Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

I Primogeniti » Luci nell'Oscurità

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view post Posted on 4/10/2012, 14:19
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And...bla..Bla..BLA
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lBYlZ

Per un attimo fu come se il mondo, il suo asse, il suo centro, si flettesse.
Si piegasse, e nella frazione di un istante vertesse a coincidere come punto di snodo, come vertice primo nella sagoma di quella donna alla carica. Di quel mostro. Di quell'essere che con occhi d'abisso si slanciava, si contorceva, scattava e ringhiava al pari di una belva assassina.
Nell'esatto istante in cui ella guardò verso di lui, nel preciso momento in cui i loro occhi si incrociarono, Edwin seppe di avere molto poco per pensare. Molto poco per ricordare. Molto poco, insomma, per vivere.
Prese un respiro, contrasse la mascella, strinse la presa sulla propria spada e, il tremito delle membra che mandava a mille il suo cuore, ringraziò.
Per quel giorno. Per quella vita. Per i mille patimenti. Per le mille giornate senza acqua e senza pane, passate a brancolare alla cieca da una bettola all'altra nella speranza che qualche buon'anima, qualche uomo di buon cuore gli allungasse uno scarto di pesce, un rimasuglio di minestra, una crosta di pane ammuffito.
Espirò lentamente, Edwin, e per quel lungo momento che per ogni uomo precede la morte, ringraziò. Nel suo modo rozzo. Nel suo stile da poco di buono con un'anima. Perché sapeva che non ci sarebbe stata una seconda occasione per quello. Una seconda possibilità per ricordarsi che ognuno, prima o poi, deve giungere a patti con la propria coscienza e decidere -quale triste alternativa- se consegnarsi all'alto o al basso della giostra che di ogni uomo fa il proprio diletto.
Dove andrai, Edwin? Dove, il tuo spirito si schianterà mentre venti inclementi, sciami sferzanti ti sbatteranno di qua e di la fino a ridurre il tuo essere ad un nulla?
Dove, mio caro criminale dalle mani pulite, andrà a finire il tuo peccato di tradimento, violenza, menzogna, omicidio...codardia?
Probabilmente, fra le nere fauci di questa bestia, pensò tristemente, ben stretto in quella morsa canina che molti prima di me travolse. E vinse.
Probabilmente, rimuginò portando innanzi a sé la propria arma inutilmente affilata, in un qualche pertugio dimenticato da demoni e diavoli, dimenticato perfino da coloro che della dannazione si dovrebbero occupare per lavoro.
E certamente
concluse
non sarebbe stato affatto male.

Meglio di quel puzzo costante di sudore. Meglio di quello stantio aggravarsi di anni e sofferenze.
Meglio, infine, della precipitosa quanto affannata vita di individui come un tempo era lui. Aggrappati alla speranza. Abbarbicati all'idea che non vi sia mai una fine. Mai una fine al credere. Una fine all'arrampicarsi e
risalire
dove il puzzo è meno stantio. Dove il fiato si fa più ampio e la voce, quella vera, possa infine levarsi e gridare, aperta forza
"Edwin! NO!"

Poi il tremore. Poi il dividersi di ideale e reale, la sfaccettata gamma delle possibilità a collidere nell'unica visione possibile, sconcertante eppure terribilmente vera. Quanto il suo arrendersi. Quanto il suo lasciar ricadere a terra la lama e con un balzo sporgersi in avanti, mani sudate a protendersi, ad aprirsi e poi richiudersi -stretta animale- sulle vesti umide di una sagoma poco distante, poco diversa dal groviglio di corpi che attorno, nell'oscurità, si accavallino e malevoli si contorcano.
Per un attimo Edwin si ritrovò ad ansimare, la tensione dello sforzo a sbiancare e poi arrossire i suoi lineamenti ed infine, un grido ad uscirgli direttamente non dalle labbra ma dall'anima, egli riuscì a separare Vrael dalla furia che lo sovrastava. Cadendo all'indietro, ruzzolando e sul selciato picchiando gomiti e schiena, la pesantezza dell'altro a franargli addosso insieme al puzzolente sentore di paura e dolore. A rovinargli in viso insieme al grido disumano della creatura, al suo volgere gli occhi verso l'alto e per una volta strillare -o forse meglio dire, ululare- a quella luna che solo lei pareva capace di vedere.
Da gelare il sangue, decretò.
Da stringere le budella e chiedersi, dannazione,
"Perchè diavolo non mi hai lasciato a crepare, razza di idiota?"
Ecco le sue prime parole dopo il fuggire confuso di lei. Dopo il volgersi di mille e più lumi in un'unica direzione e rapidi saettare via, quasi che il Cielo, quello vero, li avesse all'unisono reclamati.
"Quando mai ti ho detto che uno dei motti dei Cristascura è rimetterci la pelle come uno stupido per salvare la pelle ad un vecchio con un piede già nella fossa?"
Sapeva di avere il fiato corto. E sudore appiccicato ovunque come una maschera di fango. Però non potè proprio esimersi dallo stringere in un rude abbraccio quello stupido ragazzo. Quell'idiota che per poco non buttava gli anni migliori della sua vita per...
[color=black"Lascia che te lo dica una sola volta, ragazzo"[/color] nella sua voce, il rauco risalire di quella paura che per un secondo, solo un secondo, aveva creduto di non provare "Se uno getta la spada e chiude gli occhi dinnanzi alla morte, non è proprio affar tuo ricordargli che sta solo facendo la figura dell'imbecille" una pausa, il suo rapido abbassarsi a recuperare l'arma precedentemente dimenticata a terra.
"Potrebbe rimanerne offeso nell'orgoglio"
E nello stendersi del suo sorriso, nel suo socchiudersi di occhi chiari come ghiaccio e sciogliersi in una grassa risata, ecco il sopraggiungere di Morghen.
Più basso di una spanna di quanto non sembrasse solo pochi minuti prima. Più rosso e martoriato di quanto ce lo si ricordasse. E abbastanza stizzito dalla faccenda generale -e ancor più dalla goliardia di Edwin- da zittire tutti quanti in un sol attimo. Si mosse a fatica, una delle due gambe percorsa da una ferita abbastanza profonda da farci scorrere in tutta la sua lunghezza un mignolo.
E grugnì.
"Vedo che siete tutti ancora abbastanza vispi da ridacchiare come donzelle mentre attorno a voi i veri uomini" pausa significativa. Edwin sospirò "Lottano per la sopravvivenza di Neirusiens"
E delle madri. E delle mogli. E dei figli.
Si. Si. Chiaro.

"E tu chi diamine sei?"
Mentre gli occhi di tutti i presenti si spostavano improvvisamente in una insperata direzione molto lontano da quella tenuta fino ad allora, il movimento del capo dei Crostascura fu repentino. Brutale. Eppure stranamente leggero.
In un sol attimo il piatto della spada incontrò la nuca di Morghen, lasciando che il suo sguardo inviperito si addolcisse della più morbida sensazione del sonno. Mossa che portò immediatamente tutti i presenti a girarsi nuovamente verso di loro e poco dopo a portare all'unisono le mani dei DentiMozzi a stringersi attorno alle else delle loro spade.
"Sono certo che da dormiente farà meno danni"
fu la glaciale spiegazione di Edwin mentre, dai vicoli in ombra, l'intero gruppo Crostascura faceva la sua comparsa nello spiazzo aperto. Lui li salutò con un cenno, per nulla sorpreso dal fatto che nessuno di loro -ma proprio nessuno- avesse seguito gli ordini di Morghen preferendo viceversa seguire il gruppo dei DentiMozzi nell'ombra.
Solo allora, lentamente, Edwin portò la propria attenzione sull'ultimo arrivato. Un uomo scarno, evidentemente provato -come le voci avevano riferito- eppure abbastanza abile da nascondere la propria presenza anche in piena vista, anche sotto gli occhi di coloro che, attenti, parevano stranamente incapaci di notarlo -o volerlo notare-. Gli rivolse una lunga occhiata per poi, lento, piegare appena il capo in segno di saluto.
Forse non li avrebbe uccisi tutti quanti. Forse. Ma tutto dipendeva da come lui, Edwin, fosse riuscito a gestire quei pochi secondi antecedenti la decisione finale.
Prese dunque fiato, lui.
"Thomas ti ringrazia per la dolcezza dimostrata nel persuaderlo a non suicidarsi. E lo stesso fanno i miei uomini ancora estasiati dalla casa degli specchi da te creata."
deglutì piano, cautamente.
"La donna sta andando al pilastro. Io ti posso condurre li" una pausa, lo sguardo che si alzava così da cogliere gli occhi di tutti -si, anche i DentiMozzi- "Posso condurvi tutti, così da porre finalmente la parola fine a questa dannata storia di fantasmi e assassini."
Uno sguardo a Morghen, il volto rubicondo ora addolcito da una smorfia fanciullesca.
"Lui starà bene in una di queste case. Al sicuro, prima che dalle ombre e dalle voci, da se stesso"
Detto questo, una mano all'elsa della spada e l'altra sul collo, ad asciugare il sudore, si voltò. Nei suoi occhi, il bruno tralucere di Neirusiens ora per metà sommersa -velo quiescente- da un'oscurità fitta, ora per l'altra acquattata nella più torbida penombra.
Uno strano scompiglio regnava fra i vicoli, simile al sommarsi di cauti mormorii che dai muri, dai tombini, dai pavimenti e dalle finestre cieche esalassero come spiri bramosi, eco spente del brusio che molto più avanti, molto più in là acquistava di istante in istante forza e potenza.

Per un secondo, uno solo, Edwin si concesse di essere preoccupato.
Di aggrottare le sopracciglia, stringere le labbra e domandarsi, un filo sottile di disperazione a macchiare i suoi occhi di gelo
Da quando Neirusiens era diventata così rumorosa?
Da quando, vociare soffuso, anche il silenzio aveva trovato la propria voce? Il proprio suono?
Si passò la lingua sulle labbra, il gesto di un istante a colmarne molti altri che, da li in avanti, non ci sarebbero stati -o potuto essere-
C'erano storie che narravano della Voce della Morte. Della Melodia del Riposo Eterno. Del Sogno.
E di Velta, la regina di ognuno di questi visi che del trapasso, della Fine, sono sinonimi.
Che ora, una e per sempre, fosse giunto il momento per Neirusiens di perire?

OOO



"Certo che no, mio caro"
La voce del Sindaco aveva un che di affabile, di mesto mentre, lo sguardo acceso di vitalità, lasciava passare una ad una le dita sulla nera superficie del Pilastro. Parve trattenere il fiato per un istante.
E poi rilasciarlo, le sottili labbra ad incurvarsi in una beffarda parodia di sorriso. A guardarlo si sarebbe detto che solo pochi istanti prima qualcuno gli avesse rivelato la parola d'ordine per accedere in direttiva al paradiso. Senza morire. Senza soffrire. Così, semplicemente.
Lo sguardo dubbioso ora socchiuso in una smorfia palesemente preoccupata -e forse un poco atterrita, pure- il suo vice pareva più propenso a pensare al prematuro quanto incontrovertibile decadimento delle sue facoltà mentali.
Non che ne avesse mai avute chissà quante, in realtà.
Si passò la lingua sulle labbra.
Nemmeno a scrivere era capace, quella sottospecie di tacchino vestito a festa...Per la maggioranza delle volte egli si limitava a squadrare sommariamente il foglio completamente bianco che lui teoricamente avrebbe dovuto riempire. Poi misurarlo con il palmo aperto. Sollevarlo con entrambe le mani annusandolo con fare sofisticato ed infine, volendosi lo sguardo verso di lui, risolversi nel sospirare
"Per una faccenda di tale calibro non è necessario il mio intervento"
Non.
Necessario.

Come se fare il Sindaco volesse dire occuparsi di problemi di insormontabile importanza quali risolvere il mistero della vita o assicurarsi che esistesse o meno una vita oltre la morte. E testarlo personalmente, se possibile.
Il vice si accigliò, un'espressione di insolita sorpresa che affilava ancor più i suoi tratti scarni.
"Davvero non le serve il mio aiuto?"
Ripetè atono.
L'altro gli sorrise senza, tuttavia, staccare i propri occhi dalla scura sagoma che ora, affettuosamente, stava palpeggiando.
"L'ho detto"
convenne amabile.
"E io dovrei..."
"...Si. Andare"
lo interruppe rapido.
Il vice si passò ancora una volta la lingua sulle labbra, avvertendo un debole formicolio scorrergli giù, lungo la schiena come il lascivo tocco di uno "sgradito" amante. Rabbrividì.
"E lei rimane qui...solo?"
aggiunse ansioso. Di tutti e dieci gli anni di servizio, il Sindaco non gli aveva concesso mai un, che fosse uno, secondo di pausa. Non mentre faceva la doccia. Non mentre intratteneva le sue seducenti ospiti. Non mentre, che diamine, espletava ogni suo dannatissimo bisogno personale.
E ora...
"Si. Certo."
annuì sovrappensiero l'altro. Una pausa.
Poi, lentamente, come preso da un'ispirazione improvvisa, l'uomo spostò lo sguardo su di lui. Gli sorrise, come se improvvisamente ci fosse stato qualcosa di incredibilmente buffo su cui ridere.
Spostò una volta gli occhi di lato.
Sospirò.
"Anche se" aggiunse dopo un attimo, una sfumatura fredda ad arrochire improvvisamente la sua voce "Solo non è proprio il termine più adatto, ora come ora"

Per un attimo, un istante, il segretario si chiese il motivo di quel "guizzo" di pupille. Il perchè, improvvisamente, una sensazione di freddo fosse spirata dalle labbra del Sindaco per giungere a lui.
E sorpassarlo.
Per capitolare in un punto che, ora più che mai, pareva capace di vertere su di sé un'attenzione tanto palpabile quanto decisiva. Deglutì, notando ancora, ancora una volta, lo spostarsi delle iridi pallide dell'altro.
Pallide come neve.
E ora scure come ombra.
E ora cosa?

Tremò appena.
"Signore?"
chiese ansioso, le mani che si stringevano in una morsa di innaturale apprensione.
E per un attimo, un lungo istante, egli vide il Sindaco sorridere.
Lo vide.
E lo sentì -vacuo sussurro nella sua testa. Nel suo sguardo. Nel suo corpo-.
Poi, crepitio sottile
"Per una faccenda di tale calibro non è necessario il mio intervento"
sussurrò egli. Ma non con le labbra. Non con la voce.
Semplicemente, roco vibrio teso.
Nella sua testa.

nnJdN



Ed eccoci qui alle ultime battute finali.
Grazie all'intervento di Vrael, Edwin evita di fare una pessima fine a causa delle ire di Aris. Il gruppo quindi, qualche ferito in più, qualche uomo in meno, riesce a sopravvivere all'attacco abbastanza perchè tutte le ombre vengano richiamate nella direzione del pilastro. Ecco dunque il primo momento di "calma".
Ancora una volta, Vrael ha dato un motivo ad Edwin di ringraziare la sua "esistenza", sentimento che viene ampiamente dimostrato dall'abbraccio che gli concede. Egualmente, la sopravviveva di Edwin rende possibile il mettersi a tacere di Morghen il quale, freddato da un colpo di spada alla nuca cade ovviamente a terra privo di sensi. Il gruppo dei DentiMozzi è ora in mano al capo di Crostascura e dei suoi uomini i quali, al posto che cercare Hocrag si sono limitati a seguirlo per tutto il tempo.
Ulteriore punto di pregio, Edwin è il solo che fra i due avrebbe potuto concedere una "buona" accoglienza ad Hocrag: tutti gli uomini -o quasi- che il senzavita si è trovato innanzi facevano parte degli informatori del Crostascura. Risparmiandone alcuni si è evitato che l'accoglienza riservata fosse solo un sommario "uccidetelo" ma, diversamente, un "ti aiuterò".^__^ Spero che questi piccoli risvolti possano piacere.
Detto questo:

Strange: Il coraggio dimostrato da Vrael ha consolidato il rapporto di fiducia che si era creato con Edwin. Ora, se possibile, egli lo considera un vero e proprio amico. Da questo momento in poi fino a fine quest, Edwin difenderà Vrael con ogni mezzo, anche chiamando a sé i Crostascura. Tienine conto per questi ultimi giri. Autoconclusivamente potrai disporre di 10 energie bianche che ti difenderanno -su ordine di Edwin- nel caso in cui il tuo pg venga attaccato.

Goth': L'aver risparmiato alcuni degli individui che nel corso della quest ti si sono posti innanzi ti ha reso più agevole l'accoglienza dei Crostascura che, al posto che attaccare Hocrag, lo considereranno in parte un alleato. Morghen, visti gli ultimi sviluppi, avrebbe istantaneamente dato ordine di attaccare. Nei suoi confronti i DentiMozzi riservano però una aperta ostilità. non fare affidamento su di loro o Hocrag potrebbe ritrovarsi un pugnale conficcato nella schiena...^__^'

Detto questo:
Il gruppo intero si sposta in direzione del lago. Ovunque la città è in fermento ma, stranamente, non si vedono più persone o figure umane aggirarsi fra i vicoli. Tutto, insomma, pare "vivo" anche se immobile e deserto. L'oscurità è ora una fitta penombra, abbastanza densa da rendere difficile lo spostarsi per coloro che non possiedono alcuna abilità particolare e di tanto in tanto, come dispersi, vi capita di incappare in presenze vacue, più "sensazioni" di essenze che vere e proprie entità. Nessuno, comunque, si pone sul vostro cammino lasciandovi raggiungere, uniti, le rive del Lago. Qui vi si presenta una scena alquanto agghiacciante: tutti gli abitanti di Neirusiens sono ora in silenzio in ammollo nell'acqua, i corpi distesi a pelo d'acqua -galleggianti- come se, all'unisono, essi si siano addormentati nell'atto di "fare il morto". Sul lago l'oscurità è incredibilmente fitta, per cui sfavillanti paiono le luci -gli occhi- delle ombre che fra di loro aleggiano di tanto in tanto sfiorandone qualcuno, carezzandone un altro. Sono moltissime, e tutti insieme i loro movimenti paiono delle circonferenze concentriche attorno al vertice costituito da un nero Pilastro ossidiana posto pochi metri oltre la riva del lago: per la sua lunghezza delle profonde scanalature lo incidono assumendo le sembianze di "scritte" e "disegni" dal significato oscuro. A vederlo, il termine Pilastro trova veridicità solo in parte: da come è stato scolpito, pare più un incrocio fra un Fiore ancora chiuso i cui petali, al vertice, inizino a sbocciare spiegandosi in sei direzioni differenti. Accanto ad esso il Sindaco svetta ritto di spalle, il volto rivolto al lago come in contemplazione. Poco distante un uomo giace a terra inerme, gli occhi sbarrati e neri -senza vita- mentre alta su di lui, nera, la figura di Aris se ne sta immobile come allucinata, il volto ora umano rivolto al vertice del pilastro come in attesa.

Per questo giro si va di descrizione. Potete arricchire il "percorso" con dialoghi, particolari, riflessioni e quant'altro. Goth': le scritte sul pilastro tu le conosci già. Gestisci come vuoi la cosa.X'D. Perdonate questo giro vuoto ma mi serviva un cambio di "regia" per assestare la conclusione nel migliore dei modi.


Per qualsiasi domanda, fate pure. 6 giorni trattabili per rispondere, torneo permettendo.
 
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view post Posted on 11/10/2012, 18:02
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Ti fermi immobile, ma va tutto bene.
Tutto bene.

Le persone intorno ti guardano in un misto di curiosità e timore, ma non togli lo sguardo dal vuoto che stai osservando, impassibile, pure quando ti rivolgono la parola—non vuoi quasi sentirli—in fondo non è detto che stiano parlando con te—quando un uomo, solamente, ti rivolge la parola. E pare ... volerti aiutare? Al sentire le sue parole, dopo che le ultime sillabe vibrano rapide nell'aria che si tende nella tua direzione, sposti lo sguardo, e incroci i suoi occhi. Forse è proprio così, probabilmente non sta mentendo; forse conosce davvero il luogo nel quale è fuggita Aris—come può saperlo?—lei, lei sola che può risvegliare in te l'ombra (?). Eppure ormai, c'è altro da poter fare? Luogo da esplorare? Cambia qualcosa non andare nella stessa loro direzione, dal momento in cui tutti quanti vogliono cercare Aris e terminare quella strana situazione una volta per tutte? Pensi di poterla trovare per conto tuo senza un'ombra che ti guidi nella sua direzione, come una lenta marcia verso il nucleo del proprio essere, quasi come la tua marcia verso le profondità del tuo animo?
Forse la risposta è semplicemente no, per ogni cosa.

C'è solo da sperare che la risposta non fosse no proprio per tutto; soprattutto alle domande che stai per fare alla donna, nel caso in cui la trovassi. E fremi, in attesa di questo.
Dell'incontro, di un nuovo contatto con la vita.
Attraverso la morte.



Eppure dov'erano finite le ombre che intorno a voi prima erano vive, permeavano quel luogo con una tetra e dolce inquietudine, i cui occhi esploravano e sondavano le profondità della vostra esistenza—per portarla via nell'oblio della morte—o nel perenne oblio puro, nel tuo caso, senzavita—? Erano fuggite, forse. Non ti guardi intorno perché sai che, insieme ad Aris, sono andate via anche loro. Lo sai perché lo senti, in fondo, e non hai alcun bisogno di un contatto visivo per esserne sicuro—ma non le percepisci dentro di te come le avresti sentite prima—dolce memoria di morte—dimenticata al prossimo ansante sorriso—colori innaturali di sfumature di grigio—. Segui il gruppo, intanto, nell'unica direzione in cui tutti sono diretti, senza proferire parola, nemmeno all'uomo che ti ha parlato e che ha ammesso la tua presenza all'interno della comitiva—non l'avrebbe fatto se ti avesse conosciuto prima—prima che Aris lo rendesse ancora una volta vuoto—; gli avevi fatto solo un cenno della testa, abbassandola cautamente, e forse era bastato. Meglio così. I tuoi piedi iniziano a spostarsi, le tue gambe ne seguono il movimento, e il corpo a sua volta; in moto non fai che limitarti a mantenere costante la tua andatura, senza impegno.
Ma la città e i vicoli sono deserti, pur se è possibile percepire un qualcosa di vivo, intorno. Forse le ombre, di nuovo?
Un'irreale calma, e basta.



Quanto possono soggettivamente durare alcuni minuti di cammino, di fronte alla minaccia di eternità che hai davanti agli occhi? Nulla, passano in fretta, sembrano quasi solo alcuni secondi. Non ti interessi a tutto quello che avviene o non avviene attorno a te, e pensi solamente a camminare in avanti. Facile. Fino a quando—... la visione del lago non è niente di più che la naturale conseguenza dell'oscuro sentimento che ti avrebbe pervaso per tutto il tragitto, se avessi potuto provarlo. Non puoi tremare, non ha senso, il tuo corpo non trasforma in stimoli fisici qualcosa che è solamente dentro la tua mente, perché non puoi provare emozioni. Come esprimere quindi l'inquietudine che la vista del pilastro, dai segni oscuri, i corpi sul lago, Aris in contemplazione il cui viso aveva perduto ogni lato oscuro e l'uomo girato di spalle provocherebbero in te? Tutta la scena ha qualcosa di sbagliato, mentre ti senti un intruso, in quella situazione; un errabondo viaggiatore, giunto troppo lontano per le proprie possibilità, che ha appena visto qualcosa che avrebbe dovuto viceversa rimanergli oscuro, per la sua salvezza. Ed ora, come fare? Resti immobile, mentre persino le persone giunte fino a quel luogo con te svaniscono dalla tua mente, per lasciare posto alle uniche cose che ti interessano di quel quadro, quasi immobile. I corpi galleggiano sull'acqua—visione della morte—e forse—lo senti anche tu—un suono si alza dalla base del pilastro—(della tua mente)—e giunge a te, un suono lungo e basso, una sinfonia troppo grave per essere ascoltata con le orecchie—solo il petto vibra a quelle note—e le fai tue—inquietudine che proveresti—ma capisci—

l5BUi

bentornato
versi per la tua esistenza
NO



In realtà nulla di questo ti provocherebbe inquietudine, nemmeno se potessi percepirla. Ti provocherebbe invero gioia, in fondo, perché sai di far parte dello spettacolo davanti ai tuoi occhi—non sei un viaggiatore incauto, non sei qualcuno giunto per sbaglio in quel luogo scomodo; tu fai parte del dipinto, è anche a causa tua che è successo tutto quello che osservi rapito, che i corpi giacciono (senza vita?) sulle pallide increspature del lago, che vi sia un uomo, immobile e voltato, e davanti un pilastro, e lo stia guardando anche lei; ne stia forse percorrendo con gli occhi i segni nerastri—ma tu ora riuscivi a scorgerli meglio, anche se sapevi già le loro apparenze—erano loro la melodia—e dicevano qualcosa—non è tua la loro conoscenza—si muovevano armonicamente, proprio come il significato che portavano con sé—anche Aris aveva vigilato e indagato su di esse?—(provava a tenertici lontano)—avanzi di qualche passo, vuoi raggiungere i segni—vuoi raggiungerne ormai l'origine e la piena conoscenza—hai bisogno di Aris, ora—corri verso di lei—un uomo in terra—proprio come la bambina—eppure non ti interessa, vuoi solo lei

Anche se ha provato a sottrarti da essi.
Tu fai parte della tragicità di quella situazione—sei l'oblio, ciò in cui cadrà ogni cosa al momento giusto, qualunque cosa succeda—sei l'involucro privo di vita—sei incompleto, dopo che Aris ti ha privato del desiderio di morte, proprio com'eri prima—consapevolezza del nulla—

Tu fai parte di tutto quello.
Qualunque cosa ne pensi o possa fare la puttana.




hocragpost2

[ReC 425.][AeV 200.][Perf 150.][Perm 550.][CaeM 225.]

Status Fisico. » Ottimale.
Status Mentale. » Oblio.
Energia Residua. » 31%

Attive utilizzate nel turno. »


Attive dai turni precedenti. » sfocatura [2/2]
Passive in uso. » Vista notturna, percezione Auspex, influenza psionica passiva (chi lo vedrà penserà di conoscerlo), difesa psionica passiva (da normali alterazioni dello stato d'animo quali turbamento, dolore), può cambiare aspetto e nascondere le ferite, non sviene al 10% di energia, resistenza ad un Mortale aggiuntivo, le sue parole inducono a credergli e dargli fiducia, fa danno psion un livello superiore e danno fisico un livello inferiore.

Consumo energia tecniche. » [Trentatrè.][Quindici.][Sei.][Due.]
Note. » Seguo il gruppo senza parlare; quindi, una volta giunto davanti al macabro spettacolo, la mente di Hoc inizia a lavorare a pieno ritmo, e lo porta poi a correre verso Aris per reincontrarla—ovviamente la sua importanza per il pg si può vedere in molti modi, anche se ormai arriva quasi ad odiarla. Scusate per il ritardo!
 
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view post Posted on 12/10/2012, 17:43
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E sentì delle braccia possenti stringerlo a sé con calore, percepì il battito di un cuore a diretto contatto con il suo invischiato di veleno e fiele. Ma nei suoi occhi ancora si stagliava il profilo di quella donna, di quel demone ... e fu come se stesse solo in quel momento vivendo una scena che, invece, si era già conclusa da tempo. E più sbatteva le palpebre nel tentativo di scacciare quella goliardica visione, più la sentiva radicata nella sua anima, finché non si convinse che non se ne sarebbe mai più liberato; capì che l'avrebbe portata per sempre con sé, nella propria mente, cicatrice di una ferita che non era stata inferta al suo corpo, bensì alla sua anima. Ma quando le parole di Edwin raggiunsero le sue orecchie appuntite, il suo respiro cominciò finalmente a rallentare e, lentamente, riprese a vedere la realtà, la cruda situazione in cui si trovava in quel momento nella quale non c'era posto per i fragili di senno. E seppure di nuovo in sé, osservo come una bambola di cera il susseguirsi degli eventi, rapida successione di fatti che gli scivolarono addosso come acqua sul letto di un fiume, mentre il gorgoglio della fauci che erano state dapprima così vicine al suo volto giovane e bello gli rimbombava in mente come l'eco di un tamburo.
Intravide Morghen stramazzare a terra - evento, quello, che gli provocò un discreto piacere invero - e seguì il movimento meccanico che compirono tutti nel sopraggiungere dell'ennesimo inaspettato individuo che - ennesima sorpresa in quel giorno da cui ormai ci si aspettava di tutto - si rivelò essere lo stesso ragazzo che Spencer, la sua giovane ed ingenua compagna aveva invano cercato per tanto tempo, solo per poi perderlo nelle grinfie delle tenebre che dilagavano ovunque come mare di pece.
Non ebbe la forza di rivolgersi a lui, troppo scosso ancora per formulare un pensiero coerente, solo per poi scoprire che il capo dei Crostascura già s'era mosso, instancabile come lo era sempre stato da quando l'aveva incontrato, e stava ... trattando con lo spettro. Saggia la sua scelta, con grande probabilità: in cuor suo, quel ragazzo lo aveva sempre messo in soggezione.
Come fosse un fantasma lui stesso, quando il gruppo prese a muoversi egli lo seguì come in trance, ostentando una stabilità che le sue gambe non gli offrivano più e sollevano il mento in una posa eccessivamente marziale. E si perse tra gli uomini mentre altri più veloci e più freschi superavano il suo passo lento e pastoso per raggiungere la testa della colonna di gente, mossi da una curiosità che aveva oramai soffocato la paura e da un senso di rassegnazione che aveva fatto loro capire, ormai, che non avrebbero potuto sottrarsi a tutto quello nemmeno se lo avessero voluto. E gli parve di vagare solo in quel mare di dense ombre che in ogni dove sembravano spuntare da dietro gli angoli solo per un secondo, prima di scemare nel buio della propria inconsistenza; un mare di sussurri e di velate nenie che, flusso immateriale di coscienze, gli sfioravano le guance, risalivano il profilo dello zigomo e poi si tuffavano nel suo orecchio, come a volergli rivelare segreti di cui erano portatori senza potersi liberare del fardello del loro mistero. Inconsistenti fantasie di una mente provata dalla stanchezza, si sarebbe potuto pensare, ma provando su di sé quel miscuglio di ego che si perdevano nell'aria mescendosi l'uno con l'altro si sarebbe arrivati a comprendere che qualcosa c'era ... e che proprio il "non-essere" di qualcosa che esisteva rendeva la situazione così perversamente affascinante.
Ripetute volte l'Elfo pensò di fermarsi lì dov'era - come per recuperare un momento il fiato, avrebbe poi potuto sostenere - e chiudere gli occhi, lasciare che quelle mistiche presenze non presenti lo pervadessero in toto. Poi però la sua mente tornava ad Edwin, ai propri compagni improvvisati di quel giorno che non pareva avere fine e ... suo malgrado si rendeva conto d'essere legato a loro più di quanto in effetti fosse disposto ad ammettere, e si convinceva che andare avanti fosse la sola cosa da fare, l'unica giusta.
Si accorse solo allora, alzando gli occhi da terra come a voler controllare che stesse seguendo la direzione giusta, che di fronte a lui il movimento del gruppo era cessato e un brusio in crescendo andava permeando tutta l'aria del luogo; sullo sfondo, uno sciabordare d'acqua che preannunciava l'arrivo al lago.

Si fece spazio tra la folla sgomitando con scarso vigore coloro che si mettevano sulla sua strada che vedendolo - e riconoscendo in lui il guerriero che era sopravvissuto allo scontro con il demone - gli lasciavano spazio intimoriti dal suo tocco. Non ci mise quindi molto ad affiancare di nuovo Edwin, quel briciolo di lucidità che era riuscito a rimettere insieme a dargli una parvenza di decenza. Sgomento fissò il turpe spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi: come fosse la piana di un'epocale battaglia, il lago era cosparso di corpi umani, il pallore della carni che riluceva nella penombra come fulmine in un cielo tempestoso. E sopra di essi, come perse in una danza priva di musica e di ritmo, le ombre volteggiavano in schemi noti solo ad esse, conosciuti solo alla mente perversa che le aveva generate. Ed a quella visione quasi di apocalisse, ecco il fanciullo scattare - quasi colto da una spasmodica ossessione - e dirigersi verso la donna, la fantomatica donna di cui poco prima rischiava d'essere la vittima.

Nessuno si mosse, non uno degli uomini tentò di opporre quel folle ed improvviso movimento.
Probabilmente perché tutti avevano fin troppa paura per pensare anche solo ad avvicinarsi a quel piccolo demone. L'intero gruppo di uomini si limitò a fissarlo con il fiato sospeso, temendo che quel gesto potesse provocare la rottura dell'equilibrio, il disfarsi dello 'Status Quo' e dell'immobilismo che permeava l'ingiuriosa situazione.
« Non che mi aspettassi una sua collaborazione ... »
Fu il sussurro gelido che esalò Edwin rilassando il pugno che aveva nel frattempo chiuso con troppo forza, tanto da provocarsi dei piccoli taglia sul palmo della mano.
Poi si girò verso coloro che gli erano più vicini, lo sguardo serio e la mascella contratta, distogliendo a fatica gli occhi da quello spettacolo che, per lui più di tutti, era semplicemente obbrobrioso.
« Nervi saldi, signori, tutti voi. »
Null'altro aggiunse mentre si rivolgeva di nuovo al lago, inchiodando il sindaco con il suo sguardo di fuoco, pensieri turbolenti che ne animavano la mente e che si riflettevano nei suoi occhi mai iniettati di furia come in quel momento.
E Vrael si domandò, in quel momento di quiete prima della tempesta, cosa mai avrebbero potuto loro, meri esseri umani, di fronte a quella situazione che chiaramente trascendeva ogni loro comprensione, ogni arte che essi potessero mai possedere. Che cosa avrebbero potute le sole forze degli uomini dinnanzi a quello potere capace di produrre scenari così sviati e malvagi, in grado di sottomettere le genti di una città intera, di sedurre i demoni dell'inferno al suo volere.
E loro, niente più che mortali, che cosa avrebbero potuto di fronte ad un simile scempio?

Eppure la speranza ancora divampava nello sguardo concentrato di colui che a tutti gli effetti era il capo di quelle genti, di quella combriccola di ladri, truffatori, taglia gole, grassatori o semplici uomini di strada. Il peggio del peggio della società come la intende il mondo, raccolto sulle sponde della fine del creato per come esso è noto agli uomini.
E facendo cenno ad un gruppetto nutrito di persone, Edwin fece si che si muovessero attorno all'Elfo, affinché in ogni sua azione avesse almeno un minimo di copertura.
Poi si volse di nuovo, questa volta rivolto a tutti quelli che, ancora in sé, riuscivano ad ascoltare le sue parole.
« Eccoci infine alla meta del viaggio, alla conclusione di un epoca, per Neirusiens.
Voi tutti che siete qui, che avete deciso di affrontare il male, l'eccessivo male, che dilaga ormai senza freni in questa nostra terra, fate sì che quest'oggi il mondo vi veda non più come la feccia più volgare che abbia mai popolato le fredde gallerie della terra!
»
Si soffermò un momento, come se le parole che gli nascevano dal cuore stentassero a trovare una via che la conducesse fuori, ove tutti avrebbero potuto bearsi dei loro significati.
« Fate sì che, quest'oggi, la vostra città si liberi di tutto ciò che l'ha rovinata, che l'ha sottratta al dominio dei mortali! »
Poi sospirò, un riverbero d'aria carico di mille significati, di mille ansie e di mille tormenti che spiccavano il volo per non fare mai più ritorno. Poiché molta è la consapevolezza che si acquisisce in momenti come quello che tutti loro stavano vivendo.
E se mai fossero sopravvissuti, certo nulla avrebbe più potuto scuotere i loro animi.
Non più

« E se oggi dev'essere il giorno in cui lasciamo queste sponde per quelle dell'aldilà - semmai esso esista -, allora che sia una grande fine, di cui mai avrete da rammaricarvi! »
Un giubilo d'approvazione, inatteso da coloro stessi che gridavano con quanto più fiato potessero avare in gola, si levò allora dalle fila dei Crostascura e persino da quelle dei DentiMozzi, tanto che anche Vrael si trovò a sollevare in aria il pugno come se quella fosse già di per sé una grande vittoria.
E poi scese il silenzio, e tutti fissarono la propria attenzione sul qui e sull'ora, attendendo con impazienza che, infine, il destino si compisse.

Vrael

| ReC 300 | AeV 175 | PeRf 75 | PeRm 275 | CaeM 150 |


Energia_55% [(11+11)] + [(11) + (6+6)]
Status Fisico_Danno lieve al volto; labbro spaccato. Danno lieve Basso ad entrambi i polsi + Basso Medio (da impatto) alla testa + affaticamento per la battaglia e danni lievi (Basso).
Status Psicologico_In subbuglio per via della situazione in cui si trova.
Equipaggiamento_Islingr (Riposta)
Albitr (Riposto) 11/15.


Note_Scusate il ritardo e lo schifo di post, sto veramente scivolando nel baratro dell'inutilità Gdrristica ultimamente >___>
Nulla di che, Vrael segue il gruppo perdendosi tra i "sussurri della città", convincendosi però che il suo posto sia assieme a coloro con cui ha condiviso il destino il quel giorno (o meglio quella "notte") che gli pare senza fine. Giunto al Lago, assiste inerme all'azione di Hocrag (così come, ho ipotizzato, tutti i presenti).
Alla fine del post, spero di non essermi preso troppa libertà con il discorso di Edwin (o per meglio dire, con Edwin in generale), ma oramai non riesco a scrivere un Post ne I Primogeniti senza che nel mio scritto sia contenuto un suo intervento di rilievo ç__ç In caso non coincida con i piani della QM, provvederò a sistemate il tutto il prima possibile.
 
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view post Posted on 27/10/2012, 10:27
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And...bla..Bla..BLA
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X6OAT


Un Sospiro, il velarsi di volto e occhi. Il mutare di sguardo ed animo.
"Prendetelo"
sussurò semplicemente Ian. Pareva non esserci bisogno di null'altro, di niente oltre perchè dal nulla nere mani comparissero e afferrassero all'unisono la figura di Hocrag stringendola e costringendola ad inginocchiarsi bocconi.
L'uomo scoccò uno sguardo in tralice al giovane come valutando, come soppesando il da farsi.
"Avvicinatevi"
E fu come se dall’ombra compatta l’oscurità stessa prendesse forma. Un sussurro, un dardeggiare fugare di pupille e subito eccole li, altre sagome tetre e nubescenti ad accostarsi ad Hocrag.
“Non fategli del male” aggiunse dopo un attimo Ian “Sarebbe un vero peccato dopo che questo poveretto ha percorso così tante miglia solo per farci visita”
Un ghignetto delizioso per poi, rapido, un cenno in direzione del pinnacolo.
“Vieni, Hocrag. Sarei felice di mostrarti una cosa”
Per “vieni”, le ombre risposero sollevando letteralmente di peso il senza sonno, due spanne da terra a costringerlo, volente o nolente, ad avanzare in direzione del punto che fino ad allora aveva evidentemente attratto l’attenzione dell’altro. Uno scuro pinnacolo dalle forme contorte, spire e sagome screziate di luce che aleggiavano di tanto in tanto su di esso come se, per nulla frutto della morta pietra, quell’oggetto spirasse e traspirasse pura vita.
Nello stringerlo, parvero quasi sibilare, quasi che il calore della pelle del giovane –tiepida malgrado il freddo- avesse avuto in qualche modo il potere di stupirli ed al contempo dilettarli –quasi che anche le creature del gelo, in fondo, altro non cercassero che un calore insolito a riscaldarle-.
Sssshhhhsssshhhh
Ed una delle due, brivido inconsulto, parve improvvisamente incapace perfino di proseguire.
Si fermò, rigida, una delle due mani strette attorno al braccio di Hocrag che vibrava di tensione mentre ella, sibilo contratto, piegava appena il capo verso terra. Pareva soffrire. E nei suoi tratti in parte femminili –mento sottile e occhi grandi su uno sfondo di nera caligine- tale espressione crepitò come distorsione maligna.
Shhhhhhssshhhh
Sussurrò fra i denti. Un suono basso, cupo. Una nota tetra che l’attimo dopo si inspessì ancora di più in concomitanza al mutare rapido dei tratti di quel viso.
Ora mandibola spessa, ora occhi socchiusi e piccoli, sopracciglia spesse a disegnarsi come sbavi cisposi sulla fronte corrugata.
Un uomo?
Ella stesse parve chiederselo prima che le dita di Ian si posassero per intero sul suo volto, il palmo aperto a socchiudere a forza quelle pupille ora bianchissime, ora sgranate di quella metamorfosi orripilante.
“E’ difficile per loro mantenere un aspetto definito” spiegò questi con un sorriso appena, appena, triste “La forma umana è così complessa, così distinta da quella di tutte le altre creature che riuscire a coglierne le espressioni, le movenze è ben più di quanto siano capaci di fare”
esitò, la mano che si allontanava rivelando un viso ancora differente dai due precedentemente veduti.
Era un uomo, ora, eppure i suoi tratti non erano come quelli precedentemente veduti ma più sottili, più oblunghi. Tratti e contorni già veduti, già intravisti da Vrael all’interno della fazione DentiMozzi fra gli uomini che durante gli scontri si erano battuti al suo fianco contro l’avanzare delle ombre. E che poi erano scomparsi, volatilizzatisi nell'oscurità improvvisamente calata sulla città.
“Ciò che possono fare, dunque, è carpire più modelli possibile, quanti più –visi e corpi- e cercare di ricalcarne i contorni così da farli propri. Ma difficile è trovare un volto ed una sagoma che si adatti loro così, nell’impossibilità di trattenere tale forma, l’unica cosa che possono fare è divorarne l’anima e passare, dopo, ad un nuovo corpo”
Poiché passare da un corpo all’altro richiede energia. Richiede Vita, la medesima che viene bruciata nell’atto di possessione e che irrimediabilmente va persa una volta che l’ombra lo abbandona.
Ma Ian evitò di spiegare quest’ultimo punto. Non voleva certo che i suoi bambini venissero incolpati degli omicidi che in quegli ultimi tempi si erano susseguiti a Neirusiens. No, certo che no. Non era colpa loro, in fondo, per cui sarebbe stato inutile recriminare alcunché ora che tutti –o quasi- avevano finalmente trovato la propria forma definitiva.
Perché rivelare che la fonte di nutrimento di quelle creature altro non era che l’anima degli esseri umani? Che la loro semplice esistenza –così colma di emozioni, così viva di sentimenti- rappresentava la sola cosa che a quegli esseri mancava per divenire a tutti gli effetti, delle realtà incarnate?
Sorrise ancora, occhi chiari come perla, occhi di infanti, occhi innocenti, a fissarlo ora in un misto di adorazione e terrore.
Per nessuno appunto. Nessuno.
“Ma non temere, Hocrag” si affrettò dunque a dire dopo un istante “A te non faranno nulla” gli scoccò un’occhiata in tralice “Non finchè ci sarò qui io a vegliare su di te e a ricordar loro che solo i vivi, solo loro, hanno il potere di liberare ciò che quest’antica magia sigillò molto tempo fa”
E così dicendo, sembrò cosa scontata indicare il pilastro alle sue spalle. Gesto superfluo, ma che Ian osò comunque come a voler rafforzare l’aspettativa che tutt’intorno traspirava come rumore bianco, come sottofondo appena avvertibile eppure presente. Cupa metonimia senza fine.
Brillò tenue l’oggetto, sagome e snodi ad infiammarsi di pallida tralucenza che, alle spalle dell’uomo, disegnarono per un attimo la figura.
Braccia tarchiate. Collo taurino. Piedi piatti, a papera. Ed un grosso, rotondo, ventre.
Eppure per un istante, per un infimo secondo fu come intravedere un doppio contorno in lui. Una doppia sagoma che, incastro oblungo, disegnava due profili di cui solo uno pareva visibile ad occhio umano.
Uno vero.
L’altro presunto.
Ma difficile dire quale dei due fosse il più sincero o il più effimero.
Ian Arrow sospirò alando le mani al cielo. E dentro di lui, in quel viscerare contratto, ciò che veniva ospitato si mosse anch’esso, di propria sponte, riflesso asincrono.
“Solo i vivi possono leggere le parole dei morti” sussurrò ora più debolmente “Poiché se così non fosse non esisterebbe pace per coloro che più non sono. Ed essi continuerebbero a vagare, ciechi, alla ricerca di una soluzione, di una via di fuga dalla propria caduca condizione”.
Con una nuova spinta, con un nuovo passo sbilenco, Hocrag fu dunque portato innanzi al pilastro, la sua luce che, quasi avvertendo l’avvicinarsi del senza sonno si intensificava appena, tingendosi delle screziate tinture dell’argento.
Parve riconoscerlo.
Parve salutarlo, come una vecchia conoscenza che, dopo lungo attendere finalmente si intraveda sulla soglia di casa.
E le si dia il benvenuto.
E le si conceda tutta la gioia di cui si è capaci.
“Ed ora, caro Hocrag, che ne diresti di dare una lettura a questi miseri versi?” sospiro nuovamente Ian “Se non sbaglio, tu possiedi la chiave per decifrarli.” Sogghignò “ Qualche buon’anima, sia sempre lodata l’attenzione con cui le tenebre –e mai la luce- tessono le proprie reti, te la diede”.
Poco distante, creatura avulsa d’espressione, Aris alzò il proprio capo in direzione del pinnacolo. Pareva distante, eppure nei suoi occhi scuri si leggeva l’attenzione, la veglia.
Che non fosse già più stata lei? O, ancor meglio, che mai lo fosse stata e solo gli sciocchi, solo gli ingenui avessero creduto che una donna fosse stata davvero capace di accogliere in sé le ombre del cuore senza per questo morirne o venirne in qualche modo sopraffatta?
Piegò una volta il capo di lato, i lunghi e neri capelli che lentamente le ricadevano come cortina sul volto cinereo. E nel mutare di quel colore, nel trasfigurarsi anch'esso da ebano a rosso vivo, da cenere a pallida neve, ella sospirò.
Lungo suono. Lungo LA a dipanarsi come nebbia tutt’attorno, come quiescente bruma che del mattino è la fedele consorte. E che del sole riflette la sembiante. E che della notte riverbera il gelo.
Eppure ora, nel cupo silenzio di Neirusiens quel cupo spiro parve solo una cosa, solo una. Difficile sbagliarsi, difficile fraintendere.
Era un accordo. Una base.

UrINd

“Ed ora” concluse dunque Ian con un sorriso soddisfatto “Leggi, Hocarg. E fai in modo che la tua voce suoni forte e chiara in queste tenebrose oscurità. Leggi, poiché ad ogni uomo è concesso, prima o poi, di contemplare la magnificenza di ciò che è sovrannaturale. Di ciò che esiste solo nel sogno e nulla più se non che nell’incubo.”

OOO

Poco distante, fu come vedere un fulgido bagliore serpeggiare fra le chiari iridi di Edwin. Un lampo allarmato, un febbrile segnale di pericolo cui egli rispose istintivamente serrando la presa della propria mano destra sull'elsa della spada.
Deglutì un attimo, il vigile sguardo che passava dall'una all'altra ombra come cercando - come sperando di trovare- un modo per fare di tutte loro, ed in un unico momento, un niente.
"Dobbiamo fermarlo"
sentenziò gelido.
Difficile dire a chi si riferisse, se ad Hocrag o ad Ian. In ogni caso, il fulcro delle sue parole pareva essere quasi certamente il pinnacolo, l'ora sfavillante struttura capace -sola- di costringere al silenzio ogni altra cosa.
"Strane leggende narrano di quell'infausta pietra. Storie di sospiri che da essa talvolta esalano per giungere all'orecchio di un malcapitato ascoltatore ed irretirlo, e ucciderlo."
si passò nervosamente la lingua sulle labbra.
"Quella cosa -non importa ciò che sia- è malvagia. Non è di questo mondo ed il semplice fatto che Ian la voglia in qualche modo utilizzare sta bene ad indicare quanto pazzo sia diventato"
una pausa, gli occhi cupi che si posavano su Vrael in una muta richiesta che egli mai si sarebbe azzardato a pronunciare.
Non per onore.
Non per orgoglio.
"Crostascura!" richiamò gelido "Con me!"
E l'attimo dopo eccolo slanciarsi in avanti. Eccolo estrarre la propria arma e mulinarla in avanti falciando la prima ombra, la prima che, ignara, si pose sulla sua strada.




Eccomi qui. Scusate la qualità del post ed il ritardo ma tutto ciò che avete letto è stato scritto sul treno/alle tre di notte et simili.
Dunque. Hocrag viene immediatamente intercettato e fermato da due ombre richiamate da Ian Arrow. Non riesce a giungere ad Aris la quale -stranamente- sembra ora caduta in una sorta di catarsi irreversibile. Anch'ella muta il proprio aspetto come le ombre tutt'attorno. Le figure che circondano Hocrag sono due energie verdi, eppure la vicinanza con il pilastro sembra al contempo debilitarle quanto donar loro una insolita forza.
Fra le parole di Ian si desume che gli omicidi avvenuti a Neirusiens erano in qualche modo legati ad azioni compiute dalle ombre e che il trovarsi ora li di Hocrag -e degli altri- potrebbe essere stato il frutto tanto della coincidenza quanto di un preciso intento strategico poichè -come egli dice- solo i vivi avrebbero potuto portare a termine ciò che egli evidentemente è intenzionato a fare.
Finito il discorso Ian invita dunque il senzasonno a leggere le scritte che sono incise sul pilastro.

Goth': scelta. Hocrag legge di propria sponte o si oppone?
Strange: Edwin rivela che il pilastro è chiaramente malvagio -non che la scena delle persona addormentate nel lago potesse far pensare ad altro, in effetti- e decide d tentare il tutto e per tutto contro Ian e le sue ombre protettrici. Vrael si oppone? Lo segue? Resta fermo? Cosa fa, insomma?

Ancora scusa per questo post orripilante e per la scarsa quantità di opzioni ma davvero...questi sono giorni di fuoco per me.
 
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view post Posted on 4/11/2012, 13:07
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Di tutto quello. Tu fai parte di tutto quello.
Anche delle braccia che ti prendono, ti stringono, fermandoti prima che potessi arrivare da lei, dalla ragazza, e ti costringono a inginocchiarti. Fai parte della situazione perché sei anche tu ad aver contribuito a crearla. Sorridi. Non ascolti l'uomo davanti a te, non ti curi di lui — solo dell'ombra che lo compone. Chi sei? Come sai il mio nome? vorresti chiedergli, ma non lo fai. Forse perché non ti importa. Forse perché lo sai già, semplicemente. Lui sa il tuo, tuttavia. Ti limiti a guardarlo, quando vieni sballottato qua e là, infine portato davanti al pilastro. Alle nere scritte di ... vita.

« Ed ora, leggi, Hocrag. »

No. Ti limiti a fissare quelle scritte, quelle scritte che hai imparato a conoscere, grazie a Chimerés, e a decifrare. Erano esse il lascito di Eitinel, ciò per cui era necessario che il più triste destino si abbattesse su di te; per quelle la Dama ti tolse la vita e la morte; per essere sicura della tua esistenza, dopo di lei. Dopo che ella si fosse liberata di un tale peso, fuori dall'oblio in cui tu sei stato viceversa immerso. E tu — inconsapevole — avevi acconsentito, bambino corrotto, macchina dall'eterna esistenza — per questo mai viva. Ricordi confusi si ammassano nella tua mente, e tuttavia nulla traspare dai tuoi occhi, che, contrapposti a quelli dell'uomo, ti diventano bianchi, completamente; ti stai rifugiando in te stesso, nel tuo sogno. Nel tuo sonno, l'unica cosa che possiedi. Non riesci — più — ad osservare il mondo. Non c'è più nulla intorno a te—solo campi sterminati, campi oscuri—nebbia—alberi secchi (la terra è arida)—il vento è freddo—e pure non ci sono rumori—ma forse—sussurri lontani di anime perdute—non importa—sei uno di loro—anche quello è il tuo posto—così come—
— come quello. Il mondo intorno—il mondo reale— che torna, di prepotenza, contro la tua volontà. Non puoi scappare, perché ora sei a casa. Essi, le ombre, fan parte di te. E da te stesso non puoi scappare; da tutto, ma non da te stesso.
E non dal tuo sogno.

« Non ho perduto la vita — così come la morte — per essere il tramite di questo potere — verso chi non lo può comprendere. »

Ma anche volendo, non sapresti come si pronunciano, quelle parole. Sai il loro significato, ma la pronuncia non la conosci—i fonemi non sono quelli della tua lingua — la tua voce non è abituata ad articolarli —. Il tuo corpo, da solo, non è in grado di pronunciare quei suoni—pertanto la richiesta è inutile, non può essere soddisfatta. Ma ah, non sembra sorpreso, l'uomo. Le due ombre che ti tengono stringono di un po' i tuoi arti, sebbene tu te ne accorga solo che di sfuggita, solo perché distogli lo sguardo dal pilastro, per un attimo. Pensando a quell'oscurità che ti tiene, in suo pugno, senza che tu puoi fare nulla—vuoi fare nulla. Non capisci solamente come l'uomo poteva controllare quelle ombre. Perché esse erano sotto il suo comando, come poteva — aver sottomesso il male che rappresentavano? Lo guardi privo di espressione. Lui sorride, e si avvicina.

« ξυπνητήρι. »

I lineamenti della tua fronte si increspano—non riesci a comprenderlo, eppure una vibrazione è quella che ti percorre il corpo, la schiena, e ti fa spalancare gli occhi. . Guardi Aris, anche lei l'ha compresa. Ora cammina, con lentezza, ti guarda con occhi straniti, eppure i suoi lineamenti non sono mutati, tende la mano nella tua direzione—i suoi occhi sono neri—neri come la lama dell'uomo, che la trafigge nel petto—non ti scomponi, la morte di Aris non ti turba affatto—non turba ciò che ti sta possedendo—eppure Aris l'aveva tolto—e il tempo rallenta, mentre la vedi cadere all'indietro, mentre i suoi occhi tornano al colore originario—il verde dello smeraldo—il rosso dell'orrore, che tinge le tue labbra e cade a terra—dove ora si appoggia il suo viso—sei umana, Aris—non lo è l'ombra che è uscita da lei, ed ora la guardi, rimanendo inginocchiato, ma le ombre intorno a te allentano la presa—la guardi e la riconosci—(è proprio lei)—è ciò che ti manca per essere di nuovo vivo—l'ombra che Aris ti aveva rubato—
—ora è davanti a te—
ma non puoi far nulla, solo osservarla, mentre lei a sua volta ti osserva, come quando era uscita dalla—ora ricordi—bambina, ed aveva preso possesso di te—le tue labbra si aprono contro la tua volontà, anche se in fondo è quello che vuoi—in realtà è l'ombra che sta parlando, ti sta leggendo il pilastro—tu con lei, conosci in realtà il modo per pronunciare quei suoni—

« προς ένα ζωής είναι αθάνατο. Απαθανάτισε με το μυαλό και η ψυχή, όχι στο Σώμα —
το αθάνατο ψυχές, σε άλλους
οργανισμούς,
ποταμός της ζωής, η αιώνια
ύπαρξη
»

e mentre quello che era un sussurro diviene una melodia che si alza tutt'intorno, prende possesso della zona circostante, entra in te—l'ombra davanti si avvicina, e non senti più i suoni che pronunci, solo una tonalità più alta, una luce, una nota acuta, un urlo bianco—le parole non smettono di scorrere, ma tutto il resto è già successo, quella volta tu eri Aris, l'ombra eri tu—stava succedendo di nuovo, ma stavi riappropriandoti della vita—globo di emozioni dimenticate—sentimenti artificiali—il miasma inizia a vorticare dentro il tuo mondo e dentro la tua irrealtà e pure c'è solo lei, la tua ombra, la tua anima che ormai ti appartiene ancora una volta senza che nessuno lo tolga dal tuo involucro—
il tuo desiderio di morte—

« ξεχαστεί από ώρα
πέρασε για εκατομμύρια και εκατομμύρια χρόνια στο μυστικό,
πρέπει να
διατηρήσουμε τις ψυχές να
μεταφορά μοναδικό μεταφορείς
της γνώσης, Ξωτικών
του τα σπήλαια
— »

—i vostri due sussurri si mescolano, e non sai più quello che succede—non hai più controllo di nulla—di nuovo, proprio come qualche ora fa, tutto nero
il nero del sangue, il nero della morte—
come il desiderio che ti possiede, di cui ora sei pieno—
che riversi contro chi non è degno di aver ascoltato quelle parole segrete—
che riversi sotto forma di oblio, un oblio nero come l'oscurità che ti pervade.

7JEs1

Che ti fa sentire vivo, di nuovo, grazie alla morte.




hocragpost2

[ReC 425.][AeV 200.][Perf 150.][Perm 550.][CaeM 225.]

Status Fisico. » Ottimale.
Status Mentale. » Oblio.
Energia Residua. » 10%

Attive utilizzate nel turno. »
o m b r e t r a l e l u c i Luci e ombre. Cosa, se non la Vita e la Morte, esse rappresentano?
Ma...Vita, e Morte. Queste parole così comuni, eppure così distanti dal Dannato, sono rappresentati dalla luce e dall'ombra. Sì, il mezz'elfo può prendere queste due metafore per convogliarle sul terreno di battaglia, ed esse assumeranno una forma precisa -cioè, pur sempre evanescente, poiché di luci e ombre si trattano-, ma c'è qualcosa di diverso in tutto ciò.
Ebbene, il Sogno di se stesso, Hocrag, non potrà più attingere alla forza della Luna in modo puro e incontaminato. Cosa che potrà apparire ovvia, ma è bene capirlo.
Dopo alcuni attimi di concentrazione, la luce di cui sarà pervaso il suo corpo sarà un misto tra la luce e l'ombra, tra la rappresentazione della Vita e della Morte, come vuole la sua condizione. L'esecuzione e la tecnica stessa di cui potrà fare arbitrario uso non varia, ma cambia la concezione della tenica stessa: il potere attinto non sarà solo proprio della Luna benigna, ma sarà intaccata dalle ombre, dal mondo dei Morti, poiché anch'esso vuole la sua parte nell'esistenza di Hocrag.
Poiché di esistenza si può parlare, non di vita né di morte.
Esistenza.
La quantità di oscurità presente può aumentare, inoltre, in base al livello in cui si troverà, mentalmente, il paladino. Più sarà lontano psicologicamente, cioé, dalla Luna, più la luce che sembrerà provenire dal suo corpo apparirà scusa, fino quasi ad arrivare all'oscurità totale, a mere ombre.
Le luci/ombre comunque non perderanno il loro potenziale, ma lo manterranno, e con essi la loro proprietà derivata dalla Luna: contro i Demoni e gli Orchi, servi del male, questa tecnica avrà un maggiore effetto che contro le altre razze.
Indipendentemente dall'oscurità di cui è intrisa la luce. Indipendentemente dalla luce di cui è intrisa l'oscurità.
In ogni caso, ciò che proverrà dal suo corpo sarà in base al consumo di energie [Variabile] di Hocrag, e modellabile a piacimento.
Ottimo? Forse, un solo, mero vantaggio di essere perennemente tra la vita e la morte. Piccolo, anche se quantomai potente. E le sue forme, per quanto disparate potranno essere, assumeranno sempre forme offensive. Perché, ormai, il Male si è radicato in lui, e aspetta solo il momento buono per uscire. [Usata a consumo Alto]

o l t r e l e e m o z i o n i Il Vuoto è il padrone dell'Infinito, ed il Vuoto ha, insieme alla sua mortalità, portato via emozioni e Sogni al Guardiano. Privatolo di questa gioia, di questo desiderio, è come un fantasma nel Mondo, in perenne bilico. Ma possiede ancora un corpo, anche se quasi etereo, e, come si sa, non si può dire né che sia vivo, né che sia morto. In tal senso, può possedere tratti caratteristici di entrambe le parti, per quanto riguarda la Mente: come la Morte richiede l'Oblio e il Vuoto, così la Vita richiede Sogni, Speranze e Gioie. Da cosa potrebbero nascere queste ultime se non da altri esseri, vivi, sicuramente più di lui?
Ciò che gli rimane da fare non è altro che rubare queste cose. Un ladro di sogni, di emozioni, che lascerà nelle vittime un senso di vuoto, tanto maggiore quanto sarà l'intensità dell'emozione rubata, sia che si tratti dell'emozione del presente o del passato, di un ricordo, che a sua volta sarà tanto maggiore quanto il Guardiano la necessita. Ma ciò non può durare. E' un appagamento effimero, poiché l'emozione non è propria del mezz'elfo, e destinata a svanire anche in lui, che ne avrà solamente un sentore, anche se vivido per qualche istante, non di più.
E l'effetto maggiore che si verificherà sarà più che altro l'assenza di essa rubato nella vittima, che, come già affermato, sentirà un pericoloso senso di vuoto, che potrebbe portarlo addirittura alla pazzia ed alla Morte. Poiché le emozioni, infatti, sono la sola cosa che rende davvero vivi.
Non sarà tuttavia una cosa permanente. Le emozioni rubate non rimarranno nel mezz'elfo, ma andranno a sistemarsi un'altra dimensione, aleggeranno sempre intorno alla vittima anche se non saranno mai davvero parte di lui, cosicché egli ne avrà solo un sentore, fino alla prima luna piena, quando esse torneranno ai loro legittimi proprietari, in tutto e per tutto, se questi avranno avuto la pazienza -e la forza- di aspettarli, dando loro, in tal senso, un maggiore appagamento.
In termini di gioco equivale ad un'abilità psionica offensiva a consumo Variabile, che andrà affrontata come di conseguenza e sortirà un senso di vuoto nella vittima.
Variabile. [Usata a consumo Medio]


Attive dai turni precedenti. »
Passive in uso. » Vista notturna, percezione Auspex, influenza psionica passiva (chi lo vedrà penserà di conoscerlo), difesa psionica passiva (da normali alterazioni dello stato d'animo quali turbamento, dolore), può cambiare aspetto e nascondere le ferite, non sviene al 10% di energia, resistenza ad un Mortale aggiuntivo, le sue parole inducono a credergli e dargli fiducia, fa danno psion un livello superiore e danno fisico un livello inferiore.

Consumo energia tecniche. » [Trentatrè.][Quindici.][Sei.][Due.]
Note. » Non oppongo resistenza alel ombre che mi prendono per le braccia. Seguo passivamente tutta la scena, cercando di chiudermi in me stesso nel momento in cui Ian vuole farmi leggere il pilastro; non riuscindoci, gli rispondo a tono, ma la parola da lui usata e l'uccisione di Aris muovono le cose in maniera imprevedibile. Uscendo quindi l'ombra dal corpo di questa, Hoc decide di volersela riprendere e, un istante dopo (se la fusione va di nuovo a buon fine), attacco Ian con un getto d'ombra e con la variabile psion, in quest'ordine, poiché non doveva ascoltare ciò che era scritto nel pilastro, e parimenti non può permettersi di controllare le ombre, secondo Hoc, che, ormai, farebbe parte di loro, di nuovo.
 
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view post Posted on 7/11/2012, 22:00
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永久の美
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"Crostascura! Con me!"
Echeggiò una voce tra le tenebre, rimbombando nei gelidi meandri dell'ombra che ovunque attorno a loro pareva aver eretto delle alte mura dense come vischio, impossibili da oltrepassare per ognuno di loro.
Edwin aveva fatto la sua scelta e guardandolo per un istante, un infinitesimale sussulto di vita, Vrael capì che da lui voleva sapere solo una cosa: l'avrebbe seguito in battaglia? Avrebbe dato il tutto per tutto, ora che gli si chiedeva di morire per qualcosa?
No ... no, Vrael l'Elfo non avrebbe mai acconsentito ad una simile follia; non si sarebbe mai prestato ad un impresa così spudoratamente indirizzata verso il fallimento. Lui avrebbe voltato le spalle a Neirusiens, la nefasta - ora maledetta - città dei furfanti, ad Edwin ed alla sua sciocca Utopia, ad Ian che se ne stava in panciolle certo di aver vinto, al ragazzo-spettro con cui non era riuscito a scambiare mezza parola. Sì, li avrebbe abbandonati tutti e si sarebbe dato alla macchia, al girovagare senza meta rincorrendo una Bianca Dea della quale -in quel momento- stentava a ricordare le fattezze, la sua voce un tempo melodiosa ed ora rachitico gracchiare di corvi.
Perché era giunto lì? Che cosa aveva in mente quando aveva cominciato a muoversi verso quella destinazione? Proprio quella, fra tante altre?
Certo non era per l'onore, per la gloria e men che meno per lo stupido orgoglio.
La verità è che era partito senza avere uno straccio di idea su cosa avrebbe fatto una volta giunto a destinazione; aveva avuto bisogno di fare qualcosa che lo distogliesse dal fallimento e, fra i suoi sconclusionati pensieri, ecco sorgere l'immagine della sua città natia, così lontana dal resto del mondo da sembrare ancora ingabbiata in fredde sbarre di Passato. Ma sì, perché no? si era detto Magari lì troverò un po' di ... "pace".
Sciocco ... sciocco era stato, ed illuso.
La sfortuna lo perseguitava come un'ombra, impossibilitata ad abbandonarlo ed a lasciargli vivere in pace almeno quel poco tempo che gli serviva per capire ... capire che, alla fin fine, non gli importava niente di quel mondo.
Perduto, abbandonato dalla sua gente e dalla sua Divinità ... non era altro che un cane randagio che si aggirava per le strade in attesa che qualcuno -chiunque- si degnasse di raccoglierlo dalla sua miseria e lo accompagnasse in un mondo nuovo ... diverso da quello che aveva conosciuto.
Ma non era così che girava il mondo, e lo sapeva bene, benché esitasse ad ammetterlo.
Ed ora, ora che aveva trovato qualcuno che pareva considerarlo più che uno sciocco bambino cresciuto tra vizi ed indolenza, gli si chiedeva solo un "Sì", un "Ti seguirò, qualunque sia la tua destinazione". Ed era il momento di dimostrare, più a se stesso che ad altri in effetti, che era cresciuto a sufficienza per scegliere da solo da quale parte combattere.

Quella di Edwin.
Non di Neirusiens.
Non della Pace.
Non della Follia.
Non di Eitinel, finché ella stentava a mostrarsi.
Quella di Edwin.
Soltanto.


E fu per quel motivo e solo per quello che, quando egli si gettò nella mischia affogando nell'oscurità che dilagava ovunque come un nero mantello sulle spalle di un freddo Signore, egli lo seguì, la spada tratta, la voce urlante.
Non più quella di un ragazzino, ma quella di un uomo. Un uomo vero.
E fu la sua lama a calare violenta sulla prima ombra che, ignara, si poneva sul suo cammino, che tentava di fermarlo con la sua malevola presenza. Tutto attorno a lui, il fragore della battaglia rimbombava coprendo ogni altro suono, e ben presto le grida di guerra vennero soffocate dal clangore delle armi, dagli stridii del metallo contro il Nero, dei gemiti contriti di coloro che si accasciavano a terra privi di vita, dall'una e dall'altra parte. Ovunque egli guardasse, non vedeva che morte e sangue disperdersi nell'aria e smarrirsi nel denso miasma del Male. Ma, circondato dalla sua piccola scorta, lui continuava ad andare avanti, mietendo vittime su vittime; e voltando lo sguardo oltre la propria sinistra, poteva vedere Edwin, la sua nuova luce, fare lo stesso con il furore di un leone, la grinta di un vero Re.
E furono due le voci che si levarono sopra le altre in un duetto perverso e mortale, nella melodia di una danza che l'Elfo ed il Crostascura danzavano tra i nemici, falcidiando chiunque tentasse d'interporsi tra loro e di interrompere il ritmo, il pulsare, di quella realtà.
Finché in mezzo alla folla senza fine e senza tempo che si snodava attorno a lui come una vasta distesa si aprì un varco, una sorta di lungo corridoio irto di lame ed artigli a condurre l'occhio laddove stava avvenendo quel che contava davvero; là dove la loro battaglia non era che una futile perdita di tempo.
Ed in mezzo al fragore di una battaglia che era ormai distante un'intera vita, Vrael li vide:
L'uno a terra in ginocchio, immobile;
L'altro chinato in posa marziale;
E l'ultima china, quasi boccheggiante.
Solo uno sguardo tra lui e lei, un lento sfrigolare dell'aria; un lungo distendersi di Tempo e Spazio che parevano volersi strappare di fronte all'intensità di quello scambio di occhiate. Nulla più che un fugace guardarsi e poi tornare alle proprie consuete attività per molti; ma per Vrael non vi fu né vi sarebbe mai stato un secondo tanto lungo, tanto fastidiosamente pressante.
E fu nel socchiudersi dei suoi occhi che egli la vide.
Vide Neirusiens, le sue strade deserte, le sue vie polverose, le sue acque sciabordanti ed infine una nave; un piccolo vascello in cui risuonava cupo un pianto. Lacrime di un infante che andarono scemando e perdendosi nel nulla.

E poi fu di nuovo battaglia, morte e dolore, mentre il riverbero di quella stregoneria abbandonava la sua mente restituendolo al realtà.
Ed è solo in quel momento, in quel preciso istante, che un suono diverso da quello della Guerra si innalza nell'aria impregnandone la purezza ed intaccandone la nitidezza. Un grido potrebbero sostenere alcuni; un canto, direbbe invece colui capace di ascoltare.
E prima che fosse possibile intuirne il significato, estrapolarne la vera essenza, furono decine ... centinaia le ombre che si riversarono sul gruppo degli uomini, come dannate ondate di diavoli che sorgano dall'Inferno in un nuovo Apocalisse.
Molteplici furono gli assalti che giunsero ovunque come tetre sferzate di una frusta invisibile nel buio. E molti caddero sotto i suoi colpi incessanti finché, spalla a spalla e circondati da un pugno di uomini, Vrael ed Edwin si trovarono al centro del campo di battaglia, un'incessante nenia ad accompagnare la loro resistenza ed un informe titano di pece ad ergersi davanti a loro come un'inamovibile pilastro. È con un solo vibrare dei suoi arti possenti che due dei loro vengono trascinati nel buio, destinati a non essere mai più ritrovati.
Paura, allora.
Ovunque.
Finché non è proprio Edwin a mulinare la pesante lama in direzione del mostro, che si limita ad intercettarne il colpo con una cupa propaggine (forse un braccio, o una gamba, o qualcos'altro). E mentre sta per calarne un'altra sul corpo del Crostascura, è Vrael a gettarsi in avanti ed intercettare il colpo, solo per perdere la spada in un impatto troppo forte per lui, troppo violento per la sua esile figura.

« C r O s T a S c U r A ! »
Fu la sua unica reazione a quell'inatteso disarmo.
Ed è mentre fissa negli occhi la creatura, stordendola come meglio può in quell'attimo di sgomento che egli vede quattro uomini avventarsi su di essa, piantando le proprie lame sul suo corpo, seguiti alla svelta da Edwin che infila invece la propria sul suo petto.
Ed in quel momento di distrazione, Vrael si mosse alla ricerca della sua spada, incapace però di trovarla.
L'ennesimo ruggito, e coloro che avevano assaltato il demone vennero sbalzati lontano in un accasciarsi di corpi doloranti; non tutti si rialzarono. E non vi fu altra scelta se non quella di abbandonare il prezioso armamento ed imbracciare l'arco, incoccando un dardo che lesto si schianta sul volto del nemico. Ma questi non cedette, non crollò, non finché una nuova ondata di colpi d'arma ne recise gli arti - o quanti pareva possederne.
Una nuova freccia, sta volta sul collo, e poi è Edwin a mozzarne la testa con un movimento preciso della spada, una movenza letale da assassino.
Solo un istante per raccogliere colore che ancora sono in gradi di combattere, poi toccò al Clemente imporsi di nuovo sulla propria gente.
"Il ragazzo! Va fermato o queste cose non cesseranno mai di arrivare!
Andiamo, era chiaro che toccasse a noi.
Un boccale a chi mi porterà quel figlio di buona donna di Ian!"

Poche parole, un barlume di ottimismo e poi di nuovo a capofitto nella folla di sconosciuti che si abbattono senza nemmeno sapere perché, consci solo di doverlo fare per non morire. Ogni passo più vicino al pilastro, ogni respiro più vicini al fantasma; ed ogni battito del cuore le loro grinfie più vicine al gozzo del Sindaco.
Oh, come si sarebbero divertiti una volta che tutto fosse finito.


Vrael

| ReC 300 | AeV 175 | PeRf 75 | PeRm 275 | CaeM 150 |


Energia_44% [(11+11)] + [(11) + (6+6)] + [11]
Status Fisico_Danno lieve al volto; labbro spaccato. Danno lieve Basso ad entrambi i polsi + Basso Medio (da impatto) alla testa + affaticamento per la battaglia e danni lievi (Basso).
Status Psicologico_Affaticato, ma concentrato.
Equipaggiamento_Islingr (Perduta)
Albitr (impugnato) 9 (-2)/15.

Tecniche utilizzate_

»Confusione
Una delle tecniche più utili per colore che, prima di pensare anche solo minimamente ad uccidere un avversario, preferiscono minarne le capacità cerebrali e la stabilità mentale, beandosi della capacità di metterli emotivamente in difficoltà. Portando una mano verso la vittima, anche mascherando il gesto con movenze teatrali, Vrael genererà un impercettibile flusso di energia, che pervaderà la mente dell'avversario, facendogli perdere per alcuni istanti la percezione effettiva di ciò che gli accade attorno, anche attraverso sensazioni di nausea, debolezza e giramenti di testa. Per quanto fisicamente inoffensiva, il ripetuto effetto di questa tecnica su uno stesso individuo potrebbe causare effetti ben più gravi, talvolta anche permanenti. La tecnica ha potenza media, e nel difendersi da essa vanno considerati i Riflessi della vittima contro il potere della malia dell'Elfo.
Costo. Medio



Note_Eccomi qua, scusate l'ennesimo ritardo °////°
Dunque, come specificato in confronto, Vrael segue Edwin nella sua carica contro il sindaco ritrovandosi presto coinvolto nella battaglia fra le ombre e gli uomini che procede con relativi successi, finché l'Elfo non è testimone (e vittima) del potere di Aris, che ignora etichettandolo come ennesima "stregoneria". Quando il canto di Hocrag si alza nell'aria, il gruppo viene circondato dalle ombre finché, in un'azione combinata (e spero non troppo presuntuosa), Vrael, Edwin e la scorta di Crostascura sconfiggono una delle più grandi (perdendo qualche individuo nel processo).
A quel punto è Edwin ad indirizzare i sopravvissuti verso il Senzavita (al cui canto è facilmente riconducibile la sovrabbondanza delle Ombre) in una carica frontale forse un po' supponente, ma di certo coraggiosa ... e poi morirono tutti x'D
Spero di non essere stato tedioso >__>
 
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view post Posted on 12/11/2012, 21:01
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And...bla..Bla..BLA
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E innalzati, libero,
o canto di una vita Immortale. Impresso con mente e anima, voce a cui non serva alcun corpo
poiché lo spirito si elevi e scorra languido nel Fiume che è Vita,
ed eterna esistenza di dannazione.
Fiume dell'oblio che dell'Oblio ti nutri e nascondi lontano
dai ricordi e dal segreto che solo potrebbe scovarti.
Scorri, e del nostro vivere mantieni la bellezza
e la forza
ed il tempo che tiranno fugge senza dite,
senza te che solo ogni cosa trattieni
e mantieni nella corrente del Destino.

Scorri, o fiume dell'Eternità.


Ogni cosa era compiuta.
Ogni tassello, ogni frammento, ogni briciola di quel lungo e faticoso cammino che aveva portato ora tutti quanti, pedine e pedoni, cavalli e cavalieri a convergere li, oscuro campo di battaglia dove nell'immobilità ora tutto accadeva, ora tutto terminava come era stato scritto.
Questo il primo pensiero di Ian. Questo il suo estatico socchiudere gli occhi, alzare piano il capo verso l'alto, e nel fremito di un sogghigno proclamare a se stesso, a se medesimo.
Ce l'ho fatta.
Semplicemente.
Inequivocabilmente.
E non sarebbe certo stato quel misero residuo d'uomo a dire il contrario, o quella sparuta banda di idioti fermamente convinti, ora, di aver diritto all'ultima parola, al finale appello contro la sentenza che li vedeva succubi, e non certo agenti, di tutto quello stridio, gorgoglio, sibilo che dell'aere ora faceva propria dimora.
Sogghignò di nuovo, godendo dell'opalescente luminescenza che da dietro le palpebre gli era possibile intravedere, cupa sembiante del miasma lattiginoso che improvvisamente, flutti incorporei, aveva preso a tempestare tutt'attorno al Pilastro.
Non avevano sostanza, le anime. E nemmeno colore. Eppure il loro dibattersi nel reale, il loro tormentoso voltarsi, fluttuare, dimenarsi, spirare aveva come la capacità di torcere la realtà visibile, sfibrando la vista di graffi lattiginosi, di crepe sottili eppure luminose. Quasi a suggerire che la sola verità, il solo tangibile ben poco avrebbero impiegato per cedere sotto la prepotente ed incontrollabile evidenza dell'Oltre, dell'Imperscrutabile.
Sospirò ancora Ian, e nel farlo si portò una mano al petto onde saggiare, fredda come gelo, la liscia superficie dell'oggetto che portava appena sotto gli indumenti.
Presto.
Si ricordò.
Presto, prima che tutta quella magia avesse trovato un luogo ben migliore ove dirigersi. Prima che, perdute, le anime fino a poc'anzi racchiuse all'interno del pilastro -Quante saranno state? Mille? Cento? Abbastanza per potersi definire molte? Sufficienti?- fossero andate perdute nel frettoloso avanzare dell'esistenza.
Così Ian aprì di nuovo gli occhi, e nel farlo essi si posarono sulla figura avvinta di Hocrag. Lui, piccola pedina in un mondo di alfieri. Gli sorrise per un attimo, ansioso di comunicargli tutta la propria soddisfazione e di ricordargli che, malgrado tutto, opporsi a ciò che è grande, e potente, e inarrestabile altro non è che stupidità. E vanità. Meditò anche di apostrofarlo in qualche modo, magari esibendo un sorriso compiaciuto ed un "grazie tante" di contorno, come solo i più temibili cattivi osano fare. E per finire, mostrare proprio a lui, proprio al suo più accanito sostenitore, l'oggetto che ora, nel suo palmo, già prendeva a scaldarsi di pari passo con il -luminoso- convergere verso di esso di tutte le anime presenti.
Catalizzatore, avrebbe spiegato. E poi, ancor più professionalmente. Serve per evitare che tutte questo tesoro vada perduto, assorbito dai futili involucri che voialtri umani tanto vi ostinate a chiamare Corpi quando in realtà altro non sono che prigioni. Che modi per impedire all'anima e alla vita di librarsi libera, estatica, nell'ebbrezza dell'immortalità.
Ma, meditò dopo un attimo, dubitava che avrebbe detto alcuna di quelle parole.
Il Senzasonno pareva troppo turbato, troppo imbambolato nel proprio soccombere -alla propria sola mente, poverino- per prestargli ascolto. Per ricordare anche solo come si facesse ad ascoltare probabilmente e riflettere, meditabondo, su quanto grande fosse stato il suo errore nel giungere lì. Nel seguire i segni. Nel seguitare i suoi spostamenti ed infine raggiungerlo nelle profondità di Neirusiens dove il Destino, quello vero, già lo attendeva.
Povero caro.
Ma qualcuno doveva pur perdere no?
E se non fosse stato Hocrag chi altri allora?
Lui?
Represse un sorriso. Represse un ghigno anche quando, dal basso di tutta la propria inadeguatezza, il Senzasonno ebbe anche la forza di alzare il capo in sua direzione -che si fosse accorto dello sfottò?- per poi ostentare, truce, uno sguardo di sfida.
Insensibile, Ian alzò in alto la propria mano, il scintillante oggetto ossidiana -rubineo nell'opalescente oscurità- che prendeva ora quasi a bruciare nel suo palmo.
No certo che no. Non era per questo che era tornato. Non era per questo che tanto si era affaticato ad assomigliare, ad apparire ed in tutto e per tutto passare per
Ian Arrow
Chimerès.
Tale incredibile consapevolezza lo colpì alla sprovvista.
O, più che la consapevolezza, lo strano attacco del Senzasonno, qualcosa a metà fra una scarica d'adrenalina e il vuoto più assoluto. Fra il giubilo e poi l'apatia più completa, sensazione che lo lasciò per un attimo ansante e contrito a terra, la fiera compostezza ostentata fino a pochi istanti prima ora solo un ricordo, un soffuso domandarsi, confuso
Dov'è finita la pietra?
Venne colto da un brivido, il suo palmo vuoto per brutalmente tornava al gelo di sempre ricordandogli con una fitta d'allarme che qualcosa di importante, di estremamente importante, ora mancava all'appello. Si scosse, tremò, percependo solo vagamente la consistenza della sua pelle creparsi, crepitare ed infine andare in mille pezzi come per i serpenti la muta.
Dove...socchiuse le palpebre. Il brusio delle anime tutt'attorno pareva ora più vicino, più pressante. E si mosse a tentoni nel proprio rovinare, il mero involucro di ciò che era stato che ora si ammassava in lamine sottili attorno ai suoi piedi, alle sue ginocchia, alle sue dita aperte sull'umido selciato, sulle viscide pietre che del lago facevano struttura e sostegno ma che ora per qualche ragione altro non sembravano capaci di fare se non di ostacolarlo in quella sua ricerca del
Ma Dove Diavolo Era Finita?
Dove...
CROSTASCURA!!
Il suo braccio fu più rapido del pensiero, e ne bastò uno solo -di entrambi- perchè il ragazzino lanciatosi alla carica venisse letteralmente alzato di peso, poche spanne da terra, da una stretta alla gola. I suoi compagni -tutti tranne il vecchio- erano già caracollati a terra, la forza del richiamo delle anime davvero troppo insostenibile per loro, per dei miseri umani quali erano.
Aveva detto di chiamarsi Vrael, e più volte il suo viso era lampeggiato vivido negli occhi di ombre e sussurri. Aveva detto di essere ormai un adulto, eppure a guardarlo bene a Chimerès egli non parve altro che un ragazzino, un misero bamboccio montatosi la testa giusto perchè un vecchiaccio ancor più penoso di lui aveva finito con l'averlo in simpatia.
"Troppo tardi, ragazzino"
fu il suo unico commento, l'occhio vitreo che scrutava in quello ora teso dell'umano. Notò la tralucenza dell'iride, la pallida bellezza della trama di quegli occhi ancora inesperti, ancora fiduciosi del mondo. E ne sorrise, ben sapendo che ora l'immagine disumana riflessa in quegli specchi fatati, il corpo grottesco, il volto esangue e nero più dell'abisso non erano -o almeno, non solo- la dimostrazione della paura di lui.
"Il sacrificio umano c'è già stato, ma vedendo la tua insistenza -malgrado fino ad ora alcuno dei miei fedeli ti abbia toccato- potrei pensare ad un compito speciale per te"
Si ma quale?
Il fendente di una spada all'altezza della gola fece luce nella sua mente.
Edwin il valoroso era giunto in aiuto del suo figlioccio, uno sguardo al limite fra il terrorizzato e il disperato a muovere la sua spada da una parte all'altra, da un estremo all'altro della figura di Chimerès che altro non potè fare se non arretrare di un passo, due, e poi, non potendone proprio più di quella danza imprevista, optare per lo scaraventare con una mano il ragazzo -piccolo Vrael- nelle acque retrostanti ed agguantare il vecchio con l'altra.
Spezzargli una spalla -quella munita di arma- non fu difficile così come ben poco disturbo gli costò gettarlo poco dopo ai piedi di Hocrag ansante e malridotto.
Scoccò al Senzasonno un'occhiata in tralice per poi abbozzare un sorriso.
"Puoi prenderla, se vuoi" concesse in direzione dell'uomo "Lei approverebbe"
E detto ciò trasse da terra la pietra che ora, incandescente, pareva far già evaporare l'aria attorno a sè. Era più pesante, ora, quasi che la sua massa si fosse inspiegabilmente evoluta malgrado la stabilità delle dimensioni. Dunque l'anima aveva davvero un peso...

2YwE3
La soppesò per un attimo fra le dita adunche, neri artigli affusolati come ossa e neri più della pece. Definirli umani sarebbe certo stato un azzardo non da poco. Ma la Pietra, oh si, quella pareva davvero starci bene nella stretta. La alzò di nuovo sopra la propria testa, il turbine di anime che nuovamente -come cogliendo quel movimento- tornava a convergere in quel punto per poi scomparire. Inghiottito, attratto, divorato...ognuna di queste cose.
L'incupirsi un poco dell'atmosfera, lo spegnersi di qualche luce in lontananza. La vita, e non solo quella, pareva attimo dopo attimo stare abbandonando quel luogo.
"Ma sbrigati. Altrimenti l'inizio di questa "tragedia" potrebbe essere la tua nuova, sconsolata, fine".


Al suono del canto di Hocrag il pilastro comincia a brillare e da esso prendono a fuoriuscire quelli che a prima vista parrebbero spiriti ma che in realtà altro non sono che anime. Tutta Neirusiens prende a risplendere del loro fugace librarsi per poi convergere nella figura di Ian il quale fra le mani stringe una pietra evidentemente capace di assorbirle. La magia pare irresistibile: i pochi sopravvissuti dei Crostascura all'assalto delle ombre cadono a terra come addormentandosi e la medesima sorte toccherebbe a Vrael e ad Edwin se proprio allora Hocrag non riuscisse a destabilizzare Ian col proprio attacco. L'uomo perde la pietra e nel tirarsi in piedi intercetta i due lanciati alla carica: Vrael viene scaraventato nel lago (pieno di corpi in dormiveglia) e Edwin ai piedi di Hocrag ancora immobilizzato. Fatto ciò Chimerès -subendo l'attacco l'Ombra ha perduto la propria copertura rivelandosi per ciò che è- riprende la pietra e continua il rituale.
L'aspetto di Chimerès è indefinibile. I tratti sono certamente umani ma in costante mutamento come se egli fosse fatto di materia inconsistente ed al contempo solida. Si scorgono mani e lineamenti, ma il nero che li domina è tale da renderli indistinguibili.

Goth': Il corpo di Edwin -vivo- dinnanzi ai piedi di Goth non è casuale. Chimerès sta sfidando il senzasonno ad utilizzare i propri poteri dell'ombra che ora, volente o nolente, è tornata nel suo corpo. La sensazione che proverà Hocrag non sarà eguale a quella sperimentata nei precedenti post ma comunque connotata dall'insorgere di una bestialità repressa, incalzante. Essendoci stata la mediazione di Aris la potenza dell'ombra è inferiore -e quindi superiore è il controllo che si potrà esercitare sulla stessa- ma renderà alquanto difficile decidere come muoversi. Il canto inoltre ha privato il ragazzo di gran parte delle proprie energie, lasciandolo come svuotato. Dovesse Hocrag "assorbire" Edwin, recupererà il 20% delle proprie energie e la forza per liberarsi dalle ombre. Dovesse resistere....te lo dirò in Confronto^.^

Strange: Gettato nel Lago, Vrael si ritrova a fare i conti con la distesa di individui che, addormentati, stanno lentamente abbandonando la propria anima alla volontà di Chimerès. In altre parole, anche le loro anime verranno poco a poco assorbite dalla pietra. Pur scuotendoli non sarà possibile svegliarli ed anzi stando loro troppo vicino Vrael potrà addirittura incappare nei loro "Sogni": le anime costrette ad abbandonare i loro corpi -a causa del canto di Hocrag- cercano infatti un nuovo corpo e, trovandolo vicino, tenteranno di sperimentare quello di Vrael. Ma avendo già un'anima, tale passaggio sarà solo temporaneo, giusto il tempo di dare al ragazzo visioni e "sogni ad occhi aperti" appartenenti ai più svariati individui. Su questo punto ti lascio piena scelta su come comportarti. L'indicazione è che le visioni potrebbero essere molto simili a quella di Aris nel precedente post. Ma gestisci come vuoi. Di seguito a questo, la scena di Hocrag e la sua scelta. Ti chiedo di aspettare Goth' per capire come comportarti^__^
 
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view post Posted on 18/11/2012, 12:02
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Aspetta, Hocrag. Osserva.
Il turbinio di emozioni che ti ha assalito si interrompe bruscamente, nell'osservare che quello davanti a te non è un uomo, è un'ombra come tutti voi. Più di questo, anzi.
(un tremito)
È Chimerés. Ne prende la forma quando il suo involucro si crepa, profondi solchi lo tracciano, da cui emerge la non-materia che lo compone. È lui, e non puoi non riconoscerlo. Rimani immobile. Lo guardi stranito, e l'ira che covava nel tuo cuore si ridimensiona, si rimpicciolisce, per lasciare il posto ad una più imponente incredulità; perché? Tu, senzavita, non capisci. Che motivo c'era, per quell'ombra, che gli aveva donato la conoscenza dei simboli che aveva letto poc'anzi, di compiere quel massacro? Perché aveva avuto bisogno di te quando egli stesso aveva fatto in modo che tu diventassi quello che eri? Perché aveva voluto che giungessi fino in quel luogo con tutti quei sotterfugi quando poteva portarti lì semplicemente chiedendotelo, mostrandosi per quello che era? Non c'è spiegazione, probabilmente, oppure tu non arrivi ancora a comprenderla. Ed è per questo che rimani immobile, ancora, sguardo vitreo, a fissare il nulla, nemmeno più la materia indistinta—non è solida, ombra sfocata—come potrebbero esserlo i tuoi occhi—che compone il tuo nemico, colui che ha ucciso Aris. Che ha imprigionato, nella biglia che ora raccoglie e ti offre, le anime della gente del luogo. Per farci chissà cosa, e poi offrirtele in una biglia di (vetro?).
Avanti Hocrag, prendila.
Eppure nel mentre l'uomo che avevi incontrato precedentemente è sbalzato a terra, proprio davanti ai tuoi piedi, a separarti dall'ombra, quasi un monito—avvertimento a stare attento. Ma tu non vuoi essere prudente, questo non ti è mai importato. Il tuo corpo è invece stanco, privo ormai di forze, e si tende istintivamente sotto il controllo della cosa che era entrata in te—che avevi fatto entrare in te, secondo l'ultimo briciolo di volontà che ti rimaneva. E neppure l'uomo rappresenta qualcosa di particolare per ostacolare il desiderio di vita attraverso la morte; ma non vuoi seguire quel desiderio, vuoi resistere, vuoi trattenerti. Perché quello che desideri,
ora,
è Chimerés.
E solo lui.

Non ti interessa la pietra delle anime che teneva tra le dita, e non ti muovi né fai alcun gesto, in risposta alle parole dell'ombra. Ti limiti a fissarlo, nelle fessure dove dovrebbero esserci gli occhi—dove un tempo c'erano gli occhi—appartenenti solo all'involucro.
Eppure pronunci qualche suono, verso di lui.

« Perché questo? »

È l'unico che può dirtelo, in fondo. Aris è morta, ma per cosa, invero, lo ha fatto? Qual'era il motivo di tutta quella strage?
Qual'era la raison d'être della biglia che era adesso tesa verso di te?

Perché tutto questo ... Non c'è spiegazione.
O forse non arrivi ancora a comprenderla.

(è in fondo un circolo
per cui una volta dentro
non si sa più
quale sia la fine o l'inizio)

... chi ne è il centro, questa volta?



...

oB6jE



E quelle fessure sono turbate, stizzite dalla tua resistenza, dalla voglia che possiedi di capire. Si avvicina, e vuole toccarti di nuovo—non accadrà ancora—non prima di aver sentito...
—torcendo il busto l'uomo a terra sferra un fendente all'ombra—lo guardi con occhi sorpresi—pensavi fosse in fin di vita ormai—ed a questo punto anche il ragazzino—Vrael—interviene—è un turbinio di azioni, ma rimani fermo—suoni concitati di parole soffocate e urli silenziosi—immobile—Chimerés non è sopraffatto, anzi pare avere sempre il controllo della situazione—NON UCCIDETELO—ma non c'è bisogno di esortazioni, è sempre in piedi, sempre attivo—PERCHÉ—ed osservi l'ombra tendere un braccio, la mano contro il ragazzo, è il momento decisivo, concretizzandosi una sfera di male






hocragpost2

[ReC 425.][AeV 200.][Perf 150.][Perm 550.][CaeM 225.]

Status Fisico. » Ottimale.
Status Mentale. » Oblio.
Energia Residua. » 10%

Attive utilizzate nel turno. »

Attive dai turni precedenti. »
Passive in uso. » Vista notturna, percezione Auspex, influenza psionica passiva (chi lo vedrà penserà di conoscerlo), difesa psionica passiva (da normali alterazioni dello stato d'animo quali turbamento, dolore), può cambiare aspetto e nascondere le ferite, non sviene al 10% di energia, resistenza ad un Mortale aggiuntivo, le sue parole inducono a credergli e dargli fiducia, fa danno psion un livello superiore e danno fisico un livello inferiore.

Consumo energia tecniche. » [Trentatrè.][Quindici.][Sei.][Due.]
Note. » Post con poche azioni, anche dovute alal mia poca energia; come scritto in Confronto resisto al desiderio di impossessarmi di Edwin perché più impotante è ora la volontà di capire il perché di tutto questo, l'ambivalenza di Chimerés in primis. Glielo chiedo direttamente, anche se l'ho interpretato in modo che non voglia rispondermi, così, come reputo che sia; vuole che eseguo i suoi ordini, e stop. Quindi, nel momento in cui si avvicina per costringermi, volendo sfiorarmi la fronte come era già successo, Edwin si alza e lo attacca; da questo momento avvengono le azioni di Vrael, che ho omesso per ovvi motivi, finché anche il mio post si interrompe con la creazione della sfera oscura nella mano dell'ombra (un po' bruscamente, ma spero che l'effetto renda xD).
 
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view post Posted on 24/11/2012, 22:39
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永久の美
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Fu un secondo, un effimero attimo in cui il mondo avvolto nell'ombra si distorse, si stracciò e poi si capovolse inesorabilmente, mentre con un gorgoglio soffocato dalla violenza del colpo Vrael venne scaraventato in alto. Fu breve la parabola che compì a mezz'aria contorcendosi in cerca di un appiglio che non poteva naturalmente trovare finché, in uno sguazzare di vischiosa tenebra, impattò sulla superficie del lago sollevando schizzi color della pece tutt'attorno a lui.
Per un momento tutto si fece nero, universo sconfinato vuoto di ogni cosa eppure pregno di un significato tutto suo; un essenza quasi soffocante. E nel suo gesticolare disperato in cerca d'aria, l'Elfo lo sentì veramente, quell'ego privo di consistenza. Gli strisciò accanto, gli serpeggiò voluttuoso accanto ad un piede, poi su lungo le cosce ed infine accanto ai fianchi fino al petto, al cuore. Ed era come se alla sua visione dell'abisso senza confini si mescolasse improvvisa una pioggia di colori, un turbinio di tinte a sprazzi chiare, a volte cupe. Talvolta addirittura inesistenti.
E fu come nascere di nuovo.
Suo malgrado.

E non fu più Vrael l'Elfo, perduto nella sua quête senza speranza, desideroso di incontrare qualcuno della cui esistenza non conosceva che sussurri tra le fronde degli alberi o lamenti nelle notti senza Luna.
Non fu più il giovane Elfo che, contro ogni aspettativa, aveva appoggiato un sconosciuto nella sua guerra civile per la salvezza di Neirusiens.
Lui era ...
Lui era ...
Ma certo, era Kaleth, un piccolo bambino del luogo che, armato della sua fedele spada di legno, stava rincorrendo gli amici in quel gioco che lo faceva sentire grande e forte come suo padre. Un giorno sarebbe diventato come lui, che uccideva la gente per riportare a casa il pane con cui saziavano il loro stomaco. Sì, sì certo, era esattamente così che sarebbe diventato da grande.
E così, quando raggiunse Abel, il suo amico d'infanzia, gli avvicinò per gioco l'inoffensiva arma al collo, nel tipico gesto dell'assassino. Eppure dalla sua gola sgorgò un fiotto di sangue cremisi che andò a macchiargli il volto, a sporcargli la veste polverosa.
E non fu più Kaleth.
Ora era grande, maturo.
Un vero uomo, finalmente.
Ed estrasse il coltello dalla gola del cadavere che aveva innanzi per poi voltarsi. Dietro di lui c'erano una dozzina di uomini impegnati a menarsi fendenti e mozzarsi arti gli uni con gli altri. Taluni gridavano, altri semplicemente ruggivano, ebbri del fragore della battaglia. Lo stesso che provava anche lui in quel momento, no?
E, sguainata la spada, si gettò anche lui a capofitto nella mischia. Abbatté un uomo, poi un altro, finché un colpo non lo raggiunse alla schiena, mozzandogli il respiro e facendogli colare un denso rivolo color rubino lungo il mento, assieme ad una ben poco religiosa imprecazione. Poi stramazzò a terra.
E non fu più lui.
Ora sotto di lui si estendeva una fresca piana di erba ancora umettata di rugiada, e si accorse ben presto di star stringendo il corpo di un giovane. Rideva ... ridevano entrambi.
E allora fu Helen, fuggita di nascosto dalla gelosia del padre per concedersi un po' di tempo libero con il proprio amore segreto, un ché di selvaggio ad aggiungere una punta di eccitante a quel rapporto ancora così tenero ed innocente.
Era lui l'uomo che l'avrebbe fatta felice, l'uomo del quale avrebbe portato in grembo i bambini ... e nessuno avrebbe potuto impedirglielo. Avrebbero vissuto a lungo, felici nella meravigliosa realtà dell'amore.
E poi ...
Lui era ...
... era ...


Fu con un ultimo sforzo che riusci finalmente a tirarsi fuori dall'acqua, annaspando con un cipiglio disperato alla spasmodica ricerca d'aria con cui saziare nuovamente i propri polmoni bramosi di poter respirare ancora.
E per un momento attorno a lui non fu altro che un continuo annaspare tra gli schizzi del lago, come se ogni suo arto fosse diventato più pesante ed ogni azione gli costasse un incredibile fatica.
E di fronte a sé, inframezzato dal turbinio continuo di quegli spiriti, quelle anime che gli volteggiavano attorno come dei malevoli avvoltoi, vide Edwin attentare di nuovo alla vita del ... Sindaco ...
Dell'ombra, l'ennesima presenza assassina che sta volta allungava i proprio goliardici artigli verso il suo nuovo idolo, l'unica figura in cui aveva visto quel di più capace di catturarlo.
No.
NO!
Non gli avrebbe permesso di portarsi via anche lui.
Non gli avrebbe consentito di aggiungere il Crostascura alla sua collezione.
E allora scalciò, sbracciò.
Si fece strada tra il miasma che lo circondava distogliendolo puntualmente dalla sua reale intenzione, distorcendo la sua volontà e piegandola ad immagini fittizie come quella con cui la donna aveva tentato di ingannarlo poco prima. Non ci sarebbe cascato, non di nuovo. Dovevano smetterla di giocare con la sua testa, tutti loro.
Quello che voleva ora era la verità.
Ma di che verità andava in cerca?
Raggiunse finalmente il limitare delle acque del lago, là dove l'infausta scena stava per compiersi. Ma era disarmato, anche l'arco gli era sfuggito nel momento in cui aveva subito il pesante colpo del Ombra Alpha. E allora si concentrò, fece appello ad ogni briciolo di frustrazione e caparbietà che gli erano rimasti in corpo; e con un sibilo disumano che per un secondo parve coprire il canto che dilagava e rimbombava in ogni dove, rilasciò una violenta propaggine di energia magica che andò a scontrarsi sulla schiena di lui, del fu Ian Arrow.
E poi, quasi che non sapesse cosa fare, quasi che fosse tornato ad essere Kaleth, il bambino la cui coscienza di defunto si era per un momento fusa con la sua, vistosi privato di armi, forze o altro, una sensazione d'impotenza che gli pervadeva ogni cellula del corpo, fece la cosa più stupida che si potesse pensare, e si getto sull'ombra approfittando della sua disattenzione.
A priori avrebbe detto che una mossa del genere non si sarebbe mai permesso di compierla.
A posteriori avrebbe sostenuto che no, non era vero che l'aveva compiuta, che era stato solo un errore.
Ma lì, in quel momento, la compì.
E gli costò caro.


In un istante venne sbalzato di nuovo a terra, sbattuto al suolo come fosse nulla più di un fuscello.
E ad ergersi sopra di lui non furono più i densi spiriti di ritorno dall'aldilà, ma una ben più tangibile e concreta figura di tenebra, che torreggiò su di lui con un cipiglio altezzoso e scocciato, sul palme un massiccia dose di energia oscura che andava condensandosi in pericolose increspature corvine.
Lanciò un'occhiata oltre il profilo di quella minaccia assolutamente non velata, e vide Edwin ancora vivo.
Solo allora si concesse un sorriso.
Nessuno avrebbe potuto dire che non aveva combattuto fino alla fine.
Nessuno si sarebbe azzardato a screditarlo:
per salvarlo aveva fatto di tutto, e l'idea di morire così,
in quell'istante di mondo fuori dal Tempo,
non gli pareva affatto male.
Dopotutto.


Vrael

| ReC 300 | AeV 175 | PeRf 75 | PeRm 275 | CaeM 150 |


Energia_22% [(11+11)] + [(11) + (6+6)] + [11] + [22]
Status Fisico_Danno lieve al volto; labbro spaccato. Danno lieve Basso ad entrambi i polsi + Basso Medio (da impatto) alla testa + affaticamento per la battaglia e danno Alto diffuso si tutto il corpo.
Status Psicologico_Molto affaticato e rassegnato.
Equipaggiamento_Islingr (Perduta)
Albitr (perduto) 9 (-2)/15.

Tecniche utilizzate_
ͽL'Essenza del Chaos
»Come vessillo di questa sua indefinita identità, mista tra Bene e Male, mescolata con essi, ma mai esplicitamente uno dei due, l'Elfo ha sviluppato un metodo che gli consente di liberare la vera natura del proprio subconscio, potendo generare, nelle vicinanze del suo corpo, un flusso energetico dagli sfavillanti toni biancastri, percorso nella sua interezza da intricati arabeschi color della pece. Attraverso tale manifestazione (che sarà da considerarsi Dominio Elementale), Vrael sarà in grado di generare armi, proiettili, sfere, flussi e altro ancora, tutti formati da suddetto elemento. Tutte queste derivate della tecnica dovranno, tuttavia, avere lui -o comunque zone antistanti- come punto d'origine e non potranno perdurare sul campo di battaglia per più di un turno. La potenza del flusso è variabile, direttamente proporzionale al consumo speso per richiamarlo (eventuali tecniche a 360° saranno di un livello inferiore al costo speso).
[Personale - Dominio Elementale - Offensivo]



Note_*Emerge dalle acque del Lago*
Alla fine ci sono anche io °ç°/
Dunque, il post comincia con il fallimento della prima offensiva da parte dei Crostascura, a seguito della quale Vrael viene sbalzato nel lago. Perduto nel buio e nelle profondità del medesimo, egli si perde in un universo fatto di nero puro, sul quale si sovrappongono ciclicamente stralci di vita di alcune anime di coloro che si trovano a mollo assieme a lui x'D
Spero di aver reso bene l'effetto delle immagine che si susseguivano a catena per poi intrecciarsi le une con le altri, anche se ne dubito fortemente.
Dopo tale trip mentale, Vrael raggiunge la riva e compie il suo assalto contro Chimerés -che, non avendo mai visto, definisce semplicemente come "Ombra Alpha". Nel farlo, sfrutta il proprio Dominio Elementale a costo Alto.
Naturalmente viene sbattuto con una semplicità disarmante ed è messo sotto scacco ù.ù
Vedendo tuttavia Edwin in salvo (più o meno) si rassegna ciò che crede essere inevitabile, lieto in un certo che senso che, far tutti modi e le situazioni in cui potesse morire gli sia toccata proprio questa.
Detto questo, a voi ^__^
 
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view post Posted on 13/12/2012, 14:00
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U0Uy2
Tu non oserai.
Rumore di fondo, distorsione profonda, rimbombo cupo, contorto, vertiginoso.
Non
oserai
sfiorarmi.

Bassa detonazione, corrompersi di tempo.
Non Oserai.
Toccare questa gabbia ove dimora il mio spirito.
Questo nero cristallo ove il respiro è trattenuto e cupo attende il solo profumo della libertà, il solo sentore della leggerezza per fuggire. Per librarsi alto laddove ogni altro viene chiamato per non fare più ritorno.
Greve rimescolio di suoni, di sensazioni.
"Tu
Non...."

E negli occhi di Chimerés ogni singolo frammento di quella frase parve ribollire di nera rabbia, di cupo furore quasi come grido lacerante, come crepa stridente della realtà.
Mai.
Pur nella sordità del suo irrigidirsi, del suo voltare il vuoto sguardo e li vedere non uno, ma ben due esseri intento a fissarlo a loro volta impauriti, terrorizzati, sconcerti sul definire chi o cosa ora si presentasse dinnanzi ai loro occhi.
Paura, miei cari? O solo l'affabile istinto di sopravvivenza che si ripresenti al momento più opportuno?
Ed infine concludere che No, probabilmente era un Sogno. Probabilmente un incubo troppo vivido, troppo prossimo per concedere il risveglio.
Eppure no. Concretezza trasbordante. Autenticità inconcepibile.
Lui era.
Ed era esattamente ciò che alcuno avrebbe voluto. Ciò che il mondo e l'Eden ancora una volta avrebbero piacevolmente preferito non essere. Non fosse. Non lui, insomma. Non quel suo nero aspetto, quel suo vacuo spostarsi, quel suo liquido avanzare come conato di vomito a cui nulla valga il resistere o lo scongiurare.
I tuoi figli non mi amano, Eden.
Pensiero corrotto, velato di quella malsana goliardia propria delle cose più tetre.
Ed ecco come mi accolgono. Con le lame e con i denti. Con sguardi irosi, increduli, pronti a tutto meno che ad accettare il solo e semplice fatto che -così come le cose più brutte- anche per me è concesso esistere e dimorare anche laddove le sensazioni più incredibili sono destinate a perire, ad essere distrutte ed infine
Uccise.
Ma
Tu
Hocrag,
Vrael,
Edwin,

voi
non oserete. Non in quel tuo precipitoso tuffarti nel baratro, nero sotto i piedi, e sperare di sbucarne dall'altra parte senza un graffio, senza quel senso di vuoto che alto ti risucchi il cuore e l'anima. Non senza un prezzo, sia chiaro.
Così, ira e collera a schermo di ciò che avrebbe potuto essere un volto, Chimerès contorse le proprie dita. Sollevò il busto -gocce di nera linfa a riversarsi come fiele sulla pietra- e storse un ghigno.
Shhhhh

No. Chimerès.
Tu,
solo tu,
Non oserai.



Una mano chiuse improvvisamente la sua, ghermendola come padre col proprio figlio ed in un unico gesto stringendola a pugno entro la propria.
Dita di vetro si serrarono sul suo braccio, piegandolo in una virgola spinosa.
Braccia nude si tesero ad avvolgergli lo sterno, morsa d'acciaio dalla greve potenza eppure sottile pressione, quasi il riflesso di un vento fermo.
Ed un sussurro, quasi un brivido, scivolò infine sulle sue spalle, risalendo la cruna della sua mente per poi capitolare direttamente nei suoi pensieri come chiarore imprevisto, come luce inaspettata.
No. Chimerès. No.
No?
Dentro di sé, nel suo animo, la voce di Soliman aveva un che di pacato. Di freddo. Eppure pareva sottile, fragile, quasi velo di ghiaccio il cui minimo turbamento avrebbe screpolato in mille crepe azzurrine, pallida cornice di incertezza. Ed era chiara, pur affondando nel nero della notte. Ed era forte, pur sospesa nel riflesso vuoto di uno specchio d'acqua.
Chimerès chiuse gli occhi, e finalmente lasciò che Liuja e Leesay avessero la meglio su di lui sfibrando la sua volontà, riducendo a niente le sue intenzioni.
No. Tu non oserai.
E la certezza con cui Soliman gli aveva parlato, eco confusa di una voce dissimile, diversa, eppure egualmente calcata dall'imperiosità dell'ordine che nulla può confutare, fece tremare il suo respiro di smania e paura al contempo. Di speranza e subito dopo di disperazione e orrore.
Piegò il capo, iridi nere ad aprirsi e richiudersi appena nell'incertezza del vedere e dello sbiadire. Nelle figure ancora immobili di Hocrag e Vrael, soli testimoni dello smuoversi, forse solo per poco, delle ancora acque dell'Eden. Di quegli abissi, che sotto la terra permangono e mai riposano.
E pensò che sorridere non sarebbe stata affatto una cattiva idea. Un gesto abbastanza semplice, abbastanza spensierato da far pensare che quell'imprevisto, quell'insolito rivoltarsi degli eventi, fosse stato programmato, fosse stato il frutto di un piano abbastanza geniale da lasciar intravedere una ragione nel perchè alla fine dei conti tutti quanti -tranne gli abitanti di Neirusiens ovviamente- fossero ancora li, vivi, nel corrompersi di ogni ragione e volontà.
Ma non gli riuscì. Chimerès non riuscì a nascondere il disappunto nell'osservare Hocrag -quell'Hocrag solo pochi attimi prima in placida attesa della morte- venire ora difeso dai suoi, da quei fedeli cagnolini che senza perchè o per come altro non avevano trovato di meglio da fare se non innalzarsi improvvisamente a suo scudo e lancia, a sua spada e arco contro il cattivo di turno. Ora con visi per guardare. Ora con occhi per vedere -presi nel medesimo crudele modo con cui ogni altra ombra strappava al mondo la propria volontà di vivere- E, evidentemente, cuore per decidere che, no
Chimereès. Tu non oserai ucciderlo.
Che egli non ti appartiene ancora.
Così, sconfitto, egli non trovò nient'altro da fare se non fissare immobile i sopravvissuti, soli animi respiranti in quel silenzio qual'era ormai diventata Neirusiens, e rivolger loro uno sguardo asciutto.
"Perchè?"
forse alcuno l'aveva udito, alcuno aveva potuto sentire le parole di Hocrag. Ma Chimerès pensò che quello fosse davvero il momento migliore per rispondergli.
Perchè tutto questo, Senzavita?
Perchè rubare anime, sacrificare innocenti e ridurre al silenzio giustizia e bontà? Perchè scendere, passo dopo passo, nell'oscurità più profonda, più cieca e a tentoni sporgere lì dita e mani nella speranza di toccare qualcosa al di fuori della Fine, quella vera?
Perchè chiudere gli occhi e li osservare l'affievolirsi di luci e speranze?
Dalle ombre attorno a Chimerès parve allora notare l'allungarsi di un riflesso, il dipanarsi di una distorsione simile a veli sospesi, simile a dita che nell'aere lentamente si dischiusero come ciglia arcuate.
"Per trovare lei"
Semplicemente.
Solamente.
E forse in questo non erano poi tanto dissimili loro due. Forse.
Come un brivido percorse i volti di Soliman, Liuja e Leesay, oscura risonanza di ciò che le parole ma solo la mente avrebbero potuto rivelare. Oscuro richiamo a cui nulla di ciò che è altro avrebbe potuto ribellarsi.
E con un movimento fugace, in un secondo Chimerès parve allora svanire dinnanzi agli occhi di tutti. Nere ali a corona del suo soccombere, del suo spiccare il volo non nel cielo ma nell'oscurità di ciò che alcuno può vedere, semplice balzo nell'ignoto.
Semplice dissolversi fra le dita dei Primogeniti che nulla osarono se non respirare una volta -sinfonia incerta- e poi inchinarsi dinnanzi a Hocrag. Neri i loro occhi, nero il loro animo. Eppure qualcosa di umano, qualcosa di sempre più vivo si aggirava sulla loro pelle, nel contorno dei loro lineamenti, nel loro alzare il viso e semplicemente spirare all'unisono il loro esistere.
Anche senza l'ombra di Chimerès alle spalle. Senza la pietra delle anime che egli aveva portato via con sé. Anche senza la melodia dell'Eden a muovere i loro passi e a tenere soggiogati tutti i sopravvissuti di Neirusiens.
Semplicemente, per colui che in sé portava l'impronta dell'antico e solo potere che avrebbero potuto conoscere e riconoscere.
Per Hocrag.

OOO

Vacuo, il sospirare di Edwin, atterrita incertezza fra il temere o il ringraziare i volti macilenti lui innanzi -atoni-. Roco, il suo alzarsi in piedi, deglutire, e poi trattenere il fiato nel notare lenti movimenti provenire dalle nere acque del Lago ove fino a pochi istanti prima avevano giaciuto tutti gli abitanti di Neirusiens. I medesimi che ora, incerti e confusi, arrancavano barcollanti lungo le rive per poi distendersi in silenzio sulle rive senza apparentemente alcunchè da dire, alcunchè da domandare. Solo alzando di quando in quando lo sguardo e cercando una risposta nell'insolito buio della città, nella vuotezza delle sue strade lastricate ed ora abbandonate da tutto salvo che se stesse.
Per un istante, ci fu la paura negli occhi dell'uomo Croscascura. Ci fu la sensazione che il Principio, quello vero, fosse nuovamente sceso su tutta Neirusiens incaricando loro, e loro soltanto, di mettere di nuovo in moto lo scorrere del tempo e delle ore.
Poi, lento, il suo voltarsi in direzione dei due giovani al suo fianco. Di Vrael che solo aveva imparato a chiamare Amico ed ora, probabilmente, avrebbe anche potuto soprannominare fratello. Chiuse una volta gli occhi, una mano che risaliva alla nuca onde grattare la più vera incertezza da essa.
"Ed ora" sospirò senza voce. Pareva fredda l'aria, tanto gelida da impedire a tutto il suo animo di tremare "Cosa diremo loro? Cosa racconteremo di quanto è accaduto?"



Ed eccomi finalmente^__^/ Ce l'ho fatta!
Bene. Ad un momento dal più tragico epilogo la situazione viene salvata dall'intervento dei Primogeniti, le tre ombre che nella scorsa quest erano fuggite e le cui tracce si erano perse nei pressi di Neirusiens. Queste fermano Chimerès bloccandolo ed imponendogli letteralmente di non osare fare del male a colui che esse riconoscono come padrone -sempre per gli effetti della quest precedente-. Ferito e ostacolato al mostro non rimane dunque che ritirarsi, non prima di aver portato con sé la pietra, lasciando così soli i soli e incolumi i sopravvissuti alla tragedia. Qui i Primogeniti si inchinano finalmente dinnanzi al Senzasonno rimettendosi alla sua volontà. Nel frattempo le anime che non sono state catturate dalla pietra ritornano o trovano (quelle prima contenute nel pilastro) i cittadini di Neirusiens che ritornano dunque alla vita cominciando pian piano ad uscire dal lago. Purtroppo, chiaramente sui loro volti si legge la confusione e la totale smemoratezza riguardo ad ogni accadimento recente e non rendendoli tanto inoffensivi quanto plasmabili.
Qui si conclude la quest, con il vostro post finale dove potrete godervi le meritate ricompense:

Goth: Per te, finalmente, il comando pieno e totale sui Primogeniti. Si tratta di esseri ancora per lo più bestiali, incapaci di parlare e solo blandamente capaci di intendere il significato del loro agire. Hanno difeso Hocrag per il vincolo che li lega, ma a parte Soliman, tutti quanti faticano a capire il significato della parola "capo" o "fedeltà" così come del "bene" e del "male". Starà a te decidere cosa fare di loro portandoli verso questa o quella direzione. Sono, per ora, tutti quanti delle energie Verdi a cui non è stata data ancora una scheda poichè, appunto, tutto il loro essere è in divenire -anche l'aspetto-. 1000 Gold.

Strange: Per te, la possibilità di cambiare insieme ad Edwin la storia di Neirusiens. I cittadini non ricordano nulla quindi insieme all'ex Crostascura ti do la possibilità di dir loro qualunque cosa compresi che tu sei il sindaco e Edwin il vice ed insieme governare la città. Sentiti libero di proporre qualsiasi cosa in Confronto - o via mp- nel rispetto della psiche del tuo pg e di Ewin -che ormai hai perfettamente caratterizzato-. Io mi riserverò la possibilità di scartare le cose più assurde e consigliarti (se ti servirà consiglio, ovviamenteXD). 1000 Gold.

 
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view post Posted on 17/12/2012, 22:03
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Ma tutto finisce, rapida sequenza, e nulla è più. Guarda, osserva Chimerés — non può più nuocere, non gli è più permesso. Le ombre si sono a lui ribellate, perché ... (perché?) — Eppure le riconosci, ed il legame che ti lega a loro scombussola la tua mente, poiché, turbinio intricato, non capisci ormai a chi ti senti più affine. A loro, a Chimerés. Ma forse, solo a te stesso, o a tutti. Tu sei chiunque.
Proprio come aveva detto il pilastro. Come avevi detto tu e la morte dentro di te, con le parole della torre marmorea.

Chimerés capisce che non può far nulla, avendo perso il controllo sulla totalità delle ombre, compreso te stesso. Eppure il desiderio in te è intatto: vuoi capire, il tuo corpo è immobile, immobile nella visione di un mondo tinto di sfumature nella nebbia, un colore di pece, pece che ti trattiene al suolo come volatile avvizzito, marcito in un tempo infinito. Ed è questo l'effetto del nero che ti ha colpito. È l'unica cosa che ti incatena al terreno percorso da esseri viventi, tramite l'oscurità della morte, così, ed è quello che vuoi. Aspetta, aspetta ancora un secondo, senzavita. Tu riconosci le tre ombre che stanno trattenendo Chimerés, che lo stanno lasciando ora per farlo volare via, portando con sé la pietra delle anime—(lui non vuole essere vivo)—e solo di loro ti interessi, involucro inattaccabile di eternità.
Solo di loro ti interessi.
Solo di loro.

Che si chinano davanti a te, ti vedono come loro padrone. Te, o l'ombra con cui condividi il tuo essere? Il tuo tatuaggio pulsa e tira la tua pelle, e lo senti, anche se non puoi vederlo. Ma loro non sono tuoi servi. Loro sono te, e tu sei loro. Ti inchini a tua volta davanti ad essi, e sorridi. Le ombre non hanno un aspetto né un volto definito, il loro essere diviene ad ogni istante
(come loro, sei mai stato in un attimo che non fosse questo?)

... Cosa ancora ti separa da esse?
Il desiderio di morte che ti ha impossessato lo spirito poco prima ora tace, ma lo sai, è solo riposto. Sussurra a mezza voce — non è sparito. Come non lo è l'ombra che ti compone, che si smuove in te, che ti rende,
infine,
vivo.

Sorridi, quindi. Vuoi mostrare amicizia a coloro che ti hanno accolto, per cui rappresenti qualcosa. Vuoi avere il loro aiuto, ma già sai, dentro di te, che puoi contare su di loro. Ti sono devote, sono vive anche se escluse dall'instabilità che risiede nella vita stessa. Non hanno corpo, e, per questo, sono svincolate dal tempo e dallo spazio, immortalità prematura. Ti avvicini. Le guardi negli occhi, una ad una. Esse sono te, scisse dal tuo involucro eppure composte (ormai) da ciò che ti compone.
Artefatti di umanità distorta.
Globuli neri di sangue rappreso.
Nebbia stantia in un giorno di pioggia.
Tutto questo e molto altro, un infimo odore di vita stagnante, ma che arde come brace non del tutto spenta portata dal vento.

Eppure, tutto ciò che un istante prima di sprofondare ancora una volta e per sempre nell'oblio ti torna in mente, è il volo di uccelli candidi, nel cielo azzurro della vita, volteggiando su un terreno —

ldT3j



Non tornerai mai più a galla, non è così? Non vuoi osservare il mondo che ti si sta presentando davanti agli occhi, un mondo pulito, oltremodo felice, beandoti del tiepido tepore del sole di una mattina di primavera, non è così? Lo guardi e rimani impassibile, poiché a nulla valgono ormai promesse di qualcosa di diverso, ma d'altronde—d'altronde—non si può che compatirti. Ingannato ed escluso per sempre dalla vita. Ucciso per non poter più morire, né più vivere, da colei che credevi incapace di simili azioni.
Cos'è il volo di gabbiani? Cos'è il cielo azzurro?
I tuoi occhi non hanno più colore perché non sono più occhi, né lo trasmettono al tuo cervello. Stai svanendo, a poco a poco, stai svanendo come ombra di te stesso. Eppure proprio ora in te, seppur non tua, risiede la vita, attraverso la morte. Cosa sei diventato, quindi? Inganno di te stesso, specchio distorto e incrinato?

La vita attraverso la morte, come una luce attraverso le tenebre più fitte, da cui non si può uscire.
Esattamente allo stesso modo.
La stessa più crudele illusione.



— di ombre.
Ti dirigi verso di loro, mentre, ormai, il tuo sguardo è completamente oscurato dal tetro nero dell'oblio indimenticato. Eppure non è un problema. Sai cosa fare, adesso — la tua strada si sta delineando, solchi di effimera sabbia. Di sabbia scura, proveniente da grotte invalicabili. Grotte reali ed insieme presenti solo nella tua irrealtà, nel tuo sogno, ma ugualmente impossibili da affrontare. Anche se, tutto sommato, la tua distruzione è solo all'inizio.
Hai un'eternità per portarla a termine, in fondo.
La tua distruzione è solo all'inizio.
Ti stai sbriciolando, e, anche se i pezzi sono infinitamente piccoli, li senti uno ad uno, vecchio silenzioso urlo di terrore continuo, staccarsi da ciò che ti rende te, per sciogliersi nel vuoto, neve nel terreno caldo.

Hai un'eternità per portarla a termine.
Un'eternità.

« Andiamo. »

Un lampo di luce, un ultimo sprazzo di illusione —
prima di sparire, insieme alle ombre, nel vuoto dell'eterno oblio.




hocragpost2

[ReC 425.][AeV 200.][Perf 150.][Perm 550.][CaeM 225.]

Status Fisico. » Ottimale.
Status Mentale. » Oblio.
Energia Residua. » 8%

Attive utilizzate nel turno. » e s s e n z a , n u l l a p i ù Luce. Pur nella sua corruzione, pur nel Male in cui è sprofondato il Guardiano, senza possibilità di risalita, vi è un momento in cui la Dea gli concede di essere puro, tornare per un breve istante alla forma divina. Una forma immateriale, luce e riverberi azzurri, e null'altro. Dal suo corpo, quindi, dopo qualche secondo di concentrazione partirà un flash abbagliante da un qualsiasi punto di esso, o dal corpo stesso, che accecherà e stordirà l'avversario per qualche secondo, come se vi trovassero davanti la più pura, immortale essenza di una creatura - costringendo i demoni a tornare in forma umana. Non arrecherà alcun tipo di impedimento all'agente, ma fungerà come utilissima mossa elusiva, dal consumo di energie basso. La forma immateriale e pura del corpo di Hocrag durerà non più che un istante, quando le apparenze del suo corpo si ristabiliranno, mostrando alla realtà l'immagine residua, il baluginio della realtà del corpo abbandonato molto tempo addietro, ormai. Tempo che, nell'immortale eternità, non ha più alcun valore, così come il corpo, abbandonato, in favore di una pura essenza. Di un nucleo. Il nucleo di ogni essenza.

Attive dai turni precedenti. »
Passive in uso. » Vista notturna, percezione Auspex, influenza psionica passiva (chi lo vedrà penserà di conoscerlo), difesa psionica passiva (da normali alterazioni dello stato d'animo quali turbamento, dolore), può cambiare aspetto e nascondere le ferite, non sviene al 10% di energia, resistenza ad un Mortale aggiuntivo, le sue parole inducono a credergli e dargli fiducia, fa danno psion un livello superiore e danno fisico un livello inferiore.

Consumo energia tecniche. » [Trentatrè.][Quindici.][Sei.][Due.]
Note. » Ye! Ecco qui il mio post - spero di non essere stato un po' troppo pesantino nelle elucubrazioni psicologiche del pg (ho cercato di tagliare corto perlomeno), ma questa volta ho voluto far concludere anche ad Hoc il ciclo dei Primogeniti in modo abbastanza definitivo, in modo da iniziare quasi un nuovo capitolo nella sua storia. Tutto è ancora molto abbozzato e forse confuso, i suoi pensieri e quello che prova, data la situazione un po' atipica, ma spero per lui che si possa aggiustare tutto più avanti, e la sua linea di pensiero definirsi, ancora una volta. Ovviamente le linee base sono le solite - l'unica cosa che vorrei specificare dato il collegamento con la precedente quest è l'importanza degli uccelli bianchi su suolo d'ombra (in contrapposizione al precedente finale piuma nera - neve). Alla fine del post (uscita scenica) attivo il lampo di luce, prima di sparire insieme alle ombre. Spero di non aver esagerato, ma secondo me ci stava. ... (xD) La direzione in cui sono diretto (anche se ho cercato di lasciare giusto vaghi accenni nel testo) si vedrà più avanti. Ad ogni modo, complimenti ad entrambi per la quest! È stato un piacere! ^^
 
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view post Posted on 19/12/2012, 17:41
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永久の美
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Era trascorso moltissimo tempo dal principio di quella che, iniziata come gita senza meta e senza scopo, pensata come nulla più di un'avventura per dimenticare, si era rivelata la più intensa, la più faticosa e la più sorprendente giornata della sua intera esistenza. Non c'erano stati canti quel giorno, nessuno era venuto al suo orecchio a sussurrare cose delle quali ignorava il significato e poteva interpretare solo mediante una Fede a dir poco stolida. Cieca. Folle.
Eppure, nonostante questa manchevole dimenticanza di quell'intervento divino che credeva lo avrebbe accompagnato in ogni dove e in ogni mentre, si era ritrovato a fare i conti con una realtà ben diversa da quella che si era prefissato di scovare. E non c'era stata alcuna voce quel giorno, non s'era vista alcuna Eitinel quando egli, inconsapevole del significato del proprio gesto, si era chiesto, si era domandato forse per la prima volta in tutta la sua vita "cosa sta succedendo?"
Aveva sorriso allora.
Anche adesso stava sorridendo.
E dunque, qual'era stata la risposta a quella domanda ..?

OOO

L'aere parve vibrare, terso quanto da moltissimo tempo l'Elfo non lo vedeva.
Ed ogni cosa allora sembrò volgere lo sguardo là, ove tutti sapevano che la scena principale stava finalmente svolgendosi come da copione saggiamente redatto, sagacemente ideato e messo in atto; e lì dove tutti avevano il terrore di guardare, avevano paura di rivolgere gli occhi per timore di scontrarsi con qualcosa fin troppo tremendo per essere accettabile.
Oscuro rimestarsi di coscienze, truculento sovrapporsi di entità fin troppo simili eppure radicalmente diverse, impossibili da conciliare in un'unica trascendente verità.
Ogni cosa parve fermarsi allora, indugiare nella propria insensata incapacità di comprendere, di capire cosa stesse succedendo. L'ombra, immensa, torreggiava sopra di lui al pari di un albero su un indifeso ciuffo d'erbaccia. Rovinata, avvizzita, andata a male ... e pronta ad essere rimossa, strappata via. Eppure, per qualche motivo, non osava muoversi, non riusciva a portare a compimento quel semplicissimo artificio che avrebbe ucciso il giovane Elfo ed aiutato lui ad eliminare uno dei suoi nemici.
Uno dei tanti.
E gioire infine, e bearsi del fatto che sì, finalmente uno di quei fastidiosi insetti che continuavano a danzargli attorno era stato finalmente schiacciato. Ma non l'aveva fatto, non lo stava facendo. Ed in un certo qual modo - Vrael era certo di leggerglielo negli occhi -, non l'avrebbe fatto.
Perché?
Perché non allungava una di quelle disgustose propaggini di tenebra liquida e lo infilzava là dov'era, a terra e privo di difese? Perché non lo sottometteva come aveva fino ad ora sottomesso tutti loro?
Edwin giaceva a terra poco oltre, stanco, ansimante.
La fiamma nei suoi occhi non aveva cessato di divampare come un faro di speranza, eppure sembrava aver capito; capito che non c'era più nulla che potesse fare, che ben presto sarebbe arrivata la sua ora.
Poco lontano da lui il giovane Spettro vibrava incerto, scosso da un tremito primordiale, una brama viscerale la cui causa gli sarebbe per sempre rimasta ignota.
Attorno a loro, ancora il reale era distorto dalle ombre, dalle voci, dagli spettri, dai canti, dai sussurri.
Dal ridondare di un intero universo che si trovi sul punto di collassare su se medesimo.
Ed ogni case pareva volgere proprio come egli voleva, come al demone piaceva che volgesse.
Ma si era fermato.
In un sibilare dell'aria attorno a lui, aveva interrotto il proprio mortale gesto, la sua volontà di dominatore piegata e spezzata da qualcosa.
Da un palme cristallino che si andava improvvisamente a chiudere sul suo, da arti nodosi che gli risalivano le gambe, i fianchi, la schiena. Tutto un intrecciarsi del suo denso nero con qualcosa di più chiaro, di puro. Come un qualcosa che, ancora vergine, attenda di dimostrare la propria vera natura, i propri veri colori.
No
Semplicemente.
Un secco rifiuto, un'inamovibile negazione.
No, non lo farai.

Qualcuno parve sussurrare - o forse era solo la sua immaginazione?
E il Gran Demone lottò, tremò, si contorse dentro sé pur di opporsi a quel giogo inaspettato, a quell'improvvisazione del tutto inaspettata ed imprevista.
Ma non ci fu nulla che poté fare, e dovette arrendersi.
Indecifrabile il messaggio che i suoi occhi lanciarono ad i presenti, incomprensibile il guizzare della sua pupilla bianchissima eppure opaca nella triste realtà della sconfitta.
E altrettanto improvvisamente come s'era fatto strada nelle loro vite, intrecciando con il loro il proprio Destino, scomparve nell'Abisso, un sussulto di tenebra ad avvilupparlo mentre voltava le spalle a tutti loro - con la placida promessa di rincontrarli un giorno, chissà?


Fu allora lento l'accostarsi di Edwin, incerto il suo barcollare fino a lui e tendere un palme, come per aiutarlo a rialzarsi. Nel suo volto appariva chiara l'interdizione dell'uomo che ha visto ben più di quanto in realtà avesse sperato di vedere; della creatura che nella sua folle corsa verso il Futuro si sia scontrata con qualcosa del quale avrebbe preferito ad ignorare l'esistenza.
Cosa fare? Cosa dire? Cosa inventarsi?
Come discernere la verità e poi farne resoconto a coloro che - più di quanti fosse lecito sperare in effetti - si accingevano ad abbandonare la morsa del lago, l'abbraccio permeante delle tenebre e la carezza pieni di vezzi dell'Oblio?
Lo sguardo di Vrael si spostò allora dagli uomini di ritorno dal Vuoto, al giovane spettro ed alle nuove venute che si stavano a lui prostrandosi proprio in quel momento e infine andò a posarsi su quello che era stato il campo di battaglia.
Il loro terribile Colosseo.
C'erano sopravvissuti; pochi in realtà, ma c'erano.
L'Elfo sospirò profondamente più di una volta, scandagliando con indecisione ogni pensiero che gli turbinava in mente in un torbido distendersi di oscuri dubbi e poche certezze.
Un' "andiamo" parve allora risuonare flebile eppure deciso nell'aria, ed anche le ultime figure fuori luogo svanirono alla vista di tutti, portate via dalla medesima inconsistenza che aveva dato loro vita.
E con loro scomparve, almeno per qual giorno, l'ultima traccia dell'Incanto che aveva probabilmente cambiato la storia di Neirusiens.
Ma non sarebbe stata sola in quell'opera di cambiamento, di evoluzione.


« Qualcuno una volta ha detto che un uomo, per mantenere il controllo di ciò che gli è caro, deve avere il coraggio di prendere una posizione. »
La mano dell'Elfo andò a posarsi sulla spalla del Crostascura, il cui volto contratto era segnato da più rughe di quante non ce ne fossero la prima volta che l'aveva guardato.
« Non porre domande delle quali conosci già la risposta. »
Fu infantile il sorriso che gli rivolse quando finalmente ebbe la forza di incrociare i suoi occhi.
Semplice come quello di un giovane fratello eppure pregno di significati che solo chi, come lui, aveva vissuto la storia fino in fondo, poteva comprendere.
Il bracciò di Edwin allora scattò rapido, la sua mano che andava ad afferrare il braccio teso dell'Elfo.
" Non dimenticare, Vrael, che lo stesso vale anche per te. "
La sua presa si fece più forte per un istante, poi lo lasciò e si diresse là dove si trovavano feriti e malconci i resti di quella che era stata la sua famiglia. Lo vide parlare con gli uomini, confortarli, scherzare con loro sulla giornata come se non fosse stata altro che ordinaria amministrazione. Poi indicò il lago, ed assieme ai suoi si accinse ad aiutare coloro che si erano accasciati sulle polverose spiagge del Lago, incapaci di proseguire ed intontiti dalla dormiveglia.
Vrael si unì allora con un sorriso storto, un palpito d'emozione ad accendere di nuova luce i suoi lineamenti.

OOO

C'era un grande rumore, laggiù nella piazza dei Quattro Impiccati.
Un vocio sommesso di suoni carichi d'apprensione, densi di sospetto.
Edwin sedeva su una comoda poltrona di pelle, gli stivali poggiati sulla corposa scrivania che aveva di fronte, dondolando la testa a destra e sinistra, gli occhi serrati. Stava pensando, ed era meglio non disturbarlo.
Vrael dal canto suo spiava dai panneggi delle tende la calca di uomini, donne, vecchi e bambini che era stata fatta raccogliere là sotto dai pochi Crostascura rimasti.
"La verità", questo gli era stato detto "venite con noi ed ogni vostro dubbio sarà chiarito."
Già, ma quale verità avrebbero raccontato loro?
Come avrebbero giustificato tutto quel putiferio che aveva scosso la città, pur lasciando inscalfita da un punto di vista puramente materiale? Con quale menzogna avrebbero dato un senso ai morti?
Edwin finalmente si alzò, la gelida calma di un capo che traspariva da lui come un sottile velo di ghiaccio.
E infine uscì sul balcone.
Il silenzio calò sul pubblico astante come una massiccia coperta.
" Verità. "
Esordì l'uomo con un cipiglio fiero nella curva del mento leggermente rivolta verso l'alto.
" Questo avete chiesto voi.
Questo noi vi abbiamo promesso chiedendovi di pazientare.
Ebbene, trovo ingiusto che ci si rivolga a voi come una massa di ignoranti vittime di un giogo superiore: verità avete chiesto e verità verrà voi concessa, per quanto terribile ed ardua da accettare.
Io, voi, tutti noi siamo stati vittime di un imbroglio, un terribile inganno che ha trascinato il Male, il vero Male sulla nostra città. Demoni ostili e selvaggi divagano nell'Eden come novella di sventura, e quest'oggi essi hanno deciso di farci visita, di omaggiarci con la loro presenza. "

Si arrestò un attimo, per controllare i volti increduli che si erano accesi davanti a lui, i volti sbiancati degli uomini in attesa del verdetto, del giudizio ... e anche i volti degli uomini che già si erano persi tra le righe.
" Tutto ciò che credevamo vero in realtà non era altro che un sapiente inganno redatto al fine di farci perdere noi stessi in una follia arcana che va oltre la vostra comprensione esattamente come va oltre la mia.
E con un sortilegio oscuro, questi demoni hanno cercato di portarci via ciò che ci eravamo conquistati con anni di fatica, con il sudore della fronte. "

Sorrise, un tocco di sapiente arroganza che andava a dipingersi sul suo volto con un maestria priva di eguali.
" Ma un uomo di Neirusiens non si lascia mettere i piedi in testa tanto facilmente.
Voi, tutti voi che state ascoltando queste mie parole ne siete la prova vivente.
Avrete probabilmente perduto qualcuno al quale tenevate quest'oggi.
Ebbene, non siete soli.
Mio fratello è stato ucciso dalla follia di questa gioco malvagio, i miei uomini sono periti per respingere questo nemico sconosciuto e pericolosissimo. "

Ebbe un tremito pensando di nuovo al fratello.
Lo controllò e andò avanti.
" Hanno combattuto per me, per voi.
Si sono sacrificati per questa città. "

Portò la destra al petto, lasciando che quel gesto inebriasse tutti coloro che stavano navigando in quel fiume di parole magistralmente architettate. Fece sì che fosse il suo battere il pugno all'altezza del cuore a scandire il ritmo della città.
" E io vi giuro, sul mio onore, sulla mia vita, su quella di chi si è battuto al mio fianco
che saremmo pronti a rifarlo cento e cento volte. "

Incalzò il proprio pubblico con un'intensità quasi violenta, con un furore degno del più magistrale oratore.
" Sta a voi la scelta ora.
Se tornare al disordine ed all'incertezza da cui l'avete appena scampata,
o dare il via ad una nuova Neirusiens, più salda e più sicura! "


L'ovazione tonante che si levò in seguito sancì infine il sorgere di una nuova era.


Vrael

| ReC 300 | AeV 175 | PeRf 75 | PeRm 275 | CaeM 150 |


Energia_22% [(11+11)] + [(11) + (6+6)] + [11] + [22]
Status Fisico_Danno lieve al volto; labbro spaccato. Danno lieve Basso ad entrambi i polsi + Basso Medio (da impatto) alla testa + affaticamento per la battaglia e danno Alto diffuso si tutto il corpo.
Status Psicologico_Molto affaticato e rassegnato.
Equipaggiamento_Islingr (Perduta)
Albitr (perduto) 9 (-2)/15.

Tecniche utilizzate_



Note_Niente da aggiungere a questo post vagamente biblico^^''' Non volevo che venisse così lungo, ma alla fine è uscito fuori così e spero che non annoi.
Un grazie grandissimo ad Eitinel ed uno altrettanto grande a Goth', per la splendida Quest e per essermi stati dietro ed aver avuto pazienza con un player così inesperto quale sono io x'D
Grazie davvero =*
 
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view post Posted on 19/12/2012, 20:10
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And...bla..Bla..BLA
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L'ovazione tonante che si levò in seguito sancì infine il sorgere di una nuova Era.
Un'Era laddove mai più, mai più Neirusiens avrebbe dovuto temere ombre e tenebre. E sussurri dal profondo della notte.
Mai più.
Poichè chi ha veduto la profondità dell'abisso ha ora occhi più attenti, più agili a scovare nell'oscurità il male e del terrore fuggire lo sgomento, il patimento. Mai più. Poiché troppi avevano già dato la loro vita in nome di quell'oblio, di quell'insensato concatenarsi di fenomeni arcani e misteriosi, più frutto di fantasie che realtà.
Una nuova Era.
Edwin Volhar, primo dei Crostascura socchiuse un attimo le palpebre, scivolando nella sensazione di quelle grida di gioia, di quell'insorgere contemporaneo di felicità e sollievo propri di quelli ignari, di quegli impavidi smemorati quali erano ora diventati gli abitanti di Neirusiens. Sospirò, poichè sapeva dell'enorme inganno che nessuno di loro sarebbe mai venuto a ricordargli eppure, suo malgrado, non era capace di dispiacersene. Di vergognarsi per stare ora offrendo loro quella piccola bugia col sorriso sulle labbra, con la smorfia del benefattore ricordando a tutti loro, uno per volta
che quella era la salvezza. Era la pace. Era il nuovo giorno e tutti quanti, piccoli e bambini, avrebbero dovuto vederlo con il sole nascente, con l'ambra negli occhi e la luce a filtrare in ogni dove così da far dimenticar loro, ancora una volta, che la fine era stata davvero vicina.
Sospirò ancora, incapace di controllare la spontaneità del suo stesso corpo.
Nessuno se ne sarebbe ricordato, certo. Ma lo era stata.
Si. Ma quanto?
Schiudendo nuovamente le palpebre, Edwin alzò le braccia al cielo, quasi a voler con una afferrare l'oscurità del firmamento e con l'altra le spalle ossute del ragazzo che fino ad un istante prima era stato in disparte ad osservare la scena. Vrael, il giovane sbucato dall'oscurità per dare luce a lui e a tutti i giorni che sarebbero venuti. La sua fortuna. Suo, ora più che mai, fratello. Gli rivolse un sorriso leggero, pacato, la pudica dimostrazione di un sincero affetto a rendere improvvisamente goffo, quasi impacciato, quell'uomo che dall'alto della carica di Sindaco se ne stava ora a rabbonire la città riguardo al suo splendente futuro, alla sua fantastica ascesa verso la speranza.
Poi, irrigidirsi di lineamenti, egli tornò a parlare al suo popolo.
"La cerchia di Diamante verrà presto ricostituita per stabilire l'ordine e la legge su questa città e con essa i Danzatori d'Ambra, fedeli protettori della nostra città"
se la sua voce tremò, nessuno giù nella piazza ebbe modo di avvertirlo. Non uno sguardo si storse nella domanda, nel dubbio su chi fossero i Danzatori d'Ambra o quando fosse stata formata la Cerchia dei Diamante. Nessuno, benedetta ignoranza, pensò di domandarsi perchè entrambi quei nomi paressero nascere non da un futuro migliore ma da un passato di pietra e granito. Nessuno. Poichè Edwin Volhar prometteva la salvezza e la pace. E tutto quell'insieme di gioie che dell'animo umano sono cibo e disio.
"Da oggi e per sempre, nessuno avrà più di che temere per la propria vita e per la prosperità di Neirusiens, poichè verità e giustizia saranno le sole volontà a muoverla, i soli spiriti guida che noi tutti seguiremo!"
Solo uno, solo uno sguardo parve improvvisamente raggiungerlo dalla marea di occhi e visi, e sorrisi colmi d'aspettativa. Solo uno.
Occhi di Luna e ciocche corvine a pitturarne i contorni come scuri lembi d'oscurità. Solo
Aris.
La donna che con i suoi stessi occhi Edwom aveva veduto cadere vittima di quella belva infernale, di quel mostro senz'anima.

Fm7RY

Solo lei, dalla travolgente folla sottostante, nelle cui mani si stringeva un fagotto tutto stoffe e nodi. Solo lei, che con sguardo di giada cercò il suo in un lungo e freddo momento, denso scambio di pensieri. Quasi sfidandolo, quasi esortandolo a mentire anche a lei, a raccontare pure alle macchie di sangue che ancora le deturpavano il volto quella storiella della buona notte ottima solo per infanti e scellerati che nulla avevano da perdere. Per Neirusiens, appunto.
Vediamo, Edwin, fino a che punto sei capace di illuminare il nuovo giorno con questo tuo credere e sperare. Fino a quando sarai capace di brillare prima che questa città e le sue ombre, le sue oscure deformità ti avvinghino e distruggano pezzo per pezzo onde ridurre anche te a null'altro che un nuovo
Chimerès, Ian Arrow per gli amici.

E per un istante, l'ex Crostascura dovette socchiudere nuovamente gli occhi pallidi, il tremito dell'incertezza a turbare il suo fiero sorriso, la sua certezza nel divenire. Il suo, giusto un attimo, dubitare di tutto ciò, di tutto quel gridare ed inneggiare a lui e a Vrael come salvatori della barca che affonda. Eppure, no. NO, dannazione! La cerchia di Diamante avrebbe creato leggi giuste e giustizia fedele ai precetti di bontà che mai Neirusiens aveva potuto vantare. Avrebbe dato vita ad un Codice. E i Danzatori d'Ambra l'avrebbero fatto rispettare con giusto processo ed equità.
Nessun compromesso. Nessuna vacuità ove annidare crimini e malvagità. Mai più. Non in quella Neirusiens, non nella Sua Neirusiens.
Ma quando, quella certezza in pugno, Edwin si decise nuovamente ad aprire gli occhi per affrontare quella donna, per comunicarle tutta la forza che quella sua volontà aveva saputo instillargli, ella era sparita. Scomparsa.
Sconcerto, l'uomo voltò dunque il proprio sguardo in direzione di Vrael. Per un secondo ai suoi occhi incredibilmente giovane per quel ruolo inaspettato. Infinitamente inesperto per poter far funzionare un'intera città come quella.
Ma era troppo tardi per i dubbi. troppo tardi per ritirarsi e dire a tutti quanti che lo scherzo, quello vero, era già andato troppo per le lunghe e di tornarsene -per favore- tutti quanti a casa a tremare come foglie. Tanto la morte sarebbe arrivata prima o poi. O no?

"Rientriamo, Vrael"
gli disse solo con un sorriso
"Sicuramente scartoffie e burocrazia non si disferanno da sole senza il nostro intervento costante.
Qualcuno dovrà pur sacrificarsi in nome della patria, dico bene?"

negli occhi del ragazzo vide per un attimo se stesso -un uomo fatto e finito con chiari occhi azzurri e capelli scuri come ebano- abbozzare una smorfia complice
"E se un giorno verrai da me piangendo con plichi di fogli a sbucare dappertutto (anche dalle brache) chiedendomi -perchè diavolo facciamo tutto questo per questa massa di zotici e baldracche?!- io ti risponderò..."

Per trovare lei


"Per Neirusiens, ovviamente. Perchè questa città ci ha risparmiato e noi dobbiamo renderle onore come meglio possiamo!!"
Una pausa, qualche anno a sbiadire dall'espressione preoccupata di lui mentre, passo dopo passo, entrambi si allontanavano dal balcone e dalla folla sottostante.
"E non dire che non ti avevo avvertito, fratellino"



v3jk8


Nera, la sfera si illuminò ancora una volta, tiepidamente. Pareva calda, eppure al tatto gelava pelle e sguardo, quasi una vitrea essenza di freddo e morte.
Egli rabbrividì, l'incertezza di un istante a chiedergli di alzare quell'orrido artefatto in aria e scaraventarlo sedutastante giù, negli abissi più scuri, onde non trovarlo mai e con il suo ricordo, far sparire per sempre ogni possibilità che da esso sarebbe potuto nascere. Ogni piano. Ogni percorso.
Ognuno di quei sogni distorti e grotteschi che da esso già prendevano a dipanarsi come oscena melodia, come nebbia strisciante.
Socchiuse i propri occhi ciechi, tremito convulso di ciò che alcuni avrebbero potuto definire umano ma che per lui altro non era che un riflesso incorporeo, uno sbeffeggio a coloro che per davvero potevano provare
paura
timore
agitazione.

E domandarsi
Quanto sarebbe stato sbagliato finire ogni cosa li, proprio in quell'istante, e accettare il proseguo degli eventi, della vita per come uomo possa intenderla? Quanto sarebbe stato giusto smettere ogni cosa proprio sul ciglio del burrone nella cui eco ognuno si sarebbe potuto perdere per non ritrovarsi più?
Quanto?
Fra le dita, l'improvviso creparsi della sfera suonò come il fratturarsi di un cuore vivo e pulsante, roco sdrucciolio ed infine sospiro di mille fiati mentre uno dopo l'altro i frammenti si spargevano al vento, fredda brezza invernale. Pensò, per un secondo, che se mai si fosse potuto chiamare in quel modo, il suo sangue nero pareva caldo in confronto a quel minuscolo oggetto. Pareva vivo. Liquido scuro a gocciolare fra i frammenti come se non lui ma la sfera stessa stesse ora sanguinando.
Lei.
Meditò.
O forse tutte le anime che mai più avrebbero trovato la luce ad accoglierle nel loro lungo cammino verso la vita.



Ed ecco qui il post conclusivo, scritto alla velocità della luce perchè ci tenevo proprio a mettere un punto a tutto ciò.
Neisuiens passa dunque nelle mani di Edwin e Vrael che insieme si prodigheranno per rimettere in sesto questa città oramai in ginocchio. Aris compare nella folla, testimonianza della sua sopravvivenza e di quella della piccola Leanne che ella regge fra le braccia. Le parole in bianco non sono pronunciate da nessuno, trattandosi di una voce "fuori campo". Nulla in più dirò riguardo alle righe finali che, ovviamente, annunciano il proseguire della campagna de i Primogeniti verso lidi oscuri (XD).

Che dire? Son proprio contenta di questa quest che malgrado gli abbandoni e i tempi estremamente lunghi si è infine conclusa nel migliore dei modi (e vi assicuro, per come l'avevo pensata, tutto poteva andare decisamente peggio di così -__-). Strange, Goth', vi ringrazio moltissimo per la partecipazione, l'attenzione, le idee e la cura dimostrate in ogni post; senza di voi, nulla di questo -e di quello che verrà- sarebbe stato possibile*sniff*. E, in un futuro speriamo non troppo lontano, alla prossima!
 
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42 replies since 24/5/2012, 15:35   1111 views
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