni barlume di luce caduto nell'Oblio)
avrebbero iniziato a scorrergli delle lacrime, calde lacrime sulle sue gote, se solo avesse posseduto ancora una breve, piccola traccia di umanità, nel suo corpo. Ma non c'era. L'umanità, l'aveva perduta.

E Alexandra ... stava fuggendo. Stava andando in direzione della luce, verso la luce che il Dannato rifiutava e non voleva seguire, verso il punto da cui, se la ragazza vi fosse arrivata, non avrebbe più potuto portare a termine la sua missione.

Via dal Guardiano. Via dalla sua volontà di punire se stesso tramite un altro corpo. Un altro corpo caro ad Eitinel.

Ancora una volta, egli non l'avrebbe permesso.
Eitinel... Anche Alexandra, era lì per lo stesso motivo del Guardiano. Salvare la Dea. Una Dea che li avrebbe uccisi tutti, senza pietà, per gioco, probabilmente. Sì, questa era la Dea che servivano. E terribile la sorte in cui, consapevolmente, aveva messo l'ormai eterno Guardiano. Rimettendolo al Male, incatenandolo al n e r o
Non avrebbe permesso che altri si abbandonassero nelle mani della Dea. Non avrebbe permesso ad altre persone di fidarsi di lei, non dopo quello che gli aveva fatto, non dopo aver capito quello che era in grado di fare ... E uccidendo la ragazza, avrebbe potuto espiare, almeno in parte, la colpa che aveva avuto in passato, accecato dal desiderio. Avrebbe potuto evitare che la Dea facesse ancora del Male.
Sì, anche se per fare questo fosse stato necessario uccidere.
Solo, per evitare qualcosa di peggio.

Aprì leggermente gli occhi, li socchiuse, guardando Alexandra. Mentre la scena si congelava, a poco a poco
(erano i suoi occhi, erano solo loro)
e tutto diveniva rallentato, quasi immobile.
Ma questi ... Non erano più quelli di un uomo. Erano quelli di un mostro, di un essere che non apparteneva a quel Mondo, quel Mondo solcato da così tanti uomini, inconsapevoli della propria Vita, inconsapevoli del proprio Destino. Occhi privi di pupilla sarebbero apparsi alla vista, se solo qualcuno l'avesse potuto notare nel buio intenso della stanza.
Gli occhi di un essere immortale, in una calma eterna. Che si prepara a uccidere.
Una maschera, priva di emozioni.

Gli occhi di qualcuno che era stato condannato,
per l'eternità,
alle

C A T E N E

-

I suoi, veri, occhi.

image

« Non... andare... »

E questo tutto ciò che le sue labbra riuscirono a mormorare.
Un desiderio.
L'unica cosa che la ragazza doveva provare, in quel momento, che la spingeva a rimettersi nelle mani della Dea, per andarla a salvare. Lo stesso desiderio che aveva provato il Dannato, ormai secoli prima, ciò che l'aveva portato in quello stato di transizione perenne.
Un desiderio, tutto ciò che avrebbe dovuto essere sottratto.
Questo egli volle, su questo si concentrò la sua mente, prima che le auree azzurre, baluginio nel buio, tremularono, e il suo corpo fu scosso da un brivido.
Nella stanza buia, dove l'unica luce, invisibile ai celati occhi del Guardiano, si stava spegnendo.

Luce di salvezza, che per questi, si era già spenta,
da tempo.

E che i suoi occhi, chiusi, non avrebbero più rivisto.




image

[ReC 400.][AeV 175.][Perf 125.][Perm 525.][CaeM 200.]

Status Fisico. » Sfasatura parziale dell'avambraccio sinistro, come Malus dello Scrigno. (danno Basso); botta causata da un masso alla parte destra del corpo - praticamente non più sentita.
Status Mentale. » Lucido entrando nella torre, sconvolto in seguito alla visione di Shivian morto.
Energia Residua. » 66%

Attive utilizzate nel turno. »
o l t r e l e e m o z i o n i
Il Vuoto è il padrone dell'Infinito, ed il Vuoto ha, insieme alla sua mortalità, portato via emozioni e Sogni al Guardiano. Privatolo di questa gioia, di questo desiderio, è come un fantasma nel Mondo, in perenne bilico. Ma possiede ancora un corpo, anche se quasi etereo, e, come si sa, non si può dire né che sia vivo, né che sia morto. In tal senso, può possedere tratti caratteristici di entrambe le parti, per quanto riguarda la Mente: come la Morte richiede l'Oblio e il Vuoto, così la Vita richiede Sogni, Speranze e Gioie. Da cosa potrebbero nascere queste ultime se non da altri esseri, vivi, sicuramente più di lui?
Ciò che gli rimane da fare non è altro che rubare queste cose. Un ladro di sogni, di emozioni, che lascerà nelle vittime un senso di vuoto, tanto maggiore quanto sarà l'intensità dell'emozione rubata, sia che si tratti dell'emozione del presente o del passato, di un ricordo, che a sua volta sarà tanto maggiore quanto il Guardiano la necessita. Ma ciò non può durare. E' un appagamento effimero, poiché l'emozione non è propria del mezz'elfo, e destinata a svanire anche in lui, che ne avrà solamente un sentore, anche se vivido per qualche istante, non di più.
E l'effetto maggiore che si verificherà sarà più che altro l'assenza di essa rubato nella vittima, che, come già affermato, sentirà un pericoloso senso di vuoto, che potrebbe portarlo addirittura alla pazzia ed alla Morte. Poiché le emozioni, infatti, sono la sola cosa che rende davvero vivi.
Non sarà tuttavia una cosa permanente. Le emozioni rubate non rimarranno nel mezz'elfo, ma andranno a sistemarsi un'altra dimensione, aleggeranno sempre intorno alla vittima anche se non saranno mai davvero parte di lui, cosicché egli ne avrà solo un sentore, fino alla prima luna piena, quando esse torneranno ai loro legittimi proprietari, in tutto e per tutto, se questi avranno avuto la pazienza -e la forza- di aspettarli, dando loro, in tal senso, un maggiore appagamento.
In termini di gioco equivale ad un'abilità psionica offensiva a consumo Variabile, che andrà affrontata come di conseguenza e sortirà un senso di vuoto nella vittima.
Usata a consumo Medio.


Attive dai turni precedenti. »
Passive in uso. » Immune al colpi fisici in stato di calma, chiaroscuri che gli percorrono il corpo, vista notturna, percezione Auspex, influenza psionica passiva, difesa psionica passiva (anche da dolore fisico), le difese psioniche contano un livello superiore in stato di calma (annullando il malus del Ba Xian), può cambiare aspetto e nascondere le ferite.

Consumo energia tecniche. » [Trentasette.][Diciassette.][Sette.][Due.]
Note. » Il mio pg, pervaso dal pseudo-odio che prova verso Eitinel non riesce a distinguere chi è che deve essere salvata e chi è l'autrice di ciò che sta accadendo. Entrambe si identificano nella sua mente con Eitinel, e tutto ciò che avviene è colpa sua, sua soltanto. La visione della morte di Shivian alimenta il suo pseudo-sentimento, e, sebbene legato ad Eitinel perché identificazione della Dea, trova la goccia che fa traboccare il vaso con l'uccisione di Shivian. Alexandra non c'entra nulla, ed Hocrag lo sa; ma come spiegato in precedenza, è, in quanto Mastro di Chiavi, il capro espiatorio con cui i pseudo-sentimenti di Hocrag possono essere placati. Sia lo pseudo-odio contro se stesso che contro Eitinel, entrambi colpevoli. Non potendo punire né l'uno -essendo confinato tra la Vita e la Morte, privo di qualunque via d'uscita- né l'altra -poiché le appartiene-, sceglie l'unica soluzione possibile (che non è nemmeno una soluzione vera e propria) che è uccidere Alexandra, colpevole di servire una Dea malvagia. Proprio come Hocrag stesso.
Specifico che non mi ha causato nessun turbamento l'Urlo di Guerra usato da Kac per la mia passiva di immunità alle influenze psicologiche passive, e l'urlo è sovrastato (solo nella mente del pg) dalla sua risata. Ancora una volta, perdo 5% di energie per cause sconosciute. Tengo gli occhi chiusi, com'è spiegato nel post, per praticamente tutto il tempo, per poter stare nel buio della mente - ma osservando la scena tramite la percezione delle auree. Non mi interesso di altri, se non della pluri-sopracitata Alexandra; nel seguirla con gli occhi, il mio viso si modifica leggermente grazie alla passiva dello Scrigno, perdendo la pupilla, come nell'immagine finale, e assumendo qualche carattere di una maschera, priva di espressione, immobile - come una maschera, appunto. E cosa meglio di questa rappresenta l'esteriorità di Hocrag in un Mondo che non gli appartiene? Alla fine della scena, pronunciando quelle parole, lancio un ultimo attacco ad Alexandra, per tentare di rubarle il desiderio di oltrepassare la porta e salvare Eitinel, anche se solo di consumo Medio perché sono alquanto sconvolto. Risulterà molto poco strategico, ai fini dell'obiettivo globale della quest, ma Hocrag non poteva fare altrimenti. :8): Inutile spiegare l'analogia delle ultime frasi riguardo alla condizione della stanza con la condizione di Hocrag.
Musiche di Nox Arcana.


 
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view post Posted on 19/5/2011, 18:32

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La bambina si stiracchiò, esausta. Le braccia addormentate le sembravano due bastoni attaccati in qualche modo alle spalle, percorse dal fastidioso formicolio insistente che preannunciava il risveglio del resto del corpo. Avrebbe preferito che non accadesse. Ogni centimetro di pelle le doleva come se un elefante le avesse camminato addosso tutta la notte.
Esitante, la bambina aprì gli occhi in quell’oscurità densa come la pece, trattenendo il respiro per cogliere ogni minimo rumore provenisse dall’esterno: era giorno, ovattati e lontani alle sue orecchie giungevano i suoni della vita quotidiana che riprendeva il suo corso, grida di donne che si mescolavano al canto spensierato delle allodole.
Zaide lasciò che il buio continuasse ad avvolgerla nel suo caldo e vellutato abbraccio, desiderando che quella solitudine durasse in eterno: ma là fuori il passo pesante, conosciuto e temuto, si avvicinava inesorabilmente. Tonfi che le si conficcavano nel cuore come insopportabili premonizioni di ciò che sarebbe accaduto. Si ritrasse sgomenta contro la parete di legno della sua cella come un animale in gabbia, in attesa spasmodica dell’inevitabile.


Zaide gridò insieme al mondo che le crollava inesorabilmente intorno, collassando su se stesso senza lasciare scampo. Velta urlava il suo agghiacciante canto di morte attorno a loro, in un’agonia che minacciava di inghiottire qualunque cosa si trovasse nel suo raggio: le porte della Torre sembravano in procinto di disintegrarsi, sprofondando nella liscia pietra bianca che un tempo aveva costituito la regale scalinata di cui narravano leggende di tempi immemori.

Ora che quella leggenda si era rivelata reale, non aveva più senso di esistere: come quelle persone che loro malgrado si erano accostate al profondo segreto della sua taciuta esistenza.
Zaide, Shivian, Hocrag e i tre sconosciuti giunti ignari al loro f u n e r a l e .
Per un istante Zaide si aggrappò disperata ai resti dei magnifici bassorilievi che ornavano il battente ormai distrutto, in attesa del colpo che l’avrebbe annientata insieme al resto della torre; ma all’improvviso qualcosa la strappò dalla realtà, scaraventandola nel buio cieco di un nulla improvviso e stranamente familiare.
Se era la sua tomba, era accogliente e calda.
Zaide non aveva paura.
Il silenzio improvviso la confortava, l’oscurità totale era una morbida coperta dentro cui sprofondare con le proprie angosce, un ventre materno caldo e rassicurante in cui annullare la propria coscienza e svanire dalla realtà.
Aveva forse già vissuto quell’esperienza, in un tempo così lontano da essere rimosso dai ricordi ma che viveva, nascosto, nelle sensazioni che il corpo aveva impresso a fondo nella carne, nella pelle. Zaide trattenne il respiro, immobile, in quell’oscurità avvolgente e assoluta. Un attimo prima l’inferno si scatenava attorno a lei in un vortice dettato dal caos che la stordiva; quale ignota mano l’aveva strappata dalla distruzione e trascinata nella quiete di quella tomba?
Si azzardò a muovere alcuni passi in quel Nulla ovattato e deserto, ma c’era qualcosa che le impediva di vedere. Il silenzio era assoluto ma nella sua mente la giovane avvertiva distintamente una sorta di richiamo, un’arcana melodia senza più note né significato che vibrava dentro di lei come un canto di sirene. E poi si accorse di lui.

Lui.



Non ebbe che un istante di esitazione prima di muoversi nella sua direzione, o meglio, di fluttuare in quel buco nero; Shivian era a pochi passi da lei immobile e silente come sempre, ma c’era qualcosa di insolitamente ardente nella sua espressione dura.
Quando i loro occhi si incontrarono, Zaide si mosse come in un sogno: non sentiva il suo corpo, non aveva coscienza di alcun movimento concreto ma volteggiava nel nulla attratta da lui come da un’irresistibile forza magnetica.
Sembrò accadere tutto in un vago istante, immobile ed eterno come il tempo dei sogni. Pallida e fredda, la mano di Shivian si perse nei morbidi capelli rossi della fanciulla, e Zaide smarrì del tutto il contatto con la realtà quando le loro labbra si incontrarono per la prima volta.

Non esisteva nient’altro. Il duello, il crollo, la Torre. Eitinel.

Tutto era svanito in quella tomba nera.

Zaide prolungò quell’insospettato bacio più a lungo possibile, assaporando la fresca morbidezza di quella bocca tanto temuta e bramata al tempo stesso, poi con gesto deciso spinse dolcemente con il suo corpo Shivian verso l’alcova pronta per loro. Il baldacchino nascondeva appena dietro morbidi veli il letto su cui i due amanti si sarebbero incontrati: la ragazza sentiva il sangue pulsarle nelle vene con impeto mai provato prima, e fu con un misto di desiderio e apprensione che condusse Shivian nell’abbraccio di quelle candide coperte.
Lui sfoggiava il suo enigmatico sguardo impenetrabile, mentre i suoi occhi profondi e scuri sembravano trapassarle il viso, facendola arrossire violentemente. Le parve di cogliere un velo opaco in fondo all’iride, ma l’irrazionale impulso che la guidava non le permise di cogliere altri dettagli. Zaide si sentì fremere in modo incontrollabile quando lui le sfilò con mano rapida la veste leggera; si chinò sul suo viso affilato, baciandolo e assaporando estatica l’intensità delle sue carezze sempre più audaci.
Come una fiamma, i suoi capelli erano sparsi sui cuscini bianchi nascondendo i volti dei due amanti: un gemito sfuggì a Zaide mentre le dita di Shivian scorrevano lungo la sua schiena, provocandole un brivido di piacere inarrestabile.

Bip.



La mano di Shivian si fermò.
Zaide attese, impaziente, che l’uomo prendesse nuovamente l’iniziativa, la pelle che quasi bruciava nel punto in cui lui l’aveva toccata.

Bip.



L’immobilità improvvisa la sconcertava: sollevò lo sguardo timidamente, accostando la propria guancia a quella di Shivian: il suo viso indurito dalle mille battaglie era così freddo…la giovane si sollevò, facendo leva sui gomiti, e cercò quegli occhi glaciali che l’avevano irretita tra le sue braccia. Lo sguardo era fisso, penetrante come sempre. Ma non guardava lei.

Bip.



Zaide si ritrasse di scatto, inorridita e spaventata, coprendo il seno nudo con una mano; la voce le sembrava morta in gola, strozzata in un grido che forse non sarebbe mai riuscita ad emettere, urlo d’orrore pietrificato in un silenzio sinistramente innaturale.

– Shivian... – mormorò, allontanandosi dal capezzale senza più fiato.

I veli languidi che ornavano il baldacchino erano svaniti nel nulla, e Shivian giaceva disteso in un anonimo letto asettico, circondato da ignoti macchinari. Lo sguardo vitreo incastonato in un viso che non l’avrebbe mai più guardata.
Le braccia abbandonate lungo i fianchi, spente e immobili come quelle di un fantoccio inanimato.

– No…No! NO!finalmente Zaide riuscì a spezzare quell’insopportabile silenzio con un grido lacerante, mentre lacrime di dolore e paura le riempivano gli occhi. Non era possibile. Shivian non era morto…Shivian era lì accanto a lei solo un istante prima, lei gli aveva salvato la vita e ora lui l’avrebbe raggiunta salendo i gradini a quattro…


Un barlume di lucidità attraversò la mente sconvolta della ragazza. Era tutto così assurdo, a partire da quel luogo senza spazio e senza tempo in cui si era trovata catapultata. Se si trovava all’interno della torre, perché non avvertiva più il fragore del terremoto attorno a lei? Si asciugò gli occhi con un gesto seccato, e a poco a poco riacquistò un po’ di lucidità. Con un sussulto si accorse di essere nuovamente immersa nel buio più fitto, il letto era scomparso e, sfiorando con la mano la seta leggera, si accorse di essere vestita, come se niente fosse accaduto.
Non si era mai mossa da lì.
Shivian non era mai stato altro che un attraente sconosciuto per lei.
La visione che l’aveva turbata a tal punto da farla uscire di senno doveva essere stata un’illusione indotta da quella malia che le avvolgeva l’anima da quando aveva raggiunto la Torre di Velta, Zaide ne era quasi certa ma non poteva impedire a se stessa di sentirsi soffocare dalla costrizione di quel luogo maledetto.

Respirò profondamente, scossa ma determinata a non lasciarsi sopraffare dall’ansia.
Dall’altra parte della stanza, lentamente apparve una sottile lama di luce che andò ad allargarsi sempre più fino a delineare l’inequivocabile contorno di una porta; Zaide non mosse che un paio di passi cauti che si avvide di non essere sola. Guardinghi e probabilmente nel suo stesso stato d’ansia, i compagni che avevano raggiunto la Torre in rovina assieme a lei osservavano la scena, forse incerti sulla prossima mossa.
Due, tre, quattro sagome scure. Zaide aguzzò la vista e riconobbe la giovane con l’armatura, il misterioso Hocrag e il grosso guerriero. Più in là, l’uomo dall’aspetto terrificante.
Volse lo sguardo attorno più e più volte, ma di Shivian non v’era traccia. Scacciò con fastidio l’immagine del suo cadavere impressa indelebilmente nella sua mente e decise di preoccuparsene più tardi.
Una pallida traccia del turbamento di poco prima le attraversò con un leggero brivido la schiena, ma quel pensiero non fece che aumentare la sua immutabile convinzione: lei non aveva bisogno di nessun uomo e nessun uomo avrebbe mai avuto bisogno di lei.
Il suo corpo perfetto, così indegnamente profanato un tempo, non avrebbe mai desiderato il contatto caldo di un abbraccio.
Mai.

Shivian forse era morto, inghiottito dall'inferno.

E Zaide non avrebbe sprecato altro tempo a piangerlo né a commiserare se stessa: ora c’erano altre magagne a cui pensare, a quanto pareva.

Il sonno della ragione genera mostri.
Il sonno della ragione genera mostri.
Mostri
Lia.Eitinel.
Ragione.
Ragione.
Il sonno della ragione genera mostri.Il sonno della ragione genera mostri. Lia.
Vi romperete.
Vi romperete.Mostri.
Illusi.
Il sonno della ragione genera mostri.
Il sonno della ragione genera mostri.


La silhouette che si stagliava nitida nel riquadro della porta sembrava del tutto a suo agio, per niente turbata dall’improvvisa apparizione di cinque sconosciuti in quella specie di cripte, né dalla presenza delle rivoltanti creature che solo ora Zaide notava: sembravano sgorgare dalle pareti come muffa mefitica, crescere dalle sporgenze del suolo come putride escrescenze e si muovevano con repellente lentezza.

Mostri deformi che parevano partoriti dalla mente disturbata di un disegnatore folle, volutamente orridi e inequivocabilmente ostili, anche se non parevano costituire una minaccia incombente.
Uno di essi strisciò accanto a Zaide, sfiorandone le caviglie con la sua pelle viscida e fredda: la ragazza dovette reprimere un brivido di profondo disgusto, resistendo alla tentazione di usare un incanto per allontanarli. Non era il caso di aizzare l’arcana forza che sembrava governarne i movimenti.



Fu allora che lo vide.

La figura che si stagliava immobile controluce nel vano della porta non era, come le era parso inizialmente, una sottile silhouette di donna.
Il cuore iniziò a martellarle in petto prima ancora che il pensiero ne delineasse compiutamente l’identità: il passo pesante che riecheggiava nell’alta volta cupa le si piantava nel cervello come un chiodo, gettandola in un irrazionale stato di panico.

Di fronte a lei stava l’Uomo. L'uomo che, secoli prima, Zaide era stata costretta a riverire come unico padre e padrone prima della sua rocambolesca fuga. Il signore incontrastato di quel luogo dove regnava sovrana la corruzione dello spirito e l’umiliazione costante delle fanciulle che vi vivevano come schiave. L’uomo che un giorno aveva chiuso una bambina innocente in una cella buia ad attendere senza scampo il compimento del proprio destino, l’unico che, se non fosse fuggita, la vita le avrebbe riservato.
Quello di una puttana.
Zaide si ritrasse contro la parete, sgomenta e incredula nel rivivere quell’angosciante ricordo pungente come un incubo mal rimosso materializzatosi davanti a lei, improvvisamente bambina spaurita di fronte al mostro che aveva spezzato senza rimorsi il filo tenue della sua infanzia.
Trascorsero alcuni secondi di puro silenzio nei quali la giovane tentò di riacquistare il proprio sangue freddo: non capiva cosa diamine accadeva in quella cripta, ma di certo intuiva che qualcuno si stava divertendo da pazzi nel farla a pezzi dall’interno.
Indurì il volto in un’espressione determinata e si preparò a fronteggiare l’incubo del suo passato, ma prima che potesse fare un solo passo, un’esplosione alla sua sinistra la stordì.

« MUORI »



Il guerriero era scattato in avanti verso l’uomo, avvolto da un alone argentato che ne rendeva irreali le fattezze; Zaide sbalordita si accorse però che, approfittando dell’attacco a sorpresa del suo compagno, la ragazza dai capelli di luna si stava precipitando verso lo spiraglio aperto alle spalle dell’uomo…Ma era davvero un uomo? Per un istante la giovane credette di scorgere un profilo diverso da quello, orrendamente familiare, che aveva riconosciuto: una sagoma contorta e indefinibile, ma avrebbe potuto anche essere un effetto ottico dovuto alla stanchezza e all’ansia.

Si voltò verso Hocrag, nel tentativo di affiancarsi al suo alleato, ma il suo volto stava lentamente indurendosi in una mostruosa maschera senza espressione mentre osservava la giovane guerriera:

« Non... andare... »



Sembrava che tutti avessero uno scopo. Un’idea. Un piano.

Zaide no.

Si sentì perdutamente sola in quell’oscurità opprimente: c’erano solo lei e il suo eterno infernale carceriere ad aspettarla, ad accoglierla nuovamente nella sua casa. La Casa.

- Mai… - mormorò Zaide più a se stessa che ad altri. Mai avrebbe ceduto nuovamente la sua anima alla perversione di quell’uomo, nemmeno se si fosse trattato del demonio in persona.



image





Zaide

Rec [ 250 ] AeV [ 225 ] PeRf [ 125 ] PeRm [ 450 ] CaeM [ 225 ]

[c. 33%; a. 15%; m. 6%; b. 2%]



Dunque. Anticipo che si tratta di un post puramente introspettivo e che in termini di azione non succede ancora nulla (dunque chi non vuole sorbirsi il polpettone senza i fuochi d'artificio finali può tranquillamente risparmiarselo!).

La pressione psicologica che Zaide sta subendo la porta in uno stato confusionale ai limiti del reale, tanto che fino a quando non si rende conto dell'assurdità dei suoi pensieri, non vede assolutamente nulla nel buio della stanza (pur potendolo fare, potenzialmente): per qualche istante si trova in una dimensione onirica nella quale rivive un trauma infantile, che si concretizzerà più tardi nell'apparizione dell'Uomo (il padrone di Zaide bambina ai tempi della sua infanzia nel bordello che le faceva da casa) - la Dottoressa prende infatti le sue sembianze per Zaide: non certo una persona cara ma ciò che più si avvicinava per lei, nonostante tutto, a un padre, e soprattutto una persona alla quale Zaide era stata profondamente soggiogata psicologicamente.
Nella prima parte, la visione di Shivian morto assume un carattere più articolato perchè, proprio nel momento in cui lei inizia a vederlo come un amico (anche se il sentimento era a senso unico), un alleato presente e imprescindibile, lui sparisce. Le manca la terra sotto i piedi. Si trova ad affrontare una separazione imprevista, quanto imprevista è la sofferenza per questo distacco.
Ecco perchè ho voluto creare questa sorta di "complesso d'Edipo" irrealizzabile nella realtà. E sottolineare il legame che si era instaurato tra i due (da parte unicamente di Zaide, e a livello totalmente inconscio) in confronto alla solitudine in cui si trova scaraventata alla fine del post. Dove si prepara a fronteggiare l'incubo rimosso da anni, l'Uomo, promettendo a se stessa di vendere cara la pelle.


Note: per questo post ho scelto due Haiku di Basho (1644-1694), la cui traduzione è la seguente:

"Ammalandosi, in viaggio,
i sogni vagano, sospesi
in una landa desolata."


e

"Ancora, vorrei vedere
tra i fiori dell'alba, vagare
il volto del dio."



Il titolo significa "Sogni malati".

La musica è Metamorphosis di philip Glass.


Energia:
87%-5 = 82%

Stato fisico:
Illesa

Stato psicologico:
Subisce la malia ancora presente nell'aria a cui si aggiunge un danno Alto per lo sguardo della Dottoressa.

Attive:
-

Passive in uso:
Scurovisione

Equipaggiamento:
Athame del Corvo con Trappola Annullante incastonata
Athame delle Anime
Set di 20 18 pugnali
Linfa vegetale




 
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view post Posted on 20/5/2011, 15:34
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Valzer al Crepuscolo











II turno





"Io sono l'Alfa e l'Omega [...] Colui che è, che era e che viene [...]. Io sono il Primo, l'Ultimo e il Vivente.
Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi [...]"


P
erverso. Disciolto nella perversione di una compulsione irrefrenabile, ma - al tempo stesso - irresistibile, mi dispiegai nel vento, indirizzando la furia e l'astrazione del mio desiderio contro quello sconosciuto dai capelli neri, immobile ed alieno - quasi - da qualsivoglia mia pericolosità: non ne lessi mai, infatti, una vera preoccupazione in quel volto che mi pareva di marmo. Immobile ed infinito, nella propria gelida lontananza. Invero non fu lui, ma qualcos'altro ad impedirmi di scadere nel peccato ancora più turpe: una nuvola, filamenti d'argento sparso che si riempirono di densità attorno alle mie membra, ostacolarono la discesa dei miei artigli veleniferi, impedendoli di plagiare alcunché prim'ancora che potessi anche solo pensare di farlo per davvero. Per converso, però, rimasi assente qualche secondo - inconscio ed ignaro sul perché avevo attaccato quell'uomo e sul come reagire al mio fallimento. Qualsiasi costrizione mi stesse invadendo dal profondo, di fatti, si alternava repentina, in momenti di odio acuto, ad altri momenti più pacati e razionali: plagiato dal mio stesso desiderio di libertà, infatti, mi dividevo tra la potenza di una furia che mi costringeva a prender con la forza quanto mi spettasse, e la pacatezza di una calma forzata che mi riportava - a stento - verso un più diplomatico gioco di squadra.

Quanto volevo, lo volevamo tutti: o no?
Quanto volevo, potevo volerlo con tutti loro.

O no?


U
dii appena, poi, il sibilar nel vento di alcune lame affilate, incredibilmente rapide, che sfrecciavano dirette alla mia carotide: feci appena in tempo a rilasciare gli artigli in altrettante lame sibilanti, attutendo il colpo, ed evitandolo quasi del tutto. Una di esse, però, mi cinse appena il collo, procurandomi un taglio leggero e costringendomi a serrare lo sguardo ancora una volta, a rinchiudermi nel mio dolore, scosso, questa volta, più dal pericolo, che dalla reale conseguenza. Simultaneamente, però, mi parve di udire il ruggito di un leone, e l'odio profondo pervadermi nuovamente. La torre di Velta tremò un attimo in più, una volta in più, questa volta girando attorno alla mia mente e costringendomi a urlare - a denti stretti - tutta la frustrazione per una razionalità che si scioglieva lentamente, ma inesorabilmente. Ancora una volta, ancora di più. Calandomi del caldo abbraccio della follia.

« Aaaaarrrghhhhh... ! »

E quando riaprii gli occhi, vidi il nulla attorno a me.
Scorsi appena, tra gli altri, Arthur ed Alexandra correre dentro la torre.
Correre verso quella m i a libertà.

Non eravamo una squadra?
Perché venivo lasciando indietro?


Perché sei debole.
Perché ciascuno di loro lotta solo per se stesso.


Avevamo un patto
Le parole sono vane.



Ma loro hanno giurato!
Hanno vantato principi che non possiedono.



Ti hanno ingannato
No!



R
ipiegai rapido verso l'interno della Torre, affannandomi, calcando con veemenza un terreno che scandiva i propri ultimi rintocchi proprio nel mentre che mi arrogavo il diritto di calpestarlo. Appoggiai una mano su di un pilastro tremante, ed appena in tempo scansai l'ennesimo blocco dell'alta torre che si ripiegava su se stessa, rientrando in essa ed immergendomi - una volta di più - nel buio di un nulla afono e sordo. Un tutto comprensivo di niente: l'oscurità che padroneggiava il ventre di quel marmo oscuro, insieme con lo spirito e l'animo di noi cavalieri prodi di un peccato che ci vedeva ormai infami l'uno con l'altro.

Ormai non potevo fidarmi più.
Cadevo, ancora, piombavo nel baratro del peccato.
E ricadevo, inesorabile, sulle colpe che un tempo mi avevano reso loro figlio.


S
entii il terreno cedere sotto di me, e ricaddi ancora, una ennesima caduta lunga - infinita - senza possibilità di rivedere il fondo. Compensando quella mancanza di certezze, con la forza d'animo che mi illudevo fosse ancora mia propria, ricercavo con lo sguardo coloro che si erano detti miei alleati astratti, pur senza giurarlo mai. Mi parve di rivederli ancora, ricadere nel buio insieme a me, e di rivedere gli altri avventori di quell'incubo, meno che dell'unico verso il quale mi sentivo - allo stesso tempo - colpevole e creditore. L'uomo dai capelli neri, infatti, pareva non accompagnarci più.

L'avevo ucciso io?
No - non l'avevo nemmeno colpito.

_______________________________


I
mprovvisamente scandii nel vuoto nero un'immagine che pervase il mio cuore dal nulla: una memoria, un ricordo di quel passato infame che speravo di aver dimenticato. Rividi chiaramente ciò che un tempo era stata la via principale del quartiere più nobile di Lithien, la "Bella", la terra che mi aveva dato i natali e che io, invece, avevo beceramente tradito. Mi accompagnavo ancora - al tempo - col mio maestro d'arme, il padre adottivo che mi raccolse dall'empietà di uno struggimento - di una colpa - che, altrimenti, mi avrebbe consumato. Ma che lo faceva, invero, ignorando chi fossi e che tutto quello era dovuto proprio a me. Al tempo, però, lo ignoravo anch'io.
Accompagnavo il suo passo di poco lontano, mente egli mi conduceva verso il posto che un tempo costituiva l'ultima sua magione, per il saluto finale che avrebbe concluso, di fatto, la nostra permanenza nelle rovine della città, ormai inospitale e corrotta dalla perversione dell'umana cupidigia, dopo che da quella della carne dovuta alla malattia. Ed egli volle la mia presenza, per l'ultimo saluto che avrebbe destinato il suo cammino.

Il saluto al figlio morto.
Quel figlio deceduto di malattia.
Pochi giorni prima.


R
ividi il lungo corridoio: un tappeto rosso insozzato dalla polvere e dal sangue, segno appannato di un lusso che ormai era solo figlio dei ricordi. Grossi specchi infranti, ai lati di marmi bianchi opachi e coperti dalle vestigia oscure, prive di qualsivoglia luce o lucentezza, ormai. Una magione dai grandi lussi, un tempo: una magione che - in quel momento - non era altro che il simbolo della decandenza di tutta la comunità. Dell'infame tragedia nella quale era piombata.

E
ntrai a passo lento, quasi commosso e sommesso, nella stanza. Vidi un letto bianco, una malata perversione in quella sollene distruzione: lenzuola candide ed orpelli ornati a festa, quasi a voler mantenere la solennità dell'unica ricorrenza che era rimasta a quella famiglia straziata. Il lusso di un giaciglio funebre: il riposo ultimo, ed eterno, del giovane erede di famgila. Del rampollo che avrebbe dovuto continuare la tradizione, non sommergerla di lacrime amare.

« Che il cielo benedica il tuo ultimo viaggio, figlio... »

Disse il mio maestro, tra le lacrime interminabili di un fanciullesco sconforto.

« E che tu possa perdonarmi, se questo è l'ultimo onore che posso dare alla tua salma... »

Mi avvicinai con rispetto e tenerezza a quel letto immacolato: scrutai un profilo giovanile, appena velato dai segni di un'atroce malattia, ma sommesso e coperto di una regalità senza pari che ancora lo conservava, intatto, in una chiara armonia di forme e riflessioni. Seppur immobili: seppur gelide nella rigidità della morte. E, forse, anche per questo, ancor più visibili.

Rabbrividii.
Tremando, mi chiarii il vero: stavo mirando la tomba di colui che aveva portato il mio nome.

Stavo scrutando la salma di Shakan Anter Deius.
E l'avevo ucciso io: anzi, la mia colpa.


I
l cadavere si mosse appena, allorquando una raffica di vento spalancò la finestra rotta e ne spostò appena le lenzuola. Il maestro accorse a serrar le ante, mentre il cadavere fu appena scosso ed il volto, un tempo immobile, ricadde sul suo lato destro, mostrandosi a me interamente. Raggelai, invero: il suo volto lungo e smunto, portava capelli neri lungo il viso ed una freddezza propria di quel tono, e quel portamento, tanto sollenne e greve da avermelo già fatto scorgere come pericoloso e subdolo.

Era il volto dell'uomo scomparso.
Era il volto di colui che avevo attaccato poco prima, innanzi al portone di Velta.

Egli era l'ennesima vittima.
L'ennesimo sacrificio per quel mio desiderio di libertà.

_______________________________

Quanti altri peccati avrei sacrificato all'altare delle mie colpe?



R
ipiombai nuovamente al suolo. Nell'ovunque fossi caduto, invero, regnava lo spazio ed il vuoto di un nulla che - questa volta - pareva volersi delineare in un qualcosa, per quanto turpe ed astratto fosse. Un salone immenso, circondato da creature orripilanti, immobili in tetre smorfie di orrore e fermento. Parevano, alla mia vista, tutte mirare o scorgere qualcosa, un'unica luce - forse - che illuminava quell'immensità nera e che, soltanto alla fine, ebbi la cortezza di cosiderare. Una porta, un portone, un'uscita di qualunque genere, composta unicamente dell'ebrezza di una luce immensa, difficile da fissare. Attorno a quell'astrazione, ed innanzi alla luce, infine, ci ergevamo noi: coloro che ancora non erano scomporarsi, fagocitati o sacrificiati a quell'incubo infinito, o - più propriamente - alla caducità del desiderio di potenza che pervadeva me, sopratutto. Tra noi e quella verosimile via di fuga, però, si ergeva qualcosa, che appena riuscii a scorgere in controluce.

Una figura umanoide, dai tratti perversi appena visibili.
La luce ne riempiva i contorni, rendendoli sfumati e difficili da interpretare.
Ma sulla sua imperiosità mi pareva difficile dubitare.

D'un tratto, poi, divenni sordo a qualunque evento.
In sottofondo sentii il roboante sibilare delle armi e degli animi, che ancora si dispiegavano nel vento, tra sangue ed ardimenti.
Ancora battaglia, ancora sangue: ancora dolore.
Quando sarebbe finito tutto questo?



Perché non ho il potere di fermarlo?
Perché non posso donare al mondo la libertà che merita, con la sola volontà?



Non sei abbastanza potente.
Ma lo vorrei: vorrei il potere di imporre questa libertà.


Quella voce oscura ancora risuonava dentro di me, parto della mia coscienza - forse - più che del mio udito.
Mi interrogava e mi volgeva dubbi reconditi sulla fondatezza dei miei desideri,
rivelando - facilmente - ogni limite del mio cuore.

Vorrei il potere: vorrei la forza per fermare tutto quello.


D
'un tratto fissai in volto la creatura in controluce: a discapito delle iniziali apparenze, infatti, il suo viso mi parve del tutto familiare e conosciuto. L'avevo visto, invero, nell'oscurità di un sacro luogo, inveire - contorto - contro di me. L'avevo visto, però, anche abbandonarsi all'affetto di una donna, tra le vestigia candide di un letto. Ed in quel momento, per qualche ragione, mi parve più simile a quel volto, giovanile e - per quella volta soltanto - libero dai tormenti che poi gli sarebbero stati propri. Il volto innocente di un fanciullo che si affaccia al mondo con la forza dell'unico artefatto che lo avrebbe potuto trasformare nel più giusto dei sovrani: l'artificio dell'amore.

Strinsi gli occhi, per scorgere meglio tra i bagliori della porta.
E nel volto di quella creatura riconobbi distintamente i tratti di Ray.
Un giovane Ray.

Ray, il re che non perde mai.
Vidi il suo volto giovane ed innocente,
quel volto che scorsi in quell'unica memoria felice.
In quell'unico attimo di apparente serentià della sua vita.

Vorrei il tuo potere, Ray. Lo vorrei per donare libertà al mondo.
Vorrei quel potere, come l'avresti usato tu, se non fossi ricaduto nel tormento.


image

« E' questo il tuo desiderio ? »

Il suo volto mi fissò, le sue labbra si mossero appena.
O forse non si mossero affatto, ma parlò direttamente al mio animo.
Ed una voce, quella voce - ancor più roboante, però - risuonò nel vento.
E, per qualche ragione, pensai che fosse stato lui.
A farmi quell'unica domanda.
Sperai che fosse stato lui.

« Si, è questo... »



R
isposi piano, appena sussurrando, alienandomi da qualunque considerazione più o meno razionale, astraendomi dal perché o per come, Ray fosse li e mi stesse chiedendo quale fosse il mio desiderio. Non considerando, ignorando, se tutto quello fosse l'illusione o la finta realtà di una nuova contrazione della mia memoria, o della mia razionalità. O se, più semplicemente, qualcuno o qualcosa stesse giocando con le mie fantasie.

Astraendomi del tutto, da tutto.
Ed inveendo, invero, in una nuova fonetica.

« That's my desire.
And my destiny, too...
»


E
d il potere mi pervase. Un potere diverso, distaccato ed, invero, roboante come un'esplosione di energia oscura. Lo fissai nascere dalle mie mani, e scorrermi nelle vene, percorrendo ogni lembo della mia pelle, rendendola scura, scorrendo nei miei capelli e dilaniandomi piano le vesti, fino ad espandersi al di fuori di me, rendendomi faro di energia nera. Levitai poco, ergendomi dal cielo, mentre l'oscurità raggiungeva la sommità del mio capo e si dispiegava nell'aria in diversi cerchi concentrici, oltre la mia testa. Ed il vento stesso pareva rifuggire da me, sfogandosi verso l'esterno, espandendo, in terra ed in cielo, piccoli crateri dall'esponenziale potenza.

"Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo. La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito. Subito fui rapito in estasi. Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto. [...] Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni"


E
scariche di energia si dipananono oltre di me, mentre le mura della Torre di Velta parevano infrangersi sotto il peso della mia potenza. Divenire qualcosa di diverso: lasciar spazio alle terre aride che, un tempo, dovevano aver visto ergere e crescere i numerosi regni del uomini. Ed il mio potere esplose, nuovamente e ripetutamente: e ad ogni scarica di energia, un'immagine si ergeva nel tempo. Regni immensi sparire in un giorno; vortici scuri straziare intere vallate; imponenti castelli subire la furia dell'apocallisse; migliaia di uomini fagocitarsi in un unico ed infinito massacro; intere popolazioni perire sotto il peso di una volontà inumana e trascendente che imponeva loro, una volta per tutte, l'unico ordine a cui dovevano attenersi.


image


"Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smosse dal loro posto. Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono...".



Essere liberi e vivere in pace.
Mentre io mi ergevo ad un passo verso la perfezione,
divenendo qualcosa di più di un essere umano: qualcosa di più di un essere divino, anche.

E mi arrogavo il diritto di cingere tutti i presenti con un flusso.
Un flusso: basso e corrotto.

No! Non è questo che volevo!
Non è questo potere che io desideravo!



L
a mia coscienza urlava in me le vane invettive contro il fato, ma qualunque cosa volessi ormai pareva non aver più importanza. Il mio corpo e la mia razionalità, infatti, muovevano e percorrevano vie del tutto diverse da ciò che le aveva generate: una volontà diversa, ed infinitamente più imperante si ergeva sovrana in quella nuova realtà che si imponeva con la forza, per apparire vera ed infinita ai molti che mi circondavano. Le creature immobili, di fatti, presero vita e si dipinsero di forme più simili ad esseri umani, donne, uomini e bambini. Tutti, però, nell'esatto istante in cui presero vita, furono turbati da un infinito lamento, un sanguinante dolore che li tormentava fino alla pazzia. E tutti presero a ledersi i polsi, i volti ed i propri stessi ventri, pur di rifuggire da quel turbamento invisibile, ma incontrastabile, fino a riversarsi in una sanguinante pozza dalla quale, però, io stesso - o l'io che ero diventato - li ridestavo ogni volta, per tormentarli nuovamente.

Sembravo donare la libertà.
La libertà di tormentare chi si era coperto di colpe.
La libertà di lasciar vivo, di chi colpe non si era macchiato.
La libertà di decidere chi potesse vivere, e chi morire.
La libertà: la m i a libertà.

« I'll give you the freedom...
And you all must accept that...
Because no one can disobey me, now!
»



N
ella corruzione infeconda che ne derivò, compresi lo sconforto e la frustrazione di una trappola che aveva ingannato me, per primo. Qualcosa, o qualcuno, mi aveva donato quello stesso potere di cui provavo ribrezzo, che avrei voluto contrastare: che avrei voluto s a l v a r e. Quel potere che avevo visto nascere e crescere con i miei occhi, nella chiesa di Santa Madre Nuova: che avevo visto ergersi nel tempo, nelle memorie del suo creatore, plasmarsi sul peccato e sulla frustrazione di una vita di tormenti che l'aveva reso l'essere più malvagio al mondo, benché avrebbe potuto diventarne il più giusto ed assoluto dei sovrani. Qualunque cosa mi avesse tradito, aveva ricambiato le mie frustrazioni con l'unica cosa che non avrei voluto mai: il potere del Re che non perde mai, in tutta la sua perversa distruttività.

Ed ero divenuto schiavo di quella stessa perversione.



U
na perversione che si riperquoteva, ormai, su qualunque vibrazione del mio essere: paure, timori, passioni e turbamenti, parevano dispiegarsi in altrettante immagini e conversioni del fato: trame che - ormai - mi preoccupavo di filare in base all'impressione incosciente e profonda che mi prefiguravo di esse. Sentivo quel moto di coscienza rabbiosa ed incontrollabile, squotersi come un bambino ai primi, incoscienti, complessi emozionali: al primo relazionarsi con le emozioni della realtà. E, di conseguenza, sentivo di voler reagire con visibili dimostrazioni di potenza, di voler imporre quel nuovo dominio nel modo più terribile e perentorio possibile: per la sola ragione che ora potevo farlo. E, quindi, era quasi divenuto un dovere morale farlo.

Infantile.
Solo un moto infantile di rabbia.
Mascherato da trascendente giudizio di libertà.

« You, my brave warrior... »

Fissai Finnegan in volto, estromettendo qualsiasi pulsazione avversa al moto d'ira che mi stava muovendo.
Temevo, temevo me stesso: ma, urlando internamente, sentivo di non potermi fermare.

Il mio io dispiegò nell'aria altra potenza, generando ancor di più scarice di energia nera ed oscuri richiami di potenza: la mia figura divenne traslucida, opaca, ma nera, più simile ad un'ombra - questa volta - che ad uno spettro. Un'ombra che pretendeva di ricoprire indistintamente qualunque volgimento della nuova realtà che andavo plasmando. Un'ombra, sopratutto, che pretendeva di ricoprire Arthur Finnegan con la stessa perizia di chi si prende la briga di umiliare, più che colpire, qualcuno.

Finnegan non potevo dire di conoscerlo.
Invero, non potevo dire di apprezzarlo e di potermi fidare di lui.
Era ovvio: era oltremodo chiaro. Tutto sarebbe tuonato come sangue nel mio nuovo essere.

Una trascrizione infida e distorta delle mie passioni.
Che esplodevano nel modo peggiore possibile.

« Do you'll never bow down to me, will you? »

Un'unica lama dell'artiglio rimase estratta nel mio guanto, laddove il suo percorso ormai era già conosciuto ad entrambi, forse.
Per vero, però, sicuramente non accettato da me: non lo avrei mai accettato.
E non mi sarei mai perdonato, per quello.

« Then accept my gift,
and live forever as a free man...
»


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« Can the death be your greatest freedom...
Die Arthur Finnegan, D I E F O R M E...
»

Ed infilai la lama nel suo capo nudo, apparentemente immobilizzato dalla paura o dallo sgomento.
O dalla mia semplice volontà.

Sentii la carne aprirsi innanzi alla lama, e questa scivolare lenta entro qualunque interiorità.
Sentii la vita scorrer via dalla sua carne, e la pietà scivolare giù dalla mia.
Sentii le lacrime farsi largo nel mio animo.

Eppure, nemmeno una goccia sarebbe stata riversata...
Nemmeno una.




SPOILER (click to view)
ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%



image

Del Fisico: Cicatrici sparse sulle braccia, 3 tagli sul braccio sinistro, 1 taglio leggerissimo al collo (Poco più di Basso, 90,75%).
Del Psichico: Corrotto (Medio, 88,50).
Dell'Energia: 93% - 9% 6% - 18% 15% - 5% = 67%

Delle Attive:

CITAZIONE
Polpastrelli. Per aumentare il tuo desiderio. Per ricordarti di un mondo passato, di dolcezze, di miele, in cui molte donne si sottomettevano a te. Polpastrelli per assaporare ogni sensazione e spedirla al cervello alla velocità della luce.
Un tocco rapido, veloce, sul meccanismo che condiziona lo scatto degli artigli. Un tocco fine della punta delle tue dita basterà a stimolare l’anima che vi è racchiusa. Come il corpo di una donna d’allora risponderà al tuo gesto. Sa già cosa fare. Con un consumo pari a Medio, gli artigli scatteranno non solo verso l’esterno, ma verranno lanciati verso il nemico come proiettili d’acciaio, come pericolose spine. E non temere, combattente. Il tuo tocco leggero non ha distrutto l’arma. Essi in realtà ricompariranno normalmente al tuo prossimo richiamo, come se nulla fosse accaduto.

CITAZIONE
"Il fantasma sono io!". Con un consumo di energia variabile, Shakan è in grado di creare una potente malia: modificando i tratti del proprio corpo, infatti, potrà indurre un potente sentimento di terrore generato alla propria immagine per come percepita dagli occhi di chi la osserva. Shakan apparirà, nelle menti altrui, trasformato in un fantasma: il suo corpo sarà pallido, taslucido, quasi trasparente, gli occhi lucenti e tutti i tratti e gli aspetti del proprio essere si modificheranno di conseguenza, in modo da apparire, in tutto e per tutto, una presenza "spettrale". Shakan potrà rendere tale "immagine" più o meno complessa (passando, per esempio, da semplice fantasma pallido e sfocato, a potente spirito di una divintà ancestrale): in questo senso, Shakan potrà scegliere la forma, la caratterizzazione e la natura "spettrale" che più gli sembrerà adatta alla situazione, dando l'impressione di parlare, muoversi, combattere e, in generale, relazionarsi, allo stesso modo in cui farebbe un vero fantasma della stessa tipologia. L'effetto effetto principale, però, sarà solo quello di generare terrore in proporzione alla variazione del consumo di energia. In concreto, infatti, il corpo di Shakan non muterà e la tecnica avrà comunque come effetto quello il solo indurre terrore nelle vittime. Ogni ulteriore conseguenza dettata da tale trasformazione sarà da considerarsi del tutto eventuale e rimessa unicamente alle reazioni inconscia delle vittime. La tecnica, pertanto, non sarà da considerarsi una "illusione" propriamente detta, ma, piuttosto, come un ammaliamento psionico, in grado di danneggiare la mente della vittima. L'effetto dura un post. [Personale 2/6, Attiva, consumo Variabile Alto]

Delle Passive:

La Solitudine... (razziale): difesa psionica passiva
L'Illusione mi scorre nelle vene (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione;
L'Illusione è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%;
L'Illusione non ha ostacoli: (personale) illusioni non riconoscibili con abilità passive;
Il Potere mi ha corrotto (personale di metagame): permette di usare abilità necromante;
Il Fantasma li rende eterni (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici;
Anello del Potere: consumi ridotti di 3%, ma mai sotto l'1%, non cumilabile col risparmio delle illusioni;
L'Abiezione... (personale): ammaliamento psionico passivo, induce terrore nei presenti;

Delle Armi:

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli estratti;
Frusta: legata alla cintura

Del Riassunto:

Devio le lame di Zaide, rafforzate dall'attiva di Shivian, con la mia Attiva a medio. Subisco la malia di Lia, sia per la visione col letto, sia per la questione del desiderio (spiegata meglio nelle note). Poi uso la mia variabile a livello alto su Finnegan, aumentando ancora l'oscurità della mia figura, rendendomi una specie di ombra con scariche elettriche nere ancora più potenti, e gli pianto una delle lame dell'artiglio in testa.

Delle Note:

Allora, iniziamo con gli innumerevoli chiarimenti a questo post.
1) Innanzi tutto, tutta la seconda parte del post, che - come vedete - è piena di scelte gdrristiche al "limite della sportività", è stata decisa su prescrizione del QM, naturalmente. L'avverarsi del desiderio di Shakan "distorto", crea tutto lo stravolgimento che leggete nel post che verrà avvertito per tutti - anche per Shakan, come vedete - come vero e reale. L'esito, la fine e lo sviluppo di questo non è nemmeno a me conosciuto, ovviamente. La morte di Finnegan autoconclusivamente non è un tentativo del sottoscritto di autoeliminarsi dalla quest (o meglio non dovrebbe -___-"), ma è una scelta fatta sempre su indicazione del QM (ovviamente ha deciso il QM chi io dovessi uccidere). Finnegan, ad ogni modo, è da considerarsi morto in quest ed eliminato dalla stessa (come Shivian, insomma). Almeno, così ho capito io.
2) Se non è chiaro, spiego quello che è successo: qualcuno - ma è facilmente intuibile chi - ha percepito il desiderio di Shakan di diventare potente per liberare il mondo dal male, sostanzialmente. Secondo l'idea di Shakan che dall'inizio del Valzer lo conduce, egli con quel potere potrebbe "salvare Ray" che - a suo dire, per quello che ha visto nelle sue memorie - può essere un re giusto, che è solo diventato "vittima" del proprio tormento. Questo qualcuno che legge il desiderio di Shakan, decide di avverarlo in maniera "distorta", ovvero dona a Shakan quello stesso potere che ha "corrotto" Ray (sempre secondo l'idea di Shakan), cosa che lui ovviamente non avrebbe mai voluto, e gli da il potere di "liberare" il mondo, nel modo più terribile: ovvero con la Morte. Nell'ambio di questa caduta di Shakan, muore Finnegan, che da Shakan è stato da sempre visto un pò come un'incognita, un personaggio strano: nella distorsione del suo desiderio, che influenza anche le azioni di Shakan, questa emozione diviene chiaramente odio e, quindi, necessità di farlo morire.
3) Ho riempito la seconda parte di "citazioni" dei post di Ray in cui è trasceso, per rimarcarne la similitudine: ho già anticipato la cosa a Ray, ad ogni modo spero che non se la prenda se l'ho fatto in questi termini. Le citazioni sono in parole, immagini e stile.
4) Le citazioni tra virgolette sono passi dell'Apocalisse di San Giovanni: non sono frasi che Shakan dice, e non sono riferibili a niente. Servono solo per rimarcare di un tono aulico i passi della sua "rovina". Spero, pertanto, di non aver offeso la sensibilità di nessuno lasciandomi andare a citazioni tanto importanti.
5) La conslusione del post, ovviamente, non conclude questa "frattura della realtà", come già detto sarà Eitinel a stabilire il destino di tutti noi in tal senso.
6) La scena del letto con Shiv è cammuffata in una delle memorie di Shakan: quando ancora egli era a Lithien, dopo la "contaminazione" di cui si parla nel bg, il mio pg, infatti, viene soccorso da un comandante delle guardie, della famiglia Anter Deius, che mi da il nome del figlio morto (Shakan, appunto). L'estratto parla dell'ultimo saluto che il maestro fa al suo primogenito defunto: qui, Shakan, quindi, vede in volto l'uomo da cui ha preso il nome.
7) Benché credo che il mio inglese piuttosto maccheronico sia facilmente comprensibile, traduco le frasi nello stesso ordine in cui appaiono: "Questo è il mio desiderio, ed anche il mio destino"; "Vi donerò la libertà, e tutti sarete costretti ad accettarla, perché nessuno può più disobbedirmi, ora!"; "Tu, mio valoroso guerriero..."; "Non ti inchinerai mai a me, vero?"; "Allora accetta il mio dono, e vivi come un uomo libero..."; "Possa la morte essere la tua più grande libertà... Muori Arthur Finnegan, Muori per me!". O, almeno, questo è il senso che volevo dargli io...
8) Tutta la seconda parte, laddove non fosse ancora chiaro, deve intendersi nel senso che Shakan NON VUOLE agire così, la sua mente è ancora più o meno lucida (ho calcolato solo un danno medio per gli effetti di tutte le influenze subite), ma il suo corpo agisce diversamente, come è evidente.
9) In generale, scusatemi >_>

edit: correzione errori sparsi


Edited by janz - 23/5/2011, 19:13
 
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view post Posted on 29/5/2011, 01:29
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Tanto potere da sviscerare la terra.
Tanta potenza da dominare vita e morte.
Tanta gloria da prevaricare con mente e corpo qualsiasi Dio, qualunque Regina e Re.

Tanta rabbia, furia, rancore, da scrostare la nuda patina della realtà con un unico, dolente, agghiacciante, grido disumano.
Non più labbra di carne.
Non più fiato di mortale.

Ma solo, semplicemente, un Mostro.
Occhi di bragia, lingua diabolica.

Mentre ogni cosa viene meno, il velo trasparente della realtà che si torce su se medesimo in una raggrinzita parodia di ciò che era. Mentre, nel gemito contratto del Tempo, l'ora e il mai vanno a combaciare in un'unica mefitica visione crepuscolare.
Non si potrebbe far altro che domandarsi, o grande sognatore, o incauto camminatore del mondo del Disio.

Non riesci a sentirla?
Non la senti, ora, adesso, questa voce?

Non un grido. Non un urlo tonante e grande e feroce come il tuo.
Certo che no.

Eppure ( non te ne sei accorto davvero?) proprio ora, proprio adesso, tu stai ballando.
Balzellando e dirimpettando di qua e di la, fedele marionetta sedotta dall'astuto pifferaio magico.

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°°°°°

Nel sordo soccombere del reale, nell'apocalittico avversarsi del desiderio di Shakan, l'estrarsi della lama di quest'ultimo dal corpo di Finnegan non parve altro che un rumore di sottofondo. Uno dei tanti, in realtà. Un suono bianco, inavvertibile ed invisibile se paragonato al resto.
Più un interludio fra il franare di Quello e lo sbriciolarsi di quest'altro.
E ciononostante eccolo, di nuovo. Ecco che il sacrificio era avvenuto, il male di uno per il bene di tutti.
L'ultimo respiro di lui nel contemporaneo prendere fiato dell'altro.

Per un secondo, nello stillare della prima goccia di sangue da quella fronte altera, il pallido tralucere della lama di Shakan si riflesse negli occhi di Finnegan proiettando in essi una linea retta, tesa, curva e bianca come il bianco profilo di un improbabile orizzonte.
Che fosse stato il Vero volto di quel mondo? La cupa divaricazione fra vita e morte?

Ciononostante, ormai, era già troppo tardi.
Nell'incrinarsi di quello scorcio di realtà, anche il corpo di Finnegan si era già piegato su se medesimo, stramazzando poco dopo a terra come un fagotto vuoto vinto dalla forza di gravità.
Un poco del suo sangue a schizzare i piedi del proprio assassino. Un poco del suo viscero intellettivo a sgusciare come molli dita di bambino dalla ferita aperta. E colare, ingloriosa sbrodolatura, fino al limitare del parapetto su cui entrambi ancora dimoravano ( piedistallo Divino ) ed infine sdrucciolare e precipitare giù, molto più giù, fino alle basi di una piana sterminata, insondabile.

Quella lacrima gelatinosa fu raccolta, sordida impertinenza, dalle bianche dita della Dottoressa.
Si, ancora lei.
Il corpo rigorosamente fasciato da quel suo camice disegnato attorno al vitino da vespa. Gli occhiali un poco abbandonati sul profilo teso del naso rinsecchito.
E labbra morbide, sensuali, rosse mentre, saggiando il gusto amarognolo di quanto trovato, si esibiva in un'espressione divertita.

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" E' questo che desideri, Shakan?"

La sua voce si perse nel formicolare ovunque attorno a lei di orride figure, curvi e dolenti abominii che, rigurgitati da chissà dove, parevano aver ben presto trovato il loro Faro nell'immensa fonte di potere emanata da Shakan. E già per tutta la piana antistante era possibile notare il loro frettoloso appropinquarsi. Uno smuoversi e fermentare di puntini all'orizzonte tanti quanti granelli di un deserto.
Nello scheletro dell'edificio che era stata, la Torre già era stata presa d'assalto. Un furioso sgambettare e risalire di esseri ululanti e fastidiosi più simili a mastini da caccia che a veri e propri esseri a se stanti. Nel loro frenetico avanzare, quasi si sarebbe mancato di avvertire che non solo la Torre, ma tutto il continente tremava del calpestio di passi.
Del sopraggiungere della fine.

" Ucciderci tutti e prendere il potere dell'Asgradel solo per te? "

Non le fu difficile sorridere ancora, i biondi capelli che ingrigivano nel riflesso del cielo. Una tinta al limite del verdognolo che i più avrebbero definito "tempesta perfetta"

" O questo è solo un ordine del tuo Re? Lo stesso che ha spedito, assieme a Lia, anche te, la sua migliore spia, alle pendici di Velta?"
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Nel brivido di quel sussurro lontano, di quelle fragili parole svelate appena da due labbra invisibili, lo schiudersi di una serratura. Il girare, lento, della maniglia.
E, nell'esile fascio di una luce ambrata, il richiudersi ancora di quell'uscio imprecisato.
Contemporaneo e improvviso, l'esplodere di un nuovo, roboante, pandemonio. Lo spalancarsi di mille e più fauci, lo sgusciare e ansare di ancor più fiati nel viscerale scatenarsi di grida e latrati, schiocchi e borbottii.
Velta, svettante simulacro di una grandezza oramai precaria, parve tremare ancora, orrendamente, come gonfio ventre sconvolto di umori. E vibrare, mastodontica cassa di risonanza non di una maligna volontà ma proprio dell'assordante sciamare di un'imprecisata orda di creature.
Di Demoni e Angeli Oscuri il cui solo scostarsi delle ali nere dalle vetrate della Torre diede modo alla luce di penetrare, per un solo attimo, l'apparente oscurità.
Nessuna tenebra, nessuna malia.
Certo che no.

Solo la rozza e strisciante densità di corpi accartocciati gli uni agli altri, ridossati alle bianche pareti e alle variopinte finestre come pipistrelli intimoriti dalla luce. Come famelici corvi in attesa del lauto pasto. Mostruoso gracchiare e budolare, ecco grandi esseri alati abbandonare le gigantesche vetrate, lasciando che gli intarsi multicolori disegnassero tutt'attorno il formicolante distorcersi e contorcersi dei muri di Velta.
Solo ora visibili per ciò che erano. Solo in quel momento riconoscibili con il loro più autentico nome.

La Flotta Icaro. Un tempo. Ora nulla più che altri, sfortunati, burattini nelle mani maldestre di Lia.

Ed in mezzo a loro, proprio nella parte meno gremita ed al contempo più centrale dell'immensa sala, agrodolce sipario d'incanto, due figure.
Madre e figlia.
La Dottoressa e Lia, la sua bella bambina.

La prima seduta di traverso sulle prime scale che davano verso la parte più alta della torre, le belle gambe fasciate dalla gonna a tubino che si piegavano un attimo a sinistra, così da offrire un comodo cuscino al capo della bambina che, gli occhi semichiusi, dormiva quieta li appresso. Fra le dita della donna, intenta a massaggiare con sguardo beato la cute della sua giovane creatura, i capelli di Lia parevano fili di cristallo. Lucenti nella semioscurità. Brillanti nel flebile riverbero rubino della Torre.

"La mia piccolina..."


In quella, come rispondendo ad un ordine implicito, tutto quello schiamazzare parve improvvisamente placarsi costringendo il gigantesco ventre di Velta a risprofondare, suo malgrado, nella propria greve sonnolenza. Come ragnatele di seta, sottili ali cornee tornarono a filtrare le variopinte finestre tingendo ogni cosa di una tonalità purpurea. Tanto i pavimenti in marmo quanto i torsi nudi e ritorti di creature glabre, dinoccolate, gonfie e appassite come radici estratte dal terreno e li lasciate a marcire lentamente.

" Benché deforme e misera, ella vibra della stessa anima dell'Asgradel. E' il suo respiro nascosto. Il suo profumo dimenticato. E' l'ombra dell'infinita grandezza che lo rende così terribilmente grande e spaventoso"
Riprese quindi a parlare la donna. Il volto solitamente freddo che ora vibrava appena di una dolcezza latente.
"Così nell'esatto momento in cui esso ha spalancato i suoi occhi, anche Lia, sua infima copia, non ha potuto far altro che destarsi a sua volta. "
Una pausa.
" Povera cara."
sospirò, abbandonando ancora la mano nelle ciocche pallide della bimba.

" Era così bella la voce di Eitinel.
Così pura. Così perfetta.
Tanto magnifica da far impallidire ogni altra cosa che avesse anche solo sperato di gareggiare con lei.
Lia compresa."

socchiuse le palpebre un attimo, la mano fra i capelli della bambina che ingrigiva appena, lievemente, quasi che il sangue vi fosse inaspettatamente defluito andando a finire chissà dove.
" Capite?"
In quella, senza che vi fosse stato alcun apparente motivo, gli occhi di Lia si schiusero, lasciando che le sue iridi chiare colorassero di una imprevista vitalità il suo volto impassibile.

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La dottoressa sorrise blandamente, alzando solo allora lo sguardo in direzione del proprio auditorium.
" I bambini piangono quando sono tristi, mia cara Alexandra."
flautò tiepidamente.
" Lia ha imparato a Cantare."
scostò un ciuffo di capelli dalla fronte della bimba.

" Ma che dire degli adulti? Come reagiscono loro al dolore?"
Senza apparentemente dare segno di averla vista, Lia sbattè una, due volte le palpebre. Poi, sciogliendosi piano dalla stretta della Dottoressa, si mise a sua volta seduta. Solo allora, nel casuale intrecciarsi di raggi di luce all'interno della Torre, fu possibile notare tre figure rimaste fino ad allora nascoste nella penombra. I volti familiari apparivano ora rigidi e fissi. Le palpebre spalancate colme di ombre in tumulto.

" Cosa accade quando, vittime di un gioco ben al di sopra delle proprie possibilità, si finisce per esserne irrimediabilmente inghiottiti senza via di scampo?"
Nello sbattere delle palpebre di Shakan, l'irresistibile crollare a terra degli altri due individui.
" Accade che qualcuno si lasci prendere troppo la mano finendo per fare del male a tutti gli altri. Per sbaglio, per errore, ovviamente. Eppure capita.
Succede di uccidere il nostro prossimo senza volerlo."


Pallidi, i piedini di Lia incontrarono per la prima volta il nudo pavimento della sala mentre ella, lo sguardo fanciullesco perduto chissà dove, si tirava lentamente in piedi. Attese un istante, quasi testando la propria stabilità nel reggersi in piedi e subito dopo, come guidata da un odore o da una sensazione improvvisa, alzò lentamente lo sguardo verso l'alto.
Sbattè ancora una volta le palpebre.

"Guardala"
sussurrò lentamente la Dottoressa
" Lei conosce la propria strada. Sa qual'è il proprio destino.
E tu Cara?
Cosa accadrebbe se io ora ti dicessi che nessuno di voi potrà continuare a giocare senza il prezzo di una vita?"

E mentre, ignara di tutto e di tutti, Lia si girava e prendeva, come una falena attirata dalla luce, a camminare in direzione delle scale, di nuovo, attorno a loro, tornò a scatenarsi l'inferno.




SPOILER (click to view)
Ed eccoci di nuovo^___^
Chiedo scusa tanto per il ritardo quanto per la qualità del post ma è quanto di meglio sia riuscita a fare in questi giorni stracolmi di impegni ç___ç . Prometto di migliorare.
Ringrazio anche moltissimo Janz per la sua disponibilità ad improvvisarsi dal nulla CO-QM nel turno precedente. Gli chiedo anche scusa per il modo in cui IO ho sfruttato la sua idea: spero di non aver male inteso Troppe cose tralasciando le carriolate di possibilità da te fornitemi. :arross:

Il post è diviso in due mondi fra di loro paralleli. Nel primo abbiamo Shakan, Zaide e Hocrag, prigionieri del desiderio ( una allucinazione) espresso dal primo.
Il mondo si è trasformato in una terra brulla e arida. Della Torre di Velta non è rimasto che lo scheletro primordiale sopra il quale troneggia Shakan, all'apparenza potente come un Dio. Un poco sotto, abbarbicati sui resti dell'edificio, gli altri due personaggi. La torre è presa d'assalto dalla marea di creature richiamate dall'illusione, propense esclusivamente ad attaccare tutto ciò che gli si porrà dinnanzi. All'apparenza esse sembreranno rivoltarsi contro Hocrag e Zaide. In realtà il loro vero intento è quello di "cibarsi" del loro creatore. Ogni creatura è inizialmente uno degli uomini citati da Janz nel proprio post, ma nel corso di pochissimi istanti degenererà a sgorbio e orrore. Ognuno di loro conta come energia Gialla, e possono essere affrontate autoconclusivamente. Le uniche armi a loro disposizione sono artigli e zanne, nulla di difficile. L'unica a non essere attaccata è la Dottoressa che, pur presenziando fra di loro, viene completamente ignorata.
Le parole della Dottoressa riguardo alla "spia" si rifanno all'artefatto dell'abiezione che rende a tutti gli effetti Shakan un canale diretto con Ray.

Janz: Subito dopo essere stato trapassato dalla tua lama, il corpo di Finnegan viene preso d'assalto e sbranato dagli abominii da te medesimo evocati. Uomini ma al contempo mostri. La trasformazione può essere graduale e rispecchia il senso di "degrado" e "plagio" del sogno originato da Lia. Il pasto successivo sei tu. Malgrado lo stato di onnipotenza capace di farti resistere inizialmente senza alcun problema, sarà ben presto palese al tuo pg che le forze, di pari passo con il corrompersi di ogni cosa, andranno via via scemando lasciandolo a conti fatti ESATTAMENTE com'era prima della sua ascesi.

Zaide, Goth: Nonostante si tratti di una pura allucinazione, la perfezione di questo mondo è tale da indurre i vostri pg a credere che si tratti di una realtà originata da Shakan ( influenza psionica di livello medio, come al solito nessun danno effettivo). Le parole della Dottoressa sono volte a farvi credere di essere stati traditi dal vostro compagno di viaggio con l'ovvia conclusione che il solo modo di sopravvivere sia di ucciderlo ( o di lasciarlo morire). Attenzione che, prima di qualsiasi cosa, sarete attaccati da un numero imprecisato di creature. L'idea è che per l'affluenza e potenza se le affrontate insieme non avrete nessun problema a sopravvivere ad oltranza. Se nessuno dei due tenterà di resistere, allora verrete sopraffatti dalla massa. Se uno dei due resiste e l'altro no, allora il tempo di "sopravvivenza" si accorcia ( a meno che non vi inventiate qualche cosa di davvero geniale ^___^). IL problema non è la potenza ma il numero, tenetelo in mente. Mettetevi d'accordo sul da farsi^___^'


L'altra parte del post si rifà alla scelta di Alexandra di entrare nella porta. Questa non conduce a nessun mondo parallelo ma, semplicemente, evita che anche lei cada preda del desiderio di Shakan. Così facendo ha la possibilità di apprendere che gli abominii prima notati sono in realtà la flotta Icaro ora soggiogata completamente dal potere di Lia. Egualmente, vedendo per la prima volta la bambina in questione, apprende che ella è così legata all'essenza dell'asgradel da destarsi e assopirsi contemporaneamente allo stesso. Oltre a questo, si fa per la prima volta riferimento ad una sua presunta tristezza. Finnegan, così come Shivian, è scomparso nel nulla.
Dopo di che, la bambina si sveglia e, avvertendo la voce di Eitinel, inizia a camminare per raggiungerla. La sfida posta dalla Dottoressa consiste nello scegliere cosa fare essendo presenti fondamentalmente queste tre situazioni:
1) Vi saranno che pochi secondi prima che Lia, camminando alla cieca, scompaia di nuovo nelle ombre e nelle illusioni. Con la sua morte, si potrebbe bloccare sul nascere tutto quanto.
2) Zaide viene attaccata dal mostro del post precedente. Essendo prigioniera del Sogno, è del tutto incapace di difendersi. Se lasciata sola corre il rischio di morire immediatamente.
3) Il Sogno di Shakan ha come unico obiettivo quello di distruggere tanto lui quanto gli altri due ospiti. Da come si presenta la scena, però, pare solo che, in preda a qualche raptus, Shakan stia manipolando le menti degli altri per ucciderli. Su questo punto purtroppo devo essere chiara: Il solo modo di svegliare Shakan è di ucciderlo. Qualsiasi altro attacco lederà il suo corpo ma lascerà immutata la sua condizione. Se Alexandra dovesse in qualche modo toccare direttamente il corpo di Shakan, immediatamente entrerà anche lei nel suo sogno.

Come è facile notare, qualsiasi sia la soluzione, è probabile che qualcuno ci rimetta la pelle. Foxy, ti pregherei di postare per ultima per dare modo agli altri di fare le proprie mosse. E di non decretare la morte autoconclusivamente ( ^___^ ). Un particolare: l'attacco di Hocrag ti raggiunge.
Tutti i vostri pg perdono questa volta il 10% delle energie. Quello di Janz il 15% Nessuna delle illusioni che avranno luogo comporterà un danno alla psiche.
Tempi di risposta: 4 giorni dall'ultimo post. Totale, 18 giorni.


Per qualsiasi chiarimento, ricorrete al topic in confronto.


Edited by Eitinel - 29/5/2011, 02:58
 
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view post Posted on 31/5/2011, 19:11
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Capitolo n. 5 - Chiusura, la prigione dell'anima.




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Alzò il capo.

E lento, pallida ascesa del Sole d'Inverno, aprì gli occhi, luci d'argento nel buio della sala.
La maschera del suo viso incrinò i propri lineamenti, nell'incessante, folle corsa nel far fronte ad un nuovo
Sogno,
rapido, brivido di freddo in una schiena poco coperta, mancanza di calore di una Madre.
O di una Dea.

Incessante tremolio di luci al Crepuscolo, vibrante e danzante fuoco nel buio della Notte, il soffitto della torre sfocò, sotto l'impassibile sguardo del Dannato, mentre il suo viso riprendeva le stesse apparenze, tali e quali, a quelle che aveva prima che la voglia d'un solo desiderio l'avesse posseduto.
Ed ora, Alexandra aveva superato la porta. Ed egli era di nuovo solo. Solo, in mezzo a tanti.
Tanti che non conosceva, mentre un'aurea azzurra perdeva di vigore, svanendo del tutto, senza lasciar traccia.
Cosa, in quella Torre, succedeva davvero?
- Rapida.
Eterogenea esplosione di luci, i suoi occhi furono iniettati di un'irraggiungibile vita, prima che il suo corpo osservasse, immobile, quello che stava accadendo così velocemente, troppo per una possibile risposta.
Il buio, scomparve.
La Torre, si sbriciolava, cadeva a pezzi.
Intorno a loro, solo deserto.

Il suo corpo fu destabilizzato, cadde verso la propria sinistra, nello schioccarsi di un sordo Crack; il pavimento ritornava a mera terra, cenere di una vita ormai già passata e svanita. Cadde sulla schiena, mentre il Mondo che osservava cambiava, si modificava, sotto i suoi stessi occhi, incapaci di trasmettere una qualche emozione.
Era prigioniero del proprio Sogno, ma qualcosa stava interferendo.
Non vide la ragazza
(sempre lei, lei era con il Portatore, con l'essere sul letto di Morte all'ingresso della Torre, l'essere che avrebbe potuto darti una risposta ed ora è troppo tardi, è troppo tardi)
che era a poca distanza da lui, non la vide, ma il suo viso si focalizzò sulle creature, lenti, crudeli masse informi di b u i o, e null'altro. Che si disperdevano, si ammassavano, li circondarono.
Mentre fu solo un istante,
un brivido
prima che dall'essenza stessa di quei mostri, da un punto imprecisato in mezzo a loro, si levasse una sorda voce, un accartocciarsi di suoni provenienti da tutti, e da nessuno. Il viso puntò davanti a sé, fisso. Osservando il pallido orizzonte, l'arido deserto, e le minuscole, orribili nere figure che si avvicinavano a loro.

E mentre le voci
la voce
si alzava, arrivava frammentata alle orecchie del Dannato, questi alzò la testa, per osservare una nuova figura, che istanti prima non aveva notato.
Sopra di loro, in quella che pareva un'antica Velta, una Torre in costruzione c'era Shakan. Il Guardiano non l'aveva mai visto, non sapeva il suo nome, ma era con loro prima, ne aveva percepito la potente aura. Potente come una divinità, troneggiava su tutti loro. Sapeva che era lui.

image


...

E non importavano le parole che giungevano alle proprie orecchie; a lui non importavano gli ordini del Re
(a solo un Re avrebbe potuto riferirsi, non poteva essere che lui)

ma in quanto Dio, egli avrebbe dovuto morire. E con lui, tutto il suo potere.
Alexandra era scomparsa, Eitinel dimenticata in quella terra brulla e priva di vegetazione.
Ma c'era Shakan.
Un altro Dio, un altro essere eletto.
E come la voce aveva svelato, corrotto dal Male.
Da solo una cosa.
Una cosa che, il Dannato, aveva perduto da tempo.

corrotto dal
d e s i d e r i o

E per questo, voleva vendetta contro chi gliel'aveva sottratto.

U N A D I V I N I T A '

-

Si alzò a sedere, puntando i gomiti su ciò che prima era stato una lastra di marmo.
Estrasse la spada, puntando coi vitrei occhi l'essere in alto.

« E' anche lui un Dio ... E anche lui, deve morire ... »

Parlò più per se stesso che per un ascoltatore, ma sperò che le sue parole fossero sentite.
Perché questa volta era diverso.
Questa volta non doveva toccare a lui, il compito.

Era solo un supporto.
Questo Dio, a lui non interessava. Ma avrebbe aiutato a eliminarlo. Oh, sì.


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Mentre corvi, gracchianti, si alzavano in volo, liberandosi da quel posto, togliendosi dall'odore di morte. O pregustando, invero, il momento in cui avrebbero potuto divertirsi.
Se ciò fosse Reale o no, non importava. Ormai, da tempo aveva il Dannato smesso di chiederselo. Perché, la risposta, era che non era né Reale né Immaginario. Era in un Sogno, cosa poteva sapere oltre?

Osservò la folla informe, arrivargli vicino, circondare lui e la ragazza non troppo distante, prima di alzarsi, in definitiva, in piedi.
Era ora di cominciare.
Bloccò la spada a mezz'aria, in procinto di sferrare quello che pareva essere un fendente, nell'osservare attonito che la figura davanti a lui, altri non era che un uomo, vivo, in carne.
Come poteva essere vero?
Lo colpì nel petto, con le unghie, ma non ebbero effetto. Il corpo di Hocrag fu trapassato, etereo, nebbia oscura in un'aria afosa e piatta. I suoi occhi, invero, osservarono la Realtà del S U O S O G N O
E gli esseri, regredirono a mostri informi e malati, malattie stesse d'un arido deserto. Mandati da Shakan, che, ancora, regnava su di loro.
Con un rapido movimento del braccio tagliò con la spada a metà il mostro, dopo che questi lo aveva aggredito con i feroci artigli; ed egli, subito, privo di un'ulteriore forza, attonito nella sua impossibilità di trasmettere emozioni
(qualcosa di simile a te, Dannato; in fondo ti somigliano, non trovi? Esseri espulsi dalla vita, e dalla MORTE)
si accasciò al suolo, sgorgando melma nerastra dalle sue viscere.
Ma come lui, molti.
Molti, simili, sebbene solo con riluttanza riuscì ammetterlo, a lui stesso.
E la furia divenne ingestibile, il tempo per i pensieri si ridusse, la spada prese a vorticare, ma il Guardiano era ormai pronto. L'obiettivo di non fallire ancora, nell'uccidere una divinità o chi per essa, era troppo forte.
Respinse l'attacco di un paio di esseri, questa volta non con l'aiuto della spada, ma con l'aiuto delle gambe: gli abominii non si distrussero, ma si trascinarono indietro e con loro altri, che caddero e si tennero lontani per qualche manciata di secondi.
Giusto il tempo necessario.
Il Portatore portò le braccia vicine, gesti fugaci, mentre la sua mente si preparava. Una sottile linea, infine, di un tenue bagliore biancastro, si formò intorno al Dannato, circoscrivendo una minuscola porzione di quell'infinita piana arida, comprendendo,
con la coda dell'occhio la vide
la ragazza accanto.
E qualche altro mostro.
Ma ci mise troppo tempo. Una zanna gli si infilò nel braccio sinistro, mentre portava le braccia all'infuori, lasciando un solco nel suo puro, troppo puro per essere innocente, braccio. Puro, eppure in parte trasparente. Perché, il suo corpo, non era più Reale.
E urlò. Ma non a causa del dolore: questo, o quello che sembrava, lo faceva sentire vivo.
Il suo corpo ci mise solo qualche istante a chiudere, alla vista, quello squarcio diagonale, ma la sensazione rimase un paio d'istanti ancora. E poi, l'occhio riprese a gelare, il dolore a svanire.

Odiava il suo corpo.
Non poteva soffrire, non poteva provare alcuna emozione... Perché era successo? PERCHE' LO AVEVA DESIDERATO?
Volle uccidere Shakan. Là in alto, poco sopra la barriera che aveva creato il Dannato, era ancora visibile. Lui, era un Dio. Lui, era crudele, come tutti quelli a lui simili... Come Eitinel. E avrebbe patito ciò che si meritava.
Ma, in quel momento, non grazie ad Hocrag.

« Ucc...IDILO! »

La spada estratta si tinse ora di un bagliore, anch'essa, forse perché già sapeva cos'avrebbe dovuto sopportare. E fu più facile ancora distruggere i demòni che infestavano residui la parte di piano circondata con una barriera, e pochi ne rimanevano. Tentò di distruggerli tutti, quelli che continuavano ad arrivare, mentre la maggior parte erano chiusi fuori.
Con un colpo di spada, un ennesimo colpo di spada, un altro essere fu infine distrutto, e tornò a puro n e r o liquido.

Volevano il loro corpo, volevano distruggere per servire il padrone, il Dio che li comandava.
Esattamente ciò che il Guardiano era per Eitinel.
Nulla più che un servo, servi, incatenato per l'eternità, burattino nelle mani della sua padrona, mandati ad uccidere per volere altrui. E il suo destino, la sua vita, la loro identità, erano persi per sempre.

Lui, come loro.
Ansimò.
Il suo respiro si fece rapido, affannoso. Quando la barriera avrebbe ceduto, non sarebbero riusciti a resistere ancora per molto.
Dovevano bloccare l'avanzata sul nascere, da ciò da cui provenivano.
Dal Dio.

E ora, dipendeva tutto da lei.




image

[ReC 400.][AeV 175.][Perf 125.][Perm 525.][CaeM 200.]

Status Fisico. » Sfasatura parziale dell'avambraccio sinistro, come Malus dello Scrigno. (danno Basso); botta causata da un masso alla parte destra del corpo - praticamente non più sentita. Taglio semi-profondo nel braccio sinistro -curato esteriormente e il dolore svanito grazie alle passive.
Status Mentale. » Desideroso di uccidere Janz, concentrato nel permettere a Zaide di portare a termine l'opera.
Energia Residua. » 49%

Attive utilizzate nel turno. »
l a p r i g i o n e d e l l a l u n a
Sembra che i diversi piani spaziotemporali possano tra loro trovare un'intersezione, un punto in cui si uniscono. Se altri piani interferiscono con la Realtà, vi saranno dei problemi, dei limiti alla Realtà stessa, in questo caso. Con l'unica cosa visibile che sarà una sottile linea luminosa lungo il terreno.
Dopo qualche secondo di ferma concentrazione e una spesa di energia pari a Medio, Hocrag può fare interferire due di questi piani, per poter circoscrivere l'area del duello in un cerchio invisibile dalle dimensioni variabili da un diametro minimo di cinque metri a massimo di dieci. Da questo momento in poi sarà impossibile uscire dal cerchio, che avrà come formato delle pareti invisibili lungo la circonferenza, impossibili da superare.
Tutto ciò non ha valore per il mezz'elfo, che può viaggiare tra i livelli spaziotemporali quanto vuole: può uscire e rientrare nel cerchio come e quando lo desidera. Le pareti invisibili sono abbastanza alte, ma possono essere anche valicate volando o con un grandissimo salto, prima che scompaiano al termine del secondo turno, a partire da quello di attivazione, o prima, distrutte da un danno totale pari a Basso.

l ' a r m a d e l l a l u n a
Con una breve concentrazione sulla Silverlight, essa si ricopre di un alone candido. Della luce lunare. Della luce della Dea. Il mezz'elfo deve solamente concentrarsi, perché la forza della Dea sia con lui e infonda un'alta energia nella sua lama. In fondo, è della stessa energia che la spada è stata creata. D'ora in avanti, l'arma infliggerà pesanti danni, e lascerà profonde ferite, indipendentemente dallo sfiorare o meno l'avversario. E sui Demoni, i principali nemici della Luna, avrà una maggior efficacia.
Ogni colpo inferto dalla lama in seguito all'attivazione della tecnica va considerato come un colpo di livello medio, che non potrà ad esempio dividere in due le tecniche scagliategli contro dall'avversario, ma potrà distruggere barriere e altre tecniche difensive di livello inferiore al medio. Il potere dura due turni compreso quello d'attivazione, svanendo al termine del secondo turno.
Un'ottima tecnica per contrastare le creature della notte, con la luce della Divinità che illumina ogni cosa. [Incastonata nella Silverlight, 3 utilizzi a duello]


Attive dai turni precedenti. »
Passive in uso. » Immune al colpi fisici in stato di calma (persa durante l'attivazione della tecnica Prigione), chiaroscuri che gli percorrono il corpo, vista notturna, percezione Auspex, influenza psionica passiva, difesa psionica passiva (anche da dolore fisico), le difese psioniche contano un livello superiore in stato di calma (annullando il malus del Ba Xian), può cambiare aspetto e nascondere le ferite, non sviene al 10% di energia.

Consumo energia tecniche. » [Trentasette.][Diciassette.][Sette.][Due.]
Note. » Questo post dovrebbe, almeno spero, essere più semplice da capire. La prima parte, anche dal punto di vista dello stile, è più contorta, semplicemente perché, oltre al Sogno di Hocrag, la condizione in cui si trova, si aggiunge il Sogno di Shakan, che interferisce, causando turbamenti e una sovrapposizione di mondi e Sogni paralleli. Quello di Shakan ha la meglio, e, come viene descritto dal post di Eitinel, l'ho immaginato troneggiante più in alto rispetto a me e Zaide. Le parole della dottoressa in questo senso sono quasi superflue, perché già di suo il Dannato sa che egli dev'essere ucciso, in quanto divino. Ma non essendo direttamente legato a lui, e avendo fallito ad uccidere Alexandra ed Eitinel, preferisce questa volta che sia Zaide a portare a termine il lavoro, anche se non la conosce; era legata a Shivian, personaggio importante (per il Ba Xian) per Hocrag, oltre al fatto che si trovano entrambi in mezzo ai mostri, e questo gli basta. Quindi cerca di ostacolare l'avanzata degli abominii, prima semplicemente con la spada, poi creando una barriera intorno a loro che ostacoli l'ulteriore avanzata, ed infine attivando Arma Sacra incastonata nella spada, che gli permette di essere facilitato nel compito di lasciare libera Zaide. Essendo che la barriera è aperta sopra, ho immaginato che Shakan si può ancora vedere, e il Guardiano incita l'ormai alleata a sfruttare il momento buono per ucciderlo. Un altro Dio da distruggere.
Musiche di Atmosphere.


 
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view post Posted on 2/6/2011, 14:36
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La Caduta degli Dei
Valzer Al Crepuscolo
II Turno

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Hai mai osservato il mondo?
Contorto, nel proprio confuso caos.
Hai mai osservato i suoi confini lontani?
Ti sei mai soffermato sulla sua placida astrattezza?

Il mondo non può dirsi un artistico artificio perfetto, invero.
Guarda il moto di perversione informe che lo attanaglia.
Quel male diffuso che lo contagia come un'infezione.
Guardalo distruggerlo dall'interno, svuotarlo.

Hai mai pensato che il vero problema del mondo, fossimo noi?

Quell'infezione diffusa fosse proprio quella corruzione che noi vi abbiamo portato?
Non esiste il concetto di corruzione in natura, per vero.
Siamo noi mortali, che l'abbiamo generato.

O meglio, v o i mortali.


I
mperante. Come un trono dorato in un salone di solenni vestigia, mi ritrovavo sovrano su di una torre squarciata dal tempo e dalla cupidigia, in un mondo arido, in un regno distrutto: assorto, in un caotico silenzio di lamenti e dolore. Riducevo l'enormità di quella presenza, nell'attimo fatidico in cui decidevo di osservarla: dischiuso in un desiderio di onnipotenza che contagiava la mente ed il corpo, resistevo a fatica - mancando, talvolta - alla tentazione di ritenermi sovrano e padrone di un nulla dilagante che avrei chiamato come mio figlio, e cresciuto come tale. Ricostruito, dalla base dell'eternità: ricomponendo un'umanità che pareva non essersi meritata la mia pietà, la mia clemenza. Ed il fatto stesso che anche nei miei pensieri iniziassi a considerare l'idea che tale clemenza dovesse essere da loro guadagnata, era segno tangibile che quella divina perversione iniziava ad intaccare anche quella minima frazione di animo che mi sforzavo di considerare ancora lucida, ancora u m a n a.

Lottavo per me.
Lottavo per la mia umanità.

« Have you ever observed the world, Finnegan ?
Twisted, in his confused chaos...
»


P
arlavo a me, e parlavo a lui. Riflettevo su quell'eternità, su quel silenzio distorto in cui avevo richiamato le terre conosciute, parlando alla mia vittima come fosse un interlocutore attento. Perché avevo bisogno che mi ascoltasse, che qualcuno mi sentisse: perché avevo bisogno che qualcuno confermasse che quel volgere malvagio fosse, in qualche modo, giusto. Ma il mio interlocutore non poteva sentirmi, invero: avevo estratto la lama dal suo capo, con la stessa perizia con cui si leva il coltello dalla carne appena sezionata. L'avevo fatto distrattamente, senza artificio o rimorso: l'avevo fatto osservando l'orizzonte, e considerando il moto distruttivo nel qualche volgeva tutto il creato. L'avevo fatto, riflettendo sulla caducità del tutto, e sulle conseguenze del mio potere. L'avevo fatto, senza considerarne le conseguenze: senza capire cosa gli fosse successo, poi.

« ...Finnegan? »

Eppure, non poteva ascoltarmi.
Anche volendo, non avrebbe potuto sentirmi.


L
o sguardo di Finnegan lo vidi già vuoto, fissato oltre l'orizzonte, in un punto incerto del cosmo. Invero, però, non fu tanto quello a stranirmi: vidi il suo corpo scivolare lento ai bordi della sommità della Torre, dalla quale svettavo ancora. Lo vidi portato lì da alcuni di quelli stessi corpi, uomini, donne e bambini, che seguitavo a torturare con la mia potenza. Li vidi accarezzarlo, togliergli le vesti, asciugargli il sangue, lambirlo con le proprie bocche.

Lo curavano?
Che cosa c a z z o facevano?


E
ppure, no: la realtà trascese presto i miei più turpi orrori. Le lingue bagnate di sangue rosso, si contorsero in smorfie di piacenza, mentre le bocche, impastate, parevano affannarsi nel desiderio di riguadagnare, ancora una volta, un secondo sorso, quasi fossero ricolmi di ambrosia. Ed il passo successivo fu breve, al terzo sorso, un primo uomo addentò piano un lembo di pelle, e quasi riuscii a sentirne una risata sommessa, mentre costatava il gusto ancor maggiore che quel pasto prelibato aveva nel suo stomaco. In breve, altri lo seguirono: altri lembi di pelle, altri morsi. Poi un dito, un orecchio, una mano: ben presto, decine e decine di uomini, donne e bambini, si avventarono su Finnegan, divorandolo fino allo scheletro.

Ed in quel frangente mi accorsi, di loro.

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L
i vidi camminare in ogni dove: rivolgersi alla torre di velta con sguardo libidinoso, occhi sbarrati e ghigni stampati sulle bocche dentate di fame. Li vidi mutare, rifuggire quell'umana condizione di dolore che io avevo donato loro, per riguadagnarne una più consona alla perversione che ne aveva fatti suoi figli: cambiare in mostri, abomini, parti dell'incubo, che correvano affamati verso la torre, investendo, divorando e distruggendo qualcunque cosa ostacolasse il loro passo. E vidi qualcuno, nelle profondità del creato, ai piedi della torre, resistere alla loro venuta, combattere per la vita, difendere, con strenua resistenza, la viltà di un'umanità che era ancora propria loro, ma che - di questo passo - sarebbe sfuggita di mano. Mi parve riconoscerne i volti e le facce di alcuni dei contententi: alcuni degli avventori del Gorgo che avevo incrociato nell'ingresso alla Torre di Velta, quand'ancora imperava nella sua integrità nella nera cupidigia del bacino che la circondava.

Resistere per la vita.
Perché resistere ? Io non dovevo resistere ?
Io ero d i v i n o.


E
ppure, mi stranii: due degli abomini, terminato di banchettare con Finnegan, parvero fissarmi un secondo, per poi avventarsi su di me. Mi rendevano omaggio? Loro come tutti gli altri? Le loro fauci si spalancarono improvvisamente, rivelando l'enormità di zanne informi che risiedevano nelle loro gole: bestie, nient'altro che bestie affamate, che attentavano alla mia divina carne, riprovando ad assaggiare la potenza del paradiso. Paura: un leggero brivido che mi parve - distintamente - di ricordare come paura. E bastò un braccio per allontanarne la prima, che fu scagliata oltre il parapetto della torre di Velta: e mi bastò un calcio, per sfondare il cranio della seconda, che esplose in coriandoli di rosso colorati, ai miei piedi.

« How dare you, disgusting creatures ? »


A
nche il mio io corrotto, perverso, trasceso di malvagità, rimase inerme di fronte alla scena, e parve incassare il colpo ben oltre quell'attentato all'integrità della mia carne. Parve sfaldarsi, come neve al sole, la convinzione di una propria imperante supremità, a fronte della incresciosa scoperta di quel tutto di male: di quel tutto fatto di insaziabile fame, di cupidigia malversa. Tutto parve crollare alla scoperta che il bacino intero, ricolmo di creature informi, non aveva intenzione diversa dalla semplicità della mia carne: volevano divorarmi, tutti. E, per quanto incrociassero i due ai piedi della torre, che resistevano strenuamente, loro non avevano altro obbiettivo che me. Alcuni, li superavano - incuranti. Alcuni si arrampicavano sulla torre: molti, già mi circondavano.

Avevo paura per me.
Avevo paura per i due ai piedi di Velta.
Avevo paura di m o r i r e.

« How dar-vi permettete, disgustin-ose creature? »


L
entamente, quella stessa paura consumava la nera cupidigia che aveva racchiuso il mio cuore. Come frammenti di cristallo che si svaldavano, piano, ogni paura - ogni occhio di quelle creature, ogni tentativo di morso della moltitudine che, ormai, mi circondava, contribuiva a distruggere una mia certezza, a dissolvere una mia porzione di divina potenza, e - comunque - a farmi riguadagnare una consapevolezza nell'animo e, sopratutto, nel corpo, che mi faceva ritrornare più umano di quanto non credessi di poter essere ancora.
E ad ogni colpo la fatica aumentava, l'aura nera che mi avvolgeva diventava meno pulsante, i cerchi concentrici sul mio capo divenivano sempre più piccoli, fino a scomparire del tutto. Io trascendevo, al contrario, da divino ad uomo. Spaventato - terrorizzato - ma, in cuor mio, quasi felice di essere umano.

Di m o r i r e da umano.


P
oi una voce si levò dal caos: dalla massa informe di corpi, distinsi qualcosa, anche se non qualcuno. Distinsi le roboanti invettive di una voce estranea ma che, in quel contesto, mi parve come la più lucida delle sentenze. L'unica, o - forse - la sola che avesse compreso e capito il volgersi astratto di quella nuova, ennesima, realtà. Una voce che avevo già sentito - prima di allora: ma che, semplicemente, non avevo mai deciso di comprende, di capire.

O di ascoltare davvero.


E' questo che desideri, Shakan?
Ucciderci tutti e prendere il potere dell'Asgradel solo per te?
O questo è solo un ordine del tuo Re? Lo stesso che ha spedito, assieme a Lia, anche te,
la sua migliore spia, alle pendici di Velta?


Il Re?
Lia?
L'Asgradel?

« Aaaaaaaaaahhhhhhrrrrrggggg...! »



E
fu un nuovo urlo, preceduto dal dolore pulsante di un morso potente che attentava appena alla solidità del mio avambraccio. Una delle creature mi raggiunse, rempiendosi le labbra del mio sangue, e parve non curarsi - affatto - di una divina potenza che, ormai, non pareva più interessare alcun lato di me. Ero tornato uomo, e lo avevo fatto piombando nella paura e nello sconforto di aver subito l'ennesimo tranello.

C
onoscevo, Lia. Avevo sentito parlare della Chimera - nelle terre del Regno, vagamente - inconsciamente. Sussurri lontanti, per vero: nient'altro che favole e leggende, forse. Niente che mi avrebbe confortato dal tumulto informe che mi pervadeva: io, una spia? Qualunque fosse la realtà che mi circondava, non avevo modo di evadere dall'idea che - per l'ennesima volta - tutto quanto non fosse altro che un inganno del Re, della sua potenza, della sua malvagità. E che io, ancora una volta, stavo ricadendo nel suo gioco, contribuendo al suo piano, senza possibilità di distoglierlo da qualunque fantasia che ne avrebbe aggraziato la vittoria, una volta di più.

Lacrime scendevano dai miei occhi.
Frammenti di azzurdo, misti al rosso del sangue di cui ero sporco.
Mentre decine di abomini ormai mi circondavano: e non avrebbero avuto pietà di me.


E
ppure, c'era qualcosa: l'idea o la possibilità, che più aumentassero gli inganni, più mi avvicinassi all'asgradel. L'idea o la possibilità, che il pericolo aumentasse proprio nell'istante in cui mi avvicinavo alla meta. L'idea o la possibilità, che tutto non fosse altro che l'ultimo inganno per dissuadermi dall'idea di proseguire per esso. E, benché fossi ad un passo dalla morte, non avrei avuto mai intenzione di cedere ad essa senza lottare. Senza resistere: e di farlo sapere al mio nemico.

E
vocai tre dei miei fantasmi attorno a me: i loro corpi traslucidi ed opachi, riflettevano la vacuità delle mie possibilità, ma il candore della mia idea: ormai libero dalla perversione di quell'oblio, mi sarei fatto largo tra quel male con la forza della passione. Con la forza delle mie idee: e loro, i miei tre fantasmi, mi avrebbero aiutato in quello.

« Questo n o n è il mio desiderio! »

Urlai al cielo, in un punto impreciso del mondo. Sperando che chiunque mi sentisse: anche, e sopratutto, quella voce lontana.

« Il mio desiderio è fatto di speranza!
Speranza per il mondo, speranza per il Regno,
e speranza per quello stesso Re che tu dici mi stia guidando!

Il mio cuore non si vende alla sua cupidigia.
Perché quella cupidigia l'ho vista coi miei occhi,
e non vi ho letto altro che m o r t e, in essa!

Il mio desiderio è la volontà dei deboli!
E' la volontà di un Regno che ha bisogno che il suo Re sia liberato dai tormenti!
E' la forza di chi lotta strenuamente per la vita, per la pace!

In nome di questi, io darò la mia vita, oggi!
In nome di questi, affronterò te e chiunque altro!
Hai innanzi a te un uomo libero da ogni vincolo, adesso...
»


G
li artigli estratti, si dischiusero in numerosi fendenti, ai danni degli affannati mostri che si avventavano su di me. Ordinai ai fantasmi di muoversi in cerchio attorno a me, e di colpirli senza pietà, di modo che potessero fiaccarli prima che raggiungessero la mia carne. Di modo che potessi finirli, prima che la fatica finisse me. E richiamai a me tutta la forza residua, per resistere strenuamente a quella lotta senza fine: caddero uno, due, cinque, quasi dieci di loro, dilaniati dagli artigli miei e dei miei schiavi. Fintanto che le gambe mi avrebbero retto, ne sarebbero caduti altri.

« Ed ora mostrati a me, se hai coraggio.
Mostrati a me, se ti ritieni altrettanto degno...
»



ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%



image

Del Fisico: Cicatrici sparse sulle braccia, 3 tagli sul braccio sinistro, 1 taglio leggerissimo al collo, 1 morso non profondo all'avambraccio sinistro (Medio, 88,50%).
Del Psichico: Stabile (Medio, 88,50).
Dell'Energia: 67% - 9% 6% - 15% = 46%

Delle Attive:

CITAZIONE
"Il fantasma siamo tutti noi". Le alleanze in battaglia sono fondamentali. Shakan, per ovviare alla solitaria condizione che accompagna la sua vita, può evocare in battaglia dei guerrieri al suo fianco. Concentrandosi almeno un secondo, infatti, evoca accanto a se, a una distanza massima di un metro, una copia di se stesso che lo accompagna durante il duello. La copia si presenterà uguale a Shakan nel momento dell'evocazione, ma sarà armata soltato del guanto artigliato indossato sul braccio sinistro: la copia, però, si presenterà traslucida e opaca, con gli occhi completamente bianchi e lucenti, senza pupille, conferendogli un evidente connotato di "trascendenza". Shakan potrà evocare fino a tre copie contemporaneamente e queste andranno trattate come veri personaggi, non autoconclusivamente. La forza sommata delle copie è pari a un livello energetico inferiore a quello dell'evocatore. La somma delle copie evocate andrà considerata come una evocazione di potenza bassa e queste resteranno sul campo di battaglia per un totale di due turni, per poi svanire nel nulla. [Pergamena necromante "Scheletro rianimato", Gialla, Attiva, consumo Medio]

Delle Passive:

La Solitudine... (razziale): difesa psionica passiva
L'Illusione mi scorre nelle vene (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione;
L'Illusione è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%;
L'Illusione non ha ostacoli: (personale) illusioni non riconoscibili con abilità passive;
Il Potere mi ha corrotto (personale di metagame): permette di usare abilità necromante;
Il Fantasma li rende eterni (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici;
Anello del Potere: consumi ridotti di 3%, ma mai sotto l'1%, non cumilabile col risparmio delle illusioni;
L'Abiezione... (personale): ammaliamento psionico passivo, induce terrore nei presenti;

Delle Armi:

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli estratti;
Frusta: legata alla cintura

Del Riassunto:

Shakan vede Finnegan divorato dagli uomini e si accorge che questi si trasformano in abomini, insieme a tutti quelli attorno alla torre, e che tutti vengono contro di lui. La sua ricaduta nella "mortalità" è simboleggiata dalla perdita delle certezze quale divinità e, contemporaneamente, dal dolore del corpo. Poi, tornato umano, usa la media per evocare 3 fantasmi intorno a se che gli facciano da "scudo" contro le creature", e prova a resistere all'assalto, uccidendo una decina di creature.

Delle Note:

1) I fantasmi, lo ricordo, sono immuni al danno fisico (grazie alla mia passiva), per questo ho considerato che - anche a fronte delle limitate armi di questi - resistano un pò di più del normale, limitandosi a fiaccare le creature che io uccido. Comunque ne uccido 10 con questa strategia, quindi 10 in totale;
2) Come detto, la trasformazione di Shakan che torna umano, si intende nelle parole, nella psicologia e nelle movenze: egli perde le proprie certezze da divinità, vedendo che tutti gli abomini vogliono mangiarselo, e quindi la mia lucidità torna a prendere il sopravvento. La botta finale sono le "insinuazioni" della voce: naturalmente Shakan non coglie il riferimento all'abilità che gli ha donato Ray, ma intende che - forse - è tutto, in generale, un tranello di Ray, l'ennesimo;
3) Ho citato appena Goth e Zaide perché ora Shakan è più preoccupato per se, in verità, che per gli altri, cmq non li ho ignorati del tutto, mi sembra;
4) Ho scritto che conosco Lia, perché Lia è un mostro del Toryu, e Shakan, essendo del Toryu, nonostante non l'abbia mai incontrata, è ben possibile che ne abbia già sentito parlare, almeno vagamente, pur non sapendo che è un Asgradel artificiale;
5) Era anche ora, d'altronde, che Shakan udisse le parole della dottoressa >_>;
6) Spero di non aver travisato nulla.

edit: correzione errori sparsi
 
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view post Posted on 4/6/2011, 10:39

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Il tempo dei sogni non coincide mai con quello, inevitabile e perfetto nella sua ossessiva staticità, della realtà.
Non ha confini, non ha regole.
Vive e pulsa di vita propria come una farfalla impazzita in balia del vento, pronta a posarsi sul primo fiore disposto ad accoglierla tra i suoi petali candidi.
Anche se sono quelli mortali di una dionea.
Purché il vento cessi.

Il tempo dei sogni non esiste al di fuori di noi.
Non esiste in senso oggettivo e non ha ragione di esistere libero dal vischio della mente umana, perché è solo lì che trova il suo nutrimento. Il senno. La razionalità che a poco a poco si sgretola e si scioglie come un acquerello sotto i colpi di un pennello umido, di cui i sogni, perversi e innocenti, si cibano.

Velta. La Torre. Il Crollo. Shivian.

Non era possibile, non era r e a l e una simile catena di eventi in un solo istante. Zaide aggrottò la fronte, ignorando il dolore pulsante alle tempie che le rammentava in continuazione l’irrazionale assurdità di quella situazione. Un sogno allora? Impossibile dirlo.
Ciò che Zaide provava, inerme farfalla alla deriva nella tempesta, era una confusa accettazione di ciò che le scorreva insensatamente davanti agli occhi. Si sarebbe posata incautamente anche lei sul petalo candido, pur consapevole del dolce pericolo della promessa.

Purchè finisse. Tutto. Quell’ignobile balletto.

Il vento si levò da un punto imprecisato a ovest, soffiando rabbioso e caldo tra i capelli della giovane, rude carezza dal profumo del fuoco. Zaide chiuse gli occhi, respirando gonfia di rabbia quell’ennesima spirale di irrealtà in cui sentiva di scivolare un istante dopo l’altro.

In una stanza chiusa non avrebbe dovuto esserci il vento.

Né la sabbia che ora le lambiva le caviglie nude con il suo pungente saluto.
Né l’inconfondibile, ben noto profumo di desolata immensità che accarezzava i suoi sensi.
Basta! Basta!
Nessun urlo uscì dalla sua gola riarsa. Nessuna lacrima inumidì le ciglia serrate, secche per lo scirocco. La sentiva incombere. Di nuovo. Inevitabile. Strisciava nella sua mente e le addormentava la rabbia, stordendola in un mondo onirico senza uscita: la rassegnazione, vergognosa e subdola, meschina. Avrebbe accettato anche questo nuovo gioco, pur di non soccombere.
Vigliacca.
Ma quando riaprì gli occhi, Zaide non poté fare altro che arrendersi all’evidenza: quella era la realtà, o perlomeno non aveva idea di cos’altro potesse essere, per quanto assurdamente imprevedibile.

Il deserto rosseggiava tutt’intorno, stendendosi a perdita d’occhio fino a un orizzonte dal colore indefinibile, cupo e fiammeggiante al tempo stesso. La terra riarsa boccheggiava aprendosi in crepe disperate che si allargavano in pericolosi crepacci, simili a bocche fameliche pronte ad ingoiare qualunque cosa fosse stata tanto incauta da precipitarvi.
Ma lo sguardo non poteva che andare a correre, come calamitato da una forza irresistibile, verso il fulcro di quel mondo morto e corrotto: eccola di nuovo, avvolta da un’aura di distruzione che non aveva risparmiato nemmeno lei. La Torre di Velta non esisteva più. Quella che solo pochi minuti prima era la costruzione più elegantemente regale che Zaide avesse mai visto, pur nella sua decadenza, ora non era che uno scheletro carbonizzato eretto nell’aria dal colore rosso cupo come un braccio rinsecchito proteso inutilmente verso il cielo.

L’emblema morto di una realtà morta.

Sacrario di un nuovo dio portatore di rovina e desolazione.

Reliquia di un trono illegittimo, su cui l’aberrazione fattasi uomo (o divinità?) dominava il deserto circostante, circonfusa di un alone di mortale trionfo. Una luce malefica irradiava dal suo volto già temibile, e che ora calamitava gli sguardi in modo talmente prepotente da far male. Era come guardare il bagliore del Sole, e al tempo stesso l’oscurità della notte più nera: Zaide non poteva, suo malgrado, distogliere lo sguardo dagli occhi bianchi di quel dio mostruoso che l’aveva inquietata anche da umano, un tempo che ora sembrava così remoto da essere quasi dimenticato.

La sua spada grondava sangue.

Gocce dense colavano lungo l’elsa, stillando al suolo come petali di ciliegio.

E un altro corpo giaceva, privo di vita, ai piedi di ciò che restava della Torre di Velta.
Il guerriero.
Li avrebbe uccisi tutti, ora Zaide ne era coscientemente consapevole: li avrebbe presi uno a uno come topi in trappola se avessero cercato di fuggire, ammesso che si potesse fuggire fuori da quell’incubo che ora sembrava protrarsi oltre ogni limite sopportabile.

E' questo…


D’un tratto, un mormorio diffuso e indistinto prese a brulicare dal nulla, come un volo di calabroni distanti. Sagome impercettibili sorsero dalle rovine incenerite, torcendosi tra le macerie come serpenti, innalzandosi dalle crepe riarse come scheletri dalle tombe, in lenta ed inesorabile marcia...

… che desideri…


...inarrestabili, compatti come un esercito e vacui come marionette.
Erano distanti ancora, ma sembravano crescere e moltiplicarsi a vista d’occhio. Bambini e vecchi dalla schiena curva, uomini dallo sguardo fisso e assente si muovevano come irresistibilmente spinti da un’inesplicabile attrazione verso la Torre.
Verso il Terrore.
Il loro dio.

… Shakan?



Shakan.

Nel crescendo confuso di voci e rumore, Zaide percepì distintamente una nota diversa, un timbro argentino e penetrante che le pareva di aver già sentito prima. Forse in un’altra vita, forse in sogno.
Le parve di intravedere una silhouette diversa dalle altre, così slanciata e aggraziata da apparire tremendamente fuori luogo in quel deserto di morte, ma non riuscì a riconoscerla in alcun modo. Una donna, certo. Così determinata e sicura della sua incolumità da non sembrare nemmeno reale.

Ucciderci tutti e prendere il potere dell'Asgradel solo per te?


image


La rivelazione fece voltare bruscamente Zaide verso l’uomo che torreggiava altero e incontrastato sopra di loro, così simile a un dio da suscitare un timore reverenziale, o un vero e proprio terrore sacro al solo sguardo. Dunque i suoi sospetti erano fondati.
Il potere di Shakan era incommensurabilmente superiore al suo e probabilmente anche a quello di Hocrag: con un moto di sollievo Zaide fu felice di scorgerlo poco lontano da lei, tra le guglie annerite, ma si accorse sgomenta che la donna con l’armatura non era lì. Impossibile non notarla. Ma della sua presenza non v’era alcuna traccia. Che il dio avesse già ucciso anche lei?
Sentì la rabbia ribollirle nelle vene, l’odio pulsare feroce nel suo animo promettendo vendetta.
Nemmeno un dio poteva permettersi tanta tracotanza da schiacciare come moscerini quelli che un tempo doveva aver considerato compagni.

L’avrebbe fatto pentire di quel che aveva commesso.

E poi sarebbe stata uccisa.

Lo sapeva.

Ma avrebbe fatto in modo che anche quell’immondo dittatore avesse guardato, almeno per un istante, il profondo delle iridi della Morte.
Ad un tratto, un clangore metallico riscosse Zaide dai suoi propositi di sangue: Hocrag, a pochi metri di distanza, era stato raggiunto da uno degli uomini che, ora era evidente, si stavano accalcando come formiche ai piedi della Torre con intenti tutt’altro che amichevoli.
I volti tralucevano di un riflesso maligno e arcano, come posseduti da una forza superiore che li rendeva inquietanti e spettrali. Con la coda dell’occhio vide il suo compagno sferrare un attacco micidiale al suo aggressore, che si afflosciò come un sacco vuoto su una delle guglie annerite della torre.
Con orrore, Zaide vide i tratti del cadavere tramutare rapidamente nei contorni sgradevoli di una maschera mostruosa, e volse nuovamente lo sguardo alla massa vociante sotto i loro piedi. Esseri deformi si accalcavano ormai vicini aggrappandosi con rapidità sorprendente alle sporgenze della roccia, strisciando sempre più rapidi verso la sommità dell’edificio, le tozze mani immonde protese in direzione dei tre umani (umani?) che li sovrastavano.

Zaide estrasse rapidamente due pugnali roteando le lame con rapidità nell’impresa vana di rallentarne l’avanzata: ma quelle mostruosità rivoltanti non parevano inclini a fermarsi per così poco. Le due lame sfrecciarono nell’aria con un cupo sibilo, e due di quelle creature vennero colpite alla gola. Rantolando persero la presa, precipitando a peso morto sui mostri appena sotto di loro; Zaide non si fermò a guardare se la fortuna le sorridesse, abbattendo gli esseri come le tessere di un domino, ma ripetè il lancio cercando di avvicinarsi il più possibile a Hocrag, aggrappata disperatamente a quello scheletro di torre che minacciava di crollare da un momento all’altro.

Uno sgradevole tocco viscido le afferrò la caviglia: una creatura immonda priva della testa attorcigliava un tentacolo spugnoso e tenace attorno alla sua gamba, immobilizzandola; il respiro le si fece affannoso nel tentativo di divincolarsi mentre altri abomini si accalcavano attorno a lei, bramosi della sua carne candida. Quella cosa orribile le piantò una fila di artigli acuminati nel polpaccio, strappandole un gemito di dolore quando si accorse che non sarebbe riuscita a sgusciare via con la sola forza.
Un altro sibilo seguito da un disgustoso rumore soffocato le confermò la buona riuscita del suo lancio: il tentacolo mollò la presa quanto bastava perché Zaide potesse rizzarsi nuovamente in piedi, nonostante la situazione fosse ora disperata.
Almeno cinque o sei creature erano pronte ad avventarsi su di lei, ma stavolta la giovane era pronta a tentare il tutto per tutto pur di districarsi da quella situazione spinosa: e certo, per quanto pericolose, quelle bestie non sarebbero state certo in grado di distinguere tra lei e le sosia che le avrebbero parato la via di fuga. I tre Specchi sorsero dal nulla in un baleno, disorientando per un attimo la massa brulicante prima di scatenare la loro furia squarciandone le pelli squamose a mani nude: un istante prezioso che permise a Zaide di insinuarsi tra le rovine e raggiungere Hocrag che, come lei, combatteva senza sosta per tenere a bada le creature.

E poi una luce arcana sprigionò da quell’enigmatico compagno e corse tutt’intorno a loro come un nastro luminoso che li cinse come un muro impenetrabile: le sembrò che lui avesse aspettato apposta che la distanza tra loro si accorciasse in modo da estendere la protezione anche a lei, nonostante il gesto gli fosse costato una ferita superficiale al braccio. Grata e stupefatta, Zaide si affrettò a pugnalare l’incauto aggressore che precipitò a terra impietosamente nella scia del suo stesso sangue.

Quand'ecco che la furia sembrò divampare in quel mistero vivente.
I suoi gesti parlavano chiaro: Zaide non doveva occuparsi delle creature rimaste all’interno del cerchio, che ora cadevano come fantocci orribili sotto i fendenti implacabili di Hocrag.

« Ucc...IDILO! »



Preghiera, invocazione, imperativo.

Un ordine disperato in poche sillabe pronunciate con sforzo estremo, che Zaide non poteva ignorare.

In fondo loro, tutti loro, non erano che creature che vivono un solo giorno.

Con lentezza, volse lo sguardo al di sopra del combattimento, dove il dio tutto vedeva e tutto decideva. Non c’era un istante da perdere, la ragazza lo sapeva bene: solo, intuiva che probabilmente quella sarebbe stata la sua ultima mossa. Poi la morte le sarebbe calata sul capo con la falce di quel dio spietato.
Il fragore della battaglia alle sue spalle la riscosse: Hocrag stava combattendo e forse sarebbe rimasto ucciso; il guerriero giaceva riverso da qualche parte nel deserto a marcire nel suo stesso sangue, e con ogni probabilità stessa sorte era capitata alla giovane straniera.
E Shivian era morto, Zaide non ne aveva alcun dubbio, per mano di quel mostro che si faceva adorare come una divinità.

“Ma non da me”, pensò rabbiosa, mentre una sorda furia le montava dentro.

Tese una mano davanti a sé, conscia della vibrante oscurità che emanava da quel luogo arcano: il sangue denso e nerastro colava dalle guglie tetre della torre un tempo candida, ora fosca come la notte più profonda. E le ombre sorsero, lentamente e avvolgenti, in dense spirali che si aggrovigliavano e si espandevano sotto le dita di Zaide come volute di fumo, sorgendo nel tetro crepuscolo in una sagoma spigolosa e inconfondibile dalla grandi ali squamose.

Il drago si era risvegliato.

Spalancò le immense ali nere e impalpabili, gli occhi di bragia fiammeggianti fissi nello sguardo vuoto di Shakan, ma non attaccò. Una spirale d’ombra sorgeva ancora dalle profondità della tenebra, alta e possente, contorcendosi fino a formare una figura umana che sovrastò ogni cosa, raggiungendo l’alto trono del dio suo pari. I lunghi capelli oscillavano come accarezzati dal vento dell’ovest, e lo sguardo fiammeggiante come quello dell’alato compagno prometteva vendetta.

Scontro tra Titani.

Shakan in qualche modo pareva più debole, più piccolo, più umano.

Solo un dio poteva distruggere un suo pari: e l'Ombra che si ergeva minacciosa come un pinnacolo nel deserto emanava tutta la regalità perduta nella morte.
Ed ora che era tornato, gli alleati erano di nuovo tre.

- T’inchioderò con catene indissolubili a questa vetta deserta, dove non potrai udire voce umana né vedere l’aspetto di alcuno dei mortali; e qui la vampa incandescente del sole infuocato muterà il fiore della tua pelle. - le parole di Zaide per bocca dell'Ombra risuonavano arcane nel silenzio del momento, come dettate da un oracolo imperscrutabile.

- Poi la notte con il suo manto trapunto di stelle nasconderà la luce, e tu non ne avrai conforto, e di nuovo il sole dissiperà la rugiada mattutina: ma sempre ti logorerà l’assillo del male presente, poiché non è ancora nato chi debba liberarti.

E l’ombra sfrecciò come una lama a colpire l’artefice della sua morte, il dio che si era levato su tutti loro come un folle giustiziere: la tenebra si sarebbe mescolata al suo animo torbido, a scalfirlo, – o forse – alimentarlo.


Il tempo dei sogni non coincide mai con quello, inevitabile e perfetto nella sua ossessiva staticità, della realtà.
Non ha confini, non ha regole.
Vive e pulsa di vita propria come una farfalla impazzita in balia del vento, pronta a posarsi sul primo fiore disposto ad accoglierla tra i suoi petali candidi.
Anche se sono quelli mortali di una dionea.

Purché il vento cessi.


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Zaide

Rec [ 250 ] AeV [ 225 ] PeRf [ 125 ] PeRm [ 450 ] CaeM [ 225 ]

[c. 33%; a. 15%; m. 6%; b. 2%]



Zaide cade vittima del sogno di Shakan, rinunciando a comprendere il senso degli sconvolgimenti che stanno operando attorno a lei: solo una rassegnata accettazione passiva di ciò che accade la salva dalla follia, ed è determinata a portare a casa la pelle prima che di capire.
Vede Shakan incombere sulla Torre di Velta carbonizzata come un dio e brandire la spada insanguinata sul cadavere di Finnegan: Zaide intuisce che il suo scopo sia quello di ucciderli tutti (crede che lui abbia ucciso Shivian e probabilmente anche Alexandra dato che non la vede lì con loro) e giura vendetta: sa che morirà, ma non verrà schiacciata come un topo in trappola.
L'avanzata degli abomini è contemporanea alle parole della Dottoressa, che Zaide percepisce chiaramente come conferma dei suoi sospetti; cerca di contrastarne l'avanzata sulla torre lanciando dei pugnali in rapida successione e riuscendo a toglierne di mezzo alcuni, ma uno di loro la blocca e lei riesce a liberarsene a fatica, per poi evocare tre Specchi (Miroirs, costo Basso) con il duplice scopo diversivo (conto sulla non particolare intelligenza delle creature) e offensivo.
Riesce infine a raggiungere Hocrag, dove viene protetta dal suo cerchio di luce; intuisce che il compagno pretenda da lei una sola cosa: uccidere Shakan, mossa inevitabile.
Zaide sa che non potrà mai riuscirci, il suo potere è troppo grande. Ma tenta comunque un'offensiva (anche psicologica, approfittando dell'apparente momento di debolezza del dio) evocando le ombre (Dominio delle ombre, costo Alto) che assumono prima la forma del drago che Zaide aveva già visto in azione al fianco di Shivian (per effetto del Ba Xian) e poi di Shivian stesso: da sempre Zaide ha intuito che il suo compagno fosse una sorta di "dio", anche se non conosce i poteri del suo artefatto, e pensa che solo uno scontro tra divinità (anche se una non è che un'ombra fittizia) potrebbe mettere fine a quel disastro.
NB: sono consapevole dei limiti della pergamena scelta (dominio delle ombre), ma altrettanto consapevole dell'impossibilità di poter sferrare un attacco mortale nei confronti di Shakan ^^: quindi, diciamo che è una scelta prettamente scenografica!
NB2: Ovviamente "ignoro" il mostro per il semplice fatto che non lo vedo, in quanto prigioniera del sogno di Shakan.

Note: Penso che sia evidentissimo il background letterario di questo post: a partire dalle citazioni iniziali e finali, e chiaramente in riferimenti sparsi qua e là nel testo (tra cui la "profezia" finale) si tratta del "Prometeo incatenato" di Eschilo, che mi sempbra l'opera più azzeccata parlando di "Caduta degli dei" (per riallacciarmi al post di Janz).
Il titolo significa "Coloro che vivono un solo giorno".
La citazione di chiusura (Zeus) è molto interpretabile: può essere riferita a Shakan, Ray, l'Asgradel.


Energia:
82%-2-15-10 = 55%

Stato fisico:
Tagli e contusioni alla gamba sinistra ma fondamentalmente illesa.

Stato psicologico:
Rassegnata a non comprendere; furiosa nei confronti di Shakan e determinata a ucciderlo.

Attive:
Miroirs [costo Basso, 2%]
Le Gibet -DUE- [costo Alto, 15%]

Passive in uso:
Scurovisione

Equipaggiamento:
Athame del Corvo con Trappola Annullante incastonata
Athame delle Anime
Set di 20 18 12 pugnali
Linfa vegetale

CITAZIONE
Miroirs: Zaide può, dopo un istante di concentrazione, generare uno o più alter ego in tutto e per tutto identici a lei.
Queste copie non sono una evocazione ma vanno affrontate come una vera e propria tecnica. Indipendentemente dal loro numero potranno creare un danno complessivo all’avversario pari al consumo speso per richiamarle. A scelta del loro evocatore potranno anche impugnare diversi tipi di armi o attaccare anche a mani nude nonostante il loro potenziale offensivo rimanga immutato; se non richiamate rimarranno attive un turno.
[Abilità personale offensiva - Consumo Variabile]

CITAZIONE
Le Gibet -2-:Il ladro riesce a dominare completamente l'elemento ombra. Potrà generare tentacoli d'ombra, spade, sfere, schegge et simili. Nel momento in cui attiverà la tecnica verrà come circondato da una strana aura nera che servirà solo a detenerne l'attivazione. Da questo momento il ladro sarà in grado di oscurare tutta la luce intorno a lui, per formare le sue ombre.
Il ladro può generare ombre solo nelle sue immediate vicinanze.
Per creare le ombre non sono necessari particolari imposizioni delle mani.
Le ombre si formeranno velocemente, e saranno quasi immuni al danno fisico, in quanto se colpite, si riformeranno dopo qualche secondo. Le ombre saranno particolarmente deboli al danno magico, e si frantumeranno dopo qualche magia efficace. In termini di gioco, contro difese di tipo fisico le ombre andranno considerate di un livello superiore. Contro difese di tipo magico, di un livello inferiore. Il dominio delle ombre permette manifestazioni solamente offensive dell'elemento scelto.
Consumo di energia: Variabile
[Pergamena blu Dominio delle ombre - Consumo Variabile]



 
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Foxy's dream
view post Posted on 7/6/2011, 22:58






Sogno. Splendido ricamo intessuto da ricordi e fantasia, da passioni e desideri, da ambizioni e impulsi primordiali. Un intreccio perfetto di trama e ordito, un inanellarsi di sensazioni e suggestioni animate dall’inconscio del torpore. Eppure è appena sufficiente un passo sbagliato, un varco saltato che il più bel sogno si tramuta nell’incubo più abietto dove il respiro è mozzato dalla frenesia della paura, dalla quintessenza del timore perché a far luce nell’angoscia la razionalità è molto, troppo lontana.
Lì in quell’antro oscuro, lì dove si è soli nella propria mente e si annaspa nel sangue di reminescenze più o meno lontane: non v’è via di fuga. Ci si trascina stanchi, col viso rigato dalle lacrime e con le mani sporche di terra, pronti a nascondersi dall’ennesimo fardello gravante sul cuore, sommerso e nascosto nella veglia, ma pronto ad essere eviscerato quando nel buio della notte si è soli e pavidi nel proprio giaciglio.
Come dimenticarlo? La fine di un regno, la morte di un popolo.
Stanca screziatura sul suo viso, in quelle iridi d’ambra fossilizzate nel dolore della propria anima, nell’eco altisonante di un ruggito ferino tra il crepitio delle fiamme e l’acre tanfo della morte.
Incubi, amare visioni. Dolori cancellati dalla dama che aveva scelto di difendere nel silenzio d’un bacio rubato, in quell’incresparsi di labbra spoglio d’amore ma intriso di speranza e devozione per un patimento sofferto da entrambi: tradimento.

Nella luce - avanti.
...

« Non... andare... »


Un bisbiglio. L’ennesimo inerte sussurro che smosse in lei un’altra pietra del muro innalzato a costituire una risolutezza fittizia, erto e realizzato su fallaci fondamenta di rinuncia alla realtà e menzogna fine a sé stessa. E poi il suo eco dimesso, la risonanza di un sentimento che la stava logorando ancor prima di quel conflitto, nel primigenio tentativo di riportarla alle origini per riprendere ad essere quel che era: l’ingenua ragazza che divenne regina, benevola e confusa dai propositi di equità e rettitudine di un’utopica prospettiva non condivisa dal mondo.

Luce, sempre lei.
Come una guida, un passepartout.
Ogni porta le si apriva sotto il riflesso di un raggio di sole, scorta silente di un percorso in ascesa, incredibilmente faticoso, ma ce l’avrebbe fatta anche questa volta, avrebbe vinto e messo a tacere quel disorganico brusio nel fondo della propria anima, assieme ai rimpianti e ai rimorsi di una vita intera costernata da fallimenti e occasioni perdute.


Era fuori, ora. Lo sguardo vagò rapido a destra e a manca per istinto, rapido, cresciuto nella diffidenza dell’inganno.
Gelò.
Il cuore mancò un colpo appena si vide circondata da una schiera senza fine di bestie la cui natura nulla aveva del naturale. Creature grottesche e malfatte, parto di una mente insana e folle, ammassate in terra ed altre ancora sotto la volta si stagliavano confuse e minacciose, come avidi strozzini pronti a pasteggiare col cadavere del prossimo caduto.
In quell’orgia di zanne e corna, di membra squamose e orride malformazioni, tutto precipitava in perverse sfumature riverberanti di malizia e oscenità, e al centro della sala, nell’epicentro del marasma pronto a scatenarsi, nuovamente quella donna con una bambina fra le braccia: presumibilmente la più volte nominata Lia.
Parlava ancora, instancabile, delirante, persa nuovamente nell’ennesimo sproloquio, teatrante alla prima su di un palco senza spettatori se non per una donna bardata di nero, in fronte a lei, armata di nulla se non della sua semplice persona.

" Benché deforme e misera, ella vibra della stessa anima dell'Asgradel.
Così nell'esatto momento in cui esso ha spalancato i suoi occhi, anche Lia, sua infima copia, non ha potuto far altro che destarsi a sua volta. "


Un riflesso dell’Asgradel, quindi. Un’immagina residua il cui suono era assai affine al vibrare del primo ma allo stesso tempo lontano e imperfetto in quanto copia.
Si indurì nello sguardo.
No! Non le importava - non le doveva importare nulla di quanto stava udendo sebbene in esso fossero racchiuse verità nascoste ai più. A lei importava - le doveva importare solo il porre fine a tutto come una panacea al male più insanabile, sebbene quel percorso non fosse che il proemio di un’epopea dall’esito incerto.

" I bambini piangono quando sono tristi, mia cara Alexandra."
" Lia ha imparato a Cantare."
" Ma che dire degli adulti? Come reagiscono loro al dolore?"


Coinvolta in quelle contorte riflessioni non badò neppure all’udire il proprio nome proferito dalle labbra dell’anonima dottoressa, rifratta in quella domanda e in una risposta che stentava ad essere articolata con spavalda naturalezza.

« Dolore… »


Un sussurro appena. Al dolore aveva reagito serrandosi in sé stessa, in una dimensione esistenziale dove realtà e finzione si mescevano fino a dar vita all’illusione di un fato catastrofico e ineluttabile, chiave di un’arrendevolezza insita in un animo sconfitto e agonizzante.

" Cosa accade quando, vittime di un gioco ben al di sopra delle proprie possibilità, si finisce per esserne irrimediabilmente inghiottiti senza via di scampo?"

...
V’è sempre una via di fuga.


Lo sapeva. Aveva saggiato l’amarezza dello sconforto, l’aspro sapore della sconfitta. E poi tutto fu schiarito come brina al mattino dalle scintillanti promesse d’una donna nei panni d’uomo, incoerente con la sua natura stessa. Le doveva molto e tanto le avrebbe restituito. L’aveva promesso, aveva giurato fedeltà in quella notte nelle piane di Matkara.

" Lei conosce la propria strada. Sa qual'è il proprio destino.
E tu Cara?
Cosa accadrebbe se io ora ti dicessi che nessuno di voi potrà continuare a giocare senza il prezzo di una vita?"


« Una vita?
Ho imparato ad aggrapparmi ad essa come l’ultima delle ricchezze dalle quali separarsi. »


Reagì d’istinto a quelle parole, ringhiando la propria presa di posizione innalzandosi a un gradino sopra tutto e tutti in quella sala, osservando la piccola aprire gli occhi e alzarsi per dirigersi verso le scale prossime a lei.

« Non pretendo nulla da questa vita:
devo solo ricambiare un favore. »


Latrò determinata afferrando l’elsa della spada ed estraendola dal fodero alla sua sinistra effondendo nel caratteristico stridio metallico. Una minaccia ben più profonda di quanto sarebbe parso a una prima occhiata.

« E adesso guardami!
La prossima sarai tu. »


---

« Lia! Piccola mia.
Voltati, fatti guidare, segui me se vuoi ricongiungerti all’Asgradel. »


Il lascivo mormorio dell’inganno. Una voce che sarebbe divenuta udibile da lei e lei sola con femminee tonalità materne provenienti dalle profondità del Sorya, dal suo baratro imperscrutabile, dal suo passato perso nelle memorie del tempo. Non esitò, non tergiversò oltre. In un attimo flesse le gambe e si slanciò in direzione della piccola involvendosi nella sanguinaria guerriera che era un tempo non molto lontano, la stessa che Shakan stava tentando di demolire giorno dopo giorno coi suoi discorsi e le sue morali.
Nella destra la bastarda, stretta convulsamente a formare un’unica estroflessione con l’arto che l’impugnava, e poi protese la sinistra in avanti nella quale concretizzò un’altra lama, una folgore iridescente non più lunga della prima. Non pensava, svuotò la mente ritrovandovi il glaciale istinto omicida che l’aveva accompagnata come un’ombra nel periodo più nero della sua esistenza - una maledizione, o forse no. Ma che importava?
Correva. A lunghe falcate percorse la sala, e poi ella stessa fu luce, ancora una volta, accecante, sfavillante. Tutti sarebbero rimasti abbagliati dalla sua forza, dalla leonessa che superba e fiera combatteva per propria volontà e non per implicito comando fra una moltitudine inconcepibile di nemici, incurante di tutto, coraggiosa e stolta come pochi.


« HHHHYYYAAAAAAAA!!! »


Un selvaggio grido di battaglia squarciò la tensione e l’ansia divenute quasi tangibili, il ruggito della leonessa avrebbe messo a tacere ogni impudenza, avrebbe arrestato ogni tracotante e insulsa movenza ribelle. E nell’eco di quell’urlo incrociò le braccia portandovi le lame a comporre un simulacro alla violenza - un altro passo. Fu a sua portata, sì! L’avrebbe fatto - nessun pentimento. Bambina? No! Nemica. E liberò quella stretta come una ghigliottina orizzontale all’altezza del collo della piccola Lia, un attacco grondante di fermezza e tenacia nell’essere più rapida e risolutoria possibile: nessun dolore, nessuna sofferenza - solo la fine. Nient'altro.

...

Burn like the sun,
over the seas and the sky.

...




CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 70% - 6% - 15% - 10% = 39%
Status psicologico: Provata, frustrata, stanca ma pronta al conflitto [Alto + Medio]
Condizioni fisiche: Illesa

______________________ _ _

Abilità attive:

• Shining Sword ~
Spendendo un quantitativo di energia pari ad Alto e aprendo un palmo, Alexandra vi genererà una spada della lunghezza di un braccio o poco più composta di pura energia luminescente. La spada sarà una potente arma offensiva e difensiva, in quanto avrà le caratteristiche di una vera e propria lama, ma potrà anche dividere tutto ciò che di elementale sarà diretto a colei che l'impugna. Potrà infatti tagliare fulmini, fiamme et simili, e tutto ciò che verrà diviso dalla tecnica svanirà nel nulla, purché sia una tecnica di livello Medio o inferiore. E' inoltre leggerissima, e non è possibile esserne disarmati. I suoi fendenti andranno considerati come tecniche di livello Medio. La spada resta sul campo per due turni compreso quello d'attivazione, svanendo al termine del secondo turno. [Pergamena del Paladino: Spada magica]

• Dazzling ~
Spendendo un quantitativo di energie pari a Medio, Alexandra sarà in grado di generare un grande flash nell'area circostante. Il flash non avrà alcun tipo d'effetto, nemmeno sui demoni, ma chi ne entrerà in contatto sarà cieco per due turni, riacquisendo la vista al termine del secondo. I suoi occhi perderanno iride e pupilla, e non sarà più in grado di vedere nulla. Può essere contrastata come una normale influenza psionica di livello Basso. [Pergamena del Paladino: Pura illusione]
____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

4_Fourth_Porta dell'Incubo. Il sussurro oltre la Notte. Incubi e Visioni infestano il Sorya. Un roboante addensarsi di Silenzio che solo tendendo l'orecchio, solo fermandosi ad ascoltare, si può scoprire essere un sussurrare di fondo, un rumore bianco indefinibile. Il respiro del Buio. Il respiro di ogni sogno distorto, di ogni pensiero inconsulto. E' nella voce del Mastro di Chiavi che tale tramestio, tale confuso tremolio si annida. In ogni sua parola, in ogni sua espressione. E tanto potente è il suono di ciò che nessuno può udire, che il solo osare troppo potrebbe distruggere tanto la vittima quanto il carnefice. Egli infatti può richiamare l'incorporeo, l'inconsulto, ciò che non può avere forma che nelle fantasie più mostruose, più deviate. Eppure se ne sentisse il bisogno, se davvero pensasse che la necessità giustifichi un simile abuso, allora il Mastro potrebbe lasciar risalire quelle voci, quelle presenze, e utilizzarle a proprio piacere. Potrebbe parlare ai nemici con la propria voce, ma sussurrare agli amici altre parole, con il Suono Nascosto. [Passiva]

_______________________________________________________ _ _

Note:

Ed ecco un altro post (che faticaccia).
Nel post riprendo un'Alexandra stanca e frustrata, dalla sua stessa esistenza così dai mille ostacoli che le sono stati posti sul cammino in questa quest. In particolare comincio con una panoramica che ruota attorno al sogno - evidente riferimento agli eventi InGame - e al nome del nostro team, per poi ricadere su quanto accadde al Gran Galà, dove Ale giurò fedeltà al Sorya in un modo non proprio "normale".
A questo punto viene colpita dall'attacco psionico di Hocragh del turno precedente, che interpreto come una sorta di involuzione dal punto di vista introspettivo, che si concretizzerà con un'Alexandra più apatica, egoista, selvaggia ecc. - sommariamente "più cattiva".
Dopo essere uscita dalla luce si rende conto di quel che le è attorno e ne ha paura per un attimo, evento che coadiuverà la sua attenzione su sé stessa e nessun altro, in quanto egoisticamente si premura della sua sola persona abbandonando il prossimo al suo destino (dopotutto non ha minimamente considerato Zaide, Hocragh e Shivian sin dall'inizio della quest, non è cattiveria nei confronti loro o dei player che vi stanno dietro, ma semplice interpretazione... spero mi perdoniate ^^').
A questo punto cominciano un po' di descrizioni miste a riflessioni più o meno contorte derivanti dal momento critico in cui versa, diventando così facile bersaglio delle parole taglienti della dottoressa che la inducono a vacillare sotto ogni aspetto.
Ma in un colpo di reni si riprende, non del tutto perlomeno, e risponde alla dottoressa per le rime precipitando nuovamente nella fredda assassina in cui si tramutò quando perse il suo regno e annegò nella disperazione.
Estrae la spada reggendola nella sola destra. Utilizza una combo con la passiva di verità ereditata da Ray in Underdark e la passiva dell'artefatto vinto all'Extirpanda, che mi permette di parlare con il "suono nascosto" a chi voglio trascinando il bersaglio, potenzialmente, nell'inganno (le frasi in viola sono quelle udibili da tutti, quelle in rosso scuro quelle udibili solo da Lia. Le due frasi sono contemporanee).
Subitanea si scaglia su Lia concretizzando Spada magica a consumo Alto nella sinistra, per poi utilizzare Pura Illusione così da accecare chiunque nella sala, dall'intera Flotta Icaro lì presente alla dottoressa fino a Lia, e una volta giunta in prossimità di quest'ultima mi lascio andare a un particolare tipo di flusso di coscienza al cui termine eseguo due fendenti incrociati con le relative armi nel tentativo di decapitarla.

Spero che il post sia piaciuto. E' stato un vero piacere per me evolvere Ale in quest'altra direzione (tutte queste psioniche la stanno trasformando in un essere volubile e terribilmente umano... ma forse non è un male dopotutto ^^')
Bhé, che dire - la palla al prossimo. o/



Edited by Foxy's dream - 23/6/2011, 22:41
 
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view post Posted on 17/6/2011, 00:06
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Un attimo di silenzio.
Un attimo di sublime, estatica, sospensione di alcuna tensione, alcuna emozione. Il capo di Lia che, lentamente, si pieghi verso destra nel lento girarsi di lei attirata, mite falena incolpevole, dall’irresistibile richiamo della luce. Di una voce femminile. Un po’ mamma e un po’ sorella. Un poco tutte due, amorevoli figure unite nelle sillabe di un’unica frase, di un’unica parola.
Lia, Piccola mia.
E poi brutale, violento, inesorabile, il roco fendersi dell’aria in due lame speculari, gemelle nel muto sfilacciarsi del suono.
Nel corrompersi degli occhi grandi e fissi di Lia, specchi cristallini di uno sguardo senz’anima e senza pensiero. Lo stesso di Finnegan poc’anzi. Il medesimo di Hocrag, nel medesimo istante.
Eppure già quando la prima lama attraversa la pelle sottile della guancia fanciullesca, non è il sangue della bambina a bagnare il freddo acciaio. Non sono le sue lacrime incolpevoli. Certo che no. Nello sbiadire di contorni e fattezze, è un capo gibboso e deforme a rotolare a destra poco dopo, sporco involucro di un cervello di per sé misero.
E ciononostante, roco, il grido della Dottoressa si innalza alto, terribile, fra le mura di quel luogo. Una frattura grottesca, pesante, dolente come lo stridio di mille e più ingranaggi che, improvvisamente, abbiano all’unisono smesso di funzionare inceppandosi e gemendo al pari di tanti topi colti dal panico.
Non era Lia, certo che no.
Eppure nel corrompersi della prima Illusione è come avvertire per la prima volta i contorni soffusi di un sipario. Le prime avvisaglie del rosso tendaggio ancora aperto, spalancato su una scena dove inconsapevoli burattini ballino trasognati la medesima danza macabra.
O

Per attimo lo scompigliato agitarsi di corpi sovrumani ebbe un sussulto isterico. Un agitarsi febbrile del tutto differente da quello mostrato fino a pochi istanti prima. Dal marasma esagerato, ora un fremito confuso, indecifrabile se non per quegli occhi inaspettatamente vigili, ora, dispersi. Stormo senza meta.

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Che fare? Che fare?
Parevano quasi chiedersi mentre il capo del loro simile rotolava in un tonfo morto a terra.
Che fare?
Che fare?
Poi, fatale, la risposta.
Il nuovo, inesplicabile, risalire di una nota latente, morbida, sottile, cristallo di luce nella penombra di Velta. Eitinel. Ancora. Finalmente. Il ricordo che, a lungo scordato, riaffiori dalla laguna dell’oblio per far di nuovo mostra di sé. Per rammentare. Per costringere, di nuovo, ad ascoltare e abbandonare ogni altro suono, ogni altra voce che, a forza, si ostini a gareggiare con quella prima, inimitabile, bellezza.

State attenti alle parole di Lia. State attenti alle parole della sua infida madre.

Così, nugolo disperato, ecco di nuovo la Flotta Icaro precipitare in uno scompiglio non più caotico ma organizzato. Milioni di corpi e ali che, all’unisono, si protendano in un’unica direzione e, come presi dalla corrente di una sola nota, si destino e insieme si dirigano verso l’alto. Verso la Fonte.
Un La?
Un MI?
Quella voce pareva quasi il lento scorrere di un archetto sulle corde tese di un violino infinitamente distante eppure incredibilmente sonoro. Ora, dopo la tenebra. Ora, dopo la disperazione.
Ora che, per un infinitesimo istante, il velo sottile intessuto dalle piccoli mani di Lia non ebbe altro da fare se non allentare le proprie maglie lasciando intravedere la delicata mistura di inganno e perfidia di cui ella si era fino ad allora servita per tendere il proprio ordito.
Gli occhiali della Dottoressa tremarono appena sul naso ossuto, gli occhi brillanti che per un attimo si sorprendevano a scrutare con malcelata ansia la giovane donna lanciatasi sulle scale dove, un istante prima, l’abominio mascherato a festa aveva trovato la propria fine.
Non sorrise, questa volta. Parve invece in preda ad uno strano sconforto mentre, irrequieta, si portava le mani al petto.

“ Il canto di Lia…”

Sillabò con strana vaghezza, gli occhi che risalivano appena verso l’alto come nel tentativo di percepire qualcosa che, evidentemente, pareva non esserci più.
Ansimò, le palpebre che scivolavano appena verso il basso nel sopraggiungere di una nuova, acutissima, nota. E con essa, il tremito convulso di Velta. Il fremito spasmodico delle sue macerie crollate tutt’intorno, delle gradinate sfondate e spezzate che, lentamente, come attirate anch’esse da una forza inesorabile, prendevano a muoversi all’unisono risalendo, scostandosi, rotolando. Quasi tentando, infine, di ricongiungersi pezzo a pezzo alla loro antica posizione onde ricreare, curiosa parodia, la simulazione della struttura ormai abbandonata della Torre.
Nervosamente, la Dottoressa si passò la lingua sulle labbra ora inaridite. Pareva ora più pallida. Incredibilmente fragile nel proprio volgere lo sguardo prima alla sommità di Velta e poi alla figura della giovane poco distante e colpevole di aver, forse per la prima volta, recitato una parte che Lia non aveva previsto.
Dannata avventatezza giovanile. Dannata inventiva femminile.
Poi, manchevole, l’improvviso spezzarsi della Voce di Eitinel. L’infrangersi del sublime acuto. Ogni pietra, ogni maceria e scalino precipitò nuovamente a terra, inaspettatamente priva di quella forza propulsiva che poc’anzi gli aveva ridonato la vita. Un breve attimo si silenzio. Poi, acuto, folgorante, il riemergere del canto della Dama. Il ridestarsi delle pietre dormienti. E subito dopo ancora, di nuovo, definitivo, il ricadere del Silenzio.
Morbido, il sorriso della Dottoressa parve in quella riemergere dagli stracci del suo viso. Si sistemò i capelli, si riassettò l’abito.
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“ Povera Lia.”
Sillabò quindi con roca frivolezza

“ Davvero crudele da parte vostra tentare di uccidere a sangue freddo una bimba indifesa.
La mia amata bambina”
" Una creatura che, prima risvegliata dal richiamo della propria più intrinseca natura e poi rifiutata dalla stessa, non possa far altro che mettersi a piangere. Miseramente. Chiedendo solo di essere vista. Di essere, semplicemente, guardata non come ad un riflesso della perfezione ma come ad una sua vera e propria immagine"

sogghignò ancora, blandamente
" Inutilmente, in realtà. Povera cara.
L'Asgradel non sopporta nulla che non sia bello e finito. Non è in grado di vedere, di prestare anche solo un briciolo della propria magnifica attenzione all'imperfezione. All'errore. Poiché egli è grande, è assoluto, e quindi infinitamente crudele."

Una nuova pausa, i contorni di Velta che andavano nuovamente a sfilacciarsi come le pennellate disattente di un dipinto lasciato alla pioggia.

"Immaginate quindi il suo stupore quando, intonando la prima misera nota della propria malinconia, Lia si accorse di avere, in effetti, UNA possibilità di attirare l'attenzione dell'Asgradel. Di quel suo padre irraggiungibile."
Dall'alto, più in alto di quanto lo sguardo potesse giungere, un tramestio improvviso parve far trasalire l'aria dell'intera torre. Uno scostamento tale da scompigliare i biondi capelli della Dottoressa. Con un movimento leggero, ella si portò indice e medio alla fronte scostando un ciuffo dorato.

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" Vedete"
riprese dunque a dire con tono pratico

" Tutti ascoltano l'Asgradel.
Impossibile ignorarlo. Nessuno scampa al sublime richiamo di un Dio.
Ma cosa accadrebbe se per un attimo, un solo attimo, fosse LUI costretto ad ascoltare? Se nella dominanza della sua Nenia si inserisse una nota stonata, una variazione udibile proprio perché dissonante, rivolta non al mondo intero ma ad una sola, unica, persona?
Magari, ad Eitinel?"

Un sorriso, flebile, nell'ancora scompigliarsi dell'aria.

" Accadrebbe allora che la Dama, per la prima volta raggiunta da un suono sconosciuto, spiacevole e sgraziato ma non per questo trascurabile, volgesse irresistibilmente la propria attenzione verso di esso dimenticandosi per un attimo, solo per una frazione di secondo, di prestare ascolto alla ninna nanna che l'Asgradel, sibillino domatore, le sussurra costantemente all'orecchio avvincendola ad un sonno inesorabile. Svegliandosi, ovviamente. E spezzando l'unico, fragile legame che permette all'Asgradel di perdurare sulla Terra dominandola attraverso di lei."
Frastuono latente, zampettare e fremere incontrollabile, dall'alto la Torre veniva nuovamente attraversata dalla Flotta Icaro e dalla sua nefanda caoticità.
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" Non vi ingannate.
Non pensate che questo strano silenzio, questa innaturale calma stia a significare che Eitinel abbia smesso di cantare. Non Ancora, almeno.
In realtà ella non ha mai smesso. Mai un istante da quando il Dio Immondo si è impossessato di lei.
Peccato che anche Lia, ora, stia facendo lo stesso.
E come il sovrapporsi di due metà identiche e speculari, dall'unione delle loro voci non può che originarsi il vuoto. L'orrida stasi che forse per un solo istante, forse per un solo attimo, costringerà finalmente l'Asgradel a girarsi e chiedersi quale creatura, quale impavida bestiolina abbia stupidamente deciso di porsi sul suo cammino"

In quella, forza e minaccia latenti, l'armata di abominii piombò tutt'attorno a loro oscurando nuovamente in una miriade di scintille nere ogni ricordo di luce.
Ogni contorno e fattezza.
Lentamente, quasi che nulla di ciò avesse il minimo potere di turbarla, la Dottoressa volse le spalle a tutti i presenti e, semplicemente, prese a salire uno ad uno i gradini di Velta. Pochi passi e già la sua figura era scomparsa.
Tuttavia, ancora, quasi che ella avesse il potere di abbandonare un luogo prima con il corpo e poi con lo spirito, la sua voce vibrò di nuovo, tesa, fra le mura di Velta.

" Finché i due canti si evinceranno la vostra Dama resisterà alla tentazione del risveglio.
Certamente.
Ma cosa accadrebbe se, per strana fatalità, Lia dovesse in qualche modo prevalere su di lei? Eitinel è forte, certo. Ma quanto pensate che rimanga ancora alla vostra beniamina prima di crollare sotto il peso di un Dio inesorabile? Di una volontà senza confini?"



Ed ecco qui. Scusate tutti quanti per il ritardo.
Si tratta questo di un classico post di "riassemblaggio", ossia di un piccolo momento lasciato per rimettere insieme le idee e procedere verso il rush finale. Guardando un poco i post dell'ultimo giro, mi è sembrato davvero opportuno inserire questo tipo di stacco, tanto per evitare il collasso generale. Detto questo.
L'attacco di Alexandra riesce a sbloccare la situazione di stallo: il suo gesto destabilizza infatti i piani di Lia che, non avendo previsto un attacco deliberato alla sua persona ma viceversa un sacrificio di uno dei membri del gruppo, perde la concentrazione. La bimba attaccata dalla giovane non è però il corpo reale della bambina che, come facilmente prevedibile, si trova ben più in alto, sempre più vicina ad Eitinel. Il provvidenziale scompiglio di forze permette alla flotta Icaro di liberarsi per un istante della malia di Lia e risalire i piani della Torre lasciando così sgombra la scena. La Dottoressa, ora visibilmente provata, riguadagna la calma solo quando la voce della Dama viene rimessa a tacere. Approfittando della calma creatasi, ella rivela finalmente a tutti che Lia è in grado di cantare la medesima nenia dell'Asgradel ma opposta, essendo un prodotto artificiale. E' il suo pianto, il suo lamento, per la propria condizione di inferiorità. Soverchiando la voce di Eitinel, anzi, ella ha potuto ( e potrebbe ancora) destarla dal proprio sonno infrangendo così il legame che la unisce all'Asgradel. Detto questo, la Dottoressa approfitta del ritorno delle truppe Icaro ( il dominio di Lia è stato ristabilito) per risalire anch'ella i gradini della Torre.

Zaide: L'allentarsi della concentrazione di Lia è stato provvidenziale. La bestia intenzionata ad attaccare il tuo pg ha si tenuto fede ai propri propositi ma solo in parte: Dopo un iniziale affondo di artigli al torace pari ad un danno Alto, ha completamente deviato rotta seguendo gli altri suoi "compagni". Oltre a subire questa ferita, l'unica conseguenza provocata dall'illusione sarà un danno basso alla psiche. Le energie spese nel post precedente non vengono recuperate. Più avanti verrà chiarificato il perché. Importante: un attimo prima della fine, il tuo pg è in grado di vedere la figura di Hocrag abbandonare il "campo di battaglia" e buttarsi a capofitto dalla torre quasi a voler raggiungere la Dottoressa. Non è possibile vedere la fine che ha fatto poiché l'illusione si spezza prima. L'attacco ai danni di Shakan va inoltre in porto seppur le modalità le lascerei decidere a lui.

Janz: Il tuo pg subisce l'attacco di Zaide prima che tutto finisca. Nessun danno e ferita, solo una specie di impressione psicologica. Sarà quindi consapevole di essere considerato dalla stessa come un nemico e non come un compagno. Lo svanire dell'illusione colpisce Shakan più duramente di tutti. La vendetta della sua creazione, prima perfetta e poi irrimediabilmente corrotta si scatena su di lui quasi uccidendolo ( eventualità già latente, visto l'andazzo del tuo post^__^) Oltre a questo, l'illusione lascerà un danno Medio alla psiche. Anche per te, le energie impiegate nel post precedente non vengono recuperate. Più avanti verrà chiarificato il perché. Nell'istante che precede il distruggersi dell'illusione, il tuo pg ha la possibilità di vedere (pur trovandosi ancora imprigionato) e solo per un istante, le figure di tutti gli "intrappolati" nella realtà: vicine e immobili. Solo Hocrag è steso a terra poco distante dagli altri, privo di alcun segno di vita. Nell'istante successivo al risveglio, tuttavia, egli sarà semplicemente scomparso.

Foxy: Nell'esatto istante in cui le armi vengono a contatto con la falsa Lia, il tuo personaggio subisce una illusione di livello Medio consistente nel vedere le lame spezzarsi e la bambina in carne ed ossa venire decapitata. E' solo una frazione di istante. Dopo la realtà si presta, semplicemente, alla vista. Il tuo pg è il primo in grado di vedere la "fuga" della Dottoressa e la contemporanea scomparsa di Hocrag.

Le truppe Icaro richiamate da Lia non vi faranno alcun male. Saranno un semplice elemento di forte disturbo e distrazione. Seguendo la Dottoressa, ognuno dei vostri pg potrà chiaramente vederla sempre avanti, più in alto. Vicina eppure irraggiungibile. La salita della Torre impiegherà almeno un'ora. L'indicazione di tempo serve esclusivamente a significare che sarà una camminata lunga e sicuramente pesante, ottima per qualunque tipo di iterazione-introspezione-decisione. La salita si interrompe dinnanzi all'ultima porta di Velta, quella che un tempo segnava l'ingresso delle stanze di Eitinel e che ora, semplice mente, danno alla cima sradicata della Torre. Sigillate e apparentemente impenetrabili, esse sono sorvegliate da Hocrag, immobile e fermo come una statua. Poco distante, seduta a terra in una posa apparentemente docile, la Dottoressa.
Importante: in questo turno perdete ancora il 10 % dell'energia.
In questo turno, a malincuore l'eliminazione verte su Goth. Spero che non me ne vogliate a male per questa scelta. Per qualsiasi dubbio o insulto la sezione confronto è sempre libera^___^
 
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view post Posted on 19/6/2011, 12:19
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Morte e Resurrezione

Valzer Al Crepuscolo

II Turno





Un occhio scuro mi fissa nella massa.
Non è paura...
Due fauci possenti, schioccano nel vuoto, afferrano un lembo di pelle.
Non è spavento...
Una voce roca, inumana, squarcia il filamento d’infinito che si schiude attorno a me, urlando.
Non è terrore...

E’ l’estasi della morte.
E’ il momento, l’attimo fatale che prescinde la caduta, la fine. E’ quel secondo di straniamento, che tesse nel tempo un continuum di spazio e di luogo che si trascina per ore intere, volgendo – all’infinito – una speranza inconscia, la fanciullezza estasi di quel vuoto che si chiama “sogno”, e che riavvolge la realtà con la convinzione che quell’attimo successivo, quell’ultimo infinito baratro, non verrà mai. Ma che tutto si fermerà in quel preciso istante: riavvolgendo la storia, rimarcando la vita, riprendendo ampie mani dalle memorie, anche quelle più dimenticate. Rievocando alla mente tutti i momenti felici, e quelli meno felici: riportando alla logica qualsivoglia ragione per rifondare l’idea cosciente che la vita non debba finire, che sarebbe un peccato. Un vero peccato.

Ma è l’ultimo istante.
Quello che ti illude che il peggio sia passato: o che, per vero, non sia mai venuto.
E’ quell’insita beffa che si fonda nel cuore, solo per render più greve la vergogna dell’attimo successivo.
O il dolore di scoprire, che quel secondo arriva: che quel secondo c’è.
E non ci saranno più giustificazioni per quella vita.
Né una seconda possibilità.

E’ solo uno scherzo,
quell’attimo.

Fissavo un essere raggomitolato su se stesso in un fetale abbraccio. Racchiuso, come un moccioso appena sgridato, sulle proprie ginocchia, e le braccia avvolte sul suo capo. Non v’era illusione, né forza, né dolore che lo avrebbe più distolto da quella posizione, perché la realtà l’aveva già corrotto abbastanza: perché proprio il dolore l’aveva condotto per quella via, proprio il peccato. Quel peccato insostenibile, quella volontà indomita di comandare, che gli si era rivoltata contro.

E mi fissavo. Squadravo Shakan quasi come spettatore: lo vedevo cadere, soffrire ad ogni morso, mentre le creature immonde violavano quella sua barriera di fantasmi come fosse un velo di seta squarciato da una lama rovente. Con facilità, con candore: con ovvia dominazione. E ad ogni urlo, ad ogni morso, ad ogni schiocco di fauci, non potè far altro che sopportare, che ricordarsi della sua orrida caduta verso l’inferno, e piegarsi, racchiudersi in quella movenza tanto comica, quanto becera, perché schiacciato dal peso del peccato, più di ogni altra cosa. Ormai vinto: distrutto. Nel corpo e nell’animo, dominato dal peso della colpa e dal sangue delle proprie vittime, infangato dal suo stesso ego, che ne aveva sacrificato le carni all’altare dell’umiltà. E lo stava u c c i d e n d o.

« Completate... completate in fretta la vostra opera. Fatemi morire. »

Muori, Shakan.

Muori per i tuoi peccati.
Die for your sins!
image
Poi, un grido parve irrompere il caotico volgersi di mandibole e immondi volgimenti.
Un’ombra oscura, una nera bestia di proporzioni gigantesche sovrastò tutto e tutti con lo squarcio gutturale di un urlo bestiale, possente. Non fosse altro per la luce scura con cui obliò il cielo, mi volsi a fissarlo a mia volta, ammirandolo come l’angelo della morte, che finalmente giungeva. Un drago – una bestia – dalle ampie ali e dagli occhi di fuoco, giunse dal basso, dal nulla.
Non fecero una piega quegli immondi carnefici che mi circondavano, che mi accerchiavano.
Non si stranirono nemmeno un attimo nella loro lenta carneficina, troppo bramosi dell’estasi infinita con cui le mie carni parevano ancora tenersi tra loro, e che avrebbero gustato con la fame di chi non si è mai nutrito di qualcosa di così gustoso. E, per questo, non si sarebbero mai distratti.

Eppure mi premette.
Per un attimo, mi importò scoprire: da dove venisse, cosa fosse.
E non fosse altro per l’innata attitudine umana alla minima sopravvivenza, mi premurai di squadrare rapidamente in basso, per capire che era la donna che mi attaccava. Che bramava – anch’ella – la mia morte. La mia sconfitta.

Ma tu uccidi un uomo morto, donna.

Avrei voluto risponderle. Avrei voluto ricercar la compassione di quell’essere effimero che mi condannava.
Avrei voluto insidiare in lei il dubbio della pietà, laddove il male che le avevo procurato non tesseva altro che l’ordine più ovvio e semplice che si potesse impartire. Uccidere: uccidere il nemico.

Non temi la mia pietà sulla tua coscienza?
Non temi la mia anima nei tuoi incubi?


Evidentemente no, perché il male non ha nome, né pietà. Merita di finire.
Merita di scomparire, così come appare. Merita di chiudere il proprio ciclo.

E dunque, cosa posso fare io?
Come posso oppormi a questo destino?


In nessun modo, appunto. Non lo meritavo, infatti.
E non esitai: non esitai a ritornar accovacciato, a cinger nuovamente le ginocchia con le braccia, a nascondere il volto tra le cosce. Non esitai nemmeno a fissar il drago oscuro in volto, quasi rassegnato all’idea che non altro che quel destino immondo meritavo, dopo quanto accaduto.
E lo pregai, con occhi lucidi e sguardo supplichevole, di concedermi solo un’ultima grazia.

Di fare in fretta.
E quello parve esitare, quasi non se lo aspettasse.

Ma poi spalancò le fauci oscure, rivelando il buio ed il nero del proprio interno. Aggrappato alla preda, mi sovrastò con la mandibola ed il muso, inondandomi di nero. E, nell’attimo prima che lo vidi divorarmi, mutò aspetto. Divenne qualcosa di più piccolo, divenne un uomo.

Divenne colui che avevo colpito innanzi al portone d’ingresso della torre.
Divenne la mia colpa, ancora: una delle mie vittime.


Lo fissai ancora, convinto che – invero – fosse ancor più giusto che a darmi l’ultimo saluto fosse lui: che il mio giustiziere fosse un mio giustiziato. Corretto: oltremodo corretto. E non importava più qualsivoglia artificio avesse richiamato la donna, né distinguer la realtà dalla finzione. Volevo solo morire.
Ed il giustiziere non parve attendere oltre, ottemperando le mie richieste.

Non più fauci, bensì un’unica nera lama.
Una lama di oscurità, emersa dal proprio fodero, si levò sul mio capo. Mirando, curandosi, di non mancare il colpo: fendendo come un fulmine nel buio, sul mio capo indifeso. E la sentii passar tra le mie carni, esitare un secondo alla rottura del cranio, per poi scorrer come mano tra la neve fitta. E milioni di spilli parvero dischiudersi in altrettanti punti del mio corpo, nascendo – anzi – esplodendo di pari passo col camminar della lama, da parte a parte. Prima dolore intenso, inumana sensazione di distacco aberrante: scarto d’infamia tra la pelle un tempo univoca, che distingueva il secondo fatale che mi divideva dalla perdita della sensibilità. Prima del capo, poi del busto, poi delle gambe. Nel mentre lo sguardo si incupiva, divenendo nebbia e passando a sfocarsi come sogno di cui non si ricorda quasi nulla.
Mentre il dolore aumentava esponenzialmente, rimarcando le mancanze e le dipartire. Ma divenendo talmente forte, talmente acuto da esser quasi sopportabile: da divenire quasi ovvio.

E nel mentre la mia vita scivolava via, ci fu un sussulto.
L’ultimo, forse.
Il mio sguardo divenne di nuovo lucido, per un attimo: e la terra arida, la vastità delle creature attorno a me, luccicarono d’eterno. Quasi come se la realtà, per un attimo, trasmigrasse in una dimensione opposta, rividi le mura di Velta, la grande stanza e lo sfondo di ciò che c’era prima del mio desiderio.
E rividi i coscritti al mio dolore: le creature che avevo soggiogato, intorno a me.
Rividi l’uomo, quell’uomo che era sotto la torre, disteso sul pavimento.
Rividi la donna, colei che aveva sentenziato la mia morte, immobile e ferma vicino a me.

E non vidi l e i.
L’unica che non scorsi mai, era A L E X A N D R A.

Infedele empietà.
Irriverente condizione di scherno che riempiva gli ultimi istanti della mia vita.
Ritornai con la mente e gli occhi alla landa arida, alla sfocata frustrazione del mio ego che periva, ed a quella lama che scorreva rapida, risuonando del dolore della mia carne. E fu anche la lacrima che sgorgò dal mio occhio a bagnar quell’attimo della fustigazione e del pentimento. Perché nell’attimo esatto che morivo mi stranivo per il tradimento di lei. Che fosse, o meno, tutta una illusione, v’era la convinzione ferma che l’unica vincitrice sarebbe stata lei, in una realtà o in un’altra.
Che ella avrebbe giovato della morte mia, della morte di Finnegan. Della morte di tutti.
Lei e solo lei: maledetta.

Ma era troppo tardi.
Ero morto. Stavo m o r e n d o.
Era troppo tardi.

__________________________________________


« A L E X A N D R A .... ! »

Urlai nel nulla il nome di lei.
Cosciente che non mi fosse rimasto altro che il suo pensiero per rimarcar le mie mancanze.
Cosciente che avrei sfogato, nel peccato e nell’omissione, la rabbia per quella sconfitta infame, per quel gioco di scherni. Ed inveivo contro il nulla, benché non ci fosse parola, fiato o suono che avrebbe potuto risuonar da un corpo morto, diviso a metà.

O, almeno, così pensavo.
Perché il suono rimbombò nella stanza, coperto solo da un infinito e caotico sbatter d’ali, e da una voce effimera che rimbombava dalla torre, su per una scalinata, richiamando noi, decine di creature alate e la volgente celerità di una corsa che scandiva il suo tempo.
E mi ritrovai nuovamente nella torre, racchiuso in quella realtà originaria, in quel frangente d’incubo che aveva generato, poi, il mio desiderio e l’illusione che – finalmente – mi convincevo esser stata tale.

Eppure, ero v i v o.
Ero vivo nell’oblio del mio fato: vivo benché avessi assaporato la morte. E non più lama o fauce aveva dilaniato il mio corpo, ma fissavo – quasi rassicurato – un fisico stanco, ma ancora integro benché rifulgente del classico pallore che mi contraddistingueva.
Ma non era tutto: non tutto, invero. Perché l’uomo disteso per terra, non c’era più:
perché lei – soprattutto – non c’era a n c o r a. E non c’era mai stata.
Al mio fianco, infatti, soltanto la figura aggraziata della donna che aveva bramato la mia carne e che, nell’attimo di disperato accollo dei miei peccati, avevo agghindato con la mia benedizione.
La benedizione ad uccidermi: anche se ero ancora vivo.

No, non più.
Non più morto potevo dirmi, ma ancora vivo ed ancora scampato alla morte. Ancora una volta, rifiutato dal demonio vestito di nero. Eppure, avevo al mio fianco la mia carnefice: chi mi aveva condannato, cosciente di aver raggiunto il suo scopo. Ed una seconda possibilità si prefigurava: la possibilità di colmare il divario, di rincorrer la mia ossessione e sputarle addosso tutta la vergogna di ciò che mi aveva fatto. Non prima, però, di sfuggir a quella femmina che aveva provato ad uccidermi, ancora.

E non avrei perso tempo.
Ancora dubbioso, invero, sul perché di tutto ciò che mi circondava, schiudevo lo sguardo da quegli alati esseri che volgevano sempre più rapidamente ed evocavo, attorno a me, tre spettri. Li stessi che mi avevano difeso nell’incubo di poco prima – o che ci avevano provato – ora mi avrebbero armato.
Li lanciai contro di lei, contro la donna che mi aveva ucciso, ordinando di far delle sue carni cibo per quelle bestiacce. Di macellarne la speranza, di modo che sopravvivesse la mia. E, nell’attimo esatto in cui avrebbero mirato al suo busto, contemporaneamente, suscitai lo scherzo del fato: l’illusione effimera, che quelle bestie si sarebbero pure volte contro di lei, avvolgendola in un secondo, per poi sparire subito dopo.

Non rimasi molto ad ammirar l’esito, ma corsi lungo la scalinata intravista nell’attimo precedente, rincorrendo la voce ed Alexandra che, nel mio cuore, sapevo esser lì da qualche parte. Sapevo avermi anticipato, invero: e che ritrovai, infatti, più avanti, mentre correva – anch’ella – incontro al suo destino.

Il destino che, invero, non poteva esser di altri che non di me stesso.
Il destino che mi stava rubando: usando me ed usando tutti.
Sfruttando l’indolenza di coloro che avevano avuto la disgrazia di stringer con lei un patto silente.
Un accordo che, però, non le avrebbe mai impedito di ingannarmi.
image
E risalii rapidamente quei gradini, richiamando tutte le forze che la fatica non mi avesse ancora sottratto. Risuonando, rimbombando in quel vuoto salire, risentivo lo sbatter d’ali delle creature, e la voce che li accompagnava: la voce, la stessa voce che aveva parlato nel mio incubo e che, in qualche modo, si giustificava di un qualcosa che avrebbe reso noi schiavi dell’infamia.

Come il boia che si giustifica della durezza della lama.

Parlava di qualcosa che già avevo sentito, saputo. Parlava di Lia, rimarcando i racconti uditi al Maniero su di lei, ma rivelandone l’indole famelica che mi fece scuotere le ginocchia. Lia cantava con la stessa melodia dell’Asgradel, ma più turpe: artificiosa. Ed ella aveva condotto me e le mie speranze, nel baratro che mi aveva dato la morte, ancora una volta. Attirando Finnegan, e tutti quanti.
Tutti rinchiusi in quell’illusione macchiata di aberrazione: quella stessa illusione che Eitinel, in qualche modo – forse – aveva spezzato. Per un solo momento. Lei o chiunque altro, non importava.
Importava la bassezza: la crudezza della realtà infame che, ancora una volta, mi aveva visto marionetta di un teatro di qualcun altro. Mi aveva visto succube della opulenza altrui.

E, purtroppo, questa volta mi aveva visto anche vittima dell’inganno di un mio pari.
E di taluno che avrei ritenuto come tale, almeno.
Perché tutti eravamo caduti in quella rete, tranne le.
L’unica che ne aveva giovato.

« Risalgo il fato come un ombra che risale la coscienza.
Risalgo il male, come un vomito che risale la gola. Risalgo l’empietà di un tradimento che mi ha visto oculata pedina di una nera scacchiera: e non posso che testimoniare, nuovamente, la placida dipartita di ogni razionale perdizione. La profusa sconfitta di taluno che ha bagnato di sangue gli infanti altrui, ma che viene condotto per mano lungo la via dell’omicidio, ogni volta...
»

Sussurravo piano, scandendo le parole ad ogni metro.

« E risalgo nella convinzione che il circolo empio che mi ha rinchiuso si stringa in pareti spesse di corruzione, che – nonostante tutto – mi convinco poter purificare con l’unico modo possibile. Bruciandole.
Bruciando la marcescenza di un patto che mi ha dettato una compagna, ma che mi ha pugnalato alla prima occasione. Rincorrendo la perdizione di un passo rapido che si dilegua nella convinzione di aver schivato l’unica lama che avrebbe potuto ferirla, e che non ha esitato a ritrarre il braccio alla prima occasione...
»

Sussurravo più forte, per poi abbassare il tono quando mai lo ritenessi troppo alto.

« Ma non mi spengo ancora: non mi assopisco nella convinzione che le mie lodi non verranno mai tesse da alcun prode eroe. Non mi spengo e non mi convinco che il mio ruolo sia sempre di trascendere alla corte di qualcun altro, perché non è tale l’infamia che regge il mio animo, ancora... »

Sussurravo, premendo con forza sui gradini, ricoprendo la mia voce col suono sordo della pietra.

« Vivo ancora nella speranza che un giorno tutti i fili tagliati daranno vita ad un telo bellissimo, candido e privo di macchie. Vivo ancora nella speranza che le mani arcigne di persone come l e i non plasmeranno mai più il fallimento del mio filamento. Perché questo è il mio destino, questo è ciò che rincorro da sempre.
E ad ogni morte che evito, mi convinco sempre di più che nulla potrà mai distrarmi da esso: e che un giorno trionferò, sui cadaveri dei miei cari. Perché questo è il mio destino...
»

Intonavo di continuo, quasi fosse una nenia senza pace.

« ...e non lo perderò mai.
Dovessi morire infinite volte.
Dovessi, tu, uccidermi ancora tante volte.
»

Intonavo le parole come fossero una melodia nera, una litania infinita che ritrovava, ad ogni gradino, nuovi toni per esser ripetuta. Invero, non potevo prender totale coscienza di ciò che dicevo, rigurgitando più concetti dettati dalla perversione della mente nella quale ero scaduto, che lucidi ragionamenti. Tutto maturava, invero, nella constatazione del tradimento. Lia, Ray, Eitinel, la torre, la donna ed Alexandra: tutto rimbombava all’unisono con quello sbatter d’ali, picchiando, ad ogni suono, sul mio cuore straziato. Rimarcando, di continuo, la frustrazione di un tradimento: una volontà ancor più disincantata della mia, che sfruttava le mie debolezze per superare le proprie.

E tutto nasceva: generava il mio tormento.
E la voglia di rivalsa, di supremazia. Su un qualcosa che si arrogava il diritto di dominarmi.
Di vincermi.

E che non doveva farlo per forza.
Ed il tono, la conclusione, lo scandir di quella nenia finì nell’attimo esatto in cui scorsi il portone dell’ultima stanza. Una porta squadrata che dettava il segno, il limite con quanto successo: che anticipava la venuta di ogni giudizio, la fine di tutto.
La fine della mia corsa, invero, giunse proprio lì: nell’attimo esatto in cui scorsi il portone, ed il guardiano innanzi ad esso, ovvero l’uomo che, vittima del mio incubo, credevo morto.

In quell’attimo, però, ritrovai Alexandra.

La raggiunsi, correndo più possibile, ed anticipando il suo passo, sentenziai la divenuta del mio ego.
Sfiorai il braccio di lei, per poi afferrarne una mano con la mia mano destra.
Non potevo ragionare lucidamente, non potevo sapere o sentire il suo respiro corrotto.
Potevo solo sentire il mio, agitato, preoccupato, ma – alla fine – quasi allegro, isterico, nel conoscer della sua pelle, nel sapere che, in quel momento, l’avevo bloccata, stringendola a me.

Strinsi poco la mano, avvicinandola.

La fissai in volto, richiamando la sua attenzione: sentenziandole il mio dolore, senza che potesse ignorarlo.
E le avvicinai gli artigli, ancora estratti, al busto: appena sotto al suo seno,
dove doveva battere un cuore.

Forse.

« Ascoltami...
S t r o n z a...
»
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La fissai in volto, con sguardo folle.
Dominato dall’ira e dall’eccitazione, al tempo stesso.

« Ricordi l’attimo in cui ti chiamai così ?
Fu il primo momento: quando ti vidi bruciare un corpo innocente.

Fu l’attimo in cui mi disegnasti la tua vita.
Mi facesti conoscere il tuo fato. Ed io lo rifiutai, come sto facendo ora.
»

L’artiglio lo avvicinavo sempre di più, fin quasi a lambirne la pancia.

« Non mi importa quanto forte sia la libidine che ti scorre tra le cosce
e che ti spinge, ogni passo, ad accelerare la rincorsa verso il tuo trofeo...

Non mi importa quanto valore tu possa dare ad un patto solenne
che io ho stretto giurandovi in esso tutta la mia dignità.
Non mi importa di quanto servile tu ritenga ogni promessa fatta,
per sacrificarla alla tua gloria l’attimo dopo.
»

Sapevo – volevo – che non sarebbe scappata per sempre.
Non avrebbe saltellato in eterno sotto la gonna della Regina di Cuori,
infame B i a n c o n i g l i o.

« Stiamo morendo: stiamo scomparendo,
vittime di un inganno che ci sta sciogliendo come neve al sole.
E, in nome di tutto ciò che ho u c c i s o per giungere qui,
tu non sarai l’unica a giovare di tutto questo.

Ora, innanzi a me, ti asservirai alla volontà di entrambi.
Prometterai, e condannerai te stessa ad u b b i d i r e a me. E a ciò che voglio.
E rimarrai al mio fianco, non anticipando m a i p i ù il mio passo.
O, per ogni demonio dell’inferno, non ti libererai mai della mia vendetta...
»

L’occhio violava l’oscurità.
Trascendeva l’astrazione, dimenticando – per un secondo – l’incubo nel quale si stava muovendo.
Perché in quel frangente non saremmo esistiti che noi due: non avremmo parlato che noi due.
Avrei cercato di rinchiudere l’animo di lei in un vortice cieco, in cui ella non avrebbe visto altri che me.
Ed avrebbe ammirato, atterrita, la crudeltà di un essere che le avrebbe dovuto riempire il mondo di minacce, o di speranze, senza darle la possibilità di scegliere altrimenti.

« Oppure non ti libererai mai del male che ti giurerò.
E, anche da morto, rincorrerò il tuo culetto in capo al mondo,
fino a s v e r g i n a r l o con queste lame.

Quest’ultima soglia la varcherai asservendoti alle mie volontà,
rinunciando alla tua gloria personale ed al prezzo che è costato fino ad ora.

Oppure sarà mia cura ucciderti ora, innanzi a questo portone.
E giunger solitario al cospetto di ciò che si cela dietro di esso...
»

Perché sarei giunto comunque solo al cospetto dell’Asgradel.
Forte di una promessa che mi avrebbe restituito una preziosa fiducia, ed una schiena più morbida da colpire. Forte di una promessa che, nel caso peggiore, avrebbe dettato la propria sentenza, prima che questa avrebbe potuto rivoltarsi contro di me.

Con me, o contro di me.
Ma – comunque avesse risposto – sarei rimasto da solo.

D a s o l o.
Come sempre.



ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%



image

Del Fisico: Cicatrici sparse sulle braccia, 3 tagli sul braccio sinistro, 1 taglio leggerissimo al collo, 1 morso non profondo all'avambraccio sinistro (Medio, 88,50%).
Del Psichico: Confuso, adirato, eccitato (Alto, 77,00).
Dell'Energia: 46% - 9% 6% - 5% 1% - 10% = 29%

Delle Attive:

CITAZIONE
"Il fantasma siamo tutti noi". Le alleanze in battaglia sono fondamentali. Shakan, per ovviare alla solitaria condizione che accompagna la sua vita, può evocare in battaglia dei guerrieri al suo fianco. Concentrandosi almeno un secondo, infatti, evoca accanto a se, a una distanza massima di un metro, una copia di se stesso che lo accompagna durante il duello. La copia si presenterà uguale a Shakan nel momento dell'evocazione, ma sarà armata soltato del guanto artigliato indossato sul braccio sinistro: la copia, però, si presenterà traslucida e opaca, con gli occhi completamente bianchi e lucenti, senza pupille, conferendogli un evidente connotato di "trascendenza". Shakan potrà evocare fino a tre copie contemporaneamente e queste andranno trattate come veri personaggi, non autoconclusivamente. La forza sommata delle copie è pari a un livello energetico inferiore a quello dell'evocatore. La somma delle copie evocate andrà considerata come una evocazione di potenza bassa e queste resteranno sul campo di battaglia per un totale di due turni, per poi svanire nel nulla. [Pergamena necromante "Scheletro rianimato", Gialla, Attiva, consumo Medio]

CITAZIONE
"L'illusione inganna le menti". Spendendo un consumo pari a Basso, Shakan sarà in grado di ricreare nella mente nemica, una sola immagine, che potrà essere un ricordo oppure un apparizione momentanea. Potrà modificare quindi le sue percezioni grazie ad una semplice illusione che sarà facilmente bypassata con un minimo di concentrazione. L'immagine verrà vista all'interno del campo di battaglia, ma sarà visibile solo per colui che è affetto dall'illusione in se. [I livello del Dominio, Attiva, consumo Basso]

Delle Passive:

La Solitudine... (razziale): difesa psionica passiva
L'Illusione mi scorre nelle vene (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione;
L'Illusione è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%;
L'Illusione non ha ostacoli: (personale) illusioni non riconoscibili con abilità passive;
Il Potere mi ha corrotto (personale di metagame): permette di usare abilità necromante;
Il Fantasma li rende eterni (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici;
Anello del Potere: consumi ridotti di 3%, ma mai sotto l'1%, non cumilabile col risparmio delle illusioni;
L'Abiezione... (personale): ammaliamento psionico passivo, induce terrore nei presenti;

Delle Armi:

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli estratti;
Frusta: legata alla cintura

Del Riassunto:

Subisco l'attacco di Zaide nei modi definiti dal QM, non prendendo alcun danno fisico, ma un danno psichico medio (spero di aver inteso bene). Al risveglio, attacco Zaide con i fantasmi: ne creo tre e faccio in modo che attacchino tutti e 3 al suo busto. Nell'attimo prima dell'attacco, però, creo un'illusione veloce su Zaide, facendole credere che un piccolo stormo della "Flotta di Icaro" si fiondi su di lei, attaccandola. L'illusione sarà rapida, così come l'attacco dei fantasmi che spariranno poco dopo che io mi allontani (non possono stare troppo distanti da me). Però, specifico che: con le mie passive, i fantasmi sono immuni al danno fisico, hanno energia complessiva pari a verde e che le mie illusioni sono immuni da passive di riconoscimento delle stesse. Dopo questo, seguo Alexandra sulle scale scandendo come un pazzo quelle parole, la raggiungo, la afferro, la minaccio con gli artigli e la ricopro dei suddetti vituperi. Maggiori dettagli nelle note.

Delle Note:

1) La psicologia di Shakan. Shakan, schiacciato dal peso dell'incubo che sta vivendo, decide di lasciarsi morire, facendosi fagocitare dal drago che poi si trasforma in Shivian e lo attacca con una lama (insomma, ho pensato che, pur essendo un'ombra, Shivian non mi attacca mordendomi O_o). Nell'attimo però in cui vede la "realtà", non scorgendo Alexandra e subendo, contemporaneamente, il danno medio alla psiche (per un totale di Alto), Shakan si convince di essere stato ingannato da lei, e - in fondo - è il sospetto che ha comunque sempre avuto (anche da lucido). Per questo, dopo essere tornato alla realtà, attacca Zaide perché non si è più rassegnato a morire (è convinto che questa lo voglia comunque uccidere), anche - e sopratutto - per rallentarla, e poi si fionda sulle scale. Qui sente le parole della dottoressa e capisce di essere stato usato ancora una volta, sopratutto da Alexandra che è l'unica che si sta avvantaggiando da tutto questo. Ormai un pò fuori, decanta come una litania il proprio strazio e, una volta raggiunta la cima, blocca Alexandra sfidandola: o d'ora in poi lei starà al suo fianco seguendo i suoi ordini, oppure la attaccherà. Egli, in verità, spera che Alexandra accetti, per tradirla a sua volta appena possibile. Insomma, qualcosa si è rotto, ormai (nella testa di Shakan, intendo).
2) Tutte le autoconclusività fatte verso il pg di Foxy, ed in particolare il blocco della mano, sono frutto di un accordo reciproco (come già detto - penso Foxy confermerà). Io, da par mio, le ho già dato l'autorizzazione a liberarsi nel suo post (con autoconclusività verso il mio pg).
3) La ragione di queste scelte è dettata dalla volontà di dare una "svolta" alla scena, anche - e sopratutto - perchè potrebbe essere l'ultima occasione.
4) Attenzione durante la narrazione dell'incubo: le cose dette da Shakan all'indirizzo di Zaide, sono parole che egli ripete nella sua mente, perchè si suppone che Zaide non lo possa sentire e - quindi - egli non le dice veramente (d'altronde non ho messo le « » che segnalano il parlato).
5) Penso sia ovvio che non c'è nulla di personale né verso Foxy, ne verso Zaide: è solo interpretazione.
 
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Foxy's dream
view post Posted on 23/6/2011, 22:14






Le mani strette convulsamente nell’afferrare le else quanto più saldamente possibile, le gambe slanciate in quell’assalto frontale tanto folle quanto determinato. Nei palmi poteva avvertire le pregevoli rifiniture della sua arma e la freddezza della sua seconda lama, concretizzata nella sinistra plasmando la propria volontà come fosse materia a sé stante. Ogni secondo pareva protrarsi all’infinito, libero da qualsiasi appiglio alla realtà, cognizione perduta quel giorno, abbandonata fuori dall’instabile Velta, gorgogliante come una creatura viva e senziente. Fu come osservarsi vivere, lentamente, placidamente: una quieta agonia.
Il corpo si mosse per lei. Un sibilo appena mentre il filo delle lame fendeva l’aria con inattendibile veemenza, il collo della piccola venir tranciato con estrema facilità recidendo quella pelle sì candida e poi muscoli, nervi, vene, arterie, capillari, vertebre in taciti schizzi di sangue che si mossero nell’aria seguendo la scia delle due armi amanti di un istante, abbracciate in una frazione di secondo e pronte infine a dirsi addio lungo il percorso di violenza imposto dalle braccia che le impugnavano.
E poi l’inaspettato, le lame andare in pezzi come cristalli, frammenti di memoria nella tormenta dell’incoscienza, ma che importava? La sorpresa durò un attimo, un’ombra fugace in quegli occhi strabordanti di dolore, trafugata in chissà quale scrigno di un lontano raziocinio, ma no! Non importava - non in quel momento. Vide il corpo della piccola cadere esanime in terra e il suo capo rotolare poco più in là senza accennare al più piccolo movimento, alla più insignificante espressione, e infine sangue, tanto da arrivare a lambire i suoi stivali macchiandoli di quel torbido cremisi.

« Tsk! »


Spontaneo ed eloquente.
Un sorriso sghembo comparve sul suo viso, salma riesumata dal sepolcro della dimenticanza, ancorato con forza al suo passato di nera mietitrice, incantevole e impietosa portatrice di morte. Ce l’aveva fatta - lei ce l’aveva fatta.



« Uh? »


Un sussulto, un’improvvisa ripresa di coscienza all’udire un sobbalzo di mille o più vite confuse, e sollevando lo sguardo ruotò il capo rapidamente avvedendosi di quelle belve in agitazione, interrogative sul da farsi, titubanti.
Inspirò. Espirò. Cosa stava accadendo?
Quella suggestione permeò in lei quasi per osmosi, palpabile, inarrestabile. Il respiro si fece tremante, forse ancor più di prima, vinta la fatica pagata in quello scatto impulsivo adesso rabbrividiva al cospetto dell’incognita che le si presentava. Era finito? Era davvero tutto finito?

“ Povera Lia.”
“ Davvero crudele da parte vostra tentare di uccidere a sangue freddo una bimba indifesa. […] ”

...

Tentare
Tentare
Tentare


Di quella prima frase e di tutte le altre che vennero dopo non comprese altro che quella parola, tollerando a stento che rimbombasse nella sua mente scossa da un eco atono e inespressivo, imprimendo in lei una paura ancestrale, consistente: il timore del fallimento.
Esitante scostò il capo dalla confusione che l’attorniava, dai lineamenti delicati della donna, dalle sue parole vuote, volgendo nuovamente lo sguardo al fisico minuto della fu bambina, non vedendovi altro che un capo bernoccoluto e un corpo nodoso in un lago di sangue verdognolo e non più carminio.
La sorpresa si tramutò presto in ira, una fiera indomabile e irrequieta, ben più inquietante di quelle che la circondavano, banali ibridi malfatti in attesa dell’ennesima illusione, dell’ennesimo comando che silente sarebbe risalito in quelle menti primitive spinte dal solo istinto, facili pedine da porre a difesa della regina su in alto.

« Maledetta - M a l e d e t t e. »


Digrignò i denti accigliandosi in un’espressione arcigna, carica di una rinnovata energia ben più cupa e fosca, torva nella sua essenza, cercando di trattenere la rabbia per l’ennesimo inganno con quello sfogo a denti stretti.
Silenzio - forse no!
Non vi fu tregua, non vi fu pausa, frenetico quell’episodio incalzava senza sosta. La Flotta guizzò sull’attenti riordinandosi come se ad animarla vi fosse un’unica mente, premente a comporre un unico corpo amorfo che con rapidità sorprendente prese a salire le scale che avrebbero condotto all’ultimo piano della torre, all’ultima porta, lì dove tutto stava per concludersi - lì dove tutto aveva avuto inizio.

" Finché i due canti si evinceranno la vostra Dama resisterà alla tentazione del risveglio.
Certamente.
Ma cosa accadrebbe se, per strana fatalità, Lia dovesse in qualche modo prevalere su di lei? Eitinel è forte, certo. Ma quanto pensate che rimanga ancora alla vostra beniamina prima di crollare sotto il peso di un Dio inesorabile? Di una volontà senza confini? "


Non badò a quell’ultimo borbottio, a quel blaterare confuso e a tratti interrotto dal crepitare di Velta, dal fastidioso tramestio di passi, dallo scricchiolare di arti e di versi strozzati. Sapeva solo una cosa, un’unica cosa: doveva recarsi sulla cima della torre - chissà se Finnegan era lì, chissà se l’avrebbe raggiunta? Quel pensiero balenò improvviso e tanto celermente poi sparì quando vide la dottoressa dileguarsi tra le rozze figure di corpi ammassati come fili d’erba in un prato incolto.

La spada ora nel suo pugno, e l’altra andata quando la sua volontà aveva vacillato, nel momento in cui le fu fatto credere che fosse andata in pezzi: ma l’acciaio non mente, rigata dell’etere di quella creatura fu stretta ancor più forte nella destra. E la regina prese a correre, inseguendo la donna artefice di tutto, forse, come un ammaestratore con le proprie bestie, inconscia del fatto che le bestie talvolta si ribellano - è sufficiente poco, davvero poco a far sì che questo accada.

Uno scalino dopo l’altro, un’ascesa terribilmente faticosa, ogni svolta era uguale, ogni pietra pareva ripetersi all’infinito promettendo un calvario eterno fatto di un obiettivo inavvicinabile, utopico sebbene la sua semplicità. Quanto tempo era passato? Quanta strada aveva percorso? Perché lo sbatacchiare d’ali e il fremere di zanne e artigli non si quietava? Ogni passo, ogni azione logorava il suo fisico già provato, quel braccio stanco che ora reggeva malamente quella bastarda, e quelle gambe fiacche a sopportare il peso d’un passato perduto. E poi qualcosa, finalmente, una porta alla cui difesa, statuario, si ergeva uno dei “campioni” veduto appena fuori, e la dottoressa poco più in là, dolcemente silenziosa - non pareva neppure lei.

« Ascoltami...
S t r o n z a...
»


Improvvisamente si sentì stringere il polso e poi strattonare bruscamente indietro, vedendovi i tratti mascolini e spigolosi di Shakan corrugati in un’espressione di estrema decisione e risolutezza, e poi quelle parole - cosa era accaduto? Solo dopo si accorse ch’egli aveva accostato i propri rozzi artigli al suo ventre, nel malcelato tentativo di intimorirla, sudicio di quella folle pretesa.

« Ricordi l’attimo in cui ti chiamai così ?
Fu il primo momento: quando ti vidi bruciare un corpo innocente.

Fu l’attimo in cui mi disegnasti la tua vita.
Mi facesti conoscere il tuo fato. Ed io lo rifiutai, come sto facendo ora.
»


Continuava a non capire il perché delle sue azioni, il perché delle sue parole - forse troppo distante dal prossimo, forse perché rinchiusa ancora una volta in una prigionia dove l’individualismo, suo unico compagno di cella, regnava solo e imperituro. Lei, ombra di sé medesima. Lei, immagine residua di un ricordo.

« Non mi importa quanto forte sia la libidine che ti scorre tra le cosce
e che ti spinge, ogni passo, ad accelerare la rincorsa verso il tuo trofeo...

Non mi importa quanto valore tu possa dare ad un patto solenne
che io ho stretto giurandovi in esso tutta la mia dignità.
Non mi importa di quanto servile tu ritenga ogni promessa fatta,
per sacrificarla alla tua gloria l’attimo dopo.
»


Avvertì gli artigli premere ancor più, ma non badò a quel barbaro sforzo, no! Stralunata osservava il proprio interlocutore dritto negli occhi, cercando di carpire con chi stesse parlando: era davvero lo Shakan che conosceva? Ma chiunque fosse, chiunque credeva d’essere, non tollerava quel linguaggio, quei gergalismi di basso borgo che nulla avevano a che fare coi loro intenti, coi loro obiettivi promulgati appena fuori Bottiglia Verde quel giorno.

« Stiamo morendo: stiamo scomparendo,
vittime di un inganno che ci sta sciogliendo come neve al sole.
E, in nome di tutto ciò che ho u c c i s o per giungere qui,
tu non sarai l’unica a giovare di tutto questo.

Ora, innanzi a me, ti asservirai alla volontà di entrambi.
Prometterai, e condannerai te stessa ad u b b i d i r e a me. E a ciò che voglio.
E rimarrai al mio fianco, non anticipando m a i p i ù il mio passo.
O, per ogni demonio dell’inferno, non ti libererai mai della mia vendetta...
»


Adesso capiva, forse. Aveva d’avanti un uomo troppo umano, semplicemente, pauroso di morire - pauroso di perdere l’occasione tanto inseguita. Mediocre esigeva obbedienza, una forma d’asservimento unilaterale come riscatto a quel che aveva compiuto fino a quel momento, come se la sua spada e il suo sangue fosse un premio, un trofeo di cui bearsi ancor prima dell’epilogo di quel turpe viaggio - non avrebbe mai concesso lui quella soddisfazione, a lui come ad altri, a meno che la propria volontà non coincidesse coi desideri altrui.

« Oppure non ti libererai mai del male che ti giurerò.
E, anche da morto, rincorrerò il tuo culetto in capo al mondo,
fino a s v e r g i n a r l o con queste lame.

Quest’ultima soglia la varcherai asservendoti alle mie volontà,
rinunciando alla tua gloria personale ed al prezzo che è costato fino ad ora.

Oppure sarà mia cura ucciderti ora, innanzi a questo portone.
E giunger solitario al cospetto di ciò che si cela dietro di esso...
»

...

« Sei impazzito o cosa, Shakan? »


Reagì d’istinto a quelle parole. Stava senza dubbio esagerando con quella predica fuori luogo e fuori dai suoi soliti schemi orientati a un buonsenso pressante e quasi noioso. Probabilmente traviato anch’esso dall’inganno e dai meschini giochetti di Lia e della sua presunta madre aveva reagito ben più ardentemente ad essi, incline alla perdita di coscienza e propenso all’autolesionismo - lo ricordava bene.

« Ti rendi conto di quel che stai dicendo?
Eppure dovresti conoscere anche tu la solitudine e il tradimento. »


Voleva farlo ragionare, anche se ragionare con un pazzo in preda a una crisi isterica le dispiaceva non poco in quelle circostanze. Con un colpo di polso ruotò la spada nella destra, urtando con il piatto della lama il braccio di Shakan, deviando quegli artigli fuori dalla sua portata, nullificando quella blanda minaccia, e subitanea afferrò il colletto della sua veste con la sinistra, tirandolo a sé con fare dissoluto e quasi furente, un attrito fra personalità divergenti eppure affini.

« Il tuo Re ti ha tradito - il tuo Re si è tradito, ricordi?
E adesso fai di me un capro espiatorio su cui sfogarti? »


In cuor suo sperava che quelle parole facessero breccia nel grumo informe di follia nella sua mente, portando un po’ di luce in quella notte sempre più buia - sempre più vuota.

« Proprio perché stiamo cadendo come mosche dovremmo rimanere uniti, ora più che mai.
Oh, no! Non sei solo Shakan.
Tieniti la tua gloria, tieniti il tuo Asgradel - non mi importa nulla di tutto ciò.
L’ho detto prima: devo solo ricambiare un favore. »


Era sincera, perlomeno credeva d’esserlo, e dopo aver fissato per alcuni istanti le iridi dell’illusionista mollò la presa dal colletto spingendolo indietro appena un po’, debolmente.



« Vedi com’è facile perdere l’onore e la dignità?
Lo vedi: S h a k a n? »


Proseguì volgendo il capo al “campione traditore”, esibendosi in un sorriso sprezzante pregno di sdegnoso interesse.

« Adesso vediamo di finirla con questo gioco di canti,
sta diventando noioso e orrendamente ripetitivo. »


Un comando, un ordine, una sollecitazione, un’esortazione all’ordine e alla logica. Una porta - l’ultima porta era avanti a loro: non restava che aprirla.

« Ah! Un’ultima cosa:
bada a come parli quando ti rivolgi a me.
Hai visto anche tu quanto terribili possano essere le mie fiamme. »





CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 39% - 2% - 10% = 27%
Status psicologico: Provata e stanca, decisa ad affrontare l'ultima prova [Alto + Medio]
Condizioni fisiche: Illesa

______________________ _ _

Abilità attive:

• Absolute Truth ~
Spendendo un consumo di energie pari a Basso, Alexandra sarà in grado di dare alle proprie parole una convinzione e un tono tale da farle sembrare, a chiunque abbia modo d'udirle, assolutamente vere. La tecnica ha una durata istantanea, e condizionerà solo poche frasi successive all'utilizzo della stessa. [Pergamena del Ladro: Non sono stato io!]
____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

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Note:

Perdonate il ritardo ma gli esami incalzano, e domani mi attende la terza prova *incrocia le dita*
In questo post riprendo Alexandra dal suo attacco sulla finta Lia, e dopo tutte le descrizioni del caso alternate a un'introspezione piuttosto profonda - forse troppo - passo alla lunga salita all'interno della torre.
Qui viene fermata da Shakan, e dopo aver ascoltato tutto il papocchio di roba reagisce piuttosto "caldamente", fuori dai suoi soliti schemi costituiti da fredda razionalità. Sul gruppetto di frasi che comincia con « Proprio perché stiamo cadendo come mosche [...] utilizzo la pergamena del Ladro "Non sono stato io!", così da cercare di ricucire il rapporto tra Ale e Shakan, quantomai essenziale in quest'occasione dove siamo tutti in fin di vita e a corto d'energia.

Colgo l'occasione per scusarmi della qualità forse sottotono, per alcune ripetizioni volute forse ridondanti e fastidiose, e per la ripetizione per intero delle frasi pronunciate dagli altri personaggi coinvolti, ma in questo post volevo creare un unico e lungo flusso di coscienza dove Ale segue una vera e propria evoluzione, non trascurando neppure un dettaglio, così da essere quanto più coerente possibile con la sua natura introspettiva e con gli eventi che la vedono coinvolta.
Ogni autoconclusione è stata inoltre accordata con janz per vie private, e non vede nessuna lesione al suo pg. (L'esito della tecnica "Non sono stato io!" non è decretato autoconclusivamente, quindi janz potrà difendersi o reagire seguendo l'interpretazione che più gli parrà opportuna ^^)

A questo punto passo la palla a Zaide - buon lavoro e grazie della piccola proroga concessami ^^

 
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view post Posted on 24/6/2011, 16:18

Esperto
······

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Il sole filtrava tiepido dalle imposte semichiuse, tenue promessa di primavera che solleticava l’aria della stanza di innocuo candore.
Il rossore dell’alba iniziava già ad addolcirsi in gocce di luce chiara che tremolavano sulla parete di legno come delicate lacrime, chiazze opalescenti così innocenti, così fuori luogo in quell’antro intriso di vergogna e dolore.

Le lacrime si erano ormai seccate nei suoi occhi spalancati in un abisso d’orrore: lo sguardo della fanciulla era vitreo e sbarrato come quello di un cadavere, ma nonostante quello di morire fosse il suo più ardente desiderio, il sangue pulsava con fastidiosa ostinazione nelle vene di Zaide. Quello stesso sangue ormai rappreso e secco sulle sue mani rigide e tremanti come quelle di un fantoccio di legno.

Non le appartenevano.

Niente le apparteneva più.

La larga chiazza rosso cupo si spandeva per tutto il pavimento di pietra, raggrumandosi tra i solchi del terreno come un rivolo essiccato che si perde tra le rocce della sorgente, inaridendo la terra un tempo grazie a lui così florida. Il cuore arido, la mente svuotata e annientata dall’incredulo dolore che solo ora, dopo una notte durata un’eternità, iniziava a fare breccia nei sensi assopiti della giovane riscuotendola dall’annichilito torpore in cui la sua mente si era auto-esiliata.

Pochi ricordi atroci le scossero le spalle in un sussulto convulso: le urla, il buio, il bastone.
L’Uomo.
La fine del mondo.

Il piccolo segreto cullato con tanta dolcezza nei sogni teneri che solo una bambina può sognare, la stella che illuminava i pensieri di Zaide nello squallore della sua vita di giovane puttana ridotta a brandelli dalla furia brutale e perversa di quel mostro senza scrupoli né pietà giaceva nel lago di sangue che imbeveva il pavimento e i vestiti della ragazza.
Un breve gemito.
E poi il dolore, imprevedibile e assoluto, esplose nel suo addome dilaniato, trafiggendole le carni come artigli che la penetravano
come ghiaccio bollente, squarciando la pelle morbida e vulnerabile sotto la seta impalpabile che ora si tingeva di scarlatto.

Zaide urlò di dolore e sorpresa: il mondo fittizio contro cui stava combattendo si era sfaldato come un velo liso da secoli, rivelando l’orrore dietro lo squarcio. La Bestia aveva attaccato proprio mentre la sua mente esultava alla vista dell’antico compagno vendicare la propria morte contro quel dio fasullo che lei stessa aveva eretto ai propri occhi come un simulacro da abbattere.

Menzogna.

Null’altro che vile menzogna.

La giovane portò una mano al petto, stringendo convulsamente il pugno attorno alla ferita aperta dalle lame gelide del mostro, chinando appena il busto per far fronte al dolore. Le mancava il fiato, ma attonita si rese conto che quell’assalto sarebbe stato anche l’ultimo: le creature viscide e deformi che arrancavano lungo la scalinata devastata riaccolsero la loro compagna tra i ranghi, nascondendola ben presto alla vista di Zaide.
I suoi occhi ancora annebbiati cercarono di identificare nella moltitudine la sagoma dell’alleato che per un istante aveva unito i suoi sforzi a quelli di lei nel tentativo di uccidere Shakan, il d i o .

Ed era proprio Shakan, ma l’uomo, che ora esitava immobile e debolmente umano, solo umano, accanto alla sua carnefice: preda e cacciatore immobilizzati nel riluttante silenzio del riconoscimento, nell’esigua consapevolezza che i ruoli si sarebbero ribaltati, ancora, ancora e ancora una volta lo vidi, enigmatico e folle , come il primo istante.

Hocrag!

Volevo urlare.
Non lasciarmi sola! Almeno tu. Almeno. Tu. In balia dei miei incubi peggiori, incapace di danzare al ritmo di questa assurda pantomima sovrastata dalla Morte ghignante e inevitabile, regina e dea.

Gli dei non esistono, gli dei non esistono!

L’infantile pensiero mi urlava nella mente, nel tentativo inutile di restituirmi a un barlume di lucidità, di comprensione. Di fiducia in me stessa.
Avevo creduto in una dea, una volta.
Sciocche superstizioni da marinai.

Storie così sottili da entrarti nella mente, capaci di condizionarti e manovrarti come una marionetta dal cervello di segatura, perché null’altro siamo, nulla se non fantocci pieni di stracci, inermi e volubili e irrimediabilmente protesi nell’incessante inseguimento della Morte.
Come se temessimo di perderla.
Come se protrarre il vivere fosse un incubo senza fine, eterno fardello da fuggire ad ogni costo.
E lui era lì ed inseguiva la sua dea, la sua morte: lo vidi correre, volare, gettare la sua anima folle tra le macerie della Torre, cimitero dell’orrore senza uscita, invaghito di quella Chimera senza nome a cui, lo vedevo, era ormai legato
senza scampo: l’attacco la prese talmente di sorpresa che solo un’intuizione felice la salvò dall’infliggere un’ulteriore ferita al ventre già lacerato e sanguinante. Zaide si diede mentalmente della stupida.

Cos’aveva creduto?

Aveva notato l’opaco ritorno all’umanità di Shakan e si era illusa di scorgere nei suoi occhi una fratellanza, un senso di comune destino di effimeri mortali al punto da credere che avrebbero percorso fianco a fianco quell’ultima, inevitabile scalinata verso l’ignoto?

Stupida.

Il rintocco sonoro dei tre corpi mostruosamente deformi, forse sfuggiti alla monotonia della tetra processione, che si schiantavano contro il luminescente scudo madreperlaceo appena scaturito dal palmo teso di Zaide si perse nell’incessante brusio che continuava ad animare l’inarrestabile incedere delle creature loro sorelle verso la cima della Torre: non gli sarebbe costato niente protendersi verso di lei e bloccare l'assalto delle bestie. Allacciare con lei un debole ma sincero legame di mutua comprensione in quell'inferno senza senso. Ma lui non era più lì.

Se n’era andato, lasciandola ancora una volta, l’ennesima, sola.

Gli esseri deformi lo avevano forse seguito? L’avrebbero attaccato? Zaide non era in grado di capire ormai chi o che cosa stesse manovrando le fila di quell’ignobile farsa di burattini, né le rimaneva la forza di correre all’inseguimento dell’uomo che una sola parola aveva pronunciato dacché era tornato ad essere ai suoi occhi una mera creatura che vive un giorno solo.

Una sola parola.

E non era per lei.

La scalinata, incerta e semidiroccata, sembrava dipanarsi come una metafora della vita distrutta e traballante di Zaide, o forse di ogni essere umano.
Lo scudo scintillante avvinghiato alla sua mano, disperato, muto appello alla vita che lentamente si sentiva scivolare via, le batteva fastidiosamente contro la ferita aperta, ma non c’era tempo di fermarsi a tamponare l’emorragia.
I pensieri di Zaide si facevano sempre più contorti e confusi a mano a mano che i gradini scivolavano lenti sotto il movimento affaticato del suo corpo. Solitudine a paura, rabbia e delusione, amarezza e follia si inseguivano nel suo animo, avvelenandole lo spirito fino a renderlo nero e fondo come la notte più cupa. Il Corvo stava lì, appollaiato placidamente sul davanzale della finestra picchettando dolcemente con il becco grigio contro gli stipiti socchiusi.
Zaide non aveva bisogno di vederlo.
Sapeva che era lì.
Sapeva che la guardava, e sapeva che la sua presenza significava solo che il destino era compiuto, e che non ci sarebbe stato modo di tornare indietro. C’era stato un tempo in cui aveva creduto che il Corvo fosse un amico, un alleato che veniva ad offrirle conforto nei momenti di maggiore difficoltà. Ma col passare delle stagioni aveva compreso che non era così.

La vita non era una favola.

Chissà se quel corvo esisteva davvero.
Non veniva a lenirle le ferite. Né quelle visibili, né quelle, ben più dolorose, celate nella coscienza.
Non veniva a prometterle un avvenire migliore, né a guidarla lungo la sua strada.
Veniva a suggellare un destino: a designare l’ora in cui i folli stregati dalla luna avrebbero compiuto un altro passo di non ritorno lungo il loro cammino. Il Corvo non si nutre delle sue prede. Non distrugge i corpi, li trasforma. E quella lunga notte, in quella stanza intrisa dall’odore del sangue e del pianto di una bambina diventata donna troppo in fretta, solo la follia aveva salvato Zaide dal baratro. L’aveva presa per mano e condotta lontano da quei sogni vagheggiati nelle notti di primavera, dalla tentazione di una vita serena e normale.
Le era preclusa.

Ma lei avrebbe continuato a sognare il Corvo, il Corvo che l’aveva salvata e trasformata in una persona vera, illudendosi di avere sempre il suo sguardo ad accompagnarla lungo
quel corridoio pareva interminabile. Camminavo col sangue che gocciolava di tanto in tanto sui gradini decrepiti attraverso le mie dita. Stringevo la ferita così tanto che a un certo punto persi la sensibilità delle mani.
Chissà quanto camminai. Mi parvero ore, giorni.
Il tempo non contava più lì dentro.
Nulla contava più lì dentro. Attorno a me, altri relitti umani che si trascinavano su per la torre, accecati dal loro faro.

E il mio faro, qual era?

Debolmente illuminata da un alone di luce, vedevo chiaramente la Chimera. Il Sogno, l’Incubo. Inseguivo quella donna senza sapere chi fosse, cosa volesse da me – da noi – né perché l’impulso di raggiungerla si facesse via via più forte man mano che raggiungevo la sommità della Torre.
Ero così terribilmente sola.
Folle d’odio, traboccavo di veleno che non avrei mai saputo come sopire. Li vedevo, lontani, o forse a pochi passi: irraggiungibili e impermeabili al mio muto richiamo. Avevano forse paura di me?

Alexandra, così l’aveva chiamata lui.

Così spavalda e intatta nella sua corazza d’indifferenza. E Shakan, sordo e impenetrabile come tutti.
Come tutti.
Come tutti.

Tutti.

E decine, centinaia, milioni di creature ammorbate dalla propria eterna solitudine mi circondavano, mi soffocavano, mi rendevano invisibile.


Nessuno avrebbe saputo dire quanto l’ascesa all’inferno fosse durata.

Ma ad un tratto, quello che a Zaide pareva il supplizio eterno cessò così com’era iniziato: di fronte a una porta, – e lo seppe – l’ultima porta che si sarebbe spalancata rivelando finalmente la verità, o un nuovo incubo, o forse non v’era differenza tra i due.

Non si sorprese più di nulla.

Non di scorgere la donna, bellissima e immacolata come se la rovina incombente non la riguardasse di persona, languidamente accosciata in un gesto di garbata attesa.
Non di riconoscere nella silente guardia appostata a difesa dell’ultimo bastione quello che aveva creduto essere il suo ultimo compagno d’armi: Zaide non aveva compagni.
Non di accorgersi di essere, di nuovo, sulla soglia di un assurdo enigma che forse di lì a poco si sarebbe sciolto: i suoi occhi, attoscati da un’ombra nera che nell’iride di smeraldo non era mai apparsa, fissavano vitrei la scena, con indifferenza quasi glaciale.

Gli stolti temono l’ansia. Il dolore, la malattia, la morte.
Gli stolti.

I folli se ne compiacciono, abbracciano con entusiasmo la consapevolezza di avercela fatta, di essere arrivati fin lì, assaporano con gioia quell’agrodolce euforia che fa loro credere di potersi spingere ancora più in là, anche solo un piccolo passo più in là. E poi un altro ancora.
I folli.

Zaide, i muscoli del viso contratti per la lunga rigidità indotta dalla paura, tese le labbra in un sorriso.

Sorrise.

Gli occhi, foschi e anneriti ma sinistramente luminosi, fremevano di determinata eccitazione: gli Dei sono felici.



png





Zaide

Rec [ 250 ] AeV [ 225 ] PeRf [ 125 ] PeRm [ 450 ] CaeM [ 225 ]

[c. 33%; a. 15%; m. 6%; b. 2%]



E' complicato tentare di spiegare questo post per me, anche se spero che si riesca a seguirne almeno superficialmente il senso. Tre focalizzazioni diverse si intrecciano in una sorta di stream of consciousness molto sui generis, che si snoda su piani temporali diversi e attraverso narrazioni interne ed esterne.
L'evoluzione psichica di Zaide in questo post subisce una netta svolta.
Non ai fini del valzer, ma in un certo senso definitivamente (sempre che si possa parlare della psiche di un pg in termini definitivi).

Alla fine la follia latente in lei fin da bambina prende il sopravvento, e la Zaide vagamente altruista, avida di amare e di essere amata nonostante il carattere volitivo, in questo post muore.
Andando con ordine:
i brani in grigio chiaro si riferiscono a un passato lontano, sepolto ma mai dimenticato, e in particolare alla notte più volte citata in diverse occasioni, in cui il padrone di Zaide (che in età adolescenziale era costretta a prostituirsi) la massacra di botte fino a farle perdere il bambino che, quasi segretamente, portava in grembo come un sogno prezioso. Da allora riceve costantemente le visite del "Corvo", che Zaide ha sempre creduto reale e messaggero della dea a cui successivamente si sarebbe legata. Solo ora, nel progressivo disvelarsi della menzogna, la verità viene alla luce: forse il Corvo non è mai esistito, è stato solo un mezzo della sua coscienza per tenerla a galla e farla proseguire.
In grafia "normale" la narrazione degli eventi contingenti; in corsivo gli stessi dal punto di vista soggettivo di Zaide, che a tratti assumono il carattere di flusso di coscienza (perdonate l'abuso del termine ma è il migliore che ho per intendere il susseguirsi di pensieri e azioni senza, a volte, un preciso legame logico). In particolare, determinante per l'insorgere della follia è la continua, ripetuta sensazione di pressante abbandono e impossibilità di relazionarsi con gli altri (Shivian morto, Hocrag -per lei- sfuggente e incomprensibile, Shakan nemico o comunque ostile, Alexandra indifferente al punto da spingerla ad "avvelenarsi" di odio).
Alla fine, la follia inizia a emergere: le rende la forza per affrontare, ancora, l'ignoto, e per sconfiggere definitivamente la paura e l'abbandono.

In termini pratici, Zaide si difende dall'attacco di Shakan senza riconoscerlo come tale, con uno Scudo evocato; cade vittima dell'illusione che la porta a credere di essere attaccata da tre elementi della flotta Icaro sia perchè momentaneamente distratta dal pensiero di Hocrag, sia perchè non si aspetta di essere attaccata da Shakan, sentendosi ingenuamente accomunata a lui da un senso di fratellanza dovuto al loro comune destino di umani (tanto che si aspettava quasi che Shakan la aiutasse, ignara del fatto che fosse proprio lui l'aggressore).

Note: Con la poesia iniziale di Pessoa, tradotta in italiano, ho voluto "rientrare" nei ranghi dopo la babele di incomprensione che tormentava Zaide nei post precedenti: la spiegazione è semplice. Ora che i veli stanno cadendo, che la menzogna si rivela, e che Zaide riacquista, con l'accettazione della follia, la lucidità della propria mente, la comprensione è a portata di mano: perchè non ha più alcuna necessità di "capire", ma la verità è quella, pura e semplice, che si dipana sotto i suoi occhi (che sia reale o no, poco importa).

La colonna sonora è "Gretchen am Spinnrade" di Schubert/Liszt, musica che simboleggia l'ossessiva ripetitività e ciclicità del tempo.


Energia:
55%-6-10 = 39%

Stato fisico:
Tagli e contusioni alla gamba sinistra; ferita al petto sanguinante e di entità Alta.

Stato psicologico:
Folle e rasserenata; danno psichico di entità Bassa in seguito alla cessazione dell'illusione, che si somma al danno Alto precedentemente segnalato (per una svista non l'ho indicato nel precedente post).

Attive:
Et la lune descende [costo Medio, 6%]

Passive in uso:
Scurovisione
Risparmio energetico

Equipaggiamento:
Athame del Corvo con Trappola Annullante incastonata
Athame delle Anime
Set di 20 18 12 pugnali
Linfa vegetale

CITAZIONE
Et la lune descende: Fu uno dei primi maestri di Zaide ad insegnarle questa fondamentale e antica tecnica di difesa, ideata secoli orsono dai quei maghi che si trovarono a combattere contro guerrieri e barbari di grande possanza fisica; in un attimo l'incantatore potrà evocare uno scudo scintillante e traslucido allacciato a una delle sue braccia, del diametro di qualche decina di centimetri dalle sfumature cangianti della madreperla. Tale scudo resterà sul suo braccio per una durata totale di due turni compreso quello di evocazione e fungerà come una barriera di basso livello contro qualsiasi tipo di offensiva. Al termine del secondo turno lo scudo svanirà nel nulla, volatilizzandosi tanto velocemente quanto rapidamente è stato richiamato.
[Pergamena bianca Scudo evocato - Consumo Medio]

Edit: sistemata una dimenticanza nello specchietto riassuntivo.




Edited by Zaide - 24/6/2011, 21:41
 
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view post Posted on 6/7/2011, 19:10
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And...bla..Bla..BLA
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di-I7YH

Avrei voluto aiutarvi. Avrei tanto desiderato soccorrervi.
Ma faceva troppo freddo. Era troppo caldo. Ero così stanco.
Che alla fine non è stato che un attimo, che un istante
vedervi morire.
Uno ad uno.

Non ho pianto lacrime.
Avevo troppa sete.
Non ho avuto rimpianti.
Poiché già non sapevo più chi voi foste.


di-M2LN

Gli occhi di Hocrag si chiusero una, due volte.
Atoni, freddi, vacui come pozze stagnanti. Alcun pensiero a colorare l'iride fissa. A bagnare di sentimento la pupilla grigia.
Tanto al sopraggiungere di Alexandra, grigia nella propria corsa senza speranza.
Quanto al capitolare di Shakan, belva feroce alle calcagna della bella in fuga.
Ed infine, pur per ultima, anche nel finale arrancare di Zaide, le avvenenti fattezze ora sbiadite nella sensazione del panico.

Tre anime. Tre superstiti della giostra infernale che, ancora, non si risolveva dal lasciarli andare.
E dunque, a precipizio nel vuoto, eccoli ancora andare giù, giù, negli abissi più profondi dello sconcerto e della perdizione. E poi di nuovo su, su fino al culmine di Velta, roccaforte maledetta di un Clan oramai perduto, di un tempo già finito. Di una era il cui tramonto già si defilava nell'impreciso profilo dell'orizzonte.
Tre riflessi sbiaditi nello sguardo vuoto di un occhio che già pareva incapace di vedere, di un volto già mangiato dalla propria assenza, corroso da quella plateale rigidità propria dei moribondi e degli smemorati.
Tre corpi che, soli, ora sostavano alla volta delle stanze di Eitinel, svettante Empireo di un mondo plasmato di soli Sogni e Incubi, pensieri e ricordi prossimi dallo sbiadire nella notte.
Tre guerrieri privati delle proprie armi, snudati dei propri scudi in ragione di affrontare una minaccia tutta parole e sospetti.

Tre umani e la Dottoressa, le labbra tremanti ora piegate in una strana smorfia arcigna. Il lato destro sornione e quello sinistro flesso verso il basso in una specie di paralisi. Guardò per un istante il gruppetto poco distante notando il battibecco dei primi due e lo sguardo sconvolto dell'altra e, lentamente, si abbandonò ad un ghignetto sardonico. Non era forse quello che aveva loro preannunciato? Ciò da cui li aveva messi in guardia? Ora, com'era giusto che fosse, tutto stava andando esattamente come ella aveva previsto, pecca più pecca meno.
Fu con tono sommesso e divertito che quindi, dopo un attimo di silenzio, ella riprese a parlare. Una voce ora gracchiante, molto meno femminile e suadente di prima, come se inaspettatamente le si fosse incastrato qualcosa in gola e ora quel fastidioso particolare le raschiasse dolorosamente la giugulare di sillaba in sillaba.
" Il vostro amico ha ragione, miei cari "
sorrise piano, uno stiracchiamento sanguigno di labbra
" State morendo."
un'altra pausa, piccole gocce di sangue che stillavano dalle ferite apertesi sulla carne morbida
" Nel peggiore e più atroce dei modi. Schiacciati dalla devastante potenza di due creature ben al di sopra di qualsiasi vostra infima immaginazione. Pazzi dalle timide fantasie di una bambina. Confusi e intontiti dal seducente canto di una donna. "
altra pausa, il riflesso delle lenti della donna che proiettava n'ombra scura sulle sue guance cave. Scosse la testa, rilassando appena il capo sulle spalle tese
" E ora non ditemi che io non vi avevo avvertiti. Che non vi avevo consigliato di andarvene, di lasciar perdere questa guerra ben al di sopra delle vostre capacità e lasciare la vostra Eitinel e il suo Asgradel alle loro faccende".
Poco distante, l'iride di Hocrag ebbe un sussulto, quasi che per un istante egli avesse potuto mettere a fuoco qualcosa, o qualcuno. Poi di nuovo, lentamente, il ritorno all'oblio.
" Di dimenticarvi di Lia e dei suoi giochi, dei suoi piccoli desideri da bambina che poco mancherebbero di assomigliare ad ognuno dei vostri, i medesimi annidati in quei cuori che tanto vi preoccupate di nascondere e di celare dietro pesanti armature e sguardi stralunati"
Un sorriso. Poi il socchiudersi delle palpebre nel nuovo, pesante, fratturarsi del silenzio. Nel risalire di Eitinel. Nel rincorrere di Lia. Nel duettare di due anime tanto dissimili da apparire infine eguali.
" La mia piccola voleva solo essere ascoltata. Voleva solo smettere di essere il distorto termine di paragone con un genitore irraggiungibile. Voleva divenire qualcosa di Vero, di reale. Di autentico. E per farlo, innocente crudeltà, non ha esitato nemmeno un secondo a ricorrere alle proprie più oscure capacità, alle più orribili distorsioni della propria natura"
In quella, con un fruscio sibillino, la Dottoressa si tirò in piedi. I capelli biondi che cascavano in ciuffi cisposi sulle spalle ossute. Parevano oramai paglia, il degrado della sua bellezza che già trapelava nel respiro pesante, grossolano.
Si sistemò con un gesto meccanico gli occhiali, rivelando come il peso degli stessi avesse già segnato il naso adunco con una virgola rosso-bluastra. Poi si schiarì la voce - quel raspino-
" Ricordate.
Solo gli Dei hanno il potere di Creare. Gli umani possono solo Distruggere, e con i cocci di un'antica perfezione dare forma a quegli abominii che essi chiamano " capolavori "e che tanto si beano di spacciare per opere d'arte."

con un passo fu accanto ad Hocrag, lo sguardo di lui che si voltava appena in sua direzione mentre ella, quasi come a volersi sorreggere, si aggrappava al suo braccio.
" Il Canto di Lia è il suo capolavoro più grande" aggiunse quindi con una vena debole nella voce " Ma che cosa pensate che ella abbia dovuto distruggere, ogni volta, per assemblarlo? Quale prezzo ha dovuto pagare per rasentare, solo per pochi attimi, la potenza di un Dio?"
Fu allora che, come argilla troppo debole e troppo fragile per reggere qualsunque pressione, l'intero corpo di Hocrag andò in frantumi. Sabbia e creta. Una debole mistura abile solo a sbriciolarsi fra le dita della Dottoressa.
Sorrise lei, il colore del sangue che si riversava ai suoi piedi in una soffice polvere brunata.

" Capite?
Quando Ray ha mandato Lia al cospetto dell'Asgradel, sapeva che i più grandi campioni di Eitinel si sarebbero messi immediatamente sulle sue tracce per ucciderla. Sapeva che essi sarebbero stati forti e potenti. Ottimi per pranzo. Gustosi come spuntino prima del piatto finale. Certamente abbastanza succulenti da permettere a Lia di cantare a squarciagola fino alla cima più alta di Velta con l'aiuto delle LORO voci a sommarsi alla propria."

Se le fosse stato possibile, certamente la Dottoressa avrebbe proprio allora abbozzato i primi passi di un balletto festaiolo. Passo a destra, passo a sinistra, movimento dei fianchi e giro su se stessa. Ma viste le sue condizioni improvvisamente precarie, la Donna non poté far altro che abbozzare uno sbilanciamento a manca, un ondeggiamento a dritta e un brivido per tutto il corpo, come foglia morta che tremoli all'arrivo del vento invernale. Non diede pena di dispiacersi per quella mancata leggiadria. Pareva davvero troppo felice per preoccuparsi di alcunchè, ora. Come il cattivo della situazione che, nella rivelazione finale, ispiri infine la brezza impetuosa dell'autocelebrazione.
" Credevate che solo l'Asgradel fosse in grado di abbuffarsi di quante più anime gli capitassero a tiro? Avete forse dimenticato che Lia ne è una copia spudorata?"
un nuovo, orribile, sorrisino.

di-SX6E

" Ma tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l'aiuto della vostra cara Eitinel, la vera e propria punta di diamante del piano di Ray"
aggiunse dopo un attimo, la malia che la portava a trascinare un poco i piedi in avanti scompigliando le ceneri di Hocrag in buffe nuvolette cremisi
" Si, proprio la vostra adorata Dama il cui canto sublime ancora e ancora vi costringe ad illudervi di stare parteggiando per il Bene, di stare avanzando per una giusta causa. La dolce e melodiosa Eitinel della cui diabolica ingegnosità andrebbe ricordata la capacità di celare qualunque crudeltà e perfidia al riparo di uno sguardo di porcellana, di un volto da bambola."
Una pausa, il silenzio che tornava lentamente a sopraffare qualunque agitazione della torre. Poco distante, segregato poco più indietro, il rabbioso groviglio di schiocchii e sussulti della Flotta Icaro. Il brulicare morboso di zampe e occhi che inarrestabile si addensava come marea nera attorno alla soglia loro negata. Alle stanze proibite per loro, razza inferiore e maledetta.

" Troppo spaventata all'idea di essere sfiorata ancora, troppo impaurita dalla fragilità della propria condizione di inviolabile sonnolenza, Eitinel non ha trovato altro modo di sfuggire alle cose del mondo se non quello di rinchiudere se medesima all'interno di una Torre impenetrabile. Una Torre altissima, svettante, la cui sola pecca sarebbe quella di mancare di un Drago crudelissimo a difenderla. Ma ovviamente la vostra Dama non è stata così stupida da dimenticarsene. Affatto. Il Drago c'è. Eccome. E tanto subdola è la sua natura che parrebbe quasi impossibile ammettere che sia stata Eitinel, proprio Eitinel, a crearla."
In un sussulto moribondo, la Torre ebbe un nuovo doloroso fremito. Un lungo, stridente, gemito gutturale, come nodoso agitarsi di un ventre di animale che si scuota, rumoroso, di densi umori.
" Eccola, la vostra Fiera. Eccola. Ci state dentro."
concluse dunque la Dottoressa alzando entrambe la mani verso l'altro ed agitandole piano, in un plateale gesto di soddisfazione. Ad indicare muri. Ad apostrofare finestre. Ad occhieggiare a colonne, parapetti, ringhiere.
" Il fatto che, per qualche strana ragione, questa gigantesca struttura abbia per tutto questo tempo vibrato e rimbombato come una gigantesca cassa di risonanza non è il frutto di un caso o di una semplice coincidenza. La Torre di Velta non è altri che un mastodontico amplificatore della voce della Dama, quella voce il cui più grande potere, la cui vera essenza di Dominio consiste nel Dimenticare, giorno per giorno, frammenti della propria vita. Chiunque si addentri dentro Velta e ne desti l'arcano meccanismo è dunque costretto a subire il medesimo destino contro la propria volontà, scordando pezzo dopo pezzo frammenti della propria esistenza così che, una volta calcato l'ultimo gradino, non rimanga in alcun ricordo di ciò che era e con esso anche i propositi dell'aggressione"
In quella, nell'agitarsi convulso dell'armata Icaro, nel suo chiassoso aggrovigliarsi di corpi e membra come topi attorno alla carcassa fresca, ecco il separarsi di alcuni esemplari. Due, per l'esattezza. Scuri di sudore. Scivolosi di bava. Neri di sangue. Le teste ingobbite che parevano faticare a tirarsi in posizione eretta. Nei loro passi la fatica. Nelle loro movenze il dolore.
Ed infine, nel capitolare a terra di uno e l'altro, il distendersi dei lineamenti butterati, il flettersi e raddrizzarsi delle vertebre, l'accorciarsi di dita e unghie.
Il comparire, infine, di Shivian e Finnegan.
di-QTBF
" Da sola, Lia e i suoi trucchetti non avrebbero mai potuto ostacolare i sei grandi eroi dell'Asgradel, così potenti e grandi da guardare con ben poca attenzione alle illusioni e alle scenette di una bambina. Ma Lia e la Torre, forse, forse, si. Si, se uno dopo l'altro i suddetti eroi avessero preso inconsapevolmente a dimenticarsi le fattezze dei propri compagni lasciandoli indietro, scambiandoli per mostri butterati e orripilanti degni di ben poca attenzione. Lasciando così tutto il tempo a Lia di cibarsene in tutta calma."
In quella, come mossi da un meno precisato comando, i due si tirarono nuovamente in piedi, gli occhi opalescenti che rabbrividivano di una tiepida luminescenza.
" La Torre non distingue fra amici e nemici. Non quando colei che la comanda è in bilico fra il sogno e la Realtà, troppo occupata a cantare come una cinciallegra per prestare attenzione a quanto accade molto più in basso, proprio ai suoi piedi. Ciò che vi ha impedito di perdere completamente voi stessi è stato proprio il canto di Lia, il solo capace di annullare la malia intessuta dalla Dama per sostituirla con la propria. Ray sapeva questo. Sapeva che la minaccia ai suoi piani ne sarebbe stata allo stesso tempo la complice più grande. "
In quella, con un lento movimento, la Dottoressa si girò in direzione della porta alle sue spalle. La fissò un istante, come sovrappensiero. Poi, appena visibile, un intorpidirsi dei suoi occhi, lo smarrirsi del fuoco dell'iride e il subitaneo spalancarsi delle ante. Nel buio dinnanzi a lei, il camice della donna parve quasi risplendere di un bagliore niveo.
" Sapeva anche che per sorpassare queste porte, per permettersi infine di Vedere ciò che si cela al loro interno, l'Asgradel ha dovuto concedere ad Eitinel un dono. Un incredibile dono con cui la Dama, in extremis, si assicura un ostaggio contro coloro che attentano alla sua vita. Sfinendo con un ultimo tenzone le loro anime, devastando con un memorabile colpo finale i loro ricordi."
Nello scomparire della sua figura nell'oscurità, parve di vedere il riflesso delle sue lenti risplendere alla volta degli eroi rimasti. Un riflesso esangue, pallido e flebile come lo scoprirsi di un canino adunco.

" Ricordate.
Solo gli esseri umani uccidono.
Gli Dei semplicemente, dall'alto della loro grandezza,
dimenticano

di-OJMV

Abbandonate voi stessi. Rinunciate a ciò che siete.
Altrimenti Eitinel, la vostra Eitinel, non vi concederà mai udienza."



Ed eccoci qui. Questo è il post delle rivelazioni in cui vengono alla luce le oscure trame ordite da Ray ai danni dell'Asgradel. Si scopre dunque che il solo modo che aveva Lia di risalire la Torre di Velta cantando una melodia pari a quella di Eitinel era prosciugando la vita dei 6 campioni messi alle sue calcagna. Uno per turno, uno per ogni illusione. Il canto della Dama ha reso inavvertitamente possibile questa carneficina poiché, sempre ad ogni turno, ella costringeva i suoi stessi alleati a dimenticare il volto di un membro del team colmando dunque i momenti in cui Lia, sola, non avrebbe potuto in alcun modo giostrare tutto quanto allo stesso tempo. Faccio una specifica. Nella mente dei singoli rimane il ricordo dell'individuo e anche delle sue fattezze. Ciononostante nella "realtà" esso non corrisponderà affatto all'immagine " vera" che essi credono di conoscere. Con lo zampino di Lia, quindi, i compagni sono diventati comuni membri della flotta Icaro ( come il mostro che si avvicinava a Zaide capace di mutare volto a seconda di chi lo guardava. Si tratta di un "ricordo sbiadito" che tenta di riaffiorare) o pure immagini di contorno. Velta non è altri che una gigantesca cassa di risonanza del potere di Eitinel che consiste nel dimenticare e nel far dimenticare. L'asgradel stesso, pur ignorando questo fattore, se ne è servito per amplificare all'inverosimile il canto della Dama. Ray è a conoscenza di questo fenomeno grazie alle sue spie, all'incontro con Eitinel al Valzer e con Alexandra e, più semplicemente, per la sua genialità che gli ha permesso di fare due più due in poco tempo.
Lia è immune all'effetto dimenticante grazie al proprio canto.
Le porte che danno alle stanze di Eitinel sono sbarrate per chiunque non conceda alle stesse un regalo, un regalo preziosissimo che diverrà poi e per sempre di Eitinel quale "ostaggio" e legame imperituro con il donatore. L'Asgradel stesso, per passare, ha dovuto concedere il proprio più grande dono. Egualmente dovranno fare coloro che desiderano accedere alla fine di questa quest. La scelta ovviamente è libera, ma trattandosi di Eitinel e della situazione, è quasi sottinteso che la cosa più preziosa in possesso ai personaggi è un loro ricordo, una memoria. Separarsi dallo stesso vorrà dire che i pg PER SEMPRE dimenticheranno la tal cosa senza più potervi accedere di propria sponte.
In questa scena si vede come, al semplice sfiorarsi, ciò che rimane di Hocrag si dissolva semplicemente nel nulla come polvere. Si tratta dello scarto che Lia lascia dei suoi pasti. Nell'esatto momento in cui tale fenomeno si compie ( lo sbriciolamento), ognuno dei vostri pg si dimenticherà PER SEMPRE di Hocrag. Nel corso di questo ultimo post, vostro preciso dovere sarà di finire i vostri compagni le cui ultime volontà saranno ovviamente quelle di impedirvi di varcare la soglia per le stanze di Eitinel. Tale scontro dovrà essere considerato autoconclusivamente. Entrambi saranno di Energia Verde e potranno ricorrere esclusivamente ad attacchi fisici. Una volta uccisi, essi subiranno la medesima sorte di Hocrag: sbriciolamento e perpetua dimenticanza da parte dei vostri pg. Finnegan si scaglia contro Shakan, essendo teoricamente lui il suo "assassino" ( a memoria di Shakan, data l'illusione subita) mentre Shivian attacca Zaide, ovviamente. Alexandra viene lasciata libera di scegliere il proprio bersaglio.

Riguardo ai tre eliminati:
Ognuno di voi ha dovuto subire prima l'abbandono insensato da parte dei vostri compagni che da un certo momento in poi hanno semplicemente smesso di calcolarvi. Lasciati soli ed ostacolati dal perenne movimento della flotta Icaro ( fatto apposta per bloccare qualunque vostro tentativo di ricongiungervi al gruppo o far notare la vostra presenza) siete stati raggiunti da Lia che, nel più tenero dei modi, non ha fatto altro che sbranarvi vivi. Lia sbrana non solo con denti e mani ma soprattutto con la mente. Il deperimento della professoressa ne è un esempio. Comincia dalla fame. Prosegue con l'avvizzimento. E finisce con un bacio d'addio.
In questo turno di do ad ognuno di voi la possibilità di scrivere il vostro canto del cigno. Ossia di descrivere autoconclusivamente la fine dei vostri pg seguendo lo schema sopraindicato. Utilizzare questo bonus-morte è importante: nella mente dei pg giocanti il ricordo dei vostri personaggi non sarà del tutto obliato ma potrete considerare UNA SCINTILLA riattivabile con relativa scena o quest. Se invece deciderete di fare scena muta, allora qualsiasi relazione futura dovrà essere costruita da capo come se si trattasse di completi estranei.

In questo turno non muore nessuno dei pg partecipanti. Le spiegazioni del caso avverranno in seguito.Per qualsiasi chiarimento chiedete pure^___^ So per certo che mi sono fatta sfuggire qualcosa.
Anche in questo turno perdete questa volta il 5% delle energie. Per rispondere ognuno avrà tempo 5 giorni dall'ultimo post più 4 giorni totali di proroga. Gli eliminati sono esclusi da questi tempi: potranno postare quando vorranno senza influenzare il conteggio dei giorni e avranno come unico termine di scadenza 5 giorni dall'ultimo post prima della risposta del qm.

In ultimo, scusate la dimenticanza, mi scuso davvero con tutti per il ritardo. In questi giorni ho vissuto più o meno fuori casaç_ç So che può essere davvero tediante aspettare così a lungo un post di 3 righe e mi spiace moltissimo. Con la fine della scuola e il solo periodo esami...la fine sarà più breve.


Edited by Eitinel - 6/7/2011, 22:48
 
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