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Sembra quasi una lacrima, il sapore salino sulle gote, un oblio liquido che scende dagli occhi chiusi—paralizzati—di qualcuno che non può più vedere. È nera. Scivola sulla pelle immota, vibrando tenue per il suono delle parole sussurrate poco distanti. Il tendersi dell'irreale e del sogno, mentre il mondo del senzavita privo di sensi cambiava e cambiava ancora. Aveva fallito, era caduto a terra. Il suo corpo lo sapeva, la sua anima lo sapeva, ma l'involucro dell'oblio che rappresentava taceva. Non gli importava, non più, a quanto pareva, giacendo egli immobile, a terra. Un attimo solo, e perse completamente i sensi, la lacrima asciugata al tiepido sole. Non importava più nulla. Non più. NON—
—
—non c'è niente nell'oscurità della tua anima e tutto quello che si vede è solamente nero per un tempo infinito che non passa mai e sembra non avere mai avuto inizio perché mai non avrà una fine— ... e il mondo è invece cambiato, nel risveglio senza sogni—qualcosa un globo informe si gonfia e si sgonfia—e intorno a sé si vede una casa—nessun colore—. Una casa qualunque, alcuni oggetti messi bene in ordine su una scrivania poco distante—una casa di un fuggitivo forse preda di saccheggi libri a terra resti di fogli sparsi e bruciati un odore di chiuso—e due persone davanti a sé. Qualcosa che brucia, uno scoppiettio nel camino acceso, rosso, sangue, luce. È accecante, il rapido battersi di ciglia è sufficiente a rendersi conto di questo, ma è quasi troppo, il suo corpo non è più abituato ad agire. Non sa più come comportarsi. Non vuole vedere nessuno, all'infuori della sua anima tormentata, non vuole far del male a nessuno, solo deve completare la sua ricerca, solo deve capire che cosa— (movimenti involontari dei muscoli e delle terminazioni nervose)
« Ben svegliato. »
Colpo di tosse, mettendosi a sedere, piano, respirando forte, male al petto. Non rispose guardò avanti e guardò a destra - muro - riguardò lei. Sapeva chi fosse. O meglio, sapeva chi avesse rappresentato. Una preda— (ombre intorno a loro volge lo sguardo ma non c'è nessuno)
« Stai tranquillo, sei di nuovo in te. Sì, dal momento che riesci a non tentare di ucciderci. »
C'era un che di sarcastico in queste parole. Tuttavia erano pronunciate con un tono materno, non c'era traccia di condanna. Come volesse dire che lo sapeva, aveva visto tanti come lui, non era colpa sua—certo che lo è lui è l'assassino che stanno cercando cosa aspetta perché non fugge perché rimane lì da lui ha visto di cosa era capace lui ha ucciso tanti lui ha provato a uccidere lei e lei e—non erano soli, una terza figura stava sdraiata, immobile, pareva addormentata, poco distante. Ma la sua faccia era familiare. Non sapeva il suo nome, non sapeva chi fosse ma qualcosa stava palpitando premendogli e comprimendogli la testa mentre le sue vene pulsavano. Lei la conosceva. Lei l'aveva conosciuta. Lei era—
« Chi è lei? »
Il suo gesto era inequivocabile, lento, come fosse compiuto dalla mano di un morente. Un paragone azzardato, per molti versi. La ragazza guardò nella direzione della mano del senzavita, ma voltò in fretta lo sguardo, di nuovo verso quest'ultimo. Sembrava preoccupata per altre cose. Non c'era tempo per simili inutili spiegazioni. Non c'era tempo per—nessuno deve sapere chi è la bambina nessuno deve sapere chi è la bambina lo scoprirò e ti divorerò come farò con ogni persona com'è il mio destino com'è il mio desiderio—qual'è il desiderio—
« Come ti chiami? » « Non è pericoloso vero? »
Spencer, seduta lì vicino, guardava il senzavita con una certa diffidenza. Non si sentiva al sicuro, essendo nella stessa stanza con lui, a soli due passi; forse ancora sentiva e poteva sentire l'eterna irreale apparente nera follia del ragazzo. Se Hocrag avesse voluto, avrebbe potuto ucciderle entrambe con facilità, in pochi secondi, o almeno era quanto ella pensava. Avrebbe potuto—ma la ragazza l'avrebbe di nuovo impedito chi era lei come aveva potuto ostacolare i suoi intenti il suo desiderio il volgere del suo istinto—L'obliato guardò Spencer, tendendo le labbra. La sua mente taceva, il suo animo era almeno in superficie calmo, non si sentiva spinto da alcun desiderio. Tutto era normale, voleva solo affondare di nuovo nel nero, e restarci per sempre. L'unica cosa ormai possibile, per un essere privato sia della vita che della morte.
« Io, non lo so, non importa chi sono...— » « Sì, va tutto bene, non averne paura— » « HOCRAG! »
(ma subito dopo si calmò e si interruppe d'improvviso)
Gli sguardi degli altri due erano puntati su di lei. Il senzavita, da parte sua, era incuriosito, ma già sapeva perché lei lo doveva odiare. Era giusto. Era il naturale ciclo degli eventi. Egli era destinato ad essere odiato—sapeva perché ala ragazza era lì, solo per lui, voleva ancora spiegazioni, spiegazioni che tuttavia lui non le avrebbe potuto dare—poiché non riusciva a darle neppure a se stesso—ormai non esisteva più nessuno che potesse sapere più di loro—
« Perché ... ti comporti così? Perché hai cercato di ucciderci? Perché— » ma ogni domanda successiva le era morta in gola. Non sapeva come comportarsi, non sapeva che altra domanda porre: come poteva un ragazzo, appena ripresosi da uno svenimento, un ragazzo portato alla follia dalla sua mente e solo da quella, giustificare i propri comportamenti? Anche se essi volevano dire aver tentato di uccidere? Eppure se ne era già resa conto. Poco prima di decidere di dirigersi verso di lei, egli aveva cambiato direzione. Non l'aveva puntata, l'aveva guardata con strani occhi ma era stata preda di una forte nausea, niente più. Quindi egli aveva diretto le sue attenzioni sull'altra. Avrebbe potuto ucciderla, no? Perché non l'aveva fatto? Questo voleva chiedergli, questo voleva—ma non poteva in che modo poteva chiedere spiegazioni pure sul non aver tentato di uccidere—
« ... perché tutto questo? »
fu l'unica domanda. L'altra abbassò lo sguardo, così pure l'altro. Questi non rispose, non poteva giustificare nulla, o almeno, non a persone che non fossero come lui—ma in tal caso nessuno avrebbe avuto bisogno di spiegazione alcuna—perché così doveva accadere, e basta. Non poteva far altro che comportarsi in quel modo, era necessario.
« Era necessario, Spencer. Io ... non so altro. »
Forse mentiva, ma cercava di mentire più a se stesso che ai propri interlocutori. In realtà sapeva, qualcosa, ma quello non era il momento adatto per parlarne. Con nessuno, avrebbe potuto parlarne. Silenzio. Tornò a parlare l'altra, forse tentando di prendere in mano la situazione. Non avevano tutto il tempo per le chiacchiere, d'altronde; pensò anche di giustificare in qualche modo il comportamento del ragazzo—ma non sapeva nulla lei non lo conosceva non sapeva NULLA—stai lontana—
« Io mi chiamo Aris. Devi comunque stare attento, Hocrag; ciò che si annida in te è stato solo messo a riposo, ma un qualsiasi turbamento, di ogni genere, potrebbe risvegliarlo. »
Spencer si alzò di scatto dalla sua sedia, estremamente turbata, come se non si aspettasse di sentire quelle parole. Pensava fosse finita? Forse ci sperava, ma quelle parole vanificavano ogni suo pensiero inconscio. Camminò in giro per la stanza; avrebbe voluto scappare, ma nello stesso tempo non poteva: era completamente in balia degli altri due. Non aveva potere nel proprio destino, doveva sottostare alle decisioni altrui. E ai loro sbalzi d'umore. Era in trappola, e non poteva far nulla per fuggire. Questo si vedeva, gli altri lo sapevano, quasi sicuramente. Volle fuggire, ma da sola non avrebbe potuto—era legata a loro— Il ragazzo e Aris erano quindi rimasti soli, allontanandosi Spencer— ora il senzavita doveva sapere—come aveva fatto ad addormentarlo all'improvviso—Dormi—una sola parola—la ricordava confuso ma essa albergava nella sua memoria più profonda—non era normale—era come lui?—vide davvero mai del nero nei suoi occhi?—che cosa sei, Aris?—
« Chi sei, Aris? »
Il suo volto sembrò oscurarsi per un breve istante, ma di nuovo il suo solito tenue sorriso lo tornò ad illuminare di luce fioca. Socchiuse la bocca per replicare, ma poi ci ripensò. Non aveva davvero nulla da nascondere? Non c'era da esserne così sicuri—luci azzurre intorno alla casa—sussurri in lontananza—non erano più soli—
« Aspetta. »
Il suo volto divenne pietra, aveva sentito qualcosa anche lei. Dovevano fuggire, li avevano trovati.
« Che succede? »
Aris raccolse la bambina con un balzo, mentre il senzavita si tirò in piedi di scatto.
« Andiamo. »
Hocrag si guardò in giro. Dovevano fuggire non c'era tempo per lasciare libera la sua anima contro quegli uomini che altro non si meritavano se non di—doveva raggiungere il suo obiettivo—avevano perso troppo tempo—non gli interessavano le ragazze ma Aris sapeva qualcosa che poteva servire e voleva conoscere la sua identità—Dormi—chi era—come aveva fatto—in cosa lui stesso si stava tramutando— Egli fece un gesto per indicare la finestra. Non potevano uscire dalla porta, gli uomini stavano arrivando da quella direzione. Aris scosse la testa, indicò la bambina. Cosa? L'avrebbe presa lui, o Spencer, mentre ella avrebbe scavalcato. Aris scosse la testa, non voleva lasciare la sua bambina ad altri. Ma cosa stava dicendo, preferiva affrontare gli uomini? Non rispose, era turbata, il tempo scorreva, lei era immobile. Il senzavita avrebbe tanto voluto lasciarla lì, ma non poteva, a questo punto. I suoi occhi divennero bianchi, la sua pupilla scomparve.
toc-toc Silenzio. pum
« Entriamo. »
Sfondarono la porta con facilità, il legno era già marcio di suo. Erano una decina, non avrebbero di certo fallito. Stavano seguendo l'uomo, ma non era solo. Erano uomini addestrati a combattere fin dalla nascita, per un motivo o per l'altro, non si sarebbero fatti sopraffare tanto facilmente, e per questo i loro lineamenti lasciavano trasparire l'eccitazione. Entrarono convinti di averli sottomano e coglierli alla sprovvista, con una faccia crudele quanto la vita che erano costretti a passare, ma di colpo i loro lineamenti si tesero, invece, nello stupore.
« Ma che caz-? »
Davanti a loro e intorno a loro solo specchi che riflettevano la propria immagine, lui e i suoi uomini distoglievano lo sguardo dai veri ragazzi, oltre alle cianfrusaglie a terra, armadi e tavoli. La stanza era piccola e pure sembrava immensa. Ma come diamine—?
« Eccoli! »
Stavano su una sedia, oltrepassando quelle pareti liquide. Hocrag per ultimo, sfiorando entrambe le ragazze come accompagnando il loro salto, fuori dalla finestra, quindi saltò anche lui. Gli uomini gli arrivarono dietro un attimo di ritardo e si infransero contro i solidi specchi, che vibrarono un istante, ma non mutarono la loro posizione. Specchi, specchi e specchi. Picchiarono e urlarono, in trappola, ma le loro urla giunsero appena ai tre ragazzi, già lontani.
—
La strada proseguiva tortuosa ma per fortuna sempre in discesa. Corsero o quasi una decina, venti, trenta minuti, mentre il tempo pareva essersi fermato lasciando a loro il tempo di fuggire e di mettersi in salvo. Appena in tempo. Si fermarono solo all'ingresso di un porto, che sembrava quasi abbandonato. Solo silenzio, lì intorno. Ripresero fiato. Non avevano parlato fin da quando erano ancora dentro la casa, tutti sapevano che era meglio tenersi il fiato per la corsa. Ma ora potevano dirsi nuovamente al sicuro, da quegli uomini. Probabilmente, almeno per qualche tempo, anche da altri.
« Grazie. »
Hocrag non rispose, né fece alcun cenno della testa. Aris sapeva che tuttavia l'aveva sentito, e, ora, si sentiva in debito con lui. Le aveva salvate da una possibile cattura, dopotutto. Doveva ricambiare il favore, respirò piano.
« È necessario tuttavia scacciare ciò che è entrato in te, prima che, svegliandosi, ti consumi dall'interno, riducendo la tua anima a pezzettini; prima devo solo nascondere tuttavia la bambina, la situazione è troppo pericolosa per entrambe. Stavo pensando che questo potesse essere un buon posto. Allora? »
Le parole furono pronunciate con calma, con le giuste pause, ma né il senzavita né Spencer avevano aperto bocca. E così ora. Aris non mise fretta, anche se non avevano tempo da perdere. Hocrag non la guardò. Davvero desiderava liberarsi di ciò che impestava il suo corpo e la sua anima? Davvero si sentiva posseduto da una cosa estranea, o piuttosto ciò di cui parlava la donna era qualcosa che già risiedeva in lui, e che ora si era solo manifestato apertamente?
Non rispose, si limitò ad alzarsi in piedi—era ancora lucido non sapeva che avrebbe fatto a loro tre—a loro quattro—se fosse stato nuovamente in balia di se stesso. Fintanto che era con Aris, tuttavia, riusciva a mantenere una certa calma. Perché? Non importava neppure. Le ombre che tuttavia riusciva ancora a vedere intorno a loro non lo lasciavano stare. Erano in attesa, ma con la donna insieme a loro non riusciva a desiderare di sprofondare in esse, come viceversa molto spesso aveva desiderato. Come avrebbe desiderato, se non ci fosse stata Aris. Non seppe se era una nemica o un'amica. Non voleva essere aiutato. Non voleva che altri si intromettessero. Lui aveva scelto quel destino, lui aveva deciso, lui si era consegnato a—la donna e la bambina—le vedeva davanti—tutto si fece più chiaro, le ombre più presenti—chi erano—ma non può essere—e pure non poteva essere altrimenti—buio più pressante—doveva star calmo diceva—spalancò un istante le nere iridi—
—
« Nascondiamo la bambina. »
[ReC 425.][AeV 200.][Perf 150.][Perm 550.][CaeM 225.]
Status Fisico. » Ottimale. Status Mentale. » Oblio. Energia Residua. » 70%
Attive utilizzate nel turno. » p r i g i o n i a Sembra che i diversi piani spaziotemporali possano tra loro trovare un'intersezione, un punto in cui si uniscono. Se altri piani interferiscono con la Realtà, vi saranno dei problemi, dei limiti alla Realtà stessa, in questo caso. Con l'unica cosa visibile che sarà una sottile linea di colore scuro lungo il terreno. Dopo qualche secondo di ferma concentrazione e una spesa di energia pari a Medio, Hocrag può fare interferire due di questi piani, per poter circoscrivere l'area del duello in un cerchio invisibile dalle dimensioni variabili. Da questo momento in poi sarà impossibile uscire dal cerchio, che avrà come formato delle pareti invisibili lungo la circonferenza, impossibili da superare: le pareti si dismostreranno a specchio, in realtà, e non lasceranno guardare oltre. Chi sarà imprigionato all'interno del cercho si troverà disorientato, quindi, gli sarà impossibile capire qual'è il punto esatto in cui deve oltrepassare le pareti e gli specchi, che pure non sarà facile se non distruggendole. Esse infatti sono abbastanza alte, ma possono essere anche valicate volando o con un grandissimo salto, prima che scompaiano al termine del secondo turno a partire da quello di attivazione o prima se distrutte da un danno totale pari a Basso.
Attive dai turni precedenti. » Passive in uso. » Vista notturna, percezione Auspex, influenza psionica passiva (chi lo vedrà penserà di conoscerlo), difesa psionica passiva (da normali alterazioni dello stato d'animo quali turbamento, dolore), può cambiare aspetto e nascondere le ferite, non sviene al 10% di energia, resistenza ad un Mortale aggiuntivo, le sue parole inducono a credergli e dargli fiducia, fa danno psion un livello superiore e danno fisico un livello inferiore.
Consumo energia tecniche. » [Trentatrè.][Quindici.][Sei.][Due.] Note. » Risvegliatosi, Hoc è nella stanza con le due -tre- ragazze. Dopo qualche botta e risposta sentono delle voci in lontananza (e Hoc ne vede le aure avvicinarsi: organizzano una fuga, tutti insieme, dal momento che Hoc vuole sapere di più su Aris (e sulla bambina). Quindi Utilizzo l'abilità per far diventare la stanza una casa degli specchi, e fuggire oltrepassandoli mentre gli uomini sono chiusi dentro. Giungendo alle porte del porto, quindi, la compagnia si ferma a riprendere fiato, ma ad un tratto, quando Hoc si sta per avvicinare al rendersi conto della somiglianza della bambina con qualcuno, decide di andare a nasconderla, per evitare cose spiacevoli, nel poco di lucidità che gli rimane ancora, data più o meno dalla presenza di Aris.
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