Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Valzer al crepuscolo ~ Ninna nanna

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view post Posted on 8/7/2011, 14:07
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Maestro
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Pagare il prezzo concupiscente della personale verità,
si traduce nello sforzo incoscio di rievocare le memorie dimenticate,
riscoprendo, nel diradarsi del presente, i segreti del passato...

Il prezzo del Peccato
Sadicamente giace a cavalcioni su di lei, con occhi ingordi e lascivi,
scorticandone la cute con lo sguardo e facendone seguito con le mani...

Valzer Al Crepuscolo
Gli occhi infantili scrutano tra le assi del legno, mirando la volgenza di corpi
tesi, sforzandosi di tessere una logica banale, ma sopportandone soltanto
il peso dell'indistinto male che se ne avverte...

II Turno
Le lacrime si bagnano di frustrazione e la gola strozza nel petto
richiami affannati, ingoiati per l'impossibilità di assecondarli,
se non a prezzo della propria vita.



Cosa ne è stato della fiducia in te stesso?
Della passione, della voglia e della forza che ci hai messo - nello spingerti fino a qui?
Cosa hai perso nel varcar questa soglia, innanzi alla maestosità di chi si impone di conoscerti, per poi dimenticarti?

Hai forse perso la forza - Shakan?
O - per meglio dire - sei stato vinto dallo sconforto di sentirti ingannato, ancora una volta?
Eppure, sapevi di lui: l'hai conosciuto, l'hai visto tradirsi innanzi ai tuoi occhi. Dovevi aspettartelo.
Oppure, non hai ancora imparato? La fiducia nelle persone - nel loro volgersi caotico - ancora la conservi, da qualche parte.
Eppure, dovresti averla persa. Dovresti aver dimenticato quel sentimento.

Dovresti aver capito che non valeva la pena sperarci.
Dovresti aver perso la fiducia nelle persone.
Molto - molto tempo fa.


Non potevo credere alle sue parole
In realtà, non volevo.
Seguitai ad udirne la voce plasmare lo sguardo, un volto attonito stranirsi e conturbarsi con la veemenza di una difesa strenua avverso una gogna che è stata sentenziata con troppa negligenza, con troppa supponenza. Questo dicevano i suoi occhi: un'accusa infamante, una reazione invereconda. L'imperatrice si rigirò con ardente vigore, con la rabbia propria degli onesti - o di coloro che si sforzano di sembrar tali. E le accuse si rivolsero con infamia, traducendosi nell'abominio delle sue ragioni, nel vilipendio di quell'onorata forza che muoveva lei ed i suoi scopi.
E che io avevo osato scalfire: ritorcerle contro.

Invero, non pensavo ad altro.
E la ragione aveva ceduto già da tempo il passo all'istinto ed alla paura.
La paura di rimanere indietro: di essere abbandonato alla sconfitta ed alla perdizione.
Di non divenir altro che un'ombra di quella torre, arroccata sotto le sue macerie.
Questo mi muoveva, invero: e lei, parve saperlo - in qualche modo.


« Sei impazzito o cosa, Shakan? »

Odio, reagendo all'odio.
Altro rimorso contro le paure che sottintendevano le mie parole, e lei rispose senza farsi angosciare dalle invettive, esattamente come mi aspettavo.
Nello scambio che ne risultò, però, non avrei mai potuto sforzarmi di dar peso o credito a qualsivoglia sua promessa: incosciente, dischiuso nel distacco flebile che mi divideva da una reale percezione della realtà, non sarei riuscito mai più a confidare in lei e nel suo aiuto. Fissai le sue labbra pallide smuoversi verso la mia coscienza, caricarsi di rancore e plasarne il proprio sconcerto in risposta alle mie accuse, di modo che il senso di colpa avrebbe potuto dettare in me la base su cui costruire un'inevitabile ravvedimento delle mie convinzioni.
Eppure non potevo farlo. Meglio: non volevo.


« Proprio perché stiamo cadendo come mosche dovremmo rimanere uniti, ora più che mai.
Oh, no! Non sei solo Shakan. Tieniti la tua gloria, tieniti il tuo Asgradel - non mi importa nulla di tutto ciò.
L’ho detto prima: devo solo ricambiare un favore. »


Poi il rimbombo di talune frasi echeggiò nella mia mente come un raggio di sole che filtra tra le nubi.
Un raggio di speranza, la sete della solitudine che si placava all'udir delle sole parole che avrei voluto sentire.
E la forza del mio cuore che - inaspettatamente - mi costringeva a credervi, a dar loro fede. Forse perché ne avevo bisogno.
Più bisogno di qualunque altra cosa al mondo, in quel momento.
Più bisogno anche della verità, forse.

Non sei solo Shakan...
...Non mi importa nulla di tutto ciò...


Avevo bisogno di sentirmi chiamare compagno.
Fratello, membro: elemento di un qualcosa, di una sociale solidarietà che ci avrebbe condotto insieme verso la meta.
Forse, non era altro che il desiderio di sentirsi - per una volta nella vita - parte di qualcosa a spingermi a dar credito a quelle sole frasi: una fiducia artificiosa ed indotta, ma inamovibile. Un salto nel petto che mai avrei potuto disattendere, dimenticare.
Non ero solo.

N O N S E I S O L O S H A K A N


png


C'era lei.
Non ero solo.

E la Torre parve smuoversi ancora, sussultare all'idea che stessi rinsavendo.
Scuotersi, vibrare con veemenza e ricordarmi che - nonostante tutto - eravamo ancora ben lontani dalla meta, dalla conquista del nostro destino, ed ancora sottratti al controllo di noi stessi, anime in balia delle onde di quel fato oscuro.
Quel tono che aveva accompagnato la salita, la faticosa ascesa alla sommità di Velta, si manifestò nuovamente, incarnato - questa volta - nella visione di una donna smunta, svuotata, priva di ogni forza e candore e che - a discapito dei toni - pareva, nell'aspetto, vittima di un male oscuro che ne aveva sottratto ogni forza e scintilla. Eppure, parlava di tutt'altro che della propria condizione: dimostrava, ostentava, la pacatezza dei saggi, infrangendosi - però - contro le nostre coscienze ignare e rifrangendo su di noi tutto l'artificioso cumulo di intenti che aveva generato quello stillicidio di speranze e verità che ci aveva visto protagonisti di una sommessa carneficina. Una taciuta ecatombe.



L i a
Il suo Canto ed il suo Capolavoro.
Il parassita dipinto di divino che si era nutrito di noi per
addivenir innanzi a quella porta e riscoprir di lei.



R a y
Il mandante silenzioso: il sommo stratega padrone della scacchiera.
L'unico al mondo capace di conoscer del tutto abbastanza da asservirlo a se stesso.
L'unico capace di salvarci o distruggerci: l'oggetto del mio peccato, il mandante del mio desiderio.
Colui che avrei voluto salvare, ma che - ancora una volta - avevo solo inconsciamente servito.



E i t i n e l
La dama dal canto sublime.
Vittima e Carnefice delle nostre speranze,
non ci aveva chiamato per rifletterci la sua gloria,
ma ci scacciava, sottraendoci l'unico bene prezioso
che ancora ci rendeva umani, trasformandoci in nient'altro che ombre:
tenui vibrazioni di un'eco lontano, senza memoria, né ricordo di loro stessi.



Dimenticati.
Vittime dell'Oblio.
Dimenticati come nient'altro che veli sbiaditi di una realtà scomparsa.
Oggetto di un'artificio complesso e - al tempo stesso - tanto semplice.

« Il tuo Re ti ha tradito... »

All'improvviso ricordai le parole di Alexandra.
Invero, riflettevano quel crescente desiderio di condanna che già più volte aveva fatto preda del mio cuore: Ray mi aveva tradito. Come aveva tradito il Regno, l'umanità intera. Come aveva tradito qualunque cuore o anima che avesse giurato a lui innanzi alle mura del Maniero. Nient'altro che una rifrangenza della sua distorta conturbanza: la volontà indomita di non perseguire più lo scopo del mondo - qualunque esso sia - ma di proseguir nei suoi piani con meticolosa precisione, stratega e scacchiere di una vitrea realtà infranta.
Cos'altro scoprivo, con quelle parole?
Il mio cuore piangeva ancora: si disperava perché il moto di sconforto non pareva cessare. Riscoprivo, ogni minuto, una ragione in più per abbandonare l'idea malsana che il suo volgersi malevolo fosse solo frutto di un canto disperato, che la passione della speranza avrebbe risvegliato la tenue fiamma della saggezza, che ancora - in qualche modo - mi ostinavo a convincermi fosse sopita sotto il cumulo di cenere del suo cuore. E, ad ogni passo, mi chiedevo perché non abbandonare l'idea: perché non convincersi dell'evidente prova di un'anima votata totalmente al male, che nient'altro meritasse che la morte. La distruzione.

O, meglio: di essere dimenticato.
Come si vuole a qualsiasi divinità antica: reietta.

Eppure no.
Strinsi il labbro ancora una volta: affogando nelle lacrime quel bieco sussulto.
Non avrei potuto condannarlo ora: condannarlo adesso. Non più, invero: non avrei mai potuto.
Ero uno schiavo vittima dell'ennesima fustigata, eppure non sarebbe stata quella a farmi ricredere su tutte le precedenti.
Vittima si, carnefice non ancora. Giudice: nemmeno. Meritavo, più che mai, di perseguire lo scopo che avevo pagato a caro prezzo, scontandolo tra l'elenco infinito dei miei peccati. E che il Re si fosse dimostrato - ancora una volta - vittima di un rimorso che seguitava a fargli perseguire un fine ultimo di conquista - o distruzione - globale, non poteva certo significare - più di prima - che il suo volgersi malevolo fosse tutt'altro che un urlo disperato di uno sconforto infinito. La disperata ricerca di un qualcosa che non ci sarebbe mai più stato: e la volontà indomita di negarlo a qualunque altra creatura senziente.

Ora, più che mai, dovevo salvare il Re.
E salvare il Regno, con lui.


« Sei creatura scarnificata asservita - come noi - alla sua meschina costruzione.
Non sei nient'altro che un'alfiere sacrificabile, anche tu...
»

Sbarrai gli occhi, intonando nel vuoto l'ennesima frustrazione verso quella voce.
Il tono delle parole volevano essere una condanna ed uno sfogo, al tempo stesso: la speranza di ridestar coscienza in quelle parole vuote, rivelandone, nel profondo, l'insita consapevolezza di non essere altro che strumento - esse stesse - della volontà di Ray. E, per tanto, fine a se stesse.

« Indugiare sulle nostre carcasse non ti salverà dal supplizzio.
Il suo sconforto non si disseta nel nostro sangue, come nel tuo...
Egli continuerà a divorare e distruggere per l'eternità: l'unica salvezza deriva da lui stesso...
»

Sei una pedina, come noi.
Non sei altro che uno strumento: come noi.


Nel mentre che intonavo quella cantilena, più a me stesso che ad alcuno dei presenti, la voce indugiava sui dimenticati: sulle ombre riflesse dalla torre, sulla cedevolezza dei nostri cuori, dispersi tra le pieghe di quei flussi melodiosi, ma letali. Non riuscivo, comunque, a dimenticare il rimorso per le mie gesta e le colpe, nonostante il dubbio che non fossi stato proprio io a levare la mano contro Finnegan si insidiava nella mia mente.

Il dubbio.
O la speranza di non essermi macchiato di quella colpa.
La volontà di cancellare quella macchia, la forza di dimenticarla.

Forse nient'altro che debolezza. Invero la coscienza non seguiva tanto facilmente gli ordini di quella voce, ma dettava - scandendoli - i termini del proprio contratto col dolore, rimembrando, ad ogni sussulto, che la lama levata contro il guerriero fosse per vero il simbolo della turpitudine del mio nero cuore. E lo straniamento crebbe, fino a divenir rimorso, col passare inesorabile dei minuti, che mi restituivano - lentamente - ad una più chiara consapevolezza. La lucidità pareva ritornar piano, in parte, ma seguiva - senza fermarsi le ombre della torre, lo smuoversi meschino della Flotta icaro ed il distinguersi chiaro - infine - di due figure scure, emerse tra la folla. Le scrutai con attenzione, sobbalzando alla scoperta dei lineamenti che mi rimembrarono macchie del recente passato: erano l'uomo che avevo attaccato, innanzi al portone di Velta, e Finnegan, che - nell'illusione divina che mi aveva rapito - avevo ucciso, con una lama nella fronte.



Colpevole.
Colpevole di mestizia: ancora il fato si prendeva gioco di me.
Ricordandomi la natura dei miei peccati.


Innocente.
Innocente e vittima degli altrui artifici.
Non sarei mai stato abbastanza innocente da non pagare alcun prezzo.



Al materializzarsi dell'incubo, addivenne il buio più profondo.
La maschera di dolore e rancore che interpretava i lineamenti di Arthur, infatti, non si fece scrupoli di rimarcare la dolenza del mio animo e del mio peccato, affannandosi di raggiungere direttamente le mie membra, probabilmente per colmare il vuoto d'odio che ci aveva separato alla sua morte. Che di rancore, frustrazione o semplice impotenza si trattasse, non potevo saperlo, ma il suo avvicinarsi - prima lento, poi ad ampie falcate - scandiva chiaramente il dolore ed il peso della sua morte entro il mio animo, rendendom impotente di reagire. Di difendermi.

Lo straniamento di vederlo innanzi a me: fissare il suo sguardo vuoto ricercar qualsivoglia vendetta, mi impediva di ragionare lucidamente, di reagire o difendermi. Mi limitai a fissarlo intensamente, scrutarne la pelle smunta cadere piano ad ogni passo, e la sua lama lucida levarsi al cielo con affanno, pronta a scendere sul mio capo, inesorabilmente.

Sei vinto dalla frustrazione Shakan.
Ritieni che tu debba patire per la sua morte.
Pensi e ti duoli per la scomparsa di quel guerriero che a stento conoscevi.

Perché non ti copri di arroganza, per una volta?
Perché non lo ritengo giusto: il mio animo non me lo concede.
Perché non lasci che le tue colpe ricoprano il cammino verso la gloria, impedendo loro di vincerti?
Perché non ho mai avuto fiducia nelle persone: benché meno, in me stesso.
Quando hai iniziato a perdere fiducia in te stesso?
La notte che uccisi tutta la mia gente.
Quanto hai iniziato a perdere fiducia nelle persone?
Quella stessa notte.
Sei sicuro?
No.

Quando hai iniziato a perde fiducia nelle persone?
Non me lo ricordo.

Levai d'istinto l'artiglio in alto, parando il colpo della lama di Finnegan. Fissai ancora i suoi occhi vuoti, ma piendi di odio, pieni di sentenzioso giudizio per le mie paure, per ciò che avevo fatto - o ritenuto di fare. Mi stagliavo immobile, innanzi a lui, protetto unicamente da un'istinto di sopravvivenza che mi impediva di morire in quel modo, lasciandomi semplicemente andare. Forse ero solo un codardo: mi mancava il coraggio di restituire quanto tolto: la mia colpa non si pagava in quel modo. Eppure Finnegan, non pareva saziarsi: parato il colpo, levò l'altra mano contro di me, stringendola attorno al mio collo e pulsando, con i polastrelli, sulla pelle perlacea. Stringendo, sentii il fiato mancare pian piano ed il cuore battere sempre più forte, pompando una vita che lentamente si affievoliva, ed una vista che mancava di contorni, vorticando - tra le ombre della torre - in un rinnovato oblio sempre più oscuro, sempre meno illusorio.

Hai deciso di lasciarti morire, questa volta?
Ho deciso di non lottare per vivere, forse. Pagherò il mio debito.

Eppure, altri avevano deciso per me, quella notte.
Un rumore sordo irruppe nel silenzio in cui stavo ricadendo, dando alla morte la dignità di una veglia senza fastidiosi rumori. Era una spada: una spada dai contorni fiammeggianti, che trapassò Finnegan dalle spalle, e portando la punta della lama a pochi cenitmetri dal mio busto. Avvertii il calore e la dolenza, di un colpo che andava dissipando ogni mio intento suicida, ma che - allo stesso tempo - stremava la frustrazione già esasperata di Finnegan. O meglio: del guerriero. O di chiunque fosse la creatura che stava attentando al mio corpo.

La creatura, infatti, lasciò la presa piano.
Nel suo busto era apparso un buco, un diametro circolare quasi perfetto, delimitato dallo spessore della lama infuocata.
Il perimetro bruciato si allargò in venature rosse più piccole, fino a districarsi in tutto il torso, per poi giungere in ogni punto del corpo della creatura.
E dalle venautre, ne partirono altre centinia, mentre - poco dopo - lembi di pelle sempre più frequenti scivolavano giù dal corpo, nascondendosi sul pavimento. Rapidamente la creatura si dissipò, scomparendo come una pergamena bruciata nel camino, non divenendo altro che carta sbriciolata, più simile alla cenere. E la mia colpa non fu più nulla: non lasciò alcuno spazio in me.
Ricordavo di avere ucciso. Ma non ricordavo chi.

Mi sono macchiato di una colpa.
Ti sei macchiato di tante colpe, Shakan.
Chi ho ucciso? Qual'è il suo nome?
Non c'è un nome: c'è un obbiettivo.
Lei mi ha salvato: lei mi ha aiutato.
Sei sicuro che l'abbia fatto per se stessa?
Non lo sono, ma lo ha fatto: le devo la vita.
Guarda i suoi occhi. Scruta in lei la verità.

Fissai gli occhi di Alexandra e mi parvero sbarratti, straniti, alquanto.
Invero, non conoscevo il nome della creatura che mi aveva attaccato: e non consocevo i motivi per cui Alexandra mi aveva salvato. Forse, invero, lei realmente nutriva fiducia in me - in noi? Forse, realmente potevo dirmi - finalmente - non da solo in quella rapida riconrsa verso il fato? No, non poteva essere così: nessuno mi aveva mai aiutato. Nessuno avrebbe mai fatto qualcosa di disinteressato, per me.

Quando hai iniziato a perde fiducia nelle persone?
Forse molto - molto tempo fa. Quando la mia memoria ancora si formava.

Scrutai rapido il portone innanzi a me.
Sentii un moto di corruzione volgersi in me, insidiare il mio animo e sottrarmi lesto qualcosa di prezioso.
La fiducia, invero: la fiducia nelle persone, nell'attimo esatto in cui essa mi fu generata.
Nell'attimo esatto in cui la persi, ancora. Come una volta.

Quando hai iniziato a perde fiducia nelle persone?
Quando ho perso l'unica persona che me l'aveva insegnata.

Mia madre.
Io non ho mai conosciuto mia madre.
Mia madre è morta quando ero piccolo.
Non ho ricordi coscienti di lei, delle sue parole.

Falso.
N o n è v e r o.

Un vortice oscuro parve stringersi intorno alla mia mente,
recuperando ricordi lontani: che non avrei dovuto avere.
Memorie scomparse, rimorse. O semplicemente troppo antiche.


__________________________________________

Mi ricordo della sua morte, mentre partoriva mio fratello.
Solo questo? Sei sicuro?
I suoi capelli biondi sparsi sul cuscino, mentre urlava al cielo il suo dolore.
Rifletti.
Ed i vagiti di mio fratello che lottava per venire al mondo.
Non è vero, c'è dell'altro.

Gli occhi di un bambino imparano da ciò che vedono.
Plasmano il mondo nelle fattezze delle immagini che percepiscono, delle emozioni che assorbono:
spesso, e volentieri, apprendono dai loro genitori, dalle loro disperazioni, dalle loro gioie, dal loro volgersi caotico nella vita sociale.
Ma, spesso, gli occhi di un bambino scorgono cose troppo dure perché rimangano nella memoria.
Un trauma, una realtà troppo cruda per essere capita e perché rimanga impressa.
Ed allora gli occhi dimenticano: cercano di non vedere ciò che hanno scrutato distintamente.
Cercando di cancellare un'immagine troppo dolorosa perchè sia ricordata come v e r a.

Mia madre era una donna bellissima: capelli biondi, occhi azzurri e fisico slanciato e morbido.
Figlia primogenita di una ricca famiglia, sposò mio padre per interesse - e non per amore, parte di un matrimonio che avrebbe allargato gli orizzonti di entrambe le casate, rendendoli ampi e prosperosi.
Mia madre, era una donna debole, dicevano in molti: richiusa da sempre in una grossa magione, non aveva mai avuto modo per coltivare una propria coscienza professionale. Una donna debole: piena di paure, e con una scarsa forza di volontà.
La donna perfetta da sposare, per un ricco uomo di affari come mio padre: una donna per fare figli e rimanere in silenzio.



valzerturno2post62

There is no-one left in the world
That I can hold onto
There is really no-one left at all
There is only you
And if you leave me now
You leave all that we were
Undone
There is really no-one left
You are the only one
And still the hardest part for you
To put your trust in me
I love you more than I can say
Why won't you just believe?

Mia madre, era una donna libera.
Forse troppo debole per urlare al vento la propria frustrazione, non aveva mai abusato di essa, però: mio padre non la degnava di alcuna attenzione. Era, per lui, sfogo e vizio del suo sollazzo, nient'altro che carne da sfruttare, da ingravidare.

E lei, una donna debole, non reagiva mai apertamente: non diceva nulla quando, spesso, la costringeva ad avere rapporti con lui.
Però, era una donna libera. Il suo cuore era il cuore puro di una farfalla che si libra nel vento: mi insegnò la poesia, la lettura; mi ripeteva le mie forze, mi ribadiva la mia purezza.Mi ricordava - ogni giorno - l'importanza del rispetto, del pensiero e della fiducia.Mi diceva che avrei dovuto essere felice, nel rispetto della donna amata e della mia famiglia. Felice e rispettato: non come lei, anche se questo non lo diceva mai. Mia madre era una donna che soffriva, ma non aveva mai il coraggio di dirlo.
Eppure non aveva rinunciato alla propria felicità, mai: ed un giorno, mio padre trovò le lettere del tradimento. Il simbolo del suo fallimento come uomo, come padre e come marito. Il simbolo di tutto il disprezzo che lei provava per lui, ed il richiamo all'unica verità plausibile: che lei amava solo i suoi due figli, Agata e Lucian. Non lui.

Troppo disprezzo non valeva tanto scandalo: troppe chiacchiere avrebbe generato una notizia del genere, troppo peso sul buon nome della casata. E, così, mio padre non parlò mai: non disse mai nulla sul tradimento, né diede mai seguito alla notizia.
Ma la notte, la frustrazione pervadeva il suo cuore. Le dava forma in corde strette, con cui legava al letto mia madre, torturandola e seviziandola. Ogni notte. Ed io udivo, dalla mia camera. E spesso, i miei occhi infantili scrutavano, tra le assi del legno, le volgenze dei loro corpi tesi, sforzandomi di tessere una logica banale a quell'immagine truculenta, ma sopportando unicamente il peso del male indistinto che ne avvertivo. Lui giaceva sadicamente a cavalcioni su di lei, con occhi ingordi e lascivi, scorticandone la cute con lo sguardo e facendone seguito con le mani. Tacciandole ogni lembo di pelle, con percosse e sevizie: stringendo le corde, denudandola, e indugiando sulla sua intimità con ogni possibile supplizio o espediente. E lei stringeva le labbra, ingoiava il dolore indecifrabile senza emettere un suono, fin quasi a ledersi la cute. Per non urlare: per non spaventare i figli. Per non dar loro il dolore ed il trauma di un padre che sevizia la madre, che gli arreca l'umiliazione più grande. Per non ledere la loro innocenza, per loro e solo per loro. Eppure, un giorno capì: forse l'istinto di una madre, forse la coscienza di un occhio che filtra tra le assi o il rumore di una porta che cigola appena, ma capì. Comprese che io ero lì: ed il giorno dopo mi parlò . Mi disse che mio padre era un uomo buono, ma arrabbiato. Ma che io avrei dovuto rispettarlo, ubbidirgli, perché era un uomo giusto. Perché a noi non avrebbe mai fatto del male, perchè il suo giudizio regnava in ogni decisione e perchè ci avrebbe assicurato un futuro prosperoso.

Ma io mi interrogavo su di lui, sulle sue gesta: come poteva egli essere un uomo buono? Quel bastardo, un uomo giusto?
Eppure ella mi insegnava il rispetto: perché mai questo sarebbe dovuto mancarmi. Perché il peso della mia coscienza non valeva il prezzo del rancore, del rimorso: perché ad ogni percossa, avrei dovuto restituire sempre l'altra guancia.
Perché della fiducia e del rispetto per gli uomini il mondo era privo, ed io avrei dovuto distinguermi tra tutti. Ma il peso del rispetto, non valeva l'animo di quell'essere: ed io lo odiavo, ed io in lui non avevo fiducia. Anche quando seppi che mia madre aspettava un altro figlio: perché sapevo che lui l'aveva fatto per se stesso, per la sua coscienza. O, più placidamente, per porre fine alle chiacchiere di paese.
Poi ella morì, dandolo alla luce: urlando al cielo la sua disgrazia, il suo dolore e la sua frustrazione. Perché la prigione di una vita senza dignità non vale tutta la buona volontà del mondo: il suo peso è insostenibile. Una vita piena di percosse ed abusi, è una vita di prigionia. Ed ella quasi piangeva, felice per la sua libertà: disperata solo per lasciare noi. Ma ci lasciava con le sue parole di rispetto, di speranza.
Parole vuote, senza di lei: che era andata via, portata in cielo dal dolore e dal rancore.
Ed io non detti mai più peso a quelle parole, mi dimenticai di lei e di quelle immagini troppo atroci per essere ricordate.
Perché di rispetto per quell'uomo non ne avrei avuto mai, come per tutte le genti del mondo.
Persi fiducia nelle persone, nell'attimo esatto in cui persi mia madre.


__________________________________________

Non ebbi mai più tali insegnamenti, da nessuno.
Per questo non hai mai avuto fiducia nelle persone?
Inconsciamente incolpavo il mondo di avermi privato di lei, forse.
E ora - Lucian? Hai fiducia nelle persone?
Non credo, perché sto perdendo di nuovo tutto questo.
Stai sacrificando tutto, ancora una volta. Stai dimenticando, per la gloria, Lucian?
Sento che i ricordi mi vengono sottratti: evaporano come bolle di sapone. Mi sento di nuovo vuoto.
Proprio ora che recuperavi la tua umanità. Ti ricordi di tua madre?
Una madre... io ho avuto una madre?
Sei sicuro che sia la cosa migliore, Lucian?
Cazzo, si. Certo che è la cosa migliore.

Lucian?

E piantala di chiamarmi Lucian.
IO SONO SHAKAN.
png
E non ho mai avuto una madre.
Né una carezza.

Fissai Alexandra in volto, scrutandola nell'oscurità con occhi truci.
Tesi verso di lei la mia mano destra, sperando - e pensando - di congiungermi con la sua.

« Andiamo, Imperatrice.
E' tempo di varcare questa soglia.
»


Le dissi, voltandomi verso il portone, prim'ancora di attendere la sua risposta.
E provando ad entrare.



ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%



drowm11

Del Fisico: Cicatrici sparse sulle braccia, 3 tagli sul braccio sinistro, 1 taglio leggerissimo al collo, 1 morso non profondo all'avambraccio sinistro (Medio, 88,50%).
Del Psichico: Confuso, preoccupato. Poi, di nuovo più calmo, seppur ancora teso. (Alto, 77,00).
Dell'Energia: 29% - 5% = 24%

Delle Attive: ///

Delle Passive:

La Solitudine... (razziale): difesa psionica passiva
L'Illusione mi scorre nelle vene (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione;
L'Illusione è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%;
L'Illusione non ha ostacoli: (personale) illusioni non riconoscibili con abilità passive;
Il Potere mi ha corrotto (personale di metagame): permette di usare abilità necromante;
Il Fantasma li rende eterni (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici;
Anello del Potere: consumi ridotti di 3%, ma mai sotto l'1%, non cumilabile col risparmio delle illusioni;
L'Abiezione... (personale): ammaliamento psionico passivo, induce terrore nei presenti;
L'Eredità della memoria (Passiva): Shakan può plasmare liberamente le proprie memorie;

Delle Armi:

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli estratti;
Frusta: legata alla cintura

Del Riassunto:

Circa lo scontro con Finnegan: mi limito a parare il suo attacco con l'artiglio, dato che - a quanto ho capito - usa solo attacchi fisici (spero di aver inteso bene questo punto). Poi lui tenta di strozzarmi con una mano, interviene Alexandra da dietro che lo attacca con l'arma imbevuta di fuoco.

Delle Note:

1) Anche questa volta, come già anticipato al QM, muovo Alexandra autoconclusivamente per la scena della spada, col consenso di lei. L'ultima parte, invece, circa la mano tesa, non è autoconclusiva: mi limito ad aspettarmi che lei la stringa, ma senza autoconclusività;
2) Psicologia di Shakan (sta diventando un appuntamento fisso). Grazie all'attiva di verità di Alexandra, Shakan crede nelle sue parole quando lei gli dice che non è solo e si rincuora parzialmente. Poi vede Finnegan e ricade nei suoi tubamenti per averlo ucciso, tanto che si lascia attaccare da lui limitandosi ad una blanda difesa. Ma interviene Alexandra, che lo uccide da dietro. Infine, tutto questo fa ricordare a Shakan che non ha mai avuto fiducia nelle persone: con la passiva dell'artefatto "L'eredità del sovrano", Shakan ricorda tutto ciò che ha vissuto circa la madre - memorie che parzialmente aveva dimenticato perché nate quando era ancora bambino e perché legate a momenti troppo dolorosi. Quindi, capisce che non ha mai avuto fiducia nelle persone perchè ha perso - e dimenticato, quasi - l'unica persona che gli aveva dato affetto. Poi, però, perde di nuovo tutti i ricordi di sua madre (stavolta tutti, compresi quei pochi che comunque ricordava già di per se) pagando il prezzo per il passaggio e ricadendo, come si intende dalla fine, in un più angusto cinismo.
3) Ripercorrendo quanto fatto nel post precedente, ho usato molto il "dialogo interiore". La parte in corsivo, sono frasi diciamo dette dalla coscienza di Shakan: Shakan parla con se stesso, come se si vedesse dal di fuori, seguendo quanto già fatto nel precedente post. Si ribadisce che è solo un espediente per meglio narrare l'evoluzione psicologica di questi momenti. Spero piaccia.
4) Se non è ancora chiaro, lo ribadisco per sicurezza: Shakan sacrifica tutte le memorie della madre appena recuperate, bene prezioso perché gli avrebbero permesso di divenire "più umano", "più fiducioso nella società". Insomma, meno paranoico.
 
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view post Posted on 11/7/2011, 11:25
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Capitolo n. 6 - La morte.




vuiii

Guardò in basso.

Le sue gambe avevano ceduto, il suo corpo cadde in terra privo di forze. E in un baleno gli furono sopra.
Gli abominii, lo torturarono. Non ebbe il tempo di muoversi, il suo corpo fu immobilizzato e dilaniato dagli artigli troppo pericolosi per essere affrontati ancora, troppo potenti per essere contrastati, troppo veloci per essere evitati.
Non riuscì a pensare più a nulla, la sua mente si lasciò andare nell'infinito tormento in cui era sprofondato, dentro cui era stato fatto affondare ormai da molto tempo.
Il suo corpo smise di essere etereo.
La sua voce strozzata sul nascere - non poteva chiamare qualcuno, non poteva chiamare la ragazza che era con lui.
Vide se stesso soffrire, contorcersi sotto il peso degli artigli, ma senza che il dolore gli arrivasse, fino al suo animo. Non avrebbe mai potuto soffrire e provare emozioni; e questo era come sempre il suo Destino, immutato anche dopo i duri colpi degli eventi nella Torre del Male.
Si vide spezzarsi sotto i loro colpi, ma la sua mente era intatta.

Finché i mostri non smisero, all'improvviso, insieme, di aggredirlo. Quasi un ordine implicito -
preannuncio di morte

Il Dannato giaceva a terra, privo di forze. Non capiva perché lo avessero lasciato, era stato totalmente in loro balia. Non avrebbero potuto ucciderlo, poiché nessuno poteva liberarlo dalla sua prigione, ma potevano trattenerlo con loro ancora per molto.
E invece non lo fecero.

I mostri si aprirono, lasciando un piccolo e stretto passaggio; essi divennero forme più distinte e concrete. L'illusione - poiché di questo si trattava - scemava, e Hocrag si ritrovava per terra, nella torre.
Davanti a lui, una bambina.

-

« A-iuto ... »

Continuo e sciocco perpetuarsi di un inganno fuori dall'inganno stesso, la mente del Dannato vide in essa il volto della sua compagna, venuta per salvarlo dall'infausto Fato che la Torre gli riservava.
Ma qualche attimo dopo, vide che si sbagliava.
La ragazza che era al suo fianco, qualche minuto prima, era scomparsa. Di lei, nessuna traccia. Né del suo corpo, né della sua voce. L'aveva lasciato solo.
... Era stata uccisa? Il Dio, era morto? Veloci le domande si insediarono nella sua mente, non più sorretta dal corpo privo di energia, sul freddo pavimento. Ma non ottennero risposta. E, per quanto ne poteva sapere, non l'avrebbero mai ricevuta.

La bambina lo guardò, priva di espressione. Bambola di pezza, in un luogo che non gli spettava.
O forse, in cui aveva ancora più diritto di lui a rimanervi.

Si mosse di un passo verso il corpo inerme del Dannato, suscitando in questi un moto di repulsione. No, era stata lei che aveva fermato l'attacco contro di lui. E c'era un solo motivo per cui avrebbe dovuto farlo.

Era venuta a portarlo con sé, giocattolo in mani di sangue.

Hocrag non oppose resistenza, non riuscì a opporre resistenza mentre la mano della bambina si infilava nelle ferite aperte, che eppure alla vista iniziavano già a cicatrizzarsi, a richiudersi, come se non fossero mai esistite. Il suo corpo, questa volta, non riuscì a portare a termine il suo volere.
La piccola mano gli provocò forti colpi di tosse, in cui sputò sangue e saliva, sputò un dolore che non arrivava fino a lui e che nulla poteva cambiare.

La bambina gli strappò un lembo di carne dal braccio, fiera senza remore.
Ed egli avrebbe urlato, se avesse sentito cosa gli stava succedendo, si sarebbe difeso, se il suo corpo l'avesse consentito. Ma ormai, quest'ultimo non gli apparteneva più. La mente era totalmente separata da esso, tanto da osservarlo quasi dall'alto, da occhi diversi. Si vedeva morire.

Ed avrebbe invero sorriso, se solo avesse creduto possibile quella fine.

Inerme spettatore, osservò la bambina distruggerlo, squartare la sua carne, il suo corpo, senza poter provare alcuna emozione. Era lui una bambola, e la bambina che lo possedeva ne aveva il completo controllo. Era divenuto di sua proprietà, ed Eitinel non stava reclamando il suo servo.
Ma non l'avrebbe distrutto, no... Nemmeno lei, come nessun altro, avrebbe potuto.

E qualche istante di attesa passò, prima che, tuttavia, inaspettatamente, anche la sua mente fu colpita.
I suoi occhi strabuzzarono, ora non era più una vittima indiretta di un pasto cannibale, ora ella stava intaccando l'unica cosa che al Dannato rimaneva. Ella lo stava prosciugando di ogni sua forza.
Vide se stesso avvizzirsi, la gola che ormai perdeva sangue la sentì prociugata - voleva, doveva mangiare e bere.
Fosse stato anche la sua carne, ed il suo sangue.

vuil

Il suo respiro cambiò d'intensità. Divenne più profondo, più diradato.
Non riuscì a dirle di smettere, non riuscì neppure a tentare quest'ultimo folle tentativo.
O non volle, poiché in quel modo era più vicino alla morte che in qualsiasi altra occasione possibile.
Il suo corpo si stava lentamente prosciugando, la sua pelle si raggrinziva, invecchiava precocemente. Non riuscì ancora a rimanere sorretto sulle braccia scheletriche, perse ogni forza residua, e si abbandonò, freddo corpo sanguinante sul pavimento umido del suo sudore.
I passi rimbombavano nell'udito, lontane eco di residue memorie, come se, ormai, fosse già morto. E, definitivamente, avesse abbandonato la Torre, il Sorya.
Ed
E I T I N E L

Quasi non si accorse di essere toccato sulla fronte, in una delle poche sue parti priva di sangue gocciolante, da secche labbra, appena inumidate da una lingua troppo veloce per poter aver compiuto bene il gesto involontario del divertimento.
Quasi non si accorse che, in fondo, i suoi occhi si stavano chiudendo, prima che arrivasse loro un'ultima immagine ...
della sua Esistenza?

Un sorriso privo di alcuna gioia.

-

vuii

Quando li riaprì, nulla era cambiato, a parte il fatto che, davanti a lui, non c'era nessuno.
Si trovava nel lago del suo stesso sangue, che si estendeva a partire da lui con tenera lentezza. Non era morto, come mai avrebbe potuto essere, ma si sentiva incredibilmente stanco, privo di alcuna forza. Gli occhi semichiusi, videro il mondo circostante barcollare, mentre il resto del suo corpo si tirava in piedi, con incredibile fatica.
Doveva avanzare, ancora. Doveva raggiungere la sua
padrona
e si diresse avanti, fino a quella che pareva una scalinata. E, dal primo passo che fece su di essa, gli parve già infinita.

La sua mente non riusciva più a lavorare, si sentiva privato della sua anima, proprio come il corpo madido di sudore aveva perduto ogni goccia d'energia. Un'energia preziosa, rubata da -


... Eitinel. Sua la colpa di tutto ciò. Sua la colpa del tragico destino del Dannato. L'aveva lasciato prosciugare di tutta la forza che possedeva. Ora, di certo, non avrebbe più potuto proteggerla ...
Si diresse verso la voce, la soave voce della Dea, rimbombante nel suo vuoto animo, che lo guidava. Non seppe quanto tempo aveva passato sdraiato a terra sul pavimento, dopo che nell'ultimo sguardo di un Mondo che lo voleva, ancora una volta, lasciare andare senza sapere che non c'era alcuna possibilità di riuscita, aveva sentito la bambina raggiungere la sua fronte, per dargli un bacio.
Come a volersi scusare, infantile richiesta di perdono, di ciò che aveva commesso.
Ma egli non sapeva chi lei fosse; ormai, il suo viso si era perduto nella sfocatura dei ricordi passati, come appartenenti ad un tempo remoto, e, per quanto ne sapeva, ella avrebbe potuto essere una qualsiasi donna. Persino la ragazza che era con lui prima. Persino Eitinel stessa.

Lenti i suoi passi si adagiavano, uno alla volta, sugli scalini che sembravano non avere una fine. Uno alla volta, per portarsi sempre più vicini al nucleo del Canto. E a mano a mano che continuava l'avanzata, la sua mente era percorsa da fremiti incontrollati, da sensi di colpa che non avrebbe accettato, da soffici e delicati consigli che l'avrebbero portato all'autoeliminazione di sé, se fosse stato possibile.
Aveva fallito il suo compito.
I suoi compagni l'avevano abbandonato.
Il ragazzo, l'uomo come lui, notato alle porte della torre, era stato ucciso, portando con sé, insieme alla sua vita, ogni possibile spiegazione della condizione comune.
Nessuna risposta gli sarebbe più arrivata. Ma ora, quello stato precario in cui si trovava, ancor più precario di quello che aveva sopportato fino a poco prima, avrebbe dovuto tenerlo per l'eternità?

Volle provare paura, davvero, per poter soffocare in un solo fremito ciò che la sua mente temeva.

Il suo corpo si era già curato, almeno nell'aspetto, da tutte le ferite che aveva subito. Appariva integro, già dal momento in cui il Guardiano aveva riaperto gli occhi.
Stava dirigendosi ancora verso quelle note, cantate ad una tonalità forse troppo alta per il suo animo inquieto, contro la sua volontà. Ma non voleva salvare Eitinel.
L'attacco che aveva subito precedentemente non aveva fatto altro che bloccargli la volontà in un ultimo stallo, come un fotogramma fermato teso a durare per sempre. E nelle sue ultime volontà, non c'era il desiderio di salvare la Dea, eppure suo compito. Invece per questo le sue gambe ancora si muovevano sulle scale, era quello che lo spingeva e lo costringeva a continuare l'avanzata.

In fondo sperava solo che, prima che avesse finito la salita, la Dea sarebbe stata già morta.

-

Non fu così.
Nel percorrere gli infiniti gradini, il Dannato, oltre a perdere grazie al suo corpo le macchie amaranto che lo avevano sporcato, brutale gioco di bambina, aveva perduto ogni altro pensiero. Si era quindi incamminato come una figura senza più un'anima, senza più un qualcosa che gli appartenesse davvero. Spinto avanti solo dal canto della Dea.
Aveva avanzato, prima di salire anche l'ultimo gradino della scalinata, prima di mettersi davanti alle porte che si stagliavano vicino a lui.
Eitinel continuava a cantare. Il suo dovere non era ancora finito, e forse, ora, poteva portarlo a termine.
Avrebbe potuto ella ricompensarlo?

Guardò indietro, nell'osservare da spettatore etereo chi stava arrivando. Che non avrebbe dovuto oltrepassare quella porta.
Non fece alcun cenno o gesto di sorpresa nel vedere l'uomo - il Dio - insieme alle due donne che ben conosceva. Non fece nessun movimento, poiché il suo corpo non gli apparteneva più, e il nuovo padrone non voleva che qualcosa succedesse.
Vi era una quarta persona, che non suscitò il minimo interesse da parte del Guardiano, nemmeno quando si mise a parlare svelando fatti che avrebbero invero potuto destare ben più che interesse. Fu solo al sentir nominare il nome di Eitinel che ebbe un sussulto istintivo, come se, in quell'istante, capì che per lui non ci sarebbe stata più possibilità di fuga.
In un modo o nell'altro, il suo corpo, il suo animo lacerato sarebbero appartenuti a Velta, fino all'eternità.
Insieme ad Eitinel, la sua padrona e Dea, fin quando non si sarebbe svegliata dal suo sonno, e non l'avesse nuovamente salvato.

Se mai poteva succedere.

Fu poco dopo che la donna si avvicinò, mentre gli occhi di Hocrag guardavano il vuoto. Lo toccò, fuoco sulla neve, e questi seppe che, in quel momento, la Dea non l'avrebbe mai salvato. Era un addio, quello.
Passarono istanti che condensarono l'eternità che ancora gli spettava da vivere, mentre i suoi occhi, specchio del suo animo, rimanevano immobili su un punto davanti a sé, senza vita.
Doveva forse essere felice, che finalmente stava tutto finendo?
Non lo sapeva più.

Poi all'improvviso sentì un lontano brivido di freddo.

... E infine nulla.





hocragpost2

[ReC 400.][AeV 175.][Perf 125.][Perm 525.][CaeM 200.]

Status Fisico. » Sfasatura parziale dell'avambraccio sinistro, come Malus dello Scrigno. (danno Basso); botta causata da un masso alla parte destra del corpo - praticamente non più sentita. Taglio semi-profondo nel braccio sinistro -curato esteriormente e il dolore svanito grazie alle passive.
Status Mentale. » Privo di volontà propria.
Energia Residua. » 49%

Attive utilizzate nel turno. »

Attive dai turni precedenti. »
Passive in uso. » Immune al colpi fisici in stato di calma, chiaroscuri che gli percorrono il corpo, vista notturna, percezione Auspex, influenza psionica passiva, difesa psionica passiva (anche da dolore fisico), le difese psioniche contano un livello superiore in stato di calma (annullando il malus del Ba Xian), può cambiare aspetto e nascondere le ferite, non sviene al 10% di energia.

Consumo energia tecniche. » [Trentasette.][Diciassette.][Sette.][Due.]
Note. » Nulla in più da dire. Questo è il post in cui descrivo la mia morte; spero vivamente di non aver fatto nulla di errato. Buon proseguimento di quest, a tutti voi!
Musiche di Nox Arcana.


 
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Foxy's dream
view post Posted on 12/7/2011, 22:42






Wash me away.
Clean your body of me.
Erase all the memories.
They will only bring us pain.


Stanca, provata, umiliata, ma non ancora domata - non del tutto. La via che conduce a un obiettivo condiviso da più anime, un fine comune, più o meno banale che sia, è fiancheggiato da compromessi, da piccole concessioni e libertà talvolta sgradite, ma che si è quasi costretti ad accettare per amore dell’impegno profuso nell’adempiere al proprio destino.
Inutile forzare, piegare le volontà altrui in virtù dei propri desideri, delle proprie voglie. E benché l’uomo sia debole, volubile, facile preda degli inganni e delle illusioni, delle seduzioni e delle lusinghe, dei miraggi tralucenti di rosee prospettive - sebbene sia quindi molto semplice traviare una mente: non è altresì possibile per lo spirito. E quale più grande sentimento potrebbe mai rappresentarlo se non l’orgoglio, il primordio dell’ambizione?
In vita aveva perso tanto, e tanto ancora avrebbe perso. Ma se in cuor suo un piccolo frammento del cavaliere, della donna, della semplice persona sopravviveva ancora, in virtù di quel brandello d’Io doveva preservare la dignità, per tenere alto il capo ed osservare il prossimo negli occhi e ancora più su, al di sopra di tutto e tutti.
Probabilmente si trattava solo dell’ennesima sua arrogante pretesa, dell’ennesimo capriccio: ma cos’altro si poteva pretendere da una leonessa se non sdegno altezzoso? Quale altro appoggio le si poteva chiedere se non lealtà e un aiuto disinteressato?

Lei era Alexandra:
“Leonessa ancor prima che Regina.”
Guerriera prima di tutto.


Shakan. Forse l’aveva compreso dopo quelle parole, forse aveva fatto propria quella condizione. Aveva gettato lui una fune di salvezza che l’avrebbe sottratto al baratro in cui annaspava, non poteva far altro, sarebbe spettato a lui scegliere se annegare in quell’oceano di solitudine o trarsi in salvo e condividere il fardello di cui si stava facendo carico - e forse persino lei lo comprendeva solo in quell’istante, nel momento stesso in cui quelle frasi venivano articolate con magistrale eloquenza.
Stupida. Si sentì tale per un istante. Ridicola, ingenua: verosimilmente piccola e impotente.
Un fugace strascico di sconforto le annebbiò la vista per un attimo, ma il rude gracchiare di una voce diradò quelle nubi, attirando a sé la fiacca attenzione con la quale continuava a seguire l’implacabile succedersi d’eventi.
Era stremata, nella mente quanto nel corpo - ma non poteva abbandonare.

" State morendo."
" Nel peggiore e più atroce dei modi. […]


Ancora lei, maledettamente irritante, saccente, pedante, ma questa volta ben poco era rimasta della femminea bellezza che la contraddistingueva, dei delicati lineamenti, della squillante modulazione della sua voce, degli occhi vispi e vivaci.
Avanti a loro non si palesava altro che l’imperfetto ricordo di quella donna in veste di dottoressa. Eppure, nonostante le precarie condizioni in cui versava, proseguiva nella sua omelia, col suo gracidante ciarlare.
Ogni suo movimento, ogni sua parola lo testimoniavano: il germoglio dell’insania era sbocciato in lei avvolgendo e soffocando ogni residuo di lucidità con le proprie spire, intingendo quelle locuzioni sì taglienti e quegli insulti commisti a minacce velate a folli vaneggiamenti e sproloqui fini a loro stessi.

Tuttavia Alexandra non poté che bearsi di quella visione, il morboso capitolare di una giustizia superiore che trascendeva le due o più fazioni venutesi a creare, una sorta di bilancia, terribilmente equa e solidale. Imbarazzante.
Parlava, incessantemente, con incerto equilibrio si alzò accennando non poco all’enorme sforzo. Per aiutarsi a sostenere sembrò cingere il braccio del campione passato a fazione avversa, invero intrappolato in un sudario di tenebre e morte come tutti, e con quella leggerissima pressione, dopo aver apostrofato ancora una volta i tre al suo cospetto, lo mandò in frantumi come fosse fragile e debole terraglia.


La regina tentennò un attimo.
Gelò nello sguardo, in vitrei riflessi d’orrore: sarebbe stato quello il destino che li attendeva? Eviscerati d’ogni stilla d’energia, annichiliti e ridotti a polvere o poco più?
Deglutì. Sul palato poteva chiaramente saggiare l’acre sapore dell’ira, o più probabilmente era paura, genuina, autentica, si sorprese di come fosse concreto e vivido il timore per un qualcosa di ovvio e scontato come la morte.
Respirò piano.
Sarebbe sfuggita al suo mefitico alito.
E poi veloce, rapido, dissoluto. Per un attimo avvertì come una lama trapassarle il petto, l’avido morso di un miserabile alla sua anima. Un dolore impercettibile, etereo eppure concreto. Un rivolo di freddo sudore colò dalla tempia per rigarle il viso. Cos’era stato? Fu come sanguinare senza ferita alcuna, piangere senza lacrime.
Tremò.
L’orecchio ancora al blaterare della dottoressa, ma la mente riflessa altrove. Dopotutto non le importava se Lia stesse corrompendo la propria anima col suo canto facendone un lauto pasto, non le importava se Ray l’avesse mandata lì col compito preciso d’annientare i campioni scelti dall’Asgradel, non le importava se le proprie memorie stessero per essere distrutte, se il magnifico arazzo intessuto di ricordi e reminescenze più o meno sbiadite stesse per essere fatto a pezzi dal genio dietro un perfetto sistema di difesa.
Ormai non le importava più di nulla, ormai completare la scalata fino a raggiungere la stanza della bella come in una fiaba ascoltata più e più e volte si stava tramutando in una questione del tutto personale, estranea ai giochi di potere di quel conflitto.
E a completare il quadro irreale e fantastico venutosi a creare il sopraggiungere di due creature ingobbite dal peso di chissà quale aberrante mutazione, sudice di bava e sangue, il loro altero distinguersi dalla massa dell’ignavia Flotta per coraggio o semplice stoltezza.
Inattendibile poi il loro inerme cadere in terra ed essere percorsi da fremiti e sussulti del tutto innaturali, persino per tali obbrobri.

« Ma che- »


Subitanea voltò il capo in direzione della donna - ormai aveva spiegato tutto senza trascurare alcun dettaglio: non sarebbe certamente mancata a quell’ultima occasione.
E finalmente lo sbrogliarsi della fitta matassa ordita e intessuta dalla mente di Ray, il Re che non perde Mai - quale miglior appellativo per qualcuno così astuto e crudele allo stesso tempo? L’ingegnoso utilizzo del nemico e dei suoi stessi mezzi per annientarlo. Egli sapeva tutto ancor prima che avesse luogo. Incredibile.
Non seppe esattamente se esserne affascinata o terrorizzata dalla sua figura, un personaggio così meschino e geniale al contempo non poteva che esercitare una certa attrattiva su di lei. Ma il ricordo poi di Bottiglia Verde le mozzò il respiro, no! Avrebbe fatto pagare lui lo scotto per quel che le fu fatto subire, per quella violenza ben più bruta della violenza fisica e carnale per attecchire nella malvagità fine a sé stessa.
E a conclusione di quell’indegna prova d’oratoria, in un crescendo continuo, lo spalancarsi dell’ultima porta, limite oltre il quale le ombre più fitte facevano capolino fino a invadere tracotanti l’ammezzato sul quale poggiavano i loro piedi. Lo scomparire della dottoressa al suo interno e il presentarsi dell’ultimo ostacolo: il tributo da offrire alla Bianca Madama per varcare quella soglia.

« Sappi che abbiamo abbandonato noi stessi già da tempo.
In caso contrario non ci saremmo mai intromessi in un conflitto che non ci riguarda. »

- Ma che coglieremo come occasione per i nostri fini, per i nostri scopi. -


Mancò a quell’ultima espressione, lasciandone intuire appena un prologo sottinteso, abbozzando uno stretto sorriso, un ghigno smorto, esangue, una tacita accettazione di quel destino infame.
Senza un attimo di quiete: un rumore.
Clangori d’arme ai quali aveva imparato a reagire d’istinto.
Lesta si voltò. Il raddrizzarsi di qualcuno o di qualcosa, il solerte percorrere del pietroso lastricato di una figura vagamente affine a un qualcuno di già veduto e incontrato, la percezione del suo animo però intarlato e ingravidato dalla Brama, lo sguainarsi di una spada e il prepotente calarla sul capo del suo compagno, la risposta dell’illusionista poi, una spaurita difesa, e infine la ferrea stretta al di lui collo.

“Il più delle volte non è necessario un motivo per uccidere qualcuno.”
«Il mio nome– è Arthur.
Prometti di ricordarlo. »


Non seppe il perché né il come, ma d’improvviso quella frase riecheggiò fra le proprie convinzioni, un’immagine marchiata a fuoco nella propria mente, nell’inconscio d’un qualcosa appena intravisto. E dette ascolto a quella voce, a quel consiglio radicato in un passato non più nitido e chiaro ma precipitato nel grigiore della dimenticanza.
Fredda nello sguardo, risoluta nei movimenti.
Senza indugiare un attimo la sinistra corse lungo il piatto della lama vibrando sulle incisioni runiche in uno squillante tintinnare, e presto fu avviluppata da una fiamma fosca e incolore, una tetra luminescenza a monito di ogni proposito di vita e gioia, un mezzo tramite il quale veicolare il rammarico per il candore perduto, il perfetto esempio di caducità delle cose.
Con monumentale abilità poi afferrò l’elsa della spada con entrambe le mani e in un unico affondo, facendo perno sulla gamba d’avanti per darsi forza, la infilzò nel dorso dell’aggressore percorrendone il busto in un moto appena ascensionale, trafiggendolo da parte a parte.

…e così venne meno alla promessa.


Persa la proprietà elementale della lama allentò un poco la presa, chiedendosi cosa l’istinto le avesse suggerito di fare, cosa quella voce, quel ricordo confuso le avesse imposto: un ordine al quale non poteva ribellarsi. E come un foglio stinto del suo inchiostro, una poesia senza parole, una melodia priva di suono, così quelle frasi persero il loro accento, il loro pronunciarsi, un nugolo di polvere trascinato via da un vento innocente, nulla di più.
No! Non importava.
Lento poi lo sgretolarsi del suo corpo, il greve venarsi delle carni tumefatte, il trasalire ad ognuna di quelle ferite provocate dalle sue fiamme, e infine lo spegnersi di un’anima ridotta a polvere e cocci: quale orrenda fine.
L’ignoranza talvolta è una grave macchia, ma in alcune occasioni è il sistema con il quale ci si può meglio difendere dalla colpa, un torto incolpevole invero, dettato dal puro istinto - come in questo caso.
Sospirò.

…alla fin fine non l’aveva mai conosciuto per davvero.


Stancamente si tirò su, infilando la spada nel fodero lì dove era giusto che fosse.

« Tutto a posto, spero. »


Ma le sue parole rimasero senza un risposta, in un vuoto carico d’ansia e aspettativa.
Non vi badò oltre.
In quel momento l’attendeva la prova più difficile che avesse mai affrontato, e secondo dettame della dottoressa avrebbe dovuto perdere sé stessa, abbandonarsi al flusso di pensieri e tormenti che da tempo immemore l’affliggeva, annegare nel turpe passato e dimenticarlo, semplicemente.
Sbatté le palpebre.
Una volta. Due. Alla terza fu come non poter più ritornare a vedere, prigioniera d’una tenebra assillante, incapace di destarsi.
Ricordava. Ricordava quelle sensazioni tanto amare, poteva ancora assaporare la brezza di quella notte, carica d’odio e rabbia, intinta nell’agrodolce sentore di acciaio e sangue, talmente ripugnante da suscitarle un conato di vomito al sol ricordo.
E i suoni. Diffusi cozzare metallici riecheggiavano fra le orride e zotiche scene di viltà per le vie cittadine, insieme all’assordante crepitio di fiamme che si facevano pasto dei piccoli e grandi casolari indistintamente, come se tutto fosse uguale al suo passare, come se al cospetto della distruzione non esistesse differenza di ceto o classe. Tutto ineluttabilmente uguale sotto l’insigne peso di una spada, tutto così dannatamente giusto nel cuore dell’ingiustizia, talmente legato a un’assennata irrazionalità che erigeva un paradosso sul quale non si poteva non soffermarcisi a riflettere e ponderare per qualche attimo, almeno un breve, insignificante e fuggevole istante.
Ma l’incubo non era ancora destinato ad assopirsi, non voleva né avrebbe volto al termine in così breve tempo, e anche quando avrebbe volto al termine sarebbe ricominciato in tutto il suo tetro spettacolo assumendo nuove e variegate sfumature, arricchendosi di significati nascosti di volta in volta, come se ad una fine non succedesse altro che un nuovo inizio, un ripetersi infinito di cause e conseguenze sempre più incisive, sempre più marcate e indelebili in una mente già tracciata da tali orrori.
Sofferenza e rancore si mescevano alla disfatta di un popolo, di un regno eretto su fondamenta utopiche di pace e speranza, ma il mondo non era ancora pronto ad accogliere una così illuminata monarchia. Ai suoi occhi quella pace sarebbe parsa debolezza, e probabilmente così fu, ma allora perché decantiamo la pace in tutte le sue accezioni se appena mostriamo un po’ di quella caritatevole umanità ci additano per deboli, inetti, incapaci di sopravvivere in un mondo di matti che si scannano e si incalzano, inseguendo una folle bramosia di potere, inconsci d’essere loro la preda di quel tormento dalle screziature cleptomani che porta gli uomini a trucidarsi vicendevolmente, senza logiche apparentemente valevoli o sensate.
E ancora pianti dolenti e incessanti di chi aveva perso tutto risuonavano nell'aere, percorsi dai tremiti dell’ira e dell’odio, disgraziatamente inconsapevoli di star preservando ancora il bene più grande: la propria vita. Ma ancor più angoscianti erano i tristi e sconsolati lamenti di madri e mogli a cui furono strappati figli e mariti con bruta e dispotica violenza, e ancora grida, urla, strazianti esclamazioni di dolore che sebbene non possedessero alcun significato proprio erano più eloquenti di mille e più parole gettate all’indifferenza dei venti, gli stessi venti che trascinavano ancora morte e disperazione, inermi ed estranei e complici allo stesso tempo di un turpiloquio di spregevoli emozioni e sentimenti, nonché di abiette e abominevoli perversioni.
Un’intera vita, un’intera esistenza fu imprigionata in una lacrima e scacciata via, la stessa che adesso, lenta, scivolava sulla gote della bella e fragile Alexandra, ingannata e derisa dal mondo. Ma il fato l’aiutò a dimenticare, a perderne memoria. Il nulla in quella notte, un malessere indistinto causato da una pressante sensazione di vuoto, il dolore, ancora, senza motivo.


È cosa facile cancellare un’immagine, un’esperienza, ma le sensazioni restano, vivono, pulsano come creature a sé stanti.
Si sentì mancare, le gambe non la reggevano più, vivere un’ultima volta quelle ore la prosciugò di ogni linfa, a stento poggiò il palmo alla parete trovandovi saldo appiglio.
Respirò profondamente.
Era vicina. Davvero vicina.

…che fosse nostalgia quel dolore?
Ladd, Rod - chissà cosa stavano facendo in quel momento?


Un regno, un popolo l’attendeva. Ma prima avrebbe dovuto completare la propria opera, prima avrebbe dovuto mantenere il proprio impegno, e poi sarebbe potuta tornare da loro, sì! Da loro.
Sollevò il capo, quell’ultima speranza le dette forza.
Precipitava nella menzogna, nell’aurora della follia. Ma chi è più folle: colui che annega nel dolore o colui che erige la propria felicità?
Non pensava.

« Andiamo, Imperatrice.
E' tempo di varcare questa soglia.
»


Con passo lento, appena un po’ stentato, si diresse verso Shakan, forte sostegno d’umanità - l’umanità adesso ritrovata insieme ad una gioia ancora poco chiara, cinta a un dolore inestinguibile e immotivato.
Vide la sua mano protendersi.
Con fare metodico, quasi abitudinario, si sfilò la mitena sinistra, per stringere poi la sua mano. Il contatto umano che le era sempre mancato, dal quale era sempre sfuggita.

« Andiamo. »

Semplice. Laconico.
Altro non era necessario.





CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 27% - 2% - 5% = 20%
Status psicologico: Terribilmente stanca ma speranzosa nel proprio operato [Alto + Medio]
Condizioni fisiche: Illesa

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Abilità attive:

• Flaming Sword ~
Spendendo un costo in energie pari a Basso e lambendo la sezione dell’arma sulla quale è inciso l’incantamento, la lama verrà avviluppata da lingue di fuoco nero. L'effetto dell’incanto perdura fino a quando l'arma non colpirà un bersaglio qualsiasi, scaricando la magia contenuta e perdendo ogni proprietà elementale. [Abilità attiva del Dominio Incantaspade I]
____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

_______________________________________________________ _ _

Note:

Finalmente ho finito. Questo post è stato davvero davvero difficile da scrivere nonché da elaborare, in quanto in esso risiede la chiave con cui ho intenzione di ruolare Alexandra da ora in poi, indipendentemente dall'esito di questa quest.
Good. Ma ora passiamo al post in sé.
Tutto comincia da dove ho lasciato Alexandra, e perdonate l'autocelebriazione dell'incipit, in esso riscopre la sua natura di "leonessa", cioè di figura fiera e indomabile, o meglio: di perseguire quella via.
Dopo una serie di descrizioni degli eventi misti a un'introspezione piuttosto profonda, Ale osserva lo sgretolarsi di Hocrag, dimenticandosene irrimediabilmente nelle modalità su citate. Al comparire di Shivian e Arthur però non riesce a fare due più due giungendo alla risoluzione della loro identità, in quanto estraniata da quel che le è attorno e catturata dalla spiegazione della dottoressa sul piano ordito da Ray. Una volta spalancate le ante dell'ultima porta e lo scomparire della dottoressa al suo interno, Ale si volta però, percependo (grazie anche all'Auspex) qualcosa che non va. In quel momento vede Finnegan balzare addosso a Shakan pur non riconoscendo il primo a causa delle mutazioni, tuttavia riesce a intravedere qualcosa in lui, un che di familiare, e dopo esserle balenate quelle frasi (citazioni di Finnegan stesso in un incontro avvenuto fra i due pg parecchio tempo fà) non tergiversa oltre e utilizza la prima abilità attiva del Dominio Incantaspade, nominata Flaming Sword in scheda, per incantare la spada e infilzarla con maggior vigore nel busto del malcapitato.
Di seguito, dopo una breve pausa costernata da riflessioni e giochi letterari che spero non appesantiscano il testo, comincia la parte finale del post, dove Ale dimentica la distruzione del suo regno e tutte le conseguenze che quell'evento ha condotto con sé (in pratica la sua memoria diventa una forma di gruviera, piena di buchi x'D). Tuttavia, sebbene il ricordo è cancellato, le sensazioni sono rimaste, una sorta di malessere interiore del quale non conosce il perchè, ma che riconduce - ingenuamente - alla nostalgia di casa.
Infine, in conclusione, Shakan le porge la mano e Ale la afferra, semplicemente. (ovviamente l'autoconclusione è stata accordata con janz).

Ammetto che questo post è un po' una scommessa, in quanto neanch'io so quale direzione farle prendere adesso che la colonna portante sul quale ruotava il suo modo d'agire e reagire è andata distrutta. Tuttavia ho già qualche idea, ma poco importa al momento.
Colgo l'occasione anche per scusarmi dell'eccessiva lunghezza, ma c'era tantissima roba sul quale lavorare, tantissimi spunti per un'evoluzione concreta del pg.
Bhé, che dire più? Spero abbiate apprezzato, né più - né meno. :3

PS: Ladd e Rod sono le guardie del corpo di Alexandra citate nel bg della sua scheda, entrambe defunte.


 
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view post Posted on 16/7/2011, 13:21

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Di quella lunga notte ricordo molte cose. Alcune confuse come ombre sfuggenti di cui avverto l’esistenza senza tuttavia riuscire ad afferrarne la sostanza. Altre sbiadite, pallide emozioni di un passato ormai abbandonato e quasi dimenticato. Altre ancora invece pulsano vive e cocenti nella mia memoria come ferri roventi sotto i quali la mia mente sanguina ferita oggi come allora.

Ricordo l’eccitazione folle che dopo l’ansia e il dolore era montata dentro di me come un’onda inarrestabile che mi travolse senza scampo in un crescendo di morbosa adrenalina, smania di vedere, sapere e conoscere che non aveva più il sapore del doloroso tormento dettato dall’incomprensione che mi turbava all’inizio di quell’avventura, ma una vera e propria bramosa avidità di proseguire, di lacerare la verità con le unghie.
Ad ogni costo.

Ricordo nitidamente la voce della donna esile e invincibile che ci aveva indotti a intraprendere e ultimare quel viaggio senza speranza, il tono cristallino delle sue parole che strideva così sgradevolmente con il significato delle stesse.

Ricordo anche l’attenzione rapita con cui bevevo ogni singola goccia di verità che sgorgava dalla sua bocca, linfa vitale che mi rinvigoriva e mi faceva fremere d’eccitazione e di brama d’azione.
Finalmente dopo tanta tenebra uno spiraglio di luce.
Poco importava se quella luce provenisse direttamente dal sepolcro verso cui ci stavamo inesorabilmente dirigendo. Se come tante falene impazzite saremmo andati tutti a sbattere contro il lume dell’irrazionalità, gettandoci in un suicidio senza senso.
Era pur sempre ciò che avevo chiesto fin dall’inizio. Un perché.

Ricordo una porta.
La porta.
La soglia che, dischiusa, avrebbe permesso infine la comprensione ultima di tutto ciò che desideravo sapere.
Solo che la mia memoria si arresta qui, fallace e imprecisa come tutte le meschinità umane. Ho pagato un tributo per accedere all’ultima stanza, lo so. Quale fosse, un buco nero l’ha ingoiato nel suo oblio. Non riesco a ricordarlo.

E da allora la mia vita prosegue tetra e squallida, come forse è sempre stata: come la strega cattiva delle fiabe sono temuta e rispettata dalle menti deboli, detestata ed esiliata dalla comunità, esercitando la tenebra insita nel mio potere per soggiogare e schiacciare coloro che non desiderano altro che la mia morte. La periferia di Laslandes mi ha offerto rifugio, e qui combatto la follia nel disperato tentativo di ricordare chi io sia.



Ninna nanna,
scioglie il suo canto la voce dolce,
angelo ignoto che ammalia i tuoi sogni.
Ninna nanna,
nera la notte avvolge ogni cosa,
volti, nomi, luoghi,
ricordi.




State morendo.


La voce della Dottoressa squillava argentina nel silenzio rotto solo da gemiti e sordi grugniti che provenivano dalle file disordinate della flotta Icaro in marcia verso la sommità della Torre.
Zaide non si stupì dell’indifferenza con cui tali parole avevano fatto breccia nella sua mente. L’aveva sempre saputo. Fin da quando era stata costretta a uccidere il giovane guerriero nel deserto cangiante. Fin da quando aveva visto cadere come statuine rotte i suoi compagni, uno dopo l’altro. Dal momento in cui la giostra aveva preso a vorticare come una trottola impazzita, Zaide aveva intuito che nessuno di loro ne sarebbe mai sceso: la Follia li aveva condotti lì, la Follia li aveva guidati e decimati a uno a uno, e la Follia a cui ora quella Dottoressa aveva dato un nome, Lia, li avrebbe ora sbranati come gli ultimi chicchi di riso in una ciotola sporca.

Ricordate.
Solo gli Dei hanno il potere di Creare. Gli umani possono solo Distruggere, e con i cocci di un'antica perfezione dare forma a quegli abominii che essi chiamano capolavori e che tanto si beano di spacciare per opere d'arte.



Era vero.
Tutto ciò che gli uomini toccavano, distruggevano. Quasi per illustrare meglio il concetto, la donna aveva afferrato il braccio di Hocrag, che ora pareva colto da uno spasimo inarrestabile mentre le sue membra assumevano la consistenza del vetro e si sbriciolavano sotto i loro occhi.
Un altro fantoccio ridotto in cenere.

Zaide era affascinata, suo malgrado.

Si accoccolò sul pavimento freddo, senza distogliere lo sguardo dalle labbra della donna, ipnotizzata. Le energie che credeva morte da ore tornavano a scorrerle in corpo come un fluido vitale che la elettrizzava: ogni frammento di verità che la donna ora regalava loro la scuoteva con un brivido di eccitato terrore. Mai, mai si sarebbe aspettata una spiegazione simile.
Dietro quella girandola d’orrori c’era un piano, il più grande piano che Zaide avesse mai immaginato che qualcuno potesse concepire. Il nome del Re che non perde mai risuonava in ogni angolo del globo da che Zaide avesse memoria, ma non si sarebbe mai aspettata una macchinazione tanto ardua e audace da parte sua.

Per un istante avvertì crescere in sé l’ammirazione per quel machiavellico sovrano, prima di rendersi conto con un lieve spasimo di paura di trovarsi dalla parte sbagliata. I nemici ora si erano moltiplicati e giungevano da tutti i fronti: Ray, Lia, l’Asgradel. Forse la stessa Eitinel.

E loro non erano altro che insulse pedine sballottate nella corrente degli eventi senza il potere di tirarsene fuori.

La Dottoressa continuava il suo monologo, ma ad un tratto due esseri deformi si staccarono dalle fila marcescenti della flotta Icaro e si avvicinarono al gruppetto.

I tratti rozzi e putridi, lo sguardo vitreo e assente: fantocci animati da una volontà incontrastabile. Zaide non ebbe il tempo di compatire quelle esistenze inutili e vuote, perché senza preavviso i due si avventarono su di loro come per sbranarli. Il mostro le fu sopra in un istante e lei avrebbe potuto annientarlo con facilità se non avesse scorto per un istante la verità nascosta dietro quelle fattezze abominevoli. Come un cristallo cangiante alla luce, la bestia aveva rivelato un aspetto ben diverso da quello apparente: l’inconfondibile figura slanciata, gli occhi freddi e i lunghi capelli erano ancora troppo impressi nella mente di Zaide. L’esitazione le costò il primo sangue di quel duello: Shivian, o ciò che era rimasto di lui, le si era avventato addosso azzannandole un braccio, e solo allora la giovane comprese la crudele prova che avrebbero dovuto superare prima di proseguire.
Finire i loro compagni.
Lo sguardo morto di Shivian le diede la forza di affrontarlo: quello era già un cadavere, non più il suo antico compagno. Prima che la bestia potesse esserle di nuovo addosso, Zaide brandì nuovamente lo scudo perlaceo a proteggerle il petto già martoriato, e la feroce zampata di quel braccio artigliato rimbalzò indietro con uno schianto metallico.

- Shivian… - mormorò la ragazza, cercando per l’ultima volta l’umanità in quella belva. Nell’udire la sua voce, un barlume di coscienza parve affiorare nello sguardo dell’essere, ma forse era solo un riflesso perché subito dopo la bestia tornò all’attacco senza dare mostra di averla riconosciuta. Di nuovo i denti affilati colpirono violentemente lo scudo che Zaide teneva teso davanti a sé, e dalla sua disgustosa bocca uscì un fiotto di sangue che si sparse sul pavimento. Non era più il momento di tergiversare.
Zaide si sfilò dalla cintola il pugnale decorato con i fregi alati, e implorò con la mente perdono. Istantaneamente, il buio dovette calare sugli occhi di Shivian, perché come un animale in gabbia iniziò a dimenarsi e a menare fendenti a casaccio tutt’attorno, ululando di rabbia e frustrazione. L’elsa del pugnale era calda tra le dita sudate di Zaide, che osservava turbata la fine del suo mentore.
Poi la risoluzione.
Uno scatto rapido del polso, e la lama vibrò per un istante nell’aria, prima di andare a conficcarsi nella giugulare del mostro, che rimase immobilizzato a bocca aperta, gli occhi ciechi spalancati nel nulla.
Zaide si avvicinò, il cuore in subbuglio. Incautamente si chinò sul corpo putrescente di Shivian, che in un ultimo disperato guizzo di vita sferrò una micidiale artigliata prima di crollare al suolo inanimato. La giovane urlò, portandosi la mano coperta di sangue al viso, dove un solco profondo le squarciava la guancia sinistra dall’occhio al mento. Tremando, recuperò l’Athame del Corvo in tempo per assistere alla definitiva fine di Shivian: il corpo si irrigidì come creta bruciata dal sole e innumerevoli crepe ne solcarono la superficie, sgretolandola lentamente in polvere.
Zaide contemplò i resti di Shivian per un istante. Poi il suo interesse per quel cumulo di cenere parve sbiadire, e la giovane si voltò nuovamente verso la Dottoressa, abbandonandosi dietro le spalle un pezzo, dio sapeva quanto importante, della sua vita.


Ninna nanna,
tra le tue braccia stringi le bambole
immobili eppure vive
come se dalle loro mani inerti
palpitasse vita incerta.
Ninna nanna,
quando il sonno è tanto dolce
da non potersi svegliare
mai più.



Era il momento di proseguire.
Chissà quando aveva smesso di parlare la dottoressa. Il suo discorso era stato lungo e coinvolgente, al punto che Zaide non era più sicura se fosse avvenuto davvero o solo nella sua mente; le parole suadenti e minacciose al tempo stesso le echeggiavano ancora in testa come una guida spirituale che non poteva essere ignorata.

Per sorpassare queste porte, per permettersi infine di Vedere ciò che si cela al loro interno, l'Asgradel ha dovuto concedere ad Eitinel un dono. Un incredibile dono con cui la Dama, in extremis, si assicura un ostaggio contro coloro che attentano alla sua vita. Sfinendo con un ultimo tenzone le loro anime, devastando con un memorabile colpo finale i loro ricordi.



La donna non chiedeva altro che una memoria, un pezzo di passato per accedere all’ultima verità. Non sembrava difficile: rinunciare ai ricordi per ottenere qualcosa di immediatamente tangibile, concreto, vicino?
Gli occhi di Zaide brillavano nella penombra. L’ombra scura che adombrava l’iride sembrava una macchia d’inchiostro colata dalle pupille, e nel suo sguardo non c’era traccia di paura né rimpianto.
Abbandonare il passato per ricominciare da zero.

Abbandonate voi stessi. Rinunciate a ciò che siete.
Altrimenti Eitinel, la vostra Eitinel, non vi concederà mai udienza.


Una vaga sensazione di panico attraversò la mente di Zaide quando si rese pienamente conto del significato profondo di quel messaggio.
Eitinel reclamava un ricordo.
Un frammento di vita.
Ma certo non uno qualunque: doveva essere il più prezioso, il più luminoso e fulgido che conservasse nel cuore.

Quando comprese quale fosse il prezzo da pagare per varcare la soglia dell’ultima stanza, Zaide fu fugacemente tentata di voltare le spalle a tutto e andarsene, abbandonare quel teatro d’orrore e fingere che non fosse accaduto nulla. Ma sapeva di essersi ormai spinta troppo oltre per potersi rimangiare tutto.

Una lacrima.

Forse l’ultima.
Tiepida e salata, andò a mescolarsi al sangue ancora fresco sulla sua guancia, mentre il suo ultimo pensiero andava alle celle cupe eppure accoglienti, ai guardiani scontrosi ma così familiari, all’odore stantio che ormai Zaide aveva imparato ad associare all’idea di casa. La mente corse ai lunghi corridoi rossi di ruggine, all'imponente sala macchine devastata dal suo primo incontro col cane più feroce di tutti.

C a s a.

Sollevò la testa con fatica, determinata, guardando dritto negli occhi la dottoressa che ora sbiadiva nella tenebra.
Non ci sarebbe stato bisogno di parlare, lo intuiva.
E nel profondo di sé, sentì di odiare di un odio così violento da annichilirla quella donna e l'essere per cui lavorava, l'entità, il dio che chiedeva ai suoi servi un tributo ben peggiore del sangue.

Zaide sperava che, almeno, quella cosa fosse in grado di risucchiare il ricordo prescelto senza che lei potesse accorgersene: sarebbe stato troppo doloroso altrimenti. Goryo ora sarebbe stato per lei niente più che una parola senza significato.
Non avrebbe mai più sentito parlare della mitica nave volante, né mai ne avrebbe sentito la mancanza.

Un passo avanti.

Zaide serrò i denti, chiedendosi quando mai la memoria se ne sarebbe andata.


Un passo avanti.

La Purgatory occhieggiava ancora nella sua mente martoriata.


Un passo avanti.

Il deserto rosso dell’Akerat, il fuoco dell’inferno.


Un passo avanti.

_

-

.


La porta.







Zaide

Rec [ 250 ] AeV [ 225 ] PeRf [ 125 ] PeRm [ 450 ] CaeM [ 225 ]

[c. 33%; a. 15%; m. 6%; b. 2%]



Zaide ascolta la spiegazione della dottoressa, allo stesso tempo grata e trionfante per aver ottenuto delle risposte, e spaventata per ciò che accadrà. Inizia a comprendere la crudeltà di chi manovra tutta la situazione quando intuisce che la prima prova per proseguire è annientare il suo vecchio compagno; Shivian la ferisce a un braccio ma non riesce a proseguire molto nel combattimento perchè Zaide si protegge con lo scudo evocato nel turno precedente (e che inizialmente non aveva usato perchè colta di sorpresa), e poi lo acceca con la Trappola annullante incastonata nell'Athame del corvo, prima di finirlo con lo stesso pugnale. Impietosita, si china sul corpo morente di Shivian che però le lacera una guancia prima di morire: la cicatrice rimarrà a Zaide permanentemente; dopodichè Zaide dimentica Shivian nel momento in cui il suo corpo si fa cenere.
E poi la seconda prova.
La vita di Zaide è costellata da episodi di infelicità e violenza, dunque l'unico ricordo che può offrire come veramente prezioso a Eitinel è il Goryo. Zaide dimentica tutto: il clan, i suoi appartenenti, la sua carica. Ecco perchè ho voluto iniziare il post con uno spaccato del suo futuro, in cui Zaide prosegue la sua vita come se non avesse mai raggiunto la Purgatory, diventando una sorta di strega temuta e reietta, costantemente alle prese con il suo passato dimenticato.


Energia:
39% - 5 = 34%

Stato fisico:
Tagli e contusioni alla gamba sinistra; ferita al petto sanguinante e di entità Alta; ferita al braccio e alla guancia sanguinante.

Stato psicologico:
Folle

Attive:
Et la lune descende [attiva dal turno precedente]
Jeux des yeux [incastonata]

Passive in uso:
Scurovisione
Risparmio energetico

Equipaggiamento:
Athame del Corvo con Trappola Annullante incastonata
Athame delle Anime
Set di 20 18 12 pugnali
Linfa vegetale

CITAZIONE
Et la lune descende: Fu uno dei primi maestri di Zaide ad insegnarle questa fondamentale e antica tecnica di difesa, ideata secoli orsono dai quei maghi che si trovarono a combattere contro guerrieri e barbari di grande possanza fisica; in un attimo l'incantatore potrà evocare uno scudo scintillante e traslucido allacciato a una delle sue braccia, del diametro di qualche decina di centimetri dalle sfumature cangianti della madreperla. Tale scudo resterà sul suo braccio per una durata totale di due turni compreso quello di evocazione e fungerà come una barriera di basso livello contro qualsiasi tipo di offensiva. Al termine del secondo turno lo scudo svanirà nel nulla, volatilizzandosi tanto velocemente quanto rapidamente è stato richiamato.
[Pergamena bianca Scudo evocato - Consumo Medio]

CITAZIONE
Jeux des yeux: La leggenda vuole che il Corvo, animale sacro alla Dea, per annientare i nemici li privi della vista, beccando loro gli occhi. Superstizione popolare che teme i corvi come animali demoniaci, su cui si fonda il potere dell'Athame omonimo: impugnato o conficcato in una superficie (terreno, tronco o simili) genererà sotto i piedi dell'avversario un ampio cerchio di luce nera che si illuminerà per qualche secondo prima di dar vita alla tecnica.
A qualsiasi forma di vita presente all'interno del cerchio, in seguito, per tutto il resto del turno, verrà preclusa la vista, come se una densa cortina di oscurità fosse calata sul campo di battaglia, dando la possibilità a Zaide di combinare la trappola con utilissime altre tecniche in grado di ferire pesantemente il proprio avversario, momentaneamente cieco.
L'effetto della tecnica svanisce al termine del seguente turno dell'avversario, ed è contrastabile con una difesa psionica proporzionale al consumo speso, in quanto l'oscurità è prettamente illusoria e il campo di battaglia non subisce alcuna variazione. Il cerchio agisce su tre dimensioni, colpendo quindi anche nemici volanti all'interno del cerchio.
[Athame del Corvo con pergamena Trappola Annullante incastonata]



 
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view post Posted on 21/7/2011, 15:57
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C a t a r s i

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Rapsodia Finale


Più nulla sembrava rimanere del mio corpo mentre quella creatura se ne cibava strappando le carni con la bestiale ferocia di un animale selvaggio. Il dolore dei suoi denti e artigli che perforavano e laceravano la mia carne era come un fuoco che, divampando, erodeva anche tutto il mio spirito.
Io che, ingenuamente, ero arrivato a considerarmi non solo non più umano ma anche superiore agli stessi Dei mi ritrovavo ora ad osservare, impotente, la mia stessa fine; come se il mio corpo mi fosse stato strappato nello stesso istante in cui i miei “compagni” mi avevano abbandonato e dato per morto.
A lungo, sfruttando l’infinito potere degli spiriti Xian, avevo creduto di poter ingannare non solo la morte ma anche tutti quegli spiriti che già da tempo l’avevano trascesa; armato delle mie convinzioni e del potere di uccidere gli immortali avevo lanciato la mia sfida al cielo stesso strappandone i segreti più antichi.

Egocentrico e spavaldo non esitai un attimo di fronte alla chiamata dell’unica creatura talmente antica e potente da risultare inesplicabile perfino a me. Di fronte ad una simile prospettiva non esitai a tirare i fili della rete che da anni tessevo lungo tutto il continente richiamando a me chiunque potesse aiutarmi nella mia egoistica ricerca dell’assoluto. Fui talmente presuntuoso da non preoccuparmi neanche dei rischi di una simile chiamata: per quanto forte potesse essere diventato il re del Toryu dal nostro ultimo incontro, che avversario poteva mai essere per me che avevo trasceso i segreti degli dei?

Credevo che nessun monarca, dio o entità ultraterrena potesse mai toccarmi. Ero certo di potermi ergere a pari dell’Asgradel e risplendere della sua stessa luce abbagliante.
Ogni mio sogno, speranza od illusione si era però infranta nell’attimo in cui Lia mi aveva intrappolato nel suo canto di morte. Il mio corpo era stato ridotto ad un guscio vuoto, privato rapidamente di ogni essenza vitale, costretto ad arrancare nel ventre di uno sciame di creature vuote e corrotte dallo stesso male che aveva sopraffatto anche me. Se prima mi reputavo superiore agli Dei ora ero perfino meno che uomo.
I miei sensi si erano affievoliti e come un cane non avevo altra scelta che seguire quelle luci ancora brillanti concentrate solo nel proseguire, dimentiche di me, la loro salita all’interno della torre.

Ricordo con chiarezza anche i momenti successivi alla mia morte con i membri della flotta Icaro che, quasi guidati da un’unica coscienza collettiva, trascinavano il mio corpo ormai inerme mentre io venivo lasciato spettatore privilegiato di quanto mi succedeva attorno. Non ero stato né l’unico né l’ultimo a cadere sotto gli inganni di quella creatura e tutti sembravano aver subito il mio stesso destino. Non mi era stata riservata nessuna preferenza, nessun particolare trattamento neanche nella morte. Come per me anche per tutti loro, era stato inutile tentare alcuna resistenza. Ero anche io come loro, umano, mortale, debole.

A rimarcare la mia condizione disperata vi era anche la certezza di essere stato da tutti completamente dimenticato. Nessuno si era fermato ad accertarsi della mia condizione o di quella degli altri caduti. Uno alla volta eravamo stati abbandonati alla mercé della fiera che implacabile ci divorava, uno per uno. A tal punto ero convinto del mio futuro di solitudine che rimasi seriamente sorpreso quando una di loro evocò una sagoma d'ombra con le fattezze mie e dello Xian Lu Dongbin. Zaide, proprio lei che più di molti altri aveva dovuto sopportare inconsapevolmente i miei inganni e le mie manipolazioni tanto da convincerla a seguirmi nella mia cerca egoistica senza chiedermi nulla in cambio. Proprio lei che era stata coinvolta in quella avventura assurda senza nessun fine se non quello di aiutarmi. Grazie a lei, forse per l’ultima volta e per un solo istante, avevo potuto ricordare chi ero.





Quasi come se da quel momento le spire del dragone non mi avessero più abbandonato ero infine arrivato a quello che sarebbe stato il mio ultimo atto: la flotta Icaro si era discostata da me rendendomi nuovamente visibile di fronte a quello che rimaneva dei miei alleati e nemici. A stento riuscivo a riconoscermi tanto ero mutato in quei pochi momenti seguiti alla mia morte, come se Lia avesse proseguito nel suo banchetto anche mentre mi teneva imprigionato tra gli altri abomini. Il mio corpo decrepito era ridotto ad un guscio vuoto progettato solo per ubbidire agli ordini della mia assassina e impedirmi qualsiasi iniziativa. Privato di ogni arbitrio ero sempre e solo uno spettatore degli eventi che si erano rivelati essere più grandi anche di me. Non potei fare nulla per impedirmi di attaccare proprio Zaide che poco prima mi aveva dato l’unica flebile speranza da quando ero stato condannato a quel buio senza via d’uscita. Ridotto però a meno che uno spettro non c’era per me nessuna speranza di sopraffare la rossa tanto che ero certo che questo fosse l’amaro destino riservatomi da Lia. Morire per mano di coloro in cui credevo.
Non potei fare altro che guardarla negli occhi mentre con il suo pugnale la vita mi veniva tolta una seconda volta. Un ultimo secondo di vita.





Il suo viso che, lentamente, si avvicinava al mio mentre con la mano tentai di sfiorarle delicatamente il viso in uno dei pochi gesti di sincera riconoscenza che avessi mai fatto.

Artigli e sangue: Lia che mi aveva ingannato ancora una volta.

Forse l’ultima.

Addio.






SPOILER (click to view)
In questo post descrivo la morte di Shivian per mano di Lia cui segue una sorta di viaggio introspettivo che si conclude con la morte definitiva per mano di Zaide.


SPOILER (click to view)
Concludo finalmente anche io questo inaspettato finale di giocata approfittandone per ringraziare non solo la nostra Qm ma anche tutti i partecipanti a questa fantastica giocata. Sono stato felicissimo della possibilità di descrivere la nostra finale "danza del cigno" addentrandomi in un intenso lavoro introspettivo che mai avevo curato come in questo momento. Non nascondo adesso di morire dalla curiosità di conoscere l'evoluzione degli eventi che ancora ci aspettano.
 
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view post Posted on 27/7/2011, 13:56
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di-0X48


Talvolta troppo tardi, troppo tardi ci accorgiamo dei nostri errori. Delle nostre debolezze. Delle nostre mancanze.
Ignari camminatori del dubbio.
Inconsapevoli bambini catapultati in un Paese dei Balocchi davvero troppo seducente, troppo invitante per essere effettivamente Nostro.
In Verità disseminato di trappole e insidie appositamente create per sorprenderci. Per catturare quel nostro piede incauto, disattento. Misero perlustratore di un terreno ignoto.
E quando quel Clac ci raggiunge fra un respiro e l'altro, un attimo dopo il fatale azionarsi della trappola, l'accendersi del congegno, il sobbalzare delle molle, lo scricchiolare degli ingranaggi. E' troppo tardi.
Già troppo tardi.

Il colpo mortale risale i baluardi della nostra coscienza. Avanza, inesorabile. Sapendo già di trovarci li, al varco della realizzazione. Un poco sorpresi. Un poco consapevoli di quell'ineluttabilità cui, ancor prima di divenire certezza, già è divenuta Realtà.
Moriremo tutti. Moriremo. E di noi rimarrà solo il rammarico. La consapevolezza di ciò che avremmo potuto intuire, presagire, indovinare. E che invece abbiamo ignorato.
Troppo forti di quel rumore bianco. Troppo spaventati da quella nenia sottile intessuta dei nostri ricordi, dei nostri tormenti.
Volta solo a rassicurarci, a cullarci, Madre Infernale, lasciandoci illudere, ancora un istante,
che questa non sia la Verità.
Solo illusione. Solo apparenza.
Solo un sogno, niente più.
Cristalli di rugiada nel sorgere del sole.



E ora io vi guardo, mortali dalla pelle di seta. Miseri filamenti strappati al Tutto che da senso e condannati ad essere nulla più che strascichi di vite perdute, di esperienze dimenticate.
Vi guardo avanzare, e affannarvi. E cercare ancora una volta di sistemare quel quadro piegato un poco di traverso dopo il terremoto che ha scosso, ancora una volta, il vostro fragile equilibrio.
Vi vedo allungare un dito e sfiorare il margine della cornice. Con un movimento centrarlo un poco. Solo qualche centimetro.
Fra poco tutto tremerà ancora. Inevitabilmente.
E allora voi sarete ancora li, un dito sollevato, a spostare di una inezia il baricentro della vostra esistenza.

La trappola è scattata.
La partita è perduta.
Non vedete? Non capite?

Tutto trema. Tutto si distrugge.
Velta muore.



" Non vedete? Non capite?"
Un sogghigno nel vuoto. Il debole profilo di un volto che si tendeva nell'oscurità, lasciando che per un attimo il guizzo di due pallide iridi facesse capolino da dietro una chioma paglierina. Brillò piano il riflesso delle lenti, vitreo presagio di derisione.
" La vostra Eitinel non vi vuole.
Nemmeno ora che è ad un passo dalla fine. Neppure adesso che il suo fiato si fa pesante, rasposo, la brama di Lia che sempre più le ruba il respiro costringendola a soffocare."

Un istante di silenzio, la rigidità di quell'attimo a sfilacciarsi insieme all'oscurità come velo effimero, bruna patina incolore. E ancora, in un gesto oramai noto, parve di vedere la Dottoressa portarsi una ciocca ribelle dietro l'orecchio, quella piccola movenza che la faceva tremare impercettibilmente, vitrea vibrazione di un corpo prossimo dallo spezzarsi. Pareva quasi fatta di sola polvere, ora. La sagoma delle sue vesti che a tratti sfumava in una densa nebbiolina color neve.

di-YGMG
Stava forse per scomparire? Quella donna senza carne e senza sangue, ricolma solo di parole e movenze. Stava forse per morire?
Nel diradarsi delle ombre, ella perse ancora una volta il proprio fuoco. Debole raccapriccio delle fattezze ora graziose, ora diaboliche. Ora estatiche mentre, in un gesto quasi femmineo, tendeva una mano in direzione del proprio "pubblico". Ora crudeli mentre, nello squarciarsi di un confine inesorabile, le sue dita scoprivano voragini orripilanti nel suo corpo all'altezza del petto, poco sopra il cuore. Sorrise ancora, orribilmente, e nel liquefarsi della propria immagine, la Dottoressa fece allora capolino proprio dietro di essa. Nessuna ferita. Nessun dolore. Solo un morbido passo in avanti, spire contratta di un incedere.
Nel tremolio retrostante le sue esili spalle l'imago di lei stessa tornò allora a riformarsi. Duplice ghigno, Duplice beffa.

Uno specchio.

Un portale.
Uno sguardo nell'infinito.
Uno, e non solo, degli infiniti sguardi di cui per tempo immemore Eitinel si era circondata così da scrutare, pur inosservata, il mondo attorno a lei.
Occhi d'ombra. Niente più che fumo tanto scuro e tanto denso da divenire ferma superficie ove riflettersi e scorgere, nei propri occhi increduli, ciò che solo l'oscurità può osservare. Se scruti nell'abisso, anche l'abisso scruterà in te. Mai parole furono più vere. Mai motto più calzante per i mille sguardi della Dama, nascosti ovunque vi fosse ombra da cui sbirciare.
Ed ecco dunque poco distante, i resti anneriti del Borgo bruciare. Ecco la Marcia dei Predatori di Neiru. Ecco il sospiro contratto di una giovane donna sulla cui spalla sostava una innocua scimmietta. Ecco il brutale campo degli Orchi di Gruumsh. Ecco l'ultimo, fatale, sguardo di Zaide prima che Lia scegliesse, fra le uniche cose belle della sua vita, proprio il ricordo di lei, animo affine e passato troppo vicino, troppo eguale per non destare compassione. Lasciandola li, nel Limbo dei dimenticati destinato ad Eitinel ed Eitinel sola, mera memoria in attesa di risoluzione.
Mille specchi. Mille più uno superfici dal livido colore della notte, apparentemente ferme e stolide come blocchi di ossidiana infissi nel terreno ed in realtà nulla più che la vertiginosa risalita di nera oscurità dal suolo al cielo, dalla base di quella sterminata sala ovunque coperta da un sottile velo di tenebra ad un soffitto troppo alto, troppo svettante per poter essere visto.
Tante Cascate quanti erano i desideri della Dama, quanti i suoi capricci, le sue manie.
Con un morbido stropiccio di onde corvine, la Dottoressa si esibì in un piccolo sorriso sghembo.


" C'era una volta una Principessa giovane e bella, ma incredibilmente superba. Ella passava le sue giornate rinchiusa nella Torre più alta del suo castello, cantando con la propria voce d'oro le più dolci melodie e nel frattempo guardando il mondo attraverso le dodici finestre collocate ai dodici poli del torrione. Un bel giorno venne anche per lei il tempo di sposarsi, così il padre le chiese quale fra i principi del Regno ella preferisse come marito. Ma la superba Principessa non aveva affatto intenzione di sposarsi, così architettò un ingegnoso piano capace di assicurarle l'eterno celibato. Disse che ella avrebbe concesso la propria mano solo a colui che, nascondendosi in qualunque punto del regno, fosse stato in grado di non farsi trovare. I Principi smaniosi non se lo fecero ripetere due volte. Cavalcando in lungo ed in largo scelsero i più disparati nascondigli, certi di avere ormai il trono in tasca. Ma la furba Principessa non aveva indetto quella strana gara per suo semplice diletto. Ella infatti nascondeva un segreto: le dodici finestre della sua stanza erano fatate, capaci di vedere laddove alcuno sguardo sarebbe mai potuto arrivare. Così, affacciandosi alla prima, ella vide il principe nascosto dietro un albero. Guardando dalla seconda, trovò quello sigillatosi sottoterra e quello buttatosi sott'acqua. Sporgendosi dalla quarta ne sorprese un altro travestitosi da vecchia grinzosa e un altro ancora intento a varcare i confini del mondo conosciuto. Di finestra in finestra ella smascherò uno dopo l'altro tutti i partecipanti. Solo l'ultimo, un giovane di umili origini innamoratosi di lei per il semplice fatto di averla udita cantare, la impegnò per ben due finestre. Egli infatti aveva ottenuto da un mago una pozione capace di trasformarlo in qualunque bestia egli desiderasse. Così, mutato in cerbiatto, egli aveva finto di pascolare allegramente attorno alle pendici del Castello. Ma la Principessa, scrutando attraverso la finestra del Velo, aveva infine smascherato le sue fattezze. Divertita da tale ingegnosità, la giovane allora gli concesse un'altra opportunità, fallendo la quale egli però sarebbe stato fatto arrosto dalle guardie del Maniero. Egli accettò, e tanta era la crudele malizia della principessa nel sapere di aver concesso una falsa speranza al più umile degli uomini che, poco prima di sporgersi all'ottava finestra, manco di notare un movimento appena accennato sotto le sue molteplici gonne. Questa volta ella non riuscì a scorgere il giovane. Né dalla ottava, né dalla nona e nemmeno dalla decima. Fu con rabbia che si accostò alla undicesima ed infine riuscì addirittura a rompere in mille pezzi la dodicesima trovandola anch'essa vuota e inutile. Solo allora, con un guizzo fulmineo, il ragazzo sgusciò da sotto le sue gonne presentandosi proprio dinnanzi a lei con un ghigno sardonico. " Mia bella Principessa. Avete guardato in ogni parte del mondo tranne una. Voi stessa. Io che invece non ho visto nulla tranne che voi, merito di diritto il vostro cuore". Così essi si sposarono e da allora, dall'alto delle undici finestre della Visione, i due vissero per sempre felici e contenti."


" Come una Principessa intrappolata nella Torre più alta del Castello, innamorata del proprio Drago piuttosto che del Principe Azzurro, ella non concede occhi, non spreca pensieri per coloro che, armati solo della propria vita, pretendono di essere i suoi salvatori. In realtà nulla più che nuove vittime, nuovi agnelli da sacrificare al Potere Supremo, alla Grandezza più Grande"
Nel volto della Dottoressa la pallida risalita del Dolore, dell'Agonia mentre qualcosa, qualcosa di incredibilmente potente e assieme irresistibile si impadroniva di lei. Un tormento sottile, capace di scavarle con dita invisibili la carne bianchissima, di infossarle senza pietà i lineamenti del volto ora tesi attorno al cranio esposto. Tuttavia, instancabile nenia, ella continuava a sorridere.
" La vostra Dama non sa neppure che siete qui. Non si è nemmeno accorta di non essere più, forse per la prima volta, SOLA in questa Torre Fantasma."
Con viva stanchezza, ella fece un mezzo giro su se stessa lasciando che sotto di lei il tremolio nubescente della laguna nera si frangesse in mille e più onde di seta. Si frastagliasse, sottile riverbero di suono, nel silenzio di quella sala gremita eppure vuota. Volti perduti ad affiorare di tanto in tanto dalle lastre fisse come fantasmi dall'oltretomba. Occhi di uomo, visi di donna. Piccoli frammenti di realtà stipati oltre un confine invalicabile, frangibile dalla sola pressione del pensiero.

di-RX4X

" Neanche per un istante ha sospettato che per vincere una partita non bastasse la sola ed Onnipotente Regina Bianca e infinità di inutili pedoni schierati sul campo. Ma Cavalli, Torri e non dimentichiamocelo, Alfieri."
In quella, la stretta intessuta fra Alexandra e Shakan si sarebbe spezzata, una forza sovrumana che trascinava lei lontano da lui, attirata dalla potenza infernale di due creature sbucate da chissà dove, i volti di pietra scolpiti in chissà quale incubo perverso. Due Golem di Ferro al servizio della Bimba rimasti nascosti nella sua ombra fino ad allora ed ora richiamati all'attacco contro la guerriera. Negli occhi della Dottoressa stillò una nota divertita mentre, assistendo alla rapida quanto dolorosa dipartita della guerriera, ella lentamente fissava il proprio sguardo in quello del guerriero. Compì ancora un mezzo giro su se stessa e, come sapendo già dove dirigersi, prese ad avanzare lentamente nella direzione opposta al ragazzo.
Sotto di lei, tremulo, il riflesso dei suoi passi vibrò piano, cautamente, una nota stonata rispetto alla silente esecuzione poco distante. E sarebbe parsa cosa davvero strana non notare che dall'altra parte dello specchio, proprio sotto i suoi tacchi sbrecciati, piccoli piedi nudi avanzavano in parallelo.
Minuti passi senza eleganza, senza spessore, eppure perfettamente identici e coordinati.
Una torsione della di lei vita sottile stretta in quel misero camice bianco, e dall'altra parte fluttuò una veste anch'essa color della neve eppure molto più larga, decisamente troppo abbondante per un corpicino ancora giovane, ancora informe.
Non vi era delicatezza nell'avanzare di Lia, nel suo riflesso di bimba rimasto fino ad allora li, solo in attesa di essere visto. Ad un passo dallo sguardo eppure pur sempre al di sotto della ribalta, in quell'angolo dimenticato della Scena. Misero spazio vuoto che disperatamente si affannava a mostrarsi ma che mai, suo malgrado, era stato possibile a vedersi.
Lia. Bimba perduta.
Non vi era bellezza nel suo districarsi fra le sottili ragnatele d'argento che ovunque si tendevano in quel mondo al di la dello specchio. Capelli color della Luna. Nulla più che sottili onde di seta fra i tacchi della Dottoressa nel mondo vero, morbide ciocche di vetro serpeggianti ovunque. In realtà delicate radici dell'altro mondo, effimere congiunzioni fra gli specchi "riflessi" e un centro comune, una matrice unica la cui figura giaceva distesa su un piano rialzato, una lastra che sola separava la laguna dal cielo.
La pelle di Eitinel era pallida come ceramica. La sua perfezione risparmiata dalla laguna nera tutt'attorno.
Bella. Angelica. Creatura ultraterrena le cui chiome affondavano tutt'attorno in una cascata di candore impronunciabile onde collegare lei a tutti gli specchi che la circondavano, Regina Bianca.
E pareva sereno il suo volto.
Pareva distesa quella sua espressione da eterna fanciulla, le labbra pallide che sospiravano appena di un sonno immortale.
Nel franare di Velta le sue dita tremarono un attimo, appena, quasi un riflesso incondizionato.
Con un sospiro contratto la Dottoressa crollò allora ai suoi piedi, le ginocchia di Lia che affondavano nell'oscurità come gigli nel fango.
Nel silenzio, parve quasi di udirla sussurrare qualcosa. Un richiamo, forse. Un nome, probabilmente.

Madre sarebbe stato troppo?
Troppo per una figlia fatta di sola argilla e futili speranze?

.Madre.


" E neppure ora che l'Ambasciatore del Sovrano sosta dinnanzi a lei tenendo sotto braccio la Regina Nera ella si arrende a mostrarsi per ciò che è, troppo altezzosa e vanitosa per lasciare che la sua pelle sanguini, che il suo volto si contragga, che la sua preziosa pelle porti i segni delle sevizie che l'Asgradel, Dio ancor meno clemente, ha perpetrato sul suo corpo."
Se le fossero rimaste le forze, forse Lia avrebbe riso. Almeno, la Dottoressa l'avrebbe certamente fatto. Avrebbe flesso le labbra a mezzaluna e, gracchiante, si sarebbe profusa in una sonora risatina isterica. Tuttavia, palese, la fame dipinta sul suo volto ora era troppa. Troppo il pastoso addensarsi della saliva attorno agli angoli della bocca. Troppo il nervoso strizzarsi dei suoi occhi cisposi come se, a tratti, ella faticasse a mettere a fuoco ciò che le stava innanzi.
Così, tendendosi appena in avanti, ella si distese in direzione della Dama, il corpo che si affilava nel tentativo di sfiorarle lievemente il braccio di neve.
Deglutì.

" Ray ti ringrazia, Shakan" riprese poi con un sospiro " Mai occhi furono più preziosi dei tuoi da che lui stesso ha preso il vizio di interessarsi ai segreti altrui. Nessuno aveva mai varcato le stanze di Eitinel. Nessuno aveva mai veduto le prodezze del suo incanto. Ora, grazie a te, grazie alla tua servizievole prestazione, anche questo mistero è stato svelato."
una pausa, un attimo necessario per prendere il fiato prima di continuare
"Ora, per cortesia, ti prega di finire il lavoro"
In quella, con un ultimo grido disperato, Alexandra si congedò dal proprio disperato accanimento verso la vita. Le spade a terra, l'armatura a pezzi, i lunghi capelli imbrattati di sangue. Venne scaraventata con un orribile slancio a terra dove giacque un attimo prima che flebile, pur muto, il suo ultimo spiro vibrasse nel rilassarsi delle spalle contratte, del collo spezzato.
Suono flebile, sussurro indecifrabile che, disperato, parve in ultimo sfilacciare la greve calma di quel luogo.
Vibrarono piano gli specchi. Sussultò lieve l'acquitrino, un incresparsi smanioso che dalla sua figura ora immobile prese a risalire rapido tutta la superficie, tutta la vitrea distesa fino al luogo dove Shakan e la Dottoressa si trovavano. Ed improvvisamente, dalle profondità di un abisso fino ad allora ignoto, qualcosa rispose.
Non nel mondo degli uomini fatto di carne e sangue, di dura pietra rovente e deserti impenetrabili. No, affatto. Molto ma molto più in fondo. Molto più al di sotto tanto della nuda terra quanto della sterile Vita. Giù, così in profondità da rasentare l'oscurità più nera, il grigiore più assoluto, il Vuoto più incolmabile. Li, proprio al di là del sottile velo dell'Ignoto laddove era permesso soggiornare solo ad oscure essenze quali Incubi, desideri, passioni. Laddove, inavvicinabili da chiunque salvo loro stesse, dimoravano Eitinel e Lia. Creature quasi divine, quasi ultraterrene e oramai miseramente entrambe in fin di vita, proprio ad un passo dallo scomparire.
Come resistere all'ultimo, agonizzante, richiamo di una vita? All'ultimo, infimo, raggio di luce sprigionatosi dall'anima che spira?

Così, nel mugghiante tuonare di Velta, Lia volse per la prima volta il proprio sguardo indietro, proprio in direzione di Alexandra abbandonando per un unico, imperdonabile attimo, il suo Asgradel, il suo DIo, proprio nel momento in cui esso, destato da una brama superiore a qualunque altra fino ad allora provata,
apriva i suoi occhi.
Nell'orribile frazione di un istante ogni colonna, ogni volta, ogni scalino della Torre gridò, all'unisono, tremendamente, come se l'inferno in persona avesse direttamente colpito il cuore dell'intera struttura. Vacillò Velta, oscillò prima da una parte e poi dall'altra, gigantesca chimera agonizzante che tenti di sfuggire al proprio cacciatore. Eppure, proprio oltre lo specchio, in quell'effimero mondo di chiaroscuri, Eitinel non fece altro che sbattere una, due volte le palpebre, i suoi occhi che prendevano lentamente coscienza.
Non era sveglia. Non ancora. La sua controparte terrena ebbe solo un sussulto appena accennato. Eppure mancava poco, troppo poco per concedere alla Torre di resistere più che qualche istante ancora. Solo qualche attimo, qualche attimo in più. Giusto il tempo di impossessarsi della vita di Alexandra e decidere chi, finalmente, avrebbe varcato la soglia del silenzio ora che ogni cosa era pari, che il Dio si era dovuto abbassare a livello d'uomo e da li gareggiare ad armi pari per la supremazia.
Nell'ansito della Dottoressa parve quasi di avvertirsi il gusto del sangue inondarle la gola mentre Lia, abbandonando finalmente la finzione, sgusciava improvvisamente dalla sua ombra per slanciarsi disperatamente in direzione di Alexandra. Il suo corpo reale che prendeva gradualmente forma in sincronia con quello riflesso. Disinteressandosi per l'ultima volta di quel suo unico ricordo. Rinunciando forse per sempre alla sola immagine che mai avrebbe sprecato parole di affetto per lei. Che mai le avrebbe rivolto gesti di tenerezza cullandola come una mamma, accudendola come una madre. Mai più, Lia, avrebbe posseduto una madre. Troppo affamata per badarci, troppo stanca per curarsene, al di là dello specchio, Lia, semplicemente, disse addio a se stessa. Lasciò cadere quella bambola che a lungo l'aveva accompagnata nei suoi giochi, nelle sue innocenti agonie.
di-RB6L

Come fuliggine al vento, la Dottoressa si concesse allora un ultimo sorriso sdentato. Non era mai stata reale, non era mai effettivamente esistita, ed ora che non era più Lia a parlare per lei, parve faticare a trovare qualcosa da dire.
Possono i ricordi avere volontà? Possono le memorie conservare una vita propria?
La donna sospirò, tremante.
" Per ordine del Re sei stato risparmiato fino ad ora. Eri i suoi occhi e le sue orecchie. Eri troppo prezioso per morire prima di essere arrivato qui, nel cuore di Velta" esalò debolmente " Ma cosa credi che accadrà di te quando l'anima di Alexandra sarà stata inghiottita da una ed una soltanto delle due? Chi pensi sarà il prossimo pasto capace di riequilibrare, di nuovo, la bilancia?"
In quella gli occhi della Eitinel oltre lo specchio ebbero un lieve guizzo. La mano che ella aveva teso in direzione di Alexandra ebbe un lieve fremito e dopo qualche istante, lieve movenza, venne spostata di un poco verso l'alto, non più verso di lei ma, viceversa, in direzione di Shakan.
Raccapriccio di suoni, la Torre franò ancora più su se stessa, il baricentro che prendeva irrimediabilmente a spostarsi verso destra.

C'era il Cielo, al di là dello specchio.
E sopra di esso, torreggiante, il Portale.
E negli occhi di Eitinel, per la prima volta, una figura umana.
Per il primo istante,
Shakan.

di-6I2Q

Parve soffermarsi a lungo, intensamente, su di lui, la folle corsa di Lia che sbriciolava di attimo in attimo le fondamenta di Velta.

Non vi è spazio nel cuore di un Dio.
Non esiste pensiero nel suo sguardo onnipotente.
E non c'è realizzazione, non c'è comprensione, se egli è costretto a sostare dinnanzi a ciò che per natura gli è inferiore. All'invisibile oncia del suo Tempo.

Ma Eitinel?
Quanto posto vi era negli occhi di Eitinel?


" Finisci ciò che hai iniziato, Shakan "


furono gli ultimi rantoli della Dottoressa.
E molto più profondo, dall'abisso di un sogno senza fine

" Qual'è il tuo desiderio, Shakan? "


Ed ecco qui, il final Chapter. Ammetto senza vergogna che scriverlo è stata una impresa data la delicatezza del momento e la...ehm..importanza della scena. Descrivere le stanze di Eitinel, il cuore del suo potere è qualcosa di veramente importante per me, diciamo un po' come la realizzazione di un "desiderio di vecchia data". Chiedo scusa per l'enfasi mostrata in alcuni tratti o per l'eccessivo brulicare di aggettivi e frasi e COSE ma è stata dura darmi un freno^___^' Detto questo, passo all'analisi dettagliata.
Ognuno dei tre pg passati a questo ultimo turno ha dovuto lasciare dietro di sè un particolare ricordo bello, importante o almeno gradevole. Lia, che non ha nulla di buono e bello da abbandonare, ha pensato di sacrificare proprio uno di questi 3 pg, quello più simile a lei in quanto a passato, in quanto ad esperienze vissute. La bambina possiede infatti svariate abilità di analisi della memoria-personalità etc con le quali ha potuto a suo piacimento indagare tutti i ricordi ed esperienze che nel corso della quest avete mostrato. Zaide si è mostrato il soggetto più adatto a tale scopo. Al posto che accedere alle stanze, dunque, ella rimane "incastrata" in quel limbo che precede l'ingresso, incapace ad avanzare.
Gli altri due, Alexandra e Shakan riescono a passare avanti ritrovandosi quindi nel regno di Eitinel. Si tratta di una sala apparentemente sterminata i cui contorni tanto del soffitto quanto delle pareti esterne sbiadiscono nel nero. Prendendo come punto centrale la figura di Eitinel distesa su una specie di lastra bianca sopraelevata di qualche centimetro, la stanza è costellata di specchi posti a "cerchio" attorno a lei di modo che ella possa teoricamente guardarli tutti contemporaneamente da dove si trova. Quando parlo di cerchi concentrici non immaginatevi che essi siano posti tutti su ipotetiche "circonferenze" ma viceversa in ordine sparso salvo mantenere comunque una disposizione concentrica. Tali superfici non sono effettivamente di vetro ma viceversa generate dal risalire verso l'alto dell'elemento tenebra che ricopre per intero il pavimento. Si tratta di 3 centimetri massimo. All'interno degli specchi è possibile tanto riflettersi quanto vedere qualunque cosa si desideri: essi infatti danno la possibilità di vedere ovunque vi sia una zona d'ombra dalla quale scrutare. Nel post ho tentato di fare una breve panoramica sul continente Asgradel per dare una minima idea della cosa. All'interno della sala sono ovunque sparsi i capelli di Eitinel apparentemente disseminati senza senso alcuno fra gli specchi. Ovviamente la stanza è protetta da una specie di illusione che tenta strenuamente di mostrare quel luogo come era prima dell'avvento dell'Asgradel e di Lia. Il tetto di Velta è stato infatti sradicato ed Eitinel non è li placida che se ne dorme della grossa. La tenebra disseminata sul pavimento ha però la funzione di "visione del vero", mostra cioè ciò che accade nel mondo di Eitinel, il mondo dei sogni dal quale ella controlla, pur dormendo, la realtà che la circonda. Essa rivela infatti come i capelli della Dama colleghino lei ad ognuno degli specchi presenti in un chiaro ed esplicito contatto indiretto con il reale. Mostra anche Lia e il suo inganno: la Dottoressa è infatti Lia stessa rivestitasi del ricordo della sua creatrice così da avere "affianco" una figura che le voglia bene e la tratti con dolcezza. Per tutta la durata della quest ella è stata accanto ai partecipanti così da assorbirne indisturbata l'energia vitale ( le perdite del 5% e del 10% erano attribuibili a questo).
Si tratta questo di un concetto un po' difficile da spiegare. Lia è la bambina apatica che tutti conosciamo da scheda. Insensibile, indifferente, atona e vuota come una bambola. Eppure il ricordo della Dottoressa e il suo desiderio per l'Asgradel le hanno dato modo di creare un'altra se stessa, un alter-ego vivente che si consideri al contempo cosa a se stante ed effettiva parte di Lia. In poche parole la bambina è al contempo cosciente ed incosciente di essere se stessa la Dottoressa ma vive tale ambivalenza come un effettivo rapporto a due, il solo che le è concesso data la sua condizione. Scusate la spiegazione approssimativa, spero che l'unione di post e spiegazione chiarisca il concettoç__ç

Giunti a questo punto, la debolezza di Eitinel e la forza di Lia si eguagliano, eppure entrambe sono ad un passo dal collassare per lo sforzo. La morte di Alexandra è l'ultima speranza che entrambe hanno per capovolgere in ultimo la situazione. Così, dall'altra parte dello "specchio", esse si muovono simultaneamente per accaparrarsi la sua energia vitale prossimo dallo svanire. Eitinel si "sveglia". Se si vuole parlare di livelli si sonno, diciamo che ora lei è nel dormiveglia, proprio ad un passo dallo svegliarsi. Da questa sua condizione ella riesce a scorgere Shakan con la medesima attenzione con cui, poco prima di addormentarsi o svegliarsi, si possono sentire i rumori poco distanti da noi. Ella sa, per la prima volta, che c'è qualcuno dentro Velta, e tale rivelazione riesce a distrarla dalla Fame provata verso Alexandra. Le parole in bianco sono, appunto, le sue. Il parallelismo con la frase di Lia non è casuale. Tale deja-vu gioca su molti fronti: si tratta di una dimostrazione di potere dell'Asgradel e della sua VERA capacità di esaudire desideri. Si tratta di Eitinel che rievoca il dialogo avuto con il Dio e la sua promessa. Si tratta di una domanda di Eitinel dinnanzi a ciò che accade a Velta e alle parole della Dottoressa.
Dal canto suo, Lia abbandona la Dottoressa per inseguire la vita. Si tratta della prima azione "autonoma" compiuta dalla bambina durante tutto il corso della quest. Le parole della donna e la sua figura prossima allo svanire potrebbero essere classificate come "eco" oppure " immagine residua" essendo appunto lei medesima il frutto di una illusione. Compiendo l'atto di abbandono, consapevolmente o meno, Lia rinuncia al suo unico ricordo "bello". Per la legge del dare per avere Eitinel le rende dunque un altro ricordo. Quello, appunto, di Zaide. Particolare importante che nel post non ho chiarito: l'immagine della vera Lia si trova solo al di là dello specchio. Quando però ella decide di correre in direzione di Alexandra, pian piano la sua immagine appare anche nel mondo reale, eguale tanto nel mondo di sotto quanto in quello vero.

Zaide: Lia ha utilizzato il tuo pg come merce di scambio per entrare nelle stanze di Eitinel. Questo costringe Zaide a rimanere imprigionata nella dimensione del Sogno ( diciamo dell'Oblio) finché la Dama, avendo ottenuto un altro ricordo da Lia, non decide di liberarla. In questa dimensione di dimenticanza sarà possibile vedere tutto ciò che è stato dimenticato nel corso della quest. Liberata, Zaide non si troverà ciononostante dentro Velta: per il breve istante in cui si è trovata in balia di Eitinel, la Dama avrà completamente assorbito il potere della guerriera trasferendola dunque dove tutti gli "scarti" sono stati mandati: fra i predatori di Neiru. Hai la possibilità di scrivere un ultimo post di "commiato" qui o direttamente in "crescendo"

Foxy's Dream: Alexandra viene attaccata da 2 Golem di Ferro facenti parte della "guardia" personale della bimba e rimasti fino ad allora a riposo in attesa del momento propizio. Per tua sfortuna, si tratta di un combattimento molto cruento: ognuno di essi equivale ad una energia Rossa pericolosità C. Si tratta dell'ultima mossa compiuta da Lia per vincere e per, in secondo luogo, ingannare una volta per tutte Shakan. Anche a te lascio la possibilità di descrivere l'atto finale della quest con il degno commiato.

Chiarificato questo ( che fatica, scusate...) ecco come stanno le cose:
I due Golem di ferro, dopo aver finito con Alexandra si dirigono in direzione di Shakan con l'idea di far subire a lui la medesima sorte. L'idea di Lia era quella di far pensare a quest'ultimo di essere "l'eletto", ma alla fine la Fame è decisamente troppa e l'istinto ha la meglio. E' possibile tanto evitare l'attacco dei due quanto affrontarlo, scelta libera dettata dai tempi.
Lia sta correndo a perdifiato in direzione di Alexandra. Per coerenza di posizione, è come se si stesse dirigendo proprio verso Shakan. Ella è così debole che un semplice colpo di spada potrebbe finirla.
Eitinel tende la mano verso Shakan. Cedere alla richiesta significa raggiungere Eitinel nel mondo del sogno, ossia lasciare che ella si appropri dell'energia vitale del guerriero PRIMA di LIa, così da poterla battere sul tempo. Fare questo vuol dire rinunciare veramente alla propria vita in cambio di un desiderio che Eitinel concederà a Shakan. Diversamente da quanto fatto da Lia, però, non si tratterà di una sola illusione ma di qualcosa di vero e autentico. Ti pregherei, come già fatto, di scrivermi un mp nel caso decidessi per questa opzione.^____^
Dalla sponda opposta, è anche possibile uccidere Eitinel ora che si trova in tale stato o egualmente unirsi alla causa di Lia "prendendola" a sé e lasciando che ella si impossessi completamente dell'energia di Shakan.

Lascio a Janz il tempo che più desidera per postare. Per eventuali post di Foxy e Zaide è sufficiente che vi atteniate ai 4 giorni dall'ultima risposta. Avvertitemi in confronto se intendete rispondere.


Ufficializzo che il vincitore della Quest è Janz. Come da regolamento, la squadra che passa il turno è Sic Volvere Parcas


 
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view post Posted on 28/7/2011, 15:01
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L'ultimo sogno
Valzer Al Crepuscolo
II Turno
Epilogo

























Sibila nell'orizzonte del pensiero.
Sguazza, in un limbo laconico e dissonante, la purezza di una mente assopita.
Veglia appena, a metà tra sogno e realtà, in quel frangente di candore ove ogni pensiero non è filtrato,
ma si staglia candido, lento, in una mente che riprende a destreggiarsi tra le empietà, senza la forza o la potenza
di un giudizio critico che non ha avuto ancora modo, o tempo per imporsi.

E' la mente di chi si risveglia.
E' il ricordo di uno sguardo ancora assopito.
Laddove non è possibile pensare e ragionare da lucidi,
il mondo appare costruito da concetti semplici, qualificabili entro categorie chiuse.

Giusto o sbagliato.
Bene o male
Vita o morte.

Qui la morte fa più paura.
E la vita è il dono più prezioso: sono sveglio, sono reale.

Sono v i v o.
Ancora.

Qui avrei rivisto me stesso.
Qui avrei rimesso in discussione la mia vita, ignaro delle conseguenze.
Ma fermo nelle mie dicisoni.
Qui tutto sarebbe ricominciato, un'altra volta.


Incosciente di quanti passi realmente potessi donare al mio cammino, avanzai con la grazia di un nobile astante, accompagnato dalla sua pregiata dama. Mi sembrava di non sentir più la mano di lei, non più stretto in una morsa che avrebbe donato la goffa possanza di una coppia di saltimbanchi che avanzavano a stento tra le intricate trame di un percorso che segnava nuovamente il loro destino. Eppur sicuri: legati l'uno all'altro, chiusi nell'incolumità del loro reciproco sostegno. Mai più soli.
Volevo: speravo. Speravo che ella fosse al mio fianco, che la solitudine mai più avrebbe accompagnato il mio cammino, fermo di un'anima pia che si era degnata di alleviare il dolore del mio isolamento.

Imperatrice...
...eri ancora con me?
Il mio cuore lo sperava:
il mio polso non poteva darmi conferma.

Qualcosa già mancava.
Qualcuno, invero. Nel mentre che i nostri animi divenivano uno con il turbinio ingordo e confuso della stanza della Dama, sentivo - capivo - che qualcuno non aveva avuto accesso. Rinchiusa in un limbo contorto, o - più probabilmente - sacrificata alla volontà meschina della piccola Lia, la donna che aveva levato la mano su di me non era giunta: non aveva accompagnato il nostro destino. Ella, come gli altri, era caduta prima di conoscere la sommità di Velta.

Meschino.
Destino meschino.
Potevo rinfrancarmi di ciò?
Un'altra anima sacrificata alla causa.
Poteva dirsi - realmente - un successo?

Non per me, non poteva.
Quante anime sarebbe ancora costato tutto quello? Invero, anche la mia: e quella dell'imperatrice. Nel mentre posavo il passo nell'ultima stanza e ne districavo la confusa coscienziosità, comprendevo che nessuno si sarebbe sottratto alla volontà di Lia, o a quella di Eitinel. Nessuno sarebbe rimasto intatto innanzi a quella spietata lotta di sussurri, nemmeno il cuore o l'animo dei più forti. Non c'era scampo per la nostra pura animosità: non c'era destino che non sarebbe scoscieso rapido verso la destinazione ultima di quel racconto non ancora terminato. Le ultime bianche pagine si sarebbero macchiate del nero pece del nostro sangue.
Ed in esso avemmo intinto la penna del nuovo destino del mondo.

" Non vedete? Non capite?
La vostra Eitinel non vi vuole."


Col nostro nero sangue.

Svegliati Eitinel!
E' davvero questo che
d e s i d e r i ?


Sibilavo in quell'aria malsana, la paura di uno scolaretto.
La volontà che lei - deus ex machina - sarebbe giunta volando sui nostri cuori per vegliare su di una salvezza prossima al miracolo. Miracolosa eroicità: nient'altro che storia da romanzo. Forse non sarebbe giunta mai: non avrebbe mai sognato o volato sulla nostra salvezza. Forse ero tanto disperato per quella fine inevitabile, che affidavo il mio cuore a fanciullesche speranze, ignaro della volontà della dama, della natura dei suoi sogni e del destino che ne avrebbe tessuto le trame.

Invero, però, comprendevo Lia. Nell'udir la dottoressa, rimiravo le ansiogene patologie dell'infante: miravo della sua libertà, di quel desiderio corrotto di autonomia e maturità che ne aveva fatto artefice di illusioni proprie, di una madre che mai aveva avuto o avrebbe avuto. Si era plasmata un cuore da seguire per quel desiderio stesso - innato ed inarrestabile - di fregiarsi dell'affetto di qualcuno, di parlare con qualcuno, di esteriorizzare le proprie paure e macchinarsi artificiosamente la comprensione di se stessa. Liberarsi da quelle catene fatte di rimorsi, con la forza dell'auto-consapevolezza di se e dell'immedesimazione di quel desiderio di rivalsa troppo grande e troppo forte per tenerlo dentro.

Aveva sentito il bisogno di esteriorizzarlo.
Di donargli corpo ed anima, per poterlo discernere con qualcun'altro.
Seppur falso: seppur fittizzio. Seppur nient'altro che un'illusione creata da se stessa.
Mi faceva pena, la piccola Lia.

"Ray ti ringrazia, Shakan...
Mai occhi furono più preziosi dei tuoi...
Nessuno aveva mai varcato le stanze di Eitinel. Nessuno aveva mai veduto le prodezze del suo incanto.
"Ora, per cortesia, ti prega di finire il lavoro"


Mi faceva pena, anche nell'attimo in cui rivelava l'inganno. L'ennesimo inganno.
Ella vomitava su di me le colpe della mia ignoranza: si fregiava di divenir potatrice di quel colpevole scherno, quasi discolpandosi che tutto quello fosse stata colpa sua. Quasi rifiutando la responsabilità di una schiavitù che l'aveva resa arma di distruzione, nonostante fosse solo una bambina. Povera Lia: aveva bisogno di sapere che non era stata lei, ma I O a servire il Re. Aveva bisogno di sapere che la sua vita non era divenuta strumentale ad un servilismo abietto ed incosciente, ma che altri avevano asservito quel compito, salvandola da quel destino infame: lasciandola messaggero di distruzione, ma non protagonista, donandole - in quella funzione più compassata, da semplice comparsa - una qualche parvenza di autocoscienza, di autonomia. Di libertà.
Mentendo a se stessa, probabilmente.

Lia mentiva a se stessa.
Ella era colpevole quanto me, invero.
Ed il dolore per tanto servilismo, forse, non l'avrebbe mai lasciata.


Eppure non potevo ignorare.
L'ennesimo inganno, l'ennesimo strumento. L'avevo portato con me, sin dall'inizio: aveva visto con me quelle mura tremare, quelle genti morire. Avevo asservito a dovere il compito di schiavo, araldo della sua volontà, inglobandolo nel mio animo e trascinandolo da Santa Madre Nuova, fino alla sommità di Velta. L'avevo condotto ove mai sarebbe dovuto giungere.
E mi aveva ingannato, ancora una volta.
Ray era stato sempre con me.

« Guardami Ray - guardami, visto che puoi... »

Fissai gli specchi.
Fissai la luccicanza di quelle visioni oblunghe mirando il mio volto segnato e sperando di scorgervi quel frangente del mio animo, quel tassello più nero di qualunque altro, quell'angolo ancor più buio dove la coscienza del sovrano si era insidiata. Parlando a lui, parlando a Lia. Parlando ad Eitinel, parlando a tutti: ma, sopratutto, parlando a me stesso.

« Guarda la fonte del tuo successo.
L'inganno ultimo che non ho saputo scoprire.
Ti ho portato qui, ti ho portato con me, vivendo e mirando
la cosciente e placida trucidità del tuo volger panteistico.
»

Racchiusi nelle mani il sangue misto di marciume che mi scorreva sul corpo.
Scorgendo in esso, vi vidi le lacrime della torre intera: di chi vi era morto quella notte,
e dell'imperatrice che - per qualche ragione - mi parve di scorgere spaventata e affranta.
Benché, probabilmente, non fosse affatto così.
Era uno stillicidio fatto di inganni.
E saremmo morti tutti.
Avrebbe vinto lui.

« Solo ora comprendo che ti ho asservito senza volerlo.
Ti ho condotto qui, dove volevo giungere, illudendomi che avrei potuto contrastare
la volontà del Leviatano, fuggendo lontano da lui, agendo fuori dal suo sguardo...
»

Non fu difficile comprendere.
Comprendere che tutto crollava intorno a me: che le guardie di Lia scorrevano verso di me, e che la bambina faceva altrettanto.
Che la fame loro e dei loro vizi avrebbe posto fine a tutto, molto presto.
E che io, avevo fallito.

« ...ma io ho fallito.
Non si può sconfiggere il Leviatano.
Sono costretto ad arrendermi: a finire ciò che ho iniziato...
»

Vidi i colossi di pietra giungere verso di noi, Lia seguire.
Scorsi il volto atterrito dell'Imperatrice, o che così mi parve: e compresi e capii che sarebbe finita così.
Come quella notte: come a Lithien. Il volto e le mani putrefatte di intere popolazioni che squadravo morte e moribonde, cosciente che si fossero infettate col mio peccato, con la mia malattia. La malattia con cui la mia mano li aveva condannati. E che non avevo potuto salvare.
A Velta, come a Lithien, avevo condotto il peccato, insinuandolo in ciò che mi era più caro. Agendo incosciente, mirando impotente l'avanzata di quel male sotteso, che si era manifestato roboando nel vento ed echeggiando di rimando alla mia impotenza.
Sguazzando nella mia incapacità di reagire.

Vidi l'occhio languido dell'Imperatrice.
Lo vidi rimirare quello dei bambini di Lithien.
Di quelle infanzie strappate all'innocenza: vittime di una corruzione che non era
a loro imputabile, ma che ne aveva impedito la coscienza lucida.
E che sarebbero morti lì, prim'ancora di capirne il motivo.

No, non poteva andare di nuovo così.
Non potevo macchiarmi di altrettanta colpa.
Non di nuovo.

png

« Perdonami, Imperatrice.
Un giorno spero tu mi perdonerai: quando ci rivedremo, nell'inferno dei peccatori.
Lì, ancora una volta, implorerò il tuo perdono.
»

Piansi.
Piansi implorando il perdono di lei, mentre l'abbandonavo.
Per una causa più giusta: per un bene superiore.

« Ti prego, perdonami.
E non dimenticarti di me...
»

Piangevo come un infante, nel mentre che il mio corpo scompariva. Divenendo nient'altro che traslucida materia: trasparente inconsistenza, e scomparendo nell'oscurità del pavimento che mi avrebbe permesso di scomparire per qualche attimo, di fuggire - ancora una volta. Al mio posto, invero, creai l'illusione di me: un corpo fermo, immobile. Un'immagine costante: uno scherzo dell'occhio che avrebbe ingannato i golem, Lia. E tutti, meno che Ray.
Ray avrebbe capito, avrebbe compreso.

Ma, per una volta, non avrebbe potuto farci un cazzo di niente.

Raggiunsi la dama sopita.
Raggiunsi l'unica speranza che ancora regnava, da qualche parte del mondo. Da qualche parte del mio animo.
Perché non avrebbe potuto essere diversamente: perché Lithien, il regno ed il mondo covavano ancora il desiderio di rivalsa, di libertà e di umanità che non si sarebbe sopito mai, così come la causa dei giusti - non fino a quando ci fosse stato anche un solo s t u p i d o a lottare per essa. Fissai il suo volto addormentato, la sua pelle immobile ed il rantolio dei suoi pensieri discernere nell'oscurità di quella stanza e disegnare le visioni del mondo, le illusioni del creato e l'astratta artificiosità di una concupiscenza che stentava a definirsi tale.
Incomprensibile ed inamovibile, per chiunque che non fosse stato lei.
Colei che la dominava: che la generava.

In quel volto, sperai di vedervi la speranza.
La possibilità che quell'ultima scintilla non si fosse ancora spenta.
E mossi il cuore, l'animo e tutto me stesso per costringerla a fare un passo, un passo in più.
Una movenza in più. Quell'attimo che mi avrebbe dischiuso il mondo.

Principessa.
Principessa... uno sforzo in più.
Guardami, principessa.


Ed in quell'attimo fatato lo vidi.
Il luccichio vibrante: la sottila linea biancha che si dischiude.
Le palpebre che sfuggono all'immobilità e lasciano traspirare una candida luce.
Il chiarore che filtra tra le assi un tempo serrate.
L'occhio che si apre appena.

A metà, tra il sogno e la veglia, ella forse mi scorgeva.
Mi vedeva.

" Qual'è il tuo desiderio, Shakan? "

Uccidere.
Ovviamente.


png

Uccidere l'empietà.
Uccidere Lithien ed il peccato che fu.
Dare pace alle anime perdute di Lithien, la Bella: sepoltura e ricordo alle anime che condannai quella notte.
Ed insieme a Lithien, dare pace all'umanità intera: alle vittime del Regno e del peccato.
Donare al mondo la serenità che non ha mai conosciuto.

Per me stesso, prima di tutto.
Per ciò che sono stato e che ho fatto.
Per tutto ciò di cui mi sono macchiato: per ripagare ogni prezzo.

Kresiler.
Perdonami: posa un fiore sulla tomba di ciascuno.
Dona loro la serenità e ricordami come ciò che sono stato.
Lucian, un peccatore: ma un peccatore buono, pentito.
Ricordati di me. Non farmi morire solo.
Non lasciarmi solo, nei tuoi pensieri.

Ray.
Il re che non perde mai.
Mi hai ingannato. Mi hai dischiuso la tua vendetta.
Verso un mondo che - forse - non ti ha mai capito.
Per una volta, però, non hai vinto. Hai perso, Ray.
Mi hai portato qui, innanzi al volere divino. Mi hai condotto esattamente dove volevo.
Forse, invero, ho la presunzione di pensarlo: ti ho ingannato io, questa volta.

« Sai ciò che voglio, Dama.
Donami la forza, te ne prego.
»

Serrai le labbra, quasi ingoiando le mie parole, fermato più dal rimorso, che dalla paura. Dal ricordo di ciò che ero stato e che lentamente perdevo, abbracciando l'unica speranza del mondo - e del mio animo - di trovare quiete.

« Donami la potenza.
Di salvare Lithien, di salvare il regno. Di salvare il mondo.
Di salvare tutti dal rimorso, dal rancore di un peccato che non si esaurirà mai.

Perché la distruzione sguazza nel desiderio inarrestabile di non fermarsi mai a pensare:
non fermarsi, per non vincersi dall'amarezza di un risentimento che non avrà mai fine.
E che non si nutre di altro che dell'odio stesso, in realtà.
Dammi la forza e la potenza, Dama.

Dammi il potere per fermare Ray
»

Lasciai che la stanchezza esaurisse i miei ultimi passi.
Distogliendomi da ogni pensiero, da ogni paura, mi abbandonai all'abbraccio del nulla.
Alle calde voluttà della Dama, sperando di ritrovarvi la serenità che solo l'oblio poteva donarvi.
Nel mio viaggio ingnoto vagai nel vento, squadrando e scorgendo Shakan da lontano - ancora una volta.
Con la sua imperfezione, con la sua umanità. E vedendo la dama come mai l'avevo vista, prima d'ora.
Corrotta, maledetta da un potere oscuro che la consumava, dischiusa in una verità che aveva nascosto dentro di se,
fino a quel momento.

Avevo pietà anche di lei, ora.
Come di me stesso.

Ma ancor di più trovavo la forza delle mie convinzioni.
E nelle lacrime violai l'infinito per pochi secondi: mi parve di sentire qualcosa tra le mani.
Una vecchia lama, un vecchio ricordo: una spada senza lodi che avevo rubato chissà dove.
La vidi corrompersi della mia dannazione, assorbendo lodi e peccati di quel frangente.
Ma anche di tutta la mia storia, con i rancori e le sconfitte della mia vita di stenti.
Ma la vidi bagnarsi anche del potere ignoto di ciò con cui mi confrontavo.
E la sentii addivenire a me stessa, come appendice della mia anima.
Simbolo del mio rancore e della mia cupidigia.
Mi avrebbe accompagnato, ora.
Nel mio ultimo viaggio.


Votato all'infinito.
Scomparso nell'oblio di un sogno che non avrei mai più lasciato.
Qui finiva, la mia esistenza: la mia libertà, corrotta dalla paura.
Qui finiva la mia fuga: qui morivo io.
Moriva Shakan Anter Deius.

O ciò che tutti sapevano di lui.
E di ciò che era stato.



ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%



drowm11

Del Fisico: Cicatrici sparse sulle braccia, 3 tagli sul braccio sinistro, 1 taglio leggerissimo al collo, 1 morso non profondo all'avambraccio sinistro (Medio, 88,50%).
Del Psichico: Confuso, preoccupato. Poi, di nuovo più calmo, seppur ancora teso. (Alto, 77,00).
Dell'Energia: 24% - 9% 6% - 9% 4% = 14%

Delle Attive:

CITAZIONE
"...è strati di spirito". Gli strati di uno spirito sono nulli, rendendo vano ogni tentativo di afferrarli. Assumendo la consistenza di uno spirito, Shakan è in grado di annullare la sua costituzione fisica, pur se nulla sembrerà alla vista. Sotto questa forma, Shakan sarà intangibile al tatto e qualunque corpo fisico lo attraverserà come se non esistesse, formando, nel punto toccato, un sottile strato traslucido, proprio come se si attraversasse uno spettro. Inoltre, se nascosto nelle ombre, lontano dalla luce, il corpo di Shakan diverrà invisibile. Tale invisibilità avrà la stessa potenza di una teck passiva, contrastabile con opportune tecniche di livello più alto. Pur non potendo esser colpito, a Shakan sarà anche impossibile colpire fisicamente: solo le tecniche funzioneranno normalmente. Il movimento non subirà effetti particolari. La tecnica può durare fino a per tre turni, compreso quello d'attivazione, terminando alla fine del terzo turno o prima, se Shakan lo desidera. [Pergamena da necromante "Corpo d'Ombra", Gialla, Attiva, consumo Medio]

CITAZIONE
"...plasma la realtà". L'illusioni di Shakan sono tanto potenti da poter modificare l'ambiente circostante. La mutazione non sarà reale, bensì sarà un'illusione ambientale (un'immagine, quindi, e non una tecnica psionica - bensì magica), che si estenderè per un'area di 30 metri di raggio. Considerata la notevole potenza, l'illusione potrà essere lanciata una volta sola, ma durerà fino alla fine del combattimento. L'illusione potrà variare in ogni ambito, ma dovrà essere necessariamente fissa e non potrà impedire la vista all'avversario con tenebre o fitte nebbie. Potrà nascondere un dirupo, oppure mostrare falsi ripari. L'illusione colpisce tutte le persone presenti sul campo di battaglia, in quanto agisce su di esso e non sulle loro menti. Questo tipo di illusione inganna il senso della vista, dell'olfatto e dell'udito, ma non quello del tatto. Solo Shakan sarà in grado di percepire le vere realtà dell'ambiente mutato, mentre gli avversari dovranno necessariamente possedere una tecnica apposta per poter sciogliere questo incanto. Venire a conoscenza di essere al centro di una illusione non la spezza. [II livello del Dominio, Attiva, consumo Medio]

Delle Passive:

La Solitudine... (razziale): difesa psionica passiva
L'Illusione mi scorre nelle vene (dominio I): illusioni castate senza vincoli fisici né concentrazione;
L'Illusione è parte di me (dominio II): illusioni scontate del 5%, ma mai sotto l'1%;
L'Illusione non ha ostacoli: (personale) illusioni non riconoscibili con abilità passive;
Il Potere mi ha corrotto (personale di metagame): permette di usare abilità necromante;
Il Fantasma li rende eterni (personale): le evocazioni sono intangibili e immuni ad attacchi fisici;
Anello del Potere: consumi ridotti di 3%, ma mai sotto l'1%, non cumilabile col risparmio delle illusioni;
L'Abiezione... (personale): ammaliamento psionico passivo, induce terrore nei presenti;
L'Eredità della memoria (Passiva): Shakan può plasmare liberamente le proprie memorie;

Delle Armi:

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli estratti;
Frusta: legata alla cintura

Del Riassunto:

Shakan usa la pergamena corpo d'ombra per divenire intangibile ed invisibile se nascosto nell'ombra, e praticamente striscia nelle tenerbre di cui è composto il pavimento della stanza di Eitinel, confondendo i golem creando un'immagine magica di se stesso immobile accanto ad Alexandra. E' un artificio per sfuggire ai due ed a Lia, andare da Eitinel e tentare di svegliarla.

Delle Note:

1) Shakan capisce tutto di Lia e si confronta con lei, sentendola vicina in quanto strumento nella mani del Re, esattamente come lui e come trova la conferma in quei momenti. Però ha pietà per la bambina: percepisce il suo desiderio di sbattergli in faccia l'inganno di Ray come la voglia di Lia di "discolparsi" di tutto, come se dicesse a Shakan "sei tu lo strumento, non io". Tutto questo crea sconforto in Shakan che, in un primo momento, quasi si autoconvince di essere davvero uno strumento di Ray e che quindi l'unico suo destino è di attuare la sua volontà.
2) Poi, però, si fa smuovere dal ricordo di Lithien e di Kresiler: dal suo passato, e dal fatto che già una volta si è "arreso all'inganno altrui". Questo gli ricorda perchè è giunto lì e che ormai manca solo un passo: quindi tenta di svegliare Eitinel e, una volta sentita la richiesta di lei, esprime l'unico desiderio che può esprimere: quello che lo muove sin dall'inizio del Valzer.
3) Shakan, dopo aver compreso il suo destino, sente che "potrebbe non tornare più", anche se è solo una sensazione dettata dal momento. Per questo si congeda da Alexandra, che rappresenta - in questo senso - tutto il sacrificio fatto per raggiungere lo scopo, e piange perché è costretto ad abbandonarla ai due golem (e, quindi, alla morte - nella sua convinzione).
4) Magari non sembra, ma ho evitato di dilungare troppo un post che - volendo - avrebbe potuto commistionare ancora più emozioni di quanto non abbia fatto. Il tentativo, però, è di non appesantire troppo un flusso emozionale che è giunto veramente al suo culmine già prima di questa ultima battuta, e che mi sono voluto limitare a sottolineare. Spero venga apprezzato, questo tentativo: in caso contrario, mi scuso.
5) Questo è il mio post di congedo dal secondo turno del valzer. Un'esperienza unica, quantomeno: spero sia all'altezza di quanto scritto da Eitinel, Alxandra, Zaide, Shivian, Kactuar e Goth. Spero di avervi dimostrato un minimo di tutto quello che voi avete dimostrato a me con i vostri bellissimi scritti, io ci ho messo credo tutto me stesso, questa volta. Non so bene le conseguenze che seguiranno a Shakan dopo tutto questo, però ho voluto omaggiare il "nuovo Shakan" con qualche riferimento a Cupiditas (e, in questo, omaggiare Andre per il suo splendido lavoro). Grazie a tutti: vi voglio bene. E si, quando si diventa vecchi, si diventa più sensibili e ci si commuove più facilmente >_>
 
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view post Posted on 30/7/2011, 22:35

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Il tempo dei sogni non coincide mai con quello, inevitabile e perfetto nella sua ossessiva staticità, della realtà.

Non ha confini, non ha regole.

Vive e pulsa di vita propria come una farfalla impazzita in balia del vento, pronta a posarsi sul primo fiore disposto ad accoglierla tra i suoi petali candidi.
Per quello che ci pare un lasso di tempo infinito e interminabile preghiamo con tutte le nostre forze che il vento cessi, frastornati dall’incomprensione e dalla paura di cadere.

Imploriamo noi stessi di essere forti, di resistere alla furia degli elementi come se la nostra fragilità umana potesse contrastare l’ineluttabilità dell’uragano. Siamo foglie secche sospese nel vuoto e ci illudiamo di poter controllare la nostra via.

E quando finalmente il vento si posa, crediamo, limitati e ciechi, di poter riprendere il cammino sulle nostre gambe, sciocchi e certi della nostra capacità di determinare il nostro destino. Ma il fiore bianco che ci ha dato asilo sprigiona ben presto il suo veleno, e ci lusinga, e ci tenta con le dolci promesse del suo profumo. E ci invischia e ci intrappola.

E lentamente ci divora.




Il mondo era cambiato. Di nuovo.
Non esisteva più: o forse non era mai esistito.

Esisteva da qualche altra parte, Zaide la avvertiva, una dimensione concreta e conosciuta, un mondo di cui una remota voce della sua coscienza sapeva di aver fatto parte una volta. Era lì, a pochi passi di distanza eppure lontana e irraggiungibile. Straniera.
Zaide percepiva il mondo esterno come dall’altra parte di una cascata: forme indistinte si muovevano senza scopo, suoni e rumori non varcavano la barriera di perla che sembrava avvolgerla.

Pace.

Qualunque cosa fosse accaduta, la giovane si sentiva pervasa da un indicibile senso di quiete profonda che la distaccava da tutto ciò che sembrava esserle accaduto in un passato dimenticato, o forse ieri, o forse un’ora prima: la beata sensazione di serenità ovattata che le avvolgeva la mente era troppo rigenerante per poter pensare di barattarla con una qualsiasi presa di coscienza.
Non ne valeva la pena.

Zaide si mosse lentamente, come se temesse di disturbare quell’oasi di nulla che la circondava, ma nulla accadde: era vagamente conscia di essere stranamente intatta e pulita, e nuda. Nessuna goccia di sangue sporcava il candore immacolato della sua pelle.
E poi qualcosa iniziò ad emergere dal nulla.
Niente più che vaghe forme lontane, indefinite come lacrime lattiginose che si plasmavano nell’infinita luce biancastra di quello spazio incerto.

A mano a mano che si infittivano, sembrava anche espandersi a vista d’occhio l’orizzonte visibile: una vallata sconfinata si dipanava sotto i suoi occhi increduli, e forse un villaggio. E poi il fumo, volute di fumo bianco come il cielo che sfilavano rapide verso l’infinito, creando giochi di luce e ombre mai visti nel mondo reale. Erano fiamme quelle?
Da una distanza incalcolabile, e allo stesso tempo così vicina da aver la sensazione di poter toccare quelle case, Zaide assisteva all’inconfondibile eccidio di un popolo: un regno veniva distrutto e voci disperate echeggiavano nel silenzio in un’impossibile richiesta d’aiuto.

La ragazza non era turbata.
Ciò che accadeva era così irreale da non riuscire a scalfire l’ovattata sensazione di pace che la avvolgeva. Quelle case erano state distrutte forse tanto tempo prima, e quella che Zaide vedeva era l’eco che si sarebbe protratta in eterno di tale catastrofe.
E poi dalle macerie emerse una figura slanciata, apparentemente indifferente alla distruzione che la circondava. Camminava eterea, i capelli chiari morbidamente sciolti sulle spalle nude, senza una meta apparente, come se non fosse nemmeno consapevole di trovarsi lì.

Zaide colse fugacemente il suo sguardo, avvicinandosi con cautela a quella donna bellissima che tuttavia non le ricordava nessuno in particolare: i suoi occhi erano indubitabilmente vivi e ardenti, ma risplendevano in un altro mondo. Assenti. Persi. Dimenticati.

– Aspetta! – Zaide gridò, cercando di richiamarne l’attenzione: non aveva paura, ma non voleva rimanere sola.
Non di nuovo.

La figura si fermò, ma non diede mostra di volersi accostare. E poi il suo viso sembrò colto da un lieve spasimo e i dolci lineamenti presero a deformarsi in una maschera inquietante: con un tuffo al cuore la giovane riconobbe Hocrag, ma non osò fare un altro passo. Non era morto? E soprattutto, non aveva cercato di ucciderli tutti solo pochi istanti prima?

Aggrottò la fronte.

Lei non era morta, non aveva senso che quella fosse l’anticamera dell’inferno come per un istante aveva temuto: un’illusione allora? La sua mente lavorava febbricitante. Fino a un attimo prima, la pace serafica di quel luogo fatto di nulla l’aveva accolta come in un abbraccio materno, ma ora quella stessa incertezza la logorava.

– Ben arrivata.

La sua voce.

Non era possibile: lui era morto…Morto davvero.
L’aveva ucciso lei stessa.

Vincendo il raccapriccio Zaide alzò lo sguardo verso la figura che era stata la donna sconosciuta e poi Hocrag, e che ora avanzava sorridendo verso di lei. Non era ferito, né deforme. Era il solito Shivian, solo più etereo e, inspiegabilmente, più umano del solito.
La giovane rimase impietrita dov’era, lo stupore che si mescolava alle mille domande della sua testa.

– Dove siamo? – gli sussurrò con voce roca. – Siamo…morti?

Ormai Shivian era a un passo da lei. Uno strano alone perlaceo riluceva come una patina argentea sulla sua pelle nuda ma Zaide non provò il desiderio di toccarlo: era tutto così inquietante, irreale. Onirico.
Seguì con lo sguardo la sua mano protesa nel cielo, l’indice puntato verso qualcosa che pareva galleggiare nell’aria biancastra. Una mongolfiera forse…oppure…Per un istante l’immagine vivida della nave sospesa sul deserto dell’Akerat invase la mente della ragazza, togliendole il respiro. La Purgatory era lì e l’aspettava. Il cuore improvvisamente gonfio di incredula gioia, sbirciò di traverso Shivian per cercare di coglierne l’espressione, ma il suo viso era un’impenetrabile maschera di indifferenza. Come sempre.

– Allora…torniamo a casa? – mormorò la ragazza.

Da quanto tempo non provava questa sensazione? Il calore accogliente e rassicurante che le invadeva l’animo al solo pensiero di poter chiamare casa quel ferro volante la ripagava di tutte le sofferenze patite, che ora non erano altro che ricordi già sbiaditi dal tempo.
Allungò la mano per toccare le dita di Shivian, per avviarsi insieme alla fine di quell’estenuante avventura, e sentì immediatamente sotto la pelle una scossa violenta che gliela fece ritrarre immediatamente.

E poi, solo buio.

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Il fiume del Fato conosce il proprio Destino.
Traccia con dita sottili il diabolico sentiero della sua esistenza ed infine marcia.
Instancabile.
Inarrestabile.
Verso la propria meta.

Mi trascinavo senza forze eppure senza fatica, come un fantoccio animato dalla volontà di un negromante senza scrupoli, assieme agli altri.
Non sapevo chi fossero gli altri.
Ricordavo a malapena chi fossi io.

Potevo vedere le mie gambe muoversi e mettere un piede davanti all’altro, ritmando un ignoto cammino.

Potevo vedere le mie braccia coperte di graffi dondolare inerti accanto ai fianchi.

Potevo vedere le mie mani incrostate di sangue, segno tangibile della catastrofe che avevo tentato di sfidare e che mi si era rivoltata contro.

Sapevo anche che da qualche parte nella mia coscienza ero riuscita a trovare dei perché a tutto ciò che mi stava accadendo. Solo che non riuscivo a ricordare quali fossero.
Brandelli di memoria e sensazioni contrastanti si agitavano nel mio animo vorticando senza senso in una confusa sequela di eventi ignoti e incomprensibili.

Accanto a me camminava un uomo. O meglio, quello che un tempo era stato un uomo.

Un’altra marionetta senza fili e senza volontà trascinata verso la morte da un canto ammaliante, l’ennesimo fiore dal profumo irresistibile che ci avrebbe finalmente catturati tra i suoi petali e divorati senza scampo.
Ma che importava?

Ero solo un relitto umano senza storia e senza futuro: ero disposta a giocare su qualunque. E a giudicare da ciò che vedevo, noi eravamo le pedine piccole, le prime ad essere sacrificate nel gioco senza pietà di dei senza anima.







Zaide

Rec [ 250 ] AeV [ 225 ] PeRf [ 125 ] PeRm [ 450 ] CaeM [ 225 ]

[c. 33%; a. 15%; m. 6%; b. 2%]



Ed eccomi alla fine! Niente da aggiungere al post, come da copione Zaide si ritrova nel limbo in cui l'ha gettata Lia dopo averle succhiato il ricord: lì assiste a una sorta di eco, il "ricordo" appunto, della distruzione del regno di Alexandra e della madre di Shakan senza sapere ovviamente di che si tratti, dopodichè rivede Hocrag e Shivian; in-game, Zaide non è al corrente della spiegazione degli eventi (con la rimozione della memoria riguardante il Goryo, ho voluto immaginare che se ne vada anche una parte di consapevolezza legata agli ultimi fatti), e infatti non ho inserito considerazioni o riflessioni su quanto accaduto. Sballottata dagli eventi, vive ciò che le accade momento dopo momento, riservandomi di darle maggiore consapevolezza sull'accaduto in eventuali future giocate.

Non posso che ringraziare Eitinel per la quest magistrale, davvero un capolavoro di narrativa e suspence, spero di avere di nuovo l'onore di partecipare alle prossime giocate! Vivissimi complimenti a tutti i partecipanti, Goth, Shivian, Janz, Foxy, Kactuar: confrontarmi con voi è stata un'esperienza fantastica che mi ha invogliato a scrivere al mio meglio ad ogni turno.

Alla prossima!!!





 
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view post Posted on 1/8/2011, 10:06
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La mia piccola Lia.
Il mio tesoro, la mia adorata stellina.

La mia bambina.

C'era del nero negli occhi della Dottoressa. Una traccia di polvere, un rimasuglio di sporco. Uno sbavo di quella sua iride pallida, grigiastra.
Una traccia di fuliggine mentre il mondo nascosto all'interno del suo sguardo bruciava lentamente, inesorabilmente. Socchiuse le palpebre un istante, la stanchezza e il dolore che sopraggiungevano ancora rigandole la guancia di una tiepida lacrima corvina, crepa infima su di un volto ormai sfinito, oramai esangue.

La mia dolce, dolce, bambina.
Così piccola, così fragile, così bella.
E delicata, come fiore appena sbocciato dalla neve.


Le mancava il fiato, un lungo e rasposo ansito che la costringeva a tremare a tratti, incontrollabile annaspare di un corpo spezzato, distrutto.
E' questa la fine che fanno i sogni? La fine dei ricordi più belli, delle memorie più care?
E' questa, forse, la mia fine?

Lontano dagli occhi di Lia, lontano dalla sua forza e dalla sua giovinezza, ormai la Dottoressa pareva poca cosa. Straccio fastidioso disteso li, proprio ad un soffio da Eitinel, Dea così vicina e nonostante tutto ancora troppo lontana, ancora troppo Bella per poter concedere la propria mano distesa, molle, ad una come lei.
Deglutì a vuoto, dolorante, una nuova nera lacrima che le rigava il volto proprio mentre i passi di Lia, sempre più distanti, sorpassavano in un soffio quelli di Shakan. Esitò, la flebile speranza di sentire la figura del guerriero voltarsi in direzione della bimba che la faceva quasi rabbrividire. Poi socchiuse ancora le palpebre, una traccia dell'antica ironia che le addolciva di poco il volto giallastro.
Che sciocca. Lui non l'avrebbe seguita. Mai Shakan avrebbe seguito Lia. Mai. Quell'uomo dall'anima di ghiaccio mai si sarebbe abbassato a correre dietro ad una fanciulla per ucciderla così, con un colpo di spada alle spalle come compete a briganti e codardi. Certo che no. Se avesse potuto, certamente, si sarebbe messa a ridere. Non l'uomo capace di varcare le soglie di Velta. Non il guerriero disposto in ultimo ad abbandonare ogni cosa pur di giungere infine li, nell'occhio del ciclone, proprio nelle stanze della Dama.Che sciocca.
Mentre gli occhi di Eitinel si schiudevano per la prima volta e al lei non rimaneva altro da fare se non ammirarli per l'ultima, non potè che domandarsi, suo malgrado
Ray avrebbe capito? Ray avrebbe perdonato?
C'erano così tante ombre negli occhi della Dama. Così tante Ombre scure, remote, dense spirali di tenebra capaci di rubare tutta la lucentezza a quel suo viso altrimenti tanto bello, altrimenti tanto perfetto.
Tossi piano, miseramente, i passi di Lia che ora si arrestavano un poco, suo malgrado. Poi deglutì.
No. certamente no. Ray, il re che non perde mai, non avrebbe mai potuto perdonare.
Nè Lia, né chiunque altro.

Stremata la donna poggiò allora la fronte nella pozza scura che ovunque la circondava, difficile dire se si trattasse di sangue o di semplice Tenebra, lasciando che il freddo di quel liquido lenisse il dolore di quell'attimo, di quell'ultimo, fatale, istante prima che gli occhi della bimba si volgessero nuovamente indietro, improvvisamente alla ricerca di qualcosa che, oramai, non avrebbe più potuto trovare.
Ancora due sillabe fra le labbra, ancora due sussurri nell'animo prima di dimenticare.

Mam...ma?

Sospirò, la Dottoressa, la consapevolezza di stare svanendo nel nulla che la catturava di attimo in attimo, di secondo in secondo.

No amore mio. No, mio tesoro.
Io non sono la tua mamma.
Non io.
Poiché se davvero fossi lei, se per davvero fossi tua madre, ora nemmeno uno dei miei pensieri ti riguarderebbe. Neppure uno dei miei rimpianti giungerebbe a te rammaricandosi che nemmeno ad un istante dalla fine, neanche un secondo prima del proverbiale epilogo, finalmente,
Lei ti abbia guardato.
Anche solo di sfuggita. Anche solo per caso.
Povera, la mia piccola.

La tua anima viene meno. Il tuo corpo avvizzisce, per un solo battito d'ali sfiorato dalla primavera e subito dopo inghiottito dall'inverno.
Ed ora che come foglie d'autunno la tua esistenza viene trascinata via dal vento della morte, ora, ecco, sentila
la voce di tua madre.
La dolce, meravigliosa, Aria che solo la tua mamma è in grado di cantare.
Lascia che, pur non sapendoti ferma qui ad ascoltare, essa ti raggiunga. Ti accolga. E per la prima, ed unica, volta, si innalzi alta solo per te. Per te sola, piccola mia.
Ninna Nanna soave.
Ninna Nanna,
per la mia mia bella bambina.


di-E1X4


Così, nello sfuggire dell'anima di Alexandra e nel librarsi, alto, del canto di Eitinel, l'Asgradel lasciò che Shakan compiesse il proprio destino. Che varcasse la soglia di ciò che era permesso e di ciò che non sarebbe mai stato possibile ad altro uomo se non a lui, semplice mortale in una terra infinita. Lasciò che egli sprofondasse assieme alla Dama nel sogno che non concede ritorno, che prende e che mai più restituisce ciò che gli è stato dato. Li, laddove l'unico suono fu il respiro pesante di lui, contratto, sbavo di imperfezione in un paesaggio perfettamente distrutto, perfettamente apocalittico.
Vi era dolore nel volto di Eitinel. Vi era la tensione di un tormento ben superiore al semplice patire, ma quanto più simile al fermo sopportare e al muto attendere, paziente, in una qualche possibile risoluzione.
La fine del mondo, forse, o l'alba di una nuova Era, probabilmente. Chi avrebbe ormai potuto dirlo?
Eppure, ansito esanime, la Dama era ancora li, corpo di ghiaccio sopito in un feretro di ombre, anima di gelo addormentata in una gabbia di cristallo, pensiero di neve avvinto in una celeste enfasi di distruzione. Mai cadavere fu conservato tanto bene. Mai canto funebre fu composto con tale minuzia e accortezza per lei, Bianca Regina in un castello di Carte.
Eitinel?
Fra le sue dita il sottile e latente consumarsi di fili argento, di piccoli e veraci rimasugli di quella trama che fino ad allora con pazienza e mitezza, ella aveva saputo diligentemente tessere attorno a se, instancabile. Sulla sua pelle, il vivo accartocciarsi del senno, mostruosi scorci di pazzia ad aizzare la sua bianca carnagione in grottesche nubescenze nerastre, corvine. E nonostante questo eccolo ancora, nei suoi occhi ambrati, lo sfavillio della grandezza, della potenza. Di quella inesorabile Certezza che pochi prima di lei avevano potuto possedere senza venirne da essa divorati, brama inarrestabile.
E...Eitinel?


Guardami, principessa.

Non vi è pietà nello sguardo degli Dei. Non vi è compassione nei loro volti fermi, contratti, impassibili al semplice scorrere della vita.
Eppure parve quasi di vedere un lieve fremito in quegli occhi di giada mentre ella, lentamente, voltava il capo in direzione di Shakan. Un mite sussulto, forse, quando che ella fletté un poco il capo di lato lasciando che pallidi ciuffi di cristallo le sfiorassero la guancia contratta, esanime. Nell'oro intenso dell'iride, il nero della pupilla era nulla più che un sole nero prossimo all'estinguersi.

Guardami.

Poco meno che un ordine. Poco più che una supplica, in realtà. Eppure nella voce del guerriero vi era abbastanza impeto per muovere l'attenzione di lei costringendola a deglutire, a sospirare nell'affanno di eseguire quella semplice richiesta scostando anche solo di qualche millimetro la propria condizione, allentando meno che un poco le fitte maglie del proprio Sogno. E guardare, infine.
Se avesse potuto, forse, la Dama avrebbe certamente sorriso. Socchiuso le palpebre e simulato una elegante imitazione di ironia e garbo. Avrebbe dischiuso le labbra irradiate di spaccature ed esordito con un sottile "Buongiorno", come se nessuno dei due, lei e lo strano visitatore, si fossero realmente trovati ad un passo dalla Fine, sospesi come anime pagane nel limbo degli eretici. Eitinel e il suo sommario senso dell'umorismo. Ma poiché ora come ora non poteva, ella si limitò a fissare per un lungo, eterno, secondo Shakan, studiandone con sguardo attento l'espressione stravolta, i lineamenti in tumulto, la tralucenza vacua degli occhi sciupati.
Ed infine, come se quella fosse stata l'unica risposta possibile ad una domanda tacitamente rivolta, ella tese una bianca mano in direzione di lui, le dita pallide che si schiudevano nel vuoto come petali di giglio attirati dalla luce.
Guardami.
Guardami.
Un sottile rumore bianco che crepitò sordo attorno a loro, vacuo ritorno di parole più Grandi, di sussurri più letali.
Tremò piano la mano di Eitinel. Fragile recesso di debolezza.
Guardami.
Guardami adesso. Guardami ora o mai più. Guardami...

Dammi il Potere per fermare Ray.

di-99QV

Se vi fu un fremito, la Dama non lo diede a vedere.
L'Asgradel, non lo diede a vedere.
Nell'accartocciarsi del gesto di poc'anzi, egli sbarrò improvvisamente le palpebre solo per un attimo, solo per un infimo secondo, giusto il tempo perché il nero della pupilla divenisse il bruno cupo delle iridi, che il cristallo delle chiome bruciasse nel bianco ceramica dei capelli così che poco dopo, eccolo, egli era li, più vero e presente che mai. Vivo Inferno in quell'imprevisto Limbo.
Sospirò, il volto di Eitinel che si faceva ora inaspettatamente calmo e rilassato. Increspò piano le labbra, snudando elegante i bianchi canini. E infine sorrise, semplicemente. Sornione. Nuda crepa di crudeltà nel ricambiare lacrime con derisione. Fedeltà con apparenza.
Ma non era già stato detto?
Non era già stato ripetuto?

Perché dunque sorprendersi proprio ora? Proprio ad un passo dall'ovvio?
Così quando, poco dopo, l'Asgradel posò con dita di fata il pollice e l'indice sugli occhi di Shakan, scostando con un gesto sottile l'invisibile ombra presente nelle lacrime di lui, fu con un sibilo contratto che la benedizione di Eitinel scese sul capo del guerriero, nera fiele di una clemenza mai provata, di un premio solo per crudeltà concesso.
" Alzati, Shakan "
Bruna ambrosia ad imperlare le labbra nude.
" Ciò che tu mi chiedi ti è stato dato. Ciò che hai desiderato ti è stato concesso."
mite sorrisino, più innocente che reale.
" E non preoccuparti per questi tuoi occhi traditori, per lo sguardo ghignante che già si scorge occhieggiare attraverso di essi"
In quell'istante, movimento forse meno casuale di quanto fosse apparso inizialmente, l'Asgradel passò il pollice e l'indice precedente posati sul volto di Shakan, sui propri occhi.
Sospirò piano, una nuova sensazione che per un attimo attraversava il suo volto.
" Da ora in avanti sarò io e non tu a scegliere cosa Ray potrà vedere e che cosa, suo malgrado, dovrà rimanergli segreto."

Forse, dall'infimo spazio della propria assenza, da quell'angolino dimenticato dove la luce pareva incapace di penetrare, la Dottoressa avrebbe certo voluto che non quelli di Shakan, ma forse i suoi occhi venissero rubati. Che fosse il suo sguardo smunto a sovrapporsi per un attimo a quello bronzeo di Eitinel prima che il dilagante oro di lei se ne riappropriasse con violenta ingordigia. E che certo fosse la sua misera vita, sputo scettico senza valore, ad essere violata senza alcuno scrupolo dallo sguardo onnisciente dell'Asgradel, vigile spettatore e meticoloso punitore di tradimento.
Certo.
Certamente.

Tutto pur di avere lei. Lei.
Anche solo per finta. Anche solo per gioco.
In fondo, se era l'Asgradel a farlo, che valore poteva avere il ricatto?

Tutto. Tutto.
Pur di avere lei.
Pur di poggiare anche solo una volta, anche solo l'ultima, la testa sulle sottili gambe della Dama e, sentendola passare le dita sottili fra i capelli d'argento, udirla cantare piano, soave,

Ninna Nanna
Ninna Nanna,
per la mia mia bella bambina.


di-5JEY




Ed ecco qui...la fine^^ Premetto che questo post nasce in una situazione veramente poco favorevole a qualunque ispirazione di sorta, quindi...non uccidetemi se nessuno troverà particolarmente esaltante quanto scrittoç____ç
Lia si butta in direzione di Alexandra per conquistare la sua anima ed energia, tuttavia poco prima del "contatto", qualcosa la ferma, quasi che ella abbia avuto un pensiero improvviso tanto importante da distrarla e farla rinunciare. Si tratta di una mia personale interpretazione della personalità di Lia. Desiderando ancor più che la propria sopravvivenza l'essere accudita e amata, nel momento in cui essa vede il disinteresse dell'Asgradel e si dimentica della Dottoressa in qualche modo " lascia" che Shakan arrivi ad Eitinel prima che lei ad Alexandra. Come da conclusione, ho voluto che la morte di Lia assomigliasse più all'appassire di un fiore, ad un addormentarsi che ad un vero e proprio omicidio splatter. Ad ognuno la libera interpretazione.
Shakan sprofonda nel sogno di Eitinel, divenendo per un solo momento l'elemento capace di catalizzare l'attenzione di lei distogliendola dalle proprie sofferenze. Si crea dunque una specie di "incanto" laddove Eitinel, la vera Eitinel, si protende in direzione di Shakan e delle sue lacrime. Tale momento viene però bruscamente spezzato nell'istante in cui lui fa la propria richiesta all'Asgradel di esaudire un suo desiderio. Richiamato dal "desiderio", il dio dunque prende bruscamente possesso della Dama e guida le sue azioni negandole qualunque voce in capitolo. Concede il dono al guerriero, consistente ora come ora per lo più in una richiesta di fede che in un autentico oggetto vero e proprio, dopo di che con la forza ottenuta si appresta a far risprofondare quanto più possibile Eitinel nel proprio sogno così da avere il più totale e completo dominio su di lei e sulle sue emozioni.
Ora come ora, pur avendola spuntata su Lia, l'Asgradel si trova in uno stato più debole rispetto all'inizio della quest.

Detto questo.
Hocrag e Shivian si risveglieranno fra le fila dei Predatori di Neiru secondo le modalità indicate agli utenti usciti nel primo turno. Avendo tutti voi scritto il post conclusivo per la quest, sarà possibile ai vostri tre pg ( anche Zaide) di ritrovarsi, pur non potendo PER ORA iniziare il processo di recupero della memoria. Per rendere interessante la scena, vi concedo però qualche accenno subliminare^____^
Per i tre componenti della squadra vincente ogni informazione sarà rinviata all'apertura del terzo turno del Valzer.

Janz: Il desiderio è stato esaudito da parte dell'Asgradel, anche se ho preferito pensare che il bellissimo artefatto creato dall'Andre non sia pienamente il suo frutto ma quanto più la sua essenza filtrata da Eitinel nel breve attimo prima della fine. Nel successivo movimento compiuto dall'Asgradel c'è l'essenza tanto della sua crudeltà quanto della sua "bontà". Esso infatti, non credendo alla forza umana nel contrastare la perversione di Ray si prende lo specifico diritto di guardare al posto di Shakan, così da nascondere o far vedere a proprio piacimento informazioni al nemico. Egli, pur non affermandolo apertamente, già considera quegli occhi dei "traditori", avendo essi già mostrato al Re cose che avrebbero viceversa dovuto rimanere segrete. Rubando lo sguardo di Shakan, egli prende al contempo il controllo su di lui e si appropria anche di una merce di scambio: un dono per un dono. Fedeltà, dunque, per fedeltà da mostrarsi preferibilmente nel terzo turno. Per ora Shakan NON sa quale sia l'entità de dono.

Questa quest è stata per me una sfida. Non ero certa delle sua buona riuscita tanto all'inizio quanto alla fine, e credetemi se vi dico che nemmeno questa conclusione mi trova serena e sicura di quanto fatto. C'è un "cimitero di post-immagini-idee", molto simile a quello degli elefanti del re Leone che riposerà in eterno alle spalle di ogni pagina di questa quest, pronto a ricordarmi di quanto sia stata fortunata ad avere a che fare con utenti del vostro calibro capaci non solo di "rispondere" ma quanto più di aiutarmi e incoraggiarmi a fare sempre del mio meglio per stare al vostro passo^__^. Non voglio scadere nello smielato quindi concluderò qui i ringraziamenti generali finendo solo per augurarmi in futuro di poter masterare ( anche meglio scrivere) con tutti voi.
Pur passate inosservate, le eliminazioni di questa quest non sono state affatto cosa semplice. Anzi. Per meglio capire l'entità delle mie decisioni voglio spendere due righe a riguardo. L'idea della quest era basata fondamentalmente su due possibili tendenze. La prima, quella di Lia, era quella di dividere i personaggi, metterli gli uni contro gli altri così che la bimba potesse pasteggiare come meglio credeva, indisturbata. La seconda, quella dell'Asgradel, era di unirli per renderli più forti. Nel procedere della quest, come è facile intuire, la prima opzione ha avuto molta più fortuna sia per le decisioni dei pg sia per le dinamiche della storia. Nonostante le due inclinazioni possibili, fin dall'inizio i miei criteri di scelta vertevano sulla selezione di personaggi capaci di interagire con gli altri, mostrare spirito di iniziativa, sviluppare empatia sia verso le situazioni che verso le dinamiche di gioco di modo da creare non solo da parte dei png (qm) ma anche dai pg veri e propri( e gli utenti ovviamente) una sorta di circolo virtuoso ( o feedback, passatemi il termine^__^) in cui costruire una storia sempre più sentita, interessante, coinvolgente. La mia opinione è che da solo il qm non fa tanta strada. In base a questo ho compiuto le mie scelte.



Shivian Il tuo pg è arrivato ad un punto che i più potrebbero definire " difficoltà incubo". Riuscire a gestire una mole del genere (bg, pericolosità, psiche etc etc) senza sbilanciare qualunque quest è un'impresa che certamente potresti compiere approfondendo una personalità forse troppo poco sottile. L'ultimo post da te scritto, il commiato, è un ottimo passo proprio in quella direzione. Ne varrebbe certamente la pena perché, a mio dire, rendere più articolato Shivian porterebbe anche chi se lo trova dinnanzi non più a vederlo come una montagna insormontabile ma si, come un Dio, ma colmo di tutte quelle particolarità che rendono fattibile sia l'interazione quanto lo scambio.
Kactuar Il discorso della permeabilità fatta a Shivian si riflette anche sul tuo pg. In questo caso però la pecca non deriva dallo scarso approfondimento della personalità quanto più dall'ostentazione della stessa. Riuscire a vivere un'intera vicenda attraverso un monologo interiore non è cosa da tutti, ma non bisogna mai dimenticare che la quest è una traccia a più voci in cui non è tanto importante la dominanza estrema di una ma quanto più la perfetta concordanza fra tutte quante.
Goth In quest quest penso di aver potuto seguire di passo in passo la grandissima evoluzione compiuta tanto da te quanto dal tuo pg. A più riprese sono stata piacevolmente sorpresa dal tuo spirito di iniziativa e dalla tua forte capacità di intuire la "scena" e convogliarla secondo le esigenze di Hocrag. Davvero un ottimo passo in avanti per una scrittura che rischiava di scomparire per semplice inutilizzo. Felicemente, penso che ormai l'energia Rossa ti appartenga a tutti gli effetti.
Foxy Sarebbe difficile non notare i progressi compiuti dalla psiche di Alexandra nel corso di questa quest. Il suo smarrirsi a più riprese le ha chiaramente offerto la possibilità di riscoprirsi ancora più complessa e più adulta, pur non potendo negare che verso la fine una nostalgia alle origini intesa come "ricongiungimento alla calma e all'ordine" ti ha portato un poco ad indietreggiare su tracciati che parevi oramai sul punto di abbandonare. ( i dialoghi e alcuni atteggiamenti). L'unica pecca del tuo percorso è stata la non equivalente evoluzione della scrittura che, pur sempre di livello altissimo, non ha compiuto dei significativi passi in avanti ma permanendo costante e poco variegata. Oltre a questo, ho potuto spesso notare una certa difficoltà nell'interagire di Alexandra con il mondo circostante, vincolata ad una psiche che le impedisce ancora di sfruttare appieno le situazioni e ad una scrittura egualmente improntata più sull'interiorità che nel resto.
Zaide Sono rimasta davvero colpita dalla mole e dalla bellezza della psiche capaci di scaturire da Zaide. Guardando la complessità, la profondità e l'imprevista piega assunta dal tuo pg durante il corso della quest, non posso che complimentarmi con te. Incredibile è stata anche la tua capacità di sincronizzarti con il senso della storia, percependo con una sensibilità sicuramente fuori dal comune le dinamiche nascoste e le implicite sottigliezze ( i miei indiziXD) delle situazioni. La malleabilità e la sensibilità di Zaide spesso però hanno segnato il suo ruolo nella quest rendendola non protagonista ma quanto più spettatrice "contemplativa" di quanto accadeva. Con i più vivi complimenti, ti promuovo ad energia Blu.
Janz All'opposto di Zaide, Shakan non si può certo dire che mai abbia recitato la parte dello spettatore nel corso della quest. Protagonista assoluto, è stato capace di dominare la scena anche quando i miei intenti l'avrebbero certamente adombrato. Non escluso da miglioramenti sia psicologici che stilistici ( per quanto poco ci fosse ancora da migliorare, in effetti^__^), spesso e volentieri ho davvero potuto seguire i tuoi post con la stessa carica emotiva che competerebbe non al qm ma ad un utente partecipante. Questo lascia molto ad intendere quanto tu sia stato capace di dire sempre la tua, di esprimere la tua creatività anche al di fuori di quanto io avessi programmato. Davvero, davvero, i miei complimenti. Spero di poter un giorno seguire una tua quest nei panni di utente questante^___^


Oltre a questo, spero di non aver tradito il gusto di nessuno se ho cercato nel corso della quest di dare "spazio ai morti" in seguito alla loro dipartita facendoli intervenire come "png" sia nel post seguente all'eliminazione quanto alla fine. E' stato un mio modo per rendere omaggio alla bravura di tutti quanti.
Mi scuso inoltre per i miei frequenti ritardi nel postare e per alcuni post non proprio a regime ( tipo questo). Cosa più importante però, ringrazio tutti, davvero tutti, i partecipanti per avermi dato la possibilità di masterare una quest di questo calibro capace di spronarmi a fare sempre meglio e a dare il massimo in ogni singola riga. Di mio c'è solo la prima parola. Il resto l'avete fatto voi. Grazie di cuore.

Janz: 1500 Gold
Zaide: 1250 Gold.
Foxy's Dream: 1250 Gold.
Goth: 1000 Gold.
Kactuar: 750 Gold.
Shivian: 500 Gold.

Goth' viene promosso ad energia Rossa.
Zaide viene promossa ad energia Blu.

Passa il turno la squadra Sic Volvere Parcas





 
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Foxy's dream
view post Posted on 1/8/2011, 18:00







L’onore taceva, l’orgoglio ammansito, la fiera sedata. Al seguito d’una rocambolesca ascesa fino all’ultimo piano della Velta svettante lei, Mastro di Chiavi, aveva ottenuto il dono mai concesso ad alcun Soryano prima di quel momento e lei, unica chiave, aveva il compito d’aprire l’ultima porta in virtù del sogno che inseguiva, che al contempo bramava e temeva, sì! Come prossimi alla conclusione d’un libro il cui finale è ancora ignoto: serba in sé sorpresa e delusione, sconforto ed estasi pronti a mescersi e ad evolversi nella semplice accettazione di quel che è - di quel che è stato.
Indugiò un attimo, forse Shakan se ne avvide - o forse no. Come resistere? Come non restare folgorati dallo struggente tintinnare del silenzio, di un’ombra quieta e inerte pronta a inghiottire famelica ogni convinzione?
Il timore saliva su per la gola come un groppo impossibile da mandar giù. Poi un suono, o la semplice immaginazione. Il destarsi di un incubo, il riverberare d’un sogno strabordante insania e follia. Cosa fare se non avanzare, ancora? Piccoli passi, li uni dopo gli altri fino a perdersi nell’ombra più cupa, precipitando in un’oscurità viva, senziente, mille occhi di un unico organismo a studiarla, il viscidume d’un qualcosa di incomprensibile a insozzarle l’anima.

" Non vedete? Non capite?"
" La vostra Eitinel non vi vuole. […]"


E se del desiderio di svegliarsi dal torpore dell’indolenza si fa un pensiero, ecco che giunge ancora la gracchiante voce di quella donna maledetta. La voluttuosa cadenza delle frasi, lo spocchioso articolarsi. Eppure a tratti le sembrò di doverla ringraziare, a conti fatti era merito suo se erano giunti al cospetto di una Dea, di Eitinel, dell’Asgradel stesso, sì! Merito suo e della sua maledettissima lingua.
Sorrise. Un ghigno indulgente, umano.
La follia l’aveva condotta inevitabilmente alla stoltezza, e quest’ultima al fallimento - o più semplicemente a un’altra conclusione.
Il pensiero di quel che sarebbe stato era assillante, assordante, una voce alla quale facevano eco le parole della dottoressa pronta a mostrar loro l’ennesimo prodigio: uno specchio, una lastra d’ossidiana che si innalzava senza remore delle leggi fisiche contro l’imponente soffitto troppo alto per poter essere veduto, adombrato anch’esso dall’inavvicinabile.
Il riflesso della donna si dileguava intanto nella vitrea appendice di volontà di Madama Eitinel, mentre la sua mano l’attraversava come fosse liquida, increspandone la placida superficie e disegnando cerchi concentrici sempre più deboli, sempre più tenui.
Fredda nello sguardo, la regina pareva non stupirsi più di nulla. L’incomprensibilità era divenuto qualcosa di usuale, il portento e l’unicità si erano sminuiti a meri essere ed esistere. E poi il sacrificio appena indicato nell’ultima frase divenne tanto concreto e soggettivo che parve quasi concretizzarsi in una stretta salda e forte al di lei braccio, una presa che la trasse via con irreprensibile forza lontana da Shakan, lontana dall’obiettivo prossimo ad essere raggiunto.

« Ahhh!! »


Naturale, spontaneo. Quell’urlo di sorpresa commista a terrore infranse il silenzio insieme al tonfo della di lei schiena sullo splendente pavimento d’onice.
Appena riaprì gli occhi due figure metalliche apparentemente umanoidi la scrutavano attraverso strette fessure riconducibili a pupille, eppure non ebbe tempo sufficiente di comprendere, non ebbe tempo di reagire che il pugno di una di quelle figure impattò col suo ventre sfasciando la cotta che ne costituiva salda protezione.


Un rude colpo di tosse traboccò greve, insieme alla sensazione di star per rigurgitare anche l’anima tanta fu l’amarezza di quel dolore. E non v’era un perché a quella situazione, né un come o un quando: non v’era bisogno di spiegazioni all’abietta riproduzione della violenza fine a sé stessa.

« Cosa diavolo - sta’ accadendo adesso?
Perche proprio adesso? »


Gemiti strozzati, incapaci d’essere articolati come frasi di senso compiuto.
In un colpo di reni tentò di rialzarsi, ma la ferrea stretta al di lei collo l’atterrò nuovamente impedendole di respirare - che fosse giunto il momento? Che il commiato per la dipartita d’una Regina avvinta dalla sfortuna stesse per avere inizio? Inutile fu dimenarsi come un’ossessa, dibattere le gambe nel vano sforzo di divincolarsi. L’oscurità parve divenire più fitta ai suoi occhi, il languore d’una fievole bruma interrotta da sussurri e vociare confusi, brusii incomprensibili, un linguaggio arcano che le parlava direttamente all’anima, un idioma più antico di ogni razza su quel barbaro continente. E la confortavano, piangendo per lei, lei che era divenuta la portatrice del loro passato, del loro essere.

Alphred, Shivian, Arthur, Hocrag,
e mille altre figure ammantate d’ombre.


Forse erano loro - o forse no. Li avrebbe riconosciuti se solo un briciolo di memoria del loro esistere fosse rimasto in lei, se solo il disgusto per la propria debolezza non l’attanagliasse ancor più di quella stretta alla quale nessun sentimento, nessun potere poteva far fronte.
Eppure quelle ombre tentarono d’aiutarla sebbene il male recato loro in vita, sebbene la delusione del fallimento stesse per realizzarsi in una morte bruta e senza scampo.
Quegli esseri incorporei attraversarono, lambirono i due costrutti, risentendone di un sussulto men che accennato, di un ambiguo sferragliare interrotto solo dal gemente imperversare di quelle ombre nell’intera sala, ma niente: troppo potenti - troppo forti. Lei troppo debole invece, a corto di quel carisma che vestiva come una maschera per rendersi inaccostabile al prossimo, indomabile fiera senza leggi e senza padrone. E in quel momento aveva paura - una paura mai saggiata prima. Piangeva lacrime agrodolci. Il timore di perdere tutto, la follia del suo regno rievocato dall’irragionevolezza di un potere al di là della comprensione, ma lei non capiva, non sapeva - non ancora.

« Shakan! »


L’ultimo bisbiglio, il canto del cigno.
Nessun discorso per lei, nessun canto, nessuna cerimonia: solo un nome, colui che forse doveva ringraziare più d'ogni altro individuo incontrato in vita. Ma di seguito il silenzio, solo un sordo rumore d’infrangersi d’ossa, travolta da un potere più grande, sfiancata passo dopo passo e poi crudelmente uccisa come un bastardo col pugnale alla schiena del più grande dei re e dei sovrani.

E poi silenzio.
E poi più nulla.

...

Sic Volvere Parcas
-Così tessono le Parche-
Atropo… cosa hai mai fatto?
Quale filo hai scelto?

...
.
...

Se di Re e Regine si sarebbe mai raccontato un giorno,
si sarebbe narrato forse di Alexandra,
Regina senza Regno per sfortuna e viltà,
tradita dal mondo e dall’uomo,
ma forte e fiera in vita come una leonessa,
sincera e pura come un’ultima stilla di volontà.
E se di Tradimenti si sarebbe raccontato mai,
se della caduta di una regina si potrà anche indicare in una sola frase,
allora si dirà ch’ella era debole
e che una vita intera di ostentazioni non può far fronte alla fiacchezza e al dolore di un’esistenza infima e infinitamente misera.
E se in conclusione della Fine si accennerà mai,
si dirà allora che non ha mai avuto inizio,
che l’intero universo è un susseguirsi di conseguenze e che nessuna causa le ha mai scatenate,
che il tempo è un circolo e che la Verità è curva.
Amor Fati
-Eterno Ritorno-
Così muore Alexandra quindi,
e con lei il sogno mai raggiunto - il sogno mai espresso.

...




CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 20% - 15% =
Status psicologico: Provata e stanca, decisa ad affrontare l'ultima prova [Alto + Medio]
Condizioni fisiche: Morta

______________________ _ _

Abilità attive:

4_Fourth_Porta dell'Incubo. Il sussurro oltre la Notte. [...] Potrebbe evocare i proprietari di quei suoni e chieder loro, a proprio rischio e pericolo, di attaccare gli avversari del Sorya. Se evocate, le ombre conteranno come una tecnica Alta ( non importa né il numero né la forma né la modalità con cui si presenteranno sul campo). Tuttavia attaccheranno chiunque si trovi sul campo di battaglia. Per i membri del Clan, gli attacchi di simili esseri varranno sempre di un livello inferiore. [Alta]

____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

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Note:

Non credo di poter dire più di quanto sia stato già detto, motivo per cui mi limito a ringraziare tutti indistintamente e in equal modo ancora una volta. Spero di rincontrarvi InGame prima o poi.

 
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39 replies since 2/4/2011, 12:12   3468 views
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