Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Valzer al crepuscolo ~ Ragnarok

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view post Posted on 9/10/2011, 16:19




Ragnarok
P a s t a n d f u t u r e
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Dov’era adesso?
Cos’era accaduto, stavolta?
La Nera Signora, sinonimo di orgoglio e possanza, di onore ed ostinazione, piegata come un arboscello secco in procinto di spezzarsi, nuda in animo ancor più di quanto le vesti sgualcite potessero suggerire in corpo. Improvvisamente si sentì sola, mentre molto avanti ai suoi occhi una luce ancora estranea si assopiva soavemente fra le grinze del tempo e dello spazio, strappandole ogni misero brandello di tepore.
Aveva freddo, adesso. Un freddo pungente, acre, penetrante fin nelle ossa.
Aveva freddo, un gelo intenso, di quelli che preludevano la dipartita: dopotutto, la conosceva bene la morte, lei.
Si strinse nelle spalle, le sfregò nervosamente, finanche a perdere sensibilità non appena tutto nei dintorni si fece più cupo, smorto, oscuro ed abissalmente angosciante.
In men che non si dica il campo di battaglia era oramai lontano e l’unico riverbero nelle vicinanze era quello fioco e smussato di un moccolo in mezzo al nulla, quasi librasse misteriosamente a mezz’aria. Rekla stette immobile, piantata in quella sua timorosa postura, sperando solo che in cuor suo ciò non fosse sintomo di nuova follia, di nuova costrizione.

[…]

«Avvicinati» mormorò una voce roca, stonata seppur intatta.
La Nera non accennò neppure a muoversi, ma ricorse anzi d’istinto alla fedele lama che usava giacere al proprio fianco: sparita, come ogni cosa in suo possesso. Sbarrò le palpebre, prima d’aguzzarle poi su di un loculo appena rischiarato al capo a lei opposto, ove solo un gracile seggio iniziava ora a tratteggiarsi per quanto indistintamente plausibile. Rekla mosse lenta in avanti, giacché non le fu difficile riconoscere quell’assurdo scranno: un trono, il trono. Notò con sommo stupore che, man mano che i metri si riducevano, i propri passi si facevano sempre più sordi, ovattati d’ombra, e quell’inutile podio più imponente e ricercato.
Dopo solo pochi istanti fu alle pendici d’un enorme piedistallo in marmo e il suo sguardo si smarriva tra le livide striature attraversanti quasi ogni lastra di cui era finemente composto.
«Di più» incalzò l’ombra, via via più nitida ed opprimente «E’ ora che tu veda cos’hai fatto.»
Il cuore della cacciatrice prese a martellare, e ancora, e ancora, e ancora.
Le parve che tutto intorno a lei prendesse vita e ruotasse vertiginosamente.
Finalmente le fu possibile vedere.
Ai lati del possente seggio due unici candelieri rinvigorivano l’atmosfera già snervante della sala, mentre – non poco distante – una pila di carogne secche e carne rafferma farciva larga parte dell’ala destra del palazzo. Un lungo colonnato formato da tredici piloni in calce ripercorreva, infine, meticolosamente l’intero perimetro circolare dell’atrio. Uno spettacolo non dei migliori, non v’era dubbio. Rekla si sentì improvvisamente disarmata e vuota a fronte d’una simile, macabra sontuosità.

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«C-chi sei?»
L’ombra si flesse in avanti, il tanto bastante perché lasciasse sgusciare una misera parte dei propri duri lineamenti.
«No. Tu.. no.»
«Ti sono mancato?»
Il Cerbero non credette ai propri occhi.

Maestro...

… Reoka sedeva sicuro coi gomiti posati ai corrimani e le dita incrociate poco sotto il mento. Le sue unghie erano sporche di terra umida e la barba ispida svettava a chiazze laddove la pelle poteva ancora vantare presenza, dacché per la gran parte diradata al punto da esporre le ossa e i muscoli sottostanti. La mandibola era disgregata a manca e il respiro sibilava fastidiosamente per essa; avrebbe persino potuto giurare che fosse in avanzato stato di decomposizione.
«Mi hai deluso. Hai forse dimenticato i miei insegnamenti?»

«Non potrei neppure volendolo» inspirò profondamente «Ma… non sono… abbastanza forte.»
L’uomo avvicinò l’indice ad una delle palpebre sottili e sfilò distrattamente una delle sclere velate dalle cataratte, per poi giocherellarci nervoso come fosse una grottesca biglia color cera sporca.

«Smetti di compiangerti ed apri gli occhi, ragazza: giochi un ruolo più grande di te in questa battaglia.»
Il tono rauco della voce vibrò nel silenzio d’oltretomba della sala, riecheggiandovi veementemente.
«Rispettalo… o la mia delusione sarà l’ultimo dei tuoi problemi.»
Improvvisamente, un bruciore intenso le percosse il ventre, che iniziò a sanguinare senza alcuna reale ferita. Il tutto divenne sgradevolmente enigmatico, ed ogni mesta figura prese nuovamente – ed inevitabilmente – a rarefarsi.

«Ma che …

• • •

… diavolo succede?»
Si portò la mano al fianco destro e sentì una punta di gelido metallo oltrepassarne le carni.
Il dolore fu acuto, straziante, come tale fu la sua estrazione. In un sussurro la lama fu fuori e Rekla – china su se stessa – fece appena in tempo a voltarsi.

«Guarda Ildim, una puttana» un uomo ossuto, rachitico in volto e dalla pelle liscia come marmo, diede di strattone alla falda della giacca in pelle nera del compagno – per converso, un ometto basso, rugoso, corpulento e dall’occhio guercio – che non esitò a drizzare gli orecchi.
«Da quanto non ne vediamo una, eh?»
Sorrisero, sghignazzando tra loro oltremodo goffamente.

«E’ bella, si.»
Pausa.
«Io la prendo da dietro. Tu tieniti il resto.»
Gli piaceva dominare, sovrastare nella sua infima grandezza, ma aveva scelto la troia sbagliata per farlo.
Rekla non rispose. Si rizzò, invece, silenziosa come la più letale tra le fiere, atta a studiare la sua preda, intenta a fomentare l’odio e il dolore per catalizzarlo in un’unica forza d'animo.

«Mh.»
Si portò la mano alle labbra, leccando i diversi grumi di sangue tra le unghie, il suo sangue.
Avrebbe potuto squartarli, avrebbe potuto strappare loro il sesso per violare quanto di più sacro possedessero, avrebbe potuto intrecciare le loro lingue come fossero filamenti dello stesso orgoglio strappatole più e più volte, troppe. Avrebbe potuto fare di loro ciò che desiderava, ma il suo interesse giungeva a sponde ben più lontane di quello.
Spinse lo sguardo oltre le spalle, alla ricerca dell’ennesima luce… o del suo fautore.
Ma nulla; solo il caos dilagante ed un incommensurabile miasma d’anime da mietere.
Quale presupposto più congeniale all’opera di un guardiano d’inferno?

Ildim scattò per primo, trotterellando sulle tozze gambette e sciabolando una daga troppo spessa per la sua stazza. Ciononostante, parve saperla destreggiare a menadito, sferrando un fendente a pelo d’aria a soli pochi passi dalla mercenaria. Questa scattò all’indietro, guardando la lama del nano impattare sonoramente al terreno.

«Jy»
«Tu»
ringhiò in direzione dell’Hoëpriester più prossimo, impiegato a falciare un branco di ladri e attaccabrighe.
«Gruumsh eis 'n demonstrasie van jou vermoë.»
«Gruumsh reclama una dimostrazione del tuo valore.»
L’energumeno, forzato in dovere più che nell’animo, non esitò ad obbedir tacitamente.

«NO!»
Apprestatosi al più gracile dei due, dunque, gli arpionò il collo come fosse un virgulto arido e marcio, prima di stirarglielo come una chioccia della più fetida qualità. Ma Ildim – tuttalpiù – non accennò a desistere e, mentre il proprio compagno stramazzava tra le grinfie del gigantesco pelleverde, assaltò una seconda volta la dannata fanciulla.

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«Osi forse sfidare il Cerbero?»
La voce stillò nel suo udito come fosse esito malsano della biforcuta lingua di una serpe: un’intera esistenza dedita al peccato, ora ridestata da poche semplici parole, dense a tal punto da violarne la coscienza. Il bandito non seppe dir nulla, la mente stessa parve esserne inghiottita e vomitata in pezzi.
Si portò le mani alle tempie, premendovi con forza immane nella speranza che tutto ciò trovasse ricetto, che si placasse. Ma il suono della mecenate – il suo profumo, il suo respiro – rintronavano grevi nel di lui petto, mozzandogli il fiato in un solo istante. Fu forse quello l’esatto momento?
L’Hoëpriester gli fu sopra con un goffo balzo, tirandolo a sé tra urla e sguaiati lamenti.
Rekla non guardò neppure; non v’era più alcuna soddisfazione nella sofferenza altrui.
Si volse, socchiudendo le palpebre nel vano tentativo di riacquistare – almeno lei e almeno in parte – la giusta concentrazione.
D’ora in avanti, giurò a se stessa che finanche il maestro sarebbe stato fiero.


CITAZIONE
Rekla Estgardel
La Nera Signora

Stato Umano
ReC 225 | AeV 175 | PeRf 275 | PeRm 375 | CaeM 175

« Energie: 44 - 6 = 38%
« Status fisico Rekla: danno medio al fianco destro + danno medio alla spalla sinistra.
« Armi: Constantine • sfoderata; Dolore e Sofferenza • riposta - riposta


~ ~ ~

C o r r u z i o n e

Attiva
Quinto Vizio • неопределенности
Incertezza, totale o quasi assenza di sicurezza, condizione di conoscibilità limitata in cui è impossibile descrivere lo stato esistente, i risultati futuri o più di un risultato possibile. L'incertezza può anche essere semplicemente la conseguenza di un'ignoranza di fatti potenzialmente ottenibili, causa inevitabile di insicurezza dell'operato del soggetto. A tal proposito, Rekla ha sviluppato la capacità di provocare con un semplice moto del braccio una distorsione nell'aria che andrà dritta verso il proprio avversario. Quest'ultimo, se colpito, vedrà circondarsi la mente di una sottile nebbiolina violacea, la quale lo stordirà e confonderà per il resto del turno, infondendogli proprio quello stesso stato di incertezza da cui deriva la nomea della tecnica. Su personaggi con poca concentrazione, questa avrà un effetto devastante, causandogli l'inibizione dei sensi ed il completo disorientamento per qualche secondo, contro un mondo che vedranno ruotare incessantemente. Contro avversari con alta concentrazione invece l'effetto sarà più attenuato, e questi sentiranno solo un leggero senso di nausea e stordimento, faticando a mantenersi in piedi ma possedendo ancora coscienza del mondo circostante. La tecnica dura circa dieci secondi, o cinque se si cerca di recuperare la concentrazione forzatamente, nonostante lo stordimento. Un'ottimo stratagemma per impedire all'avversario di compiere elaborati incantesimi o per distrarlo prima di una attacco. Va considerata come un normale attacco psionico di livello medio. Consumo di energie: Medio.


Passiva

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Incisione del B a s t a r d o I - II - III:
- Possibilità di caratterizzare una delle proprie armi da mischia con un particolare orpello (una runa, un simbolo, o una scritta). Quell'arma - e solo quella - potrà in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. (I)
- Possibilità di caratterizzare una seconda arma tramite l'incantamento, anche una a distanza, anche se in questo caso dovranno essere incantati i proiettili. Le armi (e i proiettili) incantati potranno in qualsiasi momento innescare i poteri del dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre che indistruttibili. (II)
- Grazie all'incanto, si aggiunge un terzo effetto alle armi incantate, rendendole permanentemente prive di peso per quanto riguarda il possessore del sigillo. Ogni altra persona percepirebbe il peso reale dell'arma. Inoltre, non potranno neppure essere sottratte al portatore, e in alcun modo rubate. (III)


-Gola: Rekla raggiunge il successivo livello dell'Incisione del Bastardo. (Livello III)

-Superbia: Essendo innamorata di se stessa e di una forse inesistente superiorità, la giovane ha coltivato un carattere duro e scorbutico che non ispira affatto fiducia in chi la affianca ma, talvolta, insinua un timore lieve che però non ha alcun effetto contro i demoni o gli individui di livello superiore.

-Terzo Vizio dell'Animo|Ambizione: Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario.

-Nel ricordo del dolore, l'unità di un cuore spezzato: indifferenza al dolore; pur provandolo, il portatore non si farà influenzare da esso.

-La comprensione del dolore, così da annientarlo: auspex passivo che si attiva una volta che il portatore viene ferito sia fisicamente che psicologicamente. Egli diverrà in grado di determinare l'esatta posizione di chi ha fatto partire l'attacco.

~ ~ ~


Note • Eccovi in breve quanto accade:
- Rekla viene raggiunta da due banditi, energia gialla, pericolosità E;
- Ildim, l'illusionista, attiva la seguente abilità:
CITAZIONE
» Effetto attivo: Spendendo un consumo pari a Basso, l'illusionista sarà in grado di ricreare nella mente nemica, una sola immagine, che potrà essere un ricordo oppure un apparizione momentanea. Potrà modificare quindi le sue percezioni grazie ad una semplice illusione che sarà facilmente bypassata con un minimo di concentrazione.
L'immagine verrà vista all'interno del campo di battaglia, ma sarà visibile solo per colui che è affetto dall'illusione in se.

La prima parte del post, invero, è proprio l'interpretazione di questo effetto, rivelato solo dopo;
- Il secondo bandito, dal nome ignoto, riporta Rekla alla realtà attraverso un affondo di medie entità con la seguente abilità:
CITAZIONE
» Effetto attivo: Tutto ciò che si è sottoposto a incanto potrà, in qualsiasi momento e senza concentrazione, ricoprirsi di un alone elementale dell'elemento scelto con la scelta del dominio. Una seconda proprietà si aggiunge: pur potendo contare sull'effetto precedente, una volta richiamato l'incanto si potrà menare un fendente a vuoto, scatenando una mezzaluna di magia elementale verso l'avversario. Questa risulterà molto rapida, ma non sarà possibile modificarne la traiettoria una volta scagliata. Per attivare l'effetto si dovrà spendere un costo pari a Medio e passare le dita sull'area dell'arma su cui si è iscritto l'incantamento, esattamente come accade per il livello precedente. Nel caso in cui si incantino dei proiettili, questi dovranno essere toccati direttamente, quindi dovranno essere essere estratti dal caricatore nel caso appartengano a una pistola o un fucile provvisto di ciò.

Ho dotato, infatti, il secondo bandito (guerriero) di una passiva di metagame al fine di giungere al successivo livello del dominio (verde).
- Incassati i precedenti danni e, nonostante tutto, interessata alla ricerca di Ashlon (che tuttavia non riesce ancora a scorgere a causa del disordine), comanda all'Hoëpriester più vicino di occuparsi dei due banditi, al fine di toglierseli dalla strada. Essendo quest'ultimo un'energia rossa, ho supposto potesse tenervi abbastanza testa, tralasciando però larga parte del combattimento a seguito del disinteresse della mercenaria.
- Il bandito illusionista tenta comunque di attaccare la ragazza, ma questa evoca "Incertezza" per influenzare l'operato dell'uomo ed arrestare la sua offesa;
- Detto ciò, Rekla si volta e tenta di riacquistare concentrazione, sfuggitole a causa delle differenti psioniche subite nei precedenti turni;
- Spero che il post sia quantomeno sufficiente, considerando che io per primo sono ben consapevole della qualità scadente con la quale questo m'è uscito. Chiedo, quindi, ancora perdono e passo la mano.^^
 
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Lenny.
view post Posted on 9/10/2011, 21:57








Il vento dilatò il tanfo di morte. Sangue denso e pelli corrose, viscere sgorgate e carni squarciate. Viktor inalò il miasma putrido della guerra, lasciandolo scendere dentro con nostalgico piacere. Dove e quando aveva potuto odorare quel sentore nauseante, l'ultima volta? Alle porte di Halberstaldt? Nell'’aria rossa di Magdeburg? Tra le trincee di Weissberg?
Tempo e spazio mortalmente differenti.
Chiavi logistiche e strategie belliche, truppe e ufficiali, armamenti e ideologie. Anche loro, mortalmente differenti.
Le carcasse sul pendio purpureo venivano schiacciate da altri portatori di morte. Soldati urlavano, soldati cadevano, soldati morivano.
Viktor inspirò a pieni polmoni.
La guerra, la grande guerra eterna restava la medesima dispensatrice dell’inferno era in terra.

Sotto un sole sbagliato che spezzava le tenebre, qualcosa si avvicinava al conflitto. Una sagoma distorta che trascinava con sé una cappa di fumo impenetrabile, spettro in marcia da sud nella rabbia del cielo, ancora troppo lontano per distinguere bene. Il Beccaio strinse gli occhi, spostando il peso sul bastone d’appoggio.
L’oggetto atterrò lentamente al suolo, trascinando caligine, fumo acido e unto che dilagò sulla terra, ammorbando i vivi e ammantando i morti. Viktor passò lo sguardo sui suoi spigoli come polene deformi nella bruma, sulle linee di struttura indistinte nell’aria torrida del massacro.
Una nave.
Castello di navigazione fluttuante nell’aria, immane labirinto di rottami emerso dal Plakard, struttura concepita sulla rapacità, fondata sulla furia, costruita sul massacro.
LA nave.
Migliaia di tonnellate apparse nelle terre del Re, il rombo delle turbine che per un attimo schiacciò il clangore dello scontro. Ennesima alba di strage, cetaceo caparbio pronto a donare nuova agonia. Qualcuno emise un gemito, elementale terrore.
Vault of the Sky, Fat Whore, paese delle meraviglie, Purgatory.
« Scheisse! Ma quale incoraggiante visione. »
Losanghe di dolore strisciarono fino al ventre, compresso dal cinturone. Viktor si costrinse a ignorare le fitte.
Casa?
Gli era parso strano che quel moccioso dagli occhi folli non volesse dire la sua, nello scontro tra le forze maggiori di quel mondo. Il clan aveva i suoi informatori sparsi in diversi territori, dunque Hyena non poteva restare all'oscuro di tutto questo. La sua assenza era sembrata sospetta, al punto che Viktor aveva iniziato a pensare che il ragazzino avesse preferito tenere al guinzaglio i bravi cagnolini del Goryo, piuttosto dare un'occhiata a cosa accadesse fuori.
Ma alla fine si trattava di attendere l'atto finale. E fare una comparsa più che ostentata.
Nessun problema per il Beccaio. Solo l'ennesimo scarafaggio da schiacciare lungo la strada.
Tutti, davvero tutti, alle porte del Toryu.

La nave cadavere brulicava di vermi più piccoli, più famelici. Mordevano, azzannavano, sbranavano. Viktor conosceva bene quei vermi: nel tempo li aveva visti dimenarsi, li aveva uditi strillare, nell'oscurità delle prigioni. Mostri incatenati per troppo tempo negli anfratti della Purgatory finalmente liberati, un intero groviglio di creature immonde pronte a far festa, di oscenità sguinzagliate nel bel mezzo della battaglia del mondo morto. Gli echi delle loro urla di giubilo e furia rotolarono lungo entrambi gli schieramenti. Massacro che nutriva altro massacro.
Si gettarono contro orchi e contro elfi, menando colpi alla cieca. Non avevano alcun signore per cui combattere, né alcun nemico particolare da annientare. Le loro zanne incontravano solo vittime sacrificali da immolare nel nome della loro grandiosa, inumana forza. Un potere da sfruttare assolutamente, pensò il Beccaio, per schiacciare l'esercito degli elfi. Altrimenti, ridotte com'erano le file dei soldati, sarebbe presto giunta la disfatta di entrambe le armate.
Un vero nemico, pensò, è tutto ciò di cui hanno bisogno quelle bestie. Un nemico comune a ogni creatura mostruosa, dalla più piccola alla più grande, dalla più vigliacca alla più feroce. Un avversario che attiri l'attenzione di tutte loro, che le concentri in un solo e unico punto, che le spinga ad assalire quel nemico obliando dai propri pensieri tutte le altre vittime.
Un aguzzino, un carnefice, un persecutore che tanti anni li ha imprigionati nelle tenebre. E chi, dunque?
Oh, la risposta era così ovvia.

«Viktor... noi siamo stati i loro carcerieri..
Una nota di timore nella grave voce di ser Cousland. Gli occhi del cavaliere riflettevano la terra sempre più purpurea, i rovi grondanti, l'orgia grande dei figli della Grassa Puttana.
« Forse c’è un modo, Tristàn, per rovesciare la situazione. » Viktor strinse i pugni. Fino a far scricchiolare i tendini dei polsi. Fiele in gola, e eccitamento nelle viscere. L’inerzia e l’impotenza non avevano ancora lasciato posto alla mollezza, e il Beccaio si sentiva ancora pronto a stringere il potere dell’Asgradel tra le mani. Sarebbe bastato assoldare metà dei suoi oppositori per far fuori l’altra metà.
Non fu un sorriso quello che rivolse a Tristàn Cousland. Solo una grottesca imitazione. « Avremo solo bisogno di un nostro comune amico. »
In fretta e furia, il Beccaio prese da parte uno degli sciamani, intimandogli un paio di semplici ordini da mettere in atto all’istante. Anche se inizialmente restio e perplesso di fronte alla singolarità delle direttive, lo sciamano annuì seccamente, pronto a eseguire. Seguì le fila degli orchi in avanzata contro le prime linee elfiche, perdendosi nella caotica mischia.
Presto l’ennesimo sisma scosse la terra. Più ristretto, più debole, forse. Dopotutto il potere di un infimo sciamano non avrebbe mai potuto eguagliare quello di Ray. Tuttavia in una piccola porzione di terra dinanzi alle fila degli elfi si era andata formando una voragine scura, dalla quale subito si erse in pochi istanti un tumulo di macerie alto più di cinque metri, e largo quasi il doppio. Abbastanza perché risaltasse all’occhio di molti, forse anche di tutti i combattenti.
Viktor posò l’occhio sulla cuspide di quella improvvisata montagna di macerie. Si concentrò in quel punto senza curarsi dei molteplici scontri nelle sue vicinanze, poiché sapeva che Tristàn gli avrebbe coperto le spalle. Aveva avuto modo di conoscere bene l’indole tanto leale quanto sempliciotta del cosiddetto cavaliere.
Contemporaneamente, in cima al tumulo, una sagoma scura si alzava da terra, torreggiando su tutti gli eserciti. Marionetta dalle umane spoglie dinanzi a una platea di mostri, comandata da un burattinaio magistrale.

Un ragazzo che non avrebbe mai dovuto essere in quel luogo, in quel momento.
Oracolo di un eccidio futuro.
Giubba colore del metallo, capelli scompigliati, iridi simili a rostri d’acciaio.
Nocchiero della nave degl’inferi.
Un ragazzo, semplicemente un moccioso dagli occhi folli proveniente da un’altra terra.
Demiurgo ghignante nel ventre rosso della guerra.
Polvere della battaglia, spine del tumulo appena eretto fluirono sul suo volto.
Dio ghignante sul fondo putrido della cloaca.
Non osservò gli eserciti dei suoi due avversari. Non guardò il rosso inquieto dell’ultima landa della terra. Non aveva senso farlo.

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Lo sguardo folle di Hyena affrontò l’orda degli abomini vomitati dalla sua stessa grassa puttana.

« SCHIAVI DEL GORYO! »

Parole urlate al vento come delle falciate di sciabole esplosero nella landa come cannoni di un reggimento corazzato.
Il capitano del Goryo si protese in avanti, folgorando la feccia con lo sguardo.

« CREDETE CHE ABBIA FINITO CON VOI, HIJOS DE PUTA? »

Il capitano del Goryo, sotto la luce dell’eclissi, appariva come un essere deforme, mostruoso. Agitò i pugni con ferocia, sfidando la feccia, fendendo il vento, dissipando l’agonia delle grida.

« VOI APPARTENETE ALLA PURGATORY, VOI UBBIDITE AL SOTTOSCRITTO!»

Il capitano del Goryo abbassò lentamente i pugni. Incrociò le braccia sul petto. Un gesto brutale, minaccioso.

« E IO VI ORDINO DI PROSTRARVI, LURIDI SCHIAVI! ESEGUITE I MIEI ORDINI! ESEGUITE ADESSO! »

Gli occhi di Hyena erano ragnatele incendiate. Un sospiro di vento gli scompigliò i capelli. Il suo volto divenne tenebra, mentre compiva un gesto ampio con le braccia, come a voler abbracciare l’intera volta celeste. Ammiccò alla schiera degli elfi, alle sue spalle.

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« PERCHÉ DA ME E DAL MIO ESERCITO DIPENDONO LE VOSTRE ESISTENZE DI MIERDA! »



(IMG:https://i272.photobucket.com/albums/jj183/S...itwithDeath.jpg)

Umano: Rec 325 ~ AeV 150 ~ PeRf 125~ PeRm 525 ~ CaeM 225
Demone: Rec 400 ~ AeV 100 ~ PeRf 100~ PeRm 850 ~ CaeM 150

~ Basso 1% ~ Medio 5% ~ Alto 13% ~ Immenso 29% ~

Energia residua: 34% -5% = 29%
Status Fisico: Mancina perforata in più punti, perde sangue (Medio); lacerazione profonda lungo l'anca destra (Critico). Mano sinistra inutilizzabile. Costretto a zoppicare per muoversi.
Status Psicologico: Concentrato sull'illusione ambientale messa in atto.

Passive in uso
Ehrgeiz_ Possibilità di reincarnarsi dalle ombre in caso di morte (Immortalità).
Sakrileg_Mimetizzazione perfetta all'interno dell'ombra e dell'oscurità. / Percezione visiva perfetta al buio (se naturale)
Haftbefehl_Potenziamento dell'abilità attiva del dominio Metamagia.
Streben_Possibilità di usufruire di tre slot tecnica anzichè due, a patto che Viktor resti nella sua postazione.
Schrecken_Cognizione passiva di qualsivoglia illusione/ammaliamento operati in campo.
Certain burden_Considerevole invecchiamento estetico/Aura venefica che rinsecchisce e avvizzisce gli esseri viventi che lo circondano.
Achtung_Auspex passivo/Difesa da auspex passivi/Passiva psionica di timore nei riguardi di Falkenberg, se i personaggi vicini sono di energia inferiore alla sua.
Byl jednou jeden netvor bez jména_Nessuno può ricordarsi del vero nome del Beccaio, a meno che non sia lui stesso a desiderarlo.

A.Attive utilizzate


~ Fallstrick__ _ Infinite sono le vie della vittoria, per il Falkenberg. E nessuna di queste potrebbe mai disdegnare l'uso di tranelli, inganni, infidi trappole allo scopo di distorcere l'attenzione del nemico. esempio fulgido della linea di condotta combattiva di Viktor è questa tecnica: dopo un attimo di concentrazione e di silenzio, il Beccaio riuscirà a evocare sul campo di battaglia un'immagine rappresentante qualsiasi tipo di oggetto/persona/creatura. Tale immagine potrà essere vista da tutte le persone presenti sul campo di battaglia e ingannerà magistralmente i sensi della vista e dell'udito. Potrà parlare, quindi, e fare rumore, ma non possiederà alcun odore (benché solo quelli col fiuto più acuto potrebbero accorgersi dell'inganno) e non potrà in alcun modo attaccare il proprio avversario o fingere di farlo. A tal proposito, l'immagine non potrà nemmeno muoversi dalla sua posizione, pur potendo compiere qualche movimento circostanziale. Se per qualsiasi ragione l'avversario dovesse entrare in contatto con l'immagine, essa esploderà improvvisamente in un raggio di un paio di metri, provocando un danno pari a Medio a tutte le persone coinvolte. In caso contrario, essa rimarrà in campo fino al termine del turno, svanendo nel nulla una volta "smascherata".
E se fosse Viktor a cadere in una trappola dell'avversario? O se perdesse la strada, se i suoi nemici si nascondessero alla sua vista così da assalirlo alle spalle? E se gli fosse stato sottratto un tesoro da dei ladri? Nessun problema, non per l'Oberkommandierende. Alzando i palmi a coppa innanzi a se, Viktor sarà in grado di creare una sfera lucente dal diametro poco minore di un pugno, che gli indicherà la giusta direzione verso un determinato (o non) obbiettivo. Ad essa potrà essere impartito qualsiasi traguardo. Un'uscita, un avversario, anche invisibile, o un arma persa precedentemente, tuttavia questo dev'essere conosciuto, almeno teoricamente, e presente sul campo di battaglia. La stella lo raggiungerà ad una rapidità che permetterà al Beccaio di seguirla, o di non perderla di vista, e cercherà di seguire il percorso meno ostacolante per arrivare al traguardo. Una tecnica inaspettatamente utile contro nemici invisibili o simili.
{Pergamena Tranello, consumo di energie: Medio} & {Pergamena Stella, consumo di energie: Basso}


Riassunto azioni: -Dopo aver visto l'entrata in scena dei carcerati del Goryo, a Viktor viene l'idea illustrata sopra. ordina a uno sciamano di seguire le truppe degli orchi e, appena giunto a una certa distanza dall'esercito avversario, ergere una colonna di macerie (che sarà alta 5 metri) in capo alle fila elfiche.
-in cima a questa colonna, pochi secondi dopo, Viktor fa apparire con la pergamena Tranello la figura di Hyena, direttore della prigione che ha rinchiuso tutti quei mostri per chissà quanto tempo. Conto sul fatto che Hyena sia conosciuto dalla maggior parte, se non da tutti i mostri. si tratta pur sempre del direttore della prigione, per l'appunto.
in ogni caso Viktor-Hyena provoca i mostri e fa capire loro che quello alle sue spalle sia il suo esercito
. così da spingere quelle bestie violente ad ammazzarlo, caricandogli contro, e a far fuori tutti coloro che gli sono vicino. Non credo che la voce di Hyena possa udirsi nel mezzo di una battaglia, ma penso che basterà la visione del loro aguzzino per invogliare le creature a caricare contro gli elfi, lasciando perdere gli orchi.
-termini spagnoli come "hijos de puta" e "mierda" sono stati pronunciati da Hyena nella scena del ritorno al Goryo di elidarth, dove era presente anche Viktor. per questo Viktor, avendoli memorizzati, è stato in grado di riprodurli con la copia illusoria di Hyena, in modo da dare maggior credibilità al tutto.
-Spero davvero che funzioni, asd.


 
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view post Posted on 9/10/2011, 23:29
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Una mano vellutata che stringe con la delicatezza di un abbraccio affranto.
Le dita sottili che sfilano candide, avvolgendosi in un vortice disinibito attorno alle sue mani ruvide, rischiarendone la durezza con la cura di una carezza che si preoccupa di stringer teneramente il proprio fardello senza smuoverlo dal suo assorto incanto. La carezza dell'imperatrice cingeva la mano dello spettro, sospirandone all'animo ansioso tutta la premura di un cuore immacolato, misericordioso verso quel suo costante turbamento, prefiggendosi, in quella stretta d'affetto, il gravoso compito di sostenerne il peso.
Shakan non poteva credere di sfiorarne quella dolcezza in un tanto agognato volo, immaginandosi già sconfitto nel turbine del dolore in cui costantemente era stato abbandonato. Invece, si cingeva d'arrogante sostegno e volando, avvolto alla sua mano, quasi dimenticò di esser ancora sospeso su di un manto di morte che seguitava a contorcersi sotto di lui.
Eppure, per quanto si sforzasse, non riuscì a non sentirsi accettato in quel gesto armonioso: non riuscì a non sentirsi orgoglioso di quel volo angelico, alternando, incredulo, lo sguardo dalle sue ali luminose, al suo volto tirato dalla fatica, fino a quella stretta sigillata col sangue della battaglia. Felice, come un fanciullo che si apre al mondo riscoprendolo più luminoso di quanto l'avesse visto mai, sospirava ad ogni sussulto di premura, si librava nel vento, avvolgendosi della brezza filante della vallata, ignorandone quasi il tetro sapore di sangue che s'accompagnava ad ogni fiato. Era il primo momento in cui poteva sentirsi parte di qualcuno: importante per un cuore che non fosse il suo. Invero accettato, dall'animo altrui di una donna che aveva rischiato la vita, pur di salvar la sua. E ora ella lo stringeva forte, serrando le sue dita affusolate sul suo guanto di metallo, stringendolo a se con possessiva caparbietà, che lo spettro non volle far a meno di tradurre in un pavido sentimento d'affetto.

Non volle.
Per una volta proprio non ebbe cuore di infrangere tutto.
Lo spirito distaccato si commosse alla vista delle labbra porpora di lei che parvero sorridergli.
Il crepuscolo del mondo giungeva, mentre la consapevolezza di quel momento scacciò via il fantasma della sua fine.
Sarebbero stati pochi istanti, ma lui se li sarebbe goduti tutti.
Ed il tramonto si disegnò d'ambra.
Era bellissimo.
Come lei.

R a g n a r o k5





La volontà si rischiarò di gioia. Quel volo assunse tratti di una sinfonia immacolata, librando nel cielo porpora tutta l'armonia di note che si stagliavano nella sua testa, imperanti, eterne ed infinite. L'aveva salvato con quanta più grazia avesse potuto, ancora una volta gli aveva sorriso: gli aveva ricordato perché valeva ancora la pena viverla, quella sua vita. Ed in quei frangenti lui le disegnò addosso la pelle di un angelo luminoso, un salvatore misericordioso che aveva raccolto a mani giunte la sua pietosa coscienza, sostenendola prima che si sciogliesse sotto il carico ardente di quel sole nero. Shakan non aveva una vita, più: aveva solo una speranza, che si spegneva lentamente - che quasi aveva ormai sacrificato, lasciandola alle lodi dei posteri. Invece ella non l'aveva lasciato andare, l'aveva afferrato nel pieno della sua decomposizione, trascinandolo al cielo senza l'arroganza di uno strumento che non può ancor coprirsi d'inanità, ma con la compiacenza di una donna che non ci sta a perdere il proprio compagno.
Di guerra. Di dolore.
Di vita, forse.

I tratti di lei si fregiarono d'immenso: la sinuosità delle sue forme in tensione, il bagliore dei suo occhi grandi e la potenza della sua figura imperante si tramutò di colpo nel candore di un soffuso lamento di speranza. Il sussulto di una ragione che ancor non s'era arresa innanzi al pensiero del Re e della sua guerra, ma che viveva - piccola - sotto il cumulo di cenere di quella balorda calamità. Shakan non potè fare a meno di fissarsi su di lei, di sussurrarle qualcosa, di gridare frasi troppo difficili per il caotico trambusto di una guerra che - comunque - ne avrebbe coperto ogni sonorità.

« Io...
Io...
Io ti...
»

Inutile, comunque. Qualora pure il suo orecchio si fosse posato sul suo farfugliare casuale, non avrebbe colto alcunché di sensato, o di appropriato al momento. Solo monosillabi biascicati tra le urla, nient'altro che concetti strozzati, troppo difficili ed importanti perché lui potesse esprimerli. Che lo spettro avesse narrato di quel sentire intimo, infatti, non avrebbe scommesso nessuno: ricordi lontani, storie troppo spente per poter ricondurlo a qualunque cosa di appropriato. Il suo cuore aveva dimenticato quell'emozione: pur riconoscendola, non l'avrebbe mai potuta riprodurre così facilmente.

« Alexandra...io...ti... »

Poi un roboante caos coprì ogni pensiero, distogliendolo finanche da quell'immobile sogno.

valzerturno3post51

Un enorme ammasso di metalli, una nave - più propriamente un gigantesco vascello - si stagliò da un'orizzonte nascosto, verso un'altro. Apparve dal nulla di un fiato, con la potenza di milioni di incubi a trascinarne il peso. Vibrava di clangore nella sua astratta semovenza. La sagoma coprì d'ombra ancor più nera tutta la valle, disegnandosi nei contorni sopra i monti, fino a racchiudere ogni cuore ed ogni sguardo sotto di essa. Portava naviganti, portava marinai ed improprie speranze: portava, sopratutto, l'astratta convinzione che altre forze di scontravano quel giorno, trascinando in un baratro ancor più profondo qualunque speranza di vittoria che ancora una fazione, o l'altra, potesse covare. Era l'indefinito: il nemico più temuto in assoluto, ovvero quello di cui nulla si conosce.

Il veliero si trascinò rapido fino al sole nero, segnando un cammino immobile che l'avrebbe portato in un vuoto ancor più grande. Non prima, però, di rimandare al vento quello stesso terrore di cui si era fatto carico, per mezzo delle centinaia di sguardi che ne avevano solcato il tragitto. Lampi opachi, tiepidi: poi, sempre più potenti. Incrementavano di pulsazione man mano che segnavano la valle, ricoprendola da un lato all'altro e rivelandosi nella propria tetra natura solo nel momento in cui, incrociando gli occhi dello Spettro, ebbero modo di volgersi nella direzione in cui loro ancora fluttuavano.

Erano corpi.

Gusci di carne, schiuse crisalidi di morte si aprivano al contatto col cielo. Decine e decine di corpi affamati ricoprivano l'immensità. Occhi straniti, uomini, donne e bestie di qualunque genere e specie, segnati da ghigni astratti - increduli - di chi si plasma la propria felicità, senza trovar l'espressione più consona per gratificarla, tanto è inaspettata. I volti si segnavano della gioia della libertà, dell'incredulo sogno di poter dar sfogo ad ogni più basso istinto nell'attimo stesso in cui qualcosa - qualunque cosa - fosse stata sufficientemente incauta da assecondarli e chieder loro conto delle bieche intenzioni. Non poteva dirsi vera una realtà o un'altra: qualsivoglia fosse l'intento, infatti, non degli elfi o degli orchi avevan grazia di far mattanza, bensì di entrambi.
L'invasione ricoprì il caos in pochi istanti, spargendosi democraticamente in qualunque direzione avesse libertà di stendersi, senza assumer le parti di nessuno dei due eserciti, ma preoccupandosi - appropriatamente - di inglobarli entrambi nell'unica verità che presto avrebbe dominato.

Carne: una gigantesca mattanza di carne, plasmata di oblio.
La trascendenza del mondo aveva principio nel suo più bieco baratro.

Alexandra...!

In un attimo, lo spettro capì. Comprese che non era della vittoria, delle strategie o delle prime linee che avrebbe dovuto preoccuparsi. Perché l'apocalisse giungeva quel giorno, divorando le speranze del mondo e le vite di intere generazioni, senza farsi troppe premure circa le conseguenze di tanta crudeltà. Ed il destino - il loro destino, invece - li aveva donati ad un singolo attimo di pace, un incantato secondo profumato di rugiada, che incarnava in se tutta la speranza di una vita che rinasce, proprio un istante prima di morire. Quella era la sua gioia di vita: la sua speranza, quell'attimo incarnato di infinito che il cielo gli stava donando. E che lui aveva pagato con tutta una vita di frustrazioni. Più difficile di raschiare la propria bara a mani nude, più potente del demonio che si incarnò in lui la notte in cui morì. Più forte di qualunque cosa, sarebbe stato quel suo divino sentenziare.

Fine a se stesso, forse.
Ma non per questo inutile.

« Alexandra, io ti... »

Il secco proferir fu interrotto da uno scoppio. Uno dei corpi rilasciati dal vascello volteggiò a pochi metri da loro, impattando con un sobbalzo nell'attimo stesso in cui lo spettro decise di confessar di se stesso. Due mani callose si fecero largo, afferrando qualunque cosa nel nulla dell'aria: erano di una bestia carnosa e dalla pelle ambrata, con i capelli rossi e gli occhi sbarrati di felina frenesia. Bramava un sangue che non aveva bevuto per anni, e si inebriò del profumo di quell'attimo con tutta la compiacenza di un vampiro che si felicita del proprio ennesimo assaggio. Nel momento in cui prese coscienza di ciò che gli accadeva, l'essere afferrò le forme dell'imperatrice, trascinandosi al suo seguito. Nell'impatto, infatti, ebbe la freddezza di aggrapparsi a lei.

....No!

Shakan spalancò lo sguardo, contraendo le palpebre in un disgustoso segno di ingloriosa ira. Segnava i contorni dell'essere inumano con la furiosa rassegnazione di chi fissa la propria morte in pochi istanti, e si strugge per doversi arrendere ad essa. Il verso che egli pronunciava, invero, sapeva già segnare un vuoto che non avrebbe avuto mai seguito. Il peso, infatti, si ripercosse sulla loro stretta di sangue. L'imperatrice sussultò appena, sforzandosi di non sprecare in parole quell'ulteriore forza di cui aveva bisogno per sostenere un peso doppio. Serrò anche lo sguardo, forse pure per non dover accettare l'inevitabile. Eppure, non c'era possibilità che l'impatto potesse non portar a conseguenze ulteriori: la gravità avrebbe abbattuto ogni tentativo di ingannarla, per quanto questo avesse funzionato fino a qualche istante prima. Lo spettro fissava il terreno sotto di lui ingrandirsi esponenzialmente: trascinava se e l'imperatrice verso l'oblio, inesorabilmente.

Non avrebbe avuto cuore di farlo, però.
La specialità del momento si traduceva anche nel significato di quel sacrificio.
Non dover vanificare un sentimento riscoperto, con l'egoismo di un infantile possessione.
Aveva riscoperto quel momento con la magia di un cuore che si sveglia dall'oblio.
Aveva trovato qualcosa di tanto prezioso che in una vita intera, spesso, è precluso.
Perché sprecarlo con la propria avarizia?

Anche l'imperatrice prese coscienza di quel dono, un attimo prima di riceverlo.
Per omaggiarlo aprì gli occhi a lui, fissandolo con immacolata apprensione.
Parve quasi implorarlo di non dar seguito a tanta determinazione.
Ma stette solo all'ascolto di parole serene.
Parole uniche.

« Io ti amo »

Sussurrò lui, con le labbra piene di soddisfazione.
Un sorriso sincero coronò quel suo volto che si schiudeva al mondo, riscoprendosi non più così freddo se cosciente dei propri sentimenti. Un'umanità che tornava a vivere, con la potenza di un amore scoperto proprio un secondo prima di perderlo ancora. La sua mano scivolò con naturalezza, scorrendo sulla patina di sangue consumatasi col metallo. E trascinando Shakan verso il gorgo mortale sotto di lui.
Ma lasciando Alexandra sospesa nel vento qualche secondo in più.
Oltre il previsto.

valzerturno3post52

La caduta durò tempi infiniti. Lo spazio parve contrarsi attorno a lui, il roboante caos avvicinarsi ma - allo stesso tempo - ovattarsi all'udito, perché privo di significato. Ora fissava Alexandra, riservandole tutte le ragioni del suo mondo: la vide incrociarsi con una seconda ombra che la liberava e la trascinava in salvo. La vide lottare per la sua vita, proseguire la sua guerra e non arrendersi mai, nonostante tutto. Richiudendo gli occhi, il viso si segnò di lacrime commosse: era soddisfatto dell'imperatrice, soddisfatto di lui. Insolitamente calmo e sereno in quel momento di perdizione. L'impatto stesso con la terra fu di un boato insolito, attutito dalla leggerezza del suo animo, anche se non gli fu difficile sentir ulteriori ferite dischiudersi sulla sua pelle ed il braccio sinistro spezzarsi all'impatto col suolo. Un dolore indescrivibile, punte avvelenate che passavano ovunque entro il suo essere, ma che si scontravano con la sua volontà indomita, propria di una speranza che ha preso il contorno di un romantico idillio con la vita. Fu prova certa, il seguito. Ulteriori sguardi, decine di sorrisi famelici che circondarono il suo quasi cadavere, odorandone la fine prossima e preparandosi a litigarsene il banchetto. Però, non vi fu più soddisfazione alcuna, quando il sorriso dello spettro si presentò fermo innanzi alle loro intenzioni bieche, rispecchiando la pazzia di un morto o la determinazione di un pazzo moribondo.
Per certo, però, palesando la volontà di non arrendersi ancora.

« Spiacenti, gentiluomini.
Non di Shakan il codardo si parlerà nel mio elogio funebre.
Giacché la sua mano non si arrende più all'evidenza.
»

La mano destra lavorò solchi nella terra, fino a stringersi attorno all'elsa di una lama scura.
La stessa che aveva sentito vibrare al contatto con la Dama Bianca.
E la soddisfazione di afferrarla, gli regalò un secondo sorriso.

« Se il vostro divino Signore, infatti, ha deciso di regalarmi una magione all'Inferno,
sarà mia cura omaggiarlo con un sontuoso banchetto a base di carne e sangue...
»

Infine, vibrò del suo corpo come di un'armonica melodiosa. La sonata si librò su ciò che restava della sua pelle, rendendola opaca - traslucida, intangibile ai più ed insensibile ai colpi di spada e lama che presto lo avrebbero trafitto. Finanche parti molli divennero scure, quasi invisibili, ove ricoperte di quel nero alone d'ombra che ormai invadeva ogni orizzonte. Presto scomparve, divenendo nulla.
E, poco prima di levarsi da terra, ingoiò l'ultima lacrima che ancora scorreva su di se.
L'unica carica di rinnovato vigore.

valzerturno3post54

« ...naturalmente, sarete miei graditi ospiti... »

Cupitas.
Recitò la brama di Shakan l'innamorato: assetato di vita.

AhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAh....!

I successivi attimi rallentarono il tempo. Il nero che si sostituì a Shakan, si rialzò con la rapidità di un lampo. L'immagine di lui si macchiò di nulla, nel mentre che al suo posto prendeva le fattezze uno spettro dalle mani artigliate, la cappa scura e gli occhi rossi. La sua paura prendeva forma, ancora una volta, per accompagnarlo nel suo ultimo, personalissimo, Valzer. Due lame, anzi tre, votate all'indefinito dolore, ma caparbie in quella sonata di congedo. Se la vita sarebbe giunta al termine quella notte, infatti, non aveva davvero più importanza. Lo spettro aveva riscoperto l'amore, la gloria infinita che deriva dal lottar qualunque battaglia già persa per il sol fatto di non abbandonarsi - inerme - alla sconfitta. Se si è ad un passo dalla fine, infatti, non significa che la speranza non abbia sempre e comunque una ragione per lottare per essa: ed il fantasma aveva trovato quella ragione proprio nell'amore, finalmente. Una nuova speranza, una nuova realtà per tessere il proprio destino ancora per un attimo in più. Perché se quel suo vorticoso lacerar di carni sarebbe comunque servito a qualcosa, o a qualcuno, allora valeva la pena non farlo mancare al mondo. Per chi sarebbe giunto dopo di lui, anche soltanto per l'armonia delle canzoni che ne avrebbero fatto i bardi. Per qualunque cosa: egli aveva scoperto l'amore. Egli era già pronto a morire, in ogni caso. E le lame disegnarono rette verticali, oblique o orizzontali. Si macchiarono di sangue di uomini e di donne, di bestie e di demoni, perdendosi nei numeri e nelle urla reciproche. Il caos fece preda del tutto, e Shakan si abbandonò ad esso, preoccupandosi di confonderlo a sua volta.

Il vortice durò secondi, minuti infiniti. Solo un urlo fatale, infatti, segnò il suo termine. Infatti, quando Shakan fu preda di un senno che ritornò come un flash momentaneo, udì il fiato glorioso di Finnegan spirare e rivoltò alla fonte il flebile raziocinio. Si mosse, tra le fila delle fiere che ancor lo circondavano, e che lo ricambiarono con altro dolore. E lo raggiunse, scrutando in basso il guerriero accasciato al suolo, dopo aver dato sfogo libero alle proprie energie. Finnegan aveva lottato fino allo stremo, facendosi forza del proprio nome ma lasciando sola - inerme - l'unico scopo di vita dello spettro, ovvero Alexandra. E l'imperatrice rimase indifesa contro decine e decine di fameliche bestie che ne bramavano la vita, una volta di più. Fu in quell'istante che Shakan senti forte il dovere di seguirla ancora, di vivere ancora un pò - per proteggerla.

Ti proteggo io.

Parve dirgli, allungando una mano verso di lei. Non era troppo lontana, seppur nemmeno troppo vicina. Era ancora nel raggio del proprio animo, non era comunque ancora abbastanza lontana dal suo sentimento. Perché lui aveva forza e vigore per mille battaglie, qualora l'avesse richiesto lei. Eppure lo sguardo della dama disse tutt'altro. Lo fissò, arresa: indifesa, ma distrutta nella propria entità di essere umano. Arresa alla tristezza del mondo o, comunque, non altrettanto sorretta dallo stesso sentimento che risplendeva in lui. Non sospesa nel vento da altrettanto amore.

...io... ho - ho detto che ti proteggo... io...

valzerturno3post53

E la donna urlò silente, strozzandosi in gola qualunque grido che il fantasma non volle sentire.
Ne seguì solo un rimbombo: un sonoro contraccolpo che mutò in un pulsante tumulto di nulla. Un'energia immateriale che proliferò rapida in ogni angolo dei loro orizzonti, distruggendo qualunque mente o cuore capitasse a tiro. Anche quello di Shakan, che rivide milioni di volte il suo sguardo arreso perdersi nei suoi occhi. E non ricambiarlo.
Non amarlo.

La solitudine di un cuore innamorato, è ancor più triste.

Una frase languida colse lo spettro: ricordi lenti di qualcosa che aveva letto in passato.
Valeva la pena di vivere per l'amore: valeva la pena di morire per l'amore. D'altronde egli non era mai stato ricambiato, da nessuno. Nemmeno dal padre. Nemmeno dalla madre: anzi, nemmeno l'aveva mai avuta una madre, per quanto potesse ricordare.
A che sarebbe servito, allora, vivere se nemmeno l'amore l'avrebbe più sostenuto?

« Io - posso - morire »

Sussurrò a nessuno, fissandosi le ginocchia mentre si accasciavano a terra,
facendo seguito al resto del corpo.

La sua guerra era finita, e si riscopriva improvvisamente stanco e affaticato.
La sua mano lasciò l'arma rimbombare in un ottuso tonfo contro il terreno sporco.
Ed il pensiero si volse al suo Re, ed al suo dolore che aveva potuto conoscere.
Poteva capire cosa volesse dire perdere un amore, infine - come lui.
Improvvisamente, poteva comprenderlo un pò di più.
Se avesse potuto cambiare anche lui il mondo,
forse lo avrebbe fatto.

« Ora ho capito, Ray.
...e forse questo era un altro dei tuoi scopi...
»

Disse piano, sciogliendo qualunque sorriso in tristi mugugni.
Sperò davvero che potesse fissarlo, ora.

« Alla fine hai vinto tu. »

Come sempre.
E svenne.



immyspecchietto

ReC:
300
AeV:
275
PeRf:
225
PeRm:
350
CaeM:
225
Immenso:
36%
Alto:
18%
Medio:
9%
Basso:
5%


Corpo: Numerose e profonde ferite su tutto il corpo; 1 costola rotta; ferita profonda al fianco destro; braccio sinistro rotto (totale danno Critico+Alto+Medio; 87,75%)
Mente: Sconvolto, privo di voglia di vivere (totale danno Critico, 50%)
Energia: 34% -9% -6% -18% -15% = 13%

Attive:

CITAZIONE
Il fantasma sono io.
Con un consumo di energia variabile, Shakan è in grado di creare una potente malia: modificando i tratti del proprio corpo, infatti, potrà indurre un potente sentimento di terrore generato alla propria immagine per come percepita dagli occhi di chi la osserva. Shakan apparirà, nelle menti altrui, trasformato in un fantasma: il suo corpo sarà pallido, taslucido, quasi trasparente, gli occhi lucenti e tutti i tratti e gli aspetti del proprio essere si modificheranno di conseguenza, in modo da apparire, in tutto e per tutto, una presenza "spettrale". Shakan potrà rendere tale "immagine" più o meno complessa (passando, per esempio, da semplice fantasma pallido e sfocato, a potente spirito di una divintà ancestrale): in questo senso, Shakan potrà scegliere la forma, la caratterizzazione e la natura "spettrale" che più gli sembrerà adatta alla situazione, dando l'impressione di parlare, muoversi, combattere e, in generale, relazionarsi, allo stesso modo in cui farebbe un vero fantasma della stessa tipologia. L'effetto effetto principale, però, sarà solo quello di generare terrore in proporzione alla variazione del consumo di energia. In concreto, infatti, il corpo di Shakan non muterà e la tecnica avrà comunque come effetto quello il solo indurre terrore nelle vittime. Ogni ulteriore conseguenza dettata da tale trasformazione sarà da considerarsi del tutto eventuale e rimessa unicamente alle reazioni inconscia delle vittime. La tecnica, pertanto, non sarà da considerarsi una "illusione" propriamente detta, ma, piuttosto, come un ammaliamento psionico, in grado di danneggiare la mente della vittima. L'effetto dura un post. [Personale 2/6, Attiva, consumo Variabile]. Inoltre, Shakan - concentrandosi per pochi attimi - potrà assumere la consistenza di un vero spirito. Egli, infatti, sarà in grado di annullare la sua costituzione fisica, pur se nulla sembrerà alla vista: sotto questa forma sarà intangibile al tatto e qualunque corpo fisico lo attraverserà come se non esistesse, formando, nel punto toccato, un sottile strato traslucido, proprio come se si attraversasse uno spettro. Inoltre, se nascosto nelle ombre, lontano dalla luce, il corpo di Shakan diverrà invisibile. Tale invisibilità avrà la stessa potenza di una tecnica passiva, contrastabile con opportune tecniche di livello più alto. Pur non potendo esser colpito, a Shakan sarà anche impossibile colpire fisicamente: solo le tecniche funzioneranno normalmente. Il movimento non subirà effetti particolari. La tecnica può durare fino a per tre turni, compreso quello d'attivazione, terminando alla fine del terzo turno o prima, se Shakan lo desidera. [Pergamena da necromante "Corpo d'Ombra", Gialla, Attiva, consumo Medio] Infine, Shakan ha imparato a sfruttare la propria capacità di divenire intangibile per rifuggire vincoli terreni di qualunque tipo, superare blocchi ed ostacoli, e a trarne concreto vantaggio. Il fantasma, infatti, può divenire intangibile per pochi - brevissimi - istanti ed in punti del corpo ben specifici, di modo da liberarsi da qualsivoglia blocco o rallentamento magico che affligga il suo corpo, pagando un consumo pari al consumo speso dal nemico per bloccarlo. In GdR, la tecnica può essere usata - per lo stesso principio di liberazione dei blocchi - anche per far scattare serrature, o meccanismi simili, su porte e forzieri chiusi, al fine di aprirli, appunto. La tecnica è attuabile su qualsiasi tipo di blocco, anche fisico, come ad esempio le braccia di un energumeno strette sul proprio collo, ma non sarà estendibile a situazioni diverse da quelle specificate: l'intangibilità, infatti, sarà talmente breve e circoscritta da renderne impossibile ogni diversa applicazione. Questa tecnica basa la propria potenza sulla ReC del possessore, e non sulla sua PeRm. [Pergamena da ladro, "Lockpick", Blu, Attiva, consumo Variabile]

CITAZIONE
L’Eredità della paura.
La caratteristica principale di coloro che hanno partecipato all'abiezione, tuttavia, non è tanto la loro connessione con Ray, quanto più l'emersione delle loro turpitudini e delle loro perversioni più insabbiate. Il torneo le ha risvegliate, le ha messe in tumulto e le ha agitate abbastanza da permettere loro di fuoriuscire, più potenti che mai. Prima fra tutte, vi è la capacità di manifestare sotto forma di evocazione, il terrore più grande del personaggio o la sua turpitudine più bassa. Spendendo un consumo Alto, infatti, Shakan potrà evocare il peggiore dei suoi incubi innanzi a sé, ovvero l’essere che in passato – col proprio agire – ha manifestato tutti i limiti e le turpitudini in cui il suo animo era ricaduto: il Conte Nero. La sua nemesi, il lato più oscuro di Shakan, il riflesso della sua oscura malvagità, generata per propria colpa e negligenza, apparirà sotto forma del ricordo che lo stesso Shakan ha di lui: un uomo alto, slanciato, ricoperto da testa a piedi di una lunga tunica nera, con due occhi rossi brillanti che emergono da sotto il cappuccio. Il Conte manterrà i connotati tipici delle evocazioni di Shakan, ovvero sarà traslucido e opaco, quasi come un fantasma, ma, proprio per questo, ancora più turpe: comunque, benché plasmata sulle fattezze del Conte, l’evocazione non sarà altro che l’esteriorizzazione delle paure e delle colpe di Shakan stesso. L’essere, pertanto, si avventerà sugli avversari con le proprie grigie mani ossute e taglienti, lanciando urla raccapriccianti dal volto scheletrico nascosto sotto la tunica. L’evocazione si rivelerà sempre di una discreta forza e, per questo, avrà potenza media, restando in campo per una durata massima di due turni { abilità Alta }.

Passive:

CITAZIONE
La Solitudine - Difesa psionica passiva. [Passiva razziale del Mezzo-Demone]

CITAZIONE
L'illusione è complicità. Illusioni castate senza vincoli fisici, col 5% di sconto sul consumo energetico, ma mai sotto l'1% [I e II livello del Dominio Illusionista, Passive] Illusioni non riconoscibili o distinguibili con tecniche passive. [Personale 1/6, Passiva]

CITAZIONE
Il fantasma è eterno. Tutte le evocazioni sono intangibili e, quindi, immuni al semplice danno fisico. [Personale 3/6, Passiva]

CITAZIONE
Il potere mi ha maledetto. Permette utilizzo di pergamene da negromante. [Personale 4/6, Passiva di Metagame]

CITAZIONE
L'Abiezione. Passiva che induce timore nei confronti di coloro che si avvicinano a Shakan. [Personale 5/6, Passiva]

Armi:

CITAZIONE

spadajanzcopy

Cupiditas - [Malus - la spada può sempre comunicare col portatore ignorando eventuali difese psioniche; Passiva - l'arma è legata a Shakan e non può essergli sottratta].
Cruciatus ~ Infinito tormento del giusto castigo. [Passiva - i ricordi dell'episodio che ha prodotto Cupiditas tormenteranno Shakan e non potranno essere dimenticati o alterati; Media, psionica - Shakan può condividere quei ricordi o le sensazioni ad essi collegate con un bersaglio singolo]. Sfoderata.

Washi, la carezza del fantasma: equipaggiata braccio sinistro, artigli non estratti, inutilizzabile per il braccio rotto;

Riassunto:

Schematizzo:
- Shakan vola sul campo di battaglia, salvato da Alexandra che lo tiene per un braccio;
- I pochi momenti di "volo" diventano attimi, Shakan capisce di essere importante per qualcuno - finalmente - e si scopre innamorato di Alexandra, anche se è restio (oltre che alquanto impossibilitato) a dichiararsi;
- Appare la Purgatory che sgancia i tizi della "Feccia";
- Un membro della feccia sganciato dalla nave impatta contro di loro e si aggrappa ad Alexandra;
- Shakan capisce che sta trascinando giù Alexandra, perché il peso ora è maggiore e quindi decide di lasciarsi cadere, dichiarandosi a lei un secondo prima;
- Con lo sguardo vede Finnegan arrivare verso Alexandra (col Dreambreaker finale del suo precedente post) e salvarla dal tipo della Feccia, oltre che accompagnarla in salvo;
- Seppur ferito dalla nuova caduta, Shakan ora ha una ragione per vivere, anche se sa che morirà comunque;
- Decide di combattere fino all'ultimo istante di vita, forte del suo nuovo sentimento;
- Lancia su se stesso "Corpo d'Ombra", rendendosi immune agli attacchi fisici ed invisibile se coperto dall'ombra;
- Evoca l'evocazione a potenza "Media" dell'artefatto dell'Abiezione;
- Sostanzialmente usa l'evocazione come "esca" per i nemici (è intangibile ai fisici anche lei, per la passiva), mentre Shakan si muove nell'ombra con Cupiditas, cercando di sferrare più fendenti possibile;
- Ad un certo punto sente un urlo che proviene da Finnegan e cerca di raggiungere la fonte;
- Trova Finnegan svenuto a pochi passi da Alexandra;
- Vede Alexandra impaurita e cerca di farle capire che lui è ancora lì e che la proteggerà fino alla morte;
- Capisce che Alexandra non è rassicurata dalla cosa e subisce l'attacco ad area lanciato da lei, il quale ha una ripercussione psicologica che lo convince che lei non lo ama, in realtà e che - quindi - non è ricambiato;
- Persa la sua ultima ragione di vita, Shakan viene sopraffatto dal dolore e dalla stanchezza e sviene, accanto a Finnegan;
- Le sue ultime parole, ovviamente, sono per Ray.

Note:

1) L'ultimo "scontro" di Shakan, non l'ho impostato come un autoconclusivo contro mostri, intendendosi che non fosse questo lo scopo. Shakan, infatti, non cerca di "uccidere" nessuno, ma solo di "sopravvivere". Infatti si casta una difesa ed un'evocazione a fargli da supporto, cercando di colpire qualunque essere che provi ad attaccarlo. Non ho specificato, appunto, quanti esseri Shakan uccide proprio perché non vuole ucciderne nessuno, ma solo impedire che siano loro ad uccidere lui (quindi, non sapendo quanti lo attaccano, ho lasciato che a definirlo sia il QM).
2) Al solito, le azioni degli altri sono concordate con loro.
3) Il calcolo dei danni è dovuto ad un alto per la caduta (partendo dal presupposto che prima ho beccato un critico cadendo dalla fenice, ipotizzando che la caduta di ora sia a metà dell'altezza di quella precedente, mi sono beccato la metà del danno). Poi l'altro medio è dovuto alle ferite che mi procuro nell'ultimo scontro.
4) Shakan sviene non per la fine delle energie, ma per la somma di tutte le ferite del corpo e della mente, oltre per il fatto che - privo di speranza - si "lascia morire".
5) Non ho ben capito se è l'ultimo post del valzer in assoluto, ma ho capito che è l'ultimo mio di Ragnarok (credo). Colgo l'occasione, quindi, non sapendo se ce ne saranno delle altre, per ringraziare tutti della splendida avventura, che ha caratterizzato un pò la mia vita da febbraio ad oggi. Ringrazio Lenny, Jimmy ed Esca per lo splendido ultimo turno, Kac e Foxy per le belle giocate e - sopratutto - tutti gli amministratori per il lavoro impagabile, sopratutto Ray ed Eitinel. Mi reputo una persona fortunata: ho potuto sognare grazie alle vostre storie, viaggiare in quest'avventura e gioire, arrabbiarmi, intristirmi per essa. Ho avuto la fortuna di vivere una seconda vita, circondandomi delle fantasie più belle che potessi chiedere: è l'immaginario, la realtà plasmata da persone come voi che rende questo gioco qualcosa di speciale. E speciali siete voi, per quello che date: non dimenticate mai l'importanza di poter dar forma ai propri sogni con semplici parole, perché non è qualcosa di comune, né di semplice. Nel suo piccolo, tutto questo ha reso il mio mondo migliore. Dal profondo del cuore, quindi, grazie.

edit. correzione di un piccolo errore di layout (c'era un » a capo).



Edited by janz - 10/10/2011, 02:27
 
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Tristàn Cousland
view post Posted on 10/10/2011, 02:27




Varyags Of Miklagaard


Miklagaard has been our home for twenty years or more.
We've lent our axes, spears and swords in service of the emperor.
We are loyal warriors, that's the oath we gave;
To protect the emperor even to a violent grave!
Our loyalty was always firm, we kept our given word,
On these southern battlefields, our northern war cries roared!
Battles have been fought, many gave their lives.
But all who died by axe and sword were called to hall up high.
Our time here is now at end.
Can't help but reminisce a cold spring day...
So long ago when we set out to sea!
We! Set out from Svitjod's Shores! With dreams of fame and Gold!
And! The work of weaving Norn's! Was for us unknown!
It's time to take farewell
We have been resolved
From the sacred oath we gave, it's time to go back home.
Our time here is now at end; our memories will stay of Miklagaard!
Our southern home, until the end of days!

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La vera Apocalisse.
Che il genere umano avesse davvero raggiunto il picco più basso e miserabile della sua storia?
Che davvero le potenze Superiori avessero deciso di reputarli indegni di continuare a vivere?
Che la Punizione del Creatore si stesse realmente compiendo attraverso - o contro? - Ray e la Bianca Dama?
Dicono che ogni Leggenda nasconde un briciolo di verità.
Che ogni singola storia fantastica potrebbe far risalire le sue radici in avvenimenti passati realmente accaduti.
Le narrazioni riguardo la Fine del Mondo, in particolare, avevano tutte una manciata di punti in comune, dettagli di un certo spessore che le accumunavano tutte, indipendentemente dal contesto in cui si abbattessero: dei capisaldi costanti a forgiare l'intero mito.
Tristàn, perso nella sua ignoranza guerriera, si era convinto di trovarsi a vivere l'Ultimo dei Giorni, dimenticando del tutto il fattore principale, che aveva sempre accompagnato ogni singola triste novella: la discesa del Caos a distruggere l'ordine Divino.
Se il suo senso dell'oggettività non fosse stato dilaniato, andato perduto a causa delle mostruosità cui stava assistendo, avrebbe potuto facilmente notare la mancanza di tale elemento. Vi erano i Giganti, vi era il piano del Cielo, vi era la ribellione delle Terre, vi era l'Odio dilagante tra le specie, oramai impossibile da trattenere, ma l'Ordine vigeva ancora. Gli eserciti, compatti, si fronteggiavano adoperando ancora basilari tattiche militari, lo scontro procedeva ad un ritmo, seppur non lineare, ma quantomeno progressivo in un crescendo di sorprese e sofferenze. Salvo alcuni avvenimenti dalla straordinaria portata, messi in atto dalla Paladina dell'Asgradel, la battaglia andava snocciolandosi come molte altre che lo stesso cavaliere Grigio aveva vissuto.
Non ebbe neanche il tempo di levare la spada al cielo, pronto ad esplodere in un grido di gioia quando i Giganti si mossero, schiacciando e riducendo in poltiglia - con una facilità impressionante, senza alcuna rabbia, conseguenza del loro semplice muoversi - un gran numero di Elfi, che una nuova catastrofe gli gelò il cuore.
La discesa del Caos si incarnò in un qualcosa di estremamente familiare: la Purgatory.
Ancora ricordava, con mitigata malinconia, il freddo giorno d'inverno in cui per la prima volta l'aveva veduta. Come dimenticare la sorpresa e lo sconcerto mescolati ad un fortissimo senso di ammirazione? Inizialmente aveva creduto si trattasse di una mera illusione, di un artificiosa magia atta ad intimorire i nemici del Goryo. Solo in seguito avrebbe compreso l'intricato sistema meccanico che aveva permesso a tale nave, quanto di più simile a quella di un regolare pirata, ma capace di viaggiare tra le nuvole anzichè negli oceani.
Il clan Goryo rappresentava per lui la sua stessa missione.
Non si era arruolato spinto da un profondo senso di giustizia, dall'intima necessità di punire i malvagi, tenendoli lontani dalla società civile: aveva messo piede nel territorio di Hyena esclusivamente per avere una testa di ponte sul continente, un ritrovo ove poter pianificare con estrema tranquillità e precisione le ricerche dell'amata e dell'erede. In cambio dei suoi servigi, infatti, aveva sempre potuto avere a sua disposizione scout e spie di ogni genere, provenienti da ogni parte del mondo conosciuto. Ciò, mescolato ai numerosi interrogatori cui aveva sottoposto larga parte della Feccia catturata, l'avevano più volte messo sulle tracce dell'Eretica, senza che però fosse mai riuscito a raggiungerla.
Col passare dei mesi, senza che neppure lo volesse, aveva preso ad identificare la nave volante del Goryo come la sua seconda casa. Man mano che la speranza di riunirsi alla sua famiglia era scemata - ma mai aveva osato ammetterlo, non avrebbe potuto accettare quella realtà -, un sentimento quasi patriottico l'aveva avvolto e confortato.
Era certo che sarebbe stato ricordato anche per la sua militanza, durante la fine stessa del Mondo, tra le schiere di Hyena.
Tristàn Cousland.
Custode Grigio. Nobile del Ferelden. Eroe di Denerim. Gerarca del Goryo.
Marito e padre.
In cuor suo aveva nutrito la certezza che, qualora Ray avesse voltato loro le spalle e rotto il patto che li legava, sempre se non avesse trovato la morte in quelle lande desolate, avrebbe potuto far ritorno alla Purgatory come se niente fosse accaduto, ricominciando, con la testardaggine del peggiore dei muli, le sue ricerche. Aveva sottovalutato decisamente l'entità della battaglia che stava infuriando. In gioco non vi era un feudo o una donna, la Dama e il Sovrano non erano arrivati ai ferri corti per preziosi tesori o per territori da annettere a quelli già propri: il continente stesso, indipendentemente da chi avrebbe trionfato, non sarebbe mai più stato lo stesso.
Solo il Goryo non sarebbe mutato. Avrebbero veleggiato verso altri lidi: reputava quello il vantaggio dell'essere un clan nomade.
E invece apparve dal nulla, senza alcun preavviso.
Solo il rombo dei motori, il ringhiare dei propulsori, fecero presagire la sua venuta.
E fu così che il respirò gli si mozzò, che una dolorosa fitta gli attraversò il petto quando, con disarmante semplicità, vide la prua della nave del buon Tavros squarciare le nuvole, filare leggiadra attraverso la tempesta, sovrastandoli tutti.
Un artistico ammasso di ferraglie e legno sospeso nel vuoto sopra le loro teste, emblematica sfida agli Dèi stessi.
Incurante delle intemperie, incurante del dipinto di morte e speranze spezzate dipinto sulla viva tela sotto di essa, avanzava con la forza di un leone, indomito, libero, fiero.
«No... non è possibile...»
Biascicò il cavaliere con un filo di voce, forse in direzione di Viktor, l'unico che avrebbe potuto comprendere e condividere quel suo tormento.
Hyena, il Capitano del Clan Goryo, non sarebbe rimasto a guardare.
Confermando il suo carattere - con il quale spesso il Cousland era venuto ai ferri corti, ma lo stesso che aveva imparato a reputare adatto ad un uomo con simili responsabilità - indipendente, spericolato e libero da ogni legame, l'Immortale faceva il suo ingresso in campo, violento araldo del Caos. Anch'egli ardente di desiderio, anch'egli, come una iena, alla ricerca della sua fetta di gloria. Come un famelico sciacallo si fiondava su bestie ormai ferite, approfittando della loro debolezza per edificare il proprio trionfo. Che avesse atteso di proposito che gli eserciti si provacassero tante offese? Che avesse atteso il momento propizio per sferrare il colpo finale a schieramenti già provati?
O che volesse semplicemente sfruttare tale soqquadro per esprimere la supremazia del Goryo? Ciò avrebbe spiegato il perchè un ingresso simile, a cavallo della roccaforte stessa del clan; questa arrancava penosamente, la fierezza estetica deturpata dalla lentezza cui era condannata, una Puttana troppo grassa per montare velocemente. Una Puttana regale, specchio di un'antica bellezza ormai decaduta. Gravida al pieno, anche di più, delle sue capacità.
Fottuta dalla Feccia, traboccante di aborti della natura, stipati come cadaveri in celle modeste e maleodoranti, incatentati per l'eternità, in un Purgatorio eterno duro come l'Inferno.
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Una vampata di terrore sembrò paralizzare il bianco cavaliere: no, non paura, vergogna ad esser sinceri.
Indipendentemente da ciò che stava accadendo, si sentì profondamente in colpa.
Un traditore della peggior specie. Lui ed il vecchio al suo fianco avevano abbandonato il clan spinti solo dal cieco desiderio di raggiungere i loro scopi, arrivando addirittura ad accostarsi ad una figura tanto odiata e disprezzata dal loro comandante.
Solo una domanda gli ronzava nella mente: da che parte stava? Con l'Asgradel o con il Leviatano?
Ben presto questi tetri pensieri furono scalzati da una necessità più impellente: respingere la follia di Hyena.
Per trovare risposta a tale quesito non dovette far altro che seguire con lo sguardo lo spostamento della nave volante: migliaia di occhi erano puntati sul suo scafo, elfi ed orchi sembravano come svuotati da ogni furore, ammaliati - almeno quanto lui - da quella visione tanto allucinante.
Questa, attraversando l'intero campo di battaglia, sganciò tutti i settori relativi ai detenuti, bombardandoli tutti non con bombe o esplosivi, bensì con le peggiori canaglie del continente. Quella un tempo conosciuta come "Grassa Puttana", vomitò anime impure, strappate all'Inferno su loro tutti, senza alcuna distinzione, portando nuovi nemici ed alleati ad entrambe le fazioni. I compartimenti stagni, con un clangore metallico assordante, s'aprirono all'unisono: grida demoniache, forse anche peggiori di quelle che avrebbero provato i dannati tra le fiamme eterne, miste a gemiti colmi di eccitazione squarciarono la piana.
«Maledetto figlio di puttana...»
Esclamò a stento il Custode Grigio, quasi meccanicamente, travolto dall'emozione.
Ecco con chi aveva deciso di schierarsi Ramon: con se stesso, unicamente votato alla sua personale causa.
Tali aberrazioni della natura mai avrebbero dovuto rivedere la luce del giorno. Non erano uomini, non erano animali, non erano nulla: spettri indefinibili, mostruosità che erano state, giustamente, tenute prigioniere fino a quel momento, affinchè non potessero perpetrare ulteriormente nelle loro inutili vite. Criminali della peggior specie, apprendisti del demonio.
Mulinando armi occasionali, per lo più pezzi di ferraglia raccolti tra i detriti di quelle che erano state le loro celle, si lanciarono all'attacco, fiondandosi contro chiunque capitasse loro a tiro, indipendentemente dalla lunghezza delle orecchie o dal colore della pelle. Erano tornati liberi e avrebbero fatto pagare cara a tutti loro la prigionia cui erano stati sottoposti.
Gli scontri ripresero all'istante, ancora più ferinamente.
«Viktor... noi siamo stati i loro carcerieri...»
... non pensi che avranno una gran voglia di farcela pagare?
Non terminò la frase, certo che il vecchio avrebbe colto all'istante la sua palese allusione.
«Forse c’è un modo, Tristàn, per rovesciare la situazione».
Asserì il germanico, lanciandogli poi un sorriso piuttosto inquietante.
«Avremo solo bisogno di un nostro comune amico».
L'Eroe del Ferelden non comprese, tuttavia rispose con un cenno positivo del capo, sfoderando con la destrosa Dumat, già lorda di sangue nemico. Viktor conosceva le arti magiche ben più di lui, confidava dunque che non lo avrebbe deluso.
Lui, da bravo guerriero - del tutto inesperto nell'utilizzare altro che non fossero le sue armi -, avrebbe però dovuto coprirgli le spalle dalla Feccia: alcuni di essi, infatti, si stavan già dirigendo di gran carriera verso la loro posizione; dovevano averli riconosciuti.
«Orchi! A me! Formazione compatta attorno al Generale!»
Ringhiò con autorevolezza verso un reparto di picchieri poco distante, il quale si mosse, come una sola creatura, raggiungendolo. Una manciata di Pelleverde e niente più: insieme a loro avrebbe retto l'avanzata nemica il giusto per fornire al compagno d'arme il tempo necessario ad utilizzare la sua arcana conoscenza.
Viktor. Dinnanzi lui, un compatto schieramento di imponenti seguaci di Gruumsh. Tristàn alla loro testa, in prima linea.
Dumat in pugno. Dumat risvegliata dal suo sonno. La splendente Dumat spaccò il cranio del primo furfante che, solitario, si avventò sul suo portatore.
Quel primo sangue, provocò la carica di decine di ex detenuti.
Gli occhi fuori dalle orbite, arrossati, i volti stravolti a mostrare espressioni folli. I lerci capelli al vento, i nudi corpi malnutriti in bella vista, chiazzati da ferite e segnati da pustole e cicatrici - molte, sicuramente, provocate da carcerieri meno misericordiosi del Cousland.
Non avevano padrone, non avevano bandiere, non avevano scopi: solo il malsano desiderio di sfogare la propria collera. Era l'ira a tenerli in piedi, cadaveri animati dalla follia.
Ed allora egli realizzò di essere come loro: un cane sciolto.
Il giuramento prestato al Leviatano sembrava non valere più nulla: li aveva abbandonati a combattere la sua battaglia, sacrificandoli senza alcun timore, il giusto - dal suo punto di vista - tributo affinchè potesse elevarsi allo stato di divinità. Non vi era più un briciolo di onore o di gloria su quel campo di battaglia: una volgarissima baruffa su ampia scala, dove chiunque puntava esclusivamente ad affondare la propria arma nelle carni altrui, ancora e ancora, trafiggendone quanti più possibile prima di cadere a sua volta. Sarebbe morti invano, nessun poeta avrebbe mai narrato delle loro gesta. Che l'Era dei cavalieri stesse volgendo al termine? Come poteva, un uomo del suo rango, ritagliarsi uno spazio in un mondo così corrotto, dove menzogne e tradimenti erano pane quotidiano?
Non ebbe tempo per prolungarsi in tale riflessione, i due sparuti plotoni - il suo, quello orchesco e quello improvisato composto da membri della Feccia - si scontrarono caricandosi a vicenda.
Urla sacre rivolte alla propria divinità si fusero a rantoli e strilli acuti, privi di ragione alcuna.
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Gli orchi supportati dalla fede e dall'impeto, la Feccia sorretta dalla pazzia che aveva ormai schiavizzato le loro menti.
Il primo a morire fu un bestione alla destra di Tristàn, trafitto alla gola dal giavellotto di colui che sembrava comandare quella banda di pezzenti; il più grosso tra loro, dal capo rasato e dal volto sfigurato. Dietro a tutti, colpiva dalla distanza e inciatava i cani che lo seguivano. Impugnava un'alabarda, già intrisa di caldo sangue, raccolta chissà dove.
Incrociò il suo sguardo ed entrambi seppero che uno dei due sarebbe morto.
Il problema, per il Generale, era riuscire a farsi largo tra quelli che un tempo erano stati i suoi prigionieri. Orchi e cani si combattevano senza alcuna pietà, tutt'attorno al vecchio, il quale sembrava caduto in uno stato di grande concentrazione che doveva averlo tagliato fuori dalla realtà circostante.
«Massacrateli! Massacrateli tutti!»
Urlava, avanzando supportato dai suoi.
Un fendente, una gola tagliata. Un affondo, una vita spezzata.
Si ritrovò senza quasi accorgersene con anche la seconda spada nel pugno, intento a turbinarle in contemporanea creando dei vortici di metallo che non lasciavano intatte le nude carni dei prigionieri, quasi del tutto sprovvisti di protezioni. Hyena glieli aveva mandati contro, ma non aveva donato loro alcunchè con cui affrontare la situazione: carne da macello avente la sola utilità di rendere più caotico il tutto.
Proseguiava in linea retta, certo che i commilitoni gli avrebbero protetto i fianchi, lasciandosi alle spalle una scia di cadaveri nemici e amici. Gridava e colpiva senza tregua, pervaso dalla frenesia, come sovente gli accadeva nei momenti più concitati.
La personificazione della Guerra nella sua splendente armatura.
Spade cozzarono, tubi metallici e mazze vennero a contatto con la sua bardatura, senza però riuscire a scalfirla: ognuno di costoro, fallendo nell'unica possibilità di colpirlo, ricevava poi un colpo mortale.
Ancora, ancora e ancora. Infilza, ritrai, affonda.
Para, schiva, arranca.

Qualcosa sibilò nell'aria e lo colpì alla fronte. Perse il senso dell'orientamento e crollò pesantemente al suolo.
Un forte dolore gli assalì le tempie. Tutto tacque, solo il folle tamburellare del suo cervello contro le ossa dal cranio. Le grida si persero nel vuoto, riducendosi a suoni lontani, ovattati. La realtà assunse connotati onirici: strane forme si affaccendavano tutt'attorno, nascoste in un velo di nebbia.
Stava per chiudere gli occhi quando si sentì afferrare da sotto le ascelle; due forti mani lo sollevarono senza fatica.
Ancora intontito, si ritrovò malfermo sulle proprie gambe con un enorme figura che gli si parava dinnanzi: un orco, abbaondantemente coperto di sangue - suo, o di terzi, questo rimase un mistero.
«Umano! UMANO! Comb...»
La roca ed affannata voce si ruppe. Uno spasmo, subito seguito da un secondo, lo scosse. Il colosso boccheggiò alla ricerca d'aria. E infine crollò a terra, rivelando due giavellotti a trafiggergli il petto.
Immediatamente il Custode si riebbe, scosso da tale visione: per rialzarlo aveva esposto la schiena al nemico, il quale ne aveva codardamente approfittato. Non avrebbe lasciata impunita tale onta.
Con la forza di un orso, caricò a testa bassa, aprendosi la strada a colpi di spada, lasciando il resto della truppa a fronteggiare la Feccia, arrivando, finalmente, faccia a faccia con l'energumeno pelato, il giavellottista.
Era un uomo dalle dimensioni realmente spropositate. La sua altezza doveva superare i due metri e venti: il collo taurino, gli occhi, porcini e maligni incavati in un viso ricoperto da strati di grasso.
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Come un vulcano, eruppe in una risata, scoprendo i denti - più simili a zanne, viste le dimensioni.
«Eccolo qui! Il cavaliere del mio cazzo! Quanto ho desiderato questo momento!»
Tuonò, sputando ai piedi del Custode Grigio, mulinando dinnanzi a sè l'immensa alabarda, puntandogliela contro.
«Tu, lurida bestia...»
Ringhiò in risposta Tristàn, il quale, armi in pugno, aveva preso a girare attorno al bestione, cercando la giusta angolazione per assalirlo.
«Vedo che mi hai riconosciuto!»
L'aveva riconosciuto.
Robert De Puis era il suo nome. Accusato di aver stuprato ed ucciso sei bambine.
Quando Tristàn, con alcuni altri membri del Goryo l'aveva catturato, il cadavere di una delle piccoline giaceva ancora al suo fianco. Dovetterlo fermarlo in tre perchè non lo uccidesse all'istante. Benchè non l'avesse mai conosciuto, era anche lui un padre: e il suo pensiero che personaggi del genere fossero liberi di girare l'aveva riempito di nausea e orrore.
Finalmente però, qualcosa di positivo stava accadendo.
Ora niente l'avrebbe fermato dallo spedire quel abominio tra le fiamme dell'Inferno.
«Questa volta nessuno potrà trattenermi.»
Sibilò con estrema apatia mista a fredda determinazione.
In vita sua, raramente aveva desiderato a tal punto la morte di un uomo.
Non avrebbe sprecato tale occasione agendo d'impulso: avrebbe sfruttato la stazza dell'avversario e la stupidità in cui sarebbe sicuramente caduto a causa della sete di vendetta. Gli lasciò la prima mossa.
Questo, sempre con un sorriso sornione stampato tra le pieghe di grasso, avanzò pesantemente, cercando di affondare la punta dell'alabarda nel petto del Custode: fu piuttosto rapido, più di quanto avesse preventivato, tuttavia piroettò di lato evitando. Sfruttando la posizione sbilanciata del nemico, tentò di calare Dumat sulla viscida carne della schiena, tra le scapole. Prima ancora che potesse calarla del tutto, una morsa gli serrò la gola: serpentino e letale, Robert aveva reagito in tempo. Lo sollevò di peso, bloccandogli la trachea e lasciandolo penzoni, godendo nel vedere il cavaliere che lo aveva messo in catene ad un passo dal soffocamento.
«Senti la vita abbandonarth eh!»
Proruppe a pochi centimetri dal suo volto, schizzandogli purulenta bava sulla visiera dell'elmo.
Non poteva permetterselo. Non dopo tutta la strada che aveva percorso, non dopo tutte le mostruosità che l'Asgradel gli aveva vomitato contro. Titani, Fenici... ed ora fottuto pedofilo lo avrebbe privato della vita? Non sarebbe morto, non per mano sua.
Sfruttando quella suo abbassamento della guardia - da perfetto imbecille si lasciò andare al godimento di una vittoria non ancora segnata -, Tristàn gli sferrò un calcio alla bocca dello stomaco, interrompendo il contatto e facendo crollare in ginocchio il bestione. Ancora una volta il cavaliere passò all'attacco, colpendo la mascella dell'assassino con una poderosa ginocchiatta, la quale lo fece ribaltare e crollare sulla schiena. Imprecando oscenamente contro ogni divintà conosciuta e col sangue che copioso gli macchiava il prorompente petto, tentò di rimettersi in piedi. Le gambe gli vennero mozzate di netto: con un doppio fendente in contemporanea, l'uomo del Ferelden privò il carcerato della sua mobilità.
«Pezzo di merda! Fottuto bastardooo!»
Rantolò Robert, scosso dalle convulsioni, sconvolto dalla vista della pozza di sangue che andava formandosi ai suoi piedi.
Con estrema calma, il Custode si avvicinò all'ammasso di carne in putrefazione, girandogli attorno e fermandosi alle sue spalle. Chinò il capo e lo fissò negli occhi, senza trovarvi nemmeno un briciolo di rimorso: solo odio, lo stesso rancore che l'aveva portato ad agire in quel modo fino a meritarsi di finire nelle segrete del Goryo.
Calò la lama, trafiggendogli la gola, tranciandogli di netto carne ed ossa, mettendo fine alla sua inutile vita.
Un profondo senso di pace calò su di lui. Mai un omicidio aveva migliorato il suo umore. Mai, fino a quel giorno.
Stava per fare dietro-front per accertarsi delle condizioni del manipolo di orchi - di cui, ahimè, si era del tutto dimenticato nella foga dello scontro - quando il gelo lo pietrificò. Il dolore esplose con qualche secondo di ritardo. Era stato trafitto al costato, ma a giudicare dalla perdita di sangue, nessun organo vitale era stato sfiorato: fortunatamente doveva trattarsi di una lama di modeste dimensioni, forse di un coltello, non di certo di quella di una spada. Senza curarsi di ciò che era accaduto, si voltò e si trovò, con ancora il pugnale tra le mani - lordo del suo sangue - un ometto patetico, gracile e macilento, che gli lanciò un'occhiata terrorizzata. Meccanicamente, prima che potesse darsi alla fuga, Tristàn lo decapitò con un colpo preciso e metodico: morì prim'ancora che la sua testa toccasse il suolo.
Lentamente, notando che gli orchi superstiti avevano trovato la vittoria, arrancò verso Viktor, sperando che avesse avuto il tempo necessario ad attuare il suo stratagemma.
Non sarebbe però stato l'unico a muoversi per spingere il nemico.
Ancora una volta, gli Sciamani, perla dell'esercito, avrebbero dato il loro contributo ai loro fratelli in prima linea, ora sotto attacco da molteplici fronti. Alcuni di essi si sarebbero concentrati a proteggere i loro corpi, evocando delle mistiche armature, così da permetter loro di avanzare senza alcuna paura o riserva. Altri, convogliando la propria indole elementale, avrebbero evocato degli avatar del Fuoco, globi ardenti dotati di volontà propria. Questi, letali e precisi, avrebbero scagliato parte della loro stessa natura contro qualunque nemico: elfi e carcerati, senza distinzione.
Notando il lavoro di questi ultimi, si sentì sollevato e lanciò un'ultimo sguardo alla Purgatory, sua dimora per lungo tempo. Fece giusto in tempo a vederla prender quota, ormai palesemente indirizzata verso il Nero Sole. Digrignò i denti, serrò la mascella e imprecò, incapace di spiegarsi cosa diavolo stesse combinando Hyena.
Tra lo stupore generale, questa venne risucchiata dalla massa d'ombra.
Così come era giunta, la sede del clan Goryo scompariva.
E finalmente tutto fu chiaro.
Hyena non era un bastardo senza ideali.
(O forse sì, ma seppur indirettamente stava salvando quel mondo).
Ramon Espejo aveva sacrificato ciò che aveva creato, plasmato nella fatica, pur di impedire che quel mondo finisse per capriccio di uno dei due Comandanti. Dama Bianca e Leviatano: due facce della stessa, megalomane, medaglia.



[ReC 275] [AeV 275] [PerF 325] [PerM 325] [CaeM 700]
[Basso. 2%] [Medio. 6%] [Alto. 15%] [Critico. 33%]
[Energia. 100%]

Status Fisico: Danno Medio alla schiena - Contusione di lieve entità al capo - Ferita da taglio al costato.
Energia Totale: 100% 42%
Energia Utilizzata: 0%
Energia Restante: 42%

Abilità Passive
    ¬L'essenza di un Custode.
    ± Di tutte le razze, i mezzi demoni sono senz'altro quelli più denigrati, allontanati e scacciati di tutti. Proprio per questo, quindi, hanno dovuto imparare a cavarsela da soli e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. A forza di crescere in questo modo, i mezzi demoni si sono abituati a gente che tenta di intimorirli, minacciarli o irretirli e hanno sviluppato quella che potrebbe definirsi una particolare "Abilità razziale". Sono infatti parzialmente immuni alle influenze psicologiche. Non a tutte, si intende, altrimenti risulterebbero atoni e privi d'emozioni, ma senz'altro, a differenza di tutte le altre razze, si lasciano intimorire meno facilmente e persuadere con notevole difficoltà. Il timore provocato dalla vista di demoni o angeli, ad esempio, non avrà su di loro effetto. Sensazioni profonde come forti paure, o tanto grandi, però, avranno comunque effetto. Quest'abilità è una normale difesa psionica di livello passivo.
    ± Con la sicurezza migliora anche il controllo delle proprie capacità combattive; fino a quando il possessore di questo dominio riuscirà a mantenere il sangue freddo e a non lasciarsi prendere dall'ira - o da altre sensazioni che finirebbero con il turbarlo - il suo valore di CaeM risulterà raddoppiato. Questo non influirà nelle sue doti di tiratore ma lo renderà estremamente abile in ogni genere di schivata, affondo o anche nel disarmare il proprio avversario. Chiunque apprenda questa disciplina di scherma risulterà essere un combattete eccezionale e ogni suo duello sarà un vero spettacolo in quanto a grazia e maestria.
    ± Non sempre però la grazia nei movimenti e le abilità di schermidore possono contrastare la forza bruta; cercare di disarmare o anche solo contrastare un bestione di più di due metri con una spada dalle dimensioni più simili a quella di una trave di ferro risulta spesso una missione disperata anche per il combattente più abile. Questo però non vale per coloro che sono diventati sempre più abili in questo stile di combattimento; una delle ultime lezioni impartite dai maestri consiste appunto nel focalizzare la propria calma e il proprio sangue freddo per riuscire a contrastare anche il più forte degli avversari. Fino a quando il possessore del dominio non si lascerà prendere dall'ira o non si lascerà turbare ogni colpo portato con la sua spada conterà come una tecnica di livello basso rendendolo quindi superiore a qualsiasi colpo portato da avversari anche enormemente più forti di lui.
    ± Questa pergamena non conta come una vera e propria tecnica, quanto come un'abilità passiva. Aumenterà infatti i "ReC" del personaggio di 50 punti, diminuendone però i "PeRf" di 25. Esternamente non vi saranno cambiamenti, e il guerriero apparirà come quello di sempre, anche se le sue capacità di concentrazione e i suoi riflessi saranno nettamente aumentati, a discapito di un leggero indebolimento fisico.La tecnica sarà sempre attiva e non avrà un consumo. Un ulteriore vantaggio è quello di permettere al guerriero di poter combattere anche una volta raggiunto il 10% delle energie, senza svenire. Un personaggio normale, infatti, trovatisi con poca energia o nulla, si sentirà spossato o comunque non in grado di combattere. Un guerriero con questa tecnica, invece, potrà tranquillamente continuare ad avanzare, quasi senza sentire la fatica, pur senza più poter utilizzare tecniche che comportano un dispendio energetico, che lo porterebbero alla morte.

Tecniche Utilizzate
    Runa Sacra - Il Custode si concentra sulla propria arma, che viene circondata da un alone oscuro, nerastro. L'arma, d'ora in avanti, infliggerà pesanti danni, e lascerà profonde ferite, indipendentemente dallo sfiorare o meno l'avversario, facendo così gravi danni. I danni saranno ulteriormente appesantiti sui demoni, che dovranno prendere le distanze dall'agente, a meno che non vogliano finire male. Il colpo non necessita di una lunga concentrazione, ma di un alto dispendio di energia. Ogni colpo inferto dalla lama in seguito all'attivazione della tecnica, quindi, va considerato come un colpo di livello Medio. Non potrà dividere in due le tecniche scagliategli contro dall'avversario, ma potrà distruggere barriere e altre tecniche difensive di livello inferiore al medio. Il potenziamento dell'arma non influisce per nulla sulla forza fisica o sul controllo e mira del personaggio. La tecnica dura due turni compreso quello d'attivazione, svanendo al termine del secondo turno. Incastonata nella spada. [consumo nullo, incastonata nella spada "Dumat" - 3 utilizzi a duello]

Note
Allora, come penso si sia potuto capire, il fulcro delle nostre azioni avviene tramite Viktor.
Tristàn si "limita" a proteggerlo dalla Feccia nelle vicinanze, tramite l'ausilio della pergamena "Arma Sacra", incastonata in Dumat. Fanti ed arcieri continuato imperterriti a fronteggiare il nemico, mentre gli sciamani rimasti utilizzano rispettivamente queste due tecniche - parte di essi una, i restanti l'altra.

CITAZIONE
Purgatorio: Dopo qualche istante di ferma concentrazione, e spendendo un consumo di energie pari ad alto, il mago sarà in grado di evocare una creatura composta da un elemento a discrezione del caster. Il globo non sarà in grado di muoversi, ma attaccherà scagliando proiettili del medesimo elemento scelto contro l'avversario, che andranno sempre considerati come semplici attacchi fisici. L'evocazione resterà sul campo di battaglia per due turni compreso quello di evocazione e la sua forza sarà sempre di un'energia minore a quella del caster, potenza media. L'aspetto della creatura evocata è a discrezione del mago, tuttavia non potrà mai essere più grande di un uomo o più piccola di un falco.
Consumo di energie: Alto

Armatura magica: Il mago dopo alcuni istanti di concentrazione sarà in grado di richiamare un potente incantesimo su se stesso, oppure un alleato. All'atto pratico sarà possibile materializzare una sorta di alone protettivo attorno al target scelto, che sarà visibile per qualche secondo sotto forma di un lieve bagliore viola. Il mago sarà quindi circondato da una sorta di armatura magica invisibile ed impercettibile, che non rallenterà minimamente i suoi movimenti, proteggendolo però da eventuali offensive di livello Medio o inferiore. La tecnica dura solamente per il turno in cui viene attivata e funge da difesa a 360°.
Consumo di energie: Alto

 
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Foxy's dream
view post Posted on 11/10/2011, 13:10




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Se il mondo potesse essere sventrato, sviscerato, se si potesse scorgere dentro quel cumulo di detriti che chiamiamo terra, non vedremmo altro che roccia, fredda e insensibile. Potremmo percuoterla, colpirla con quanto più impeto ci conceda l’anima e quanta più forza ci donino queste braccia fiacche, ma l’atavico non può essere scisso dalla concezione di inesistente, parallelismo annichilito dalla consuetudine di calcarla, senza chiedersi come possa rimanere inerme nonostante gli osceni spettacoli a cui assiste costantemente.
Mille e più piedi la pestano, altrettante e più zampe la scuotono. Sussultare non è che il segno d’essere presente, ma non è sufficiente a scalfire la cute riarsa dell’anima di quegli esseri vivi, eppure già morti. Potremmo vivere all’Inferno, e tutto avrebbe un significato. Potremmo vivere in un Purgatorio a caccia di redenzione, e tutto sarebbe più ragionevole. Il Paradiso non è un’idea contemplata, e neppure accettabile.

Non è un castigo,
non è l’accusa di aver commesso qualche peccato,
questo è semplicemente un Inferno senza alcun proposito.


...

In quel roboante incresparsi di propositi e intenti, ognuno pareva possedere un obiettivo da portare a compimento. Ogni anima gridava, ogni braccio si agitava. Non importava lo schieramento, non importavano le attitudini al combattimento, nulla aveva importanza in quell’ordine ritrovato e adesso già abbandonato. Uno spasmodico accavallarsi di eclettiche volontarietà, in superficie accomunate dal puerile voler vivere ma intrinsecamente lontane, accalorate dai propositi che avevano spinto quei corpi nell’orgiastica guerra del Crepuscolo.
Sarebbe sorto l’Inizio laddove sarebbe tramontata la Fine; osservando il cielo sarebbe parsa la risoluzione più semplice all’enigma.
E non solo gli elfi della buia Neirusien, non solo gli orchi guidati dalla luce di Gruumsh. Sarebbe stato forse egoista considerare quella guerra loro e loro soltanto. Ma quel filo si intersecava tante e più volte in altre vite e condizioni, denudandosi dell’altisonante chiave con la quale era cominciata per sminuirsi a mero principio logico, del tutto lineare. Causa e conseguenza.

“Chiamatelo karma,
chiamatelo destino…”


Senza appello o chiamata, solo un assordante stridio dall’alto, attraverso la volta smunta del mondo e il suo gravido inspessirsi. Una mastodontica nave fece il suo ingresso calcando il cielo per sfiorare il terreno, il suo profilo rugginoso si delineava in aspro contrasto col rudere del fu Bianco Maniero e lo sterile orizzonte di sabbia e rocce alle spalle degli elfi. Fuori luogo avrebbero ipotizzato i più, disatteso avrebbero esordito gli altri, ma l’essenza dell’essere consta nel mero esistere per quanto possa apparire paradossale o ripetitivo.
Uomini e presunti tali fuoriuscirono dalla sua grezza sagoma per mezzo di funi o scale, altri gettandosi direttamente nella calca senza alcuna grazia o buona dose di raziocinio, accogliendo la morte e la ferocia del conflitto come fosse consuetudine. Folli, pazzi bramosi di sangue armati nel modo più disomogeneo, tutto fuorché un esercito, ma altrettanto forti e aitanti da far fronte ai due schieramenti in contemporanea.
E scoppiarono le ostilità in ogni dove, schermaglie nelle retrovie e guerra aperta nel fronte più vivo. Ogni strategia bellica era andata perduta, nuovi guerrieri ovunque, all’interno delle fila elfiche o già dentro la fiumana orchesca. Strepiti e clangori, seguiti subitanei da urla strazianti o gutturali versi di dolore. Il caos, vorace e insaziabile, autore di un tutto che ora si disfaceva, roccia ridotta in sabbia.

“…chiamatelo fato,
o coincidenza.”


La regina assistette all’ingresso dell’ennesimo ospite inerme, impotente, trasalendo appena, dannando quel fato astioso o forse ringraziandolo in cuor suo. Una guerra di nessuno combattuta da uomini senza nome, quale più sarcastica fatalità? Ma i suoi intenti non mutarono, quel folle viaggio attraverso il cielo non virò in alcun modo, un unico pensiero troneggiava sugli altri adombrando qualsiasi altra incombenza. Un esercito in preda a uno sbaraglio irrecuperabile, la scomparsa di un compagno in quella ressa fitta e opprimente come una selva – solo lui.

Shakan. Un altro sbatter d’ali.
Il di lui braccio proteso in sua direzione.
« Afferra la mia mano! »
Provvidenziale.


Il viso si ornò di un sorriso compiaciuto nell’averlo ritrovato, e nulla importava dello sforzo fisico nel sostenere il di lui peso con un solo braccio. Lei era forte, più di quanto avesse mai creduto.
Lo sguardo indugiò sui suoi capelli bianchi, sulla fronte corrucciata dallo sforzo e dal dolore, sulla cute esangue, sui lineamenti spigolosi. E sorrise ancora, senza un perché, non chiedendosi neppure il motivo di quella reazione fuori contesto, dolce e carezzevole, mentre ai suoi piedi imperversava la più grande guerra mai combattuta a memoria d’uomo. Eppure non le importava.

“Chiamatelo caos,
o disordine…”


Volava, ancora. Sfuggevole a tutto, lontana da tutti.
Il cielo era il terreno più sicuro, ma per quanto ancora avrebbe retto?
Cercava un posto nel quale ripararsi dal conflitto, un angolo di pace per i superstiti dell’Apocalisse, ma i riflessi acciaiosi di quella nave l’artigliarono catalizzando la sua attenzione. Sollevò il capo e la vide sollevarsi nuovamente, cigolando, lamentando il tormento di quell’azione per affondare il cielo buio, in direzione del sole nero, col chiaro intento di collidervi contro.
Ma se della disattenzione si può fare una colpa, Alexandra mai fu più colpevole.
Voltò il capo e non vide altro che lo sporco ghigno di un viso sconosciuto, sudicio di terra e sangue.
Impallidì. Gelò nelle membra.
Non comprese in quel fulgido istante, non udì altro che una vuota risata, non vide altro che la forma obesa di un uomo attaccatole alla gamba. E la trascinava giù di peso, nell’apnea di uno sforzo insostenibile per una donna soltanto.
Tremava. Un rivolo di sudore le colò giù dalla fronte, la mascella contratta dalla fatica non accennava ad alcun altro movimento, e la sinistra che stringeva con vigore la mano dell’illusionista. In quegli attimi i suoi occhi raccontarono di una vita, di una moltitudine di emozioni e sensazioni impossibili da quantificare o identificare. Rabbia, ira, passione, languore, supplica, decisione, odio, e raccontarono d’amore, infine, ed era per lui – per Shakan.

« Io ti amo »
Nebbia. Fumo negli occhi.


Improvvisamente si sentì libera, leggera del suo peso, affrancata dal vincolo di quella stretta. Il tempo, tratto come una molla, si arrestò fino allo spasimo ultimo, gli occhi sgranati, umidi, le labbra tentarono di articolare qualcosa, ma la molla già scattò nel suo moto e non poté far nulla per tornare indietro.

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« Shakaaaaaaaan! »
Disperazione. La fine di ogni sentimento.


E d’istinto scalciò, sbraitò con l’intento di scrollarsi di dosso la mole lardosa di quell’uomo sì simile a bestia. Tentò qualsiasi cosa le fu possibile tra cui gomitate, pugni, ginocchiate e persino una testata, ma quelle sue mani si avvinghiavano sul suo corpo come tentacoli provvisti di moleste ventose. E continuava a tirarla giù laddove altri l’attendevano, in attesa del bottino di guerra, inerpicandosi sul suo corpo come in una scalata.

« Bastardo mollami… »
E assecondò quell’ultimo strepito con un altro pugno al di lui volto,
ma di risposta non ebbe che un ghigno sardonico,
pregno dei più turpi pensieri che mente possa elaborare.
« E sta’ un po’ ferma - puttanella! »
Arrogante. Sprezzante.


Tuttavia non udì terminare quella frase che una percossa le giunse dietro la nuca, inaspettata, bruciante come una stilettata e veemente come un gancio. Avvertì la sua presa al collo, mentre i sensi pativano quel morbo senza difesa alcuna, anestetizzati dallo stato confusionale indotto dal colpo.
Il mondo parve ovattarsi, la gola inaridirsi, i polmoni stretti come spugne reclamavano ossigeno per sottrarre ancora un secondo di vita a quel mondo indegno.
E quelle ali angeliche si spensero, asfissiate dalla forza cieca dell’aggressore.

“…chiamatelo tumulto,
o entropia.”


D’improvviso però fu percorsa da un fremito, libera ancora una volta, e profondamente sola.
Scorse una figura conosciuta, o forse solo un sogno riaffiorato dal limbo dell’onirico, e ne fu travolta, trascinata via come una foglia morta al volgere dell’autunno. Leggera affondava nel vento, estranea a tutto, lontana dal corpo e dalla realtà che l’attorniava.
Cadde al suolo, accusando quel dolore come la più grande testimonianza d’esistenza che avesse mai saggiato.
Intontita, frastornata, confusa. Gli occhi furono lesi dalla luce di quel sole nero, e tutto si trascinò con inverosimile lentezza. Avvertì ghigni acuti e striduli, risa euforiche, lo sferragliare e il sibilare di lame farsi sempre più vicini come incubi nella notte più cupa e tenebrosa, e poi un impatto fragoroso seguito da un’assordante silenzio. Ma non v’era tregua nell’aere, né percezione riconducibile a tanto. Non era morta – condannata a vivere ancora una volta.
E quel dolore si fece livido, le palpebre si aprirono sbattendo due volte mentre le pupille vibravano nel tentativo di mettere a fuoco qualcosa.

« Ar- »
Le labbra non si mossero.
Confusa non riuscì a scorgere altro che il suo volto,
la barba ispida, i suoi tratti bellamente mascolini.
I suoi occhi chiusi.
« Arthur… »
Un sibilo men che distinguibile.
La mano tremò, ghermendo la terra umettata dal sangue con sempre maggior vigore.
Cosa diavolo era accaduto?
Cosa diavolo stava accadendo?


Sollevò il busto da terra debolmente, facendo leva con la spada, utilizzandola come sostegno mentre l’ovvietà dell’accaduto si ripercuoteva sull’anonimia di quella situazione introversa.
Trattenne il fiato.
Un mezzo e stentato respiro, poi.
Non pianse, non gemette, non lagnò alcunché tenendo fede al patto gridato al cielo, ma la disperazione, quell’intollerabile sensazione d’inettitudine bruciava e doleva più di qualsiasi altra ferita sul suo corpo.

“Non siamo che piccoli poeti, filosofi o scienziati
di culti e dottrine senza nome.”


La guerra in pulsante fermento ribolliva del tumulto che l’alimentava, e il mondo riprese a ruotarle attorno nel fragore del suo incedere. Ognuno è solo al mondo; nella morte non v’è altro che malinconia ed emarginazione, l’incubo di un sogno infranto, l’afflizione per una speranza perduta. Si può solo tirare avanti e ricordare quel che fu, beandosi di quanto perfetto sia il tempo andato rispetto a questo presente avariato e consunto.

Shakan al suo fianco, adesso, di nuovo.
Udì le sue parole non comprendendone però il significato. Non voleva.
Le sue iridi d'ambra si persero in quelle lattee dell'illusionista,
uno sguardo pregno d'infinito sconcerto.
Scosse timidamente il capo.
E fu oscurità e rimpianto,
ricordo e nostalgia.
« YAAAAAAAHHHHHH!!! »
Urlò, gridò più forte che poté.
Assordante.
Un richiamo ancestrale al quale nessuno si sarebbe potuto negare.


Attinse all’origine del suo potere più grande, al primordio del suo ruolo. E rimembrava la perfezione di quanto era e che non sarebbe più stato, quell’ordine che spirava via come cenere dal cadavere arso dall’impavida fiamma del caos. Esigeva l’ordine e la serenità che fu, quiescente nella costernazione di quanto il Clan Sorya offriva, rintanato nel ventre dell’Eden ma vivo come un bimbo nella sua culla, inerme – eppure vivo.

“Annaspiamo in quella che consideriamo verità,
nascondendo i fallimenti, le insolvenze di una vita troppo breve.”


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Puntò il cielo col capo, mentre la civetta si allontanava dal marchio sul suo ventre, eterea, per librarsi in volo, per annunciare il più grande dono che il Mastro di Chiavi aveva da offrire.
Il grido del mondo, il suo pianto, la sua lacrima. L’uomo si sarebbe inginocchiato a tale realtà, la bestia sarebbe stata ammansita, e tutti avrebbero compreso l’inutilità del conflitto, tutti avrebbero assistito al pegno di una donna coscritta in una dimensione d’irrealtà per salvare i suoi figli.
Avrebbero veduto Velta nella sua imponenza per mettervi piede come l’infamante Flotta qualche ora prima. E le pietre tutte uguali si sarebbero succedute, seguite da panoramiche di capitelli e colonnati nell’accentuarsi di una splendida architettura gotica. Quel grido sarebbe riecheggiato ancora e ancora forte dell’arcano che l’animava, guidando gli occhi e le menti per sale tutte identiche alle precedenti, perdendo la cognizione di tempo e spazio fino a giungere su per il gradinato. Nessuna pausa, nessuna attesa sarebbe seguita per i riottosi spettatori dell’inevitabile, maniaci osservatori di quanto era stato loro precluso non per scelta ma per obbligo. Ma nessun segreto adesso era tale, e senza indugio sarebbero risaliti in massa spalancando qualunque porta, abbattendo qualunque ostacolo, il Mastro di Chiavi aveva dato loro il permesso affinché capissero, comprendessero quanto il destino chiede in cambio di un dono. E ancora nessun riposo per l’estenuante scalata dell’incredibile Velta, ora ridotta a scheletro vibrante, ma un tempo forte e vigorosa, ancora quel nostalgico ricordo. Ridondante, assillante, ossessivo, quell’eco ammoniva al silenzio, l’idillio al rito funebre per la dama assorta nel suo sonno di fronte all’ultima porta mai varcata, violata, stuprata fino a quel giorno eterno.

« Siamo sorci o leoni? »


E nessuna paura, nessun indugio. Il tremore per qualcosa che si ignora, per affacciarsi infine sul morbido letto di morte di una donna, di Madama Eitinel, la sua gracile figura in evanescente contesa col suo pallore, i suoi capelli avorei fluttuanti come fili di seta e i suoi occhi chiusi, tremolanti appena al soffio d’un debole respiro. Un incubo tormentante e tormentato da altri incubi ben più terrificanti, una spirale di coscienza e consapevolezza che mai avrebbe trovato fine in quel baratro chiamato Orrore.

“Ci ergiamo a eroi del nostro piccolo mondo,
disconoscendo il sapere multietnico del passato.”


E tutto sarebbe terminato in uno schiocco di dita, come se nulla fosse mai esistito, un’allucinazione collettiva col medesimo risultato: occhi scuri come catrame privi di qualsiasi riflesso vitale, opache biglie nere a testimonianza del peccato commesso.

« Ghhhhh…! »
Dolore insostenibile.
« AAAHHHHHH!!! »
Anch’ella avea peccato.


Bruciava. Il marchio con la quale aveva acquisito il titolo bruciava del proprio inchiostro. Una fitta simile a parto, eppure provava gioia in quel che aveva appena compiuto, il riverbero della risolutezza.
Sudava mentre il corpo tentava di lenire il dolore quasi d’istinto, arginando l’arsura di quel fuoco purificatore come una richiesta mortale che si oppone a un volere divino.
Respirava piano. Gli occhi persi.
Si vide oggetto delle attenzioni delle poche ombre sopravvissute, arse dal suo potere, da quella visione in cui erano contemplate non come spettatori inermi ma primi protagonisti. E morivano, senza muoversi, statuarie bellezze affrante dalla loro stessa natura per vece della loro madre. La vittima talvolta si ribella, e all’angolo ogni gatto diventa una tigre. Ma non importava.

Chinò il capo, sospirando.
Traendo l’ultimo anelito di gioia prima di riversare la propria attenzione sul conflitto, sulla morte e sul sangue e sul dolore di migliaia di vittime e carnefici al contempo.
Un largo sorriso abbondò sul suo viso, ansimando. Passò la mano sulla gote di Shakan ai suoi piedi, accarezzandolo dolcemente, assopito nella pace del suo silenzio, di fianco ad Arthur, mai più vicini come fratelli che compagni d’arme.
Sarebbe spettato a lei difenderli, per una volta.

« Al termine di questa guerra si parlerà di sacrificio, miei cari.
Abbiate pazienza. Le parche tessono e giudicano.
Non possiamo far altro che attendere. »


...

“Un tempo eravamo Uno,
oggi siamo tanti piccoli omini disadatti,
e torneremo Uno, prima o poi.”




CITAZIONE


ReC: 250 | AeV: 225 | Perf: 250 - 15% = 212.5 | Perm: 325 | CaeM: 225

Critico: 33% | Alto: 15% | Medio: 6% | Basso: 2%



Energie: 48% - 0% - 18% = 30%
Status psicologico: serena.
Condizioni fisiche: taglio sul braccio sinistro [Basso], contusione dietro la nuca [Basso], ustione all'addome nel punto del tatuaggio del Mastro di Chiavi [Critico + Alto]

______________________ _ _

Abilità attive:

• Angelic ~
Dopo alcuni secondi di ferma concentrazione e spendendo un quantitativo di energie pari a Basso, Alexandra evocherà sulla propria schiena due eteree ali angeliche, luminose, che le doneranno la capacità del volo. La sua velocità in aria rimarrà la stessa che possiede in terra e resteranno attive per due turni compreso quello d'attivazione, svanendo al termine del secondo turno o prima, a seconda dei suoi desideri. [Pergamena del Paladino: Ali angeliche] - attive dal turno precedente

5_Fifth_ L'ultima Porta. Il sogno di Eitinel. Barbablù redarguì la propria sposa di non utilizzare la chiave su cui si celava una macchia di sangue. La chiave dell'ultima stanza, dell'ultima Porta. La sola che nessuno avrebbe dovuto aprire. L'unica di tutto il castello che era a negata a chiunque, lei compresa. Eppure ella volle sapere. Volle conoscere.
Fra tante Stanze e Porte, ve ne potrà mai essere una nel Sorya che alcuno abbia la possibilità di varcare? Proibita a tutti? Negata ad ognuno? Ovviamente si. Ed essa è tanto distante dallo sguardo e dal pensiero comune che in molti potrebbero pensare che non esista nemmeno. Il luogo da cui tutto ebbe inizio. Il baricentro di quel mondo sospeso, oscuro ed informe. La stanza di Eitinel. In essa, l'anima dormiente del Sorya, il respiro lento e costante di giorni immutabili e vaghi come un sogno. Aprire quella porta, sporgersi in quell'universo primordiale costruito di mera fantasia è impossibile. Irresistibile è il potere dell'Incubo. Eppure il Mastro di Chiavi possiede la sola Chance, la sola ed unica possibilità di riuscire laddove tutti gli altri fallirebbero. Anticamente, si pensava che il verso della civetta potesse richiamare l'anima dei dormienti nei loro corpi assopiti. Afferrarli dai loro mondi visionari e con artigli adunchi trascinarli nuovamente nella realtà.
Il Simbolo del Mastro di Chiavi rappresenta appunto una Civetta. E quando essa svanirà dalla sua pelle lasciando al suo posto solo il nudo cerchio nero, allora il grido che ne seguirà sarà tanto acuto e potente da spalancare ogni porta del Sorya, risalire la Torre di Velta ed infine sfondare quell'ultima, inviolabile, soglia.
In quella, prima che L'Incubo di Eitinel, il sogno che la tiene avvinta, spalanchi i propri occhi e richiuda con un sussurro l'ingresso, prima che il Silenzio ridiscenda sul Sorya e nella Torre, proprio allora, per una frazione di secondo ognuno, chiunque si trovi sul campo di battaglia, potrà Vedere. Vedere La Dama e il suo giaciglio. Il suo nido di Tenebre. La sua prigione di Follia.
E tanto terribile sarà questa visione che sarà come udire il mondo stesso Gridare. Urlare mentre, pallidi come neve, i capelli di Eitinel parranno onde argentee nell'abisso. Mentre la sua pelle di porcellana brillerà appena, delicata aurea di purezza.
Solo un attimo, e poi tutto sarà come se non fosse mai esistito. Il Mastro di Chiavi pagherà il prezzo di un simile affronto con il proprio corpo: il cerchio tatuato brucerà nella sua pelle provocandogli un'ustione Mortale. Tutti coloro che si troveranno sul campo di battaglia subiranno un danno Critico alla psiche mentre nei loro occhi, la parte bianca attorno all'iride denominata Sclera diverrà permanentemente nera anche dopo la fine del duello ( essi contano sempre nell'attacco psionico, quindi è possibile difendersi da entrambi gli effetti con una semplice difesa psionica). I Componenti del Sorya presenti da quel momento in poi tratteranno il Mastro di Chiavi come il loro acerrimo nemico, avendo egli profanato uno dei tabù del Clan. [Nullo]

• Black Blood ~
Si dice che chi possa vantare nobili natali abbia il sangue blu, ma Alexandra vanta un sangue dal potere che và semplicemente oltre. Imbevuto del rancore che alberga in lei, il suo sangue la protegge da qualsiasi attacco le venga mosso, magico o fisico che sia.
In termini di GdR questa abilità personale a consumo Variabile funge da difesa a 360° che garantisce una difesa corrispondente al quantitativo di energia speso, che la protegge da attacchi di energia pari o inferiore. Gli effetti durano per tutto il turno di attivazione e si basa unicamente sulla Perm essendo un qualcosa che trae potere sì dal rancore insito in lei, ma che fonda le sue radici nel potere magico eviscerato durante il periodo trascorso nella sua prigionia. L'irrobustimento dei tessuti mediante quest'abilità comporta però un Malus sulle prestazioni fisiche (Perf) che caleranno di una percentuale pari all'energia spesa per l'attivazione della tecnica nel turno in cui questa verrà appunto attivata. [Abilità personale attiva - Variabile Alto]

____________________________ _ _

Abilità passive:

• My Sword ~
La spada in possesso di Alexandra presenta sul piatto della lama un incantamento runico di colore rosso carminio ben visibile all’occhio. La bastarda potrà, in qualsiasi momento, innescare i poteri del dominio, e grazie all'incanto essa risulterà impossibile da distruggere nonostante gli attacchi che le potrebbero venir mossi. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade I]
• My Hands ~
Le mitene in possesso di Alexandra presentano nel palmo un incantamento runico del tutto simile a quello della spada bastarda. Quest’arma potrà quindi, in qualsiasi momento, innescare i poteri del Dominio. Grazie all'incanto, inoltre, risulteranno sempre affilatissime e incapaci in alcun modo di perdere le proprie capacità offensive, oltre ad essere indistruttibili. [Abilità passiva del Dominio Incantaspade II]
• My Wish ~
Alexandra punta gran parte delle proprie capacità sulla magia. Avendo così affinato questo potere insito in lei, una volta raggiunto il 10% delle energie non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Effetto passivo dell'abilità razziale]
• My Volition ~
Il dominio di Alexandra sul proprio corpo le permette di scagliare attacchi magici e fisici senza alcun tempo di concentrazione. Ciò permette un notevole vantaggio tattico e tecnico alla paladina, che racchiude in sè le proprietà di maga e guerriera allo stesso tempo. [Abilità personale passiva]
• My Verity ~
Le parole di una regina sono inviolabili, intoccabili, indiscutibili. Allora come poter mettere a freno la sua lingua, la sua dialettica forbita e pregna dei più valenti significati? Semplicemente impossibile, così come impossibile è arginare il fiume in piena della sua parlantina sciolta e suadente. In termini di GdR quest’abilità conta come un ammaliamento passivo che influirà su tutti coloro i quali ascoltano le parole di Alexandra, che andranno considerate come vere, sincere, sebbene in realtà possano essere l’esatto opposto. [Abilità personale di ammaliamento passivo]
• My Perception ~
Sensazioni. Il mondo si estende al di là di quel che è possibile percepire con tatto, gusto, olfatto, vista e udito, trascendendo la realtà in mille altre sfumature percepibili solo dall'istinto più sviluppato in forme di sensazioni. Una sorta di empatia che la collega alla dimensione delle anime, permettendole di avvertire le aure di amici e nemici nelle vicinanze come una sorta di sesto senso. [Bracciale dell'Auspex]

4_Fourth_Porta dell'Incubo. Il sussurro oltre la Notte. Incubi e Visioni infestano il Sorya. Un roboante addensarsi di Silenzio che solo tendendo l'orecchio, solo fermandosi ad ascoltare, si può scoprire essere un sussurrare di fondo, un rumore bianco indefinibile. Il respiro del Buio. Il respiro di ogni sogno distorto, di ogni pensiero inconsulto. E' nella voce del Mastro di Chiavi che tale tramestio, tale confuso tremolio si annida. In ogni sua parola, in ogni sua espressione. E tanto potente è il suono di ciò che nessuno può udire, che il solo osare troppo potrebbe distruggere tanto la vittima quanto il carnefice. Egli infatti può richiamare l'incorporeo, l'inconsulto, ciò che non può avere forma che nelle fantasie più mostruose, più deviate. Eppure se ne sentisse il bisogno, se davvero pensasse che la necessità giustifichi un simile abuso, allora il Mastro potrebbe lasciar risalire quelle voci, quelle presenze, e utilizzarle a proprio piacere. Potrebbe parlare ai nemici con la propria voce, ma sussurrare agli amici altre parole, con il Suono Nascosto. [Passiva]

_______________________________________________________ _ _

Note:

Finalmente ho terminato. Perdonate ancora una volta il ritardo. ç___ç
Ma passiamo alla cronologia dei fatti:
1) Ale ha ancora le ali angeliche attive dal turno precedente e riprendo il post da dove l'avevo lasciato, ovvero in lei che cerca di recuperare Shakan che s'è cacciato in una brutta brutta situazione.
2) Afferra la sua mano e lo trae in salvo, librandosi nel cielo.
3) Arriva la Purgatory con La Feccia, e dopo alcune descrizioni random dal punto di vista di Ale, viene attaccata da uno di questi che utilizza la pergamena Balzo per poi aggrapparvisi alla sua gamba e trascinarla giù con la sua mole.
4) Ale cerca di resistere, ma sostenere il peso di Shakan e del terzo incomodo è troppo per lei, ma Shakan decide di lasciarla andare.
5) Dopo la reazione a quest'ultimo quasi-addio Ale si lascia prendere dall'ansia e viene colta alla sprovvista da un colpo sulla nuca mentre perde quota.
6) Confusa, il membro de La Feccia le mette una mano al collo, soffocandola, e così perde definitivamente le ali angeliche, ma viene tempestivamente salvata da Finnegan (ho lasciato intendere solamente la cosa per dare a lui il ruolo di "salvatore").
7) Ma ancora intontita, Ale si lascia trascinare dal moto del suo colpo finendo in terra (l'altezza era minimale).
8) Dopo attimi di sconcerto, e dopo essersi parzialmente ripresa, Ale vede Finnegan in terra, e perdendo la testa si lascia andare alla tecnica più potente e autodistruttiva del suo arsenale, ovvero l'ultima abilità dell'artefatto del mastro di Chiavi con i risultati indicati nella stessa. (da quanto mi è stato detto, l'area ricoperta dall'azione della tecnica è davvero grande, quasi metà esercito, dal raggio d'azione che vedrà Ale come centro)
9) Le ombre - le poche rimaste - non sopporteranno la tecnica (sono creature deboli ed effimere dopotutto) e guarderanno Ale come l'autrice della loro disfatta, visto che sono - per vie traverse - anch'esse membri del Sorya.
10) Concludo poi pagando il prezzo di quel potere ma arginando l'ustione per mezzo della mia personale sul sangue nero a costo Alto. Il danno subito sarà così un Critico + Alto.

 
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view post Posted on 11/10/2011, 20:58
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Gracili omini, o bastoncini che camminano. Arthur vola verso di loro. Piccole macchie nere sulla retina: ovunque ti volterai, esse non svaniranno. Insanity laughs, under pressure we're cracking- Arthur scatta verso di lei, rapido come un dardo rosso. Ovunque girerai lo sguardo, anche chiudendo le palpebre, non potrai disfarti di quei puntini neri. C'è un impatto piuttosto forte, poco dopo aver individuato il problema. Qualsiasi percezione risulta adesso traviata dall'interferenza di quegli enti scuri, danzanti con l'occhio. Vicinissimi, nell'arco di un secondo appena. Vento forte, contrario, forze in collisione. E rivide i suoi occhi, come quella volta. Dopo un po' sembrano quasi dei piccoli gracili omini, o bastoncini che camminano avanti a te, lontanissimo. Per un'ultima volta sentì l'odore dei suoi capelli, dietro alle macchie di sangue. E sono lontani, all'orizzonte o poco più in là. Camminano. Il metallo delle armature tuonò al di là della carne stanca e sudata. Corrono, sembra che fuggano via. Can't we give ourselves one more chance- L'aria è freschissima, oggi. Oltre le nuvole, oltre la tenebra. Oltre questa cappa di dolore, l'errore, infinito, oltre il recinto sembra di sentire l'urlo di una gazza. This is our last dance- il rumore è assordante, gli occhi sono stanchi. Solamente qualche indistinto battito nel buio, dietro le palpebre tremanti. Non è un ritmo regolare, non è un cuore solo. Sono mondi lontani, incongiungibili. Ogni monade inizia solo per creazione ed ha termine solamente per annientamento. This is ourselves-
Non è un solo cuore, non è un solo punto grigio. È il terreno sotto i nostri piedi, nel mezzo del maelstroem. Il battito di due cuori, ora. Il paradosso intrinseco nel linguaggio, forse, è l'interferenza che non riusciamo ad individuare. Siamo ancora a terra, frantumati, ma non annientati. No, non nel linguaggio. Il battito di tre cuori, adesso. Apri gli occhi, Arturo. Vedrai sempre quella macchiolina lontana, al limitare dell'orizzonte, che ti fa segno di seguirla. Senti il verso di una gazza, o magari di un corvo. Ed ecco che alza lo sguardo, abbandonando il terreno. Troppo, troppo sangue. Un solo cuore non può bastare. In piedi, Arturo. Ricorda, Arturo. Dieci cuori pulsano nell'ombra e la battaglia non ha più suoni. Cento cuori, mentre il guerriero difende l'ultimo cancello dello spirito.
Io morirò, ma non adesso. In ginocchio, vile carnefice. Mille cuori, e le palpebre si fermano a metà. Il respiro è troppo lento, rauco, distante. L'ultimo braccio riesce ancora a muovere la spada, che balena attorno ad Arthur nel suo ultimo possibile sforzo. Le palpebre si chiudono per un attimo appena. Di nuovo un solo cuore, che batte nel buio. Un colpo alla testa, poi. Gracili omini, o bastoncini che camminano. Io, io sono Arturo, il grano di corallo. Sono una rossa goccia di sangue sulle tremanti labbra del mondo. Sono l'ultimo specchio dell'universo, l'ultimo paradosso.
Una gazza urla oltre lo steccato. O forse è una ghiandaia.
C'è una torre, nel buio, ed un solo timido battito. Un milione di cuori che pulsano nel vuoto cosmico, un milione di urla, ancora, fortissime, apri, ti prego, Arthur, aprili, un battito in più, apri quegli occhi, Arthur. Di nuovo un cuore, uno solo, un sorriso, il battito cardiaco dell'universo, di tutte le sue creature, di tutto il suo intrinseco dolore. Eccola, finalmente, l'immanenza del dolore. L'immanenza della vita. Ecco una macchia nera, su fondo bianco. In ginocchio, Arthur Finnegan.
Non ci piegheremo. Io morirò, ma non adesso.
I due compagni poco più in là, nelle sue stesse condizioni. Forse peggiori. Lete, la spada del guerriero, tintinna appena quando urta il suolo. Le nostre braccia non hanno più la forza per reggere la spada. Le nostre gambe non possono più tenerci in piedi. Il nostro cuore batte appena, ancora.
Il rosso ha trovato la sua quiete già da tempo, ma non morirà adesso.
Ma le nostre palpebre riescono ancora a restare aperte, i nostri pomoni possono ancora farci respirare, e non importa se l'aria puzza di sangue fresco.
In ginocchio, al centro d'un piccolo cerchio deserto. L'urlo della gazza ha disintegrato un esercito,
ma non ha annientato il battito di quell'ultimo cuore, echeggiante nel buio.
Guarda in alto. Ascolta.

Ancora vivi.








png

stoned, immaculate


ReC: 225
AeV: 225
PeRf: 425
PeRm: 225
CaeM: 250
Energia: 22%
Stato psicologico: Danno critico dovuto alla tech di LA. (si, Los Angeles)
Condizioni fisiche: Eh. Danni di entità "Alto+Critico+Medio" distribuiti un po' ovunque. In particolare, Arthur ha perso il braccio destro ed è globalmente messo piuttosto male.


Passive sfruttate:


Appoggio del ladro.
Forza e Resistenza del dominio Forza del toro (Lv.1 e 2).
Tutte più o meno citate negli spoiler precedenti.



Attive impiegate:



Power-up del dominio Forza del toro, +100Perf. (-6%)

Tekkai-go potenza media (-6%) - Il guerriero, dopo qualche secondo di concentrazione, rende il proprio braccio, o un'altra parte del corpo come il torso, la testa o un arto, duro come il ferro. Questo braccio singolo diverrà in grado di bloccare tecniche di livello Medio o inferiore, fungendo da barriera di livello Medio. Il braccio perderà la sua resistenza subito dopo l'urto. Tornando al suo stato originale.
Questa tecnica basa la propria potenza sulla PeRf del possessore, e non sulla sua PeRm.




Riassunto & Note:



Arthur, proseguendo l'azione del turno rpecedente, investe l'individuo avvinghiato ad Alexandra e ricade sul terreno. Uso Tekkai go del guerriero per difendermi dagli eventuali danni dovuti all'impatto sui combattenti in basso. Una volta a terra si ritrova vicino a Shakan ed Alexandra, difendendoli a colpi d'arma bianca finchè anche lui non viene colpito alla testa e si accascia al suolo. oco dopo l'urlo di Alexandra e la conseguente visione psionica risvegliano Arthur, che torna in ginocchio e conclude il post in questa posizione, con gli occhi ancora aperti e lo sguardo alto.










 
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view post Posted on 13/10/2011, 17:42
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And...bla..Bla..BLA
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di-2VBG


Se davvero è qui che dovremo morire,
se davvero è questo il luogo dei nostri ultimi passi,
ombre stanche senza meta,
allora che sia un campo pieno di fiori
ove le nostre anime possano riposare
e mai più ricordare
il dolore dell'ultimo fiato.


Lame forgiate dal vento e dal fuoco, battute nella pietra e freddate nel gelo, le daghe elfiche di Ashlon parevano schegge di luce in quel mare d'oscurità.
Fibre di vetro mentre saettavano nell'aere fendendo con essa, il suono del dolore.
Primo fra i guerrieri, primo fra i cantori, primo a consegnare la propria anima in pasto all'oblio, scotto da pagare in nome dell'eternità, in nome di una ricerca che mai morte avrebbe potuto porre fine.
In un rapido guizzo, in uno scintillante affondo, egli macchiò le lame elfiche di purpureo livore, il crac dell'altrui cervice spezzata che faceva da eco al suo ricadere a terra, piedi e dita ad affondare nell'untore sanguigno del suolo.
Un sospiro, l'intorpidirsi dello sguardo mentre il cadavere li innanzi schiudeva le sue fauci ribollenti nello stridente divincolarsi dell'anima.
Ami il tuo popolo, Ashlon?
Ami i predatori?
Di nuovo lo scattare in alto, la consistenza senza peso del suo corpo che si tendeva sopra lo sguardo di molti, sopra l'attenzione di alcuni e affondava, infine, nella distrazione di uno.
Ami Neiru?
Con un movimento egli volse il proprio sguardo alla paladina di Moril, al suo grido disumano mentre, turbinio infernale, in un attimo ella risvegliava la ferocia della sua amata su tutti loro. Elfi, orchi, ombre.
Chiuse un istante gli occhi, il corpo flessuoso che ricadeva a terra raspando la sensazione del fango, della putredine. Avendo li, innanzi al suo volto cieco, per un attimo la percezione di essere sfiorato dall'orrore, da una carezza che sapeva di morte, che sentiva di disperazione.
Quando alzò di nuovo il capo lasciando che le palpebre sforzassero la propria resistenza a guardare, era solo, o quasi. Solo fra pochi in un campo di tanti, troppi cadaveri.
Esitò un istante, la mano destra che scendeva a riprendere Lumisil, chissà come sfuggita alla sua presa. La pulì col dorso del braccio per poi, con uno scatto fulmineo, bloccare l'affondo feroce che Bara-Katal aveva inferto contro di lui.
Un flebile mormorio, un rasposo sibilo.

" Duk’ mnats’yel e miaynak, Miadk'ak Dialet.
Dzer generalnery petk’ e nakhapatvut’yuny tvel e ink’naspanut’yan , ayl voch’ t’ye chakatamartum "

" Siete rimasto solo, Messer cadavere.
I vostri generali hanno preferito il suicidio piuttosto che la battaglia."

Fine che dovreste affrettarvi a seguire anche voi, parve aggiungere mentre, silente, il suo volto si incrinava in un mezzo sorriso
Poi, brutale, la controffensiva.


Non molto distante, il coatto sbraitare di Hyena continuava a fendere il campo di battaglia come piaga insanabile.
Hyena, el torturador, aguzzino dotato di tante incredibili e stupefacenti qualità fra le quali, sorprendentemente, pure quella dell'ubiquità. Prima mietitore selvaggio di vite ed ora aizzatore crudele di folle, di quelle stesse carogne da lui scaricate a terra come rifiuti malsani.
Immemore dell'ira scatenatasi su tutto il campo di battaglia, egli estrasse infine la propria arma e sparò un unico, preciso colpo in direzione di un condannato poco distante intento, forse, ad una fuga silenziosa.

Qualche altro renitente alla leva?
di-CG3N

Nel gelo che ne seguì, ecco il sibilo confuso degli elfi e il macilento bisbigliare della Feccia.
Sarebbe morto comunque, quell'uomo? Era possibile che il capitano del Goryo non risentisse nemmeno un poco della terribile visione scatenata un momento prima dalla paladina dell'Asgradel?
Se mai vi potesse essere stata risposta a simili interrogativi, la brutale avanzata orchesca che ne seguì fu in grado, da sola, di metterli a tacere tutti. Dal roboante infuriare dei pelleverde rimasti, dalla loro totale noncuranza per chi ordinava e per chi veniva ordinato, Gruumsh fece sentire, ancora una volta, il proprio canto disumano.
La vera forza e la vera potenza, il muoversi compatto di muscoli e legamenti tale da non perdere mai la guardia, da non smarrire mai la via.
Per ogni goccia di sangue, mille e più orchi sarebbero nati.
Per ogni sconfitto, cento e più a rimpiazzarlo spalla contro spalla, scudo contro scudo.
Come già detto, non vi era forza al mondo capace di contrastare Gruumsh e i suoi chierici

Così, senza più nessuno a guidarli, senza più alcun fiero demagogo a spronare la carica, gli elfi non poterono che fare un nuovo, dolorante, passo indietro.
E poi un altro.
Chiome bianche a voltarsi di spalle. A cercare nella folla l'armatura di Alexandra.
Sguardi incerti, straniti dinnanzi alla rabbiosa furia orchesca.
Dov'era Shakan il Nero?
Ruggì ancora, Gruumsh, la potenza delle scimitarre che spezzava anche la Feccia rimasta sorda agli incitamenti di Hyena.
Mugghio spaventoso, i Predatori indietreggiarono ancora.
E di nuovo. E di più.
Qualcuno alzò pure il capo in aria alla ricerca, vana, di quel fulmine rosso che a lungo aveva attraversato il campo di battaglia quale saetta sconvolgente.
Ma nessuno, nessuno, vi era più.

"Vein'thur hamar! Ch’unen voghormatsut’yun!"
"La Vittoria è nostra! Non abbiate alcuna pietà!"

Fu allora che, nel frenetico ripiegare dei Predatori, nel precipitoso sfaldarsi di forma e consistenza di quelle armate fino ad allora fredde e compatte. Fu allora che, proprio a metà di un affondo, ad un passo dell'ennesimo confronto senza uscita fra Ashlon, Cantore di Neiru, e Bara-Katal. Fu allora che, nel voltarsi dei Giganti d'ombra ancora immoti nel mezzo della battaglia.
Proprio allora.
Il suono venne meno.
La Voce, non fu più.
Un improvviso silenzio, un atono ammutolire. Una nota scomparsa che, sbiadire del tramonto, colpi il mondo con la muta e vuota fatalità della Fine.
La Dama aveva perduto la propria melodia.
L'Asgradel era, dunque, finito.
Tale pensiero attraversò all'unisono lo sguardo di ogni Neiru, ogni sclera vuota con cui essi, unico essere, volsero tutti i propri sguardi nel punto laddove, fino ad un istante prima, la loro Dea aveva parteggiato per loro.
Ami i Predatori?
Ami Neiru?

Nel suo primo, morbido, sorriso, Ashlon lasciò dunque che la presa delle proprie dita sulle daghe elfiche si facesse, appena, più leggera.
Sospirò, la vibrazione del silenzio che arricciava inaspettatamente gli angoli delle sue labbra in una smorfia goliardica, vendicativa.
Moril è morta.
E' morta.
Che bruci in eterno Neiru, e con esso i suoi Predatori.

E così, nella certezza di aver, finalmente, avuto la propria Vendetta Ashlon, primo fra i Grandi Cantori, alzò per un ultima volta lo sguardo al cielo, a quel cielo dove il nero sole vomitava proprio allora il corpo di un uomo, un uomo tanto piccolo rispetto all'immensità del firmamento, che per un attimo l'elfo lo scambiò per una lacrima, una nuda lacrima del Sovrano.
Che bruci tutto, fino alla cenere.
Fu il ultimo pensiero prima che l'affondo di Bara-Katal calasse su di lui disegnando, un Fiume Rosso Sangue sul suo corpo eterno.

. . .

Le leggende narrano che l'ultimo ricordo del mondo, l'ultima istantanea della realtà fu il surreale precipitare di Hyena nel vuoto. A volo d'angelo, la schiena esanime che si piegava appena nella gonfia pressione dell'aria, mortifera incapacità di resistere, ancora, a quello sforzo sovrumano, a quell'inequivocabile disfatta. Hyena, l'ultima speranza di ciò che Era.


"Dite Addio, Fratelli"

furono le parole di Bara-Katal mentre, suprema onnipotenza, il Sole Nero mutava le proprie Grandezze iniziando ad espandersi come voragine insaziabile.

" Dite Addio a ciò che siete e a ciò che eravate poiché vicino è l'istante in cui non sarete più nessuna di queste due cose."
Chiuse un attimo gli occhi, l'armatura germogliata sul suo corpo che infine lo ricopriva per intero, sigillando la sua anima in un sonoro Clang metallico.

" Che viviate o che moriate, oggi giunge alla fine il tempo dell'essere. "
Poco distante, l'assistere dei Tre prescelti del Leviatano.
Molto più lontano, la debole giacenza dei Tre dell'Asgradel.


" Contate quanto vi resta, quanto ancora avete a disposizione per ricordare ciò che era importante.
E poi dimenticatelo.
All'inferno non c'è spazio per i ricordi"


di-SDKP


Ed ecco qui la conclusione di Ragnarok. Subito dopo l'arrivo della Fat Whore si scatena il pandemonio generale. L'attacco di Alexandra colpisce entrambe le fazioni mentre di nuovo la terra trema e il cielo si contorce. Il diversivo del finto Hyena convince gran parte, se non la maggioranza, della Feccia che possono vederlo e sentirlo. Privi di alcun generale che li guidi (tutti e tre gli esponenti dell'Asgradel sono in condizioni troppo critiche) la fazione Asgradel inizia a disperdersi perdendo forza e compattezza fino alla inevitabile ritirata generale. Proprio in quel momento l'Asgradel si scinde da Eitinel che dunque smette di cantare. Immaginando la morte di Moril, Ashlon perde qualsiasi volontà di combattere lasciandosi colpire a morte da Bara-Katal e ponendo dunque fine a qualunque possibilità di ripresa. Di bg Ashlon non ama i Predatori ma li odia, giustificando dunque un simile voltafaccia. Contemporaneamente Hyena viene sbalzato al di fuori del Sole Nero che, privo di qualunque potere esterno che lo contenga, inizia ad espandersi all'inverosimile.
Piccolo appunto: il colpo sparato dall'immagine fittizia non è reale, si tratta di una fortunata correlazione di eventi gddristici^___^ Chiedo scusa a Lenny per aver estratto la sua meravigliosa idea a mio vantaggio narrativo.
La quest si conclude qua. In base al comportamento tenuto durante tutto questo terzo turno la fazione Leviatano si aggiudica la vittoria della Guerra del Crepuscolo. A breve la risposta di Ray per la vera e propria conclusione del Valzer
 
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36 replies since 23/8/2011, 13:43   3961 views
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