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| Knocking on Heaven's Door
Valzer al Crepuscolo
II turno |
P erverso. Disciolto nella perversione di una compulsione irrefrenabile, ma - al tempo stesso - irresistibile, mi dispiegai nel vento, indirizzando la furia e l'astrazione del mio desiderio contro quello sconosciuto dai capelli neri, immobile ed alieno - quasi - da qualsivoglia mia pericolosità: non ne lessi mai, infatti, una vera preoccupazione in quel volto che mi pareva di marmo. Immobile ed infinito, nella propria gelida lontananza. Invero non fu lui, ma qualcos'altro ad impedirmi di scadere nel peccato ancora più turpe: una nuvola, filamenti d'argento sparso che si riempirono di densità attorno alle mie membra, ostacolarono la discesa dei miei artigli veleniferi, impedendoli di plagiare alcunché prim'ancora che potessi anche solo pensare di farlo per davvero. Per converso, però, rimasi assente qualche secondo - inconscio ed ignaro sul perché avevo attaccato quell'uomo e sul come reagire al mio fallimento. Qualsiasi costrizione mi stesse invadendo dal profondo, di fatti, si alternava repentina, in momenti di odio acuto, ad altri momenti più pacati e razionali: plagiato dal mio stesso desiderio di libertà, infatti, mi dividevo tra la potenza di una furia che mi costringeva a prender con la forza quanto mi spettasse, e la pacatezza di una calma forzata che mi riportava - a stento - verso un più diplomatico gioco di squadra.
Quanto volevo, lo volevamo tutti: o no? Quanto volevo, potevo volerlo con tutti loro.
O no?
U dii appena, poi, il sibilar nel vento di alcune lame affilate, incredibilmente rapide, che sfrecciavano dirette alla mia carotide: feci appena in tempo a rilasciare gli artigli in altrettante lame sibilanti, attutendo il colpo, ed evitandolo quasi del tutto. Una di esse, però, mi cinse appena il collo, procurandomi un taglio leggero e costringendomi a serrare lo sguardo ancora una volta, a rinchiudermi nel mio dolore, scosso, questa volta, più dal pericolo, che dalla reale conseguenza. Simultaneamente, però, mi parve di udire il ruggito di un leone, e l'odio profondo pervadermi nuovamente. La torre di Velta tremò un attimo in più, una volta in più, questa volta girando attorno alla mia mente e costringendomi a urlare - a denti stretti - tutta la frustrazione per una razionalità che si scioglieva lentamente, ma inesorabilmente. Ancora una volta, ancora di più. Calandomi del caldo abbraccio della follia.
« Aaaaarrrghhhhh... ! »
E quando riaprii gli occhi, vidi il nulla attorno a me. Scorsi appena, tra gli altri, Arthur ed Alexandra correre dentro la torre. Correre verso quella m i a libertà.
Non eravamo una squadra? Perché venivo lasciando indietro?
Perché sei debole. Perché ciascuno di loro lotta solo per se stesso.
Avevamo un patto Le parole sono vane. Ma loro hanno giurato! Hanno vantato principi che non possiedono. Ti hanno ingannato No! R ipiegai rapido verso l'interno della Torre, affannandomi, calcando con veemenza un terreno che scandiva i propri ultimi rintocchi proprio nel mentre che mi arrogavo il diritto di calpestarlo. Appoggiai una mano su di un pilastro tremante, ed appena in tempo scansai l'ennesimo blocco dell'alta torre che si ripiegava su se stessa, rientrando in essa ed immergendomi - una volta di più - nel buio di un nulla afono e sordo. Un tutto comprensivo di niente: l'oscurità che padroneggiava il ventre di quel marmo oscuro, insieme con lo spirito e l'animo di noi cavalieri prodi di un peccato che ci vedeva ormai infami l'uno con l'altro.
Ormai non potevo fidarmi più. Cadevo, ancora, piombavo nel baratro del peccato. E ricadevo, inesorabile, sulle colpe che un tempo mi avevano reso loro figlio.
S entii il terreno cedere sotto di me, e ricaddi ancora, una ennesima caduta lunga - infinita - senza possibilità di rivedere il fondo. Compensando quella mancanza di certezze, con la forza d'animo che mi illudevo fosse ancora mia propria, ricercavo con lo sguardo coloro che si erano detti miei alleati astratti, pur senza giurarlo mai. Mi parve di rivederli ancora, ricadere nel buio insieme a me, e di rivedere gli altri avventori di quell'incubo, meno che dell'unico verso il quale mi sentivo - allo stesso tempo - colpevole e creditore. L'uomo dai capelli neri, infatti, pareva non accompagnarci più.
L'avevo ucciso io? No - non l'avevo nemmeno colpito.
_______________________________ I mprovvisamente scandii nel vuoto nero un'immagine che pervase il mio cuore dal nulla: una memoria, un ricordo di quel passato infame che speravo di aver dimenticato. Rividi chiaramente ciò che un tempo era stata la via principale del quartiere più nobile di Lithien, la "Bella", la terra che mi aveva dato i natali e che io, invece, avevo beceramente tradito. Mi accompagnavo ancora - al tempo - col mio maestro d'arme, il padre adottivo che mi raccolse dall'empietà di uno struggimento - di una colpa - che, altrimenti, mi avrebbe consumato. Ma che lo faceva, invero, ignorando chi fossi e che tutto quello era dovuto proprio a me. Al tempo, però, lo ignoravo anch'io. Accompagnavo il suo passo di poco lontano, mente egli mi conduceva verso il posto che un tempo costituiva l'ultima sua magione, per il saluto finale che avrebbe concluso, di fatto, la nostra permanenza nelle rovine della città, ormai inospitale e corrotta dalla perversione dell'umana cupidigia, dopo che da quella della carne dovuta alla malattia. Ed egli volle la mia presenza, per l'ultimo saluto che avrebbe destinato il suo cammino.
Il saluto al figlio morto. Quel figlio deceduto di malattia. Pochi giorni prima.
R ividi il lungo corridoio: un tappeto rosso insozzato dalla polvere e dal sangue, segno appannato di un lusso che ormai era solo figlio dei ricordi. Grossi specchi infranti, ai lati di marmi bianchi opachi e coperti dalle vestigia oscure, prive di qualsivoglia luce o lucentezza, ormai. Una magione dai grandi lussi, un tempo: una magione che - in quel momento - non era altro che il simbolo della decandenza di tutta la comunità. Dell'infame tragedia nella quale era piombata.
E ntrai a passo lento, quasi commosso e sommesso, nella stanza. Vidi un letto bianco, una malata perversione in quella sollene distruzione: lenzuola candide ed orpelli ornati a festa, quasi a voler mantenere la solennità dell'unica ricorrenza che era rimasta a quella famiglia straziata. Il lusso di un giaciglio funebre: il riposo ultimo, ed eterno, del giovane erede di famgila. Del rampollo che avrebbe dovuto continuare la tradizione, non sommergerla di lacrime amare.
« Che il cielo benedica il tuo ultimo viaggio, figlio... »
Disse il mio maestro, tra le lacrime interminabili di un fanciullesco sconforto.
« E che tu possa perdonarmi, se questo è l'ultimo onore che posso dare alla tua salma... »
Mi avvicinai con rispetto e tenerezza a quel letto immacolato: scrutai un profilo giovanile, appena velato dai segni di un'atroce malattia, ma sommesso e coperto di una regalità senza pari che ancora lo conservava, intatto, in una chiara armonia di forme e riflessioni. Seppur immobili: seppur gelide nella rigidità della morte. E, forse, anche per questo, ancor più visibili.
Rabbrividii. Tremando, mi chiarii il vero: stavo mirando la tomba di colui che aveva portato il mio nome.
Stavo scrutando la salma di Shakan Anter Deius. E l'avevo ucciso io: anzi, la mia colpa.
I l cadavere si mosse appena, allorquando una raffica di vento spalancò la finestra rotta e ne spostò appena le lenzuola. Il maestro accorse a serrar le ante, mentre il cadavere fu appena scosso ed il volto, un tempo immobile, ricadde sul suo lato destro, mostrandosi a me interamente. Raggelai, invero: il suo volto lungo e smunto, portava capelli neri lungo il viso ed una freddezza propria di quel tono, e quel portamento, tanto sollenne e greve da avermelo già fatto scorgere come pericoloso e subdolo.
Era il volto dell'uomo scomparso. Era il volto di colui che avevo attaccato poco prima, innanzi al portone di Velta.
Egli era l'ennesima vittima. L'ennesimo sacrificio per quel mio desiderio di libertà.
_______________________________
Quanti altri peccati avrei sacrificato all'altare delle mie colpe?
R ipiombai nuovamente al suolo. Nell'ovunque fossi caduto, invero, regnava lo spazio ed il vuoto di un nulla che - questa volta - pareva volersi delineare in un qualcosa, per quanto turpe ed astratto fosse. Un salone immenso, circondato da creature orripilanti, immobili in tetre smorfie di orrore e fermento. Parevano, alla mia vista, tutte mirare o scorgere qualcosa, un'unica luce - forse - che illuminava quell'immensità nera e che, soltanto alla fine, ebbi la cortezza di cosiderare. Una porta, un portone, un'uscita di qualunque genere, composta unicamente dell'ebrezza di una luce immensa, difficile da fissare. Attorno a quell'astrazione, ed innanzi alla luce, infine, ci ergevamo noi: coloro che ancora non erano scomporarsi, fagocitati o sacrificiati a quell'incubo infinito, o - più propriamente - alla caducità del desiderio di potenza che pervadeva me, sopratutto. Tra noi e quella verosimile via di fuga, però, si ergeva qualcosa, che appena riuscii a scorgere in controluce.
Una figura umanoide, dai tratti perversi appena visibili. La luce ne riempiva i contorni, rendendoli sfumati e difficili da interpretare. Ma sulla sua imperiosità mi pareva difficile dubitare.
D'un tratto, poi, divenni sordo a qualunque evento. In sottofondo sentii il roboante sibilare delle armi e degli animi, che ancora si dispiegavano nel vento, tra sangue ed ardimenti. Ancora battaglia, ancora sangue: ancora dolore. Quando sarebbe finito tutto questo? Perché non ho il potere di fermarlo? Perché non posso donare al mondo la libertà che merita, con la sola volontà? Non sei abbastanza potente. Ma lo vorrei: vorrei il potere di imporre questa libertà. Quella voce oscura ancora risuonava dentro di me, parto della mia coscienza - forse - più che del mio udito. Mi interrogava e mi volgeva dubbi reconditi sulla fondatezza dei miei desideri, rivelando - facilmente - ogni limite del mio cuore.
Vorrei il potere: vorrei la forza per fermare tutto quello.
D 'un tratto fissai in volto la creatura in controluce: a discapito delle iniziali apparenze, infatti, il suo viso mi parve del tutto familiare e conosciuto. L'avevo visto, invero, nell'oscurità di un sacro luogo, inveire - contorto - contro di me. L'avevo visto, però, anche abbandonarsi all'affetto di una donna, tra le vestigia candide di un letto. Ed in quel momento, per qualche ragione, mi parve più simile a quel volto, giovanile e - per quella volta soltanto - libero dai tormenti che poi gli sarebbero stati propri. Il volto innocente di un fanciullo che si affaccia al mondo con la forza dell'unico artefatto che lo avrebbe potuto trasformare nel più giusto dei sovrani: l'artificio dell'amore.
Strinsi gli occhi, per scorgere meglio tra i bagliori della porta. E nel volto di quella creatura riconobbi distintamente i tratti di Ray. Un giovane Ray.
Ray, il re che non perde mai. Vidi il suo volto giovane ed innocente, quel volto che scorsi in quell'unica memoria felice. In quell'unico attimo di apparente serentià della sua vita.
Vorrei il tuo potere, Ray. Lo vorrei per donare libertà al mondo. Vorrei quel potere, come l'avresti usato tu, se non fossi ricaduto nel tormento.
« E' questo il tuo desiderio ? »
Il suo volto mi fissò, le sue labbra si mossero appena. O forse non si mossero affatto, ma parlò direttamente al mio animo. Ed una voce, quella voce - ancor più roboante, però - risuonò nel vento. E, per qualche ragione, pensai che fosse stato lui. A farmi quell'unica domanda. Sperai che fosse stato lui.
« Si, è questo... »
R isposi piano, appena sussurrando, alienandomi da qualunque considerazione più o meno razionale, astraendomi dal perché o per come, Ray fosse li e mi stesse chiedendo quale fosse il mio desiderio. Non considerando, ignorando, se tutto quello fosse l'illusione o la finta realtà di una nuova contrazione della mia memoria, o della mia razionalità. O se, più semplicemente, qualcuno o qualcosa stesse giocando con le mie fantasie.
Astraendomi del tutto, da tutto. Ed inveendo, invero, in una nuova fonetica.
« That's my desire. And my destiny, too... »
E d il potere mi pervase. Un potere diverso, distaccato ed, invero, roboante come un'esplosione di energia oscura. Lo fissai nascere dalle mie mani, e scorrermi nelle vene, percorrendo ogni lembo della mia pelle, rendendola scura, scorrendo nei miei capelli e dilaniandomi piano le vesti, fino ad espandersi al di fuori di me, rendendomi faro di energia nera. Levitai poco, ergendomi dal cielo, mentre l'oscurità raggiungeva la sommità del mio capo e si dispiegava nell'aria in diversi cerchi concentrici, oltre la mia testa. Ed il vento stesso pareva rifuggire da me, sfogandosi verso l'esterno, espandendo, in terra ed in cielo, piccoli crateri dall'esponenziale potenza.
"Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo. La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito. Subito fui rapito in estasi. Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto. [...] Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni"
E scariche di energia si dipananono oltre di me, mentre le mura della Torre di Velta parevano infrangersi sotto il peso della mia potenza. Divenire qualcosa di diverso: lasciar spazio alle terre aride che, un tempo, dovevano aver visto ergere e crescere i numerosi regni del uomini. Ed il mio potere esplose, nuovamente e ripetutamente: e ad ogni scarica di energia, un'immagine si ergeva nel tempo. Regni immensi sparire in un giorno; vortici scuri straziare intere vallate; imponenti castelli subire la furia dell'apocallisse; migliaia di uomini fagocitarsi in un unico ed infinito massacro; intere popolazioni perire sotto il peso di una volontà inumana e trascendente che imponeva loro, una volta per tutte, l'unico ordine a cui dovevano attenersi.
Essere liberi e vivere in pace. Mentre io mi ergevo ad un passo verso la perfezione, divenendo qualcosa di più di un essere umano: qualcosa di più di un essere divino, anche.
E mi arrogavo il diritto di cingere tutti i presenti con un flusso. Un flusso: basso e corrotto.
No! Non è questo che volevo! Non è questo potere che io desideravo!
L a mia coscienza urlava in me le vane invettive contro il fato, ma qualunque cosa volessi ormai pareva non aver più importanza. Il mio corpo e la mia razionalità, infatti, muovevano e percorrevano vie del tutto diverse da ciò che le aveva generate: una volontà diversa, ed infinitamente più imperante si ergeva sovrana in quella nuova realtà che si imponeva con la forza, per apparire vera ed infinita ai molti che mi circondavano. Le creature immobili, di fatti, presero vita e si dipinsero di forme più simili ad esseri umani, donne, uomini e bambini. Tutti, però, nell'esatto istante in cui presero vita, furono turbati da un infinito lamento, un sanguinante dolore che li tormentava fino alla pazzia. E tutti presero a ledersi i polsi, i volti ed i propri stessi ventri, pur di rifuggire da quel turbamento invisibile, ma incontrastabile, fino a riversarsi in una sanguinante pozza dalla quale, però, io stesso - o l'io che ero diventato - li ridestavo ogni volta, per tormentarli nuovamente.
Sembravo donare la libertà. La libertà di tormentare chi si era coperto di colpe. La libertà di lasciar vivo, di chi colpe non si era macchiato. La libertà di decidere chi potesse vivere, e chi morire. La libertà: la m i a libertà.
« I'll give you the freedom... And you all must accept that... Because no one can disobey me, now! »
N ella corruzione infeconda che ne derivò, compresi lo sconforto e la frustrazione di una trappola che aveva ingannato me, per primo. Qualcosa, o qualcuno, mi aveva donato quello stesso potere di cui provavo ribrezzo, che avrei voluto contrastare: che avrei voluto s a l v a r e. Quel potere che avevo visto nascere e crescere con i miei occhi, nella chiesa di Santa Madre Nuova: che avevo visto ergersi nel tempo, nelle memorie del suo creatore, plasmarsi sul peccato e sulla frustrazione di una vita di tormenti che l'aveva reso l'essere più malvagio al mondo, benché avrebbe potuto diventarne il più giusto ed assoluto dei sovrani. Qualunque cosa mi avesse tradito, aveva ricambiato le mie frustrazioni con l'unica cosa che non avrei voluto mai: il potere del Re che non perde mai, in tutta la sua perversa distruttività.
Ed ero divenuto schiavo di quella stessa perversione.
U na perversione che si riperquoteva, ormai, su qualunque vibrazione del mio essere: paure, timori, passioni e turbamenti, parevano dispiegarsi in altrettante immagini e conversioni del fato: trame che - ormai - mi preoccupavo di filare in base all'impressione incosciente e profonda che mi prefiguravo di esse. Sentivo quel moto di coscienza rabbiosa ed incontrollabile, squotersi come un bambino ai primi, incoscienti, complessi emozionali: al primo relazionarsi con le emozioni della realtà. E, di conseguenza, sentivo di voler reagire con visibili dimostrazioni di potenza, di voler imporre quel nuovo dominio nel modo più terribile e perentorio possibile: per la sola ragione che ora potevo farlo. E, quindi, era quasi divenuto un dovere morale farlo.
Infantile. Solo un moto infantile di rabbia. Mascherato da trascendente giudizio di libertà.
« You, my brave warrior... »
Fissai Finnegan in volto, estromettendo qualsiasi pulsazione avversa al moto d'ira che mi stava muovendo. Temevo, temevo me stesso: ma, urlando internamente, sentivo di non potermi fermare.
Il mio io dispiegò nell'aria altra potenza, generando ancor di più scarice di energia nera ed oscuri richiami di potenza: la mia figura divenne traslucida, opaca, ma nera, più simile ad un'ombra - questa volta - che ad uno spettro. Un'ombra che pretendeva di ricoprire indistintamente qualunque volgimento della nuova realtà che andavo plasmando. Un'ombra, sopratutto, che pretendeva di ricoprire Arthur Finnegan con la stessa perizia di chi si prende la briga di umiliare, più che colpire, qualcuno.
Finnegan non potevo dire di conoscerlo. Invero, non potevo dire di apprezzarlo e di potermi fidare di lui. Era ovvio: era oltremodo chiaro. Tutto sarebbe tuonato come sangue nel mio nuovo essere.
Una trascrizione infida e distorta delle mie passioni. Che esplodevano nel modo peggiore possibile.
« Do you'll never bow down to me, will you? »
Un'unica lama dell'artiglio rimase estratta nel mio guanto, laddove il suo percorso ormai era già conosciuto ad entrambi, forse. Per vero, però, sicuramente non accettato da me: non lo avrei mai accettato. E non mi sarei mai perdonato, per quello.
« Then accept my gift, and live forever as a free man... » « Can the death be your greatest freedom... Die Arthur Finnegan, D I E F O R M E... »
Ed infilai la lama nel suo capo nudo, apparentemente immobilizzato dalla paura o dallo sgomento. O dalla mia semplice volontà.
Sentii la carne aprirsi innanzi alla lama, e questa scivolare lenta entro qualunque interiorità. Sentii la vita scorrer via dalla sua carne, e la pietà scivolare giù dalla mia. Sentii le lacrime farsi largo nel mio animo.
Eppure, nemmeno una goccia sarebbe stata riversata... Nemmeno una.
ReC: 300 | AeV: 275 | PeRf: 225 | PeRm: 350 | CaeM: 225 | ♦ | Immenso: 36% | Alto: 18% | Medio: 9% | Basso: 5% |
Del Fisico: Cicatrici sparse sulle braccia, 3 tagli sul braccio sinistro, 1 taglio leggerissimo al collo (Poco più di Basso, 90,75%). Del Psichico: Corrotto (Medio, 88,50). Dell'Energia: 93% - 9% 6% - 18% 15% - 5% = 67% Delle Attive:CITAZIONE Polpastrelli. Per aumentare il tuo desiderio. Per ricordarti di un mondo passato, di dolcezze, di miele, in cui molte donne si sottomettevano a te. Polpastrelli per assaporare ogni sensazione e spedirla al cervello alla velocità della luce. Un tocco rapido, veloce, sul meccanismo che condiziona lo scatto degli artigli. Un tocco fine della punta delle tue dita basterà a stimolare l’anima che vi è racchiusa. Come il corpo di una donna d’allora risponderà al tuo gesto. Sa già cosa fare. Con un consumo pari a Medio, gli artigli scatteranno non solo verso l’esterno, ma verranno lanciati verso il nemico come proiettili d’acciaio, come pericolose spine. E non temere, combattente. Il tuo tocco leggero non ha distrutto l’arma. Essi in realtà ricompariranno normalmente al tuo prossimo richiamo, come se nulla fosse accaduto. CITAZIONE "Il fantasma sono io!". Con un consumo di energia variabile, Shakan è in grado di creare una potente malia: modificando i tratti del proprio corpo, infatti, potrà indurre un potente sentimento di terrore generato alla propria immagine per come percepita dagli occhi di chi la osserva. Shakan apparirà, nelle menti altrui, trasformato in un fantasma: il suo corpo sarà pallido, taslucido, quasi trasparente, gli occhi lucenti e tutti i tratti e gli aspetti del proprio essere si modificheranno di conseguenza, in modo da apparire, in tutto e per tutto, una presenza "spettrale". Shakan potrà rendere tale "immagine" più o meno complessa (passando, per esempio, da semplice fantasma pallido e sfocato, a potente spirito di una divintà ancestrale): in questo senso, Shakan potrà scegliere la forma, la caratterizzazione e la natura "spettrale" che più gli sembrerà adatta alla situazione, dando l'impressione di parlare, muoversi, combattere e, in generale, relazionarsi, allo stesso modo in cui farebbe un vero fantasma della stessa tipologia. L'effetto effetto principale, però, sarà solo quello di generare terrore in proporzione alla variazione del consumo di energia. In concreto, infatti, il corpo di Shakan non muterà e la tecnica avrà comunque come effetto quello il solo indurre terrore nelle vittime. Ogni ulteriore conseguenza dettata da tale trasformazione sarà da considerarsi del tutto eventuale e rimessa unicamente alle reazioni inconscia delle vittime. La tecnica, pertanto, non sarà da considerarsi una "illusione" propriamente detta, ma, piuttosto, come un ammaliamento psionico, in grado di danneggiare la mente della vittima. L'effetto dura un post. [Personale 2/6, Attiva, consumo Variabile Alto] Delle Passive:La Solitudine... (razziale): difesa psionica passiva L'Illusione mi scorre nelle vene (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione; L'Illusione è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%; L'Illusione non ha ostacoli: (personale) illusioni non riconoscibili con abilità passive; Il Potere mi ha corrotto (personale di metagame): permette di usare abilità necromante; Il Fantasma li rende eterni (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici; Anello del Potere: consumi ridotti di 3%, ma mai sotto l'1%, non cumilabile col risparmio delle illusioni; L'Abiezione... (personale): ammaliamento psionico passivo, induce terrore nei presenti; Delle Armi:Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli estratti; Frusta: legata alla cintura Del Riassunto:Devio le lame di Zaide, rafforzate dall'attiva di Shivian, con la mia Attiva a medio. Subisco la malia di Lia, sia per la visione col letto, sia per la questione del desiderio (spiegata meglio nelle note). Poi uso la mia variabile a livello alto su Finnegan, aumentando ancora l'oscurità della mia figura, rendendomi una specie di ombra con scariche elettriche nere ancora più potenti, e gli pianto una delle lame dell'artiglio in testa. Delle Note:Allora, iniziamo con gli innumerevoli chiarimenti a questo post. 1) Innanzi tutto, tutta la seconda parte del post, che - come vedete - è piena di scelte gdrristiche al "limite della sportività", è stata decisa su prescrizione del QM, naturalmente. L'avverarsi del desiderio di Shakan "distorto", crea tutto lo stravolgimento che leggete nel post che verrà avvertito per tutti - anche per Shakan, come vedete - come vero e reale. L'esito, la fine e lo sviluppo di questo non è nemmeno a me conosciuto, ovviamente. La morte di Finnegan autoconclusivamente non è un tentativo del sottoscritto di autoeliminarsi dalla quest (o meglio non dovrebbe -___-"), ma è una scelta fatta sempre su indicazione del QM (ovviamente ha deciso il QM chi io dovessi uccidere). Finnegan, ad ogni modo, è da considerarsi morto in quest ed eliminato dalla stessa (come Shivian, insomma). Almeno, così ho capito io. 2) Se non è chiaro, spiego quello che è successo: qualcuno - ma è facilmente intuibile chi - ha percepito il desiderio di Shakan di diventare potente per liberare il mondo dal male, sostanzialmente. Secondo l'idea di Shakan che dall'inizio del Valzer lo conduce, egli con quel potere potrebbe "salvare Ray" che - a suo dire, per quello che ha visto nelle sue memorie - può essere un re giusto, che è solo diventato "vittima" del proprio tormento. Questo qualcuno che legge il desiderio di Shakan, decide di avverarlo in maniera "distorta", ovvero dona a Shakan quello stesso potere che ha "corrotto" Ray (sempre secondo l'idea di Shakan), cosa che lui ovviamente non avrebbe mai voluto, e gli da il potere di "liberare" il mondo, nel modo più terribile: ovvero con la Morte. Nell'ambio di questa caduta di Shakan, muore Finnegan, che da Shakan è stato da sempre visto un pò come un'incognita, un personaggio strano: nella distorsione del suo desiderio, che influenza anche le azioni di Shakan, questa emozione diviene chiaramente odio e, quindi, necessità di farlo morire. 3) Ho riempito la seconda parte di "citazioni" dei post di Ray in cui è trasceso, per rimarcarne la similitudine: ho già anticipato la cosa a Ray, ad ogni modo spero che non se la prenda se l'ho fatto in questi termini. Le citazioni sono in parole, immagini e stile. 4) Le citazioni tra virgolette sono passi dell'Apocalisse di San Giovanni: non sono frasi che Shakan dice, e non sono riferibili a niente. Servono solo per rimarcare di un tono aulico i passi della sua "rovina". Spero, pertanto, di non aver offeso la sensibilità di nessuno lasciandomi andare a citazioni tanto importanti. 5) La conslusione del post, ovviamente, non conclude questa "frattura della realtà", come già detto sarà Eitinel a stabilire il destino di tutti noi in tal senso. 6) La scena del letto con Shiv è cammuffata in una delle memorie di Shakan: quando ancora egli era a Lithien, dopo la "contaminazione" di cui si parla nel bg, il mio pg, infatti, viene soccorso da un comandante delle guardie, della famiglia Anter Deius, che mi da il nome del figlio morto (Shakan, appunto). L'estratto parla dell'ultimo saluto che il maestro fa al suo primogenito defunto: qui, Shakan, quindi, vede in volto l'uomo da cui ha preso il nome. 7) Benché credo che il mio inglese piuttosto maccheronico sia facilmente comprensibile, traduco le frasi nello stesso ordine in cui appaiono: "Questo è il mio desiderio, ed anche il mio destino"; "Vi donerò la libertà, e tutti sarete costretti ad accettarla, perché nessuno può più disobbedirmi, ora!"; "Tu, mio valoroso guerriero..."; "Non ti inchinerai mai a me, vero?"; "Allora accetta il mio dono, e vivi come un uomo libero..."; "Possa la morte essere la tua più grande libertà... Muori Arthur Finnegan, Muori per me!". O, almeno, questo è il senso che volevo dargli io... 8) Tutta la seconda parte, laddove non fosse ancora chiaro, deve intendersi nel senso che Shakan NON VUOLE agire così, la sua mente è ancora più o meno lucida (ho calcolato solo un danno medio per gli effetti di tutte le influenze subite), ma il suo corpo agisce diversamente, come è evidente. 9) In generale, scusatemi >_> edit: correzione errori sparsi Edited by janz - 23/5/2011, 19:13
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