Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Valzer al crepuscolo ~ Virelai

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Foxy's dream
view post Posted on 5/11/2011, 00:50




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"Viviamo tutti sotto lo stesso cielo,
ma non tutti abbiamo lo stesso orizzonte."

...


Osservava quel deserto.
Gli occhi d’ambra scorrevano lenti sulla linea dell’orizzonte soffermandosi appena sulle rovine del Maniero. Quanto tempo era trascorso prima che si risvegliasse nel mondo che ricordava? Nessun’anima sembrava caracollare sui grani amaranto, sull’infinita distesa di dolore avvinta dal puzzo dei corpi in decomposizione e dal pressante ricordo di quanto era accaduto.
Respirava piano; la mente vuota, finalmente libera.
Nessun nuovo mondo, nessun prato verdeggiante. In quel momento non sapeva se gioire o rattristarsi nell’osservare quanto il mondo le offriva. Elfi ed orchi, i tratti deformi dei loro volti, irriconoscibili dopo tutto quel tempo, vittime dell’arsura del sole, del naturale sfaldarsi della materia all’imperversare del tempo.
Nessuna espressione sul viso; non inquieta, ma neppure serena.
Solo un’unica riflessione: avevano vinto; eppure un morso le addentava lo stomaco, un dolore impercettibile pari solo a quello della sconfitta.
Se avessero avuto modo di prevenire la guerra, non vi sarebbe stato un prezzo di vite così alto. Se avessero avuto modo di fermare almeno uno degli autori del conflitto, non vi sarebbe stata mai una guerra.
Decisioni, giuste o sbagliate, portano a delle conseguenze; ma solo a postumi è possibile valutarle, solo con freddo giudizio è possibile constatare come sarebbe stato meglio agire.
Un lungo sospiro: non avevano vinto per nulla.
Nessuno aveva vinto, tutti sconfitti a priori. Indipendentemente dallo schieramento, dall’abilità, da quanto fatto o non fatto. Non era stata neppure un’apocalisse, quanto più un calvario per quel mondo ora senza alcun padrone, allo sbaraglio come un randagio per le vie battute dal vento e dal silenzio, subito seguiti da nuovi protagonisti, dai “nuovi eroi”.

Ricordava.
Le mani di Shakan attorno al collo del sovrano, luminose, arma definitiva, veleno per dei. E le parole di quest’ultimo, poi, terribilmente umane e lontane dal mostro che era divenuto. Forse, un uomo asceso a Dio non potrà mai esserlo per davvero; forse un uomo, per quanto si sia accostato all’idea comune di divino, angelico o demoniaco, non potrà mai essere meno uomo di quanto era stato in origine.
I sentimenti pulsano come cuori nei petti, le emozioni scuotono le carni ridestandole dal torpore dell’inerzia, ed è sufficiente questo affinché l’uomo torni a vivere. Si era abbandonato, infine, si era lasciato andare all’umanità perduta, o semplicemente dimenticata: perché nessun potere l’aveva riportato ad essere quel che era, nessuna ferita mortale, quanto più parole sincere, di comprensione e apprensione per l’uomo, per il sovrano che aveva dimenticato d’essere.
Perlomeno, le piacque credere che fosse andata così; perlomeno, è così che ritenne fosse meglio archiviare quell’episodio di vita.
In quel momento, del Leviatano - o meglio - di Rainier, non v’era più traccia. Dopo aver ricreato il mondo esattamente com’era poco prima di divorarlo per saziare la sua fame, lo aveva abbandonato per perire sotto i colpi dei sentimenti insieme alla sua amata.
Ancora una volta: non era un epilogo triste, ma neppure felice; quanto più un finale come tanti, un finale senza alcun sapore.

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Sollevò il capo chiudendo gli occhi lentamente, beandosi di quella brezza familiare.
Probabilmente era tutto terminato, era giunto il momento di tornare laddove tutto era cominciato per aprire un nuovo capitolo.
Era finita, e quel binomio di parole non faceva che ripetersi nella sua mente come un’eco fra i picchi montani; e avrebbe voluto urlarlo, gridarlo un’ultima volta: la parola Fine in un romanzo conclusosi in modo del tutto inaspettato.
Abbassò lo sguardo sulla figura di Shakan, di fianco a lei, ancora avviluppato da fitte coltri di stanchezza. Il riposo, in fin dei conti, era del tutto meritato; il giorno più lungo del mondo si era concluso, e sogni ed incubi attendevano le menti ora libere da ogni peso o turbamento. Lei, tuttavia, non aveva più molto da offrire al sonno per merito suo: Eitinel. L’aveva aiutata a dimenticare il passato per indurla a percorrere una seconda strada, alla quale seguì una seconda nascita, e quell'evento, probabilmente, non era che il primo vagito.

Un debole sbatter di palpebre, poi.
Shakan si era appena scosso.
« Ben svegliato! »
Le sussurrò dolcemente, esibendosi in un dolce e largo sorriso.
« Un nuovo giorno... ci avresti mai creduto? »





Scena conclusiva riservata a janz.
 
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view post Posted on 6/11/2011, 16:17
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Si schiuse come fosse un lungo sogno.
Un lento destreggiarsi tra le vibrazioni del momento.
Assordato tra il riverbero del dolore e lo spasmo dell'animo.
E ritornò eternamente alla mente, con quelle ultime lacrime sparse.
Quelle di Rainier ritrovato, o dell'imperatrice che moriva stretta alla speranza.

O del fantasma: che abbracciava lui e si stringeva a lei.
Perdendo, allo stesso tempo, il suo passato ed il suo futuro.


Shakan.
Hai vinto Shakan.
Non era questo che volevi?

Non l'ho salvato.
Il mondo, non l'ha salvato.
Abbiamo perso: tutti.


Valzer Al Crepuscolo
Virelai

valzervirelai1

Avrebbe ricordato l'ultimo momento come fosse la sintesi dei suoi sogni. Quelle immagini confuse che ogni notte, prima di quel giorno, l'avevano tormentato nel sonno: l'avevano destato da quella fulgida illusione che culminava con la salvezza del suo Re. O di quello che sarebbe stato: del Leviatano del Regno, della colonna del mondo. Ed invece si tormentò ancor di più, in quel sogno che giungeva al termine, toccandolo e sorreggendolo con la furia di chi implora al cosmo di ridargli qualcosa di suo: per tenerlo per se, per riportarlo sulla propria strada. Per ricondurlo per l'unica via che riteneva giusta: quella sua. Quella di Shakan, appunto.
E di nessun altro.

Non era di Rainier. Quel Sogno.
E nemmeno di Alexandra: di nessun altro.

Era solo il sogno di Shakan: di vederlo regnare ancora all'ombra del tramonto, sul Bianco Maniero. Di vederlo realizzare qualsiasi orizzonte che di cui l'umanità avrebbe avuto bisogno. E non c'era pace, illusione o razionalità in quell'idea: ma solo la sbiadita fantasia che egli fosse l'unico capace di farlo. Immagine nitida, figlia di una memoria che gli era stata imposta e che lo spettro aveva distorto come sua. Mascherandola e traslandola, in un'utopia di salvezza da riporre in quella creatura divenuta divinità, o - comunque - in qualsiasi posto che scacciasse la responsabilità da se stesso. E non era più nient'altro che placido egoismo: dissimulare la salvezza del creato per rinfrancare il suo unico desiderio di ordine e pace. Riporre in lui ogni speranza, ogni desiderio: per lasciarlo vivere per la felicità del mondo ed imporgli un futuro che, forse, non era mai stato suo. E l'aveva finanche compreso - lo Spettro - poco prima di abbracciarlo, che il suo destino non sarebbe mai stato più quello del mondo.

Vederlo scomparire - però - era tutt'altra cosa.
Era sconfortante: faceva male.
L'aveva chiamato amico.
Salvo poi andar via.
Lontano.


_______________________________

Le lacrime non sarebbero più bastate.
Per spezzare l'amarezza e la nostalgia di un'era che ricominciava, serena, ma figlia di un peccato che l'aveva segnato nel profondo, per non permettergli mai di dimenticare cos'era stato. Si destò lentamente, rinviando più volte quel fatidico istante in cui avrebbe ripreso confidenza con la luce e con quell'aria non più puzzolente, ma nuova e immacolata. Troppo immacolata: scevra dall'idea di ciò che era stata, dai cadaveri che si era portata via - un tempo - quasi ingrata per quei peccati di cui era stata testimone e che ora dimenticava come fossero un ricordo lontano che non riguardava più nessuno.

Il male non l'avrebbe mai dimenticato, lui.
Né quell'ennesimo peccato che era costato una nuova possibilità.

Eppure, non poteva vivere per sempre in esso. Il destino gli regalava un mondo nuovo, un'era nuova. L'orizzonte si risvegliava ed il sole spaziava sui monti senza scoprir nulla che non fossero verdi prati. Un nuovo giorno, dopo il tramonto, salutava il regno e tutto ciò che rimaneva, come fosse stato solo un brutto incubo. Ma quella luce fastidiosa gli balenò negli occhi come spire di serpenti, scuotendone la coltre di tristezza con la stessa veemenza di un fanciullo che si desta alla nuova vita da adulto, ed alle nuove responsabilità.
Il mondo si svegliava senza il suo Re: senza colui che l'aveva dominato, comandato e portato sulla soglia della perdizione solo perché - forse - un futuro in pace davvero non se l'era meritato. Ed ora sarebbe passato a lui, e ad altri, il peso greve del giudizio, con l'ovvia deferenza che ne sovviene a dover colmare un vuoto enorme. Il cratere invisibile della sua scomparsa.
Tutto il tempo per farlo, ma nessuna possibilità.

valzervirelai2

« Ben svegliato!
Un nuovo giorno, ci avresti mai creduto ?
»

L'imperatrice gli sorrideva.
Si era destata prima di lui, coraggiosa - come sempre - nell'affrontare la realtà. Non l'avrebbe più chiamata con indifferenza: qualsivoglia realtà avessero vissuto prima, ora li aveva resi più uniti che mai, in un vincolo di odio o di affetto che era tutto da verificare, comunque.
Però, quel peccato eterno che aveva placato col vizio del Sovrano, gli aveva regalato - quantomeno - qualche attimo in più. Non si era dimenticato, infatti, di quelli istanti rubati a lei e di quel suo amore gridato ad un vento che non gli aveva dato nemmeno il coraggio di sussurrarlo. Aveva sacrificato il suo tempo per rincorrere il sovrano: ed ora che Rainier non c'era più, il mondo non era più sull'orlo del baratro.

E lui aveva tutto il tempo da dedicare.
A lei, semmai sarebbe servito a qualcosa.
Il confine si stagliava proprio su quella sottile differenza.
Avrebbe dovuto, o no?

Si rialzò con fatica, ammiccando in sua direzione con un sorriso stentato e trattenendo la frustrazione per quel gorgo di pensieri che non volevano allontanarsi da lui. Lei forse non l'avrebbe compreso del tutto, o forse si. Quando mai avesse voluto provarci, doveva prima rinfrancarsi del significato di quell'ultimo abbraccio, stretto tra il dolore della perdita ed il sangue della spada che li aveva trafitti: insieme.

« No davvero... »

Le rispose, con tono greve.

« Un'opportunità che si apre sui nostri corpi feriti.
Abbiamo dedicato noi stessi a questo futuro, Alexandra.
Eppure abbiamo perso molto: a suo modo - abbiamo perso un Re.
Oltre che decine e decine di vite...
»

Fissò il sole per qualche istante, comprendendo quanto mai si fosse davvero fermato a scrutarne lo splendore, senza doversi preoccupare sempre di qualcuno o qualcosa. La maggior parte delle volte - senza doversi preoccupare del Regno o del Sovrano. E sentenziò che quelle valli avrebbero avuto bisogno presto di qualcuno che si preoccupasse per loro: questa volta per davvero. Prima di ciò, però, era giusto che egli sapesse cosa il suo cuore aveva sentito in quell'abbraccio. Con cosa avrebbe potuto accompagnarsi, in quella nuova vita di sforzi.

« ...ed in nome di tutto questo devo capire cosa abbiamo ancora.
Il cuore mi ricorda di lacrime sussurrate ed un abbraccio schiuso,
un attimo prima della morte...
»

Si girò verso di lei. Gli parve risplendere a sua volta della luce del sole, schiarirsi in quei raggi come uno specchio che infine riempie le sue crepe per rinascere in tutta la propria adornata beltà. Quasi d'istinto, allungò una mano diretta alla sua guancia, per toccarla appena, sfiorarne quel candore ed omaggiarlo con l'incontro del suo affetto. Un gesto spontaneo, cui comunque non era mai stato abituato: non era solito avvicinarsi a qualcuno senza doversi preoccupare numerose volte della sua reazione. Eppure Alexandra era un'altra cosa, ormai.
Non era più una persona come tante altre.
Per lui.

« ...erano le vaneggianti fantasie di un fantasma moribondo?
O forse, in tutto il male che è costato, questo futuro ci ha davvero lasciato
qualcosa di buono ?
»

La fissò, indugiando con una mano che ancora non l'aveva raggiunta.
Preoccupandosi, quasi, che gli venisse concesso il permesso.

 
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Foxy's dream
view post Posted on 12/11/2011, 17:28




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"È silenziosa l’atra nei tuoi pensieri passeggeri
distanti quanto vicini all’infinito dei tuoi germogli"

...


Dolce e carezzevole ogni secondo scorreva via, fuori dallo sguardo, lontano dal ghermirlo. Non era possibile arrestare ancora una volta il tempo, gelarlo nell’immutabile, e tanta naturalezza non poteva mai mostrarsi più perfetta che in un soffio di vento. Lo assaporò con assoluta serenità, in pace con sé stessa; forse ancora incredula d’essere tornata a vivere per l’ennesima volta, riesumata come cimelio o eredità, come zavorra d’un passato sull’orlo della dimenticanza o speranza in attesa di riflettersi su un futuro oramai imminente.
Silenzio.
Nessuna domanda, nessuna risposta.
E poi lente, cadenzate. Le parole di Shakan rimpiangevano la perdita del suo re, di Rainier, e di quel che era avvenuto dopo, in quel frenetico susseguirsi d’azioni e reazioni che avevano trovato il culmine nella morte dei più e nell’abbaglio dei meno. L’idea di Leviatano andava perdendosi ad ogni respiro, lentamente, per riprendere a pulsare sotto il ricordo e le spoglie del più grande re che avesse mai calcato le terre di mezzo.
E nello spasimo di un sentimento la mano le arrivò al viso, ne avvertì il tepore, e si lasciò sfiorare per poi affondarvi la gota. Forse in vita sua mai fu più donna di quell’istante; spogliata di qualsiasi ruolo, compito o missione non avvertiva alcuna armatura a proteggere quel suo debole cuore, nessuna spada a difendere quel suo fragile corpo. Nulla contava, tutto si spense, pareva non aver atteso altro che quell’istante nell’intera sua esistenza, un frammento di quiete in un mondo eternamente instabile e malfermo.
Il sorriso si velò di una sottile patina di malinconia, ma cercò di non darlo a vedere, non troppo perlomeno – ormai era un libro aperto agli occhi di Shakan, e se davvero provava qualcosa per lei, non sarebbe stata necessaria alcuna frase, neppure una parola.

« No Shakan.
Non abbiamo perso un re: abbiamo perso un uomo.
Dovremmo dimenticare chi siamo, per un istante, e tornare ad essere noi stessi. »

Lo fissò negli occhi,
un attimo che pareva sfoltire l’infinito.
« Perché noi non siamo altro.
Perché siamo noi, quel qualcosa di buono… »


Il cuore prese a batterle forte nel petto, infrangendo la quiete che l’aveva lì condotta. Forse non aveva mai provato un sentimento tanto forte, o forse era ciò che aveva provato in passato a sminuirsi di fronte a quell’attimo delicato come un petalo di rosa.
Non avrebbe atteso oltre, non avrebbe rinunciato a quel lieto fine come nella storia più bella - forse scontata, ma che importava? Nessuna sorpresa in fondo, nessun evento inaspettato, null’altro che l’accettazione di quel sentimento martellante.
Socchiuse gli occhi, si abbandonò al suo abbraccio cingendosi a lui come ultimo appiglio di un mondo sul punto di collassare. Eppure nulla fu mai più forte e stabile, nulla fu mai più suadente di quel bisbiglio, di quel richiamo.
Nessuna frase, neppure una parola.
Lo sguardo su di lui, in attesa del culmine, del decantato lieto fine.
 
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view post Posted on 13/11/2011, 12:23
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Le vide distogliere lo sguardo.
Stranirsi alquanto, mentre cercava di sussurrare qualcosa.
Parlava di loro, di un noi che si era forgiato nella dissacrante opera della morte, eppure mancava di quel suo spavaldo coraggio che ne aveva distinto il comando in guerra. Per la prima volta lo spettro la vide esitante, tremante, preoccupata ed indecisa su come giovare a se stessa di quelle parole così importanti, quasi come se tutta la tattica spesa per sconfiggere un nemico insuperabile non valesse nulla innanzi alla prova ancor più dura di superare se stessi. Di superare l'imbarazzo, la stucchevolezza di fraintendimenti nati col deflettere dell'eroismo. Tra abbracci e lacrime versate per la gioia e le morti che si erano susseguite, ma che potevano essere affrontate di petto solo fintanto che non se ne traessero delle conclusioni. Che non si desse loro un nome.

Amore.
Speranza: famiglia.

Cos'era, invece, per lui - quella frase sussurrata? Quel noi stretto tra i denti? Era la voglia di un minuto: l'orizzonte di una possibilità. E quei pochi istanti sarebbero stati tutto per lui. Perché la sua solita timidezza, solitudine e diffidenza scemavano ormai innanzi alle mani candide di lei, che si scostavano imbarazzate, ed alle sue labbra tremanti. Perché, nonostante tutto, per uno che aveva scavato la propria tomba a mani nude, o che si era fatto largo tra i cadaveri dei propri cari, nella città natia che aveva distrutto con la propria opera, quei minuti preziosi erano il primo regalo dopo anni di stenti. E divenne primitivo, famelico come una bestia che rivedeva una preda persa per anni, ormai dimenticata. Li volle per se, di nuovo, quei minuti, ricordandosi dell'amore e del fuoco della passione che aveva perso tra le fiamme nere dell'inferno che l'avevano consumato in quegli anni e che l'avevano trasformato in un fantasma.
Nell'ombra di se stesso.

Divenne ingordo.
Decise di porre nuovamente se stesso al centro della sua realtà, dimenticando la struggente depressione del mondo che gli era crollato addosso, o del Re che era morto per seguire i suoi desideri più impronunciabili. Ora c'erano solo loro due: chiusi in un'anfora di sacralità, provati dalla vergogna di non aver mai abbandonato se stessi all'amore, per molto tempo prima di allora. Era ironico, stupido: avrebbero avuto solo quei minuti. Solo quell'ultimo momento prima di ritornare ad un'era nuova che li avrebbe resi protagonisti e, forse nemici, la prossima volta che si fossero incontrati.

E allora perché?

Perché Shakan Anter Deius non avrebbe dovuto volerla per se, Lady Alexandra?
Perché era un fantasma, uno spettro o un rifiuto del passato?
Perché era un vile, una comparsa - un mero scherzo?
No. Per nessun motivo.

Era un uomo.
Ed era ancora vivo.

« Siamo noi. Siamo io e te.
Ed è talmente vero che la sola idea ti fa paura: come la fa a me...
»

Le scostò i capelli piano, rivelando il bagliore dell'armatura che riverberava alle luci del mattino.
Lo spettro lo coprì, ostacolando qualunque minimo dettaglio che potesse frapporsi tra loro. Poi sussurrò qualcosa, senza dirlo: chiese alla corazza di lei di scomparire, di non esistere più. Chiese alle sue lame di farsi da parte, di lasciarlo solo: chiese ai suoi fantasmi di obliarsi per pochi istanti. E lasciò che le illusioni si prendessero gioco della loro magia: che i loro corpi si liberassero dalle corazze e dalle armi, per pochi attimi. Che i loro animi non fossero nient'altro che fanciulli adagiati sul vento della scoperta: pieni della voglia di piacersi e di piacere, di esplorare l'esperienza del mondo per poterla far propria, per poterne fare tesoro. E raggiunger con fierezza le sponde dei loro nuovi orizzonti.

« Eppure abbiamo varcato la soglia dell'infinito pur di dircelo,
solo per scoprire che il nemico peggiore è la paura dei propri sentimenti.
No, ho versato troppe lacrime e troppe speranze in obiettivi che non mi appartenevano davvero...
»

Le afferrò la mano, con violenza.
Ella parve ritrarsi poco, come se l'istinto della guerriera la spingesse a divincolarsi sempre e comunque. Ma lui fu fermo - per la prima volta nella sua vita, fu deciso. Le accarezzò le dita, lentamente, aspettando che si fidassero di lui. Poi si avvicino, soffiando il vento tra i suoi capelli ed appoggiando la fronte sulla sua. Una carezza di corpi che si sarebbero introdotti l'un l'altro, aprendosi alla fiducia reciproca, prima ancora che al resto.

« ...è tempo che il cuore mi imponga ciò di cui ho bisogno.
Ed ho bisogno di rischiararmi nel vetro di una nuova era.
Ho bisogno di nutrirmi di qualcosa che mi dia forza, nella mia nuova vita...
»

Indugiò, sussurrando ad un soffio dalla sua bocca.

« Ho bisogno di te.
Per questo attimo eterno.
»

shakexb

Le labbra dell'imperatrice erano fredde. Le sue anche, così poco avvezze a congiungersi prima d'ora: dimenticate dall'amore e da qualunque coinvolgimento anche soltanto lontanamente eguale. Eppure si rammentò in fretta del calore di quel gesto: di quanto la passione potesse radicarsi negli uomini anche senza che questi avessero mai imparato a riceverla. Come l'istinto della morte, della vergogna e del peccato risiede nei cuori mortali, evidentemente lo è anche quello dell'amore. L'unico istinto che genera la vita.
E lo spettro baciò la sua imperatrice, con tutta la passione che il suo cuore grigio potesse donarle.

Il primo bacio.
L'ultimo bacio, prima di andare.
Prima di diventare, entrambi, qualcosa di diverso: distanti l'uno dall'altra.
Ma comunque uniti: per l'eternità.



Autoconclusività concordata con Foxy. Shakan usa l'attiva di secondo livello del dominio per vestire lui e Alexandra di abiti "normali", spogliandoli delle vesti da guerra per fare in modo che nulla "ostacoli" il loro bacio. E' usata un pò impropriamente, ma è solo per effetto scenico. Non credo ci sia bisogno di citarla, comunque.
 
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Foxy's dream
view post Posted on 17/11/2011, 23:07




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"… e continua a raccontare,
non lasciarti intimorire da un leggero bagliore di noncuranza"

...


Un mondo piccolo, tanto fragile dall’incutere timore, una scatola di cartone inumidita da lacrime dolci, innocenti, dal vago sentore di miele e cannella. Un mondo tanto piccolo da chiudere, avvolgere delicatamente i due amanti di un istante, un bozzolo dall’orrore della guerra e dal terrore dei ricordi. Non v’era un poi, e neppure un prima, ma un adesso eterno e avulso da ogni cosa. Il tormento di quel che era o sarebbe stato non avrebbe sciupato quel momento, una parentesi dal mondo intero, cieco astante di quella storia, bieco intrattenitore di un’illusione.
E fu nel pronunciarsi delle sue parole che i sensi mentivano, fu nel proferire dei suoi gesti che quel deserto si tinse. Stretta nell’abbraccio di Shakan non sapeva quanto a lungo quel gioco sarebbe andato, ma le domande non avevano alcun motivo d’essere, e le risposte, per quanto veritiere, non avrebbero mai infranto lo specchio delle loro anime.
Si crogiolò di ogni secondo, si beò di ogni profumo la inondasse. Era come perdere tutto, lasciare che ogni pensiero fluisse via, e non avrebbe voluto né potuto far nulla per impedirlo; era come se l’attesa fosse ripagata cento e più volte ancora. Se il dazio per quel sentimento era l’orrore dei peccati più aberranti, avrebbe pagato mille altre volte quel peso, per quanto triste o doloroso fosse stato.
Sorrise dolcemente, neppure avvedendosene.
Improvvisamente perse arma e armatura, dissoltesi nel nulla di quel sogno, e al loro posto quei ruvidi grani amaranto risplendettero di verde smeraldino, mascherandosi, obliando quel tetro scenario per far spazio a un prato scintillante, florido, deliziosamente vivo. L’esaltazione di quel sentimento come altro poteva manifestarsi, dopotutto? Le lattee calendule parevano risplendere sotto i raggi di quel sole infante, e la sua veste di seta bianca ondeggiava con delicatezza sotto il soffio del tiepido maestrale.
Sbatté le palpebre. Una volta, e poi un’altra ancora.
Le cullanti parole di Shakan trovarono termine in quel bacio che definire lungo e appassionato sarebbe equivalso forse a sminuirlo. Non v’erano parole per definirlo, non vi sarebbero mai state, probabilmente. In realtà non aveva mai amato nessuno in vita sua, non prima di quella guerra. Forse è ridicolo rendersi conto di quel che un cuore prova, del perché pulsa nel petto, specie dopo aver subito e affrontato le peggiori angherie che il destino possa serbare; eppure quel pensiero fu solo confortante.
Erano vivi, e quel bacio lo dimostrava più di qualsiasi frase ad effetto, più di qualsiasi dialogo o monologo imperante. Il silenzio, talvolta, è la miglior risposta alle domande.
Tuttavia, al seguito del sogno più bello, sopraggiunge sempre il risveglio, il momento in cui ogni desiderio smette di prendere forma, l’istante in cui la realtà piomba con tutto il suo peso. Le responsabilità, il ricongiungersi al passato per dar vita a un futuro concreto e coerente; e non solo le preoccupazioni, ma anche ansie, inquietudini per un fato incerto, per certi versi duttile.
Fu nel tremore delle sue labbra che Alexandra si divise da Shakan, forse avrebbe capito ancor prima che le sue parole spezzassero quell'attimo pregno di passione.
Nessuna menzogna avrebbe retto, nessuna fallace prospettiva a quell’orizzonte, illusorio o meno che fosse. La bellezza, talora, non necessita di realtà o concretezza.

« …devo andare.
Sai anche tu che quest’attimo non potrà essere eterno. »

Gli occhi le si inumidirono, mentre un sorriso spento le adornava il viso.


In quel momento le braccia abbandonarono la vita del proprio amore, l’unico col quale avesse condiviso davvero qualcosa. Troppo personale, forse, eppure quel dono era la più grande promessa che potesse fargli.
Le dita affusolate scivolarono dietro al suo collo, per sciogliere il nodo che teneva legata la sua collana. Con eleganza la tirò su, infrangendo con flebili tintinnii metallici i loro tremuli respiri, rifratti ancora in quel bacio indimenticabile .

« Quest’anello è l’unica promessa che posso farti.
Un giorno forse me lo restituirai, o forse no.
Apparteneva a mia madre, Rachel. Non l’ho mai conosciuta in verità,
ma questo monile rappresenta molto per me, e credo sia giusto affidarlo a te. »

Le lacrime le rigarono il viso, ma il sorriso non scomparve affatto, anzi,
parve risplendere di una luce diversa.
« Non ricordarmi come colei che ti ha abbandonato, piuttosto come colei che ti ha trovato.
Non è un addio, ma un arrivederci. »

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Alexandra afferrò la sua mano per posarvi dentro la collana con l’anello al suo interno,
mentre una smorfia di dolore le corrugò il volto.
Poi si riprese, cercando di darsi un contegno.
Posò la mano sul suo petto.
« Ci rincontreremo, ne sono certa… »
E nello spirare del vento e di quell’illusione, sparì nel nulla, perdendo consistenza come il miraggio più sfuggevole, il sogno più delicato.

...

Un finale, dopotutto, non deve essere né triste o lieto.
Un finale, dopotutto, è sempre senza alcun sapore.





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Quest’anello rappresenta l’unico ricordo che Alexandra conserva di sua madre, defunta durante il parto a causa di spiacevoli complicanze. L’anello è inserito in una catenina d’argento e usualmente portato al collo, lontano e al contempo vicino al suo cuore, in vicendevole compagnia durante ogni impresa. Il monile, consta di una fascia in oro bianco finemente lavorato, sulla cui sommità è incavata una splendida perla di agata calcedonio abilmente levigata. All'interno della fascia v'è inciso il nome della sua precedente proprietaria, Rachel, esponente della famiglia Chateaubriand data in moglie al primogenito della casata Blanchard.
 
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view post Posted on 18/11/2011, 12:21
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Infiniti giorni.
Ed eterni momenti, ci separeranno ancora.
Fino a quando non ci ritroveremo.
Per sempre.


L'incanto di un sogno durò il sospiro di un lamento strozzato, socchiuso, tra labbra umide e lacrime salate.
E, rigando il volto di rancore, la frustrazione leggera discese per un altro secondo - l'attimo successivo - sul volto dello spettro, che si riscoprì ancor più vittima, di quanto lo fosse stato in passato, della sua vita rinnegata, che non gli consentiva di trovar la serenità nemmeno in quell'amore insperato. Infatti, Shakan l'avrebbe stretta ancora, l'avrebbe tenuta con se, con infantile rabbia, per non lasciarla mai andar via: perché la vita gli stava strappando una gioia per l'ennesima volta, perché l'avrebbe persa, perché l'incanto sarebbe stato spezzato dal dovere. Perché, ancora una volta, avrebbe perso qualcosa di importante.

Questa volta, però, non per sempre. Fu la dama stessa a sussurrargli quella speranza, a riscoprirsi generosa di fiducia ed orizzonti migliori. Il loro cammino li richiamava in poli opposti, ma proprio quei loro cuori così vicini, così teneri l'un con l'altro, si sarebbero richiamati molto presto, per non dimenticarsi mai. Per una volta ci sarebbe stata una speranza: la speranza che un giorno migliore sarebbe giunto, anche per loro due. E quel dono fu il sigillo di quella promessa: lo spettro lo indossò con la fiducia stessa che l'imperatrice volle apporgli, col messaggio insito nello stesso che li avrebbe riportati ad incontrarsi ancora, a scambiarselo ancora.
Quel bacio e quell'anello.
Entrambi.

« Ci incontreremo ancora... »

Sussurrò il fantasma, sillabando le stesse parole dell'imperatrice, mentre lei scivolava via, qualche passo lontano da lui. La vide esitare, tentennare in quella decisione che si riproponeva come ferma, ma mutava rapidamente nella propria reale fragilità. Passi decisi e, allo stesso tempo, incerti, per condurli lontano l'uno dall'altra, ma dove nessuno dei due avrebbe voluto essere. Infine, nemmeno lui poté esitare oltremodo: vide l'imperatrice allontanarsi e fece altrettanto, facendo pochi passi indietro e riprendendo la via. Nel mentre, stringeva quel sigillo d'amore, quell'anello che avrebbe portato al collo, d'ora in poi: fino al giorno del loro nuovo incontro.

Perché devo rinunciare a lei?
Devo pagare il prezzo del suo cuore - per un popolo che non mi ama?


Meschini dubbi. La fragilità di una convinzione che perdeva ogni confronto con ciò che aveva appena vissuto: egoisticamente lo spettro rifletteva sull'opportunità di rinunciare a se stesso, per qualcuno che non avrebbe mai compreso. Una generosa benevolenza che avrebbe portato la sua stessa mano a lacerarsi per qualcuno che non l'avrebbe mai capito, a dispetto di qualcun'altro che l'aveva appena omaggiato con tutta se stessa.

Eppure qualcuno ti ama, Shakan.
Qualcuno che ha creduto in te: che ti ha insegnato la dolcezza della vita.
Tutto questo ti fa capire, Shakan.


« Capire... cosa ? »

Parlava con se stesso. Dialogava con la coscienza che gli dettava leggi e turbamenti.
Ricercando un solo motivo valido per riprender la via del Clan.

Capire che tutti meritano la vita.
Come l'hai avuta tu oggi: come la meritano i popoli del regno in rotta.
E' il tuo dovere.


Tutti meritano una speranza.
Dopo il flagello che ha colpito il mondo, dopo la disperazione che ha dilagato, asserire che ancora ci fosse speranza era già il primo passo per ricostruirlo, il mondo. E quel giorno Shakan aveva avuto la prova che il mondo poteva essere ricostruito: che se c'era spazio ancora per l'amore, in quella landa maledetta, allora c'era spazio per una rinnovata rinascita. E forse proprio lui, che di quel male era morto, risorto e sopravvissuto, era il primo capace di asserire quanto tutto quello fosse ancora possibile, non precluso. Quanto il regno avesse ancora modo di fantasticare di se stesso nei cuori dei propri sudditi, e quanto il passato non ne avesse divorato ogni possibilità. Ricostruire, per rinascere. E tutto ripartiva da quella sua rinuncia: per quel mondo infame che non l'amava. Ma che amava se stesso: e tanto bastava. A lui, tanto sarebbe bastato, alla fine.

« E sia... »

Concluse, stringendo con forza l'anello nel suo pugno.
Confidando nella resistenza di quello: nella potenza del nuovo vigore.
Nella speranza del nuovo mondo.

« Il Bianco Maniero rivedrà ancora le spoglie di questo cadavere.
E che si prepari, allora: Shakan sta tornando...
»

shakan12

Con un cuore in più.
Con un futuro in più.
Con una speranza in più.
Ripensando a lei e a quando si sarebbero rivisti.
Nemici sul campo, amanti nel cuore.



Conclusione della scena, si può chiudere.
 
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5 replies since 5/11/2011, 00:50   648 views
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