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| •C•O•N•Q•U•I•S•T•A•D•O•R•E•S• Capitano su una nave, due cuori che battono, felicità da difendere. Scuro, qualcuno ha spento la luce, il sole, ha chiuso le tende, mi ha infilato una pignatta sul capo. No, peggio, ho le palpebre chiuse. E non le riesco proprio ad aprire, proprio no. Dove sono? Che diavolo ci faccio qui? E Yukatan che fine ha fatto? Oh, povero figlio mio, spero non gli sia successo nulla di grave, non so cosa farei, in quel caso. Un tremore lieve riesce a muovere le dita del tutto intorpidite della mano destra. Una, due, tre, quattro e poi, con qualche difficoltà, cinque. Ci sono tutte, buon segno, questo è poco ma sicuro. La lingua saggia l'aria gonfia d'umidità e polvere, il marciume del legno si infiltra acre nelle mie narici, il debole odore di roba da mangiare non ben distinta in lontananza. C'è puzza di nave, c'è puzza di casa. La mano si contrae, la bocca emette un lungo respiro, le dita si cingono in un pugno, solido, compatto, ma debole. Un pulsare continuo incrina le tavole del legno, una risonanza opposta al mio stanco cuore, esattamente speculare. Ogni battito che quel vecchio muscolo compie, lo fa anche lui, più vigoroso e giovane, più allettante e potente. Mi dà la forza, il rumore cadensato di quel cuore che batte all'unisono col mio, ma che so che non è il mio, mi ridà la forza di muovere le braccia, e le gambe, e di provare un gesto assai azzardato. Le palpebre serrate, non si vogliono aprire. Che abbiano paura di quel che gli aspetta? O magari, complici degli occhi, vogliono solo che io dorma ancora, a lungo, magari per sempre. Le palpebre non si aprono, non lasciano nemmeno un piccolo spiraglio perché entri la luce, nemmeno una minuscola finestra per lasciarmi guardare oltre le ciglia. Rimangono assolutamente serrate. Il braccio si muove di nuovo, trovo la forza per sollevarlo e portarlo al cuore. Due battiti, uno dopo l'altro, ben distinti, esattamente uguali, ma che danno due sensazioni opposte: Vecchio e Giovane, debole e forte, stanco e vigoroso, antico e nuovo. Oh, come vorrei lasciare il mio per prendere quel cuore nuovo di zecca, vorrei davvero appropriarmi di quel battito furente che sento vicino, ma so che non è mio. Ma le palpebre non si aprono ancora, nossignore, e senza nemmeno guardare, come posso pretendere di ritrovare un cuore perduto? E c'era silenzio, mentre i due cuori battevano, il silenzio umido della stiva di una nave, con le silenziose tavole di legno umide, che scrutano i movimenti di chi passa per di là. Poi qualcosa si muove, in quel silenzio. È una voce tanto calda, tanto familiare, è qualcuno che conosco come il primo battito dei due cuori, come qualcosa di vero e antico, di mio. “Capitano, finalmente si è svegliato!” Per un attimo, il cuore giovane e forte smette di battere, detta il silenzio anche all'anziano cuore. Stanco, non oppone resistenza, ritorna a battere mesto e pacato senza dar fastidio a nessuno nella sala. Vorrei rispondere a quella voce calda e antica, ma qualcosa ancora me lo impedisce. Urlo, con tutta la mia voce, ma quel cuore urla molto più di me, con una voce più giovane, più vigorosa. Le palpebre non si apriranno, il tempo non passerà. Quel cuore giovane ha smesso di battere, e io sento ancora forte il bisogno di quel rumore, di quei rintocchi vigorosi che compensino gli stanchi ticchettii del mio cuore anziano e malato. Quel suono è linfa vitale, è la risata di un figlio, sono le mani di mio padre, le labbra di mia madre, sono le grida dei gabbiani, le onde forti del mare. Il resto è silenzio, il resto conta poco. Pensandoci, non conta affatto. La porta si chiude, le palpebre decidono di chiudere bottega, lasciano un cartello invisibile. “Torno subito”, c'è scritto, ma loro lo sanno che quella bottega non aprirà più, è solo una presa per il culo per i turisti quel cartello. Poi una voce, di nuovo, si presenta e bussa alla porta. “Capitano” Va via, non lo leggi il cartello? La bottega è chiusa, torna più tardi. La voce bussa più forte, sbatte i pugni contro la porta, urla un dolore antico e conosciuto. Va via ho detto! Nessuno può aprire questa bottega. Quel cuore ha smesso di battere, questa vita ha smesso di esistere, tutto questo non ha più alcun significato. “Capitano, si svegli” La voce prende a calci la porta della bottega, strappa il cartello, si lancia con ogni mezzo contro quell'ammasso di cardini e legno. È inutile faticare tanto, la porta non la apro! Perché aprirla? Il mio cuore è vecchio, e l'unica mia ragione di vita era quel cuore giovane e vigoroso, ma ha smesso di battere anch'esso. No, non ho più motivo di alzarmi, di aprire la porta e uscire. Andate via, leggete il cartello o quel che ne è rimasto, lasciatemi in pace. Per un attimo, nessuno bussa più alla porta. Forse la voce se n'è andata davvero, finalmente mi ha dato retta. “Capitano, non mi riconosce? Sono Yukatan, cazzo! Yukatan!” Uno spintone violentissimo sforma la porta, i cardini e le schegge di legno volano per tutta la sala. Rimane in piedi a fatica, sorretta più dalla volontà divina che da una qualche effettiva ragione. Ma la porta è forte, le palpebre non hanno intenzione di aprirsi. Subito si ricrea, più solida di prima, più forte e robusta. Andate via, non voglio vedere nessuno, nemmeno questo tizio, Yukatan. “Dovevamo salire su questa cazzo di nave e l'abbiamo fatto, e ora che c'è da combattere per difendere questa posizione, lei non riesce a muoversi?!” Uno spintone, ancora più forte. La porta prende una forma a V, ma rimane in piedi, si piega, ma non si spezza, al contrario di qualche famoso detto. Un battito leggero, lontanissimo, pervade la stanza. È un suono antico, assolutamente stupendo, risentirlo mi fa quasi venire voglia di vivere di nuovo, di riaprire le palpebre. Ma una melodia cupa rende un sussurro quel battito, e la vita non tornerà a sorridere, senza quel cuore che batte di nuovo. Andate via, andatevene tutti. “Capitano, si alzi e combatta, io sono il suo mozzo, il suo compagno fedele” Yukatan...
“Edoardo Jeremiah Achab, maledizione, vivi!” Un battito forte come non mai pervade la stanza. È un cuore giovane, è un rumore familiare e stupendo. Ed è potente, tanto da rendere silenzio ogni cupa melodia, tanto da farmi tornare voglia di vivere, da farmi venir voglia di aprire le palpebre di nuovo, senza che una melodia me lo impedisca. Il battito echeggia per tutta la stanza, la porta si apre in un leggero cigolio, due dita leggere e affusolate la spostano con la forza che ha una farfalla nel sopravvivere un giorno in più. Sono vivo. Di nuovo. Le palpebre si aprono, in una sola volata, rivelano una stanzetta di legno, con nient'altro che una finestrella, un letto e un comodino. Davanti a me la Capitan Hook, il mio cannone e il borsello. I miei vestiti addosso a me, come nuovi, come se non fosse stato nulla. Davanti, come una figura sacra, quello che chiamo con orgoglio “figlio mio” non per il sangue, ma per l'acqua salata, un legame ben più forte. “Sì, Yukatan.” la bocca accenna a un sorriso “Vivo. Vivrò” Le gambe si alzano in un goffo tentativo atletico, si spostano al bordo del letto con le ginocchia piegate, l'intero corpo si mette in posizione seduta. Al fianco del letto i vecchi stivaloni marrone scuro, quelli con le cinghie dorate che portavo sul Viderah, il mercantile più grande che io abbia guidato. Le mani li afferrano e li assicurano ai piedi, il corpo raggiunge una posizione eretta. Lo sguardo rivolto a Yukatan, eretto in un'espressione serena, di fronte a me. Perché ha parlato di combattere, cosa intendeva dire? Ora che ci penso bene, perché sono vestito, e che ci fanno le mie armi qui. Ma ora che ci penso ancora meglio...Che ci faccio IO qui? Combattere...combattere per la nave. La nave? Io non ho più una nave, l'ultima ha fatto un gran brutta fine. Ah no, aspetta! Cazzo. CAZZO. C A Z Z O! “Yukatan, siamo su una nave! Siamo saliti a bordo! Ce l'abbiamo fatta, cioè ce l'ho fatta, sono proprio un grande in effetti. Oh grazie signor achab. Ma si figuri, signor Achab. Oh oh oh” Tripudio, salti di gioia, tutte le forze erano tornate. Dunque eravamo saliti, avevamo passato quel valoroso scimmione guerriero. C'era da festeggiare, da stappare litri di champagne. Ma Yukatan non disse una parola, immobile e a capo chino stringeva tra le mani un pezzo di carta sgualcito. Alzò gli occhi stanchi, come fossero notti che non li chiudeva. “Lei ha ragione capitano. Siamo su una nave, una zona felice dove poter passare ancora anni e anni della nostra esistenza” Era strano, le sue parole confermavano esattamente quel che stavo dicendo, ma non c'era in esse alcuna traccia di gioia. Anzi, c'era, ma era nascosta da una paura troppo profonda. Tirò un lungo sospiro, poi continuo il discorso lasciato in sospeso. “Ma capitano, si sa che per tutte le cose belle, s'ha da combattere” Yukatan mosse leggermente la lettera con la mano, poi tornò a parlare. “E pensava forse, pensavamo che il combattimento contro Dave- a quanto pare il nome del guerriero che c'era sotto la nave- fosse stato sufficiente per tanta felicità” Le sue parole mi scossero non poco, una sensazione di assoluto turbamento mi assalì. Di che diavolo stava parlando? Non è che vuole tentare di uccidermi o di disertare? No eh, perché lo faccio fuori prima ancora di cominciare eh, in tutti e due i casi. “Yukatan, cosa cavolo stai dicendo, siamo sulla nave, non ved – non ebbi il tempo di finire che le parole urlate di Yukatan misero a tacere ogni mio discorso.- “E se le dicessi che qualcosa minaccia la nave?! Capitano, la felicità non va solo conquistata, lei mi ha insegnato che va anche e soprattutto difesa, con le unghia e con i denti!” Chi? Perché? Cosa era successo a quel pavido mozzo durante il mio sonnellino, che diavolo gli era preso, cosa stringeva nelle mani. “Legga, Achab” Yukatan mi porse lo sgualcito foglio di carta che teneva tra le mani, tremando lievemente. “È da parte di Dave Mckane, il guardiano che ha gestito la sua prova”. Dunque tutto quella messa in scena era una prova? Diavolo, c'abbiamo quasi perso la pellaccia sia io che lui, che cazzo di concetto hanno di “prova” su questa nave? Le mie grosse mani invecchiate dal mare e dai calli, afferrarono il sottile foglio di carta. Lo portarono terrorizzate davanti agli occhi, come se fossero coscienti del contenuto di quella lettera. Le pupille viaggiavano veloci da un lato all'altro, il mio animo diventava sempre più spaventato, le mie labbra sempre più secche, il battito del mio vecchio cuore sempre più veloce. Poche righe, firmate Dave McKane, la minaccia incombeva sulla mia felicità, sulla felicità di Yukatan. Occhi bassi, le mani stringono il foglio di carta tanto da romperlo alle estremità. La testa si alza il minimo indispensabile, e non so se il sentimento che mi prende è rabbia, paura, disperazione o solo vera voglia di combattere, di difendere con le unghia e con i denti, con il ferro della Hook e i miei tentacoli questa felicità formato nave.
“Passami la Hook, Yukatan. Andiamo a vedere come difendere questa felicità”.
__________________ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __________________ Edoardo Jeremiah Achab
Le scrivo questo breve messaggio, perché dopo aver fatto tanto per salire su questa nave, credo sia interesse comune difenderla con ogni mezzo. Un pericolo incombe, l'intero regime della nave è messo a repentaglio da un nemico che viene dall'interno, un nemico potente, astuto e temibile. Ammetto che il nostro primo incontro non è stato dei migliori, ma non le sto chiedendo di diventare mio alleato, ma solo di difendere insieme a tutti i corpi disponibili la Puttana volante. Impugni la spada e si rimetta in piedi, una nave ha nuovamente bisogno di lei.
Saluti Dave McKane
__________________ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __________________
Inserirò lo specchietto dal prossimo turno Credo però che ci siano due cose da fare. I Due cuori che vengono descritti all'inizio (Come potete notare, il post è quasi del tutto introspettivo), non rappresentano solo il cuore di Achab e quello di Yukatan, ma altre due cose ben distinte: Il richiamo alla vita precedente in mare, descritta come giovane e forte, in contrapposizione con quella vecchia e debole sulla terraferma. L'altra è l'avanzamento della personalità di Malad (Non dirò cosa è ) in Achab. Praticamente, il mannarismo avanza, tanto da fargli sentire il cuore della bestia che lo domina, come un richiamo. Il discorso completo è più lungo Null'altro da dire, il riassunto delle azioni è che Achab si alza dal letto dopo una convalescenza di quasi dieci giorni, e gli viene data da Yukatan questa lettera, mandata in segreto da Dave McKane. Achab decide dunque di unirsi alla resistenza, e in questo momento si trova fuori dalla cabina, sull'uscio. E ora a nanna, alle 5:30 domani parto. A presto asgradellini :3
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