Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Valzer al crepuscolo ~ Ragnarok

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view post Posted on 15/9/2011, 12:58
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bSl1r

Per ogni movimento delle grandi ali della Fenice una calda, rovente, vampata di calore pareva scivolare come arido respiro sul campo di battaglia. Un basso, greve, scontrarsi di aria sapor ruggine tale da appannare la vista, ridurre ogni cosa ad una mescolanza di visioni tremolanti e congestionate.

"Gishaker d'urs! Zhamanaky ch’e vorpeszky ch’mahavan!"
" Avanti carogne! Non è il momento di fare gli schizzinosi!"

Del verde compatto qual'era stata fino a poc'anzi, la verde marea degli orchi già portava i neri sfregi di una mano affondata li, proprio fra le fila più compatte. Solchi profondi di dita ossute, affilate, incisesi attraverso la malerba della loro razza come un cercatore di tesori nella verde terra, a mani nude. L'asgradel, sete ingorda. Come un pittore alle prime armi esso aveva preso di forza le redini di quella battaglia e con rapide pennellate trascritto il proprio personalissimo nome fra le fila di comparse, condannate a rimanere tali, di quello scontro. Ed ora dunque l'arazzo guerrafondaio portava il bianco delle capigliature dei Predatori di Neiru non più stipati in un unico nevischio al margine del campo ma viceversa sparpagliati qua e la, piccole margheritine accese di rosso e di oro. Ed ora dunque neri sbavi di ombre si ribellavano alla loro passiva rigidità sorgendo come protagonisti fra le linee nemiche. E la fenice d'ombra, tanto scura da brillare come grottesco demone di fuoco, volteggiava libera nella vastità di un cielo scarlatto, ruvido dell'accendersi di nuove stelle, meteore vaganti di pece e polvere.
Eppure, inesorabile, ecco già l'intravedersi del limite.
Il roboante, brutale, scuotersi dell'intero esercito orchesco nel tendersi delle pelli per metà bruciate, degli elmi sfondati e piegati, nelle armi sbrecciate. Corpi di pietra, passi d'acciaio, il cavernoso ringhio della bestia che, aizzata, si rivolti per attaccare.
E così, ecco, il sibilo acuto di un dardo fendere il cielo. Il lacerante stridio di un dolore che trova la propria fonte e ad essa si appiglia, frusta immonda che attanagli e avvinghi senza liberare. Ed infine, nel sopraggiungere di un fendente ciclopico come la linea dell'orizzonte, la fenice ardente caracollò in due tronconi finiti, schiantandosi nella marea di corpi sottostante come nuvola di denso catrame.
Un attimo di esitazione, Hoggar che abbassava in un unico gesto la mastodontica spada di nero impregnata, e poi l'esplodere furioso della massa dei Pelleverde.
L'incanto era finito. Ciò che era stato ombra, ombra era tornato ad essere, lasciando al suo posto solo la nuova, inesorabile, avanzata del Leviatano.
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"Yev hima, siknayk, Vesk aknkal'hum mets baner dzezanitse"
"Ed ora, signorine, cercate perlomeno di non fare brutta figura"

Ma le leggende narrano che in realtà non fu quell'ultimo, fatale, fendente a decretare la fine della potente Bestia dell'Asgradel. Affatto. Della gloria di Hoggar si sarebbe potuta decantare solo la bieca professionalità del boia, del freddo esecutore di un destino già di per sé inesorabile: qualcosa di diverso, infatti, di molto più sottile e arguto aveva già fatto il proprio corso. Qualcosa di apparentemente invisibile se paragonato più in basso al dissolversi della barriera magica degli orchi, incantatori e sciamani che cedevano per pochi fatali attimi alla malia di una antica creatura del passato, morta e risorta giusto per spaventare i loro sguardi ciechi. Nulla, certo, in confronto al radunarsi molto più indietro delle nere ombre di Eitinel, esseri senza ragione, nella strenua resistenza all'avanzata dei pelleverde i cui passi, ciononostante, parvero inarrestabili fino al sopraggiungere dei tatuatori. Troppo tardi, tuttavia. Troppo poco, ciononostante. In un digrigante sospiro, l'intero esercito di Neiru dovette retrocedere di un passo, un fatidico passo che più distanziò la mischia dai plotoni separati i quali, molto più avanti, già avevano ingaggiato battaglia per l'infiltrazione ai lati.
Mente contro furia cieca. Invisibilità contro udito sopraffino.
Troppo tardi i Custodi si resero conto di quanto i proverbi " mai fare infuriare un barbaro" rasentassero la minaccia quanto più il consiglio. Laddove le fila di Neiru erano più compatte e le guarnigioni di pelleverde avevano oramai assunto il carattere delle "vittime trascurabili", il terribile fondamento della rabbia trovò inaspettatamente la propria proverbiale esplicazione. Ancora oggi si racconta delle grida farneticanti, delle folli imprecazioni di quegli uomini solo per metà dissimili a bestie che, vedendosi portar via quell'unica, debole, traccia di sanità dell'anima, altro non trovarono da fare se non vendicarsi smarrendo di tutto un momento la ragione e scagliarsi alla cieca in avanti.
E indietro, ovviamente.
Nell'eco delle loro lingue grezze, poco meno che latrati su labbra ruvide di fatiche, ecco l'eco distante di ululati, di guaiti e guaiolii mentre i lupi crudeli, fiere fedeli ai Costruttori vincolati ad esse, si accorgevano in unanime istante del sopraggiungere degli assassini, invisibili ad occhio umano ma non ad orecchio animale.
Poca cosa la furtività se ad essa si contrappone la pura forza bruta.
Eppure fu proprio allora, proprio quando l'infrangersi della fenice in mille pezzi si schiantava sul campo di battaglia sporcando e annegando ogni cosa di nero incubo e scura tenebra che li, fra i suoi resti roventi, fra le brune ali sfilacciate e giacenti quali monconi inermi, una curva schiena fece la sua comparsa. Corpo flessuoso, tratti scarni ed essenziali, quasi che non servissero che poche semplice linee per definire il concetto della Paura, del Terrore.
Li, nel bel mezzo di un mondo prossimo dal capitolare, nella più greve mischia di corpi ed anime accecati nella furia del contendersi l'ultimo, sempre più raro, respiro, Chevalier distese la propria ossatura oblunga. Le file di vertebre e ossa meccaniche che si spiegavano come un elegante ventaglio nel suo lento ergersi, gigante senza volto, nell'esatto centro del campo.

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Nessuna leggenda ricorda tale momento. Nessuna memoria descrive quell'istante.
Nel greve muoversi del capo del Golem, nel suo voltare la schiena ai Predatori di Neiru e tendere appena le spalle nel girarsi per intero della sua mastodontica figura, orde di piccoli goblin passarono indisturbati fra le sue gambe. Barbari e troll sfilarono uno dopo l'altro ai suoi fianchi procedendo brutali chi in avanti, chi indietro. Cacciatori e cadetti ingaggiarono una strenua resistenza proprio ad un passo dalla sua figura per poi, a precipizio, ritirarsi fra le proprie fila.
Invisibile tanto agli amici quanto ai nemici, unica figura vuota capace solo di guardare ma non a sua volta di essere guardata. Tranne che da un uomo, certamente. L'unico che Chevalier avrebbe cercato ( che aveva avuto ordine di cercare ), che i suoi occhi senza fondo avrebbero certamente individuato nonostante la folla per costringerlo, suo malgrado, ad uno scambio di sguardi tanto ammonitore quanto inesorabile.
Tristan Cousland, il salvatore.
L'unico il cui occhio avrebbe veduto l'alzarsi del capo del golem verso il cielo, verso l'orbita vuota del sole Nero che ancora, sgranato, dominava inviolato il campo di battaglia. E da li, come incresparsi di onde in uno stagno fino ad allora indisturbato, il dipanarsi di nere vibrazioni tutt'intorno, fenditure concentriche d'oscurità. Era rabbia, quella? O la convulsa risata del Re Folle che nel soccombere dei suoi più fedeli alleati non possa proprio risparmiarsi un sardonico sghignazzo?
Nel silenzio che precede la tempesta, nel denso istante prima del risvegliarsi del vero potere, di quella forza tanto sovrumana da desiderare ella stessa di non doversi mai mostrare nella propria più nuda verità, Chevalier, messaggero di sventura, era già sparito. Riflesso di un istante. Ricordo di un secondo. Il solo, unico, verbo che Ray avrebbe sprecato per il mondo che ancora giaceva inerme ai suoi piedi, carcassa morente.


Perdonate sia lunghezza che lo stile che il ritardo di questo post. In questi giorni sto avendo giusto gli ultimi due esami che mi separano dalla laurea triennale e la mia mente è abbastanza impanicata. Vi chiedo dunque di essere più comprensivi del solito se fra le righe troverete oscenità e mancanza di "poesia" al confine dell'accettazione. Chiedo anche scusa anche per il resto, che sicuramente ci sarà.
Detto questo.
La barriera degli orchi, grazie al triplice intervento di Shakan (fenice), Finnegan (distrazione) e Alexandra (fenice) cede, lasciando gli orchi esposti alla contraerea degli elfi. L'avanzata dei giganti viene effettivamente arrestata dai tatuatori, ma data la posizione di questi ultimi (retrovie) e la loro naturale incapacità come veri e propri combattenti, il loro provvidenziale intervento giunge solo quando i primi giganti sono giunti molto in la nelle linee elfiche. I barbari posti a loro difesa vengono effettivamente distratti dagli attacchi psionici, ma tale risoluzione è un'arma a doppio taglio poiché essi, mancando della lucidità mentale, vanno immediatamente in furia immortale. In questo stato la loro potenza offensiva è ovviamente triplicata seppur rivolta contro amici e nemici. Ho calcolato che, data la posizione in cui si trovano, essi danneggiano gravemente gli elfi colpendo solo la prima fanteria degli orchi (cosa abbastanza trascurabile). A differenza dei giganti, la loro avanzata proseguirà se non verranno in qualche modo fermati. Per quanto riguarda il confronto costruttori vs Assassini, purtroppo l'intervento errato di Lenny gioca molto a sfavore dei secondi: i costruttori non vedono, ma gli animali che li accompagnano sentono, quindi smascherando l'inganno. Essendo combattenti da mischia l'unica cosa che gli elfi fanno è prendere a mulinare armi a destra e manca seguendo le "indicazioni" dei loro compagni animali. Se non si sceglierà una immediata ritirata, le truppe degli assassini troveranno qui la loro fine (anche salvandosi esse riporteranno gravissimi danni). La barriera magica elfica rimane ancora presente, a differenza di quella orchesca. La maggioranza delle ombre dalla parte orchesca sono state sterminate, mentre dalla parte elfica formano una difesa compatta capitanata da Alexandra.
Quando la fenice cade, come descritto dal post, sul campo di battaglia compare Chevalier, messo in una posizione quasi che egli stesse letteralmente divorando i resti della stessa. Il golem, invisibile a tutti, ha il solo e semplice incarico di avvertire Tristan (decisione presa in base alle vostre azioni sul campo) dell'imminente attacco di Ray che dal sole nero, lascerà dipanare in tutta l'area circostante, come delle vibrazioni nell'area. Si tratta di una serie molto fitta di lame d'ombra, capaci di sbriciolare o tagliare qualunque cosa si trovi sul loro cammino. La potenza dell'attacco consiste in 4 Critici che seguiranno a distanza di qualche secondo l'uno dall'altro ( Riguardo questo particolare, pensate indicativamente a 20-30 secondi l'uno dall'altro). L'elemento è ombra, e malgrado l'estetica voglia che ogni attacco sia un'insieme caotico di ombre, l'idea giusta per comprenderne la potenza è quella di pensare ad una sola lama critica, di elemento ombra, che piomba dall'altro e affetta ciò che trova sul suo cammino. Lo sciame di lame colpirà indiscriminatamente amici e nemici. L'unica differenza è che gli orchi hanno alle spalle il maniero e la preventiva visione di Tristan. Con un tempestivo segnale ed una tempestiva risposta è possibile salvare l'esercito. La parte degli elfi invece è nettamente svantaggiata. Le forze sono disperse e non hanno punti di riparo. Oltre a questo, non sarà possibile (per coerenza) notare l'attacco di Ray se non per reazione al possibile ritirarsi delle truppe orchesche e, in ogni caso, dopo il primo critico. Coloro che sono all'interno della barriera elfica riusciranno a resistere. Tutti gli altri dovranno subirlo in pieno.
Nel caso degli orchi, privi in questo istante di difese magiche, le rovine e chi è al suo interno resisteranno a due Critici, offrendo però solo un riparo Medio e Medio per quanto riguarda i due attacchi successivi.
Per gli elfi, come già detto la barriera offrirà protezione solo per il primo attacco, e solo per chi è al suo interno. Costruttori ed eventuali reparti gettatisi in avanti dovranno escogitare qualcosa per rimanersene sani e salvi. Essendo disseminati sul campo in modo molto meno compatto degli orchi, raggruppati nelle rovine, gli elfi dovranno necessariamente trovare un modo per coprire le più ampie distanze del campo di battaglia. Ricordo che, se non neutralizzati, Giganti e Barbari continueranno a fare il loro lavoro trovandosi, a rigor di logica, all'interno della barriera.

Nel particolare.
Shakan, rimasto per tutto il tempo sulla fenice, riceve un danno pari a Critico. Oltre a questo, nell'attimo in cui essa viene tagliata a metà, precipita direttamente dinnanzi a Rekla, al suo Dono e ai membri della sua scorta.
Viktor si trova nel bel mezzo della battaglia costruttori vs assassini. Avendo sparato il colpo di pistola ed in generale essendosi fatto notare, 3 costruttori di girano verso di lui e lo attaccano. Il golem di Viktor viene tagliato insieme alla Fenice.
Finnegan, trovandosi direttamente all'interno della barriera orchesca, si trova dinnanzi Bara-Katal. Difficile non capire che il comandante se ne fosse rimasto nelle retrovie proprio per una situazione del genere. Sarà comunque un uno vs uno senza interventi da parte di qualunque altro orco o del Custode, diversamente impegnato a fronteggiare i pelleverde. Le mosse di Bara-katal sono di sdoppiarsi, fare attaccare fisicamente Finnegan dalla copia, utilizzare la tecnica inferno di lame e poi attaccare lui stesso fisicamente.
CITAZIONE
Die sterk eet die swak :Questa, insieme a "Meubels geruïneer deur die lug" e "Die heilige sentrum is ons wapenrusting" è la tecnica che senza ombra di dubbio ha reso Bara-Katal più in vista agli occhi dei propri superiori rispetto ai suoi commilitoni - ed una delle mosse più temibili di cui può disporre nel corso del combattimento. Per quanto infatti la sua forza sia leggendaria, la sua resistenza persino maggiore e i suoi poteri incredibili, come reagirebbero gli avversari sapendo di non dover affrontare l'Hoëpriester soltanto, ma una vera e propria di gemelli in perfetta sintonia, in grado di tenere impegnato qualsiasi avversario sia in corpo a corpo che sulla distanza, contemporaneamente? Spendendo un consumo pari a Critico, Bara-Katal è infatti in grado di creare una perfetta copia di se stesso, seppur coperto di una pesante armatura nera, che avrà la valenza di una vera e propria armatura completa. Tale copia potrà disporre di tutte le caratteristiche fisiche di Bara-Katal, di tutte le sue tecniche e di un'energia totale pari al 50% delle energie attuali del suo portatore al momento del cast (prima di sottrarre il consumo dovuto all'invocazione stessa). Potrà castare normalmente e condividerà con l'evocatore sensi e pensieri - venendo a formare con lui un'accoppiata invincibile. Sarà incapace di parlare e andrà trattato come una normale evocazione, dunque non autoconclusivamente. Al termine dei due turni di durata della tecnica la copia svanirà nel nulla e tutte le energie da lei consumate, nonché tutte le ferite da lei riportate, si ripercuoteranno sul corpo di Bara-Katal, lasciandolo pressoché indifeso. { 4/7 }.

Wie wil vrede voor te berei vir die oorlog: Di tutti gli Hoëpriester, Bara-Katal è l'unico che può disporre a piacimento della particolare e inusuale capacità di poter richiamare in qualsiasi momento le armi dell'arsenale di Gruumsh stesso da utilizzare durante il combattimento - un arsenale infinito che, secondo le leggende, contiene anche alcuni degli artefatti più potenti al mondo. Nel particolare, l'Hoëpriester è riuscito a canalizzare questo potere in incanti di particolare efficacia, in grado di sorprendere i nemici e permettendo all'orco di poterli combattere anche quando si tengono forzatamente a distanza da lui. Spendendo un consumo pari ad Alto, infatti, Bara-Katal sarà in grado di evocare delle lame dal terreno sotto di lui, perché fungano da difesa o da offesa a seconda delle necessità: nel primo caso, le spade si piegheranno di piatto e formeranno un gigantesco muro innanzi a lui, in grado di sopportare persino gli attacchi più pesanti. Nel secondo, invece, le lame disegneranno un percorso dai suoi piedi fino a quelli dell'avversario e lì, sotto di lui, erutteranno in un gargantuesco fiore d'acciaio: un'esplosione di acciaio tagliente e scintillante, che procederà verso l'alto crescendo e ramificandosi a incredibile rapidità, nel tentativo di imprigionare e lacerare il malcapitato avversario che s'è trovato a subire il colpo { pergamene inferno di lame e barriera di lame }.

Per chiarezza.
Shakan, Rekla e Viktor sono all'esterno delle barriere.
Tristan e Finnegan sono vicini alle rovine.
Alexandra è all'interno della barriera elfica.

Tatuatori, Giganti e Barbari sono all'interno della barriera elfica.
Goblinoidi, Ogre, Bugbear (i pochi rimanenti), novizi ( i pochi rimanenti), fiori recisi (i pochi rimanenti) e cadetti sono al di fuori dalla barriera elfica, nel bel mezzo del campo.
Assassini (i pochi rimanenti), Costruttori e Animali famigli sono vicini alle rovine.

I tempi di risposta sono i medesimi: 4 giorni più due di proroga. Per errori, dimenticanze, fraintendimenti e simili chiedete pure.


Edited by Eitinel - 15/9/2011, 15:36
 
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Tristàn Cousland
view post Posted on 18/9/2011, 23:01




THE H E R O


But there i was, on battleground,
Until I felt the jaws of death cut into my flesh.
Defending old and weak, but I did not retreat.
Now, here I lie in my own blood,
And strangers cry for me.
I'm prepared to meet the Gods, I wish they'd let me be.
I don't deserve their sympathy,
I know who I am.
My soul is death and misery: I am an evil man.
I rest in my blood, soon I will face the Gods.
Show no sympathy, shed no tears for me!

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Beata ignoranza.
L'ignoranza si tramutava in forza, in fiducia.
Era proprio la più cieca ignoranza a spingere Tristàn a combattere con tanto accanimento.
Era il suo ingenuo non sapere che lo spronava a voler vincere quella guerra sul campo di battaglia.
(Non avrebbe permesso una seconda Ostagar, non sarebbe stato tormentato da altri fantasmi).
Era il suo retaggio di cavaliere - e non di politicante - che gli infondeva la sicurezza che sarebbe bastato sgominare l'esercito dell'Asgradel per portare a casa la vittoria.
Era un uomo d'arme, indossava armature e spade, non impugnava menzogne e doppi giocchi, non era pratico dell'arte dell'inganno e del tradimento, non avevo nemmeno preso in considerazione l'eventualità che terzi avrebbero potuto sfruttare tale occasione, tale inferno, tale Apocalisse come scorciatoia per raggiungere i propri obiettivi.
Certo, non ignorava che la reale battaglia riguardava solo l'Asgradel e il Sovrano, sapeva che tutti loro erano delle pedine nelle loro mani, tuttavia mai si sarebbe ritrovato a pensare che vi fossero attori che si muovevano attivamente alle spalle di tutti.
Inquadrava il tutto come un singolo duello tra due giganti spadaccini, con armi fatte di migliaia di orchi ed elfi, senza calcolare la possibilità che vi fossero subdoli arcieri e pericolose trappole nascoste nell'ombra, lontane dallo spiazzo di terra dove i due colossi si contendevano il dominio su quelle terre e il diritto alla sopravvivenza.
Ignorava completamente ogni intrigo, ogni sottile tela che terzi avevano tessuto alle spalle di tutti loro, ogni speculazione che avevano ideato riguardo il risultato di quella guerra.
Se avesse anche solo potuto immaginare la quantità di menzogne che saturavano l'aria, probabilmente avrebbe voltato le spalle a tutti e avrebbe fatto ritorno al Goryo, indignato e carico d'odio. Odio verso chiunque.
Non avrebbe mai tollerato che l'arte della guerra venisse così schifosamente deturpata dagli intrighi politici.
Già la Fenice che portava distruzione e morte dal cielo era stato un colpo scorretto da parte dell'Asgradel, troppo codardo per affrontare in campo aperto le soverchianti forze del Leviatano.
Una mostruosità del genere, partorita dalle stesse, ardenti, putrescenti viscere dell'Inferno non avrebbero mai dovuto liberarla. Il timore per sè e per cooro che lo circondavano scosse il cavaliere, il quale vide vanificati senza alcun successo tutti i tentativi mossi contro la bestia, troppo orgogliosa, troppo fiera, troppo fottutamente potente per essere abbattuta da mano umana.
Avevano tentato e avevano fallito, nulla più potevano. Certamente non sarebbero morti senza combattere, ma aveva perso ogni illusione di poterla uccidere senza l'aiuto di Ray stesso, il quale ancora non aveva dato alcun segno a coloro che stavano morendo per la sua causa.
Un boato colossale attirò la sua attenzione, distogliendolo da un rompicapo apparentemente senza soluzione.
Senza che nessuno potesse far nulla, con la potenza di un ciclone, un manipolo di elfi, supportati da uno spettro e da un drago, irruppero tra le linee del Custode Grigio, portando confusione e devastazione. Gli orchi però non erano esseri umani, erano creature prive di paura, che non conoscevano il terrore, non dinnanzi a qualcosa che avrebbero potuto mutilare con le loro armi.
Gli elfi stavano tentando una sortita nel campo orchesco. Pazzi, folli, poveri ed inutili martiri.
Un azione del genere, se non supportata massicciamente dal resto dell'esercito, non avrebbe portato loro alcun vantaggio.
Suicidi accecati dalla brama di sangue.
Imprecò a gran voce, maledicendo quel giorno. Cominciava a stancarsi, la situazione continuava a peggiorare sempre di più. Cos'avrebbero dovuto affrontare da lì a mezz'ora? Un'orda di giganti? Uno schieramento compatto di basilischi? Quale altro sortilegio sarebbe stato loro inviato contro?
Quanto ancora sarebbe durata quella tragedia?
Sputò per terra in segno di disprezzo e, con una freddezza che non gli apparteneva, afferrò un giavellotto, raccogliendolo da un orco caduto proprio accanto a lui: la soppesò e la scagliò contro il primo degli assalitori, il primo che si mostrò. La punta in ferro, con un sonoro crack lo colse al centro della fronte; il corpo, privo di vita, venne trascinato di diversi metri sotto l'effetto del lancio, ricadendo ai piedi del grosso degli inaspettati assalitori.
Estrasse nuovamente la spada, deciso a neutralizzare quella sortita prima che potesse tramutarsi in un vero e proprio attacco alle retrovie dell'esercito. Non avrebbe permesso che i soldati venissero chiusi in una morsa a tenaglia: avrebbero spezzato l'accerchiamento, aprendo la strada ad una possibile - e del tutto insperata - ritirata.
Con prontezza, chiamò a sè tutti gli orchi nelle vicinanze, compresi alcuni comandanti.
Imperiosa si levò la sua voce nell'aria, grondante di autorità, l'opposto di quella che tante volte aveva sentito la sua Morrigan.
Aveva amato con passione; avrebbe combattuto con altrettanta dedizione.
Non si sarebbe fatto prendere alla sprovvista come il resto dell'esercito. Avrebbe fermato la sortita elfica, guidata da un misterioso cavaliere; non avrebbe permesso loro di colpire il resto dello schieramento alle spalle. Avrebbe spezzato la loro avanzata.
Draghi o non draghi.
Vedendolo apparire dal niente, incitò gli orchi, sbraitò contro di loro dicendogli di armarsi di picche, spiegando che quelle bestie potevano essere abbattute. In cuor suo non provava più timore: non era il primo che vedeva e con cui si trovava a scontrarsi.
Spaccò di netto il cranio di due orecchie a punta che si scagliarono, privi di coordinazione e guidati esclusivamente dalla rabbia, macchiando la parte finale di Dumat con il loro vermiglio sangue.
I due piccoli contingenti si scontrarono, scudi vennero spezzati, ossa vennero rotte.
Si preparava a caricare assieme alle truppe che lo circondavano quando un avvenimento straordinario lo fulminò.
Non aveva mai assistito ad una scena tanto incredibile.
Il gigante Hoggar, riuscendo dove loro avevano fallito, tranciò di netto la Fenice, spezzando il corpo in due parti distinte: morì prim'ancora di toccare terra.
Si lasciò andare una risata isterica, a malapena udibile da coloro che lo circondavano e che già si battevano strenuamente con gli assalitori, stringendo ancor più saldamente l'impugnatura della spada.
Guardò ancora una volta il corpo della bestia, prima tanto imponente e maestosa, ora ridotta ad una carcassa, a cibo per i vermi, bersaglio di sciacalli e predatori che sarebbero giunti in quella piana che sarebbe divenuta una necropoli a cielo aperto.
Qualcosa attirò la sua attenzione; impossibile non essere catturati da quella visione.
Una nuova figura sembrava essere emersa dalle viscere in putrefazione della leggendaria creatura.
Non si gettò nella mischia, non si confuse alla sporca marmaglia di elfi e orchi che ora si fronteggiavano, non portò aiuto a Bara-Katal, il quale coraggiosamente stava affrontando il cavaliere piombato dal nulla con tanto di spettri e draghi.
(Da dov'era spuntato Bara-Katal? Non l'aveva visto giungere, ma gioì per tale azione: la sua presenza avrebbe certamente sollevato il morale delle truppe).
Incontrò il suo sguardo e realizzò che era lui il prescelto.
Il suo mondo si fermò, si congelò letteralmente. I suoi pensieri abbandonarono il suo corpo.
Non vi fu più una battaglia in corso, le grida dei feriti scomparvero nel nulla, come fossero stati finiti istantaneamente.
Nulla più importava, le sorti della guerra, il destino di Rekla e Viktor, niente. Un assoluto nulla.
Al centro del quale vi era Chevalier. O meglio, un maestoso golem che, dai racconti che aveva udito quando, mesi prima, aveva raccolto informazioni su Ray, doveva portare quel nome. Infatti, se non era riuscito a trovare dati certi sul Re, erano stati in diversi a raccontare del suo mostruoso sgherro.
Non si accorse degli orchi che gli sciamavano attorno, diretti a portare aiuto al loro comandante, così come il colosso non badò alla battaglia che infuriava ai suoi piedi. Il mondo li sfiorava entrambi senza però osare spezzare il loro legame visivo.
Due spiriti eterei immersi in un caos di sangue ed ossa.
Si perse nel fiume in piena delle due orbite vuote. Vuote, ma più significative che mai.
Fece sua l'apparente apatia del costrutto, macchina piegata al volere del Dio.
Seguì il suo movimento, fissando a sua volta il nero sole che, minaccioso, osservava il dramma che si stava compiendo sulla terra sottostante. Per un istante gli sembrò di percepire qualcosa, gli sembrò che avrebbe inghiottito il mondo intero, che avrebbe raso al suolo quel teatrino di guerra e morte così insignificante al suo cospetto.
Poi, scomparve nel niente. Dal nulla era arrivato e nel nulla era tornato.
Una fugace apparizione, un silenzioso avvertimento, a lui, il prescelto della nuova Divinità.
Il ringhio disumano e gutturale di un orco, il quale spaccò di netto il cranio di un elfo, lo riportò alla realtà.
Un brivido gli attraversò il corpo, facendogli ritrovare la sensibilità - prima perduta - degli arti.
Sbigottito si guardò attorno, notando che nulla era mutato, che i combattimenti proseguivano senza sosta.
Si chiese per quanto tempo fosse rimasto in quella sorta di trance mistica, senza riuscire però a rispondersi.
Solo a quel punto, Tristàn, realizzò con disarmante angoscia il motivo della sua venuta.
Chevalier era venuto ad avvisarlo.
Non poteva neanche immaginare riguardo a cosa, ma era certo - certo come mai lo era stato in precedenza nella sua vita - che una sciagura dalle immani proporzioni si sarebbe abbattuta su tutti loro.
La punizione divina che non avrebbe risparmiato nessuno, nè nemici, nè alleati.
Lui però, lui solo, lui, lui, lui... lui sarebbe stato un eroe.
Lui, bardato nella sua scintillante armatura, come un faro nell'oscurità delle tenebre più cupe.
Lui li avrebbe salvati tutti. Tutti. Specie coloro che condividevano la sua causa.
Ancora una volta era stato chiamato a ribaltare le sorti disperate di una guerra.
Aveva salvato il Ferelden dalla rovina e ora avrebbe salvato l'esercito del Sovrano.
Quando il sole sarebbe scomparso, sarebbe stato l'Eroe del Tramonto.
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L'eroe del Ferelden e del Tramonto. L'uomo dei due mondi. Il salvatore di uomini e di orchi.
Non aveva idea di cosa sarebbe accaduto, di quale mezzo si sarebbe avvalso Ray per manifestarsi, tuttavia non aveva dubbi sul fatto che avrebbe dovuto far ritirare l'intero esercito. Le rovine in mezzo alle quali si trovava avrebbero fornito la giusta protezione a tutti. O almeno avrebbero attutito le funeste conseguenze.
Slegò dal fianco il corno in avorio che sempre aveva portato con sè, sin dalla battaglia di Ostagar, lo stesso che aveva utilizzato Duncan per suonare la ritirata quando l'esito dello scontro - a causa del mancato supporto e del tradimento di Loghain - si era palesato come a loro sfavorevole.
Trasse una lunga boccata d'aria, dilatando i polmoni al loro massimo.
Poi soffiò nell'olifante. Un suono maestoso, aggressivo, imponente come le zanne della bestia da cui era stato ricavato, si diffuse nella vallata, abbracciando tutti indiscriminatamente, elfi ed orchi, vivi e morti, feriti ed illesi.
Le onde sonore, invisibili ed intangibili, tuttavia presenti, vive, trafissero chiunque.
«RITIRATEVI!»
Un urlo disumano, lanciato con febbrile nervosismo - dubitava che l'avrebbero udito anche coloro più lontani.
L'esercito del Sovrano si arrestò, ondeggiò e si placò. Tranne alcuni, tutti si fermarono.
Orchi, goblin, troll e qualsiasi altra aberrazione, ferma sul posto, si guardò attorno con sguardo intontito, cercando una riposta al suono di quel corno. Nessuno si mosse, non fino a quando i comandanti presenti sul campo di battaglia stesso ordinarono la ritirata. Nessuno, ad eccezione di Tristàn, sembrò comprenderne il motivo. Perchè proprio ora che la fenice era stata abbattuta? Perchè ora che il possente Hoggar, titano tra i comuni mortali, falciava orde ed orde di elfi? Perchè fermarsi ad un passo dalla gloria?
Non compresero, ma obbedirono, non volendo andare contro a colui che credevano l'emissario di Gruumsh.
Fecero dietro front e presero a correre verso le retrovie, lasciando solo coloro che avevano costituito l'avanguardia a retrocedere più lentamente: questa aveva il compito di restare voltata verso il nemico, con gli scudi alti, così da impedire ai tiratori elfici di trovare le facili carni delle schiene degli orchi.
La terra tremò al loro passaggio, un crescente sferragliare metallico si diffuse tutt'attorno.
«Bara-Katal, muoviamoci, non c'è più tempo!»
Esplose nella direzione del più possente degli orchi, il quale sembrò però non udirlo, tanto impegnato ad affrontare lo sconosciuto cavaliere. Le ultime file dell'esercito - ora divenute le prime - stavano già procedendo sicure verso le costruzioni più vicine, ignare di ciò che le avrebbe travolte, guidate esclusivamente dall'istinto di sopravvivenza.
Tristàn stesso, assieme agli arcieri, ad alcuni Hoepriester e agli orchi riusciti a disimpegnarsi dagli elfi che avevano teso la sortita, rientrò nella torre diroccata. Rimase al lato della porta urlando avvertimenti a squarcia gola finchè non vide qualcosa piovere dallo stesso Nero Sole. Rientrò e sbarrò con un asse - aiutato da un paio di orchi - l'entrata.
Si trovavano nel salone principale, in parziale oscurità - spezzata esclusivamente dalla luce che filtrava dalle finestrelle - circondati da pezzi di mobiglio distrutti e chili e chili di polvere. La puzza di chiuso era nauseabonda, specie se fusa a quella della decomposizione: alcuni feriti, infatti, erano stati trascinati lì dentro dai compagni più altruisti.
Nessuno pronunciò parola, nessuno ruppe l'agghiacciante silenzio che calò tra i presenti.
Solo dei fortissimi impatti contro i piani superiori del loro rifugio d'emergenza accompagnarono quei minuti di tensione.
Il Custode, come molti altri, si accasciò contro un muro, prendendosi la testa tra le mani.
Non capiva. Non capiva. Non capiva.
Non poteva capire perchè Ray stesse attaccando anche loro. Non era un'idiota, sapeva che ancora molti Pelleverde non dovevano essere riusciti a trovare un riparo: perchè quindi non aveva atteso, non aveva avvisato tutti, o, più semplicemente, perchè non aveva seminato morte e distruzione esclusivamente sulla porzione di terreno che occupavano le divisioni dell'Asgradel?
Un'ultima, sonora esplosione, sancì la fine della seconda tornata di bombardamenti.
L'intonaco era crollato, sbriciolandosi, in più punti, così come molte altre porzioni di soffitto. Delle colonne erano crollate e l'edificio sembrava aver perso gran parte della sua stabilità.
Non potevano restare lì dentro. Tra i due mali, sarebbe stato preferibile il morire all'esterno anzichè schiacciati come ratti in trappola sotto quintali di macerie.
«Usciamo! Non reggerà ancora a lungo! Presto, presto!»
Ordinò a gran voce, volendo evitare che tutti finissero schiacciati dall'ormai imminente crollo.
Lo spettacolo che lo accolse quando aprì il portone e tornò dove fino a poco prima era stato, lo impressionò moltissimo, benchè vi fosse - tristemente - abituato.
Sangue. Sangue. Sangue.
Ossa come bianchi bastoni spezzati. Tendini come corde biancastre che si tendono sotto la pelle che si fende, tagliata in più punti da lame indefinite. Echi di grida di corpi lacerati, mutilati, di vite spezzate, di parole rimaste in gola, morti prima di averle potute pronunciare.
Si perse nel vuoto, col morale a pezzi, del tutto incredulo.
Una maschera inorridita sostituì il bel volto sotto l'elmo.
Ray come aveva potuto attaccare il suo stesso esercito con tanta violenza?
«Um... umano.... finisci... finisci me...»
Una voce cavernosa e interrotta dai gemiti lo riportò alla realtà.
Un Pelleverde mutilato - al posto delle game, due moncherini sanguinolenti, il braccio destro staccato di netto, un taglio preciso all'altezza della spalla - agonizzava ai suoi piedi: probabilmente non era riuscito ad entrare nella torre per un misero secondo. Solo un secondo in più e sarebbe stato ancora in vita.
La cassa toracica era squartata in più punti, il ventre solcato da un profondo taglio dal quale era fuoriuscito parte dell'intestino.
Meccanicamente e sforzandosi di restare impassibile, non volendo mostrare all'orco alcun segno di compassione, calò la punta della lama sul suo collo, uccidendolo all'istante. Sapeva che egli non avrebbe voluto la sua pietà, che sarebbe stata un umiliazione troppo grande.
Trasportato dalla necessità di trovare riparo, continuo a correre verso i resti del Maniero; fu allora che vide, a poca distanza, gli altri due generali, coloro con cui si era immerso in quella follia collettiva.
Doveva raggiungerli. Allora più che mai, col mondo che crollava a pezzi, ritrovare l'unione era di vitale importanza. Le possibilità di sopravvivenza, se fossero rimasti uniti, sarebbero vertiginosamente aumentate.
Partì di buon passo, ignorando tutto il resto, cercando di mantenere un contatto visivo con i due umani, i quali a fatica si distinguevano, coperti dalle larghe spalle corazzate degli orchi. Solo grazie alla sua imponente statura potè non perderli.
Non fu però abbastanza veloce. Ancora una ventina di metri e sarebbe arrivato...
Arrestò la corsa, conscio che non li avrebbe raggiunti in tempo, non prima che quella, terza, maledetta scarica di oscurità li travolgesse tutti. Gli sciamani rimasti tentarono di creare una barriera, tuttavia Tristàn dubitava avrebbe resistito a lungo.
Guardò in alto e vide il sole piangere, vomitare altre manifestazioni del suo odio. Si piegò in avanti, portando gli avambracci sulla testa, proteggendo la stessa ed esponendo la schiena, avvolta nello spesso metallo, alla fausta minaccia. I muscoli del suo corpo si gonfiarono a dismisura, mettendo in risalto cicatrici e vene, il fisico divenne spesso come il migliore degli scudi.
Non più pelle e carne, bensì acciacio.
L'impatto giunse con terribile violenza, come aveva pronosticato.
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MA NON SAREBBE MORTO. NON UCCISO DA COLUI CUI AVEVA DONATO LA SUA SPADA.
Crollò in ginocchio, perdendo per un istante ogni forza, serrando la mascella nel disperato gesto di trattenere un urlo di puro dolore. L'armatura e la sua pelle avevano fatto un buon lavoro salvandolo, tuttavia alcune schegge di ombre erano penetrate nella schiena, aprendogli diverse ferite su di esse, dal quale prese timidamente a sgorgare del sangue. In un gesto d'impotenza spalancò le labbra, tossendo sangue sull'arida terra. Utilizzò la spada come fosse un bastone, rimettendosi in piedi e ritrovando buona parte delle energie. L'adrenalina che scorreva fuoriosa in lui non gli avrebbe permesso di perire come un cane, in mezzo ad estranei che però si obbligava a chiamare compagni.
Fu allora che con la coda dell'occhio vide nascere dalle pieghe della realtà una cloaca di ossa d'avorio, le quali si intrecciarono come le parti di una cotta di maglia, formando una barriera contro il cielo, una metaforica divisione tra il pianto del Dio e la sciagurata umanità.
In senso pratico, l'evocatore - probabilmente lo stesso Viktor - stava salvando tutti da un nuovo, possibile attacco.
Prese a correre come avesse avuto la Morte alle calcagna, spintonando il fiume di orchi che, come lui, tentava disperatamente di raggiungere il tetto di ossa. Era nervoso come mai: il fatto di non sapere in che preciso istante sarebbe giunta la nuova scarica rendeva ogni istante prezioso e indispensabile.
La raggiunse, arrancando, un paio di secondi prima che la nuova ondata di ombre investisse il campo di battaglia.
Incurante delle ferite, si lanciò in avanti con tutto il suo peso, ruotando in aria e posizionando la spalla destra verso il terreno: atterrò su di essa in mezzo ai Pelleverde, vedendo a poca distanza Rekla e Viktor.
Si era salvato dall'Apocalisse, per il momento.
Il suo animo era però ora sconvolto dall'incertezza: davvero era stato così folle da mettere la sua spada al servizio di un Sovrano tanto iniquo e menefreghista, che non aveva esitato a massacrare il suo stesso esercito pur di infliggere enormi perdite al nemico?
Il fine giustificava davvero i mezzi?
Cos'altro sarebbe stato pronto a sacrificare pur di raggiungere il suo scopo?
Non volle saperlo.



[ReC 275] [AeV 275] [PerF 325] [PerM 325] [CaeM 700]
[Basso. 2%] [Medio. 6%] [Alto. 15%] [Critico. 33%]
[Energia. 100%]

Status Fisico: Danno Medio alla schiena.
Energia Totale: 100%
Energia Utilizzata: 33%
Energia Restante: 42%

Abilità Passive
    ¬L'essenza di un Custode.
    ± Di tutte le razze, i mezzi demoni sono senz'altro quelli più denigrati, allontanati e scacciati di tutti. Proprio per questo, quindi, hanno dovuto imparare a cavarsela da soli e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. A forza di crescere in questo modo, i mezzi demoni si sono abituati a gente che tenta di intimorirli, minacciarli o irretirli e hanno sviluppato quella che potrebbe definirsi una particolare "Abilità razziale". Sono infatti parzialmente immuni alle influenze psicologiche. Non a tutte, si intende, altrimenti risulterebbero atoni e privi d'emozioni, ma senz'altro, a differenza di tutte le altre razze, si lasciano intimorire meno facilmente e persuadere con notevole difficoltà. Il timore provocato dalla vista di demoni o angeli, ad esempio, non avrà su di loro effetto. Sensazioni profonde come forti paure, o tanto grandi, però, avranno comunque effetto. Quest'abilità è una normale difesa psionica di livello passivo.
    ± Con la sicurezza migliora anche il controllo delle proprie capacità combattive; fino a quando il possessore di questo dominio riuscirà a mantenere il sangue freddo e a non lasciarsi prendere dall'ira - o da altre sensazioni che finirebbero con il turbarlo - il suo valore di CaeM risulterà raddoppiato. Questo non influirà nelle sue doti di tiratore ma lo renderà estremamente abile in ogni genere di schivata, affondo o anche nel disarmare il proprio avversario. Chiunque apprenda questa disciplina di scherma risulterà essere un combattete eccezionale e ogni suo duello sarà un vero spettacolo in quanto a grazia e maestria.
    ± Non sempre però la grazia nei movimenti e le abilità di schermidore possono contrastare la forza bruta; cercare di disarmare o anche solo contrastare un bestione di più di due metri con una spada dalle dimensioni più simili a quella di una trave di ferro risulta spesso una missione disperata anche per il combattente più abile. Questo però non vale per coloro che sono diventati sempre più abili in questo stile di combattimento; una delle ultime lezioni impartite dai maestri consiste appunto nel focalizzare la propria calma e il proprio sangue freddo per riuscire a contrastare anche il più forte degli avversari. Fino a quando il possessore del dominio non si lascerà prendere dall'ira o non si lascerà turbare ogni colpo portato con la sua spada conterà come una tecnica di livello basso rendendolo quindi superiore a qualsiasi colpo portato da avversari anche enormemente più forti di lui.
    ± Questa pergamena non conta come una vera e propria tecnica, quanto come un'abilità passiva. Aumenterà infatti i "ReC" del personaggio di 50 punti, diminuendone però i "PeRf" di 25. Esternamente non vi saranno cambiamenti, e il guerriero apparirà come quello di sempre, anche se le sue capacità di concentrazione e i suoi riflessi saranno nettamente aumentati, a discapito di un leggero indebolimento fisico.La tecnica sarà sempre attiva e non avrà un consumo. Un ulteriore vantaggio è quello di permettere al guerriero di poter combattere anche una volta raggiunto il 10% delle energie, senza svenire. Un personaggio normale, infatti, trovatisi con poca energia o nulla, si sentirà spossato o comunque non in grado di combattere. Un guerriero con questa tecnica, invece, potrà tranquillamente continuare ad avanzare, quasi senza sentire la fatica, pur senza più poter utilizzare tecniche che comportano un dispendio energetico, che lo porterebbero alla morte.

Tecniche Utilizzate
    Runa della Difesa - Basilare ed efficace tecnica difensiva. Quest'abilità ha salvato più volte la vita a Tristàn, il quale è così riuscito ad opporsi anche alle offensive peggiori, restando saldo come una roccia. Il guerriero è in grado di rendere il proprio corpo duro come il ferro, o il più resistente degli acciai. La tecnica può durare diversi secondi, e non richiede né di particolari tempi di concentrazione, né di particolari imposizioni delle mani. Durante l'attuazione non ci si può muovere. Utilissima per bloccare qualsiasi tipo di attacco. La tecnica non va considerata come un power up alla propria resistenza fisica, bensì come una difesa a 360° di livello Alto. Questa tecnica basa la propria potenza sulla PeRf del possessore, e non sulla sua PeRm. [consumo Critico]

Note
Più si va avanti e più tutto diventa complesso.
Post abbastanza sottotono; scusatemi ma alcuni accadimenti in real mi stanno mettendo un nervoso incredibile addosso.
Ma passiamo alla spiegazione delle azioni di Tristàn:

-Grazie alla visione di Chevalier, intuisce che sarebbe accaduto qualcosa di terribile.
-Suona così la ritirata.
-Rientra nella torre in cui si trovava all'inizio assieme ad altri orchi e così resistono ai primi due Critici.
-Vedendo la torre in procinto di crollare, esce e vede gli sciamani sollevare barriere verso il cielo - ed ecco spiegata On GdR la riduzione di Medio e Medio ai due successivi Critic.
-Si difende con una difesa a 360° gradi di livello Critico, annullando l'Alto e subendo il Medio.
-Corre verso la barriera di ossa creata da Viktor a livello Critico - non sono assolutamente stato autoconclusivo, poichè ci siam messi d'accordo su come agire - e mi salvo dall'ultimo Alto + Medio.

Spero di non aver commesso errori.
 
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Lenny.
view post Posted on 19/9/2011, 09:21








Un'unica piovra di massacro, avvolta dal livore delle esalazioni. Corpi cadevano, alcuni cercavano di rialzarsi, pochi ci riuscirono. Due tigri dilaniarono il medesimo soldato invisibile a occhio umano – ma non a fiuto animale - mentre fendenti, affondi, falciate infuriavano nel nuovo campo di massacro.
Sopra tutto questo, in mezzo a tutto questo, l'eco di un corno da guerra riecheggiava profondo e cupo come se provenisse da chissà quale abisso. Il segnale della ritirata?

Viktor fu costretto ad ignorarlo. Smontò da cavallo nell’esatto istante in cui, alle sue spalle, lo raggiunse il fiato corto dei due grossi soldati di scorta, reduci di una corsa a perdifiato dietro il galoppo del loro generale.
« Armi in pugno, mocciosi » abbaiò il Beccaio, ricaricando la Eiserne Wache. Lo scatto secco del colpo all’interno del cane parve il preludio al nuovo, rosso sterminio. « Il tempo dei giochi è finito. »
Un essere grottescamente tagliato in due arrancava sulla terra rossa, lasciandosi dietro una scia di viscere.. Sangue, viscere. Altre urla, nessuna umana. Note lamentose di morte.
Altre sagome avanzavano dalla piovra di massacro. Sagome umane armate di fruste e spade storte. Sagome ferine sbavanti, ringhianti. Tre uomini che scoppiavano di muscoli all’interno dei loro corti vestiti – eppure costretti a impallidire dinanzi alla stazza mastodontica dei suoi due soldati – fiancheggiati da una tigre, un lupo, un orso.
Come rispondendo a un ordine mai scandito, i due soldati di scorta si chiusero dinanzi al loro generale. Protezione, salvaguardia. Dopotutto, erano i meglio addestrati in tutto lo scompigliato esercito di Gruumsh.
« Tra poco.. » continuò mellifluo il Beccaio, sfilando un lungo stiletto in acciaio lavorato di Dresda dove sino a ochi istanti prima vi era la metà inferiore del suo innocuo bastone da passeggio, o verga di comando che dir si voglia. « ..sarà il tempo dell’Ecclesiaste. »
E su questa sentenza a loro incomprensibile, i due orchi si avventarono ad armi spiegate come randelli contro i sei nemici.

Viktor puntò la pistola da cavalleria pesante dritto contro il muso di una di quelle repellenti bestie.
Allineò il tiro.
Premette il grilletto.
BANG! Il lupo incassò in pieno collo un proiettile di piombo largo mezzo pollice. Sangue schizzò a ventaglio. La fiera si piegò, uggiolò dolorante, si accasciò al suolo. Lentamente, si rialzò.
E mentre i due soldati tenevano eroicamente testa a due uomini e due fiere, Viktor ricaricò la pistola.
Appena in tempo per scorgere l’assalto di uno dei nemici: con lo stiletto bloccò in ascendente traversa la spada in calante verticale del terzo selvaggio. Viktor arretrò, andò in guardia d’attacco, Coda lunga e stretta, vecchia scuola Meyer di combattimento a una sola lama. Il selvaggio si posizionò, guardia frontale, presa a due mani.
Il selvaggio si avventò, affondo di spada dritto alla testa. Viktor deviò: scintille schizzarono nell’aria nera. Il selvaggio attorcigliò un fendente obliquo. Viktor parò basso, risalì di traversa destra. Impatto: l’acciaio dello stiletto traccia un solco rosso sulla spalla destra del selvaggio.
Il selvaggio ringhiò. Rispose con un fendente a salire.
Viktor fluì sotto la lama.
Il selvaggio si sbilanciò: troppo impeto furioso in avanti. Viktor falciò, ascendente obliqua.
Il selvaggio roteò su se stesso. Vomitò un arco rosso. Sangue, e grumi solidi di sangue. Denti sradicati dalla lama dello stiletto. Perse la presa sulla spada.
Viktor mulinò il bastone-stiletto, lasciando disperdere schizzi ocra. Si preparò a colpire.

Movimento. Alla sua destra.
Viktor ne ebbe solo una vaga percezione.
Un enorme lupo dal collo sanguinante si avventò a fauci spalancate contro il Beccaio. Troppo rapido per essere evitato, troppo pesante per essere respinto: la fiera scaraventò Viktor di schiena contro il terreno, lasciandogli perdere la presa sul bastone. Gocce di bava rossastra colarono sul suo volto perplesso: il lupo torreggiava su di lui, pronto a sbranarlo.
La belva schioccò la lingua, scattò dritta verso il collo del Beccaio.
CLACK! I denti affilati come coltelli si chiusero sulla sua mancina. Perforarono ossa, tendini, nervi. Ma si bloccarono sul ferro. Sul ferro della Eiserne Wache, pistola da cavalleria pesante dei Falkenberg Korps.
Vikor ghignò. Anche il suo sogghigno era rosso. Tirò il grilletto.
BANG!
Il volto del lupo esplose. Anche tutto quello che vi era dietro esplose. Emulsioni rosse e grigiastre schizzarono dal buco d’uscita. Uno stillicidio cremisi colò sul volto del Beccaio, che ritrasse la mano ferita. Il lupo si accasciò al suolo, inerte.
Viktor fece per rialzarsi in piedi. Il selvaggio si era ripreso, lo sguardo furibondo puntato sul corpo devastato del suo compagno.
Viktor ripose la pistola in una falda del pastrano. Non sarebbe servita più. Non quando aveva in serbo qualcosa d’altro.

Sibilò nella battaglia.
Ombra screziata di tenebra contro terra cremisi.
Nessuno riuscì a scorgere, a distinguere.
L’ombra si disgregò. Un battito di ciglia, meno di un battito di ciglia.
L’ombra divenne molte ombre. Lame più sottili, più micidiali di quella originale. Raschianti, sibilanti anemoni della demolizione.
Viktor strinse gli occhi.
Quando capì, quando ciascun soldato di quella battaglia riuscì a capire, era ormai troppo tardi.
Impatto, impatti multipli: e impalamenti multipli. Soldati di Gruumsh crollarono, soldati di Neiru furono sventrati.
Gli uni e gli altri sparsero altro sangue nella terra di nessuno.
Viktor ebbe aveva avuto una visione frantumata della spada nera che, sorta nel nulla, aveva trapassato la sua anca destra. Perforazione quasi completa, per poi dissolversi nel nulla. Eppure continuava a stare in piedi. Sangue, altro sangue, colava dalla ferita.
« Tutto ciò.. » Viktor sentiva la bocca arida come sabbia. « ..non è possibile. »

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Strie di sangue come arabeschi maledetti anche sull'arto ferito.
Una folata di orchi feriti e spaventati fluì attorno a lui. Viktor non si voltò. Come se quella carica appartenesse a un mondo fantasma.
« Cos’è..» Viktor sentiva anche la gola arida. « ..che-cosa-è-questo? »
La terra di nessuno era disseminata di corpi.
Viktor scorse, tra i morti, una morente di sua conoscenza. Rekla Estgardel, algida puttana, si rialzava da terra, ferita anch’ella da quell’attacco micidiale. Viktor decise di seguirla, quasi zoppicando, sino all’ombra di un ammasso di macerie. Riparo utile, forse. Attorno a loro, ciò che restava dell’esercito del Re che non perde Mai si leccava le ferite.

Viktor si sentiva stravolto e frustrato, impietrito e impotente. Esterrefatto da una potenza tale da rudirre in frantumi due interi eserciti come nulla. Dinanzi a quel potere, i suoi erano..
«Arriva!» bofonchiò uno degli orchi, interrompendo i suoi pensieri.
La terra parve tremare di nuovo, portando altro scempio tra le file degli eserciti. Ombra in eruzione dall’epicentro della landa: altri corpi artigliavano il terreno, cercavano di trascinarsi verso le macerie. Un riparo, una difesa. Non le raggiunsero. Non le avrebbero mai raggiunte.
Su ambo i fronti, fu ancora un caotico massacro.
Le macerie vibrarono sotto una pioggia di colpi.
Resistettero.

Passarono i secondi della paura sotto l’orologio della tribolazione, e Viktor non sapeva se essere affascinato o intimorito dalle apocalittiche esplosioni oscure che avevano devastato ogni cosa e ogni essere nella terra di nessuno. Da dove proveniva quella forza? Dall’Asgradel, forse? Viktor ignorava ciò, e seppur ferito – abbastanza gravemente, tra l’altro – sapeva che l’unica cosa da fare era, per il momento, resistere, resistere, resistere.
E alla terza scarica immane persino le macerie, gracili barriere investite da un furore troppo primevo, troppo disumano, furono ridotte in polvere. Dardi e lame di tenebra penetrarono nella roccia, spuntarono da ogni dove dirette verso ogni corpo. Il Beccaio, ancora debole per le ferite ricevute, fu costretto a una difensiva estrema: il suo corpo si scompose in una miriade di festoni neri danzanti, volanti, gracchianti.
Corvi.
Uno stormo di corvi neri fluì nella tenebra, freddo e indifferente alla morte e all’agonia che lo circondava.
Pochi secondi dopo, appoggiata di schiena all’entrata del cunicolo di rovine, vi era la sagoma di un vecchio generale avvizzito dal tempo, dalle ferite, dalla fatica. Sul suo volto, un sorriso tetro come la morte. Stanco come la sconfitta.

« MOSTRATI AL TUO ESERCITO, RAY! »
La voce dell’algida puttana tuonò nel labirinto della demolizione. Ray?
Viktor si voltò di scatto appena udì quel nome. Ray? Era dunque lui il folle, demente responsabile di tutta quella morte, di tutta quella distruzione? Impossibile, mai il vecchio generale avrebbe attribuito tanta potenza a un essere tanto infimo, tanto meschino. La cosa non aveva senso, eppure..
Viktor tornò a osservare il campo di battaglia.
Eppure qualcosa gli diceva che quel viscido bastardo aveva qualcosa a che fare con tutto questo, se lo sentiva. Era bastato udire il nome del sovrano per far tornare a ribollire il sangue in corpo dalla frustrazione, era bastato pensare a lui come la Vera causa di tutto quello scempio per rinfocolare l’odio nel suo cuore e il fuoco nei suoi occhi e la tenebra nel suo spirito.

«Non osare fermarti, Rettile..» Viktor von Falkenberg scoprì i denti, levò le mani al cielo inesistente e all’eclissi oscura della terra di nessuno.
La terra pare tremare, mentre crepacci deformi rigurgitarono una fiumana di lunghe ossa dinanzi alla sagoma dell'Oberkommandierende: file di obeliscchi color antracite, piatti e ricurvi. Pilastri di morte altri decine e decine di metri circondarono le rovine, chiudendosi sopra l’intero esercito di Gruumsh. Una colossale cerchia grigiastra sorta dal nulla li circondò: le ossa si intersecarono sopra le teste di tutti loro, si serrarono in suture ramificate, scalene.
Puzzo di zolfo permeò l'aria ottenebrata della gabbia. Puzzo di cose obsolete, fetore di cose maledette.
«..colpisci, colpisci ancora! »
Tutti loro furono murati all’interno di quella enorme calotta cranica.
Protetti da Ray.
E intrappolati dal Beccaio.
«È il tuo sangue che voglio bere!»



SelfportraitwithDeath

Umano: Rec 325 ~ AeV 150 ~ PeRf 125~ PeRm 525 ~ CaeM 225
Demone: Rec 400 ~ AeV 100 ~ PeRf 100~ PeRm 850 ~ CaeM 150

~ Basso 1% ~ Medio 5% ~ Alto 13% ~ Immenso 29% ~

Energia residua: 68% -5% -29%= 34%
Status Fisico: Mancina perforata in più punti, perde sangue (Medio); lacerazione profonda lungo l'anca destra (Critico). Mano sinistra inutilizzabile. Costretto a zoppicare per muoversi.
Status Psicologico: Infuriato

Passive in uso
Ehrgeiz_ Possibilità di reincarnarsi dalle ombre in caso di morte (Immortalità).
Sakrileg_Mimetizzazione perfetta all'interno dell'ombra e dell'oscurità. / Percezione visiva perfetta al buio (se naturale)
Haftbefehl_Potenziamento dell'abilità attiva del dominio Metamagia.
Streben_Possibilità di usufruire di tre slot tecnica anzichè due, a patto che Viktor resti nella sua postazione.
Schrecken_Cognizione passiva di qualsivoglia illusione/ammaliamento operati in campo.
Certain burden_Considerevole invecchiamento estetico/Aura venefica che rinsecchisce e avvizzisce gli esseri viventi che lo circondano.
Achtung_Auspex passivo/Difesa da auspex passivi/Passiva psionica di timore nei riguardi di Falkenberg, se i personaggi vicini sono di energia inferiore alla sua.
Byl jednou jeden netvor bez jména_Nessuno può ricordarsi del vero nome del Beccaio, a meno che non sia lui stesso a desiderarlo.

Oggetti & A.Attive utilizzate



~ Schwarm__ _Perchè il prode ex generale Viktor von Falkenberg possiede l'oscura nomea di "Beccaio"? Una parte della risposta sta forse nei lineamenti del suo viso, approssimativamente riconducibili a quelli di un avvoltoio. O forse il motivo sta nella sua condotta, quella di un essere privo di qualunque forma di compassione o pietà verso qualsivoglia avversario. La condotta di un rapace. O forse per le esecrabili stragi di inermi che i suoi soldati hanno perpetrato a Dessau, ad Ossback, a Kolstaldt...Lista troppo lunga, troppo sanguinosa. Ebbene, in realtà la nomea di "Beccaio" è dovuta anche ad un solo e semplice motivo: al rapporto così stretto che Falkenberg opera con il maligno. Signore delle Tenebre, angelo oscuro portatore di morte, Viktor detiene un legame stretto anche con le creature dell'oscurità, i corvi. Figli di una entità maligna, uno stormo di corvi gracchianti potranno in qualsiasi momento venire evocati dall'Oberkommandierende allo scopo di lanciarsi contro i suoi avversari. Così da avvolgerli in un turbine di piume nere ottenebrando la loro vista, così da immergerli in un coro distorto di striduli gracchianti allo scopo di assordarli. Null'altro che un subdolo modo per eludere la guardia dei nemici: difatti qualora questi ultimi rispondano alle offese dei corvi con un attacco volto a ferirli o ucciderli, i corvi prenderanno a beccare e a graffiare ferocemente la loro carne. La tecnica necessita di un consumo energetico pari a Basso, e Basso sarà il danno totale di una eventuale risposta offensiva da parte dei corvi, se venissero attaccati.
Ma questo non è tutto: Il Beccaio oltre a evocare le creature dell'oscurità sarà anche in grado di mutare proprio il suo corpo in uno stormo di corvi gracchianti. Allo scopo di evitare una qualsiasi mossa offensiva da parte dei nemici, Viktor si trasformerà in un compatto stormo di corvi che sorvoleranno l'assalto in gruppo, per poi planare a terra e ritornare in forma umana. In questo caso la tecnica avrebbe un dispendio energetico pari a Medio, e conterebbe come difesa assoluta.
{Pergamena Stormo: consumo di energie Basso} - {Pergamena Stormo Illusione: consumo di energie Medio}

~ Beinhaus__ _Oltre al controllo della coscienza dei vivi, il Beccaio possiede anche il dominio sugli spiriti dei morti. O meglio: di quel che resta dei morti. Ossa lunghe, corte, piatte, Viktor von Falkenberg è divenuto un vero e proprio signore della morte. L'energia anomala che lo investì nella sua reggia lo ha reso in grado di comunicare con entità innominabili, con spettri che dovrebbero rimanere a sussurrare nelle ombre, con cose arcane e maledette. E' divenuto in grado di controllare con la sola forza della mente il potere dei morti, è riuscito ad ottenere il pieno potere delle ossa. Potrà generare muri di ossa, barriere, et simili, purché in fase difensiva. Sarà in grado di far crescere da qualsiasi punto del terreno nelle sue immediate vicinanze (o addirittura da se stesso), delle ossa dure quanto del ferro, che potranno avere forma di muri o ossa normali, senza particolari imposizioni delle mani o tempi di concentrazione.
{Pergamena Dominio delle Ossa: consumo di energie Variabile Critico}


Riassunto azioni:

-Raggiunto dalla rimanente scorta (due Hoëpriester) che come ho scritto nel post precedente, seguiva a piedi il galoppo del generale, Viktor affronta i tre costruttori con relativi animali in questo modo: la scorta, formata da due energie rosse, tiene testa a due dei costruttori con relativi animali. La lotta si protrae per lungo tempo, e viene persa di vista dal generale, impegnato ad affrontare il terzo animale e il terzo costruttore. Il terzo animale muore e il costruttore viene ferito, e Viktor se ne esce con una ferita di livello medio. il combattimento viene interrotto dalla prima scarica di lame oscure.
-La prima scarica colpisce in pieno l'anca destra di Viktor - impegnato in un altro combattimento e quindi colto di sorpresa - il quale adocchia rekla nelle vicinanze e, zoppicando èer il dolore, la segue sotto le vicine rovine appena in tempo per ripararsi dalla seconda scarica. Contro la terza scarica oscura Viktor usa la difesa assoluta stormo illusione, spostandosi sotto la forma di uno stormo di corvi presso l'entrata delle rovine.
-ed è qui che, ripresosi dallo stupore, erige una mastodontica cupola d'ossa di livello critico attorno l'intero esercito di Gruumsh, proteggendo anche i soldati, Rekla e tristan. La cupola resiste alla quarta scarica, per poi disgregarsi in polvere.




 
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J|mmy
view post Posted on 19/9/2011, 09:52




Ragnarok
D a r k n e s s i n t o t h e l i g h t

9B9Y9


Chi era lei, se non una schiava?
Chi era lei, se non una mossa troppo azzardata sull’immensità d’una cupa scacchiera?
Chi era lei, se non una marionetta, un fantoccio guidato da qualcosa di tanto irreale quanto assurdo?
Le gambe tremolarono, la fronte si inumidì di gelido sudore, le palpebre divennero sottili, evanescenti, accecanti, talmente fini e gracili da distillare perfettamente la luce che oltre d’esse andava propagandosi; una luce inebriante, calda, rovente. Sentì le braccia ardere, infiammarsi voracemente, il viso irrorarsi di vampe e rabbrividire nella propria futile ignavia.
La temperatura aumentò d’improvviso.
Poi il buio.
Fu come se il sole stesso venisse oscurato, come se la notte fagocitasse il giorno in un fugace istante, un interminabile attimo di fulgida inconsapevolezza. D’ora in avanti, ogni cosa poteva capitarle, giacché più nulla le importava della propria esistenza.
Per un momento, la rinuncia s’impossessò della sua mente, l’abbandono inasprì il suo dolore.
Finché non giunse quell’urlo, quell’inenarrabile e straziante ringhio che in cuor suo sentiva assai familiare, come se quell’unico digrigno strozzato l’avesse partorita dalla stessa acre oscenità che oramai ghermiva ogni suo lembo.
Constantine... ?
Si voltò a malapena, inclinò il capo chino a proteggersi e vide l’imponente stazza dell’aborro sovrastarla impenetrabile. Ebbe come un tremito, come una misera fiammella di speranza che – seppur brevemente – le riaccese la poca speranza rimasta, prima di chetarsi ancora una volta, ancor più in profondità.
La luce. La luce venne mozzata, l’ombra soppiantò quel candido torpore con facilità disarmante. Fu come una pioggia di frecce che, silenziosa, calò sul mondo, oscurandolo e logorandolo nell’inattesa. Il Demone non si mosse, scolpito in quella sua solida postura ad arco, rovesciato su lei e con i pugni a premere il terriccio arido. Mugugni, sussurri soffocati appena, lamenti tramutati in singulti.
Mai, prima di quel giorno, avrebbe anche solo potuto immaginare una simile audacia, una tale rabbonente scena che vide lui – perfido fautore del suo stesso male – soppiantarsi a lei nell’angoscia e nella sofferenza, nel crudo assaporar di spasimi e dolori, quasi ne provasse un insano piacere o una folle soddisfazione.
L’ombra si diradò, il cielo risucchiò la propria malvagità come in fremente attesa.
Fu quasi un segnale per le falangi orchesche, un richiamo per il manto olivastro dei pelleverde, che furente iniziò a ritrarsi, a correre, a spintonare, a fuggire come conigli in fronte al predatore.
Poco male, invero: ne avrebbe avuti in più per lei.
Fece come per alzarsi. Tese le ginocchia, schiuse gli occhi stanchi, riacquistò la Constantine che non l’aveva mai abbandonata. Ma qualcosa disse che lì, in quel preciso istante, in quel preciso luogo, Rekla Estgardel doveva scappare. Scappare per sopravvivere.

«Via da qui, stupida sgualdrina!»
Le ordinò con rabbia l’energumeno. Quel che accadde poi non sono in molti a rammentarlo, dacché i più furono impegnati a scappare o a trovar ricetto oltre qualche ammasso di macerie, finanche oltre i propri stessi compagni, vivi o morti che fossero. Una pioggia di dolore calò come nera scure di morte dall’inquietante sfera nel cielo.
Fottuti pelleverde, dov’era il vostro dio adesso?!
Era forse questo quello che voleva? La morte dei suoi fedeli?
Lo pensò, lo sussurrò persino, ma non lo disse, non ne ebbe il tempo.
. . .
Le dita si avvolsero goffe e ingombranti al suo torso tanto minuto, le unghia ruvide e imbrattate di crudo sangue elfico le insozzarono le vesti sgualcendole il farsetto.
«Arriva!» bofonchiò il Bastardo alle immonde bestie al proprio fianco.
cqTbq

Poi fu il caotico torcersi di carni, lo scricchiolar di ossa che s’incrinano, lo sbatacchiar di un corpo fragile e impreparato, strappato alla sorte per la volontà di un qualunque inetto risputato dalle fiamme. Ciononostante... era viva.
Quasi se ne stupì, mentre sollevandosi sgraziatamente sui propri passi ripercorreva il lento incedere di quelle tintinnanti catene, alla cui estremità non giaceva che un cumulo di denso magma argentato.
Svanita.
La sua belva, la sua creazione, la ragione del suo peccato. Svanita.
Improvvisamente tornò a sentire quell’indecifrabile nodo allo stomaco, quel groviglio di ferocia e desolazione che le aveva da sempre contrassegnato ogni attimo dell’esistenza, come un animale in procinto d’essere macellato, marchiato dolorosamente a fuoco per il mero riconoscimento, per etichetta. Il Demone era sfumato, così come l’illusione di un trionfo, che si spense al sopraggiungere dell’ennesima pioggia d’oscurità.
Ray. Sentiva la sua presenza, percepiva il fremito che sapeva averla già violata una volta.
Non l’avrebbe più permesso, finanche a costo della propria stessa vita, per quanto questa potesse oramai valere.

«Fatti vedere!» abbaiò all’impenetrabile lama d’ombra, che ripida colava come catrame dalla tonda ferita sulle fauci spalancate dei suoi stessi sudditi «Mostrati al mondo, sovrano senza senno!»
Urlò, pur sapendo che nessun altro a parte lei avrebbe potuto udire.
Urlò, più per disperazione che per altro.
La mente si fece più aguzza, il Gauntlet gravò adesso come un pesante fardello, mentre le labbra rese a sottili fessure schioccavano al ritmo di una lontana litania. Il suo corpo ne fu tutto impossessato, i suoi occhi persero di consistenza, velandosi di pallida cecità, prima di spegnersi. Nuovamente le palpebre calarono, nuovamente le sue spoglie da mortale tacquero, ma per ragioni ben distinte dalla sottomissione questa volta.
Era sola, sola a due passi dal baratro che l’avrebbe divorata tra fiamme e demoni.
Era sola, poiché su nient’altro che se stessa avrebbe potuto riporre fiducia oramai.
Era sola davanti alla fine.
Lei-e-la-morte.

PRLtZ

Ma non sarebbe stata lei la sconfitta!
Protese il palmo in avanti, contrasse i muscoli del braccio, offrì le carni diafane e marchiate di glifi all’ingiuria dell’estremo momento, giurando a se stessa che nessun dolore avrebbe più potuto dilaniarla. E, in effetti, così fu - almeno in parte.
Arrivò al primo orco nelle vicinanze, uno dei più coraggiosi, pronti a sfidare la sorte pur di non rinnegare la loro assurda divinità. Rekla afferrò le pelli lacere che coprivano le luridi carni verdognole della feccia, strattonandolo a sé e menando un possente affondo allo sterno: in quel dilagante fragore, nessuno o pochi avrebbero notato una sì tradimentosa efferatezza. Dunque se lo portò sulle spalle, accucciandovisi al di sotto come se questo non fosse che un scudo, un specchio fatto d'ossa e muscoli. La Nera accennò un brivido di soddisfazione, sbozzando sulle gote un riso senza tempo, quasi folle, quasi dannatamente ostinato. Ma il dolore, per quanto remoto e sopportabile, la raggiunse ugualmente: una lama, uno squarcio, un grido smussato.
La terza pioggia d’ombra si dilatò intarsiando sulla sua spalla il segno indelebile dell’inettitudine.

«MOSTRATI AL TUO ESERCITO, RAY!»
Si erse, fiera seppur stremata, svincolando dalla fatua morsa del cadavere sfigurato del pelleverde.
Stavolta, la voce traballante della cacciatrice trafisse il pressante silenzio d’oltretomba, la quiete che successe alla più monumentale ecatombe cui avesse mai assistito. Una lacrima di rabbia le sfuggì – benché da subito repressa – inebriandole il volto di un vivido sorso d’umanità: collera alla vista di un intero, strabordante e irrefrenabile esercito deturpato dallo stesso vessillo che vantava di proteggere;
collera per l’ennesimo inganno dell’Invincibile!
Solo una risposta a quelle sue impudenti parole.

. . .

La barriera sbocciò con disarmante irruenza, fece breccia nei pochi metri sovrastanti i crani orcheschi come se l’aria stessa l’avesse vomitata per garantire loro un riparo, come se il mondo tutto fosse a conoscenza della turpe devastazione che logorava quel suo misero ma gremito brandello di terra e l’armata incaricata a difenderlo. Rekla smise di riflettere, poiché le sarebbe giovato a ben poco di lì in avanti.
Alzò lo sguardo. La vista le si appannava fastidiosamente per lo sforzo, mentre il fumo sollevato dalla cupola d’osso del vecchio Beccaio alle sue spalle le impastava la lingua e infittiva ogni respiro.
La volta cedette sotto l’ultima delle possenti lame del sovrano…
quando lo vide.
L’uomo il cui volto non le era affatto nuovo,
l’uomo la cui voce aveva attentato alla sua vita, prima di condurla all’oblio da cui il solo Dono aveva potuto redimerla,
l’uomo che più di tutti aveva ravvivato quella sofferenza che la Nera – per tempo – serbava in cuore.
L’uomo che avrebbe ucciso.. ma non adesso, non ancora.
Sollevò la lama ovattata di schegge cristalline, la portò alle labbra assaporandone il filo impregnato d'aspri umori elfici. La sua parte peggiore, la più vendicativa, si dimenava, sbatacchiava nel petto, brulicava come vermi nelle viscere. Il suo odio, irrefrenabile, tornò a prender forma, doveva, o l’avrebbe divorata pezzo dopo pezzo.

«Andate, piccoli miei» sussurrò con la bocca incollata al nero metallo «Ricordate ai miei avversari che il Cerbero è ancora vivo»
e affamato.


~

«E ci fu una battaglia nel Cielo: Michele e i suoi angeli combatterono contro il dragone. Il dragone e i suoi angeli combatterono ma non vinsero, e per loro non ci fu più posto nel Cielo.

Il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù: fu gettato sulla terra, e con lui furono gettati anche i suoi angeli.»

(Apocalisse 12,7-9)



CITAZIONE
Rekla Estgardel
La Nera Signora

Stato Umano
ReC 225 | AeV 175 | PeRf 275 | PeRm 375 | CaeM 175

« Energie: 50 - 6 = 44%
« Status fisico Rekla: danno alto alla psiche + danno medio alla spalla sinistra.
« Status fisico Constantine: deceduto.
« Armi: Constantine • sfoderata; Dolore e Sofferenza • riposta - riposta


~ ~ ~

C o r r u z i o n e

Attiva
Lussuria: a radice della parola "lussuria" coincide con quella della parola lusso - che indica un'esagerazione - e quella della parola lussazione - che significa deformazione o divisione. 
Appare quindi chiaro il suo significato, il quale designa qualcosa di esagerato e di parziale. Il lussurioso cioè è portato a concentrarsi solo su alcuni aspetti del partner (il corpo o una parte di questo) che diventano il polo dell'attrazione erotica; tutto il resto è escluso, l'interezza è negata. 
Il corpo viene oggettivato e la persona spersonalizzata: le vesti, gli accessori, i gesti, la musica, le luci arrivano ad assumere un'importanza fondamentale poiché devono supplire alla mancanza di un altro tipo di seduzione che scaturisce da un'intesa psicologica e affettiva, oltre che fisica. E' proprio grazie a questa profonda intesa psichica che, ad un unico gesto di Rekla, dal terreno rivoli di mercurio fluiranno per plasmarsi in incantevoli riproduzioni di cadaveri. In tal modo, una schiera di non morti -da una decina a una ventina- risorgeranno per scagliarsi voracemente contro il suo avversario. Al termine del turno i morti si dissolveranno in cenere, fungendo da vera e propria tecnica. Nonostante il loro numero, infatti, il massimo quantitativo di danni che potranno causare all'avversario sarà pari a Medio, svanendo una volta raggiunta questa soglia. Una tecnica inaspettatamente utile, che può avere anche delle inusuali applicazioni difensive. Consumo di energie: Medio.

Passiva

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Incisione del B a s t a r d o I - II - III:
- Possibilità di caratterizzare una delle proprie armi da mischia con un particolare orpello (una runa, un simbolo, o una scritta). Quell'arma - e solo quella - potrà in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. (I)
- Possibilità di caratterizzare una seconda arma tramite l'incantamento, anche una a distanza, anche se in questo caso dovranno essere incantati i proiettili. Le armi (e i proiettili) incantati potranno in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili. (II)
- Grazie all'incanto, si aggiunge un terzo effetto alle armi incantate, rendendole permanentemente prive di peso per quanto riguarda il possessore del sigillo. Ogni altra persona percepirebbe il peso reale dell'arma. Inoltre, non potranno neppure essere sottratte al portatore, e in alcun modo rubate. (III)


-Gola: Rekla raggiunge il successivo livello dell'Incisione del Bastardo. (Livello III)

-Superbia: Essendo innamorata di se stessa e di una forse inesistente superiorità, la giovane ha coltivato un carattere duro e scorbutico che non ispira affatto fiducia in chi la affianca ma, talvolta, insinua un timore lieve che però non ha alcun effetto contro i demoni o gli individui di livello superiore.

-Terzo Vizio dell'Animo|Ambizione: Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario.

-Nel ricordo del dolore, l'unità di un cuore spezzato: indifferenza al dolore; pur provandolo, il portatore non si farà influenzare da esso.

-La comprensione del dolore, così da annientarlo: auspex passivo che si attiva una volta che il portatore viene ferito sia fisicamente che psicologicamente. Egli diverrà in grado di determinare l'esatta posizione di chi ha fatto partire l'attacco.

~ ~ ~


Note • Dunque, è un turno complicato, quindi cercherò di essere il più chiaro possibile.
Per prima cosa percepisco in pieno la psionica di Shakan: essendo distratta da altro, notarla e difendermene sarebbe stato quantomeno antisportivo.
Quindi, vedendo Rekla confusa e sconvolta dalle parole dell'individuo, Constantine si getta su di essa non appena vede Alexandra (in linea d'aria, proprio davanti a lui) evocare la colonna di luce; dunque si accovaccia sulla cacciatrice, schermandola col suo stesso corpo (+ critico). Nel frattempo, la bruciatura della fenice torna a divampare per l'ultima volta (+ alto) e il primo attacco di Ray fa capolino sull'aborro (+ critico). In tutto ciò, stordita dalla psionica e "rinchiusa" tra le spoglie del Demone, Rekla percepisce solo della "oscurità nella luce", che poi è il sottotitolo del mio stesso post.
Oramai in fin di vita, nei venti secondi circa che intercorrono dal primo al secondo colpo, il costrutto afferra la ragazza e la lancia - letteralmente - ad un paio di centinaia di metri, poco oltre il delimitare della barriera orchesca. Dopo aver sorbito anche l'ultimo attacco (+ critico), Constantine svanisce ricompattandosi a Rekla.
Quest'ultima, oramai tornata in sé per il forte urto, viene schermata parzialmente dalle rovine (come detto da Eitinel: meno un medio per ciascuna delle due ondate) proteggendosi da un solo "quasi critico" (ovverosia alto + medio); dunque uccide uno degli orchi più vicini, sfruttando il caos dilagante per non farsi vedere, ed usa il suddetto come vero e proprio scudo. Essendo un orco modesto, però, un cacciatore per l'esattezza, si salva dal solo alto ricevendo un danno medio (+ medio) alla spalla sinistra (ho determinato arbitrariamente l'entità difesa, dal momento che non ho ottenuto in tempo risposta in confronto e rischiavo di sforare il termine).
Innervosita oltremodo dall'attacco dello stesso Ray, tenta di istigarlo urlando a squarciagola, ed è proprio in quei pochi secondi che un'immensa barriera d'ossa sovrasta parte dell'esercito: in realtà, essa altro non è che la tecnica di Lenny, la quale protegge lei e parte dell'esercito circostante dall'ultimo ed inevitabile critico (cui viene meno un medio come da spoiler di Eitinel e per opera degli sciamani).
Dopo quanto accaduto, infine, la Nera - irata per la psionica - torna a concentrarsi su Shakan, che intravede all'innalzarsi della cupola di Lenny e che crede fautore della distruzione del costrutto Constantine, nonché artefice della colonna di luce realmente castata da Alexandra (ho ammesso che potesse "capire" grazie alla rinomata capacità di "fantasma" di Shakan di cui si vocifera all'interno del Toryu, come chiaritomi dall'interessato per mp). Evoca una ventina di non morti con l'ausilio di Lussuria, i quali sorgono tutt'attorno al combattente nel tentativo di mordere e dilaniare (potenza media). Non l'ho specificato in post per ragioni di mero effetto scenico: data la non molta distanza tra i due (Shakan crolla con la Fenice, la quale a sua volta precipita proprio innanzi a Rekla, o meglio dov'ella si trovava prima di essere lanciata) ho creduto fattibile che questi potessero sbucare proprio nelle immediate vicinanze dell'avversario, giacché in quanto non morti sgusciano dal terreno. Lascio al mio avversario la descrizione e la "gestione" di quest'ultimi, in relazione alla sua posizione (dal momento che non posso prevederla) ed alle sue azioni; chiedo solo che venga rispettato quanto segue:

• rivoli argentati fluiscono sul terreno oltrepassando il "fondo" della barriera d'ossa di Lenny;
• i venti non-morti sorgono tutti a cerchio attorno al corpo di Shakan e lo assalgono nello stesso identico istante;
• essi spuntano dal terreno ai suoi piedi poco dopo che l'ultima bordata di Ray ha fatto capolino sul terreno;

Ovviamente, onde evitare fraintendimenti di sorta, si badi che il mio è un attacco di modeste entità, dal momento che è un turno assai complesso un po' per tutti: al contempo, però, non ho potuto evitare, data la natura vendicativa del mio pg. Mi scuso quindi in anticipo con Janz e passo la mano a chi di dovere.^^
 
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view post Posted on 19/9/2011, 13:35
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Valzer Al Crepuscolo

______________________________________________________
Terzo turno

Sarebbe cambiato tutto.
Dischiudendosi tra le braccia della Morte,
la coltre terrestre avrebbe danzato con sinuosa voluttà,
disegnando cerchi concentrici tra i cadaveri attoniti dei contendenti.
Perché nessun male avrebbe giovato più al mondo intero,
se non quel più profondo bisogno di ricreazione.
Il sano desiderio di ricostruire tutto di nuovo.
Ma non prima di averlo del tutto distrutto:
regalandolo all 'A p o c a l i s s e


R a g n a r o k3



______________________________________________________

La primavera dei Predatori risuonava d'infinito.
Il fiorire rapido del fiume in ciascuno di quei figli di Neiru, si dipanava come un unico reticolo di rampicanti, diffuso nella maestosità di quelle schiere prossime alla linea d'orizzonte. Ciascun impeto di coraggio, ciascun richiamo - assalto o ritirata, giovava al Fiume del Fato come nuova linfa, rimarcandone la pulsante agonia di una nenia che tende a contorcersi nell'immobilità, per poi esplodere in Fiori e Radici bellissime, ogni qual volta ciascuno di quei fratelli si ritrovasse ad un passo del baratro, prossimo a ritornare nel Bacino Corrotto. A milioni ripassarono innanzi ai loro sguardi affascinati, risuonandone della passione del Fiume, che accompagnavano con urla immonde e lamenti dannati. Nient'altro che la melodia del Fato, d'altronde: la congenita follia di chi si ristora del proprio vigore, prima che l'anima ritorni alla casa dei padri, dove finalmente riposerà.
Era davvero Primavera: uno spettacolo bellissimo.

Al Culmine di quella guerra, poi, i fiori sbocciarono a milioni, saziandosi del male dei caduti e dei fiotti di sangue dei loro nemici mortali, bramandone la cupidigia di un'ira funesta, ingorda di quell'assurdo male, ma giovata da tanta abbondanza. In nome suo: per conto della Dama. E il manto si stendeva a perdita d'occhio. Ritrovare quel nuovo vigore, nel ventre di quei figli ignari del proprio Destino, ma pieni di esso, era meraviglioso. Avevano ritrovato una luce atona, un'ovattata oscurità ammantata della grazia che solo la Superficie poteva donare loro, benché la stragrande maggioranza di loro fosse davvero troppo giovane per ricordarsela com'era stata un tempo. Inebriante, ancor più succosa di quell'appetito di bieca discordia, tanto profondo da doverlo ovattare, annichilire, come avevano fatto i più antichi Architetti.

Era cambiato, era più debole ed informe, difficile da decifrare. Eppure non aveva perduto del tutto quel brio frizzante che ne aveva dischiuso le carni tanto tempo addietro. Fosse stata solo la mancanza di luce, di una vera luce, a segnar quella sottile differenza, non aveva davvero molta importanza. D'altronde, loro, quella luce tenue non avrebbero comunque potuta vederla mai, non avendo gli occhi per farlo. Loro, invero, avevano la potenza e la grazia di filare le trame del proprio popolo, ignorando il velo del reale e scorgendo oltre qualunque evanescente impiccio, per mirar ciò che aveva davvero senso contemplare. Forse anche per questo, per la loro unica capacità di scorgere il Fiume e di abbeverarsi alla fonte della Verità, i loro figli ed i loro fratelli si ammutolivano al momento fatidico in cui decidevano di pronunciare un verbo con vera melodia, suoni reali echeggianti nel clangore del presente. Parole, non semplici vibrazioni della mente.
Così come fecero in quell'istante.

valzerturno3post31
Tira ten’ rashwe muindyr
Attenti fratelli

I Veggenti.
Parlavano solo nei millenni: nei canti degli antichi, o negli incubi dei giovani Cadetti. Invero, non avevano parlato per centinaia e centinaia di vite, se non attraverso le emozioni dei loro figli, richiamandone il cammino del Fiume di pari passo col Destino dell'intera loro specie. Risentirli invocare parole tanto chiare, quindi, fece vibrare l'intero esercito, laddove alcun male avrebbe potuto sfiorirne la speranza in egual modo. Essi avevano mosso i filamenti dei propri spiriti, avevano rifiorito di nuova linfa le radici della propria Immortalita nel momento stesso in cui avevano potuto scrutare i propri figli e vederli raggiungere in massa il Bacino Corrotto delle proprie grotte. Un unica rinascita, che avrebbe dettato la fine, ed il nuovo inizio, dei Predatori, deviando - inevitabilmente - il corso della guerra.
Poco male, invero: però, avrebbe annichilito la Primavera dei Predatori.
E sarebbe stato un gran peccato.

valzerturno3post32
Daw anglennar
L'oscurità si avvicina

Per questo parlarono. Professando dello sfiorire di quei Fiumi in tempesta: un'oscurità che avrebbe corrotto la coltre di quel prato infinito con terrificante possanza, infondendone la disgrazia di un vuoto senza ritorno, di una profondità senza fondo che non avrebbe lasciato spazio ad altro che al nulla. I Veggenti non avrebbero mosso altrimenti le proprie forze, se non per dispiegarsi tra le trame dei Predatori, rinfondere ogni spazio di quella moltitudine per vederne fiorire ancora la lucentezza, vibrarne ancora la forza. Nel muoversi, fecero strada condottieri e avanguardie di ogni reparto, famiglia o discendenza: nessuno avrebbe ostacolato il millenario volgersi di coloro che avevano la Visione, rischiando di arrestarne la missione. Le trame sarebbero filate come ragnatele invisibili, diffondendosi per tutto lo spazio e raggiungendo ogni angolo possibile dei Predatori, richiamando l'attenzione di tutti coloro che avevano vicini, ed echeggiando di suoni in ogni remoto spazio di quella piana, fino a raggiunger le orecchie e gli spiriti dei fratelli più lontani, partiti per raggiunger la Verità della propria missione, e ricongiungersi presso il Bacino. Parlando nella loro lingua: risuonando nel pericolo con melodie a loro soltanto comprensibili. Risuonarono ovunque, fino alle orecchie del nobile Ashlon.

Ma non avrebbero ignorato del tutto coloro che avevano guidato quella Primavera. Non gli altri, pieni dell'ebrezza della superficie, ma tanto deboli e fragili nella loro incoscienza da non comprendere l'entità del ventre immondo che avevano dilaniato, e che presto li avrebbe fagocitati con tutta la furia di chi si sente violato nella sacralità della propria pienezza. Quel potere infinito li avrebbe bruciati come petali di rugiada su di un manto caldo, sollevandoli al cielo quali anime per sempre perse nei propri rancori, incapaci - finanche - di ritornar alla propria casa o di rinascere in alcun corpo. Ma il guerriero era lontano, tanto - troppo lontano, oltre che sordo al richiamo placido dei loro occhi imperscrutabili: perso nella sua fierezza, non si sarebbe arrestato nemmeno per smetterla di pestarsi la coda.
L'unica cosciente sarebbe stata la femmina, paladina di un regno che non trovava pace nel cuore di alcuno: ma così tanto fiera in quella destrezza lucente, da far sembrar quasi nobile quel suo invocare sguaiato. L'unica anima che avrebbero potuto salvare, richiamandola coi propri figli.

L'altro, infatti - l'ultimo - era ormai destinato.
Era già morto: senza che potesse abbracciare l'armonia del Fiume.
Mai.

valzerturno3post33
Adan trastannen avo bronan
L'umano tormentato non sopravviverà

Sentenziarono placidi, agli increduli figli che li sentirono richiamar del vento per la terza volta in pochi frammenti di tempo.
Smuovendo le coscienze per le fiamme fluttuanti che si dilaniarono sopra le loro teste, rimbombando degli colpi infranti contro quel flagello tanto fragile: e ricoprendo, tediosi, anche la sagoma soffusa della creatura che ne cavalcava l'opulenza.
Urlando senza fiato: squarciando l'oscurità col proprio sangue, per ricadere al suolo.
Si chiamava Shakan: ma non importava davvero più.
La sua Primavera volgeva al termine.


______________________________________________________

Era il suo sogno.
Era il sogno sommesso, ingenerato nell'antro buio di una cella, con ratti infetti a mordergli gli alluci che ne sostenevano l'agonia di un risentimento prossimo alla follia. Era il suo sogno, d'altronde: lo era sempre stato. Il sogno di un regno tutto suo, un comando fermo ed autoritario sorto nel cuore di una nuova era. Era stato il sogno di un pupazzo arricchito, poco avvezzo alla generosità e molto più incline al semplice - totale - dominio su coscienze inermi che non sarebbero state pagate per altro che per dar ragione dei propri vizi.

Ma il mondo era cambiato: lui, era cambiato.
Perché della colpa dell'egoismo filantropico di sovrani e gerarchi, preda delle proprie ricchezze e dei vizi infami di cui riempivano i palazzi, si era ormai infettato sin nel profondo. E semmai fosse stato possibile trovarvi del buono nella disastrosa disgrazia di una potenza che crolla sotto il peso del proprio tormento, e si strugge in una sanguinosa guerra civile, v'era la possibilità concessa a quella stessa civiltà di riprendere le fila del proprio destino ed intrecciarvi una tela diversa, una trama più propria alle necessità ed ai sogni armonici di una vita che si propone per crescere nel futuro, all'ombra dei principi della convivenza pacifica. Ed in quel moto iconoclasta di vite innocenti, aveva rivisto i suoi antichi sogni e ne aveva scontato - una volta di più - tutta la pietosa ignominia del loro significato, comprendendo il vero tumulto di una vita che nasce e cresce solo per la propria libertà ed il proprio vigore, non per vederselo rubare da altri. Il grande Sovrano sarebbe stato solo colui capace di regalarla, non diversamente.

Dettava il tempo, ormai.
Il tempo del cambiamento soffiava su di una terra devastata dalla disgrazia, dalla pestilenza e dalla fame. Proprio per questo, però, il fantasma sognava la rivincita del popolo oppresso: la coscienza che dal nulla si può sempre riplasmare qualcosa. E lo spingersi di popoli, l'unione di eserciti all'orizzonte di una nuova alba, avrebbe costruito la marcia panteistica verso la conquista di una propria libertà, magari sotto l'ombra di un principio di caritatevole assolutismo dettato da una potenza superiore che si erge imperante sui propri sudditi, imponendone principi e regole, partecipandovi col proprio carisma ad una comunione di intenti giusti, ma obbligati proprio per la loro necessità. Ed insieme, con la forza della condivisione, avrebbero ricostruito il mondo, le proprie città, le case un tempo sottratte dall'ambiguità di una gerarchia che non aveva fatto nulla per impedirlo: ricostruendole, mattone dopo mattone, avrebbero imparato l'importanza di conservarle, di lottare e morire per esse. L'importanza di conservare un tetto per tramandarlo ai propri figli, ed alle generazioni successive: e con esso donare l'importanza di una vita che protetta come un dono prezioso, in funzione dell'umiltà e della carità atta ad alimentarne la gloria - di giorno in giorno. L'importanza di non sacrificare tutto per un capriccio lontano ed astratto, un inganno pulsante nelle profondità di uno scuro tunnel che già una volta si era nutrito di tutto, senza promettere nulla. Se non la morte, rapida e penosa, in una pozza di mefitiche budella.

I nuovi popoli del regno se li immaginava cresciuti nella democratica condivisione della passione per la vita. Uno spirito di sacrificio imbevuto del sudore di una fronte che l'ha ridestato da un lungo letargo. Intere città, villaggi e castelli sarebbero risorti con le disponibilità di coloro che si sarebbero presi l'obbligo di governarli, senza mai perdere di vista quegli stessi principi imposti da colui che aveva avuto in dono il potere ed il dovere di preservarli, imponendoli quando necessario. Ed in suo nome e col suo nome sarebbe sorta una dimora imponente: una torre, o un castello, plasmato della lucentezza della gioia di chi l'avrebbe eretto, alto e maestoso, per consentirne lo sguardo sin dagli angoli più remoti del regno.

Ma pativa il dolore della fatica. In quella visione onirica, frapposta tra la realtà ed il desiderio di una vita diversa, ogni momento - ogni attimo era accompagnato da una luce abbagliante, da una sferzata di immenso dolore, e da una nuova città ricostruita, un nuovo pezzo di castello: un nuovo mattone apposto. Un crescendo di dolore e rinascita, rimarcato da quelle sferzate sempre più profonde a segnare il passo di un risorgimento tutto da conquistare, e da patire col sangue.
Infine, tutto parve dipingersi del rosso del suo male, nel mentre che il trono di marmo veniva apposto ai piedi del castello e le folle acclamavano la vittoria dello Spettro, il suo risorgimento quale Sovrano di un popolo libero: che lui avrebbe reso egoisticamente libero. Con esso Shakan sognava di risorgere dalle proprie ceneri e donare se stesso a quel mondo nuovo, vittima innocente di colpe antiche, ma prode guerriero di una nuova era di speranza. Il fantasma sognava la rivincita dai peccati, quel sommesso bisogno di sentirsi partecipi di una rinascita che prende le mosse da una vita disgraziata e si riscatta nella consapevolezza di aver contribuito a guarirla.

Rivide se stesso accomodarsi sul seggio con femminea armonia, scostando le vesti quel tanto sufficiente da non schiacciarle col proprio peso. Il suo volto pareva, però, astratto: confuso, sfocato. L'immagine sgranava gradualmente alla sua visione: benché cosciente che fosse lui stesso - Shakan, lo spettro - a sedersi su quel trono, quella visione gli precludeva la soddisfazione di una tanto agognata vittoria. Invero, anzi, segnava più ferma l'immagine di un volto diverso, assottigliando le linee ed incurvando le forme del volto, allungando capelli scuri e ammantando occhi vitrei che aveva tante volte visto posarsi freddi su di un mondo di cui contemplava l'innocenza e l'ingenuità.

valzerturno3post34

« Perfetto. Ogni cosa... »
senza più la maschera di ambiguità, la sua espressione non era un segreto
« ...è andata secondo i piani. »

Sogghingò il volto umano di Ray, quella visione fanciullesca di un uomo che ancora non aveva trasceso l'immortalità, pur covando nel cuore già l'inganno di ogni futuro. Era il volto del Sovrano che aveva conosciuto, cui aveva offerto il proprio servigio, e la propria fedeltà.
E l'aveva fregato, ancora una volta.
Anche nel suo sogno.

______________________________________________________

Fu il sapore della terra umida a ridestarne la veglia.
Umida ed aspra, di un gusto raffermo, dolciastro, quasi piacevole, se non fosse per quell'insita sensazione di malferma sporcizia che gli invase il respiro alla prima boccata, sottraendoglielo con violenza. Un'avvolgente pietà di terriccio fece preda di ogni sua agonia, scovando nel profondo della gola e strozzandolo più volte. Tossì, vomitando terra e sangue, mentre le mani strisciavano astratti vortici sul terreno, in cerca di un appiglio, un conforto: ma trovò soltanto budella, riverse ovunque e sporche del bieco volgo. Trovò solo cadaveri indistinti, bruciati e martoriati, ed un brivido gelido che lo scosse con veemenza, per poi risalire in gola e fargli rimettere nuovamente al mondo tutta quella vergogna ripugnante.

Cercava solo il conforto di una speranza, la verità di una conquista, ma non trovò nulla di tutto quello. Piuttosto, scoprì i segni lacerati sul proprio petto, le vesti strappate, un braccio spezzato ed un dolore acuto al fianco, proprio dove un frammento di legno marcio aveva scavato vicino alle sue costole, ricavandosi un oscuro anfratto tra le sue carni. E l'aveva reso monco di quella sua vittoria urlata sul dorso della fenice: abbattuto come una mosca fastidiosa. Solo allora, quando staccò quella vergogna conficcatasi sul suo fianco, sentì il gelo immobile divampare in dolore acuto, indistinto: in tutto il corpo.

Urlò.

L'agonia l'aveva reso sordo ai rumori della guerra, quasi manchevole di tutta quella violenta esplosione di lamenti che lo circondavano ancora: aveva sognato un mondo diverso, un mondo nuovo - lontano da quel marciume - soltanto per ricadere su se stesso e riscoprirsi nella vergogna di una sconfitta che lo portava di nuovo ad un passo dalla morte. Eppure vi era ricaduto con tutta la violenza della vergogna, della sconfitta: si era ridestato da quel sogno, solo per scoprire che tutto l'odio che lo circondava, i pelleverde - e anche Rekla - l'avrebbero incarnato come un pasto vorace, dissacrandone qualunque scopo più alto del semplice appestare il terreno di guerra con nuove sporche budella. E sapeva che non si sarebbero più fatti scrupoli della sua debolezza, divorandolo come boccone finale di quella cavalcata verso la gloria: anche Rekla, cinta già dalla sua stessa illusione, ora pareva fissarlo con sguardo bieco, bramoso di vendetta.
L'agonia lo coglieva: tutto intorno assediavano mura insormontabili di pelli ed armature. Colossi di carne scura, tediati dalla furia della guerra ed inconsci del suo desiderio di vita, che lo avrebbero soffocato come uno dei tanti insetti da schiacciare in una mattanza chiamata guerra. Era solo ed isolato, nel centro di un gorgo infernale che non gli avrebbe lasciato scampo. Lo spettro si arrese, ancora curvo, si abbandonò all'evidenza: sarebbe morto, una volta di più, con la vergogna di non aver assecondato i desideri della Dama - di non essere riuscito a farlo nemmeno dove era necessario.

Shakan...
Ma una voce nel profondo, sfilò nel vento.
Shakan salvati...
La voce dell'Imperatrice gli giunse chiara, anche senza che riuscisse a scorgerla.
Rientra... presto! Ray...
Un richiamo profondo, che imponeva la ritirata, richiamandone il pericolo più grande.
E gli chiedeva - anzi - lo implorava di non lasciarsi morire.
Non ancora.

L'unico senso di compassione che gli fu rivolto, ne riportò al senno la voglia di non lasciarsi cadere nello sconforto, anche perché il Sovrano non avrebbe voluto altro. Quello stesso sovrano che presto avrebbe fatto sentire la sua voce e che, ne era sicuro, giustificava - in qualche modo - quella repentina fuga. Scorse Rekla pronunciare parole soffuse, invocare elementi sconosciuti e filamenti d'argento volger dal terreno, per comporre qualcosa che ne avrebbe intessuto le carni con nuovi dolori. Lo spettro ne mirò il volto, quasi affranto da quella volontà di sottrarsi al rimorso della donna, che non aveva altra intenzione che quella di vendicare l'onta subita. Non certo la più fulgida delle intenzioni, ma chi era lui per biasimare la vergogna per un tradimento subito? Chi era lui per sottrarsi a quella giusta punizione?
Nessuno. Ma sarebbe morto, altrimenti. E non poteva morire.
Il cielo vibrò tutto intorno a lui: il Re si stava muovendo.

« Salvati, Rekla!
Il Re che abbiamo giurato di proteggere ci ucciderà tutti quanti.
Nessuno di noi merita di morire per lui!
»

Sentenziò rapido, rivolto a quei due occhi sbarrati che ne giudicavano la vergogna prima ancora che potesse muovere anche un solo muscolo. Eppure nulla avrebbe potuto o dovuto arrestarne la fuga. Quando il cielo vibrò, una lama nera gli parve discendere dal sole, scavando nelle profondità della piana e sottraendo alla battaglia qualunque vita che incrociasse lungo il suo disastroso cammino.
Lo spettro fissò l'esercito dietro di lui, squadrando finanche la massa di pelleverde e giganti che si contorceva attorno ad esso e che lo divideva dalla sua destinazione. Concentrando ogni suo desiderio, materializzò la sua immagine al di là di tutti loro, superando ogni ostacolo che si frapponesse tra se e la sua salvezza.
Un un solo, unico istante: l'ultimo, quello fatale. Fu lo stesso istante in cui la lama oscura vibrò contro la barriera, schermandone la potenza pian piano, gradualmente, fino a quando la movenza della stessa si distorse, piegandosi da un lato e rifrangendosi in milioni di schegge invisibili, che si persero nell'eternità del fato, scomparendo. Fu quell'attimo in cui centinaia di vite urlarono al cielo il perché di un sacrificio immondo, per mano di chi avevano giurato di proteggere. E invece li uccideva.
Fu la mano del Sovrano, che scavò sul terreno di guerra.
Perché - forse - non c'era più tempo.

Tentò di urlare ancora.

Ma perso tra i dolori acuti ed il rancore per quelle vite dissolte, l'urlo non ebbe il coraggio di echeggiare al di là della sua gola. Lo spettro strisciò nuovamente nel terreno, caduto - esausto per il sangue che ormai lo ricopriva per intero, ma forse salvo al di là di dove - un tempo - c'era una barriera.
Scorse l'esercito e ne vide la movenza: decine e decine di nuovi schieramenti avevano sopravanzato quelli sopraffatti dal dolore e la stanchezza, mentre nuovi protagonisti si ergevano a comando di quella strenua resistenza. Coppie di esseri ammantati, sciamani o sacerdoti di qualche tipo, plasmarono la realtà, invocando parole ignote per un'oscurità che avrebbe dovuto posarsi sui loro capi e difenderli da altra oscurità-

Erano i Veggenti.
Ma Shakan non poteva saperlo.

valzerturno3post35

I figli del Fiume eressero una barriera oscura, impenetrabile, che si compose di centinaia di mosaici fino a destarsi in un'unica gigantesca cupola sopra l'intero esercito. Sopra di essa tuonò ancora il potere del sovrano: una volta, poi un'altra ed un'altra ancora. Colpi serrati, tuoni di male, posti in breve successione tra loro, tremarono contro quella maestosa corazza che - sotto tanta pressione - parve cigolare come una vecchia panca. Lo spettro tremò a sua volta, preoccupandosi di convincersi che fosse il tumulto a farlo vibrare e non il terrore per un male che lo cingeva al di là delle possibilità. Non poteva conoscere così a fondo quel male, non era un guerriero: avrebbe voluto scappare in un luogo lontano, fuggire. Perché era pronto a Ray, ma non a tutto quello.
Ma c'era chi combatteva ancora: in prima linea scorse - infine - l'imperatrice. Mossa dal fervore e dalla tensione, in un misto di sudore e sangue, aumentava il coro della sua belligeranza, guidando la prima linea contro giganti e pelleverde che - nonostante tutto - non si preoccupavano di difendersi, ma - anzi - pressavano per sconvolger ancora di più le linee di Neiru.

Hai paura, tu, Imperatrice?

Shakan si racchiudeva in domande di conforto, perché d'aiuto sarebbe stato sapere che anche lei aveva paura. Ma, come avrebbe reagito a vederlo ora, così, vinto dallo sconforto come un fanciullo? Aveva destato la Dama e sfiorato l'eterno pur di giungere presso quel potere che lo avrebbe reso salvatore dell'eterno tormento del Sovrano: eppure ora si spaventava di fronte al tentativo dello stesso di impedirglielo. Cosa avrebbe dovuto pensare?
Un misto di vergogna e frustrazione scossero le scapole segnate dello Spettro, sottolineandone il disonore con un acuto dolore al fianco. No, non aveva prezzo quella sua codardia sopravvenuta: non aveva prezzo il rintanarsi come un topo spaventato, sotto una gonna più lunga di lui. Tutto quello, valeva lo sconto di sofferenza che aveva patito, se non di più.

Poi, al suo fianco mirò uno di quei volti ammantati: due occhi vuoti, senza pupille, si fissarono su di lui, scrutandolo come un raro esempio di miracolo, giunto tra le fila di coloro che non avevano avuto nessun dovere di proteggerlo, ma lo facevano comunque. L'essere parve concentrarsi sul suo incanto, ma - allo stesso tempo - sul raffermo sentimento dello spettro, ancora incauto nella sua paura.

Guarda. Le sue labbra non si mossero, ma la sua voce giungeva chiara e comprensibile. Guarda cosa ha fatto il tuo re. Aggiunse, rivolgendo il volto al di là della prima linea, oltre il campo di battaglia, verso quelle macerie in lontananza di cui avevano fatto comando le retrovie dell'esercito nemico. Un ammasso di case e mattoni indistinti, che non aveva riconosciuto.
Guarda cosa è successo alla vostra casa.

valzerturno3post36

La paura vibrò ancora, dissonando di melodia diverse e mutando in orrore diffuso. Per poi profondersi in rabbia.
Shakan sbarrò lo sguardo, disegnando i lineamenti di quelle macerie ormai distrutte e ricostruendone forma e sostanza che dovevano averne avuto un tempo: e ne vide i segni del Borgo. Del Maniero. Di tutto ciò che rappresentavano.
Solo in quel momento poteva scorgere l'entità di quella distruzione. E capirne il significato.
Capì che il Re aveva distrutto tutto.

« ...Ray... » Parole mai pensate: istinto divenuto suono, che sgorgò dal suo volto come lacrime dagli occhi. « Hai distrutto il simboli del Regno... hai sacrificato i tuoi sudditi... » Lacrime che si mischiavano al sangue, risplendendo nella notte come rosea rugiada.

« Sei diventato un dio...
Ma hai perso le palle per confrontarti!

Non sacrificare il nome di chi ti ha servito con incoscienza,
ma affrontaci col tuo viso!

Sii uomo, per una volta ancora...
...o per la prima volta nella tua vita!
»

La voce si perse tra il clangore e la confusione degli scontri, ma - rivolgendola a quel sole nero infame - Shakan sperò che lui avrebbe potuto sentirlo, confidando nella vanagloria di una divinità che ormai adorava solo e soltanto se stesso, e non avrebbe mancato di concentrarsi su una sfida a viso aperto che gli veniva richiesta, con vilipendio.
Poi, avanzò a passo incauto, soffrendo i dolori ed il male dell'ennesimo sforzo che lo aveva avvicinato, di un passo in più, allo stremo delle forze. Ma il coraggio rinnovato, o - più propriamente - la voglia di vendicare tutto quello lo colse al punto da rischiare che anche l'ultima delle sue energie si sacrificasse all'altare di quella guerra.
Perché lo avrebbe raggiunto, a qualunque costo.

Ma lo avrebbe ancora salvato?
Forse si, ma da se stesso.
Con la Morte.

A pochi passi da lui salirono gli spiriti dei defunti, ritornando dall'inferno alla terra e componendosi lentamente in un'unica massa informe. Urlando con toni gutturali, gli spettri disgiunti si plasmarono in due gambe e due braccia immense, formando la titanica figura di un fantasma di dimensioni pari - se non superiori - al più imponente dei giganti. L'ultimo suo respiro avrebbe avuto il profumo di una rabbia disgiunta. Si sarebbe cristallizzato in quell'abominio senza ritegno, che si avventò sulla prima linea - senza ritegno - scavando solchi con le braccia e preoccupandosi di colpire qualunque gigante - barbaro o pelleverde che gli si fosse parato innanzi. Tentando di spingerli sempre di più fuori dalla barriera dei Veggenti, ove il loro stesso Re avrebbe provveduto a sacrificarne la fatica.

« Guarda cosa stai facendo, Ray!
E' davvero il frutto del tuo tormento che ti obbliga a distruggere tutto?
Oppure una disgrazia antica che ti costringe a risentirti su di noi?

Il potere che cerchi non lo otterrai dalle anime di chi ti ha servito!
Placa il tuo risentimento, finché puoi, perché quello stesso amore che hai perduto,
morirebbe ancora, alla visione di tutto ciò che hai sacrificato in nome suo!

Eppure, io non mi arrendo al tuo giudizio disdicevole!
Sono ancora vivo! Mostrati a me, una volta ancora...
E se vuoi uccidermi - se vuoi porre fine a tutto questo - dovrai farlo con le tue mani!
»

Ed implorò al cielo un lamento che lui non avrebbe ascoltato mai.



immyspecchietto

ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%


Corpo: Numerose ferite su tutto il corpo; braccio sinistro gravemente leso, parzialmente inutilizzabile; 1 costola rotta; ferita profonda al fianco destro (totale danno Critico; 50%)
Mente: Illeso (100%)
Energia: 81% -9% -6% -36% -33% = 42%

Attive:

CITAZIONE
Il potere è apparizione.
Un apparizione temporane, una frazione di secondo e Shakan non esiste più: lasciandosi alle spalle un'immagine residua di se stesso in un punto, dai tratti evanescenti, come un fantasma trasparente e opaco, infatti, egli si può teletrasportare più distante. Questa tecnica non richiede di particolari tempi di concentrazione o posizioni per essere attuata, ma pone alcune limitazioni. Il colpo non potrà essere usato, infatti, per apparire accanto all'avversario o comunque a poca distanza da lui, e bisognerà trovarsi a una certa distanza, non eccessiva, dal punto in cui si è lasciata l'immagine residua. Non può essere quindi una tecnica utilizzata per scopi offensivi. Non è necessario avere i piedi in terra durante l'utilizzo, in quanto non si tratta prettamente di uno spostamento, ma più di un teletrasporto. La tecnica va considerata difesa assoluta se utilizzata per difendersi. [Pergamena da ladro "Immagine residua", Verde, Attiva, consumo Medio]

CITAZIONE
Il fantasma sono noi.
Shakan pul evocare in battaglia dei guerrieri al suo fianco. Concentrandosi almeno un secondo, infatti, evoca accanto a se, a una distanza massima di un metro, una copia di se stesso che lo accompagna durante il duello. La copia si presenterà uguale a Shakan nel momento dell'evocazione, ma sarà armata soltato dell'arma di Shakan: la copia, però, si presenterà traslucida e opaca, con gli occhi completamente bianchi e lucenti, senza pupille, conferendogli un evidente connotato "spettrale". Shakan potrà evocare fino a tre copie contemporaneamente e queste andranno trattate come veri personaggi, non autoconclusivamente. La forza sommata delle copie è pari a un livello energetico inferiore a quello dell'evocatore. La somma delle copie evocate andrà considerata come una evocazione di potenza bassa e queste resteranno sul campo di battaglia per un totale di due turni, per poi svanire nel nulla. [Pergamena necromante "Scheletro rianimato", Gialla, Attiva, consumo Medio]. Il potere che dimora in Shakan, però, l'ha plasmato anche per sfruttarne la tediosità: concentrandosi per qualche secondo - infatti - Shakan potrà generare decine dei suoi fantasmi e riunirli in un unico gigantesco essere, che apparira al suo fianco. Questa evocazione si presenterà come un enorme spettro umanoide, ricolmo di volti, suoni e voci: la sua materializzazione fisica apparirà con la pelle grigia e opaca, gli occhi bianchi senza pupille e lunghi capelli bianchi. Questo sarà alquanto resistente sia al danno fisico (anzi immune, per via della passiva), che magico, privo di poteri particolari ma dalle caratteristiche piuttosto alte. Agirà seguendo gli ordini di Shakan e andrà trattato come un vero e proprio personaggio, quindi non autoconclusivamente. In termini di GdR l'evocazione sarà molto equilibrata, veloce, discretamente resistente sia al fisico che alle magie e andrà considerata di un livello energetico inferiore a quello del caster, ma di potenza critica. Nel caso in cui Shakan lo volesse mantenere sul campo di battaglia per più di un turno, dovrà pagare un costo di mantenimento critico per ogni turno successivo a quello d'evocazione.[Pergamena da necromante "Golem di ferro", Rossa, Attiva, consumo Critico, mantenimento Critico]

Passive:

CITAZIONE
La Solitudine - Difesa psionica passiva. [Passiva razziale del Mezzo-Demone]

CITAZIONE
L'illusione è complicità. Illusioni castate senza vincoli fisici, col 5% di sconto sul consumo energetico, ma mai sotto l'1% [I e II livello del Dominio Illusionista, Passive] Illusioni non riconoscibili o distinguibili con tecniche passive. [Personale 1/6, Passiva]

CITAZIONE
Il fantasma è eterno. Tutte le evocazioni sono intangibili e, quindi, immuni al semplice danno fisico. [Personale 3/6, Passiva]

CITAZIONE
Il potere mi ha maledetto. Permette utilizzo di pergamene da negromante. [Personale 4/6, Passiva di Metagame]

CITAZIONE
L'Abiezione. Passiva che induce timore nei confronti di coloro che si avvicinano a Shakan. [Personale 5/6, Passiva]

Armi:

CITAZIONE

spadajanzcopy

Cupiditas - [Malus - la spada può sempre comunicare col portatore ignorando eventuali difese psioniche; Passiva - l'arma è legata a Shakan e non può essergli sottratta].
Cruciatus ~ Infinito tormento del giusto castigo. [Passiva - i ricordi dell'episodio che ha prodotto Cupiditas tormenteranno Shakan e non potranno essere dimenticati o alterati; Media, psionica - Shakan può condividere quei ricordi o le sensazioni ad essi collegate con un bersaglio singolo]. Nel fodero.

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti;

Riassunto:

Schematizzo:
- I Veggenti si accorgono che qualcosa molto presto colpirà tutto l'esercito di Neiru e comprendono che avrà a che fare col potere oscuro (essendo anche il loro potere);
- I Veggenti avvisano in elfico tutto l'esercito di Neiru, facendo richiamare anche tutte le fazioni lontane ed invitando tutti a ripararsi e/o a compattarsi; fanno avvisare Ashlon e Alexandra; Shakan no perchè lo considerano spacciato (simpaticissimi);
- I Veggenti si dividono per tutto l'esercito di Neiru, posizionandosi in coppie lungo tutto l'esercito. Potendo comunicare con la mente non è difficile per loro invitare tutti a farli passare e muoversi rapidamente.
- Shakan vive la "caduta" dalla fenice, come un sogno che si macchia: il suo desiderio di ricostruzione che viene corrotto da Ray;
- Shakan si risveglia vicino a Rekla pieno di ferite;
- Shakan sente Alexandra che lo avverte con la passiva del "suono nascosto". Visti i precedenti non gli è difficile capire che Ray sta per fare qualche casino.
- Shakan usa "Il potere è apparizione" (Immagine illusoria) per fuggire dall'accerchiamento di Rekla ed evitare il primo colpo di Ray; si materializza il più vicino possibile all'esercito di Neiru, cercando di raggiungerlo.
- I Veggenti evocano centinaia di "Barriere Nere", verde Negromante, unendole tutte insieme e generando un'unica barriera nera che resista ai successivi 3 attacchi (vedere nelle note per maggiore chiarezza).

CITAZIONE
Barriera nera: Il negromante genera, dopo almeno un secondo di ferma concentrazione, una barriera semisferica completamente nera davanti a se, allungando una mano nella direzione desiderata. Questa si formerà a poca distanza da lui, sarà abbastanza alta da coprirlo per intero, particolarmente larga, e risulterà essere quasi indistruttibile.
Un'ottima difesa contro attacchi sia magici che fisici, non copre però tutto il corpo.
Attacchi di elemento luminoso/sacro che andranno ad impattarvi andranno considerati di un livello superiore. Tuttavia, attacchi di energia oscura che dovessero impattare contro di essa andranno considerati di un livello inferiore al normale. Di per sé, va considerata una normale barriera di potenza Alta.
Consumo di energie: Alto

- Un Veggente parla a Shakan che gli fa vedere il Maniero distrutto dagli attacchi di Ray.
- Shakan quindi evoca un golem di ferro nella prima linea, con lo scopo di aiutare Alexandra a reggere l'attacco di giganti e barbari e spingerli fuori dalla barriera nera (farli uccidere dagli attacchi di Ray). Ricordo che le mie evocazioni sono immuni al danno fisico quindi non dovrebbe essere propriamente inutile il suo apporto.
- Imprecazioni varie.


Delle Note:

1) Spero mi si perdonerà del pezzo sui Veggenti: leggendo la loro descrizione mi sono infatti voluto lanciare in una sorta di personalizzazione degli stessi, descrivendone le loro emozioni/reazioni in questo frangente. Il potere della Preveggenza, che permette loro di vedere l'attacco, l'ho legato alla loro facoltà di scrutare il Fiume del Fato nei propri simili - facendo in modo, quindi, che non capiscano dell'attacco sic et simpliciter, ma indirettamente "leggendo" il fatto che molto presto tutti subiranno ingenti danni.
2) Il sogno contiene una serie di riferimenti a Ray, tra cui la sua ormai celebre espressione al termine di "L'incubo e l'Inferno"; faccio presente che Shakan ha visto da vicino quell'espressione e quelle frasi, quindi il fatto che ritornino nel suo sogno è una sorta di ripresa della memoria nel suo subconscio, che sta a significare il fatto che Ray, ancora una volta, l'ha ingannato (ovvero l'ha fatto cadere dalla fenice).
3) Ho letto che Jimmy mi attacca però lui ha scritto che mi attacca alla fine dell'ultimo attacco di Ray: se io rimanessi li fino alla fine dell'ultimo attacco di Ray ci sarebbe ben poco da salvare, invero. Comunque Shakan utilizza la difesa assoluta nell'attimo stesso in cui cala il primo colpo; ho usato l'espediente delle evocazioni di Jimmy che "iniziano a formarsi" proprio per far coincidere l'inizio dell'accerchiamento di Jimmy col primo colpo di Ray e dire che Shakan schiva entrambi con la difesa assoluta; spero non sia troppo forzato ma qua è una tale confusione che francamente non sapevo che altri pesci pigliare.
4) Barriera nera è una barriera di livello Alto che riduce la potenza di attacchi Oscuri di un grado: quindi i 3 attacchi diventano di livello alto, anziché Critico. Essendo ciascun Veggente in coppia con un altro e potendo - per ipotesi - ciascuno di loro evocare 2 barriere (2 slot), tecnicamente ciascuno di loro ha 4 barriere da usare per 3 colpi. In questo senso, andando un po' "ad occhio" si tenta di fare in modo che creino un'unica barriera su tutto l'esercito di Neiru che protegga dai 3 attacchi. Faccio presente che il primo attacco si infrange contro la Barriera magica ancora in piedi, distruggendola, quindi i veggenti usano quel primo attacco per regolarsi sulla "posizione" del colpo del Sole Nero ed orientare la barriera per i successivi 3 perché, come detto da Ray, l'attacco non è ad area, ma ha semplicemente un diametro mastodontico.
5) Circa le parole finali, ricordo che Shakan ha conosciuto i ricordi antichi di Ray, pur avendoli persi conserva il "ricordo" dei "ricordi", oltre ad avere una passiva che gli permette di plasmare a piacimento tutte le sue memorie in ogni momento.
6) Si, ho usato la terza persona, perché se dobbiamo morire voglio vendere cara la pelle. E comunque perchesì.
7) Che fatica! è_é



Edited by janz - 19/9/2011, 16:39
 
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view post Posted on 20/9/2011, 23:39
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Preparatevi: sarà un post piuttosto lungo.
E spegnete quella musica.

Chiudere il sipario. Cambio scena.
Daydream, accendi la macchina del fumo. Arthur? Arthur! Andiamo, datti una mossa, brutto imbecille! E sistema quel mantello, sembri un monaco buddhista. Forza, forza.
Si riapra il sipario, via col fumo. E che stavolta vada per il meglio.

jpg

Le immagini si alternano, ruotando, e giungono colorate come nell'obbiettivo rotondo di un caleidoscopio. Arthur ruota la rondella, le forme cambiano, scivolano, esplodono. Nulla è davvero reale, o esiste, o vive per davvero. Al contempo, però, si potrebbe altrettanto affermare che ogni cosa è davvero reale, esiste, e vive per davvero. Piccoli problemi linguistici, cazzate.
Dando retta alla vista, adesso, il mondo è rotondo e colorato e cangiante, come variopinti pezzetti di vetro in un caleidoscopio. Girano in modo disturbante. Nauseante. Splendido.
Dando per vero (dimostrazione per assurdo) che gli esseri umani o viventi in generale effettivamente esistano, e che siano molteplici e non uno, e che ognuno di essi disponga di un certo numero di facoltà sensoriali, e che l'essere umano in particolare ne possieda cinque, e che esse siano vista, udito, tatto, olfatto e gusto, e bla bla bla... Considerate queste premesse come ipotesi, disposte su di un piano rotondo e concavo in alto, annaffiate poi con un po' d'olio e sale e dovremmo ottenere un'insalata di cazzate. È circa questo, ciò che pensava Arthur cadendo dalla fenice, all'inizio del post precedente. Non solo a questo, ma anche ad Oloferne e alla sua testa, ovviamente. Pensava ad un pomeriggio lontano, fresco, trascorso su una panchina nei pressi di una fontana, chissà quanti anni prima. Ricordava il fruscio molesto dell'acqua che saltava e ricadeva nella vasca di metallo circondata dal muretto di mattoncini rossi, ed era solo, al limitare del boschetto, che guardava il cielo chiaro e ponderava sulla possibilità che il firmamentum trattenesse per davvero un altro oceano oltre le stelle. Pensava al vento e sentiva il vento, ed i suoi capelli erano ancora corti, non aveva armi con sé, ed era sereno, in un certo senso. Il cielo, invece, era di un colore diverso, precipitando verso il suolo, il giorno della battaglia. Rosso, quasi viola, come al tramonto. Rideva sottovoce, piroettando nel vuoto con quel suo mantello rosso vivo, pensando che, alla fine, era di nuovo sereno. Ogni tanto morire fa anche bene.
Non era mai stata la sua battaglia, quella. E non era mai stato il suo mondo, quello.
Non c'era nessun ricordo preciso, ordinato, che seguisse al patto di Amlodi. Da quel momento il tempo era cessato, ma l'Universo continuava a scorrere, ed Arthur con lui. Nel bene e nel male.
Basta con questi ideali. Basta con tutti questi legami o catene, tutti questi obbiettivi, tutti questi nemici, tutta questa morte. Non c'è la morte. Cazzate. L'aveva già capito tempo prima, ma solo ora lo realizzava appieno: ecco, la vita, l'universo, il tempo. Sono tutte cose che non ci servono. La fontana e le zanzare ed Oloferne con Giuditta e la testa di Oloferne da un parte ed il drago Caino dall'altra ed Orion, Aldebaran, la bella Vega che tanto gli ricordava Sideris, e c'era Brutus, Amlodi e Scilla, c'era quel guardiano e quel gorgo e quell'altro cavaliere che, si, alla fine era sempre Arthur, e poi Alexandra e Rohan, nella cattedrale, spade tratte, e poi sul campo, appena di lato, durante la corsa, su una pila di elfi a sventolare uno stendardo nuovo, e poi dall'altra parte sulla fenice, sprigionando lampi di luce ed ombre, e Arthur correva ancora, veloce, ed una folla di soldati che lo seguiva, incoraggiati, forse, ed anche Shakan da una parte, lontano, che precipita e ripete e combatte, come tutti, sotto quel sole nero, quell'altro dio, la cui esistenza era persino meno definita e concreta di quanto non lo fosse la sua, o la loro, adesso, ed Oloferne, ancora, che non è mai arrivato a combattere Israele, Nabucodonosor, la fontana con il muretto di mattoncini rossi, e gli orchi che cadono al suolo smembrati sotto i colpi di Lethe, e gli orchi che cadono al suolo sotto i colpi di Stige, e orchi che cadono al suolo per conto loro, o sotto i colpi degli elfi, o degli altri orchi, o che corrono, ancora, contro il vento, ed inciampano e cadono e saltano su Arthur, volano, e vola anche lui, un dardo rosso che cerca di squarciare quello che gli occhi continuano a dire, e quello che ascoltano le orecchie, ed il puzzo di cadavere ancora fresco, e sangue e viscere ed il frastuono della battaglia campale, a pochissimi passi ancora dalle mura del Toryu, e corre, corre, corre e blocca con il braccio destro un orco che mira proprio a lui, con un'ascia, forse, ed un calcio o una ginocchiata o non so cos'altro e l'orco sembra esplodere, senza fermarsi, senza smettere di correre, ed ecco che tutto è riassunto, ogni cosa trova il suo compimento nella sublimazione dell'incompiuto e dell'insensato, del provvisorio, rapido, mentre il vento getta alle sue spalle i capelli bruni, arruffati come la criniera di un leone, di quel leone, ed un colpo di spada, ancora, veloce, immagini e suoni, odori, equilibrio gravitazionale, forward sliding or running, come su una scala, o una passerella a mezzo metro da terra, per avere una posizione di attacco migliore, fluttua, corre, distrugge la vita per distruggere la morte, per distruggere ciò che sembra o appare, per distruggere questo mondo affinché qualcuno possa ricostruirlo, aspettando di distruggerlo ancora una volta, due, tre volte, immortale, immorale, veloce come una cometa rossa nel fiume di corpi e metallo ai piedi del maniero del re, come un leone affamato, fatto di nebbia ed energia luminosa, allo sbaraglio delle forze nemiche, in un certo qual modo, se esiste davvero qualcosa come un nemico laddove la dividualità si fa tanto esasperata da aver bisogno di creare individui, rapidi, provvisori, sofferenti e malinconici nel loro anelito finale, spada in pugno contro le zanne del leone rosso, quasi viola, come al tramonto. Un intero universo di approssimazione, ed Arthur non riusciva più a sopportarlo.
Il guerriero del lamedh era più grande di tutto ciò, era più folle, se vogliamo, o magari aveva solo capito. Se Buddha fosse stato appena un po' più irascibile, ed un po' meno calvo, probabilmente sarebbe stato Arthur Finnegan. Oppure Jim Morrison.
E via, e via, lontano, veloce. Non ci si capisce proprio niente, di questa vita. O morte. O quello che è. L'importante è correre. Siamo nati, per correre. Siamo cresciuti in umide case intonacate di bianco, con il nostro letto e la nostra scrivania. Con una radio, per alcuni, e con una finestra sull'esterno. Non siamo nati per restare su quel letto, o per continuare a fissare quelle pareti. Eccoci, dunque, che apriamo la finestra. Eccoci che ci arrampichiamo sul davanzale, e che saltiamo, finalmente, in quel mondo reale. Siamo comete sul bordo del grattacielo. Siamo vettori diretti verso il basso, verso il centro di gravità, euforici nell'ultimo moto d'implosione generale. È quello che ci serve, alla fine dei conti. È quello che vogliamo. È il motivo per cui corriamo, ancora, calpestando terra e sangue e corpi sventrati, nel campo di battaglia. È per questo che viviamo, che esistiamo. Il problema della dividualità è tra i più attuali in gioco, non neghiamolo. Siamo nati per correre, per precipitare bruciando, come comete di fuoco nel cielo rosso, quasi viola, come al tramonto. Stiamo esplodendo. Ed eccoci, Arthur Finnegan, e non siamo mai esistiti davvero. Oloferne non ha più la testa. Uno dei nemici resta fermo avanti a lui, lontano. Il sole è ancora nero, quasi viola, e bla bla bla. Ne aveva sentito parlare. Bara-Katal, l'allegro capobanda. Arthur Corre, sorride, non gli importa di nulla. Quello che serve, la cosa essenziale, è non smettere mai di correre. Qualsiasi cosa accada. Anche se quell'orco gigantesco sta correndo contro di te, balenando quella sua rozza spada arrugginita per cercare di tagliare la testa del leone, non devi smettere di correre, di muoverti in qualche modo. Stiamo cercando il Nirvana, stiamo distruggendo questo mondo, stiamo spezzando il Samsara, non possiamo fermarci. Non vogliamo fermarci. Arthur continua a sorridere, i suoi occhi urlano, la sua anima urla, e l'Universo trema e vibra quando alza il braccio destro e le spade dei due guerrieri si urtano stridenti. L'aria sembra esplodere attorno alle due armi. Brucia, il cielo, brucia il mondo, Brucia Arturo, grano di corallo, tra le più luminose del firmamento.
Ciò che più di ogni altra cosa vogliamo è la distruzione. Il cambiamento di uno status che non è adatto, che non è abbastanza capiente per tutti, per tutto. Ciò che più di ogni altra cosa vogliamo è correre, bruciare, ruggire, esplodere, precipitare. E che tutto il resto andasse a fanculo, con tutti i positivisti ed i materialisti ed i consumisti e shoppers profesisonisti e collaudatori di materassi e radiosveglie e con tutti gli esimi scrittori di intellettuali manuali d'utilizzo di quei materassi e di quelle radiosveglie e di questo o quell'altro libro di storia e matematica o metafisica. Continuo a credere che, dopo tutto, i libri più letti nella storia appartengano a due generi. Ci sono i libri di culto, come la Bibbia o il Corano, e ci sono le riviste pornografiche. Entrambi i testi, comunque, sono sempre finalizzati alla masturbazione.
Eccolo, corre. Furioso, euforico, incandescente. Daydream, con le sembianze del leone di nebbia, balza sul Bara-Katal, o Baca-Rozzo che dir si voglia, che ha per primo sferrato il colpo. Attacco a potenza alta, pergamena incastonata, niente slot. Ah! Si fotta.
Abbiamo ancora un altro problema, qualcosa che ci impedisce di continuare a correre.
Attorno ai due guerrieri s'era creato un vuoto innaturale. I soldati di entrambe le fazioni sembravano come cessare la battaglia ed indietreggiare per assistere al confronto dei due generali. Generale, poi, Arthur non sapeva nemmeno cosa volesse dire. I costruttori e le loro bestie ruggivano poco distanti, mentre il rumore di fondo diventava più intenso, ed Arthur diventava un po' più sordo ed un po' più cieco. Non ci si capisce proprio niente, di questa vita. Tu, orco, non fermerai mai la mia corsa. Gli dei cadranno, oggi, anche se non per mano mia, ma mai potrai bloccare la mia avanzata.
Èra ancora lontano, e dai suoi piedi scuri inizia/ò ad aprirsi una crepa nel suolo. Ne sbuca(ro)no spade, o lame, ed avanza(ro)no verso Finnegan per attaccarlo dal basso.
Il tempo non è qualcosa di importante, filosoficamente o comunque in un piano d'analisi sufficientemente ampio. Non vedo perchè debba essere importante sul piano grammaticale, allora.
Arthur salta in avanti, credendo di poterle valicare.
Un geyser di metallo s'alza dal suolo proprio sotto di lui, credendo di poterlo trafiggere.
Non sempre ciò che si crede corrisponde a verità.

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Non sempre esiste qualcosa come la verità, comunque.
Anche se per pochi secondi, la folle ultima corsa di Arthur Finnegan venne arrestata. Le gambe erano ferite superficialmente, l'armatura era ammaccata e scheggiata in più punti, un ampio taglio diagonale si apriva sul torace del guerriero, ma era poco profondo. Il braccio sinistro era ancora libero, il destro si sarebbe liberato a breve. La fronte sanguinava.
Eccolo, Bara-Katal, che corre a sua volta verso il Dormiente. La testa di Arthur doveva proprio essere qualcosa di meraviglioso, se l'orco era tanto determinato a portarsela via. Un po' come Oloferne. Un po' come Ruin e la torre di Babele, ed Enmerkar a sua volta, e prima ancora l'antico Enlil, o Samael, o quello che vi pare. Un storia troppo lunga per ricordarla tutta proprio adesso.
L'uomo solleva Stige con la mano sinistra. L'uomo è furioso, stordito dall'urto dell'arresto. La rozza spada del guerriero nemico, intercettata sulla guardia, schizza via roteando. Gli dei devono cadere, ma prima devi cadere tu. Anche nel mezzo della battaglia, la puzza di cadavere del generale di Gruumsh era tanto forte da spiccare oltre la ressa olfattiva di quel putiferio. Sangue marcio, colori assortiti. Un po' di carne bruciata, anche. Ketchup avariato, forse.
L'uomo si libera, divincolandosi dalla presa delle stalagmiti di metallo. L'uomo riflette un secondo sull'etimologia della parola “stalagmite”, concludendo che in effetti non glie ne frega nulla. L'uomo torna dunque al mondo, cade dalla fenice, ancora, Oloferne, la sua testa. Ah.
A questo punto, le opzioni non sono molte. Il fantasma di nebbia sta ancora trattenendo ciò che sembra essere un clone di Katal, ed Arhur apre bene gli occhi.
La fiera esplode, inondando il campo di battaglia di una fittissima nebbia scura. Aveva capito.
Zoppicava un po', ma non è caso di dare troppo peso alla cosa; lui è una forza dell'universo. Scivolò in avanti, le else ancora ben strette, sfruttando il frastuono e la nebbia per distruggere colui che aveva osato rallentare la sua corsa in quel modo. Niente vista, niente udito. Con tutti quei cadaveri in giro, non dovrebbe neppure essere in grado di avvertire il sottile odore della cometa rossa che proprio adesso, china, si fermava a pochi centimetri dalle sue spalle. Finnegan si fece piccolo piccolo, chinandosi sulle ginocchia per poter meglio mirare al punto desiderato. Il sibilo di Stige si perse nella tempesta acustica, ed il fumo soffocò il suo bagliore. Nessuno si sarebbe aspettato ciò che, nel giro di due secondi, sarebbe successo laggiù, ai piedi del bianco Maniero.
Forse qualcuno se lo sarebbe aspettato.

Ogni corpo ed ogni spada rallentarono il loro moto, o così parve. Arthur era ancora rannicchiato ai piedi di Katal per mozzargli le gambe quando, improvvisamente, un rumore inondò l'aere. Più come un boato, o come un ammasso di urla sibilanti e strilli sommessi. La lama della flamberga nella mancina del cavaliere schizzava in orizzontale e collideva la caviglia del nemico, allora. La nebbia si dissolse d'un tratto, come spazzata via da un vento di tempesta. Nessuno capì. I tendini dell'orco si stavano allora recidendo e strappando, e la spada di Finnegan giungeva allora all'osso quando, provando a descrivere la cosa in termini semplici, si misero a piovere delle lame nere. Caddero e distrussero ogni cosa, mutilando ed uccidendo. Molti dei costruttori di Neiru furono feriti. Pochi tra i Novizi accanto ad Arthur sopravvissero. Gli orchi caddero a decine.
Ed era là sotto, con gli occhi sgranati che fissavano l'atroce spettacolo, quando il vecchio sfidante gli cadde letteralmente addosso, o così gli parve. Distratto dalla nebbia e dal contrattacco del cavaliere, Katal non ha probabilmente notato l'attacco aereo. Ed ecco una delle ultime lame che sfiora la sua sagoma, tagliando appena un ciuffo dei capelli del dormiente che voleva correre. I suoi pensieri, proprio allora, erano ancora rivolti agli dei di Israele e di Assur. Pensava alla guerra, alla morte. Pensava alla fortuna sfacciata che aveva eppena avuto, e che non sarebbe durata ancora a lungo. Pensava ancora all'universo, alla fallacità inevitabile nell'analisi anche breve di un mondo popolato da individui. Non c'è nulla da temere. Non c'è nulla da cui fuggire, nulla che può ucciderci. Dobbiamo solamente continuare a correre, continuare a volare.
La pioggia nera sembrava cessata. Quando il guerriero spinse via il capo degli orchi per riprendere la marcia, quello parve grugnire qualche parola, in una qualche lingua, che Arthur non avrebbe neppure ascoltato. C'era altro a cui pensare, altro da fare. Si alzò in piedi, ma non sorrideva. Sembrava quasi sano, quasi normale, in quella sua maschera materiale. Non infierì, non parlò, non lo guardò neppure negli occhi. Semplicemente, naturalmente, ripartì.
Alla carica si aggregarono anche i sopravvissuti delle file dei costruttori, assieme agli ultimi novizi ancora in grado di brandire un'arma. Il custode era scomparso. Probabilmente decapitato.
Oh, Giuditta. Sporca puttana traditrice.

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Fate una pausa. Alzatevi. Bevete un po' d'acqua.
Il post è ancora lungo. Correte, per fare prima. Non fermatevi, però. Non fermatevi mai, non fatevi fermare. Attenzione a non inciampare. Particolare attenzione agli orchi, strada facendo: sono dei gran bastardi, sapete? Ne incontrai uno, una volta, capace di far spuntare delle spade dal terreno. Poco sensato, ma indubbiamente efficace. Arthur zoppica ancora, per colpa di quelle spade.
Fine della pausa. No, non fermiamoci. Non fermiamoci mai, davvero.
In un'esistenza così provvisoria, così breve se paragonata al ritmo cosmico, non abbiamo tempo da perdere. Se è vero, poi, che ognuno ha bisogno di un obbiettivo o di uno scopo, e che questo poco tempo che abbiamo non è neppure sufficiente, a volte, per riuscire a scegliere il proprio scopo, smettere di correre è la cosa peggiore che si possa fare. La cosa peggiore che si possa pensare, nell'ottica del bersaglio.
Proiettili, eccoci. Siamo frecce, dardi, proiettili e palle di cannone. Siamo lanciati contro obbiettivi fuori vista, e la nostra potenza si riduce strada facendo. In particolare, tornando alla storia, la traiettoria di Finnegan termina oltre l'orizzonte, molto oltre. Un proiettile sparato verso il cielo, in alto, che anela allo spazio vuoto, senza gravità. Anela al moto infinito, inutile, eterno, immorale, immortale. In un certo senso, con lo strappo dello sparo, una certa quiete l'ha trovata. Eccolo che vola in alto, con un fracasso indicibile. Ed ecco i corridori scattare, al segnale del via. Eccoci che corriamo, alla carica contro la storia, contro la religione. Eccoci che brandiamo le nostre lance contro il paradiso, contro le illusioni e gli dei, eccoci a smentire e ad accusare, a correre, a correre ciechi, sordi, sempre in avanti, sperando di non farci male quando inciamperemo, se inciamperemo.
Ed ecco una generazione di Nietzschiani, una generazione nichilista -per quanto le due cose possano essere compatibili- ai piedi del bianco maniero, che corre verso l'azzeramento, verso l'eternità, ancora, ancora, ancora. Ripetizione esasperante. Ripetizione angosciante.
Dateci una pausa, dateci un po' di conforto. Dateci un paradiso in cui sperare, a cui mirare dalla canna del revolver, per evitare di cadere nel vuoto senza gravità dello spazio interstellare, scuro come la notte. Corriamo, dunque. Non siamo stati abbastanza piccoli. Non siamo stati abbastanza perversi, ed abbiamo assunto verso i libri di culto lo stesso atteggiamento che le signore per bene assumono nei confronti delle riviste pornografiche. Ogni tanto è anche giusto fare una pausa, da tutta questa arroganza. Ogni tanto, qualcuno, volgendo lo sguardo al cielo, o verso il mare, o agli occhi della persona amata, o di quella odiata, ogni tanto capita che quel qualcuno decida di mettersi a correre, finalmente. Una cometa incandescente, rossa, quasi viola, come al tramonto. Non piangere più. Oh- Carry on my wayward son, there'll be peace when you are done. Lay your weary head to rest, don't you cry no more. Tutti insieme, forza! […]
Verso il maniero, allora. Senza fermarsi, mai, ne va della vita. A questo punto, in questo istante ed in questo preciso luogo, non sto più correndo per divertimento. Non corro per salvare la mia vita, o per stroncare quella di un altro. Non corro per fama, non corro per necessità, non corro per assuefazione. Arthur Finnegan, corro perché esisto.

Dopo tanto vagare nell'ombra si arriva al punto in cui si smette di cercare. Il punto in cui ci si dimentica, eventualmente, ciò che si andava cercando. La strada percorsa, i sentieri da battere, i volti e le voci ed ogni forma altra e perduta suo malgrado in un tempo in rivoluzione, tutto– nulla, nulla ha più un posto.
Frammenti d'uno specchio spezzato gettati per terra come pezzi di un ciclopico puzzle, cocci residui di storie diverse che diverse immagini racchiudono e riflettono, diversi tempi e diversi luoghi scagliati dall'illusione di univocità nell'angolino più scuro dell'abisso cosmico, nell'ansa più buia del fiume del mondo.
Io sono una forza dell'universo.
Sono cieco alla vita, lontano. Vento tra le fronde del tempo, io non vedo anime.
Questo frammento nero, opaco, racconta una storia diversa, con voce diversa. Questo specchio racchiude, riflette l'immagine d'una stanza scura nel ventre della terra. Cinque spiriti nel gioco della quadriglia, tutti sordi e ciechi, già danzano nel buio.
Ignoto il luogo, certo, dove il piccolo messaggero della distruzione posa adesso i suoi duri calzari. Arthur è cieco alla vita, lontano. Non vede anime, no: ha gli occhi ancora chiusi.
Riposto nello specchio, in un cassetto remoto, c'è un piccolo letto bianco. Un frammento ignorato, poco importante, che narra la morte d'un uomo. Forse.
Avrebbe anche raccolto quel pezzo di vetro, il tassello dimenticato che mancava a quella storia, ma non lo fece. Lo osservò dall'alto, notando magari il volto dell'uomo nel letto, sotto alle lenzuola pulite. Il sangue sulla corazza del rosso puzzava ancora, ed era l'odore del morto. Era l'oblio di un viso antico, sepolto nel remoto passato. Ignoto.
Uno spirito in meno nel gioco della quadriglia: i suoi occhi non si riapriranno.
Corri nel buio, cavaliere del sogno.
Cammina nell'ombra, Finnegan.
Arthur Finnegan, il piccolo messaggero della distruzione. Io, sempre io.
In piedi, muto: il tempo non esiste. Non c'è spazio nell'ombra della torre, non c'è vita. Cammina piano, Finnegan. Fai silenzio.
Sorpassa i pezzetti dei ricordi passati, i frammenti di futuro.
Dopo tanto vagare nella luce si arriva al punto in cui si inizia a cercare. Il punto in cui ci si ricorda, eventualmente, ciò che è perduto. La strada da prendere, i sentieri che mai verranno battuti, i volti e le voci e ogni forma altra e rimembrata suo malgrado in un tempo in rotazione, nulla– tutto quanto ha allora una corretta collocazione.
Arthur smise di chiedersi perché. Smise di cercare, tra quei pezzetti di storia, quale fosse il giusto posto da occupare nella progressione. Smise di danzare nell'ombra e prese a camminare dritto, alla cieca.
Arturo è facilmente individuabile a causa della sua grande luminosità e del suo caratteristico colore arancione, molto vivo; si rintraccia prolungando la curvatura indicata dal timone del Grande Carro verso sud. Nell'astronomia Hindu corrisponde alla tredicesima Nakshatra (suddivisione del cielo), chiamata Svātī, che significa o il grande camminatore, in riferimento forse alla sua lontananza dallo zodiaco, o la perla, la gemma, il grano di corallo, in riferimento probabilmente alla sua luminosità.
Defunti sono gli eoni di Kronos, nello spirito dell'illuminato.
Buia la strada da percorrere, come il nero fondo del cielo. Arthur è una forza dell'universo.
Io sono cieco e sordo, adesso, ai capricci del fato. Io –
Io sono vivo, adesso, a dispetto degli dei e del destino. Io mi ergo fiero contro il vento del mondo come un'ultima piccola nave dalle vele rosse che affronta la più grande delle tempeste, la più terribile delle fiere.
Io sono il vento ed il fuoco nelle fronde del tempo, immorale, immortale.
Io sono il grande camminatore, ancora una volta, per la cute della terra. Aratro del mondo, maldestro messia. Io sono la più luminosa delle stelle, Arturo, terribile, crepitante.
Guarda ora le mie mani, marionetta dei demoni sovrani: non sono ancora aperte e salde come artigli? Non i miei capelli già diritti come sul capo d'un leone di montagna? Non altrettanto determinato, non altrettanto forte ti sembro? Ascolta la mia voce e guarda bene i miei occhi, rosso vivo, adesso, come la stella di cui porto il nome. Questo, questo è il mio pianto di gioia. Oh, sagoma nera nella luce di Velta, non ti sembro io più basso, scuro e terribile di quegli dei che servi? Non forse più reale?
Viva e ribollente la nebbia attorno al mio corpo ferito, ancora umano, turbina e tuona come una nuvola di tempesta. Io sono il fato.
Suonano grevi come sulla pelle di un timpano i miei piedi, mentre cammino verso di te. Non ti sembro forse abbastanza cieco, abbastanza sordo?
Oh, lo sono. Io, Io sono l'ultimo grido degli uomini, che uomo non sono più. Io sono una legge fisica, una funzione ancora non studiata. Osserva il mio passato, tu che dei miei ricordi hai adesso il volto. Guarda le mie orme, il mio mantello scarlatto.
Avverti la mia corsa, adesso, ed il bagliore della mia spada. Senti il gelo del tempo che scorre nelle tue arterie putrescenti, oh dolce fantasma del mio amore perduto.
Sideris – ti chiamavi Sideris, giusto?
Dolci occhi d'oricalco azzurro, splendenti tesori perduti nella foschia rossa d'una nuvola di sangue disciolto in mare, e di un altro frammento di una storia diversa.
« Mi senti? » Esordì il guerriero. « Riesci a vedermi? »
Ogni cosa è perduta, come la corrente del fiume che scende a valle.
« Io sono qui! » Arthur sta correndo verso la porta.
« Io- » Il punto in cui si smette di cercare.
Non ci serve un posto nell'universo, nessuna locazione idealmente corretta.

Aveva già varcato le porte del castello quando la seconda pioggia nera s'abbatté al suolo.
I costruttori sopravvissuti, assieme alle loro belve, assaltavano le truppe nelle retrovie, mirando all'artiglieria, fisica e magica. Il dormiente punta in alto lo sguardo, e vede le pareti crollare verso l'interno. L'unico pensiero, adesso, sempre lo stesso, rapido, effimero, eppure così importante. Arthur Finnegan non poteva morire, non avrebbe cessato di esistere in modo definitivo, se prima non fossero caduti tutti gli dei. Bisognava salire più in alto.
Bisogna salire più in alto. Siamo tutti vettori in spinta contraria alla forza peso, a velocità dirompente, scalino dopo scalino sino alla cima della prima torre, forse l'ultima ancora in piedi. Il cielo è proprio strano, oggi. Rosso, quasi viola, ma il sole è alto, ancora, e nero, pulsante. Non piangere più, mio ribelle figliuolo. Ci sarà pace, quando avrai finito.


La pianura attorno al castello, sorridente, attendeva l'ultima marea di morte. Ciò che appena qualche giorno prima era il vanto del Toryu, il bianco Maniero, era poco più di un ammasso di macerie.
Forse, per la prima volta, Arthur Finnegan si rese conto di essere solo.
Anzi. Si rese conto solo allora di essere sempre stato solo. Se non dalla nascita, da poco dopo.
Avrebbe voluto ricordare tutto. Avrebbe potuto ricordare tutto, allora, sulla cima della torre, ma non lo fece. Non poteva smettere di correre in avanti, qualsiasi cosa sarebbe successa. Non poteva piangere ancora, ricordare ancora, e poi dimenticare ancora. Non voleva.
Arthur era da solo, lontano dai suoi vecchi nemici e dai suoi vecchi alleati. Dalla cima della torre, poco prima della terza ondata nera, riuscì a distinguere le sagome lontane di Alexandra e Shakan, perdute nella folla, oltre lo specchio. C'era la donna della tomba, in qualche modo, e la vedeva combattere. C'erano migliaia di Orchi ancora vivi, migliaia di elfi ancora vivi, migliaia di altre creature senza nome che s'accalcavano le une sulle altre, uccidendo e godendo del sangue versato, in una gigantesca orgia rituale in onore di quegli dei senza pietà.
Da solo, un pino solitario che aspetta la tempesta sulla riva del mare. Non puoi fare nulla, non puoi correre oltre. Alza il volto e senti la pioggia.

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La voglia di lasciarsi morire è troppo forte.
In ginocchio, reduce dall'uragano, Arthur ha ancora abbastanza forza per respirare. Abbastanza da riuscire a tenere ancora strette le sue spade, da tenere ancora gli occhi aperti. Non aveva bisogno d'altro. Era solo, era sempre stato solo, e non era ancora finita.
Ai piedi della torre, un ultimo sparuto plotone di costruttori fissava il cavaliere rosso, in ginocchio. Poco più lontano, anche gli orchi riuscivano a distinguere il colore del suo mantello. Probabilmente anche Bara-Katal continuava a guardare Arthur, ma non possiamo saperlo per certo.
Ciò che vedeva il cavaliere, però, non era diverso da ciò che aveva visto per tutta la sua vita, da che ricordasse. Rosso, quasi viola, come al tramonto. Il cielo prometteva altro sangue, voleva altri corpi, altre macerie. E forse c'era anche un dio lassù, che si divertiva a giocare.
Alla fine dei conti, lasciando perdere l'Assoluto e L'Universo ed il Tempo, il Nirvana, dimenticandosi per un secondo solamente di tutto ciò che era stato in quegli ultimi mesi, di tutte le ragioni che devono averlo spinto sino a quel punto, sino a quel luogo, Finnegan si ricordò di essere stato un uomo, un tempo. Credette, per appena un secondo, di esserlo ancora.
Se anche l'aveva capito in precedenza, solo allora realizzò di essere sempre stato solo. Soffrì, per questo. Solo allora. Solo in quel secondo. Appena prima che il quarto rintocco della campana nera si schiantasse sul suo volto.

Tutti noi nasciamo soli, da un buco umido. Viviamo le nostre vite in equilibrio tra la follia e la socialità, e finiamo sempre da soli, morti, in un buco umido nel terreno. C'è qualcosa di ironico in ciò, senza considerare che molti di noi trascorrono anche la loro vita attiva in un buco umido. C'è qualcosa di molto triste, in ciò. Arthur Finnegan è morto diverse volte, ma non essendo mai stato davvero un uomo, è logico supporre che non potesse mai davvero essere morto. E così fu. La prima volta ebbe anche un bel funerale, intimo, solo i parenti e gli amici più stretti. Che vadano tutti a farsi fottere, comunque. Era su una barca, anzi, era su una pila di legna secca che era su una barca. Al largo. A fuoco. Sarebbe bastato controllare meglio. Ascoltare il cuore con più attenzione. Accorgersi di quel respiro sottile ed affannato. Ma no, lui era morto. Ferito a morte e poi bruciato, come da tradizione. Vivo. E non era un uomo, ma un fantasma. Una forza dell'universo, non sottomessa ad alcuno scopo o obbiettivo ultimo. Adesso, però Arthur Finnegan è da solo. Vivo.
In ginocchio sulla pietra ruvida, fissando la quarta ed ultima pioggia nera che s'avvicinava ad una velocità irrazionale, non poté non fare un bilancio generale.
Suo padre, anzitutto. Brav'uomo, profondamente stupido, credo amasse suo figlio. È morto da tempo. Mamma Finnegan, stesso discorso, inutile ripetersi. Ci fu Amlodi, ovviamente, e fu un colosso tanto di dimensioni quanto di cattiveria. Ha avuto ciò che si meritava, lo stronzo.
C'era un vecchio amico, non ricordo il nome, che si dilettava di magia nera. Svanito, dimenticato, probabilmente. E poi, ovviamente, c'è lei, Sideris. Forse lo amava, o forse era solo una dannata ninfomane. Arthur la amava ancora, o almeno è quanto di più vicino all'amore lui provò mai. L'amava come un cucciolo abbandonato può amare colei che decide di salvarlo e nutrirlo. Si odiava, per questo. Si odia ancora, per questo. Ed eccoli, loro tre, o quattro: Orion, Vega, Aldebaran, tutti nomi di stelle del cazzo. Gli deve molto, solo ora se ne rammenta. E poi tutti gli altri, tutto quel casino, Enlil, An, ma quando sono successe, tutte queste cose? La Culla, la Culla del Caos. Non è mai riuscito a dimenticarla, non ha mai smesso di cercarla. Eppure, eppure ancora non ricorda bene come fosse fatta. Vai avanti, mio figliuolo ribelle. Ci sarà pace, quando avrai finito.
Ed eccoci, arriva, la fiamma nera, la pioggia nera.
Ricorda ancora la volta di una cattedrale, ancora, ancora, una delle immagini più frequenti. Ricorda loro due. Rohan, spavaldo. Non ci ha mai parlato davvero, ma in un certo senso lo conosceva. In un certo senso era lui, e viceversa. Ed era anche lei, Alexandra, sicura di sé come un fiore bianco, diritto sotto la pioggia. Erano forse le due persone più simili a lui che abbia mai incontrato. Loro due, ovviamente, ed Orion. Si chiese quanto fossero cambiati, da allora. Quanto tempo fosse passato, da allora. Si chiese, infine, se tutto ciò fosse mai successo veramente, o se qualsiasi altra cosa nell'Universo fosse mai successa veramente.
No, le cose non accadono. Le cose non esistono. La vita è solamente la risposta dell'Universo alla Volontà di Esistere.
A dispetto della morte, a dispetto della solitudine e del dolore, Arthur Finnegan voleva continuare ad Esistere.

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La quarta bordata oscura si schiantò contro la pianura, sbriciolando mura e speranze. Il dormiente, al momento dell'impatto, evaporò in una nuvola di fumo rosso. Tanto forte era il colpo, si sarebbe pensato, che la carne del mostro è evaporata. Ed ecco Arthur Finnegan morire di nuovo.
Infondo, che giocata è una giocata dove Arthur Finnegan non muore? Dov'è l'anima della festa, altrimenti? Chi dobbiamo far morire? Rekla Estgardel? È troppo giovane, ha ancora molto da fare. Arthur Finnegan è un soggetto migliore. È già cresciuto abbastanza. È già completo, maturo.
È già evaporato, comunque.
Rosso, quasi viola, come al tramonto.
Ripetizione rituale.


Molti metri più in alto, la nuvola rossa si addensa di nuovo. Atmosfera inoltrata, just above the battlefield. Ed ecco condensarsi sino a ricreare un paio di piedi, di gambe, un torso, due braccia, eventualmente una testa. Il mantello è ancora aeriforme. In piedi, dunque, ancora ferito ma ancora vivo, dunque, fluttuante sopra il campo di battaglia. Nessuno poteva vederlo, così piccolo e lontano, occultato dal frastuono e dagli eventi, dalla morte, dalla vita. Era da solo, incredibilmente in alto. Era ancora un uomo, ed ancora puro pensiero. È Arthur Finnegan, ancora, e vuole continuare ad esistere. Ancora per un po'. Vuole continuare a combattere, a correre. Ruota su sé stesso, poggia i piedi su una nuvola, a testa in giù. Prende lo slancio. Oh, si riprende a correre!

Il resto è quasi superfluo.
Si lanciò in picchiata, quasi alla cieca. Era la quinta pioggia mortale, ma poteva scegliere un solo bersaglio. Velocissimo, non ebbe quasi il tempo o i riflessi per distinguere gli alleati dai nemici. Bruciando, precipitando, distruggendo, urlando come una belva. Urlando contro le truppe sempre più vicine, contro quel cavaliere sconosciuto, che sembra esserne uno dei generali. Ah.
Un fulmine rosso scarlatto, preceduto da un degno rombo di tuono. Stige e Lete già balenavano senza forma, pronte a distruggere qualsiasi cosa avessero carezzato.
Boato. Schianto. Rosso, quasi viola, come al tramonto.
Il resto è superfluo.


La virtù di un buon testo, credo, sta nella capacità di sintesi.
Ciò che più di ogni altra cosa vogliamo è la distruzione. Il cambiamento di uno status che non è adatto, che non è abbastanza capiente per tutti, per tutto. Ciò che più di ogni altra cosa vogliamo è correre, bruciare, ruggire, esplodere, precipitare.

- WHRHOOOOOAHRRGH -
Ripetizione rituale.




-



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My-my-my-my-my-my Sharona!


ReC: 225
AeV: 225
PeRf: 850/425
PeRm: 225
CaeM: 250
Energia: 73%
Stato psicologico: Nessun danno mentale.
Condizioni fisiche: Eh. Danni di entità "Alto+Critico" distribuiti un po' ovunque.


Passive sfruttate:


Phatos (personale, raddoppio perf in stato di rabbia)
Appoggio e Punti Nevralgici del ladro.
Forza e Resistenza del dominio Forza del toro (Lv.1 e 2).
Tutte più o meno citate negli spoiler precedenti.



Attive impiegate:



Ghost Fog (Fumogeno - Ladro/Bianca) Costo Medio
Espandendosi per il campo di battaglia, la nebbia scura Daydream potrà diventare sufficientemente estesa da andare ad ostacolare la visuale delle creature in gioco (escluso Arthur). La nebbia sarà talmente densa che sarà impossibile scrutarvi attraverso. Un'ottima tecnica elusiva, che permetterà quindi all'agente di nascondere la propria presenza per il tempo necessario ad organizzare le sue azioni. Una forte raffica di vento o eventi similari potranno comunque disperdere la nube (del tutto o in parte), che altrimenti permarrà sul terreno per due interi turni, compreso quello di attivazione. La tecnica va a pescare dalla riserva energetica di Arthur.
---
Stormo Rosso (Stormo Illusione - Ladro/Verde) Costo Medio
Senza particolari tempi di concentrazione, il corpo di Finnegan sarà avvolto da uno svolazzante ed amorfo mantello rosso, svanendo sotto di esso. Il tessuto non potrà arrecare danno all'avversario, ma potrà spostarsi a mezz'aria e sciogliersi poi in un punto non troppo distante, facendo quindi riapparire il personaggio. Al mantello fantasma non potrà essere arrecato alcun danno.
La tecnica non potrà avere durata superiore a quella del turno nel quale viene effettuata.
Se usata a scopi difensivi, la tecnica va considerata come una difesa assoluta.
(modificata in senso scenico per farla diventare una nube rossa)
---
Airquake Costo Variabile
Arthur è in grado, dopo aver inspirato profondamente, di emettere un urlo potentissimo, simile ad un ruggito, che risulterà chiaramente udibile per un'area molto ampia. Il suono risulterà tanto potente da stordire pesantemente gli ascoltatori più vicini, per il tempo necessario al guerriero per compiere la sua offensiva. Tanto più potente sarà il ruggito quanto maggiori saranno i danni che chi lo ascolta riporterà, che si concretizzeranno in un danno psionico proporzionale al consumo energetico.
La tecnica trae la sua efficacia dall'inaudita potenza fisica dell'organismo di Finnegan, e si baserà dunque sulla sua PeRF.
La tecnica va a danneggiare solamente il personaggio o i personaggi a cui essa è rivolta, coprendo così un'area ristretta e riconoscibile tramite un vistoso spostamento d'aria di forma conica, con vertice nel guerriero, che si delinea nella direzione desiderata sino ad investire la vittima del suono. La presente è da considerarsi un'abilità psionica.




Riassunto & Note:



-paro il primo attacco fisico di Barakatal,
-incasso l'inferno di lame a potenza alta,
-paro l'attacco fisico del suo clone, disarmandolo in virtù delle stat (quì attivo il raddoppio perf, infuriato per esser stato arrestato ed attaccato.)
-evoco la nebbia (perg. ladro) come diversivo ed attacco Katal con un potente colpo di spada sul tendine di achille (pergamena punti nevralgici, colpi paralizzanti, innata conoscenza anatomica), nel frattempo daydream (che ancora ha carica magica medio+medio (alto) dal turno di prima) tiene a bada il clone.
-in posizione di scivolata, mentre attacco barakatal stordito, arriva la prima ondata di lame oscure. Bara-katal mi fa da scudo, inconsapevole ed involontario ovviamente. Non prendo danni, ma mi accorgo del pericolo.
-corro come un razzo all'interno del maniero (come fanno anche i costruttori ed i novizi rimasti) e mi riparo dal secondo critico.
-corro per le rovine uccidendo orchi a casaccio, quando arriva la terza ondata, che subisco senza difese (danni critici) dalla cima di una delle torri.
-aspetto la quarta ondata sul tetto. Quando arriva, uso la difesa assoluta stormo illusione, letteralmente 'esplodendo' quando le lame oscure dovrebbero colpirmi. I nemici e gli alleati crederanno sia morto. Potete sfruttare la cosa per riflessioni strappalacrime sulla vita e la morte, se vi va.
-la nuvola rossa di stormo illusione si ricompatta molti metri più in alto, facendomi tornare solido solo ad alta quota (sfrutto 'appoggio' per rimanere in aria). Ovviamente la pergamena non mi fa ricomporre subito ad alta quota, ci metto anche un po' di mio (usando ancora appoggio) per salire saltellando o correndo in aria. Dato che comunque la nebbia non si dissipa del tutto neppure quando sono solido, quella attuata mi sembra una soluzione scenica plausibile.
-passo al contrattacco, precipitando come un razzo sul campo di battaglia. Lancio un urlo psionico da abilità personale (ho tre slot grazie all'altra abilità a costo nullo) diretto verso Tristan, abbattendomi poi su di lui (ed in generale in quell'aera) mentre mulino le due spade in modo da coprire un'area quanto più ampia possibile. L'attacco è un normale fisico, ma è preceduto da, appunto, un urlo psionico a potenza alta. Si basa sempre sulla perf, ma per questo attacco è già tornata al valore normale di 425. Dovrebbe stordirlo per farmi portare a segno il fisico, o almeno l'idea è questa.
Che l'ultimo colpo vada o meno a segno, per ammortizzare la caduta senza danneggiarmi più di tanto userò appoggio.
Non aggiungo altro, se non l'invito (suggeritomi dal collega, mr.S) di rileggere tutto il post usando QUESTA soundtrack.
Chiedo scusa per il ritardo. Let's move on.





 
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Foxy's dream
view post Posted on 21/9/2011, 00:07







Che gran casino quel mattino del marzo ’43.
L’assordante sirena che avrebbe annunciato l’inizio di un altro turno, per la prima volta, taceva.
Lo sgomento nei visi di pochi pian piano si fece denominatore comune di ognuno degli operai.
« È iniziato. Finalmente è iniziato. »
Un unico pensiero si faceva spazio nelle menti annebbiate dalla stanchezza.
Probabilmente non ci sarebbe stato un poi a quel giorno, non in quegli anni.
-chi li ha vissuti potrà confermare-
Ma non importava. Il futuro era un’alternativa, il presente una certezza.
La fermezza negli occhi di alcuni dilagò come un morbo per appestare l’operaio di fianco,
che lasciando la propria posizione di puntò in bianco infettò il suo prossimo,
e così l’altro ancora in una catena d’improponibile lunghezza.
...

Il primo, vero, grande sciopero ebbe inizio.
Coraggio e ideali l’animarono, gli uomini gli diedero vita.
La presa di posizione di un popolo schiavo dell’ignoranza.
...

Non si trattava di anarchia, e neppure di utopia.
-concetti ben lontani dal primo all’ultimo anello della lunga catena-
Ma di semplice ribellione.
Quindi via i vestiti lordi di catrame e oli cancerogeni, giù gli arnesi del mestiere.
Tutti in piazza a manifestare contro i tiranni.
Quel giorno erano uomini liberi.
Che gran casino quel mattino del marzo ’43.


La stessa voce correva in lungo e in largo sul campo di battaglia. Ydel, tra le visioni d’un inferno di morte e passato, nel limbo dell’onirico dove solo lo sguardo d’un Veggente poteva giungere, aveva scorto un nome farsi avanti nel turpiloquio di un futuro in procinto di realizzarsi.
Ray. Aveva veduto il grumo informe del suo potere farsi avanti come un galassia fatta di vuoto e siderei frammenti d’Io, attorniata da un buio tanto vorace da fagocitare ogni luce o pensiero, lasciando il solo sgomento e amarezza al silente passaggio.
Gli occhi vitrei e privi d’ogni riflesso vitale si dipinsero d’un innaturale rossore, come se le vene al loro interno ne stessero dipingendo un affresco, un fiore obbrobriosamente complesso in rude contrasto con la delicatezza dei suoi petali. E poi un concitato respiro. Tornò nel fragore della battaglia, frastornato dalla furia di quella visione, inebetito dalle urla delle linee poco più avanti.

« Ray. Verrà dal cielo.
Quattro rintocchi di campane annunceranno la sua venuta. »


Lo confessò a voce bassa a Eldul, di fianco a lui, suo compagno d’arme in quella prodezza dove sopravvivere era più che un dovere, quasi un obbligo. Chiamati a combattere non restava che stringere le armi, serrare i denti nell’espressione più arcigna che si potesse abbozzare, e salutare ogni proposito per il futuro per aggrapparsi con forza al presente e alla vita.
Eppure non fu l’unico a presagire la manifestazione del secondo Dio quel giorno. Emsaugh, Cerhin, Mydar - anche loro, veggenti anch’essi. E tra le palpitazioni furiose dei loro cuori, quella voce riecheggiò per l’intero esercito elfico facendosi eco a sua volta nelle menti e negli orecchi, abbattendo le mura del reale per sconfinare nella sognante visione di un fato già tracciato.
In poco tempo tutti videro e tutti seppero. Come un’onda la notizia arrivò fin nelle prime linee, scatenando le reazioni più disparate, delle quali la più comune fu la triste accettazione del proprio destino. Lachesi si sarebbe data un gran da fare quel giorno.

« Ray? Ray…
Ray. Ray –Ray. Ray, Ray.
Ray… Ray. Ray! »


Un gran subbuglio, sussurri via via più insistenti. Un elfo più minuto degli altri, dai sottili tratti fanciulleschi, si fece largo nella calca sgattaiolando agilmente fra una massa d’uomini ben più possenti.
Lyees, due splendide rose disegnate sui suoi polsi, correva a perdifiato fino a che lo vide, freddo e impassibile proprio come lo ricordava. Ashlon, una statua d’inaccostabile bellezza, il monito ultimo di quel popolo segregato negli antri bui di Neirusien, gelida tana dove il ricordo annaspava nel sangue del Bacino corrotto.
Tremante gli si avvicinò, sussurrando le medesime parole che i Veggenti avevano ordinato di riferire, sapendo già che l’Architetto avrebbe capito e compreso il messaggio insito in quella severa ed enigmatica espressione, augurandosi che l’Inavvicinabile fosse in grado di reagire allo scacco a cui andavano incontro.

« Ray. Verrà dal cielo.
Quattro rintocchi di campane annunceranno la sua venuta. »


In risposta, lo sguardo del Capitano parve inabissarsi in quello del Novizio, in un istante che parve ghermire l’infinito tanto fu penetrante, per poi rialzarlo sullo scempio antistante, esibendosi in una fievole smorfia che obliò un secondo dopo appena.
Alzò un braccio. E in quel momento tutti capirono, tutti compresero quel che l’Altissimo indicava loro. In quell’esercito le parole non erano necessarie, rifratti com’erano in un mondo dove l’intuito e la profonda conoscenza dell’anima erano concetti appresi da men che infanti.
Un profondo respiro.
Lo sguardo del Cantore indugiò sulla figura di una donna distante una trentina di metri dalla sua posizione. Sapeva chi era, sapeva per cosa, e soprattutto per chi stesse combattendo. La sua storia era giunta fino a lui prim’ancora che l’avesse mai veduta, e non si sorprese neppure nel vederla capitanare un esercito d’ombre, la manifestazione fisica dell’incubo di Eitinel.
In quello stesso momento intuì a chi apparteneva, ma non provò odio né risentimento per lei, così come lei per loro, tanto dall’essere disposta a sacrificare le ombre della propria Signora in virtù della salvaguardia del popolo elfico. Era curioso osservare come nemici diventassero amici nella lotta a un nemico comune.

Gli occhi si strinsero a due fessure. Pensava.
Voltò lo sguardo indietro e bisbigliò qualcosa a due robusti elfi alle sue spalle, che in un tacito cenno d’assenso si diressero verso di lei a passò svelto, imbracciando lunghe picche color dell’argento e protetti da solide armature dai riflessi opalescenti.
Il primo dei due accostò il capo all’orecchio della nera paladina cogliendola di sorpresa, per riferire il messaggio che aveva attraversato l’intero esercito per giungere fino ai vertici dello stesso.

« Ray. Verrà dal cielo.
Quattro rintocchi di campane annunceranno la sua venuta. »


Alexandra sussultò.
Concentrata sui Giganti e la propaggine dell’esercito orchesco costituito dai Barbari, non si avvide di quelle due figure che la fiancheggiarono con fare tanto deciso quanto minaccioso. E per un attimo fu come tornare indietro nel tempo, a quando le sue due guardie vegliavano costantemente su di lei, proteggendola come il più grande dei tesori, difendendola anche da sé medesima. Troppo giovane e troppo ingenua, quale più grande pericolo se non la propria stessa inettitudine?

« C-cosa? »
Tremò nella voce,
confusa dalla secca espressione
e soprattutto dal nome appena udito.


Ma quella domanda rimase insoluta, in un vuoto carico d’aspettativa, mentre l’avanzata nemica pareva inarrestabile tanta fu la foga con cui si accanì.
Le asce si infrangevano sugli scudi, le mazze ferrate sugli elmi, le mannaie nei fianchi e sugli arti. Strazianti lamenti erano udibili ovunque, mentre l’euforico centellinarsi dell’ira adornava i visi degli orchi portandoli a combattere con ardore più impetuoso ancora. Qualunque cosa su cui posasse lo sguardo era disgustoso, riprovevole, aberrante. Doveva pensare, ma questo le costava fatica e soprattutto tempo. Ray stava arrivando, la sua venuta avrebbe significato la fine per tutti loro, nessuno escluso. Ricordava bene la sua perfidia, l’ascensione a divinità nella chiesa sconsacrata di santa Madre Nuova, e cos’altro avrebbe significato la comparsa di un Dio malvagio se non la Fine per definizione?

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Il cuore mancò un colpo.
Rabbrividì nel vedere la fenice precipitare giù in un’esplosione di sangue, squarciata come quarto di bue dall’irruenza dell’ennesimo prodigio vivente. Attonita osservò la parabola del suo percorso nel cielo, e poi il fragore del suo precipitare al suolo, in una nuvola di polvere che ammantò ogni cosa per poi dileguarsi all’ennesimo anelito di vento.

« Shakan... »
Pronunciò il suo nome in un labile movimento delle labbra,
una sofferta preghiera a una divinità insensibile ai suoi discepoli.
« Shakan salvati... »
Ancora.
Guaiva le proprie pene con affabile remore.
« Rientra... presto! Ray... »


Non ebbe il coraggio di concludere quella frase, non seppe con quale alternativa formularla perché l’incognita del futuro era un peso che non era in grado di sorreggere con le sue sole forze.

“Viviamo in un mondo dove le fenici non risorgono,
e le speranze si infrangono su lacrime di sangue.”


Strinse il pugno tanto forte da provarne dolore, lo stesso dolore che l’aiutò a smuovere il pesante macigno sul petto per riprendere ad assolvere al suo ruolo. La fiducia nel prossimo veniva meno, così come la fede in divinità ancora troppo umane. Solo lei – solo lei.

« Ripiegare ancora!!!
svelti, NELLA BARRIERA! »


Esplose a squarciagola in un crescendo di sentimenti che nel suo petto non trovavano più spazio. Il rancore, il risentimento, l’ansia, sfociò via con quelle parole come un fiume in piena.
Come un miracolo, un faro di salvezza ogni unità parve darle ascolto, abbandonando lo scontro e limitandosi alla difesa, indietreggiando colpo su colpo fino a trovare riparo sotto la barriera.
In breve tempo il campo di battaglia si riordinò ancora, raggrumandosi in un unico cerchio tanto denso di corpi dal divenire quasi impenetrabile. Ma l’avanzata pareva inarrestabile, tanto dall’essersi insinuata nella barriera a sua volta.

« Dannati fi- »


Ma non ebbe neppure il tempo di terminare la frase che un manipolo di elfi - invero più simili a spettri che ad esseri senzienti - avanzò in direzione del fronte protendendo l’arto destro a palmo teso, espressi in uno sforzo mentale chiaramente visibile attraverso i loro occhi, ora vivi e non più trasognati, tesi nel plasmare un mondo visibile dai soli Giganti. In quella distorsione spaziale dove destra e sinistra non avevano più alcun significato, il sopra e il sotto sminuiti a semplici impressioni, la confusione e il disorientamento costituivano l’epilogo più ovvio e scontato.

“Viviamo in un mondo dove la realtà è l’ultima fantasia,
e la velocità del pensiero è misurabile solo col respiro dell’istinto.”


Seppe cosa fare.
In un istante l’orgoglio parve avanzare, scostando in malo modo il cheto voler vivere.
I passi sempre più svelti affondavano nella sabbia, segnando sul terreno il percorso di una donna morta due volte. I gatti hanno nove vite, ma le Regine?

« Levatevi dai piedi! »
Tuonò perentoria facendosi largo a forza fra le ombre.
E al suo cospetto ogni ombra indietreggiò di un passo,
ripresentando un passo biblico dove il singolo è capace di piegare i mari al suo volere.


Sguardo ferino.
Giunta al limitare del fronte raccolse un profondo respiro, e contraendo ogni muscolo del braccio destro attinse risolutezza dal potere con cui fu consacrata in un passato tanto lontano dall’essersi ingrigito. La mitena color della pece si tinse di cremisi sui ricami incisi sulla sua superficie, per poi ardere di una fiamma fosca e cupa, carica dell’astio accumulatosi nelle sue viscere.
Non indugiò. Disegnò un semicerchio avanti a sé, scatenando una bordata fiammeggiante di titaniche dimensioni che andò ad impattare su Giganti e Barbari indistintamente, una calamità improvvisa e letale, arrogante e altera.

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Nessuna emozione abbondò sul viso della paladina,
non era abbastanza, non ancora.

« Arcieri!
Puntare sugli orchi. »


Urlò ancora quell’ordine,
direzionando però l’offensiva sui Barbari,
zelanti e instancabili macchine di morte.

« FUOCO!!! »

Ma non fu ancora abbastanza,
pareva che nulla fosse mai sufficiente.

« Ombre, il vostro turno è giunto.
Caricate e scacciate via l’intruso.
-
Per l’orgoglio di Eitinel:
CARICATEEEE!!! »


E in quello stesso istante la marea nera si abbatté sui discepoli di Gruumsh, nel tentativo di scacciare l’invasore, di portarlo fuori laddove nessuna protezione offriva riparo dal cielo. Ma come allo scoccare della mezzanotte, il tempo era giunto, le principesse tornavano sguattere, e il sentimento di rivalsa soffocato dalla realtà dei fatti.
Un piovasco scuro e corrotto si abbatté sulla barriera scatenando un vero e proprio terremoto, il cielo pareva cadere in pezzi per schiantarsi al suolo vittima della più nota legge fisica. Frammenti cristallini di quel che fu la barriera di Neirusiens piovvero come lacrime iridescenti, e attimi di profonda indecisione contornarono quegli istanti dove essere elfi, umani o orchi non aveva più alcun significato.
Forse, per la prima volta, Ray si comportò davvero come un Dio. Impietoso con tutti, scatenando il proprio potere non a proprio vantaggio ma per proprio diletto, manifestando la propria presenza, un miracolo di morte dal quale non v’era via di fuga.

“Il primo rintocco”
La Regina indietreggiò.


La battaglia infuriava ancora dopo i gelidi attimi di sconcerto che seguirono a quell’attacco.
Tremava. Non seppe il perché, e neppure il come. Un lungo brivido freddo si inerpicò sulla schiena scuotendola con forza.
Passavano i secondi, altri tre rintocchi di campana.
Come avrebbe potuto resistere a cotanta forza?
E mentre il cielo si caricò nuovamente di quelle nubi solide e taglienti come acciaio, una ciclopica cupola nera ombrò il cielo dei Neiru, coprendolo come una calda coperta, per poi infrangersi nuovamente al peso dell’anima del Re che non perde Mai.



“Il secondo rintocco”
Il cuore pulsava forte.


La battaglia passò in secondo piano ai suoi occhi, per un attimo soltanto, prima di essere divorata dal caos, prima di allontanarsi dal fronte, ancora livido e grondante sangue.
Shakan! Dov’era finito?
I visi tutti uguali, i gesti, le armature, le armi, tutto era dannatamente uguale.
Indietreggiò ancora abbandonando le ombre a loro stesse, catalizzate da quello scontro in vivo crescendo, le frecce che saettavano ancora nell’aria in flebili fischi.
Poi i sussulti delle linee più dietro.
Stava arrivando, e quella cortina nera pece adombrò ancora una volta il cielo.

“Il terzo rintocco”
Correva in preda al tormento.


Lo sguardo non sapeva più dove posarsi, l’agitazione confondeva i colori e la fretta ne ottenebrava i contorni.
Poi lo vide, stanco ed emaciato, ferito in più punti, pareva aver vissuto più di quanto ella avesse fatto in quegli istanti, al riparo fra le ombre e gli elfi di Neirusien.
Gli corse incontro, incurante di tutto.
La battaglia era cosa sua, ma in quel momento nessuno degli elfi valeva tanto quanto l’anima di Shakan. E poi le ombre, mere pedine, cuscinetto atto a salvare vite vere.
Lunghe falcate, il respiro corto.

« Le linee più dietro lontane dalla battaglia.
Proteggete i Predatori. »

Ancora buio.
Il cielo tremò.

“Il quarto rintocco”
Quiete dell’anima.

“Viviamo in un mondo dove il cielo cade sui capi dei mortali,
e sospiriamo appena nell'appropinquarsi del giorno del giudizio.”




CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 83% - 33% = 50%
Status psicologico: Intontita dal frenetico avvicendarsi di colpi di scena
Condizioni fisiche: Illesa

______________________ _ _

Abilità attive:

• Flaming Wave ~
Infine, squarciando l’aria con la propria arma mediante un gesto rapido e dissoluto, Alexandra sarà in grado di scatenare una lunga onda di fuoco, che si infrangerà su tutti i corpi e gli ostacoli che incontrerà nella sua direzione. La forma di tale onda sarà estremamente variabile, tutto in funzione del movimento compiuto con l'arma per crearla. Se ad esempio disegnerà un semicerchio nell'aria l'onda assumerà la forma di una mezzaluna, mentre se sferrerà un fendente ascendente bloccandolo a mezz'aria l'onda assumerà una forma serpentoide che si protrarrà in avanti investendo qualunque ostacolo nella sua traiettoria. In relazione alla potenza dell'onda scatenata, lo sforzo compiuto nel crearla sarà più o meno intenso, determinando appunto un consumo variabile in energie dell'abilità in questione. [Abilità personale attiva - Variabile Critico]

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Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

4_Fourth_Porta dell'Incubo. Il sussurro oltre la Notte. Incubi e Visioni infestano il Sorya. Un roboante addensarsi di Silenzio che solo tendendo l'orecchio, solo fermandosi ad ascoltare, si può scoprire essere un sussurrare di fondo, un rumore bianco indefinibile. Il respiro del Buio. Il respiro di ogni sogno distorto, di ogni pensiero inconsulto. E' nella voce del Mastro di Chiavi che tale tramestio, tale confuso tremolio si annida. In ogni sua parola, in ogni sua espressione. E tanto potente è il suono di ciò che nessuno può udire, che il solo osare troppo potrebbe distruggere tanto la vittima quanto il carnefice. Egli infatti può richiamare l'incorporeo, l'inconsulto, ciò che non può avere forma che nelle fantasie più mostruose, più deviate. Eppure se ne sentisse il bisogno, se davvero pensasse che la necessità giustifichi un simile abuso, allora il Mastro potrebbe lasciar risalire quelle voci, quelle presenze, e utilizzarle a proprio piacere. Potrebbe parlare ai nemici con la propria voce, ma sussurrare agli amici altre parole, con il Suono Nascosto. [Passiva]

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Note:

Salve a tutti, premetto col dire che mi scuso per il ritardo, ma tra lavoro e impegni random, il tempo per scrivere in pace è davvero poco.
Se mi è possibile premettere un'altra cosa ancora, vorrei che non prendeste alla lettera l'incipit accentrato del post, in quanto si tratta di una rielaborazione - estremamente sintetica - del post tutto, e di come qualcosa dalle tinte fantastiche possa aver luogo anche e sopratutto nella vita reale, segnando, anche qui, il corso della storia.

Non indugerò oltre, passo direttamente alla schematizzazione delle azioni presenti nel post:
1) Comincio dallo stesso punto dal quale parte janz, ovvero con una ricostruzione piuttosto pittoresca della veggenza dei Veggenti, con la quale presagiscono la venuta di Ray e dei "quattro rintocchi di campane".
2) La voce corre per tutto l'esercito, come nel gioco del telefono, arrivando fino agli orecchi di Ashlon. Quest'ultimo alza un braccio, dando un tacito ordine che sarà quello di sistemare i Veggenti stessi in modo da proteggere l'intero esercito per mezzo della pergamena Barriera Nera, come nel post di janz.
3) Ashlon fà in modo che anche Alexandra venga a sapere di questo, una sorta di regalo per ringraziarla del suo operato.
4) Finalmente prendo possesso di Alexandra, e dopo attimi d'esitazione guaisce la propria pena per Shakan. In questo momento, inconsapevolmente, usa la passiva del suono nascosto, così che questo lamento raggiunga le di lui orecchie. (si tratta di un mero espediente narrativo per creare un'alternativa al solito grido d'allerta)
5) Al seguito di ciò Ale urla un'ulteriore ritirata, chiamando a raccolta ogni unità sotto la barriera.
6) L'avanzata orchesca non si arresta, e i Custodi castano (di propria iniziativa) delle psioniche che inducono confusione e stati sensoriali alterati nei Giganti, in modo da disorientarli il più possibile, rendendoli così vulnerabili al seguente attacco delle ombre.
7) Ale si porta avanti all'esercito e scaglia una fiammata con la sua variabile a consumo Critico sugli orchi.
8) Di seguito ordina agli arcieri (i Tatuatori) di fare fuoco sui Barbari (questa volta mediante frecce cosparse di veleno indebolente, e mi piace pensare che questo veleno abbassi PeRf e AeV, così da riequilibrare le statistiche, o perlomeno, indebolirle un po')
9) Poi ordina alle ombre di caricare su Barbari e Giganti, che indeboliti dalle precedenti offensive, dovrebbero essere più vulnerabili alle offensive di quest'ultime. (lo scopo primario è quello di spingerle fuori dalla barriera, così da essere prive di difese dal "rintocco di campane")
10) Di qui in poi non accade poi molto, dopo i quattro Critici, ritiro le linee più indietro delle ombre per difendere i Neiru rimanenti, lasciando un vuoto per quanto concerne gli orchi. Se saranno ancora vivi spetterà al QM deciderlo, come è ovvio che sia.

Concludo dicendo che: sì! Sono a conoscenza dell'errore commesso da janz nel suo post, errore tripartito su tutti noi perchè eravamo a conoscenza della sua idea, ma non abbiamo saputo guardare "oltre". In questo post avrei potuto correggere il tiro, ma mi sarebbe parso ridicolo oltre che profondamente antisportivo modificare il post in itinere per un'informazione giunta Off-GdR. Quindi ho proceduto col piano originario, eseguendo quanto ci eravamo presupposti di fare sin dall'inizio. :sisi:

 
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view post Posted on 26/9/2011, 16:42
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xWY0a


In quell'istante, Ray era in pace.
Nera la sala, nero il destino, nero il tempo.
Solo il vacuo ticchettio di un orologio, il mobile plasmarsi dei secondi per suo gusto e disio.
Tic-tac-tic-tac.
Quattro tempi.
Quattro istanti con cui classificare il mondo.
Dividerlo, dissezionarlo con la medesima e precisa maestria di un chirurgo con il proprio paziente.
Oncia per oncia. Il cauto piegarsi della realtà che cedeva, malleabile, all'incrocio di pensieri di una mente che molto aveva a cui rifarsi, ben poco su cui concentrarsi che non fosse già stato predetto, escogitato, sviscerato.
Tic-tac-tic-tac.
Mentre i quattro movimenti delle lancette si riversavano molto distanti, molto lontani dalle volontà del Sovrano, egli si concesse di avvertire il profumo, il profondo aroma della solitudine.
Il retrogusto pungente dell'oscurità, morbida sensazione sulle palpebre che già tutto potevano cogliere, tutto potevano vedere salvo la cupezza del silenzio, del medesimo mondo ove ora tutto taceva, in attesa, del nuovo Dio, della nuova era.

ilPQd

Egli verrà.
E nel dolore e nella sofferenza affonderanno i suoi primi passi.
Come bambino egli diverrà Il Dio.
E di nere lacrime il mondo verrà ricoperto, annegando nella tristezza dei suoi occhi innocenti.
.
.
.


Così parlarono i Veggenti. Così ripetè Ashlon. Così, infine, ringhiò Bara-Katal mentre, con un affondo, si frapponeva fra Tristan e Finnegan, il volto orchesco per metà velato dalle nere laminature di una corazza.
Nei suoi occhi, il barlume dell'onnipotenza, la medesima che per un attimo era spirata fra coloro che, soli, avevano potuto scrutare il mostrarsi del futuro.
Poi, fulmineo, il ricomporsi dell'attimo, il brusco ritorno al presente e il suo animalesco affondo in avanti, la brutale meccanica di spalle e tendini che sbilanciava all'indietro il suo avversario precipitandolo laddove più compatta sarebbe stata la schiera d orchi.
Bruno sangue colava dalle pieghe rugginose dell'armatura dell'Hoepriester ma non nacque alcun orco, da quelle gocce cremisi. Tuttavia le leggende narrano il contrario raccontando di come, nel fragore dell'ultimo tuono, dell'ultimo rintocco, mentre ancora la terra pareva restia ad alzare il capo dopo l'apocalisse sopraggiunta, nel silenzio calato sul campo di battaglia mille e più orchi fecero nuovamente capolino dall'ombra delle rovine rimpiazzando Giganti e barbari che, molto più avanti, già si accingevano a trovare la morte per mano dei Predatori. Più di quanti parevano essere stati in precedenza. Molti più di quelli che ora giacevano inerti sulla piana, voci fuori campo in una storia ancora lungi dall'essere terminata.
Si ricompose lentamente, l'Armata di Gruumsh, la deformità dei suoi seguaci che grottesca si assiepava alla volta dell'Unico Occhio come bestia ferita, picchiata dal padrone fino ad allora gentile e benevolente. Non mancando di credere in lui. Mai. Eppure ora più guardinga, più restia. Le stridenti grida di Novizi, Costruttori e bestie che coprivano come proverbiale monito il brusio contratto, grottesco dei pelleverde. Come solo essere, abili di avanzare e mai di dubitare, essi si riaffacciavano compatti sulla piana ora scavata di profonde voragini.

"Ash guztiak? Hezer hobetu's?"
" Tutto qui? Niente di meglio?"

Parvero dire non in direzione di Ray, dell'Unico Occhio.
Ma alla volta degli Predatori, le cui membra sgualcite si ricomponevano ora come specchio raggrinzito nello stesso istante, mimando con buffa ridondanza il posizionarsi degli orchi, il loro appostare le rimanenze del proprio esercito secondo una meccanica che andava ben al di là del puro addestramento. Tutti, dagli Sciamani agli Ogre, dagli Assassini ai Consiglieri e non per ultimi, gl Hoepriester, parevano sapere esattamente dove posizionarsi senza che venisse impartito loro alcun ordine, alcun richiamo. Ma che c'era da sorprendersi? Gruumsh imprimeva nel sangue i propri comandi.
Faticosamente, il muto richiamo di Ashlon che, gravemente, ricomponeva l'Armata di Neiru ad unico corpo, retrocedettero i Tatuatori, lasciando che i Cadetti riguadagnassero la propria posizione assieme alle Ombre poco distanti, unite attorno alla loro paladina Alexandra. I Cacciatori ripresero posizione e così fecero i Veggenti e i Custodi. Tutti insieme, uniti, i Predatori trassero infine quell'unico, fremente, respiro proprio del sopravvissuto, del naufrago che dopo la tempesta avvisti la terra trovandola, per sua fortuna, colma di salvezza e promesse. Ma per quanto, ancora? Per quanto il Grande Occhio avrebbe atteso, paziente, il compiersi degli eventi senza stancarsi di guardare? Di osservare, mite testimone, il disfarsi del mondo?
Che speranza c'era, dunque, per il rimanente?
Molto più avanti Finnegan, il loro paladino, cadeva ancora vittima dell'inesauribile collera di Bara-Katal la cui cupa figura già incombeva su di lui nel mare di pelleverde assiepatosi tutt'attorno. E nel medesimo istante Shakan crollava a terra, la pena dell'Eroe che sgorgava dalle sue ferite come rubineo livore, sporcando quel volto fiero di un Fiume del Fato tutto piaghe e dolore, tutto disperazione.
Che speranza c'era per l'Asgradel?

Nessuno si accorse del fremito che in quella attraversò le spoglie della fenice.
Un brivido intenso, ansioso, quasi il riverbero di una scarica che, esangue, attraversò da parte a parte i monconi giacenti nel mezzo del campo e li rimasti, sopraffatti tanto dalla comparsa di Chevalier quanto dal successivo attacco di Ray.
Nessuno notò nemmeno l'alzarsi dello sguardo di Ashlon verso l'alto, una sottile scintilla di vita che, quale lampo di luce, attraversò improvvisamente il volto di lui.

Chiuse un attimo le palpebre, l'elfo oscuro, un brivido di sorriso che addolciva i suoi lineamenti scavati, rigando di una vena sardonica la sua espressione sopraffatta.

" Moril "
Per la prima volta parlò.
E la sua voce fu come un sibilo di vento nel silenzio. Una forza oscura che serpeggiò nella stonata postura dell'Armata Neiru. Nel loro stordito attendere, apatia, la venuta della Fine.
Un nuovo sospiro, il sopraggiungere di una vibrazione eterea e poi, orripilante, lo squarciarsi della terra.
Fratture sanguigne che sconvolsero il campo di battaglia in un sonoro boato, cupo rimescolarsi del mondo. Persero l'equilibrio i Predatori. Arretrarono gli Orchi. Rovinò la piana. In un secondo, prodigioso corrompersi dei confini dell'orizzonte, ogni cosa scivolò all'indietro, in avanti, squassando le fattezze del Borgo.
Tutto.
Salvo Ashlon.
Mentre ciò che lo circondava andava a pezzi, egli rimase esattamente dov'era stato fino ad un istante prima, le dita ora protese in avanti come a sfiorare ciò che nessun altro, a parte lui solo, avrebbe potuto notare in quell'istante.
" Moril "

6bom6
La figura dinnanzi a lui sorrise piano, timidamente, il candore delle sue vesti che brillava di tiepida luce nell'oscurità incalzante.
E di rugiada parevano i suoi capelli. E di porcellana la sua pelle.
Bella come sempre, Sirena incantatrice in un mare in tempesta, ella tremò piano sotto il tocco del suo amato, lasciando che solo il frastuono del terremoto coprisse le sue timide parole.
" Eitinel "
E negli occhi di Ashlon vi era pena, timore, disperazione.
Ma la Bianca Dama già si era voltata, gli ambrati occhi che si fissavano sui resti pulsanti della Fenice corrotta. Ed ella sorrise ancora. Malgrado il fremito della Terra. Malgrado il minaccioso saettare dell'Unico Occhio più sopra, neri lampi che sfilacciavano la consistenza del cielo.
Sorrise, e nel suo gesto la Bestia dell'Asgradel ritrovò vita, dando forma a due figure compatte, mastodontiche, colossali. Due giganti d'ombra che, pesanti nel loro sorgere, si ersero all'unisono nel mezzo della piana proiettando ovunque attorno a loro il riflesso mortale.

Più distante, molto più distante di qualsiasi udito elfico e umano, uno dei tanti sciamani presenti sputò seccamente a terra. Il volto ora trasfigurato in una goliardica espressione di sufficienza.
" Non lasciatevi intimorire." digrignò trattenendo una mano a terra per non cedere al franare del terremoto "Quella non è Eitinel."
E vi era solo commiserazione in quelle sue parole. Solo cupa ovvietà mentre, immemore dell'inferno attorno a loro, già egli dava il segnare per una nuova, devastante, carica.

"Spitak Lady ch’i ognut’yun ir ejanshannery . Menk’ arden morrats’yel e, shutov klini amboghj ashkharhum ."
"La Dama Bianca non verrà in aiuto dei suoi beniamini. Li ha già dimenticati, come a breve farà il resto del mondo."

E nel tendersi di muscoli e legamenti, nel serrarsi di scusi e file di nuovo, roboante, ecco l'urlo di Gruumsh imperversare nel frastuono, folle carica dell'Armata Invincibile.
di-T94H


La guerra continua. L'attacco di Ray ha mietuto vittime da ambo le parti, riuscendo tuttavia a ristabilire l'ordine fra i due schieramenti. La fazione Leviatano ha perduto i Barbari e i Giganti grazie all'azione di Alexandra. La fazione Asgradel ha perduto costruttori ( compresi i relativi famigli) e novizi grazie all'azione di Finnegan. Dunque Barbari, Giganti, Costruttori ( + famigli) e Novizi sono da ora in avanti inutilizzabili. Le ombre rimanenti sul campo di battaglia e capitanate dalla fazione Asgradel si riducono a qualche decina, giusto il plotone sotto il controllo di Alexandra. I tatuatori utilizzati nella difesa contro i giganti subiscono ingenti perdite.
Finito il grande cataclisma, la piana ora vede i due schieramenti riformarsi chi più, chi meno in salute. Per riguadagnare il morale delle proprie truppe e distrarre gli orchi Ashlon utilizza una delle sue abilità mostrando una fittizia immagine di Eitinel la quale funge da preambolo al formarsi al centro del campo di due immense figure d'ombra, generatesi direttamente dal corpo della fenice squartato in due tronconi. I due giganti contano entrambi come energia Viola e condividono la medesima natura della fenice, potendo però usufruire esclusivamente di attacchi fisici. La loro presenza tuttavia è ambivalente: a differenza della fenice che era completamente dalla parte elfica, essi contano per lo più come creature neutrali: attaccano solo se vengono attaccati ed esclusivamente coloro che li attaccano. Per il restante rimangono del tutto immobili sul campo di battaglia muovendosi solo ed esclusivamente verso fonti di disturbo che cagiona loro danno. Ogni loro attacco conta come Critico.
Nel frattempo Ray riesce a far sentire ancora una volta la propria presenza: il cielo viene coperto di saette e il terreno viene scosso da un terremoto capace di squarciare la terra laddove le lame dei suoi precedenti 4 critici hanno sfondato la piana. Di per se il terremoto renderà quasi impossibile la corsa libera ( non supportata da tecniche apposite), ostacolando tutti coloro che si lanceranno sul campo in carica. Essendosi protetti meno efficacemente di quanto servisse, gli elfi si ritrovano a subire uno squarcio del terreno proprio nel bel mezzo delle loro fila. Nessun morto ( gli elfi non hanno alcun problema a saltare semplicemente di lato) ma ciò ritarderà notevolmente la controffensiva alla nuova carica orchesca.
La figura evocata da Ashlon conta come tecnica psionica a costo Critico. Essendo però mirata ad un solo individuo e non ad area, mi sono servita del non espresso aiuto dei Custodi, per definizione padroni delle illusioni ambientali ( gddristicamente si giustifica col fatto che Ashlon controlla al contempo tutti gli elfi essendo lui la "unica mente"). Sebbene nessun orco cada nell'inganno che la donna sia Eitinel ( bonus dovuto al turno precedente), ogni elfio crederà di vedere la Dama accorsa in loro aiuto. L'illusione ambientale parte esattamente dopo che Ashlon pronuncia il nome di Eitinel e non arreca alcun danno fisico/mentale. Fra tutti, è Rekla che si ritroverà a subire la tecnica originaria, ossia quella di Costo Critico, salvo che ella non si difenda prontamente nel momento in cui viene castata. I restanti componenti di entrambe le fazioni ed in particolare dell'Asgradel potranno decidere se credere o meno che si tratti di Eitinel o solo di un artificio di Ashlon. Le truppe rimaste a disposizione sono quelle indicate nel post, né più né meno.
Riguardo Finnegan, Bara-Katal incassa tutti i colpi, rimanendone tuttavia abbastanza illeso grazie alla sua possibilità di resistere a due mortali. Sul suo corpo si è formata parte dell'armatura che lo rende famoso. Per intercettare l'attacco di Finnegan a danno di Tristan utilizza la propria tecnica capace di "predire il futuro". Si tratta di un'azione non volta a favorire il partecipante del Leviatano ma quanto più a manifestare l'effettiva psicologia dell'orco costretto a fare addirittura da scudo contro un critico ed in seguito abbandonato come se niente fosse. Un poco come dire: il tuo avversario sono io. Parato l'attacco con la dovuta tecnica, egli attacca fisicamente aiutato dal clone ( riuscito a liberarsi da qualunque impiccio gli fosse stato imposto) e finisce utilizzando l'abilità " i mobili rovinano dal cielo" con la quale materializza una katana gigante ( costo critico) che si schianta verticalmente su Finnegan. Il combattimento si svolge in piena fazione orchesca, quindi si incorre nel rischio di venire intralciati dagli altri orchi presenti.

CITAZIONE
Meubels geruïneer deur die lug: Con questa frase, i commilitoni dell'Hoëpriester chiosavano con mesta abitudine il suo incedere sul campo di battaglia - o meglio, il suo modo di porre fine ai combattimenti. Un potere incredibile che, almeno dal punto di vista dei giannizzeri, non può che essergli stato concesso che da Gruumsh in persona. Spendendo un consumo energetico pari a Variabile, infatti, Bara-Katal è in grado di richiamare accanto a sé - sempre nelle sue immediate vicinanze e sempre a stretto contatto tra loro - una somma di lance ed alabarde (generalmente da una a cinque) che si scaglieranno tutte contemporaneamente contro il proprio avversario, con una potenza nella loro totalità pari al consumo speso. L'aspetto delle lance così richiamate è a discrezione dell'Hoëpriester, mentre la loro dimensione è direttamente dipendente dal consumo speso. "Meubels geruïneer deur die lug" sta per "I mobili rovinano dal cielo": era infatti abitudine del battaglione di cui Bara-Katal faceva parte impedirgli di prendere piede sul campo di battaglia fino a che i propri avversari non fossero stati sfiancati dai giannizzeri più recenti, quindi suonare la ritirata e lasciare che l'Hoëpriester richiamasse un'unica, gigantesca alabarda per farla schiantare tremendamente contro il terreno. Nell'immaginario dei commilitoni, tali armi venivano prelevate direttamente dalle risorse di cui dispone Gruumsh stesso, apparentemente senza fine { 6/7 }.

Vleis wat gebruik word om die lyding, voel geen pyn: Come ripetuto più volte, gli Hoëpriester sono soliti sacrificare il proprio occhio destro in nome di Gruumsh, in modo che egli possa vedere ciò che loro non vedono più; una pratica macabra e malsana che spesso viene compiuta tramite lunghe cerimonie che prevedono l'assoluto silenzio: nel caso in cui l'orco sottoposto al rito emetta il benché minimo fiato al momento dell'estrazione - ovviamente compiuta senza l'utilizzo di anestetico alcuno - egli perderebbe all'istante la sua carica di Hoëpriester. Inutile dire che Bara-Katal, al momento del sacrificio, ha passato il rituale in completa apnea, nel silenzio più assoluto. E' logico pensare, dunque, che se gli Hoëpriester arrivano a sacrificare tanto in nome della propria divinità, ella li ricompenserà in qualche modo: per la precisione, donerà loro parte della sua onniscenza; parte del suo sapere, e le guide spirituali del popolo orchesco diverranno immediatamente in grado di vedere. Ad un consumo Medio, l'Hoëpriester sarà in grado di avere, infatti, un breve scorcio del futuro (seppure chiudendo l'occhio sano nel corso del procedimento): ciò che vedrà potrà essere utilizzato da lui come meglio desidera - se per difendersi, il futuro spostamento andrà considerato al pari di una difesa assoluta; se per attaccare, il suo prossimo fendente avrà la potenza di una tecnica media. In quest e in scene, questo potere può essere utilizzato anche per fini GdRistici: per prevedere il futuro nel senso stretto del termine. { 3/7 }

La tecnica castata da Ashlon è questa:
CITAZIONE
Faneril seran Ghiren | Trapasso dell'anima: La sola cosa che Ashlon desidera, l'unico perché del suo risalire dall'oscurità e calcare il mondo di Asgradel è la ricerca di un corpo, di un essere vivente abbastanza forte ed adatto ad ospitare l'anima di Moril, la sua amata. Tale è il desiderio che spinge il Cantore che ognuno, ogni mortale che egli ritenga abbastanza predisposto a tale progetto, è un potenziale recipiente. Sia esso uomo o donna. Per questo Ashlon ha sviluppato una tecnica atta a trasmigrare l'anima dei morti in veri e propri corpi fisici mediante l'utilizzo della sua sola voce. E' un'abilità imperfetta, poiché il solo modo per scambiare due entità in modo irreversibile è il trovarsi in prossimità delle acque del Bacino corrotto, ma ciononostante egli è in grado, seppur parzialmente, di far condividere lo stesso corpo da due spiriti. Nel riverbero della sua voce inesistente, egli convoglierà costringerà il proprio avversario a guardarlo negli occhi e solo dopo allora, il nemico vedrà alle spalle del Cantore una figura prendere forma e, nebulosa come fumo, avvicinarglisi fino a sfiorarlo. Pur scomparendo in quell'esatto istante, colui che verrà colpito da questa tecnica prenderà a vedere costantemente una figura femminile aggirarsi per il campo di battaglia. Essa apparirà come il riflesso in uno specchio d'acqua o un riverbero del sole e mai, mai, i suoi contorni saranno definiti. Tuttavia da quel momento in poi ogni tecnica volta all'offesa di Ashlon conterà come di due livelli inferiori al normale e ogni pensiero volto al combattimento sarà come ostacolato da un incessante mormorio. Conta come una tecnica Psionica. [Costo Critico].

Come da protocollo, per qualsiasi domanda non esitate a chiedere in confronto. I tempi di risposta sono i medesimi: 4 giorni più 2 di proroga.
 
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Tristàn Cousland
view post Posted on 30/9/2011, 03:05




Cry Of The Black Birds


Raise your swords up high! See the black birds fly!
Let them hear your rage! Show no fear! Attack!
Charge your horses across the fields! Together we ride into destiny!
Have no fear of death, when it's your time; Oden will bring us home when we die!
The ground trembles under us, as we make our thunder charge.
The pounding hooves strikes blinding fear into their heart.
Our helmets shine in the sun, as we near their wall of shields.
Some of them turn and run when they hear our frenzied screams.
Draw your swords to strike, hear the black birds cry!
Let them feel your hate!Show no fear!
(Attack! Attack! Attack! Attack!)
Charge your horses across the fields, together we ride into destiny!
Have no fear of death, when it's your time Oden will bring us home when we die!
The enemies are in disarray, ride them down as they run!
Send them to their violent graves, don't spare anyone!
Dead and wounded lie all around, see the pain in their eyes!
Over the field an eerie sound, as we hear the ravens' cry!

png


Tristàn si ritrovò a provare un profondo senso di stima nei confronti di quegli orchi.
Una razza solitamente bersagliata da una enorme quantità di pregiudizi, una razza costantemente presa di mira dagli uomini, una razza quasi maledetta, che nessuno voleva accanto ma che tutti temevano.
Una stirpe che nemmeno sembrava venir annoverata tra quelle senzienti.
Li aveva sentiti descrivere come creature stupide e prive di qualsivoglia forma di onore, bestie assetate di sangue dedite esclusivamente al massacro, allo stupro e al brigantaggio, nelle cui vene non scorreva neanche una goccia di onestà.
Lui stesso, in un primo momento, non aveva saputo in cosa distinguerli dagli Hurlock e dai Genlock.
Non era perfetto: come tutti, cadeva a sua volta vittima del pregiudizio.
Fu però lieto di veder smentite quelle infamanti dicerie.
Cominciava a capire. Cominciava a vedere le evidenti differenze tra i due popoli.
Gli orchi si stavano battendo come indomiti leoni, si stavano ricoprendo di gloria, pagando un prezzo altissimo spinti solamente dal desiderio di appagare il proprio Dio. Certamente, dato il loro aspetto mostruoso, nessuno li avrebbe mai accostati ai cavalieri di cui veniva narrato nelle favole, tuttavia - bontà di cuore a parte - non sembravano diversi in alcunchè.
Anzi, si stavano rivelando ben più leali di molti aristocratici che aveva conosciuto in passato - Arle Howe per primo, cavaliere che però non aveva esitato a mettere da parte il proprio senso della decenza per massacrare la sua famiglia, tradendo come il peggiore dei tagliaborse presente nelle oscure vie di Denerim - e anche degli stessi elfi, un popolo creduto, erroneamente, fiero e coraggioso.
Gli orchi erano gli unici che stavano combattendo quella battaglia con il solo ausilio delle proprie forze, senza dover ricorrere ad artificiose magie provenienti da terzi.
Con grandissima dignità, nonostante le enormi perdite subite fino a quel momento, ripreso a riformare i vari reparti dell'esercito, andati perduti durante l'attacco di Ray, in cui ognuno aveva cercato di salvarsi individualmente come meglio aveva potuto.
La fede che li sosteneva pareva incrollabile. L'idea di abbandonare il campo di battaglia, atto inamissibile per la loro mentalità guerrafondaia, non sembrò sfiorarli nemmeno. Guerrieri fino in fondo. In quell'istante il Custode realizzò che non vi sarebbe stata più alcuna ritirata: avrebbero combattuto fino alla fine, per la vittoria o per la morte, privi di ogni forma di esitazione.
Li ammirava. Non avrebbe potuto chiedere commilitoni migliori di quelli.
Con il busto piegato in avanti ed il fiato corto, le mani posate sulle ginocchia piegate, si lasciò andare a qualche secondo di tranquillità, godendosi lo spettacolo dell'esercito di Pelleverde già pronto a rimettersi in marcia. Li abbracciò tutti con l'attento sguardo, genuinamente stupefatto da tale dimostrazione di efficenza.
Un inspiegabile senso di pace calò su di lui, avvolgendolo e spingendolo ad osservare l'orizzonte.
Fu allora che la vide.
Splendente ed autoritaria, all'apparenza quasi fragile, tanto che provò un forte senso di colpa. Un'ondata di vergogna lo travolse.
Come avevano potuto dichiarare guerra ad una tale meraviglia?
Ignorava chi fosse, ma se era apparsa tra le file dell'Asgradel voleva dire che supportava la loro causa, e che quindi erano loro i cattivi della situazione. Crollò a terra privo di forze, ignaro di ciò che stava accadendo sul campo di battaglia, perso in uno stato di trance mistica che gli impediva di pensare razionalmente.
Perse il senso dell'udito. Tutto il rumore, tutte le grida, lo sbraitare di ordini in una lingua a lui sconosciuta, lo sferragliare metallico delle cotte di maglia degli orchi... nulla, tutto inglobato dalla purezza di quella misteriosa donna.
Non potè accorgersi che Bara-Katal ancora affrontava il misterioso cavaliere, non potè notare che una ventina di orchi - lancie alla mano - accerchiarono i due, pronti a colpire da ogni direzione colui che aveva guidato la sortita qualora il loro leader si fosse trovato in difficoltà.
(Silenzio... silenzio... solo il silenzio e la beatitudine...)
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasto in quelle patetiche condizioni.
A salvarlo fu la roca voce di uno sciamano. Egli, dimostrando una tempra mentale superiore a quella del cavaliere, smascherò l'inganno, rivelando all'esercito la vera natura di quella manifestazione: nient'altro che una semplice illusione.
A fatica, ancora frastornato, si rimise malfermo sulle gambe, provando un senso di vergogna ancora maggiore: si era fatto fregare con estrema facilità, senza essere riuscito in alcun modo ad opporre resistenza.
Rinsavì e lo spettacolo che accolse i suoi occhi, ora nuovamente liberi dall'ipnotico fascino della Bianca Dama, fu apocalittico.
La Fine del Mondo.
Sin da ragazzino Tristàn aveva sentito parlare di tale avvenimento.
Era un argomento spinoso, che aveva sempre visto trattare sì con timore, ma anche con la palese certezza che non sarebbe mai giunto. Gli esseri umani lo affrontavano più che per prevenirlo, o per organizzarsi in modo tale da sopravvivere, per mera curiosità, per l'innegabile fascino che simili leggende esercitavano sulla vita mediocre dell'uomo comune, spaventato ma estremamente intrigato da simili promesse di enormi mutamenti.
Altura Perenne, per quanto non fosse uno dei maggiori feudi del Ferelden, aveva sempre ospitato un fitto traffico di mercanti, alcuni addirittura provenienti da parti del mondo che non avrebbe neanche saputo indicare sulla cartina, da continenti sconosciuti e da terre che raccontavano ormai distrutte e per sempre perdute.
Come prevedibile, il mistero era ciò che più andava di moda durante le fredde notti d'inverno; quale storia migliore per intrattenere una platea se non una riguardante simili calamità?
Diversi nomi erano giunti alle orecchie del piccolo Cousland, nomi impressi col fuoco nella sua mente, tanto l'avevano angosciato quand'era ancora un infante: Armageddon, Apocalisse, Fine del Mondo e, come la chiamava l'uomo di Chiesa ospitato tra le mura del castello di Altura Perenne, Giorno del Giudizio, ovvero il momento in cui il Creatore avrebbe premiato i puri ed i santi ed avrebbe condannato alla dannazione i malvagi ed i crudeli.
L'ultima volta però che aveva avuto il dispiacere di sentirsi narrare di ciò, questa era stata citata col nome di Ragnarök.
E niente meno che dal suo amico Vaarg.
Costui non solo aveva raccontato degli eventi che la sua religione predicevano come premonitori, ma aveva anche assicurato che lui stesso, assieme ad un pugno di coraggiosi, era riuscito ad evitare che l'intero mondo venisse dato alle fiamme.
Tristàn, alla fine del suo monologo, non aveva saputo come reagire.
Era vero che quella sera il gigante nordico ci aveva dato dentro con la birra - come suo solito - tuttavia ricordava ancora il terrore - e la successiva vergogna - che avevano macchiato i suoi occhi azzurri. Una paura atavica, passata ma indelebile, che l'avrebbe accompagnato per il resto dei suoi giorni. Non aveva mai visto il barbuto bestione ridotto in simili condizioni, nemmeno nei momenti più tragici che avevano condiviso, nemmeno quando si erano ritrovati - non di rado durante i pattugliamenti nelle zone desertiche limitrofe alla città in cui per due anni era rimasto prigioniero il Custode - ad un passo dall'Oltretomba.
Aveva sostenuto che, come predetto dalle indovine, i giganti di ghiaccio e fuoco si erano liberati dalle loro prigioni, portando scompiglio sulla terra nonostante l'intervento degli Dèi. Con foga crescente aveva aggiunto che si era trattato di un evento piuttosto circoscritto alle regioni settentrionali, poichè il loro Signore, un certo Surtur, era rimasto sepolto nella sua tomba e i suoi seguaci eliminati prima che potessero riportarlo in vita: altrimenti, aveva assicurato, il mondo sarebbe stato completamente raso al suolo.
Dal cadavere martoriato della Fenice erano stati partoriti due immondi giganti d'ombra, dai tratti somatici indistinti ma complessivamente dall'aspetto umanoide.
Per di più, una violenta tempesta sferzava i corpi di loro tutti, mentre sonori boati squarciavano la piana, alternandosi a raggi di luce che esplodevano nello scuro cielo.
Uno scenario degno della fine del mondo.
Assistette inerme al sorgere delle creature, senza tuttavia provare alcuna paura. Non più. Le studiò con attenzione, con occhio critico, alla ricerca di punti deboli. Non percepiva alcun timore. Certo, era conscio che non sarebbero stati facili da abbattere, ma il suo cuore - e la sua mente - si erano rapidamente irrigiditi ed adattati ad un contesto dove abomini simili parevano spuntare in continuazione.
Tristàn riuscì a stento a non crollare nuovamente a terra a causa delle scosse di terremoto, puntellandosi sui talloni e ritrovando una certa stabilità.
Per puro caso si ritrovò a fissare la bolgia di corpi, orcheschi ed elfici, che erano rimasti uccisi dalle scariche di rabbia piovute dal cielo. Nemici in vita, ora i loro cadaveri si fondevano in macabri abbracci, gli uni accanto agli altri, riuniti nell'oltretomba nonostante l'acredine che li aveva divisi quando ancora in grado di respirare. Alcuni coraggiosi corvi si erano già posati sui resti, prendendo a banchettare con pelli ed organi.
Gli venne un'idea, un ultimo modo per sfruttare i guerrieri Pelleverde deceduti: avrebbero portato scompiglio nell'esercito avversario anche da morti, come terribili spettri in cerca della giusta vendetta.
Prese a correre - per quanto gli fosse possibile dovendo stare costantemente attento a non perdere l'equilibrio - verso un plotone ancora in fase di riassemblamento, il quale probabilmente si sarebbe unito alle ultime file del compatto esercito che, incurante del cataclisma, avanzava eroicamente.
«Voi. Aiutate me. Caricate cadaveri di orchi ed elfi su catapulte.»
Incalzò ben attento a scandire ogni parola in modo tale da non doversi ripetere.
Questi rimasero interdetti.
Ciò che avrebbe fatto lo avrebbe tramutato in una bestia; avrebbe profanato dei cadaveri, avrebbe sfruttato la loro dipartita come arma. Si sarebbe macchiato di una colpa che lui stesso, se si fosse trovato a giudicare dall'esterno, avrebbe dichiarato ingiustificabile. Ma quello non era un contesto normale, erano in ballo migliaia di vite. In guerra tutto era permesso, l'uomo poteva dare libero sfogo al peggio di sè, compiendo atti di cui mai si sarebbe creduto capace.
Tristàn imprecò e raccolse, incurante del sangue, il busto di un giovane elfo rimasto tranciato a metà da un disco d'ombra. Lo portò al petto e si diresse alle vicine catapulte, ancora utilizzabili. Lottò contro la puzza di decomposizione che avvampava nelle sue narici, sollevando e ruotando una spalla così da bloccare il terribile tanfo. Caricò ciò che restava dell'orecchie a punta e ripetè il tutto con un secondo martoriato pezzo di carne. Finalmente gli orchi capirono e, seguendo il suo esempio, si attrezzarono. In breve tempo, il vano di ogni macchina d'assedio era colmo di braccia, di gambe, di teste e, più in generale, di parti organiche elfiche.
Non fu facile calibrare la distanza del tiro, nè caricare al massimo le corde e gli argani, visto il modo in cui il terreno sotto i loro piedi di scuoteva senza sosta. Ma vi avevano preso ormai la mano, infatti non vi fu alcun problema a far funzionare nuovamente quelle portatrici di morte.
Senza lasciarsi andare a preamboli Tristàn diede l'ordine di fare fuoco.
Preannunciata da un fitto sibilare, una pioggia di morti - letteralmente - si sarebbe riversata sugli elfi, con la probabile conseguenza di spezzare il loro morale, lautamente nutrito dall'illusione della venuta di Eitinel.
L'intelletto strategico dell'Eroe del Ferelden gli impediva però di ignorare i titani che erano stati eretti al centro del campo di battaglia. Una simile minaccia non poteva essere presa sotto gamba, non andava in alcun modo lasciata libera di agire.
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Animato dall'impellenza e dall'urgenza di agire, si mosse con rapidità, balzando tra detriti e corpi agonizzanti con incredibile agilità.
Facendosi largo tra cadaveri e reparti intenti a ricostruire una formazione d'attacco decente, raggiunse uno sparuto gruppo di sciamani superstiti, posizionati su una porzione di mura franate all'interno dell'ormai distrutto perimetro del maniero. Si tenevano a distanza dagli scontri veri e propri, dando però un concretissimo aiuto tramite i loro potenti incantesimi. Quello sembrava il reggimento che doveva aver accusato in maniera minore lo sfogo del Sovrano; solo alcuni corpi senza vita inframezzavano la selva di sporche tuniche ancora salde sulle proprie gambe. Altri, feriti in maniera più o meno superficiale, provvedevano a curarsi in perfetta autonomia, dando vita a bagliori di ogni colore possibile, evidenti manifestazioni del loro potere.
«Tu! Vieni qui!»
Sbraitò in direzione del più vicino degli sciamani, gli unici tra gli orchi in grado di utilizzare arti magiche.
Questo si voltò di scatto e puntò l'orrendo volto sul Custode Grigio: un espressione di cupo timore gli si dipinse in volto, certo che quell'umano non gli avrebbe comandato nulla di piacevole. Attraverso le fessure dell'elmo non vide due occhi normali, no, vide due pozze colme di rabbia ed odio, appartenenti ad un uomo che doveva essere stato travolto da una forte ondata di stress - a quanto pareva non erano in grado di mantenere la calma quanto gli esemplari del suo stesso popolo, parevano cadere preda delle loro stesse emozioni con enorme facilità - e dall'impellente bisogno di farsi obbedire. Seppur a malincuore, dunque, lo scimano, trotterellando sulle tozze gambe, lo raggiunse.
«Devi attirare lontano da noi e dall'esercito i giganti. Non devono mietere vittime durante la carica, devi impedirlo.»
Il mago spalancò le scarnificate e violacee labbra alla ricerca di qualcosa che potesse evitargli tale compito.
Lo sguardo incerto tradiva il suo terrore, mente prendeva a balbettare una futile giustificazione.
«Umano, gli ordini...»
Si grattò convulsamente il capo, quasi volesse prender tempo.
«... gli ordini sono di restare qui ed assistere l'esercito!»
Non fece nemmeno in tempo a muovere un passo o a battere le ciglia che il guantato e ferroso pugno di Tristàn si abbatte come un mattone sul suo sfregiato volto, spaccandogli il grottesco naso dal quale prese a scorrere, copioso, dello scuro sangue.
Con un grido strozzato, patetico, si portò le piccole mani sulla carne ferita, tentando di bloccare l'emorraggia.
Probabilmente, se fosse sopravvissuto, avrebbe potuto tranquillamente curarsi con la sua stessa magia in un secondo momento; per questo il cavaliere non provò alcun rimorso per tale gesto. Non vi era tempo, era solo una questione di secondi perchè gli orchi arrivassero nelle immediate vicinanze dei due giganti che, come fari nella notte, svettavano sul campo di battaglia.
«Gli ordini sono cambiati! Io sono uno dei tre Prescelti di Gruumsh, colui che guiderà voi pezzenti alla vittoria!»
Parole dure pronunciate con tono tagliente; calcò soprattutto la parola pezzenti, sperando di indurre lo sciamano all'orgoglio che sembrava mancargli a favore della codardia.
Fu però la paura a smuoverlo, la promessa dell'ira di Gruumsh che si sarebbe abbattuta su di lui se non avesse seguito le indicazioni di uno dei suoi sacri generali.
Si coprì il naso con il lembo di una manica, prendendo ad annuire freneticamente.
Successivamente, scomparve nel nulla, dinnanzi agli occhi sbigottiti del Custode, il quale non potè che ipotizzare si fosse trattato di un teletrasporto.
In effetti lo sciamano si sarebbe materializzato nuovamente molto più a Nord rispetto all'esercito Pelleverde, precisamente una cinquantina di metri a ridosso delle ultilme file elfiche. In gran segreto, e ben attento a non emettere neanche un mugolio di dolore a causa della ferita riportata, avrebbe pronunciato con un filo di voce alcune antiche parole nella sua lingua madre. Mulinando un braccio, avrebbe fatto materializzare cinque imponenti scheggie di ghiaccio sulla sommità della testa di uno dei due giganti: queste si sarebbero poi lasciate andare in caduta libera, con l'intento di sfondare il cranio del mostro. Quello era però l'obbiettivo secondario. Ciò cui puntava lo sciamano era attirare la sua attenzione: qualora avesse deciso di inseguirlo, per raggiungerlo avrebbe dovuto letteralmente farsi largo tra le file dell'Asgradel, martoriando un'infinità di elfi durante il suo pesante passaggio.
Tristàn, ancora nel mezzo delle rovine, pregò affinchè il diversivo raggiungesse lo scopo desiderato.
Aveva fatto la sua parte, aveva dato le disposizioni che gli erano sembrate più adatte, ora non gli restava che sperare in un aiuto divino.
Magari in quello di un Dio più misericordioso e giusto rispetto a quello che era divenuto il Leviatano.
Vide Viktor scrutare pensieroso l'orrizzonte: sembrava condividere le sue stesse incertezze riguardo la nuova avanzata dell'esercito dei Pelleverde. In pochi istanti lo raggiunse, restando in silenzio ad ascoltare le considerazioni del vecchio generale.
Nonostante l'età, sembrava essersela cavata egreggiamente in prima linea. Nonostante lui non fosse uno stratega esperto, dovette concordare: il danneggiare il campo di battaglia era stata una pessima mossa da parte del Leviatano, il quale aveva provocato sicuramente più danno agli orchi - forti ma lenti - che agli elfi, decisamente più agili e maggiormente in grado di evitare le voragini.
Le sue parole lo colpirono come una raffica di schiaffi: non vi era più l'illusione di una guerra giusta - per quanto una guerra potesse essere considerata tale - e mirata a raggiungere una nobile causa; vi era solo la follia del Re e della Dama.
« Non farò parte del suo tributo di sangue. »
Concluse aspramente l'Oberkommandierende.
Tristàn si limitò ad annuire stancamente, avvilito da quelle, tristemente vere, parole.
«Mi duole ammetterlo ma credo tu abbia ragione.»
Mormorò con riluttanza in direzione di Viktor, quando questi ebbe terminato il suo sfogo.
Non cercò nemmeno di convincerlo che si sbagliava, non tentò di dargli speranza difendendo Ray ed il suo comportamento: sarebbe stato solo un insulto alla sua intelligenza.
Benchè non più nel fiore degli anni, il comandante emanava ancora un'aria minacciosa ed autoritaria, sicuramente ereditata durante i lunghi anni che aveva passato sul campo di battaglia. Sul suo volto sembrava stampata la descrizione veterano di guerra. Forse proprio per quello riusciva ad apprezzare quell'uomo: benchè caratterialmente molto diversi, erano entrambi dei guerrieri, dei condottieri.
«Non siamo che pedine...»
Ammise con amarezza, ormai a conoscenza di quella inequivocabile realtà.
«Ma abbiamo dato la nostra parola d'onore.»
Il giorno in cui era stato nominato a cavaliere aveva giurato, dinnanzi al padre stesso, che mai si sarebbe macchiato di tradimenti che avrebbero infangato il suo onore e quello della nobile famiglia da cui proveniva. La permanenza nei Custodi Grigi non aveva mutato tale suo orientamento neanche un po'.
«Non possiamo infrangere un giuramento. Cosa ci renderebbe diversi, migliori rispetto a lui? Questi orchi stanno morendo coraggiosamente, contano su di noi, ci credono emissari del loro Dio. Non possiamo abbandonarli, non abbiamo altra scelta che vincere la battaglia.»
Strinse la mano sull'elsa della spada talmente forte che le nocche sbiancarono, che si provocò delle ferite ai palmi. Sapeva che non sarebbe stato affatto facile, specie poichè l'esercito elfico sembrava disporre di un aiuto costante e diretto da parte della loro paladina, mentre loro si dovevano accontentare di bombardamenti generici che nuocevano vittime anche al loro stesso schieramento.
«Sii lungimirante, vecchio. Dovremo pur trarne qualche vantaggio qualora dovessimo trionfare. Non vorrai mica tornare con la coda tra le gambe e con la bisaccia vuota al Goryo, vero?»
Concluse cercando di far trapelare quanta più - triste - ironia possibile, abbozzando un accenno di risata.
Ormai era fermamente convinto che le sorti della battaglia non dipendessero più da ciò che loro avrebbero fatto.
Che Ray li reputasse obsoleti? Si sarebbe liberato anche di loro? O avrebbe rispettato il patto?



[ReC 275] [AeV 275] [PerF 325] [PerM 325] [CaeM 700]
[Basso. 2%] [Medio. 6%] [Alto. 15%] [Critico. 33%]
[Energia. 100%]

Status Fisico: Danno Medio alla schiena.
Energia Totale: 100% 42%
Energia Utilizzata: 0%
Energia Restante: 42%

Abilità Passive
    ¬L'essenza di un Custode.
    ± Di tutte le razze, i mezzi demoni sono senz'altro quelli più denigrati, allontanati e scacciati di tutti. Proprio per questo, quindi, hanno dovuto imparare a cavarsela da soli e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. A forza di crescere in questo modo, i mezzi demoni si sono abituati a gente che tenta di intimorirli, minacciarli o irretirli e hanno sviluppato quella che potrebbe definirsi una particolare "Abilità razziale". Sono infatti parzialmente immuni alle influenze psicologiche. Non a tutte, si intende, altrimenti risulterebbero atoni e privi d'emozioni, ma senz'altro, a differenza di tutte le altre razze, si lasciano intimorire meno facilmente e persuadere con notevole difficoltà. Il timore provocato dalla vista di demoni o angeli, ad esempio, non avrà su di loro effetto. Sensazioni profonde come forti paure, o tanto grandi, però, avranno comunque effetto. Quest'abilità è una normale difesa psionica di livello passivo.
    ± Con la sicurezza migliora anche il controllo delle proprie capacità combattive; fino a quando il possessore di questo dominio riuscirà a mantenere il sangue freddo e a non lasciarsi prendere dall'ira - o da altre sensazioni che finirebbero con il turbarlo - il suo valore di CaeM risulterà raddoppiato. Questo non influirà nelle sue doti di tiratore ma lo renderà estremamente abile in ogni genere di schivata, affondo o anche nel disarmare il proprio avversario. Chiunque apprenda questa disciplina di scherma risulterà essere un combattete eccezionale e ogni suo duello sarà un vero spettacolo in quanto a grazia e maestria.
    ± Non sempre però la grazia nei movimenti e le abilità di schermidore possono contrastare la forza bruta; cercare di disarmare o anche solo contrastare un bestione di più di due metri con una spada dalle dimensioni più simili a quella di una trave di ferro risulta spesso una missione disperata anche per il combattente più abile. Questo però non vale per coloro che sono diventati sempre più abili in questo stile di combattimento; una delle ultime lezioni impartite dai maestri consiste appunto nel focalizzare la propria calma e il proprio sangue freddo per riuscire a contrastare anche il più forte degli avversari. Fino a quando il possessore del dominio non si lascerà prendere dall'ira o non si lascerà turbare ogni colpo portato con la sua spada conterà come una tecnica di livello basso rendendolo quindi superiore a qualsiasi colpo portato da avversari anche enormemente più forti di lui.
    ± Questa pergamena non conta come una vera e propria tecnica, quanto come un'abilità passiva. Aumenterà infatti i "ReC" del personaggio di 50 punti, diminuendone però i "PeRf" di 25. Esternamente non vi saranno cambiamenti, e il guerriero apparirà come quello di sempre, anche se le sue capacità di concentrazione e i suoi riflessi saranno nettamente aumentati, a discapito di un leggero indebolimento fisico.La tecnica sarà sempre attiva e non avrà un consumo. Un ulteriore vantaggio è quello di permettere al guerriero di poter combattere anche una volta raggiunto il 10% delle energie, senza svenire. Un personaggio normale, infatti, trovatisi con poca energia o nulla, si sentirà spossato o comunque non in grado di combattere. Un guerriero con questa tecnica, invece, potrà tranquillamente continuare ad avanzare, quasi senza sentire la fatica, pur senza più poter utilizzare tecniche che comportano un dispendio energetico, che lo porterebbero alla morte.

Tecniche Utilizzate
    Nessuna.

Note
FUUUUUUUUUU, pure i giganti c'abbiamo ora! Non ci facciamo mancare nulla eh?
Scherzi a parte, specifico subito che il riferimento diretto al "Ragnarok" e al passato di Vaarg verrà approfondito alla fine del Valzer, dove spiegherò effettivamente in cosa si è imbattuto.
Ma ecco ciò che accade in questo turno.

-Tristàn inizialmente cade vittima dell'illusione di Eit.
-Una ventina di orchi, in piena autonomia, accerchiano Bara-Katal e Finnegan, pronti a colpire il secondo qualora il comandante dovesse trovarsi in difficoltà.
-Tristàn torna in sè ed assiste alla nascita dei giganti e all'inizio del terremoto.
-A malincuore ordina ad alcuni orchi di caricare sulle catapulte i resti martoriati degli elfi - quelli venuti con Finnegan - uccisi dall'attacco di Ray e di lanciarli contro le prime linee dell'armata dell'Asgradel.
-Comanda uno sciamano affinchè attiri lontani i giganti. Questo utilizza dapprima la pergamena "Air Door" per teletrasportarsi una cinquantina di metri dietro le linee elfiche
CITAZIONE
Air door: Grazie a questa tecnica il mago diverrà in grado di piegare a proprio piacimento lo spazio intorno a sé, e sfruttarlo per difendersi dalle offensive avversarie.
In un solo attimo, infatti, potrà nascondersi in una piega dello spazio innanzi a lui, passando per qualche secondo in una diversa dimensione ed evitando l'attacco dell'avversario. All'interno di questa "Dimensione", il mago potrà spostarsi e muoversi, senza in alcun modo interagire con lo spazio esterno, e tornare nel mondo reale in qualsiasi istante lo desideri.
La tecnica può essere usata anche a scopo offensivo, se usata a scopo difensivo va considerata difesa assoluta. Non potrà ricomparire a meno di qualche passo dal suo avversario, né uscire dall'altra dimensione solo con parte del proprio corpo per poi rientrarvi.
Consumo di energia: Alto

e, una volta lì, attacca una delle due creature con "Schegge di Ghiaccio"
CITAZIONE
Schegge di ghiaccio: il mago genera dalle cinque alle dieci schegge di ghiaccio, sopra l'avversario, lunghe fino a due metri e simili a grosse stalattiti.
La tecnica non richiede di particolare concentrazione o imposizione delle mani, ma le schegge si formeranno condensando e congelando l'aria circostante, in un processo che potrebbe durare qualche secondo.
Una volta formate, queste ricadranno pesantemente verso il basso, molto velocemente.
Una scheggia è in grado di bucare facilmente persino la roccia. L'avversario potrà rendersi conto delle schegge sopra di lui grazie all'improvvisa aura gelida che gli si formerà intorno.
Consumo di energia: Alto

puntando non tanto a ferire realmente i due, quanto ad attirare la loro attenzione, nella speranza di essere inseguito. Fatto ciò, cerca di fuggire.
-Tristàn torna vicino a Rekla e Viktor.
-Ascolta ciò che gli dice Viktor - nel mio post ho citato solo l'ultima frase, nel suo post troverete la parte iniziale e la sua risposta - e risponde.
 
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view post Posted on 30/9/2011, 10:11
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Valzer Al Crepuscolo

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Terzo turno

Tutto sarebbe finito, presto.
Molto presto - l'eco della guerra avrebbe smesso di risuonare nella valle, rifiorendo le vaste piane di nuovi canti di speranza ed allontanando l'insostenibile litania del dolore che si spande. Sarebbe bastato chiuder gli occhi per un secondo, inspirare quel vento acido e nauseabondo, o coprirsi le orecchie: la verità del giorno avrebbe spazzato via le discordie della notte, riscoprendo l'armonica speranza del cuore pavido dell'orrore, che si acceca di quella paura vivendola come reale, ma riscoprendola come nient'altro che un sogno. Un brutto sogno. Per un secondo ancora lo spettro balenò nel desiderio profondo che l'illusione che gli attanagliava il cuore l'avesse contratto - per una volta - al punto tale da impedirgli il risveglio. E nel pulsante cosmo che gli franava addosso, si chiuse in se stesso, flettendo poco le gambe in posizione fetale, senza parlare - senza ascoltare più nulla.
Sperando fosse solo uno dei suoi - tanti - incubi.
Ma seguirono solo tuoni.

Uno...
...Due...
...Tre...
...Quattro...


Rimbombarono di un frastuono assordante, percuotendo la barriera ed il mondo attorno a lui con la grazia di un martello che rifrange una parete di vetro ovattata. Il frastuono si diffuse nel vento, acuendo il rumore dell'ignominia come la mano di chi versa sale sulle ferite altrui. Ad ogni rombo il rumore assordante del dolore si acuiva, rinverdendosi di nuove tonalità e conquistando nuove porzioni di terreno. La sofferenza avrebbe generato il seme di nuove litanie, nuovi odi e nuove avanzate - prima di coprire la piana di un'unica ed assoluta immobilità. Quell'eco greve, infatti, per un attimo si fermò: al quarto rimbombo, si segnò il limite del dolore. La piana parve rimanere in attesa, per poi singhiozzare, come un bambino che, dopo l'ultima percossa, aspetta di comprendere i propri errori - o cerca soltanto di non ripeterli più. E non piangeva più: non aveva più la forza nemmeno per quello.

Ray. Basta!
Castighi un mondo già piegato ai tuoi piedi.
Ora basta...


« ...è questo il regno che vuoi?
E' davvero questo, il mondo che speri ti adori...?!
»

Shakan pregava. Nella propria controversia cospirazione contro qualsivoglia religione che avesse provato, nella sua vita, a cingere lui stesso o i propri cari, il suo ruolo di messia delle speranze delle nobili corti era stato quanto di più simile ad una preghiera che egli avesse conosciuto. Eppure, invocava nel cielo un perdono che non aveva confini di concepimento: un perdono dalle colpe del mondo, che tutti scontavano per l'empietà di non poter nemmeno addivenire ad un reale sacrificio che ne attenuasse le sofferenze. Eppure invocava il perdono di un dio che di quella valle ormai faceva sfogo delle sue pene e che nell'ascesa verso il potere aveva dimenticato di far propria l'unica attribuzione che avrebbe avuto - a parer suo - il gusto del divino: la misericordia.
Ray diveniva un dio irato - bieco - perverso. Non misericordioso.
Eppure in quel silenzio immobile, anche il vento parve placarsi per omaggiare le ombre dei defunti, attendendo chiunque si sarebbe fatto carico di far la prima, successiva mossa. Nel frattempo, però, Shakan si arrese a quell'immobilità, compiacendosi dell'innocenza insita nella stessa e volando, con lo sguardo, sui bianchi elfi che lo circondavano, sui monti in pezzi, sui riflessi di condanna che si spargevano su tutto il campo di battaglia, figurandosi nei cadaveri degli orchi, negli occhi spauriti dei più deboli, nelle macerie fumanti del Bianco Maniero in lontananza. L'immobilità che li rese - per qualche secondo - tutti uguali: tutti vittime di un destino che li aveva voluto martiri, quel giorno.
I frammenti della barriera, poi, si dissolsero in milioni di cristalli adombrati dal potere, luccicando nella loro opacità e scomparendo poco prima di toccar terra, ma illuminandosi nell'attimo della loro scomparsa come fiocchi di neve sciolti al calore delle mani. Fu una candida pioggia che calò sui capi distolti dei combattenti, pregando - quasi - per il loro animo che andava in gloria, o - più opportunamente - piangendone la disgraziata infamità del fato.
Presto, infatti, l'apocalisse sarebbe ricominciata.


valzerturno3post41


R a g n a r o k4

__________________________________________________


Le piccole porzioni di nulla scomparvero nell'attimo esatto in cui il frastuono dei lamenti risuonò ancora una volta. La caduta dei tuoni oscuri aveva riempito di rinnovato terrore l'intera valle, sprofondando nell'assoluta inquietudine anche chi di quel cielo nero aveva fatto la propria speranza. Lo spettro si stagliò ancora una volta all'orizzonte, sperando di leggere, tra i biechi occhi dei pelleverde, la consapevolezza che alcun dio avrebbe fatto realmente dono di qualcosa, quel giorno. Incredibilmente, la strumentalità di tanta vergogna risiedeva proprio nella sfacciataggine con cui veniva utilizzata: Ray si serviva di loro come carne da macello, rinfrancandone le speranze soltanto per tirar i loro corpi robusti oltre il limite massimo della resistenza. Però, la dipartita di qualsivoglia dubbio sarebbe giunta innanzi all'evidenza che comunque la frattura delle linee nemiche avrebbe comportato anche il prezzo dell'esercito che a quelle fratture aveva aperto la strada con numerose cariche, pagandone già un primo scotto di morte. E venendo ora ripagato ancora con nuove morti. Sacrifici inviolabili, minimi innanzi all'ampiezza del destino che segnava il Sovrano - avrebbe pensato lui, probabilmente.
Per vero, di quella consapevolezza farsi scudo parve alquanto difficile anche per chi - come lo spettro - di certe coscienze aveva fatto tesoro già da tempo: riscoprirlo, però, non era mai facile. La pietà di chi non si fa scrupoli dei propri strumenti placa qualunque tentativo di ridimensionare il volger malefico di tanta ignominia: per quanto orribile, le sfumature di nero risplendevano sorprendentemente di una infamia sempre nuova. Sempre diversa.
Il millantar di qualunque appoggio, quindi, non avrebbe significato alcunché innanzi alla possibilità che la vittoria sarebbe giunta distruggendo tutto e tutti, finanche le proprie schiere, pur di sopravanzare il nemico. D'altronde non era plausibile ammirar altro che la vergogna del progetto: era tutto cominciato con la frattura di Bottiglia Verde, poi del Borgo e - infine - del Bianco Maniero. Quel pallido monumento alla volta del quale centinaia di esseri avevano giurato la propria fedeltà, servendosi della sua ombra per difender valori e concetti di cui il loro Sovrano si era fatto beffa, schiacciandoli alla prima necessità.

E che senso avrebbe avuto proseguir una battaglia comunque destinata a sprofondare nell'oblio?
Che senso avrebbe avuto anche vincerla - quella battaglia - senza più un posto, una casa, in cui festeggiare la vittoria?
Non rimaneva più nulla ormai: il mondo stesso si era svuotato.

Lo spettro si fece largo tra le schiere riverse nel sangue, strisciando poco gli stivali sulla terra brulla, riarsa - ormai - da un sommesso magnetismo che ne sollevava copiosi polveroni grigiastri, bruciando l'aria più di quanto già non avesse fatto il gusto del sangue ed il puzzo dei cadaveri. La manica strappata si portò al viso, coprendo il naso dall'ammorbante disgusto che ne derivava, mentre l'altro braccio si aggirava nel vento, spostando - quasi comandando - a qualsivoglia ostacolo di non obliargli la vista e consentirgli di vagare ove il cuore gli obbligava di giungere. Quei valori stessi che vedeva dissolti nella guerra - infatti - si cristallizzavano in nuove e preziose virtù, fiori sbocciati sotto una coltre di marciume e profumati di un gusto diverso, quello della speranza. Se c'era un bene che Shakan potesse scorgere in tutto quello, era quel montante desiderio di incrociare un qualunque calore che ne avrebbe rinsaldato l'animo, salvandolo dall'istinto crescente di lasciarsi cadere una volta per sempre, per non rialzarsi più. L'abbraccio, il calore di una dama che aveva visto seviziare la vita con arrogante facilità, ma che aveva imparato a conoscere nell'empietà del vizio che li aveva tediati fino a quel momento e che, era sicuro, riscopriva nell'atrocità che si palesava innanzi ai loro occhi, il valore di una vita che può venir spazzata dalla follia - in un attimo.

Imperatrice, dove sei?
Mirò tra le schiere, ricercandone la chioma folta, fulgida, e l'armatura scintillante così come l'aveva vista l'ultima volta sul dorso della fenice. E la scorse, infine, poco dietro la prima linea: i lineamenti contratti dalla paura, ma irrigiditi dalla sforzo inumano che il suo ruolo imponeva, in quel momento. Le fulgide scaglie si stagliavano tra le schiere, macchiate del sangue dei nemici, mentre l'ammorbante olezzo anche lei cingeva ed una tenue vibrazione nel volto dettava i segni di un'indomabile volontà che si spingeva al limite dell'esaurimento, pur di non scadere nell'urlo impietoso di chi è stato a sazietà traviato da un dolore insopportabile. Il dolore doveva consumarla - infatti - ovvero l'angoscia di chi ha perso un fratello, anzi decine di fratelli - compagni d'arme, ai quali si era stretta in un legame fatto di sguardi, d'intenti, inviolabile per il fatto stesso di combattere per un ideale, ma violato per il fatto stesso di essersi sacrificati per esso. E fu colto da un moto di agonia che si spandeva per ogni metro che ancora lo divideva dai suoi occhi. Forse amore, forse affetto, forse l'innocente pulsione di avvolgersi in un calore passionale, di rinchiudersi nell'affetto materno, fraterno, o di una compagna che sarebbe stata l'unica - probabilmente - capace di comprender quanto quel cammino distruttivo si stava nutrendo delle sue certezze. Un amore con cui piangere, come mai aveva provato a fare, disconoscendo quel freddo distacco che - fino a quel momento - ne aveva dettato i rapporti umani. Sentiva di aver bisogno di lei, della sua pelle macchiata dal pianto, del suo corpo irrigidito dal lamento.
Sentiva di aver bisogno di un suo abbraccio, di un suo bacio.
O di qualsivoglia gesto che ne attutisse il disgraziato male.

« Alexandra...
...sei...viva!
»

Ad un passo dal suo sguardo, la vide girarsi ed illuminarsi - quasi - alla vista di qualcosa che si credeva perduto.
Shakan tese la mano, indirizzandola verso la sua, dividendosi fra la gioia di poterla toccare e la smania di vederla lontana ancora qualche istante di troppo. Si sarebbero sfiorati, di nuovo: sarebbero stati insieme, di nuovo. E per sempre.

Forse.
Se la terra non avesse tremato.

valzerturno3post42

Cosa fai Shakan, sorridi - addirittura?

Un nuovo tuono squarciò il cielo con assordante dirompenza. Il frastuono risuonò nel cuore dello spettro come il monito di chi quel frammento di pietà non l'avrebbe voluto e non l'avrebbe concesso. Invero, la terra rispose al richiamo dell'oblio con l'attenzione di un fedele araldo: la saetta lambì il cielo, ardendo la valle con l'ennesima lama invereconda - ma invisibile, questa volta - che squarciò il terreno orizzontalmente, segnando il destino dell'esercito degli elfi, ancora una volta. La linea si mosse rapida, spaccando a metà le coscienze e gli animi di chi ancora si ricomponeva dall'ultimo, assalto. Shakan - sopratutto - si vide mancare lo spessore della propria certezza, oltre che il vuoto riempirsi tra lui e l'imperatrice, mentre le due faglie si smossero a distanza, allontanando le mani tese dei due condottieri con una rapidità pari soltanto a quella dello sconforto che fece preda del cuore dello spettro. Ed ebbe soltanto il tempo di assistere inerme all'ennesima sconfitta, vedendo - ancora una volta - gli occhi umidi dell'imperatrice riempirsi d'orrore per poi scomparire all'orizzonte, oltre il fumo e la polvere che si smosse nel vento, tra le contratte urla delle schiere.

valzerturno3post43
« NO! NO!!!
Fermati, maledizione!
Placa la tua - dannata - frustrazione!
»

Ray gli stava negando anche quell'amore.
Per non rincorrere, in quei suoi sguardi condivisi, i rancori di un ricordo lontano, forse scomparso.
O, più propriamente, perché nemmeno Shakan - o, forse, sopratutto lui - avrebbe dovuto trovar alcun afflato di speranza.
Nel suo regno, la speranza si sarebbe dovuta asservire solo al suo capriccio, stroncando nel sangue ogni luce di cordoglio.
E così per tutta la gente del mondo: non sarebbe rimasto altro che quella brulla terra lambita dalla polvere.
Se nessuno avesse fatto qualcosa.

Nel mentre, l'orizzonte era mutato ancora una volta: le scosse della terra avevano stranito gli elfi, costringendoli a ricompattarsi ancora, mentre gli orchi erano arretrati di qualche passo, prevenendo ulteriori perdite. E nel centro della piana v'era ormai una terra di nessuno, ripiena di nient'altro che delle paure di entrambi gli schieramenti: eppure, dalle scintille di luce che si erano postate sul campo di battaglia, si era dischiusa una leggera foschia nel vento che, concentrandosi nel centro dello stesso, si era disegnata di morbide fattezze. Una dama dalla lunga veste bianca si stagliava tra gli sguardi attoniti di elfi e pelleverde, concentrando - in se - tutte le attenzioni della landa, insieme alle speranze opposte che tanto incanto non sarebbe svanito come semplice frustrazione degli occhi stanchi.

"Eitinel"

Una voce risuonò tra le schiere, rimarcando quell'immagine del senso che già gran parte degli elfi le aveva dato: la dama vibrava con loro, soffriva con loro e si nutriva dei loro pianti, soccorrendogli nel momento di più grave difficoltà. Eppure, come poteva apparire dal nulla, la fanciulla addormentata che lui stesso aveva conosciuto, sofferto ed ammirato, nel candido giaciglio del suo sogno?
Invero, non era possibile: e la voce di Ashlon precedette solo di poco il suono dei Veggenti. Il loro canto intonò una melodia nuova, che segnava il passo dettato dai loro sguardi mascherati alla realtà, in grado di trascendere da essa e scoprire la verità insita in ogni forma.

L'immagine della dama ci ispira forza: è il segno che la sua volontà indomita confida nel nostro cuore.
Ella è con noi, ma solo col suo spirito: del suo corpo, invero, ci ha donato solo una semplice immagine.


Vicino a lei, due colossi d'ombra l'accompagnavano: immobili, fermi nella loro titanica imponenza. Freddi, nell'attimo stesso in cui lo spettro comprese della loro esistenza e si stranì, vibrando di un gelido fremito. Diversamente, l'esercito dei pelleverde non parve ricadere troppo nell'oblio dell'inganno: quasi rinfrancati - rinvigoriti dall'immagine della dama, parvenza - forse - delle opache speranze di vittoria rimaste agli elfi, agli assalti degli orchi non sembrò vero che tutte le loro possibilità si concentrassero in nient'altro che uno sfocato disegno. Risuonarono nuovi canti di battaglia, in lontananza, annuncio indomito dell'imminente carica degli orchi: l'ultima carica, probabilmente - quella che avrebbe segnato il destino di un esercito elfico ancora impreparato a subirla.

« Datemi qualcosa.
Qualsiasi cosa: datemi la possibilità di sacrificarmi.
Sacrificare una vita, per salvarne a centinaia...
»

Il collasso dell'idea di Shakan fu tanto profondo da scadere nel sacrificio, cedendo il passo alla disperazione di una contromossa tanto scaltra, quanto folle. L'esercito elfico aveva bisogno di tempo, solo di un pò di tempo, beneficiando - poi - delle lunghe gittate e delle poche resistenze ancora a disposizione. Eppure non avrebbe costruito granché solo col proprio coraggio, armato di tanti buoni propositi, ma di niente più. Sacrificare se stesso - quindi - avrebbe donato prezioso beneficio a chi di quella guerra poteva veramente decidere le sorti. Alexandra, e l'esercito. Non lui, infatti: non il debole Shakan. E si rivolse ad uno dei Veggenti, fissandone duro le cicatrici sul volto e su quello sguardo apparentemente svuotato da qualunque percezione. L'elfo, di rimando, lo degnò di nient'altro che un tono, una smorfia a metà tra il comprensivo ed il disgustato che riempì l'aria di un moto di disillusione, prossimo alla sfiducia.

Se è quello che vuoi...

Sembrò dirgli il Veggente, trasmigrando la sua coscienza a quella degli altri suoi fratelli dell'oblio ed intonando un altro canto ancora - più duro, meno armonico e più dettato da spigolose tonalità che rimbalzavano nelle orecchie degli altri elfi come simbolo di una crescente paura. Al loro richiamo, infatti, la terra si smosse - tra i fremiti - di un secondo ardore, diverso e distinto da quello generatosi poco prima. Un richiamo magico, che riportò al cielo taluni corpi di elfi - ma anche di orchi - dissacrati nella loro morte, divisi in parti diseguali o, più propriamente, abbandonati alla decomposizione e trasmigrati in un sonno eterno che - nella loro speranza - non avrebbe dovuto terminare mai più. Tranne in quel caso.
Centinaia di corpi si composero, frapponendosi in un misto di articolazioni, membra, budella ed ossa, ma macchiando il campo di una nuova prima linea, che precedeva di qualche passo quella degli elfi. Uno schieramento di giganti di ossa, di titani del fato che avrebbero attutito il primo assalto degli orchi.

« Ricorda: i colossi di ombra stroncano ogni attacco rivolto a loro.
Ma non sono al nostro servizio.
»

Poi parlò, l'elfo cieco - uno dei Veggenti. Rimarcando un coraggio dello spettro in cui egli stesso non sperava più - evidentemente - e sottolineandolo col bisogno di non vanificarlo alla prima, ovvia, infrazione del destino. Shakan annuì vago, fissando quell'orizzonte non troppo lontano con sguardo ansioso e rimembrando qualunque pallida nozione di strategia che potesse suscitarne la curiosità, in quel momento: e nei colossi trovò la risposta, capendo e comprendendo che la loro mano avrebbe rallentato ancor di più il volgere dei pelleverde. Se solo fosse stato possibile sfruttarli, in qualche modo.
Poi rivolse l'attenzione ad alcuni rapidi incursori che aveva visto combattere con le proprietà venefiche delle radici, poco prima: l'illusione, la confusione e l'oblio erano le uniche armi rimaste loro. Nell'impossibilità, però, di raggiungere i colossi correndo sul terreno instabile - la direzione del vento avrebbe segnato l'unica conclusione possibile. In un rapido gesto della mano, lo Spettro indicò i colossi di ossa eretti innanzi allo schieramento elfico. Improvvisandosi comandante: ma generando l'unico ordine che avrebbero ascoltato.
Sacrificarsi, per la vittoria.

Il resto fu dettato dall'istinto. Shakan si fece largo tra le schiere, rientrando nel palmo della mano del più centrale dei colossi. Ciascun Fiore Reciso, si sistemò tra le cavità degli altri colossi, sfruttando un'agilità ed un bilanciamento senza eguali. Ed il passo dell'avanguardia titanica sopravanzò ogni fremito del terreno, non dovendosi preoccupare di correre - ma limitandosi a coprire, con un passo, diverse porzioni di terreno. E quando il primo di essi si mosse, il cuore di Shakan balzò dal fittizio coraggio di poco prima, alla paura più stentata - afferrando una presa salda con le mani tremanti e stringendo il pugno fino a provocarsi dolore, fino a punirsi per quella vacua incertezza che gli ricordava spesso quanto ancora infantile il suo cuore fosse. Era un guerriero - ormai, non smetteva di ripeterselo.
Di farsi coraggio.

« Confondeteli. Appena possibile, fate in modo che attacchino indiscriminatamente innanzi a loro... »

Le parole avrebbero dovuto tuonare come un ordine agli elfi che la sua voce poteva raggiungere, durante il cammino: essi avrebbero trasmesso la richiesta, a tutto lo schieramento. Nel vento, però, si librarono frasi chiare ma tremanti, assuefatte dall'assorta premura che lo spettro non riusciva a dimenticare. Poi, in prossimità del centro del campo da battaglia, immaginò incrociarsi l'ultimo degli assalti di quella guerra, ovvero quello che ne avrebbe deciso le sorti. Discese dal gigante che l'aveva trasportato, accertandosi che i Fiori recisi non facessero altrettanto - non ancora - ed avanzando con imprudenza di poco oltre i colossi d'ombra, diede sfogo alle proprie frustrazioni rilasciando nel vento uno spesso strato di nebbia, all'altezza degli occhi degli orchi.
Camuffato nel nulla di quella impercettibile mistificazione, sentenziò le parole che avrebbero dovuto suscitare il panico, o qualunque reazione, dei pelleverde, infondendo - in esse - tutta la speranza che ancora, da folle qual'era, gli era rimasta.

« La Dama bianca ci ha donato la titanica potenza dei suoi colossi!
Attaccate - giganti d'ombra! Oggi la vostra forza è al nostro servizio!

Servite la nostra causa! Servite Eitinel!
»

Sarebbero risuonate come verità, verità scomode - improbabili: eppure imprescindibili. La verità che le ombre si sarebbero mosse al loro servizio, per loro mano. La verità che avrebbe segnato la differenza tra una mattanza ed un'altra: una vittoria o una sconfitta. Ed i titani d'ombra al suo seguito, per un attimo, parvero muoversi davvero: o meglio, la loro immagine parve scuotersi a quelle parole, ed avvicinarsi agli orchi con tono greve. Ci volle qualche secondo anche allo spettro per comprendere che non erano altro che altre immagini, illusioni generate dall'esercito elfico per render più credibile quell'inganno. Contemporaneamente, però, centinaia di piccoli dardi si levarono dalle cavità dei giganti d'ossa, in direzione dell'avanguardia orchesca, mentre anche questi assecondarono la volontà del destino, ingaggiando combattimento. Prendendo tempo. Inoltre, anche l'immagine della Dama parve assecondare - o benedire - quell'assalto disperato, muovendo le mani in direzione dei propri colossi, ed invitandoli ad avanzare.
L'unica ritirata fu proprio quella dello spettro: perso tra i dolori delle proprie ferite ed i frastuoni della battaglia, si portò le mani al costato, rimettendo la propria disperazione alle strisce di terra brulla che lo spostarono di poco dietro la linea d'impatto. Stordito, infatti, non avrebbe sostenuto nient'altro che la propria veglia, nel momento che finanche il passo gli veniva a mancare e l'impossibilità di rientrare tra le linee elfiche gli palesarono l'inevitabile destino che si portava a compimento: non sarebbe sopravvissuto a quell'assalto.
D'altronde era il suicidio che aveva ricercato, no?

Eppure la sua coscienza non gli dava tregua.
Avrebbe dovuto fermare Ray e - nel caso - morire solo innanzi a lui.
Ma morire nel tentativo, non prima di esso.


Ma in quel frangente scorse il cielo, scrutando una sagoma angelica che si muoveva nel vento, dirigendosi verso di lui.
Aveva gli occhi di Alexandre e tendeva quella mano che non aveva potuto raggiungere poco prima. Aveva le fattezze di un'armonica divinità, l'unica che si fosse mai degnata di vegliare sulla sua anima, senza tentare di schiacciarla. E che fosse un'altra illusione, o meno, non gli importava più, ormai: rispose al richiamo tendendo a sua volta la mano. Se il cielo avesse voluto prendersi gioco di lui, o attirarlo a se, prendendoselo in quel modo, non avrebbe comunque potuto opporsi - ormai.


valzerturno3post44



immyspecchietto

ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%


Corpo: Numerose ferite su tutto il corpo; braccio sinistro gravemente leso, parzialmente inutilizzabile; 1 costola rotta; ferita profonda al fianco destro (totale danno Critico; 50%)
Mente: Illeso (100%)
Energia: 42% -9% -6% -5% -2% = 34%

Attive:

CITAZIONE
Il potere è densa nebbia.
Concentrando la propria aura demoniaca Shakan sarà in grado di generare una densa nube di nebbia in combattimento. Durante lo scontro, potrà, dopo qualche secondo di concentrazione, generare un denso fumo nell'area circostante, ricoprendo una zona abbastanza ampia dal nascondere buona parte del campo di battaglia e ostacolando la vista di tutti i presenti, ad esclusione dello stesso Shakan che potrà tranquillamente scrutarvi attraverso. Un'ottima tecnica elusiva, che permetterà quindi a Shakan di nascondere la propria presenza e le proprie azioni. La nube resta sul campo di battaglia per due turni compreso quello d'attivazione, anche se una folata di vento, o simili, potrebbe comunque disperderla. [Pergamena da ladro "Fumogeno", Bianca, Attiva, consumo Medio]. Tale capacità potrà - però - essere sfruttata per scopi difensivi. Infatti, chiudendo gli occhi e concentrandosi per qualche secondo, Shakan potrà generare la nebbia innanzi a se in pochi istanti, sfruttandola come protezione: la nebbia semberà inizialmente piuttosto leggera, diventanto - però - rapidamente molto densa, tanto da risultare - alla fine - incredibilmente solida e robusta, anche se per pochi attimi. L'effetto che ne risulterà sarà quello di uno "scudo" protettivo, sufficientemente alto e largo da costituire una protezione di ragionevole entità, che sarà dura come la roccia, anche se poco meno dell'acciaio. Shakan potrà crearla, ovviamente, a pochi passi di distanza da se e questa risulterà comunque praticamente inscalfibile: un'ottima difesa contro qualsiasi tipo d'attacco, anche se richiede di un tempo di concentrazione di qualche secondo per l'esecuzione generale della tecnica, e di un elevato consumo di energie. Ha un potenziale difensivo pari ad alto. [Pergamena da negromante, "Muro di ossa", Gialla, Attiva, consumo Alto]

CITAZIONE
L'illusione è verità.
L'illusione scorre nelle fibre di Shakan, si diffonde nel suo corpo e si manifesta anche nella sua voce, talvolta, per ingannare non solo gli occhi, ma anche la ragione altrui. Con un minimo dispendio di energie, infatti, egli potrà dare alle proprie parole una convinzione e un tono tale da farle sembrare a qualunque ascoltatore assolutamente vere. Una tecnica estremamente versatile quindi, utile per fondare le proprie verità e dissipare qualunque dubbio: con questa tecnica chiunque non disponga di una difesa psionica adeguata non avrà alcun dubbio sulla sincerità delle parole stesse. Naturalmente l'inganno sarà tanto più difficile da scoprire quanto la scusa utilizzata sarà coerente con l'ambiente e le circostanze. La tecnica ha una durata istantanea, e condizionerà solo poche frasi successive all'attivazione. La tecnica è basata sulla PeRM, essendo un condizionamento di natura magico e non provoca alcun danno alla mente della vittima che resta convinta delle parole del ladro. [Pergamena ladro "Non sono stato io!", Bianca, attiva, Consumo Basso]

Passive:

CITAZIONE
La Solitudine - Difesa psionica passiva. [Passiva razziale del Mezzo-Demone]

CITAZIONE
L'illusione è complicità. Illusioni castate senza vincoli fisici, col 5% di sconto sul consumo energetico, ma mai sotto l'1% [I e II livello del Dominio Illusionista, Passive] Illusioni non riconoscibili o distinguibili con tecniche passive. [Personale 1/6, Passiva]

CITAZIONE
Il fantasma è eterno. Tutte le evocazioni sono intangibili e, quindi, immuni al semplice danno fisico. [Personale 3/6, Passiva]

CITAZIONE
Il potere mi ha maledetto. Permette utilizzo di pergamene da negromante. [Personale 4/6, Passiva di Metagame]

CITAZIONE
L'Abiezione. Passiva che induce timore nei confronti di coloro che si avvicinano a Shakan. [Personale 5/6, Passiva]

Armi:

CITAZIONE

spadajanzcopy

Cupiditas - [Malus - la spada può sempre comunicare col portatore ignorando eventuali difese psioniche; Passiva - l'arma è legata a Shakan e non può essergli sottratta].
Cruciatus ~ Infinito tormento del giusto castigo. [Passiva - i ricordi dell'episodio che ha prodotto Cupiditas tormenteranno Shakan e non potranno essere dimenticati o alterati; Media, psionica - Shakan può condividere quei ricordi o le sensazioni ad essi collegate con un bersaglio singolo]. Nel fodero.

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti;

Riassunto:

Schematizzo:
- Breve intro in cui Shakan si ferma ad ascoltare i rombi dei 4 critici, che lo condizionano mentalmente;
- Dopo la devastazione shakan sente il bisogno di avere un conforto e lo cerca in Alexandra;
- Interviene il terremoto e lo squarcio, che divide Shakan e Alexandra un istante prima che si rincongiungano;
- Shakan vede che l'esercito elfico deve ricomporsi di nuovo e che gli orchi sono arretrati, ma stanno per caricare ancora;
- Vede, inoltre, i due colossi d'ombra e l'immagine di Eitinel;
- I veggenti chiariscono all'esercito che Eitinel è con loro, ma che quella è solo un'immagine;
- Shakan decide di assaltare l'esercito orchesco e sfruttare i colossi d'ombra, per prendere tempo e permettere agli elfi di riorganizzarsi, però un veggente gli chiarisce che gli stessi colossi non attaccheranno gli orchi se non attaccati;
- I veggenti evocano una schiera di golem di ferro (dalla descrizione li ho immaginati come composti dei cadaveri dei morti, per via delle peculiarità dei veggenti, ma tecnicamente sono golem di ferro);
- Shakan sale su un golem di ferro ed invita i Fiori recisi a fare altrettanto;
- I fiori recisi seguono l'esempio e ciascuno di loro sale su di un golem di ferro;
- I golem avanzano camminando, essendo molto grandi arrivano ad incrociare gli orchi più o meno dove sono i colossi d'ombra;
- Shakan scende dal golem di ferro e lancia fumogeno intorno a se, avanzando di qualche passo e sperando di coprire anche la prima linea orchesca;
- Shakan usa "non sono stato io" per convincere gli orchi che i colossi d'ombra sono al servizio degli elfi ed attaccheranno;
- Contemporaneamente i Custodi fanno un'altra illusione ambientale, sovrapponendo ai due colossi d'ombra le immagini degli stessi colossi che avanzano verso gli orchi;
- L'illusione di Eitinel, creata con l'ausilio dei custodi, simula l'atto di ordinare ai colossi di avanzare;
- I Fiori recisi lanciano frecce con veleno allucinogeno dirette agli orchi, per confonderli ulteriormente e non farli distinguere le illusioni dalla realtà;
- Shakan indietreggia e tenta di scappare, non riuscendoci: quando vede Alexandra volare verso di lui le tende una mano tentando di afferrarla.

Note:

1) Spero di non aver abusato ancora una volta delle capacità dei veggenti: questi, infatti, essendo ciechi, possono "vedere" tranquillamente che quella di Eitinel è un'illusione, oltre a prevedere che i colossi d'ombra non attaccheranno di loro iniziativa;
2) Se ciascun veggente evoca 1 golem di ferro, si può tranquillamente pensare di evocarne una schiera in un turno;
3) Shakan inizia ad assumere i toni di un "condottiero" per forza di cose, ma sente di dover dare qualcosa in più perché - alla fine - si considera ancora "fuori luogo";
4) Le azioni con Alexandra sono naturalmente studiate con lei e di comune accordo, in tal senso lascio a lei definire cosa succede dopo che mi afferra alla fine;
5) Ricordo che - da regolamento - nella sua nube di nebbia Shakan può vedere.
6) La frase pronunciata da Shakan con l'ausilio di "non sono stato io" è: "La Dama bianca ci ha donato la titanica potenza dei suoi colossi! Attaccate - giganti d'ombra! Oggi la vostra forza è al nostro servizio! Servite la nostra causa! Servite Eitinel!".
7) So che la tempistica impone prima la comparsa di illusione e giganti, e poi del terremoto, però ho fatto in modo che Shakan si accorgesse prima del terremoto, con la rottura del terreno, e poi del resto. Tanto le azioni - suppongo - siano pressappoco tutte in contemporanea o molto vicine.

 
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Lenny.
view post Posted on 30/9/2011, 10:32








Demolizione. Completa, assoluta, impeccabile.
La terra sotto entrambe le fazioni parve esplodere: voragini investirono gli schieramenti, addentando soldati che si torcevano, che cadevano giù sul lastrico dell’inferno. Crepacci scaleni dilagarono in ogni dove, tra la paura di morire e il desiderio di uccidere. Urla, imprecazioni tra le file di Gruumsh. Presso le rovine, i tre generali del Grande Occhio aspettavano.

Viktor von Falkenberg aprì la bocca. Non ne uscì nulla di intelligibile, solo fiato fetido di acquavite. Il sangue non smetteva mai di piovere, di fronte alla fortezza cancellata del Bianco Maniero. L’orgia di massacro in quella terra perduta doveva continuare, tra esplosioni di fiamme e spade delle tenebre.
Io sono l’alfa e l’omega.
Eppure sopravvisse a tutto questo, il Beccaio. Merito del dono di un uomo in nero, di una promessa decretata dinanzi a un albero morto, carico di frutti morti.
Io sono l'entità nera che nutri nelle rovine della tua coscienza. Io sono la tenebra che assedia l'ultimo abisso dei tuoi incubi.
Il Beccaio, suo umile e indegno debitore, aveva accettato un supremo disegno. Aveva trovato la via, lunga e ardua, nell’epicentro del mondo morto. La sua, la loro ricerca dell’impossibile non si sarebbe fermata.
Una nuova forma di potere, in grado di sconfiggere la dissoluzione di ogni altro dominio.
E intanto quel bastardo del re stava mandando al macello il suo stesso esercito, scatenando l’ennesimo, catastrofico prodigio. Un sisma immane aveva ridotto gli eserciti a pochi burattini deformi scaturiti dal baraccone degli incubi. La terra davanti ai reparti digradava, landa di nessuno pelata dal vento, piena di corpi mutilati, disseminata di rovine e relitti, elmi sfondati e corazze sventrate, armi spezzate che affioravano dalla polvere, come trofei grotteschi.
Questo pogrom faceva parte del Suo supremo disegno?
Viktor lo ignorava.
Viktor era ferito, stanco, inchiodato di schiena contro le rovine.
Fino all'ultima strage, fino all'ultimo anatema, fino all'ultima promessa.
I suoi occhi seguivano le evoluzioni dello scontro, la creazione di due scure sagome colossali vagamente umane laddove vi era stato il cadavere smembrato dell’Araba Fenice, con l’ansia della più indescrivibile insofferenza; e si strinse spasmodicamente quando vide l’ascesa di quei due figuri, tremando di dolore.
Incrociò le braccia al petto, tra arabeschi di sangue che fluivano lungo la mancina, tra grovigli di altro sangue che colavano dall’anca destra. Dolori già provati, sofferenze già patite. In una guerra o nell’altra. Era solo dolore, dopotutto.
Nessuno poteva sfuggirgli. Nessuna cosa e nessun uomo.
Ma era l'ambizione, quella speranza che gli faceva tremare i nervi e gli raggrinziva le membra, quella speranza che trionfava anche sul dolore e sull’impotenza, che gli sussurrava all’orecchio le velenose promesse di un eterno potere, in grado di controllare la forza dei suoi nuovi Falkenberg Korps, del suo nuovo esercito. Bastava resistere, dopotutto: resistere e andare avanti contro ogni avversità, vincere la propria battaglia, anche di fronte alle ostinate avversità. Samaria cadde dopo tre anni di assedio stretto da Salmanassar; Sardanapalo crollò dopo sette anni di ininterrotti conflitti contro Ninive; Troia bruciò dopo vent'anni di assalti greci;Azoto venne espugnata dopo ventinove anni di stretta egizia.
Chiunque avesse trionfato, in quel luogo e in quel tempo, avrebbe presto o tardi ceduto di fronte all'irriducibile potere del Beccaio.

Luce, nel mondo morto.
Non una conflagrazione mortale, non questa volta. Solo il candore delle vesti di una fanciulla, apparsa dal nulla nel campo di battaglia.
Viktor strinse gli occhi. Una donna? Una femmina? ? Doveva avere la vista offuscata dal vento dell’altopiano. Come poteva esservi una fiamma così vitale in quel buio di morte?
« Non lasciatevi intimorire. Quella non è Eitinel. » La voce di uno degli stregoni, in ginocchio tra le rovine. Capo chino, mani a terra in precario equilibrio.
Viktor si costrinse a ignorarlo. Lo stregone, l’allucinazione di nome Eitinel, la battaglia, Ray.
Nulla di tutto questo aveva importanza. Non l’aveva mai avuta.
Barcollando, riuscì ad avanzare. Raccolse il bastone d’appoggio da terra, soffocando a stento una fitta di dolore al busto. Tornato in posizione eretta, scorse Rekla Estgardel a pochi passi da lui. Giubba lacera, faccia striata di sangue – suo e di altri, molti altri -, occhi come voragini. Vacillava, in precario equilibrio, cercando di incamminarsi da sola verso il flusso della disgregazione, verso il centro della battaglia. In quelle condizioni sarebbe stata fatta a pezzi dal primo sudicio straccione che le si fosse parato innanzi.
« Vuoi davvero crepare così miseramente, baldracca? Tenendo la linea del suo esercito? »
Le ringhiò in faccia, afferrandola per la giubba. Gocce di saliva si dispersero a raggiera. La strattonò indietro.
« Un fiume di sangue, un mare di sangue, un oceano di sangue. Non gliene frega nulla. Non significa nulla. Non per lui. »

Abbandonò la presa dalla giubba di Rekla, obliando quasi del tutto il fatto d’averle appena salvato la vita. Frugò in tasca, estrasse la fiasca appiattita. Bevve, ruttò, bevve di nuovo.
« Tu vuoi il mio potere. » Sibilò al nulla, digrignando i denti. Acquavite gocciolava sul suo pizzetto. « Tu vuoi la mia guerra. »
Possedere l’Asgradel per il potere. Il più grande dei poteri. Possedere quel potere per un esercito. Il più inarrestabile degli eserciti E possedere quell’ esercito per una guerra.La più rossa delle guerre.
Viktor serrò la stretta sul bastone, continuando a fissare l’avanzata degli schieramenti.
« Compromettere il terreno di scontro. Peggio di tutto, pregiudicare ogni possibile strategia. » Il suo fiato puzzava di acquavite. E anche di qualcosa d’altro, di un essenza acre, come di cenere. Agganciò lo sguardo di Tristàn Cousland, appena giunto a pochi passi da lui. Passò lo sguardo sull’acciaio purpureo della sua lama. Anche quel giovane generale conosceva la guerra. Anche lui aveva attraversato molte vite, varcato molte morti in troppi campi di battaglia.
« Che vada a farsi inculare da un maiale appestato, Ray. » Tornò a voltarsi verso gli schieramenti. Tra le labbra livide, affiorarono canini al veleno.
« Non farò mai parte del suo tributo di sangue. »

Il ragazzo annuì lentamente. Un gesto rassegnato, come il fallimento. «Mi duole ammetterlo ma credo tu abbia ragione. Non siamo che pedine...» continuò, tirando un lungo sospiro. «Ma abbiamo dato la nostra parola d'onore. Non possiamo infrangere un giuramento. Cosa ci renderebbe diversi, migliori rispetto a lui? Questi orchi stanno morendo coraggiosamente, contano su di noi, ci credono emissari del loro Dio. Non possiamo abbandonarli, non abbiamo altra scelta che vincere la battaglia. Sii lungimirante, vecchio. Dovremo pur trarne qualche vantaggio qualora dovessimo trionfare. Non vorrai mica tornare con la coda tra le gambe e con la bisaccia vuota al Goryo, vero?» Concluse il povero illuso, sogghignando. Mostratemi un eroe, pensò il Beccaio, e vi scriverò una tragedia.
« Ah, la Purgatory..quel luogo taaanto ameno. » Divertimento, nella voce del Beccaio.
« Sai, temo che a prescindere dalle sorti di questo scontro.. » No, addirittura peggio del divertimento: derisione.

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« ..niente sarà più lo stesso al Goryo. »

Nello sguardo irrisorio del Beccaio, una ardente fantasia prendeva forma senza alcun comando. La coscienza del presente lasciava il posto a qualcosa d'altro.
Premeditazione.



SelfportraitwithDeath
Umano: Rec 325 ~ AeV 150 ~ PeRf 125~ PeRm 525 ~ CaeM 225
Demone: Rec 400 ~ AeV 100 ~ PeRf 100~ PeRm 850 ~ CaeM 150

~ Basso 1% ~ Medio 5% ~ Alto 13% ~ Immenso 29% ~

Energia residua: 34%
Status Fisico: Mancina perforata in più punti, perde sangue (Medio); lacerazione profonda lungo l'anca destra (Critico). Mano sinistra inutilizzabile. Costretto a zoppicare per muoversi.
Status Psicologico: Stabile

Passive in uso
Ehrgeiz_ Possibilità di reincarnarsi dalle ombre in caso di morte (Immortalità).
Sakrileg_Mimetizzazione perfetta all'interno dell'ombra e dell'oscurità. / Percezione visiva perfetta al buio (se naturale)
Haftbefehl_Potenziamento dell'abilità attiva del dominio Metamagia.
Streben_Possibilità di usufruire di tre slot tecnica anzichè due, a patto che Viktor resti nella sua postazione.
Schrecken_Cognizione passiva di qualsivoglia illusione/ammaliamento operati in campo.
Certain burden_Considerevole invecchiamento estetico/Aura venefica che rinsecchisce e avvizzisce gli esseri viventi che lo circondano.
Achtung_Auspex passivo/Difesa da auspex passivi/Passiva psionica di timore nei riguardi di Falkenberg, se i personaggi vicini sono di energia inferiore alla sua.
Byl jednou jeden netvor bez jména_Nessuno può ricordarsi del vero nome del Beccaio, a meno che non sia lui stesso a desiderarlo.

Oggetti & A.Attive


//

Riassunto azioni: Nessuna azione particolarmente rilevante in questo post da parte mia (le mosse strategiche di Gruumsh vengono ordinate dai miei companeros). Viktor si limita a restare assieme a Tristàn e Rekla, prima salvando quest'ultima dalla sua stessa follia, poi interagendo con il cavaliere.





 
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J|mmy
view post Posted on 30/9/2011, 10:40




Ragnarok
W h i t e a n d b l a c k

«E vidi una donna seduta sopra una bestia di colore scarlatto, piena di nomi e di bestemmia, e che aveva sette teste e dieci corna. La donna era vestita di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle.

In mano aveva un calice d'oro pieno di abominazioni e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un mistero: BABILONIA LA GRANDE, LA MADRE DELLE PROSTITUTE E DELLE ABOMINAZIONI DELLA TERRA.»

(Apocalisse 17, 3-6)

~

FPby4


Lontano, troppo perché potesse sentire.
Un sussurro, un bisbiglio a mezze labbra, una parola.

Eitinel.

In un mondo ove persino la schiavitù assumeva varie forme, crogiolandosi nella costante inettitudine di assurdi signorotti dallo stomaco troppo rigonfio e gravido per occuparsi finanche di se stessi, o inerpicandosi pei ripidi declivi della contorta mente umana e banchettando su quella medesima debolezza che faceva di questi null’altro che carne al macello, Rekla rideva.
Rideva per il sapore stagnante di sangue raggrumato tra le labbra,
rideva per il caduco lenzuolo cui la propria coscienza rimaneva avvinghiava,
rideva per il senno che sentiva scolarle dal corpo ad ogni respiro, per quanto intenso ed affannato.
Rideva per aver toccato il fondo, un letto ruvido, viscoso, e ciononostante non si era arresa, ma aveva iniziato a scavare, e ancora, e ancora, e ancora, fino a che la terra umida tra le unghia non le aveva scagliato l’ultimo fatale urlo.
Rideva, e il senso di tutto ciò le sfuggiva.

Come in un’opaca calotta di vetro dalle cupe e distorte iridescenze, ogni suono iniziò a riecheggiare ovattato, ridondante seppur atono, mozzato nel flebile attenuarsi delle proprie note. Attorno a sé vide la guerra imperare selvaggia, la terra tremolare con essa, quasi volesse accompagnarne il battito pulsante, il gelido cadenzare della marcia, l’ululo stipato di disgrazia e snervamento, che dai dintorni sorvolava i pochi crani ancora integri.
Gli orchi avanzavano, ancora.
Ancora?
Inarcò un sopracciglio con sgarbo, si accarezzò la fronte, poi la spalla: la vide versare lacrime color cremisi, sentì il pallido torpore del sangue irrorarle le vesti, spargersi nei suoi muscoli lattescenti.
Era ferita, se ne avvide solo allora, ma bastò perché tornasse ad ansimare.
Si premette il petto, carezzando con le dita vacillanti gli sfregi dimoranti ben oltre la casacca.
Fu come se qualcuno l’avesse destata da un eterno sonno, come se un petalo di rosa le si fosse adagiato sull’anima, conferendole quanto di più vivo questo potesse contenere… prima di spegnersi.

Un ringhio in lontananza, la voce rauca di pelleverde, una creatura estranea a lei.
Sgranò gli occhi, ma non poté esimersi dal fissare solo altra terra.

«Du rett»
«Voi di destra»
urlò uno sciamano, schioccando la giallastra dentatura come fosse una belva in gabbia

«På forsiden linjer. Slå på deres hjerter.»
«Sulle prime linee. Avvampiamo i loro cuori.»
Poi, dal corposo cumulo di sciamani, una grossa eco parve issarsi in un catatonico intreccio di nenie e litanie, mescolandosi vagamente ai rumori fastidiosi e sovrastanti dell’incessante conflitto. Le prime schiere di orchi rosseggiarono dunque come fossero tizzoni arroventati, presi a divampare per il solo diletto nel farlo, spogli d’alcun danno, liberi da ogni fatale conseguenza. Le loro carni s’infuocarono, ma i loro corpi non gemettero neppure.
Improvvisamente, la Nera Signora ebbe come un tremito, ed un fruscio s’impossessò della sua mente. Si portò le mani alla testa, premendo vigorosamente sulle tempie. Strinse le palpebre, digrignò i denti, poi li riaprì.
Luce, nuova, limpida, raggelante.
Luce, irritante luce.

«Cosa..?»
Avanti a lei, fu come se l’intero campo di battaglia svanisse nelle pieghe di un tempo beffardo, malevolo, capriccioso, che amava prendersi gioco di chi – come Rekla – ne era schiava e suddita al contempo. L’intera campana di pallido vetro divenne ancor più netta e visibile, i suoni persero ancor più una nota di consistenza, e una figura dall’incredibile fosforescenza prese a camminare, leggera e solare, fra le fila divelte dei due sordidi schieramenti. La Nera rimase attonita ed accecata da quell’indelebile luminosità, tra le cui spira parve quasi intravedere un sorriso, uno squarcio di compassione e tenerezza.

Eitinel.

Si stupì dal come potesse conoscere quel nome, ma – soprattutto – dal come diavolo potesse sapere essere proprio lei, quella soave e armoniosa creatura, la Bianca Dama di cui tutti narravano con timore. Rekla, a pochi passi da colei che aveva scosso l’essere di ogni uomo con il solo volerlo, aveva tutt’altro che paura.
Che fosse un angelo venuto a donarle la tanto sospirata pace?
Sorrise di rimando, una lacrima di gioia in un occhio, una di disperazione nell’altro.
Era forse il sicario di Dio, venuto a cullarla nel suo fausto destino?
Abbassò lo sguardo alla Constantine, ne osservò l’intrecciarsi di ossa sull’elsa, il baluginar del cristallo corvino sulla lama. Ed ecco un’altra lacrima, ma di tristezza: no, lei non meritava la redenzione; troppo sangue su quella spada, troppe anime straziate sulla propria coscienza.

«Perché?»
La voce melodiosa colse una Rekla fagocitata dalla rassegnazione, un fantoccio per nulla dissimile da un comune, malridotto spaventapasseri: i filamenti d’odio ne riempivano lo stomaco, mentre pagliuzze di solida impotenza farcivano il sozzo cappuccio che portava alla testa.
Uno spauracchio al comando dei più forti.
«Perché combatti per colui che ti ha oltraggiata?» sussurrò incalzante «Perché ti schieri dalla sua parte?»
La Nera sollevò a malapena lo sguardo, accolse la veridicità di quelle assurde parole, sorrette da ricordi sgualciti di abusi e tormenti, sacrilegi diretti a corpo e psiche, e – inaspettatamente – capì.
Capì che quella stessa voce non era che il sibilo della sua mente, che filtrando tra gli spigoli del suo passato bisbigliava domande senza replica, scorticava attimo su attimo un’anima già pentita.
Come se un'energia remota e misteriosa le si fosse introdotta fra i muscoli, danzante e goliardica, muovendoli a proprio piacimento e diletto, la Nera Signora iniziò ad avanzare; gli occhi vacui fissi sul riflesso malfermo di quell’unica stella.

LGJx1

«Portami con te» biascicò.
La testa ciondolava a destra e a manca, la piccola oscillava sfinita al fianco ma non per questo vuota, i piedi strisciavano quasi forzatamente sul terriccio antistante le antiche rovine del Maniero.
Un terremoto, un altro, ma Rekla non ne venne turbata.
«Portami… con te.»
Le labbra assunsero grottesche screziature violacee, quasi come se il gelo che imperversava all’interno di quella misera carcassa si riversasse inarrestabile all’esterno, deturpando sembianze altrimenti diabolicamente avvenenti.
«Portami con te!»
Urlava. Come una tigre in cattività, ringhiava al proprio domatore.
Tuttavia, nessuno parve udirla, nessuno che la notasse.
In lontananza, nel frattempo, l’avanzata degli orchi mieteva vittime fra i ranghi elfici con ferocia irreale, falciando e sradicando quelle insulse creaturine maligne, che tuttavia non parvero esitare ad indietreggiare un centimetro di più.
Quella fottutissima guerra sembrava interminabile.
Poi, qualcosa le afferrò il polso strattonandola all’indietro.

«Vuoi davvero crepare così miseramente, baldracca? Tenendo la linea del suo esercito?»
Viktor Von Falkenberg era immobile poc’oltre la cacciatrice, il braccio proteso verso quello diafano della fanciulla. Per ragioni cui ella non riusciva a giungere, il vecchio Beccaio tirò la Nera a sé, onde evitare quest’ultima – corrotta dalla luce – mettesse a repentaglio la sua stessa vita. Rekla guardò il volto sfregiato dagli anni dell'Oberkommandierende accigliarsi minacciosamente, intimarle di restare nelle retrovie, e quasi se ne stupì, a tal punto da obbedirgli meccanicamente.
«Un fiume di sangue, un mare di sangue, un oceano di sangue. Non gliene frega nulla. Non significa nulla. Non per lui.»
Ma oramai era troppo tardi.
Una nuova scossa trafisse il campo.
Un monito di troppo dell’impareggiabile potenza del sovrano.
Ancora una volta, la Terra tutta ne venne infettata.


CITAZIONE
Rekla Estgardel
La Nera Signora

Stato Umano
ReC 225 | AeV 175 | PeRf 275 | PeRm 375 | CaeM 175

« Energie: 44%
« Status fisico Rekla: danno critico alla psiche + danno medio alla spalla sinistra.
« Armi: Constantine • sfoderata; Dolore e Sofferenza • riposta - riposta


~ ~ ~

C o r r u z i o n e

Attiva
Nessuna.

Passiva

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Incisione del B a s t a r d o I - II - III:
- Possibilità di caratterizzare una delle proprie armi da mischia con un particolare orpello (una runa, un simbolo, o una scritta). Quell'arma - e solo quella - potrà in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. (I)
- Possibilità di caratterizzare una seconda arma tramite l'incantamento, anche una a distanza, anche se in questo caso dovranno essere incantati i proiettili. Le armi (e i proiettili) incantati potranno in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili. (II)
- Grazie all'incanto, si aggiunge un terzo effetto alle armi incantate, rendendole permanentemente prive di peso per quanto riguarda il possessore del sigillo. Ogni altra persona percepirebbe il peso reale dell'arma. Inoltre, non potranno neppure essere sottratte al portatore, e in alcun modo rubate. (III)


-Gola: Rekla raggiunge il successivo livello dell'Incisione del Bastardo. (Livello III)

-Superbia: Essendo innamorata di se stessa e di una forse inesistente superiorità, la giovane ha coltivato un carattere duro e scorbutico che non ispira affatto fiducia in chi la affianca ma, talvolta, insinua un timore lieve che però non ha alcun effetto contro i demoni o gli individui di livello superiore.

-Terzo Vizio dell'Animo|Ambizione: Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario.

-Nel ricordo del dolore, l'unità di un cuore spezzato: indifferenza al dolore; pur provandolo, il portatore non si farà influenzare da esso.

-La comprensione del dolore, così da annientarlo: auspex passivo che si attiva una volta che il portatore viene ferito sia fisicamente che psicologicamente. Egli diverrà in grado di determinare l'esatta posizione di chi ha fatto partire l'attacco.

~ ~ ~


Note • Niente di particolare, per questo turno. Quanto descritto è il solo modo in cui Rekla affronta la psionica di Ashlon: le parole che sente e che pare vengano dalla Dama Bianca, in realtà provengono dalla sua stesse mente, giacché - come da descrizione della tecnica - l'evocazione del capitano degli elfi non è dotata di parola.
Nella parte centrale ho descritto parte degli sciamani occuparsi di ricoprire le prime file degli orchi, quelli riorganizzati e ripartiti alla carica, con la seguente pergamena:
CITAZIONE
Pelle di fuoco: Dopo qualche secondo di ferma concentrazione, la pelle del mago si ricopre di fiamme piuttosto chiare che andranno a coprire anche le sue armi, e che non arrecheranno danno né a lui né ai suoi vestiti.
Il fuoco ovviamente infliggerà pesanti danni al proprio avversario, nel qual caso dovesse entrare in contatto con lui, causandogli gravi ustioni.
La tecnica non richiede di particolari imposizioni delle mani per essere attuata, anche se non è veramente istantanea.
La tecnica resta attiva per due turni compreso quello d'attivazione, e le fiamme provocano un danno pari a Medio.
Non può essere utilizzata come difesa in quanto countermove. Non fornisce quindi alcun potenziale difensivo.
Consumo di energie: Alto

Infine, se Rekla vi è parsa alquanto alienata, estranea ed assente a quanto le accade intorno, vi comunico che è assolutamente voluto, a ridosso dell'interpretazione della psionica sotto forma d'un sorta di "campana di vetro", la quale attutisce ogni cosa, distorcendolo e sformandolo a modo proprio (dalle urla di battaglia al terremoto, alle azioni dei miei compagni, a Viktor, agli sciamani ecc..).
Spero di essere stato sufficientemente chiaro. :sisi:
 
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Foxy's dream
view post Posted on 30/9/2011, 15:11




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Siamo figli della natura,
adoratori delle cose del cielo,
piccoli e umili spettatori su un teatro affollato.
dear little muse, sing and dance for me
Ci susseguiamo le parti, i ruoli,
il primo attore diventa una comparsa,
e quest’ultima come appare poi scompare;
ma i copioni non cambiano,
come costanti invariate passano solo di mano.
Sostituiamo le parole, spostiamo le virgole, i punti.
Punto e a capo.
don’t cry my dear little muse, sing and dance for me again
Il tempo e il linguaggio evolve, l’uno aiuta l’altro a tramontare;
ma cosa resta di un timido gesto?
Riecheggia, vibra di energia propria,
resiste al tempo, perdura alla memoria.
E allora scuotiamo il mondo con forza
affinché l’eco delle nostre azioni possa durare in eterno.
Abbattiamo la memoria, il tempo non è che un punto di vista.
dance, dance again, don’t stop my dear little muse
Il mondo è nostro, non siamo che comparse
quindi destinate a scomparire
so again again again
dance my little Queen
dance through the land of the King
burn like the sun over the seas and the skies


Al mattino il mondo pare ogni volta brillare di luce nuova. Un nuovo punto di vista, una nuova angolazione, nessuna azione pare mai compiuta, e tutto è nuovo, tutto è splendido nella sua semplicità. La routine è inebetita, offuscata dal torpore del sonno, e ciascun istante scorre con lentezza sovrannaturale, pressoché idillica. Ma quel giorno era eterno, un frammento d’immortale infinito, un Crepuscolo disconosciuto da Giorno e Notte, distante dall’estinguersi, e non v’era momento in cui quella condizione non venisse rimarcata più e più volte.
Sangue, ancora. Violenza, ancora. Acciaio, sbraiti, morte.
Fuori dalla concezione di tempo, via dall’idea comune di mortalità. Ogni cosa ridondava in modo opprimente, soffocante, avvinghiandosi al collo come le spire d’una serpe, come martire su di un calvario che avrebbe trovato fine laddove l’eterno sarebbe collassato su sé medesimo.
I visi stanchi, sporchi di terra e sudore, le braccia pesanti non sopportavano più le armi nei loro pugni. Gli animi afflitti, avvinti dallo sconforto.
Il pensiero non trovava spazio nelle menti, ma solo un turbinio d’inarrestabili emozioni e sentimenti, un fluire di sensazioni che vantavano rinnovate accezione ad ogni respiro, ad ogni battere di palpebre, per affermarsi poi al ritmo del cuore, martellante nei petti.
In quel marasma solo una piccola e breve tregua parve fare capolino dall’apoteosi del caos. Alcuni l’avrebbero banalmente indicata come “quiete dopo la tempesta”, ma in virtù di cosa era possibile parlare di quiete laddove le speranze e i sogni dei morti gravavano sugli animi dei vivi?
Al seguito di quella controffensiva portata a termine con indicibile arguzia era possibile osservare il brandello più primitivo e selvaggio dell’uomo, denudato del pudore di cui si fa manto in stato inerte. Eppure, mera curiosità, era stata necessaria l’Apocalisse per infrangere la dura scorza ed eviscerarne il nocciolo.
Era chiaro e sincero come un raggio di sole. L’entusiasmo scatenatosi in un boato in crescendo quando anche l’ultimo dei Giganti venne giù preso di mira dal dardo di uno dei tanti. Uno stuolo di cadaveri putrescenti si stendeva a perdita d’occhio, era persino difficile distinguere gli orchi dagli elfi, eppure il grido unanime fu spontaneo, tremendamente umano.
Il prezzo pagato fu caro, ma neppure una lacrima per le ombre cadute in quella carica cieca, rintanatesi nell’oscurità loro madre come lucertole al pericolo più impercettibile.
Ne rimanevano appena una manciata di decine, le uniche ingraziate di tempo e fortuna sufficiente affinché si allontanassero dalla battaglia in vivo fervore, per ripiegare attorno alle truppe di Neirusien, coperte a loro volta dalle linee più prossime del fronte.

“Se il Mondo non ci vuole,
sarà meglio andare.”


Tanti, troppi accadimenti in un arco di tempo così breve.
È così che Alexandra non si accorse neppure di aver dato nuova speranza a chi aveva avuto modo d’assistere alla caduta dell’avanzata orchesca. La guerra lungeva dal volgere al termine, ma quell’indomabile gioia non era quantificabile, le membra riacquistavano vigore, e l’animosa determinazione pulsava nelle vene come sangue ribollente.
Poco importava. La guerra imperversava ma la bella regina correva in direzione del proprio principe, di colui che poteva chiamare compagno, o forse rappresentava qualcosa di più per lei, no! Non era amore - no per certo. Forse qualcosa di ancora più importante, una coscienza che aveva assunto forma per trascendere il concreto e plasmarsi attorno alla figura di Shakan.
E correva, correva per ricongiungere corpo e anima, forza e nobiltà.

« Shakan! »
Ma la volontà più ferrea e indomita, seppur tale, non può far fronte al destino.


Improvvisamente, mentre il cielo ululava il proprio tormento incupendosi e inspessendo il proprio manto, rigurgitando tuoni e fulmini in lontananza, sul limitare dell’orizzonte, la terra si aprì mostrando le proprie interiora agli occhi del mondo sovrastante.
Un solco largo diversi metri si aprì nel terreno, separando in due metà quasi perfette l’esercito elfico, per un secondo appena privato della prontezza e dell’imperturbabilità che lo caratterizzava. Esclamazioni dalle nature più disparate eruppero istintive dalle efebiche labbra, mentre scansavano l’ennesimo cataclisma con inspiegabile disinvoltura.
La regina, di rimando, barcollò ben più di qualche attimo, rischiando di precipitare nel burrone creatosi nel momento stesso in cui aveva proteso la mano per afferrarne quella dell’illusionista.
Già udito, già visto, già provato. Forse era il contatto umano che le era mancato in passato ad aiutarla a cambiare, ora; o forse era l’istintuale ricerca di qualcuno con cui condividere le pene, le ansie, le paure.

« Nooo-! »
Acuto. Squillante.
Ray, ancora lui. Chi altri sennò?
Le stava sottraendo una certezza dopo l’altra,
un compagno dopo l’altro. Prima Arthur e poi Shakan.
Annaspava in una goccia d’ambra.
Sempre più giù, sempre più a fondo.


Tentò di reggere la posizione con bruschi e ineleganti movimenti delle braccia, mentre la terra, euforica, parve dare segno d’instabilità, di volontà propria, ancestrale e selvaggia.
Fenditure più o meno profonde si aprirono ovunque, non solo inoltrandosi nell’esercito elfico, ma increspando l’intero terreno, inasprendo la cute riarsa del mondo, astante e al contempo partecipe di quel conflitto. Se v’era un fondo di amor proprio in quel gioco era andato perduto da tempo, tramutandosi nel capriccio d’un dio nichilista e profondamente solo, in grado di trasmettere l’unica e introversa disperazione di un affanno, la costernazione per un traguardo in sé insignificante.

“Se il Dio non ci vuole,
sarà meglio tacere.”


Un manto di polvere si alzò abbuiando il cielo,
le voci adombrate dal tremore della terra.
« Ray! »
Urlò all’empireo con quanta foga avesse in corpo
afferrando l’elsa della spada e traendola con furia dal fodero.
Il braccio tremava, l’ira era l’unico fremito avvertibile.
Accostò la lama al braccio. Tremava ancora.
E digrignando i denti la sfilò disegnandone un profondo taglio
dal quale sgorgò un rivolo di sangue scuro che scivolò viscoso lungo il braccio.
« Giuro – giuro su questo sangue che ti ammazzerò. »

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...

« Ti ammazzerò, fosse l’ultima delle mie azioni. »


Il dolore non era neppure una sensazione, in quel momento, ma solo un ricordo. Il ricordo di una donna capace di ribellarsi al volere d’un Dio, tanto forte dal divenire simbolo di qualcuno o qualcosa. Le lacrime non avrebbero più solcato le sue goti, nessuna debolezza l’avrebbe più lambita, doveva essere forte, più di quanto le fosse permesso di essere o diventare.
L’avrebbe ucciso – un’unica considerazione. Arthur aveva ragione: gli dei dovevano capitolare al volere dell’uomo. E Lui sarebbe stato il primo.

“Se il Silenzio non ci vuole,
sarà meglio urlare.”


Eccola infine. La pelle diafana che risplendeva quasi di luce propria, eterea come un fantasma, divina nell’aspetto oltre che nell’essere. Come aveva potuto far ciò? Come aveva potuto assecondare quel conflitto instupidito da false lusinghe e mendaci promesse? Come il geme di una vita, un pensiero si insinuò fra i tanti – sarebbe giunto anche il suo turno. Eppure, di colpo, le sovvenne un dettaglio riemerso per mera bizzarria. Una donna stanca e martoriata sulla vetta di Velta, corrotta dal potere e da una forza insostenibile, in trance su quello che poteva apparire un trono in posa del tutto innaturale. Invece, la donna che poteva osservare ora, discostava troppo dall’ultima immagine che aveva di Lei, una perfezione al di là della perfezione stessa.

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« Eitinel- »
Un sussurro, una riflessione a voce troppo alta.
Inudibile e inascoltato, una promessa e un impegno da portare a compimento.


E avrebbe voluto urlarlo, gridare il suo nome mentre la terra rabbrividiva pretendendo attenzione, mentre gli occhi di tutti erano su di lei, indagatori sulla sua immagine; ma non poté, non vi riuscì neppure, catalizzata da due colossi d’ombra che si ersero nella loro imponenza contro il sole nero e quel cielo sì pesante, grondante fiotti sanguigni e più vivo di quanto lo fosse mai stato.

« Eitinel… »
Ancora quel nome, implorante.


Senza alcuna motivazione, spoglio d’un perché o un come, uno stuolo di ciclopiche creature similmente antropomorfe apparve dalla polvere dinanzi all’esercito elfico, immersi nel frastuono del protendersi di arti e dello scricchiolare di corpi. Smunti riflessi in controluce, il loro pesante avanzare fino a fiancheggiare i primi due titani d’ombra. Parevano sfidare i più grandi degli orchi in potenza e possanza, ammutolendo il più impavido con uno sguardo appena.
La speranza poteva pur aver infranto i cuori, ma l’istinto guida gli animi su un percorso unilaterale al quale è impossibile negarsi, e sopravvivere diventa l’unico vocabolo del proprio registro, evolvendo da pensiero in emozione, intrinseco e impulsivo. Gli elfi erano a conoscenza di tale insegnamento fin dalla notte dei tempi, virtuosi e cultori di una filosofia talmente radicata nell’Io atavico della Vita dall’avvicinarsi pericolosamente alla conoscenza e alla coscienza assoluta.

“Se la Morte non ci vuole,
sarà meglio andarvi incontro.”


E toccava a lei guidare quell’istinto, proteggere chiunque le fosse possibile.
Altre bestie apparvero dal nulla, prendendo forma dal terreno come il primo uomo dall’argilla. E non solo lupi, leoni, tigri, pantere e fiere conosciute, ma anche animali partoriti da un’immaginazione svincolata da qualsiasi appiglio alla realtà. Quegli occhi ciechi parevano essere il dono più grande che fosse mai stato elargito loro.

Per la prima volta avvertì quell’incarico come parte di sé, un compito per la quale era stata cresciuta ed educata. E tutto ebbe un senso d’improvviso, un progetto primordiale che rivelava la reale esistenza di un fine superiore. La sua vita le fu chiara nell’arco di un istante: la guerra nonostante fosse donna, l’inganno nonostante fosse ingenua, la colpa nonostante fosse pura e cristallina come le morbide acque di un lago montano.
Strinse la spada con ancora più forza mentre la schiena si ornava di due fulgide ali dai riverberi del cielo, luminose ali angeliche che la sollevarono da terra. Negli occhi era possibile distinguere l’ardore di chi ha preso una decisione, già preparata all’ennesimo comando.

« FANTERIA AVANTI!!!
Restate in posizione dietro le ombre e alle bestie. »


Urlò puntando lo sguardo all’orizzonte, sugli orchi in procinto di caricare ancora.
Non v’era un punto fisso, non v’era un obiettivo preciso.
Avrebbero accolto l’offensiva nemica pronti a tutto.
Pronti all’inevitabile.

« ARCIERI!!!
Incoccate gli archi e caricate le balestre,
coglieremo il momento più opportuno per attaccare. »


Gridò ancora.
Comprendendo che il tempismo sarebbe stata l’unica carta che avrebbe aiutato loro a vincere.
E questa volta lo sguardo scorse sulla linea irregolare di Cadetti, ombre e bestie,
assicurandosi che ognuno fosse al suo posto, che nessuno facesse di testa propria.
In un guizzo dell’occhio lo vide guidare un gruppo sparuto di elfi, intenti in un attacco suicida.
Cosa diavolo aveva in mente di fare conciato com’era?

« State pronti soldati, non abbiate timore.
L’Asgradel è con noi, e con esso il suo Potere! »


Urlò enfatica puntando la spada sull’aberrante orda, conscia di star mentendo.
Ma quale più dolce menzogna?


Eppure il suo ruolo non terminò in quelle frasi.
Sollevandosi per aria, nel cielo, un ultimo proposito – doveva salvarlo.
E tutto divenne ombra, ogni cosa si spense. L’esercito era pronto, lo sperava, no! Ne era convinta.
Shakan! Gli si catapultò contro con quanta più velocità le concedesse il corpo per mezzo di quel potere. Lo avrebbe afferrato e tratto in salvo tra le fila di Neirusien, senza pagare più di quanto avessero già fatto. Quel mondo crudele non le avrebbe sottratto più nulla, un’ultima promessa.

“Se l’Amore non ci vuole,
sarà meglio conquistarlo.”





CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 50% - 2% = 48%
Status psicologico: Intontita dal frenetico avvicendarsi di colpi di scena
Condizioni fisiche: taglio sul braccio sinistro [Basso]

______________________ _ _

Abilità attive:

• Angelic ~
Dopo alcuni secondi di ferma concentrazione e spendendo un quantitativo di energie pari a Basso, Alexandra evocherà sulla propria schiena due eteree ali angeliche, luminose, che le doneranno la capacità del volo. La sua velocità in aria rimarrà la stessa che possiede in terra e resteranno attive per due turni compreso quello d'attivazione, svanendo al termine del secondo turno o prima, a seconda dei suoi desideri. [Pergamena del Paladino: Ali angeliche]

____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

4_Fourth_Porta dell'Incubo. Il sussurro oltre la Notte. Incubi e Visioni infestano il Sorya. Un roboante addensarsi di Silenzio che solo tendendo l'orecchio, solo fermandosi ad ascoltare, si può scoprire essere un sussurrare di fondo, un rumore bianco indefinibile. Il respiro del Buio. Il respiro di ogni sogno distorto, di ogni pensiero inconsulto. E' nella voce del Mastro di Chiavi che tale tramestio, tale confuso tremolio si annida. In ogni sua parola, in ogni sua espressione. E tanto potente è il suono di ciò che nessuno può udire, che il solo osare troppo potrebbe distruggere tanto la vittima quanto il carnefice. Egli infatti può richiamare l'incorporeo, l'inconsulto, ciò che non può avere forma che nelle fantasie più mostruose, più deviate. Eppure se ne sentisse il bisogno, se davvero pensasse che la necessità giustifichi un simile abuso, allora il Mastro potrebbe lasciar risalire quelle voci, quelle presenze, e utilizzarle a proprio piacere. Potrebbe parlare ai nemici con la propria voce, ma sussurrare agli amici altre parole, con il Suono Nascosto. [Passiva]

_______________________________________________________ _ _

Note:

Bene! Schematizziamo un po'.

1) Alexandra, mentre stà correndo in direzione di Shakan, viene separata da quest'ultimo dalla voragine che si apre.
2) Esasperata, e un po' fuori di testa, trae fuori la spada e si provoca un danno Basso con un taglio sul braccio sinistro, giurando sul proprio sangue la morte di Ray.
3) Dopodiché nota la finta-Eitinel, accorgendosi dell'incongruenza della sua figura tra il primo post e questo qui.
4) Il suo sguardo vaga poi sui due colossi d'ombra, intuendo per sommi capi che sia ancora opera di Eitinel.
5) Come nel post di janz, vengono evocati diversi Golem di ferro, opportunamente caratterizzati per rifarsi meglio al ruolo dei Neiru e alla loro indole "mortifera".
6) Di seguito i Cadetti (discreti evocatori come da descrizione nel topic delle fazioni mostruose) evocano un gran numero di bestie di medie dimensioni (ho calcolato che ognuno ne evoca una o due, come alcune pergamene di evocazione consentono, pur essendo di minore potenza. Non ho specificato nel dettaglio per lasciare campo libero ai QM di decidere quale potenziale possa avere questa "evocazione di massa")
7) Ale casta Ali angeliche, così dal non essere influenzata dal terremoto e dal terreno dissestato.
8) A questo punto sprona quindi la fanteria ad avanzare (i Cadetti stessi, più i Tatuatori armati di armi ravvicinate) pur rimanendo dietro le bestie appena evocate e alle ultime ombre rimaste.
9) Poi ordina agli arcieri (Tatuatori armati di armi da lancio più i Cacciatori) di caricare le armi e tenersi pronti al fuoco.
10) In seguito, dando uno sguardo alla prima linea, scorge Shakan intento in un'azione per lei "suicida", e gli vola incontro al massimo delle sue facoltà fisiche, nel tentativo di prenderlo a braccio (sempre volando) e trarlo in un posto più sicuro.

NB: le armi dei Tatuatori e Cacciatori sono cosparse di veleno allucinogeno, così da potenziare l'effetto voluto da janz nel suo post, oltre che per "confondere ancor più le idee" agli orchi colpiti.

Come nel post di janz, sappiamo bene che le tempistiche con le quali si succedono gli eventi discostano dalle tempistiche espresse nei nostri post. Ma per dare un proseguo coerente al post precedente, abbiamo esposto i tempi con i quali i nostri pg vivono e si accorgono dei suddetti stimoli. ^^'

 
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view post Posted on 30/9/2011, 20:30
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Probabilmente non ci saranno altre occasioni.
L'inquadratura copre tutto il campo di battaglia, carezzando le lande polverose tutt'intorno alla chimera d'uomini e mostri nel mezzo, d'avanti alle cineree rovine di ciò che fu il Toryu. Il cielo è scuro, traversato da lampi e nuvole nere, dense, in fuga dalla tela cremisi sullo sfondo. Nel mezzo, in pieno zenit, un enorme foro nero, pulsante. L'aria vibrava, sudava, si scrollava di dosso i detriti del deserto per accogliere la fuliggine dell'ultima guerra del crepuscolo. Con tutta probabilità, analizzando la situazione, non mi sarà dato cogliere altre occasioni. Non vorrò farlo.
Ed ecco il suo volto scabro, le dure labbra del guerriero che si schiudono piano in un sorriso incrostato di rosso. L'immagine è ferma, il mondo è fermo, e contro la volta rossa di quel cielo affrescato d'astratto s'alzava in ginocchio una sagoma scura, in controluce. Sputò per terra, seguendo con gli occhi la piccola scheggia chiara che s'abbatteva al suolo nel mezzo di quella goccia di sangue e saliva. Un rettangolino nero segnava la posizione del tassello mancante nel sorriso spavaldo del guerriero ferito, nero, in controluce. Non è ancora successo niente. Nulla che valga la pena ricordare, leggere, commentare. Una folata di vento accompagnò via una densa nube di polvere, attraversando il cavaliere con il suo infernale fetore di morte. Il mantello ansò, in quel momento, quando gli occhi scuri del mostro rosso furono annebbiati dallo spirito grigio della battaglia. La spada, quella conficcata nella spalla, non faceva neppure così tanto male. Il bisogno di gridare era cessato senza che neppure fosse manifesto. Il tempo, amici miei, non è una cosa importante.

L'inquadratura copre tutto il campo di battaglia, carezzando i prati vergini tutt'intorno alla chimera d'uomini e mostri nel mezzo, d'avanti alle macerie di ciò che fu la speranza di uomini liberi. Il cielo è rosso, quasi viola, come al tramonto. Nel mezzo, affacciato all'orizzonte, il viso rosso del sole morente s'addormenta tra le onde dell'oceano nero, in controluce. Piccole strisce di schiuma, tutte parallele sul pelo dell'acqua, si fanno dorate. L'aria vibrava, si scrollava di dosso l'umida risacca delle scogliere per accogliere la polvere scura della prima battaglia del tramonto. Ricalcando ciò che fu il quieto dispiegarsi ordinato degli eventi, poco prima dell'ultimo respiro concesso, ci accorgeremo che nulla di ciò che è estensione o oggetto particolare nelle anse di questa storia può, o ha, una qualche rilevanza sulla forma propria del volume temporale.
Ed ecco il suo volto glabro, gli occhi riversi, sanguigni. L'immagine è ferma, il mondo è fermo. No, non c'è una differenza riscontrabile. Una folata i vento accompagnò via una densa nube di polvere, ed Arthur sentì freddo. Aprì gli occhi, decidendo di farsi partecipe di quella tragedia fuori fuoco, dalle forme indistinte. Il suo braccio destro tremava vistosamente, ma quasi gli pareva di non sentirlo, di non avercelo più attaccato alla spalla. Quasi gli sembrava di essere un po' più leggero, allora, mentre i suoi occhi convergevano piano sulla lama che intersecava la forma del suo braccio, invadendone il normale perimetro di diversi centimetri. Le labbra si richiudevano, il tempo ancora non ripartiva, faceva sempre più freddo.
No, non è di questo che siamo fatti. Non è l'ombra che tende i nostri muscoli nello sforzo prolungato, reiterato, della ricerca di un qualche proseguimento. Non sono le lingue dell'aurora, che s'affaccia proprio adesso sul fiordo spoglio, carico di cadaveri. Nel pieno del delirio della massima concentrazione di dolore fisico, morale, l'impulso spontaneo conduce l'uomo al desiderio. Le palpebre sono ancora chiuse per metà, le sopracciglia macchiate di sangue e bile scura. Eccolo, il volto di una statua di sabbia, la criniera di un leone del deserto. Piena di polvere, ruvida, salda. Non è di questo che siamo fatti, ma è questo il peso del nostro abito. Ecco a voi la meschina progenie di Caino, tanto superba ed arrogante da costruire Babele, la cui cima sfiora il cielo, solamente per dimostrare di avercelo più lungo di Yahweh. Ecco a voi Lot, che ha accolto i messaggeri del Dio nella sua casa, a Sodoma, senza sapere chi fossero o da dove venissero. Alle grida dei cittadini, che pretendevano di abusare dei nuovi ospiti, Lot rispose offrendo loro le sue due figlie vergini, per essere stuprate al posto dei due sconosciuti. La sacralità dell'ospite, certo.
Gli uomini sono mostri, tanto che tra i due vocaboli la differenza è quasi nulla, sottile come un capello sporco di sangue. Il sangue, poi, trattiene tutta la polvere dell'aria. Puzza, puzza da morire.
Ed ecco a voi il quadro d'insieme, l'inquadratura distante del rapporto morale. Dolore, vita immanente, sostanza vibrante e vivente, ancora, sotto un cielo livido e senza stelle.
« Il Dio di Assur è solamente un uomo. »
Sussurrò all'orecchio dell'orco, chino contro la sua spalla, mentre faceva forza con la spada per penetrare ancora più in profondità nella carne del guerriero rosso, Arthur Finnegan, il grano di corallo. I suoi occhi si spalancano, entrando con veemenza in quelli del generale di Gruumsh. « Tu invece sei solo un'arma. » ed io non ho interesse per te, Bara-Katal. Un suono stridente si propagò nello spazio come una nube di detriti dopo l'esplosione di una supernova. Io non ho interesse nello spezzare le armi del mio nemico, quando invece posso puntare al suo cuore pulsante. E mentre lo diceva, o lo pensava, il mondo riprese a muoversi.

Un sussulto greve, sommamente profondo, aprì i cancelli della terra. Una mano afferrava la spada per la lama, spingendo via il nemico. Pochi, pochissimi densi attimi di sconcerto. Un esile soffio che accompagna il terremoto. Il metallo incrostato di ruggine si separa dal muscolo nel braccio destro, insensibile. Chiudi gli occhi, alzati in piedi. Riesco a vedere un'ombra in movimento, nella coda più remota del mio campo visivo. Opaco, no, traslucido. Le spade degli orchi non brillano, non riflettono i colori del cielo. Non sibilano, quei pezzi di metallo. Le spade di Katal grugniscono, strappando l'aria attorno al corpo ruvido ed arrugginito. Già in ginocchio, Arthur si china in avanti, guarda indietro con la coda dell'occhio. Raccoglie la spada, una spada, prende lo slancio (il colpo non è schivato, ma deviato. La schiena è colpita, ancora.). Adesso il braccio destro è solamente un pezzo di carne vibrante casualmente ancorato alla spalla del guerriero, grondante di sangue, dolore, amore, in un certo verso. Abbiamo una linfa vitale. Abbiamo dei ricordi, dei sentimenti. Abbiamo perduto, abbiamo camminato, abbiamo ritrovato.
Abbiamo sangue e ossa e muscoli, nervi, pelle, spirito, passione, nostalgia, noia, paura, dolore, disperazione. Abbiamo figure retoriche a profusione, per intenderci ed intendere. Abbiamo dei sogni, ma non è di questo che siamo fatti. Non è di vita che ci nutriamo, per proseguire il nostro cieco percorso per l'illuminazione. I nostri occhi, adesso, sono chiari e lucidi come cristallo buono.

Le spade degli orchi non brillano, tranne una. Le spade di Bara-Katal non riflettono il colore del cielo, non sibilano, grugniscono. Tutte tranne una, una sola, adesso. Guarda in alto, adesso. I miei occhi sono chiari e lucidi come cristallo buono. Non temo il dolore, non temo la morte, ma non la desidero neppure. Non ancora, non adesso, scagliato come un dardo rosso contro un cielo ancora più rosso.
« Levatevi di mezzo » fate largo ad Arthur Finnegan, bestie senza senno. Questo, ora, questo sfocato mondo abbracciato da due parentesi quadre, due pagine stropicciate, questo pezzo di terra tremante su cui poggio i miei piedi, le mie ginocchia, adesso, in questo tempo, procedendo dalla memoria alla materia, è mio. Io sono il cavaliere del Maelstroem. Io sono Arturo, sono un uomo, adesso. Lasciatemi lo spazio che merito, cani schiumanti, perché non ho ancora smesso di correre. C'è una spada, tra quelle degli orchi, che splende del riflesso del cielo? Una lacrima da Bara-Katal, una lacrima d'acciaio. Levatevi di mezzo, vi ho detto.

L'inquadratura investe un campo ristretto, una certa proporzione di ciò che resta della chimera latrante. Grida, suppliche disperate, neppure troppo lontano. Voci fuori campo, ricordi soppressi dalla straripante volontà di distruzione. Nessuna ricerca di potenziale, in ciò. Il grugnito di un orco, uno solo, annunciò la rovinosa caduta dell'arma, poco più in alto della polvere e della sabbia. Una spada esotica, orientale, rombante d'orgoglio vano. Ed eccoci, verdastra prole di Caino, a costruire torri e spade per poter meglio fingere di non essere mancanti di nulla. Eccoci chini, chiusi come tartarughe contro il terreno asciutto, sussultante, a sentirci sperare. Eccoci a stringere la presa sull'elsa, a flettere ancora le gambe, a raccogliere le forze rimanenti. Ed ecco i nostri occhi che si aprono. Ecco i miei occhi, la mia passione. Che salga sulla mia croce, allora. Il tempo è giunto alle porte di Sodoma quando a nessuno importa più del tempo. Pochi, pochissimi secondi, in queste pagine sgualcite, incrostate di sangue. Poco tempo per comprendere, poche, pochissime occasioni da poter cogliere. Le ultime.

Scagliato come un dardo rosso contro un cielo ancora più rosso, Finnegan salta.
Ciclopica, l'ultima immensa spada del generale verde sta fischiando di quella mite gioia puerile, quella violenza sorda, tipica del metallo. Ed ecco, inquadratura appena posteriore, due corpi in collisione violenta. Ecco il vento di tempesta che spazza il tessuto rosso, che lava via la polvere dai capelli del guerriero. Siamo tutti stelle cadenti, e ci trasciniamo dietro una coda assai più vistosa di quanto non sia la nostra sostanza. Siamo tutti morti, casualmente richiamati sulla terra per la disgustosa danza di Satana, nell'appartamento n°50, in occasione del plenilunio di primavera in questa dolce musica moscovita. Ershalaim va a fuoco.

Sentenziamo sull'uomo e sull'umanità, profondendo parole preziose in onore di preziose scimmie che sanno sognare. Noi siamo Arthur, adesso, mentre il nostro braccio ferito continua a farci da scudo anche avvolto da tutte quelle placche di metallo. Noi siamo Gilgamésh, sperduto nel mondo, che cerca solamente un'altra via per l'immortalità. E siamo Descartes, siamo Leibniz e siamo Alighieri. Siamo sagome perdute nel gioco degli eventi, tutti assieme, tutto assieme.
L'abietta progenie di Caino che continua a sputare sangue e saliva. Che continua a sorridere, dopo tutto, continuando a bestemmiare e sanguinare. Anche l'acciaio si piega, innanzi alla nostra volontà.
L'acciaio di spezza e si frantuma contro la nostra verità, ed è chiaro, rosso come il sole poco oltre l'orizzonte, quella scura sera lontana nello svolgersi ordinato di eventi consecutivi.
Due corpi solidi, lanciati da grande forza, che collidono in modo distruttivo. La difesa ha ragione sull'offesa, ma il braccio del cavaliere è stato perso per strada. L'importante, adesso, è non lasciare la presa sulla spada. L'importante è non badare al sangue, serrare la mascella ancora più forte, restare svegli.

A mezz'aria, tra i pezzi di ferro che si fanno sempre più sottili, sembra quasi di sognare. Sembra quasi di sentire un odore diverso, profumato. Non c'è qualcosa come il tempo. Non esiste, per quanto ci sia consentito utilizzare il sacro verbo proibito. Solamente una piuma rossa nel vento, oscillante su di un universo in sussulto. C'è un mormorio vibrante, in fondo, e delle voci familiari. C'è tutto un mondo al contrario, stretto tra due palpebre che si chiudono lentamente ed un cuore che non vuole smettere di battere. Non ancora. Non adesso.

Il cielo, stasera, è uno spettacolo mozzafiato. Sforzandosi di cercare un metro di ragione in questo inferno di sabbia, di ferro, va forse affermato che le perdite subite -migliaia tra elfi ed orchi, si suppone- valgano il prezzo di un cielo così bello. Fossero state milioni, anziché migliaia di vite, l'accordo sarebbe comunque stato equo. Oh, Ray, ho compreso la tua volontà. Forse nessuno più di me, Arthur Finnegan, può cogliere la sussurrante bellezza di un tesoro così prezioso da dover ritenere corretto e vantaggioso, per ottenerlo, lo sterminio di ogni singola fiamma di vita in questo sporco deserto. Non è solo il cielo. Non è solo la vita, o il tempo. Non è forse altro che un grido acuto, in lontananza. Arcieri. Incoccate gli archi e caricate le balestre. La Dama bianca ci ha donato la titanica potenza dei suoi colossi. Attaccate, giganti d'ombra. Servita la nostra causa. Servite Eitinel. Nabucodonosor.
Un dio qualunque, purché ci conceda il paradiso.
Anche pagando il prezzo di ogni vita in questo sporco universo, lo scambio continuerebbe ad essere equo. La battaglia, lontano, continua ad essere viva. La chimera ruggisce, ancora, grugnisce forte e sibila e fischia con tutta l'anima che le resta. È il suono di mille suppliche che torna alle orecchie del cosmo, nell'ultimo istante di vita di questo mondo.

Dunne assicura che nella morte apprenderemo l'uso felice dell'eternità. Riavremo tutti gli istanti della nostra vita e li combineremo a nostro piacimento. Dio, i nostri amici, Shakespeare, collaboreranno con noi. Di fronte ad una tesi così bella, qualsiasi errore commesso dall'autore appare trascurabile.

Siamo in alto, altissimo. Sospeso nel limbo della coscienza, l'unico suono che riesce ad emergere dall'informe ruggito dell'esercito è un gemito lontano, nel mezzo della nebbia e della polvere. Ed eccolo, ancora lassù, oltre la sfera del tempo od il richiamo della gravità, che fissa una lucina lontana, insostenibilmente bianca anche attraverso la coltre di bruma, poco più in alto dei mostri di carne e d'ombra, occupati nel loro sadico ballo di sangue. Sono ancora vivi.
Oh, al diavolo. Probabilmente non ci saranno altre occasioni.
Godetevi il sangue, il sogno, il viaggio. Godetevi il grano di corallo, Arturo. Siamo stati al gioco. Siamo venuti incontro agli eventi nel loro svolgersi ordinato, siamo venuti incontro alla domanda, all'obbiettivo comune. Abbiamo perso qualcosa, nel percorso, ma spero che, almeno voi, abbiate trovato qualcosa.
Un testo è davvero un buon testo quando, dietro alle parole ed attraverso le parole, l'autore vuole dire qualcosa. Quando l'autore ha davvero qualcosa da dire, ed è capace di farlo.
Ritornate sui passi del cavaliere rosso. Rileggetene le gesta, adesso, nelle sue ultime ore di vita. Andate a scovare il messaggio di Arthur, uscite per una volta dalla cornice di base.
Lasciategli questa ultima risata sottile, questa ultima piccola soddisfazione.
Ce ne basta uno solo, a me e ad Arthur. Anche un solo destinatario.
Anche un solo ultimo battito di ciglia
o un respiro trattenuto.


Il cavaliere rosso si alza in piedi, velocemente. Il tempo sta riprendendo la sua corsa.
Sta volando, o sembra volare, fermo, in piedi a dieci metri da terra. Ferito, stanco, vede Alexandra e Shakan in lontananza, un puntino bianco nella nebbia. Sono ancora vivi.
Non importa quali sono gli ostacoli su cui inciampiamo, quanto profonde siano le nostre ferite.
Non importa quanto fiato ci rimane, o quanto ci brucino le gambe, adesso. La vita ha la durata di una primavera appena, e tutti gli eventi entro essa possono risultare tanto effimeri da necessitare di una durata infinita, di un uso felice dell'eternità, per poter essere conosciuti.
Cosa c'entra con Arthur, con Alexandra e Shakan e Ray ed Asgradel, cosa c'entra con la guerra e la storia di queste piccole pagine perdute nel web?
Ogni cosa risulta leggera come il volo di una farfalla gialla da una margherita all'altra. Ogni istante, per quanto eterno, risulta più breve di un battito di cuore umano. Diretta conseguenza, quindi, è che non è tanto più utile o dilettevole perseguire grandiosi obbiettivi lungo un vasto volume temporale, quanto andare a cercare quel piccolo obbiettivo nascosto, che già si possiede, e difenderlo con tutto il tempo e la passione che ci rimane.
Rosso, quasi viola, come al tramonto. Io morirò, certo. Io sono una forza dell'universo destinata ad estinguersi contro un vettore più intenso, sebbene meno perfetto. Io morirò, certo.
Io morirò, ma non adesso. Non ancora. Non prima di aver sputato tutto il sangue che mi resta per perseguire il mio ultimo piccolo immenso obbiettivo.
Sono ancora vivi.

« Ancora vivi »
Ripetizione confortante.


-



png

Ego cogito. (Ego sum?)


ReC: 225
AeV: 225
PeRf: 425
PeRm: 225
CaeM: 250
Energia: 34%
Stato psicologico: Nessun danno mentale.
Condizioni fisiche: Eh. Danni di entità "Alto+Critico+Medio" distribuiti un po' ovunque. In particolare, Arthur ha perso il braccio destro ed è globalmente messo piuttosto male.


Passive sfruttate:


Appoggio del ladro.
Forza e Resistenza del dominio Forza del toro (Lv.1 e 2).
Tutte più o meno citate negli spoiler precedenti.



Attive impiegate:



Dreambreaker (personale variabile) - già citata in precedenza.
Usata due volte. La prima a costo Immenso (-33%) e la seconda a costo medio (-6%).




Riassunto & Note:



C'è poco da riassumere: l'intero post copre un arco temporale di appena qualche secondo.
La narrazione parte con finnegan che ha già incassato il primo attacco fisico di Katal, con relativi danni al braccio. Prima del secondo attacco sussurro due parole a Katal. Il secondo attacco fisico, quello del clone, lo va a colpire sulla schiena, con danno relativamente minore. Per questi due ho comunque incassato un danno medio.
Al momento del secondo attacco già sono curvo in avanti tipo armadillo, e appena vedo la spada piombare dall'alto sfrutto la posizione flessa per schizzare in alto con Dreambreaker a potenza critica e contrastare il colpo. Spezzo la spada, ma il braccio destro si stacca in modo definitivo. (nel Medio di prima ho considerato anche questo).
A mezz'aria riesco a stabilizzarmi con appoggio (solita passiva) e da lontano vedo alexandra e Shakan che volano poco sopra la nebbia evocata da shakan stesso, decidendo di tornare a dar loro manforte con le ultime energie rimaste.
Ho interrotto quì il post per ragioni artistiche, ma proprio prima di pronunciare l'ultima frase di chiusura, arthur spicca un altro dreambreaker (è a costo medio, senza bersaglio) per 'volare' dai due commilitoni. sempre coadiuvato da 'appoggio', ovviamente, per scattare da una posizione così alta.
L'ultima frase, quindi, la sentono anche Ale e Shak: a fine post sono praticamente a mezzo metro da loro.
Ah, strada facendo ho perso una delle spade: Stige. Mi resta ancora Lete, però.




Edited by Kactuar - 30/9/2011, 21:52
 
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view post Posted on 5/10/2011, 22:00
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E nell'ultimo, mortale, comando, vi fu chi, stremato, si concesse di socchiudere gli occhi. Solo un istante, solo un secondo. Turgido sudore a colare dalle fronti contratte, contorte, annerite dal nero di fiamme, dal nero di tenebra, dal nero di terrore.
Un lungo e sfibrato anelito cui pochi, davvero pochi, ebbero a cui resistere.
Avanti! Ancora più avanti!
Sempre innanzi, sempre dritto, impavidi e folli verso una morte tanto predetta quanto immanente!
Nello serrarsi delle gole, nel digrignare dei denti, nel sorprendente ridestarsi di muscoli all'apparenza già spolpi di qualsiasi forza, l'infernale meccanismo dell'assalto riprese a funzionare. Mille ingranaggi che in un divampante attimo ripresero a cigolare, esasperanti, nei cardini del fato.
Avanti, per la Dea!
Avanti, per Gruumsh!

Avanti per...chi? C'era ancora possibilità di scelta?
Le molle più deboli già scattavano nella propulsione della spinta, attirando nel balzo anche le leve più pesanti. E con esse i volani, arrugginiti ed ancorati alle pulegge mastodontiche che con grottesco digrignare si rassegnarono a smuoversi, di nuovo, dal proprio stato di quiete. Così, in un secondo, ogni cosa aveva ripreso il proprio corso.
di-MTFO

Tuttavia, nulla di tutto ciò parve raggiungere le nere figure poste al centro del campo di battaglia.
Nè un suono, né un comando. Nè il più imperioso ordine che scaturì dalle gole riarse dei generali di entrambe le fazioni. Frastuono confuso, pandemonio sommerso.
Mentre il mondo ai loro piedi si rimescolava come groviglio di polvere mossa dal vento, essi lasciarono che il silenzio della loro presenza regnasse più in alto, molto più in alto di qualunque azione o sentimento.
Comanda, o Signora.
Parvero pensare, il vacuo sguardo che si concentrava sull'orizzonte, sull'infinito.
Comanda, o Divina.
E poiché nulla rispose, nessuna voce risalì dall'abisso per imporre il proprio dominio su di loro, forse essi dovettero credere che non vi fosse proprio nulla da ordinare.
Nulla da compiere, in quel mondo di poco conto.

Nulla per cui essi, immoti moniti, avessero di che dover piegare lo sguardo a terra.
Per ora.


Così, nelle ultime incredibili gesta della Guerra del Crepuscolo, elfi e orchi si diedero ancora una volta battaglia.
Pelle verde e cute bianca, occhi cremisi e iridi d'argento, il frastuono dell'inevitabile che vibrava assieme al frantumarsi del terreno sotto i loro stessi piedi, l'oscillio del suolo che pareva il moto ondoso di un oceano sommerso. La Storia racconta dell'abbagliante lucentezza delle sciabole dei Predatori. Le Leggende della nera possanza delle armature dei pelleverde. Ed entrambe della prima e memorabile volta in cui dalla frustrazione e dalla debolezza, dal rancore e dal dolore, l'urlo elfico esplose, straziante, fra le fila di Neiru. Un lacerio confuso, morboso, come strenuo arcuarsi di unghie su un trespolo troppo impervio, troppo arroccato per fornire un'autentica presa.
Eccola, dissero in molti, ecco la furia dei Predatori, la loro infinita agonia nello scoprirsi asserragliati, accerchiati, messi con le spalle al muro e ad un passo dal baratro che già come nuda voragine si era aperto proprio li, proprio nel bel mezzo del loro schieramento.
O dei loro cuori.
Nell'abbagliante sensazione di un attimo, sembrò allora che il campo di battaglia si colorasse di bianco e argento, nevischio divorante, valanga inesorabile tale da travolgere tutto ciò che trovasse sul proprio cammino.
Così ecco la resistenza orchesca, il tendersi di quei corpi di nudo acciaio e possente roccia schierarsi compatto e resistere, bloccare, opporsi e opporre con la nuda ineluttabilità del militare il proprio corpo allo sfondamento nemico. La metodica meccanicità strategica che rimpiazzava ogni caduto con il suo compagno retrostante già pronto a prenderne il posto. Ogni falla tappata. Ogni debolezza rafforzava. Ogni cadavere spostato se d'intralcio. Ogni manchevole scartato e lanciato in pasto alla valanga soverchiante.

Solo per un attimo lo sguardo di un Titano parve abbassarsi al suolo. Forse attirato dalle strida acute, flebili come lo sfrigolare di carne viva su un fuoco rovente. Forse disturbato da un qualche movimento molesto, il gelo di una sensazione che attraversava il suo capo per infrangersi nei suoi occhi eterni. Forse, più probabilmente, disturbato dall'impossibilità di sentire, in tutto quel falso silenzio, il solo suono che valesse davvero la pena di sentire.
Crepitò un istante la sua mole grottesca. Poi, con un immenso passo, esso si voltò in direzione dell'oscurità e mosse un passo verso di essa. Sotto di sé, l'affondare di molte vite. Lo storpiarsi di tanti fiati.
Ma c'era davvero stato un suono?
O era, ancora, solo silenzio?
Nel dubbio il Titano si fermò ancora, immobile, in attesa.
E fu proprio allora che l'altro, suo amico e gemello, sollevò il proprio capo distogliendolo dall'orizzonte.
Un movimento quasi rapido, quasi inconsulto se proporzionato alla sua mole.
Ma a buona ragione.

Mia signora?
Sussurrarono le sue labbra mute.
Mia signora?

Ancora una volta, sommo tradimento, la Dea non diede alcuna risposta.
Al suo posto, solo un cupo, greve, sferraglio.
Un macilento stridere di voci metalliche. Poco umane. Molto più artificiali, sintetiche.
Quasi il prendere vita del metallo e il suo laborioso manifestarsi in rivoltante parodia di suono.

di-WJFS



Nel suo apparire all'orizzonte, nel suo profilarsi come carcassa morta su una landa di miserie prossime dall'avverarsi, la Fat Whore gettò un lungo, stridente, cigolio tutt'attorno mentre, pompando e sbuffando, i suoi ingranaggi la portavano radente verso l'alto.
L'ultima bestia. L'ultimo segnale.
La sagoma da modella troppo obesa, troppo macilenta che carezzava elfi e orchi poco sotto in un'effusione sinuosa, simulata, ridondante.
Trattenne il fiato Ashlon.
Ringhiò piano Bara-Katal.
Ma ormai era troppo tardi. Troppo tardi per ordinare di spostarsi, di indietreggiare, di voltarsi e cacciare all'istante quella lurida puttana.
Come donna gravida ella aveva già iniziato a partorire uno dopo l'altro i suoi pargoli immondi, le urla del suo travaglio capaci sole di accrescere, poco dopo, i gemiti dei suoi angelici pupetti.
Anime bramose, infette, putride quanto colei che li aveva generati, che come serpi le sgusciarono dal ventre e subito presero a gattonare qua e la gettando scompiglio laddove fino ad un istante prima vi era stata solo ordinata morte.

Nella fredda lucidità marziale cui Gruumsh l'aveva plasmato ed infine forgiato, Bara-Katal serrò la presa all'elsa della propria arma, flesse rapido i muscoli delle gambe e con unico, preciso affondo, schiantò a terra il primo Neonato che gli giunse a portata. Già fra di loro. Già pelleverde e infanti ovunque. Già elfi e luridi bambini deambulanti che a gattoni si gettavano sui vivi e sui morti, smaniose bestie alla ricerca di una tetta da cui spremere sanguigno latte.
Digrignò per un attimo i denti, l'Hoepriester, la bruciante rabbia di un istante che tremava in quel suo corpo marziale, annerito dall'inspessirsi della corazza sulla sua pelle insanguinata.

" Morran'hal elfer "
" Dimenticatevi degli elfi "
sputò con ruvida ironia. E proprio allora parve emergere nel suo sguardo una punta di acidulo divertimento

" Gruumsh kazmel yen mez i verjo talis e mez pativ e arzhani mrts’akts’i dem payk’arelu hamar"
" Gruumsh ci ha fatto l'onore di donarci finalmente un degno avversario contro cui combattere"
una pausa, il suo corpo che si tendeva nuovamente nella ferocia dell'assalto

"P’arrk’ Gruumsh yev nra metsahogut’yun"
"Gloria a Gruumsh e alla sua generosità"
fu il suo ultimo sibilo prima di gettarsi nella mischia.



Ed ecco qui il complicarsi della faccenda. L'avanzata elfica, questa volta supportata da un abbondante uso di evocazioni e quant'altro tale da renderla molto più combattiva del solito, viene bruscamente interrotta dall'arrivo di Hyena e della Fat Whore che da il colpo di grazia alla battaglia gettando ovunque La Feccia ( fazione mostruosa del Goryo). Da notare che questi nuovi individui possono rivelarsi ben più pericolosi tanto di elfi quanto di orchi poiché tutti egualmente freschi e per nulla provati da alcun tipo di battaglia. Una volta sbarcati nella piana, essi si avventano senza discriminazione alcuna su chiunque gli capiti a tiro, rompendo quindi la dualità del conflitto e qualunque schema precedentemente adottato per affrontarlo. I due titani d'ombra hanno attaccato lo schieramento elfico, ma ora ritorneranno inerti, attaccando solo se provocati (come nel turno precedente). I loro attacchi varranno sempre come Critici fisici.
Tentando di essere più precisi, la nave compare da dietro lo schieramento elfico ( dalla parte opposta in cui sta tramontando il "vero" sole) per poi sorvolare il campo e risalire dunque verso l'alto e verso il sole nero. Dalla nave scende tutta la fazione mostruosa de "La Feccia" sparpagliandosi in modo randomico per la piana. Non voglio incanalare questo tipo di attacco nella solita divisione in truppe attaccate e truppe da difendere poiché verrebbe completamente meno il concetto di confusione generale originato dall'intervento della Fat Whore. Per questo vi chiedo di essere molto sportivi nell'immaginare che l'attacco sia disomogeneo ma non focalizzato e abbastanza potente da dividere letteralmente qualsiasi geometria da esercito in una carneficina generale.
I tempi di risposta sono i medesimi: 4 giorni + due di proroga possibili.

Chiedo scusa ad Andre e a tutti i componenti del Goryo per i toni utilizzati per descrivere la Fat Whore e la Feccia. Nulla di ciò che ho detto corrisponde alla mia personale opinione o alla realtà ma quanto più ad un ipotetico punto di vista da parte di coloro che, trovandosi a combattere sguazzando nel sangue e nei cadaveri, si veda pure arrivare un nuovo nemico fresco fresco e assolutamente propenso ad uccidere tutti in combo. Chiedo anche scusa per la musica un po' tamarra-colonna sonora-robotica-etc usata per impersonificare la nave.
 
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36 replies since 23/8/2011, 13:43   3961 views
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