| Foxy's dream |
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"… e continua a raccontare, non lasciarti intimorire da un leggero bagliore di noncuranza" ... Un mondo piccolo, tanto fragile dall’incutere timore, una scatola di cartone inumidita da lacrime dolci, innocenti, dal vago sentore di miele e cannella. Un mondo tanto piccolo da chiudere, avvolgere delicatamente i due amanti di un istante, un bozzolo dall’orrore della guerra e dal terrore dei ricordi. Non v’era un poi, e neppure un prima, ma un adesso eterno e avulso da ogni cosa. Il tormento di quel che era o sarebbe stato non avrebbe sciupato quel momento, una parentesi dal mondo intero, cieco astante di quella storia, bieco intrattenitore di un’illusione. E fu nel pronunciarsi delle sue parole che i sensi mentivano, fu nel proferire dei suoi gesti che quel deserto si tinse. Stretta nell’abbraccio di Shakan non sapeva quanto a lungo quel gioco sarebbe andato, ma le domande non avevano alcun motivo d’essere, e le risposte, per quanto veritiere, non avrebbero mai infranto lo specchio delle loro anime. Si crogiolò di ogni secondo, si beò di ogni profumo la inondasse. Era come perdere tutto, lasciare che ogni pensiero fluisse via, e non avrebbe voluto né potuto far nulla per impedirlo; era come se l’attesa fosse ripagata cento e più volte ancora. Se il dazio per quel sentimento era l’orrore dei peccati più aberranti, avrebbe pagato mille altre volte quel peso, per quanto triste o doloroso fosse stato. Sorrise dolcemente, neppure avvedendosene. Improvvisamente perse arma e armatura, dissoltesi nel nulla di quel sogno, e al loro posto quei ruvidi grani amaranto risplendettero di verde smeraldino, mascherandosi, obliando quel tetro scenario per far spazio a un prato scintillante, florido, deliziosamente vivo. L’esaltazione di quel sentimento come altro poteva manifestarsi, dopotutto? Le lattee calendule parevano risplendere sotto i raggi di quel sole infante, e la sua veste di seta bianca ondeggiava con delicatezza sotto il soffio del tiepido maestrale. Sbatté le palpebre. Una volta, e poi un’altra ancora. Le cullanti parole di Shakan trovarono termine in quel bacio che definire lungo e appassionato sarebbe equivalso forse a sminuirlo. Non v’erano parole per definirlo, non vi sarebbero mai state, probabilmente. In realtà non aveva mai amato nessuno in vita sua, non prima di quella guerra. Forse è ridicolo rendersi conto di quel che un cuore prova, del perché pulsa nel petto, specie dopo aver subito e affrontato le peggiori angherie che il destino possa serbare; eppure quel pensiero fu solo confortante. Erano vivi, e quel bacio lo dimostrava più di qualsiasi frase ad effetto, più di qualsiasi dialogo o monologo imperante. Il silenzio, talvolta, è la miglior risposta alle domande. Tuttavia, al seguito del sogno più bello, sopraggiunge sempre il risveglio, il momento in cui ogni desiderio smette di prendere forma, l’istante in cui la realtà piomba con tutto il suo peso. Le responsabilità, il ricongiungersi al passato per dar vita a un futuro concreto e coerente; e non solo le preoccupazioni, ma anche ansie, inquietudini per un fato incerto, per certi versi duttile. Fu nel tremore delle sue labbra che Alexandra si divise da Shakan, forse avrebbe capito ancor prima che le sue parole spezzassero quell'attimo pregno di passione. Nessuna menzogna avrebbe retto, nessuna fallace prospettiva a quell’orizzonte, illusorio o meno che fosse. La bellezza, talora, non necessita di realtà o concretezza.
« …devo andare. Sai anche tu che quest’attimo non potrà essere eterno. » Gli occhi le si inumidirono, mentre un sorriso spento le adornava il viso. In quel momento le braccia abbandonarono la vita del proprio amore, l’unico col quale avesse condiviso davvero qualcosa. Troppo personale, forse, eppure quel dono era la più grande promessa che potesse fargli. Le dita affusolate scivolarono dietro al suo collo, per sciogliere il nodo che teneva legata la sua collana. Con eleganza la tirò su, infrangendo con flebili tintinnii metallici i loro tremuli respiri, rifratti ancora in quel bacio indimenticabile .
« Quest’anello è l’unica promessa che posso farti. Un giorno forse me lo restituirai, o forse no. Apparteneva a mia madre, Rachel. Non l’ho mai conosciuta in verità, ma questo monile rappresenta molto per me, e credo sia giusto affidarlo a te. » Le lacrime le rigarono il viso, ma il sorriso non scomparve affatto, anzi, parve risplendere di una luce diversa. « Non ricordarmi come colei che ti ha abbandonato, piuttosto come colei che ti ha trovato. Non è un addio, ma un arrivederci. »
Alexandra afferrò la sua mano per posarvi dentro la collana con l’anello al suo interno, mentre una smorfia di dolore le corrugò il volto. Poi si riprese, cercando di darsi un contegno. Posò la mano sul suo petto. « Ci rincontreremo, ne sono certa… » E nello spirare del vento e di quell’illusione, sparì nel nulla, perdendo consistenza come il miraggio più sfuggevole, il sogno più delicato. ...
Un finale, dopotutto, non deve essere né triste o lieto. Un finale, dopotutto, è sempre senza alcun sapore.
Quest’anello rappresenta l’unico ricordo che Alexandra conserva di sua madre, defunta durante il parto a causa di spiacevoli complicanze. L’anello è inserito in una catenina d’argento e usualmente portato al collo, lontano e al contempo vicino al suo cuore, in vicendevole compagnia durante ogni impresa. Il monile, consta di una fascia in oro bianco finemente lavorato, sulla cui sommità è incavata una splendida perla di agata calcedonio abilmente levigata. All'interno della fascia v'è inciso il nome della sua precedente proprietaria, Rachel, esponente della famiglia Chateaubriand data in moglie al primogenito della casata Blanchard.
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