| Ravenau De Lussan |
| | Ok, almeno adesso sapevo i loro nomi. Non che per me avessero una ben che minima utilità, ma se avessero tirato le cuoia durante la missione sapere che nome scrivere su quelle lapidi in fondo non sarebbe stato male. Troppi militi ignoti, a questo mondo, troppo comodo. «Grazie, Raaf.» Pronunciai volutamente il suo nome come fosse una smorfia, un versaccio, un dolore. Che fosse ben chiaro che nonostante tutto il nome è un livello di confidenza che va guadagnato, non preso. L’identità è cosa rara. «Il che si fa mi sembra così ovvio che rispondere a certe domande dovrebbe essere stupido per legge. E tu, non saranno un paio di palle tra le gambe a permetterti di definirti un uomo. Cerca di non essere solo parole, cazzo moscio.» Avevo trovato il mio giochino. Avevo fatto un primo cenno all’edificio alle mie spalle, lasciando ben intendere come presto avremmo dovuto familiarizzare col buio chiuso di un edificio diroccato e tutto quel che nascondeva. Chissà chi di loro, per primo, avrebbe avuto paura del buio. «De Graff mi ha detto di avvisarvi, in ultimo, che queste non sono quel genere di zone dove organizzare un pic-nic con gli amici. Tenete pronte le armi, perché io non ho questa gran voglia di sporcarmi.» Che volete farci, sono un uomo onesto, prima di qualsiasi altra cosa. Continuate la storia quando finite di ridere di quest’ultima affermazione. Stop, cambio di registro. Non lo diedi a vedere, la mia espressione cercò di restare quella concentrata dell’uomo che vede un qualsiasi spettacolo noioso. Ma dentro di me, non mi fidavo di quanto stesse accadendo. Ogni variazione ai piani sono guai, di solito. L'ululato delle bestie si mescolò al soffio del vento, divenendo un unico grande boato capace di penetrare il corpo e vibrare nelle ossa. Arrivò prima delle ombre, prima che fosse possibile, all'ombra di una luna piena forse troppo presente, inquadrare perfettamente quelle sagome che, dalla cima delle alture, distorsero l'orizzonte increspandolo di nero. Un pensiero tranquillizzante quanto un chirurgo armato con un coltello da macellaio, effettivamente. Infilai le mani lungo il mio mantello, cercando. Quell'orizzonte frastagliato di macchie nere parve muoversi, ondeggiando come una marea di piena, pronta ad abbattersi sulla costa inerme. Poi il rumore incostante e disordinato delle zampe che graffiavano sulla pietra, che strappavano l'erba. Erano veloci. Sembravano inarrestabili. Non sapevo se sentirmi onorato, per la fiducia che Laurens riponeva in me, o rivolgergli contro ogni possibile santo, e che l'anima gli venisse strappata a morsi dalle bestie dei fantomatici inferni. Appoggiai le mani sulle impugnature delle mie lame. Strinsi forte da far male, percependo il freddo dell'acciaio ed il ruvido delle bende su ogni callo della mia mano. Tirai, aprendo le mie braccia a ventaglio, spade verso l'alto, inclinate un po' in avanti, perché quelle bestie ne percepissero la presenza abbastanza da restarne lontane. Non che mi illudessi. Pochi secondi ed erano già di fronte a me e quei poveri dannati in missione per conto del mio capitano. Artigliavano il terreno come una debole preda. Le zanne sembravano più affilate delle sue lame. Ed in tutto questo, due bestie, più grandi delle altre, sembravano capeggiare i gruppi. Quanti regali, neanche fosse stato il mio compleanno. Troppa grazia. Chinai lo sguardo in avanti e mi gettai nella mischia. Inutile perdere tempo, ogni secondo guadagnato sarebbe stato testimone di una vittoria esaltante. Due lupi schizzarono verso di me, zanne al vento. Solo i rivoli di bava, acidi pesanti, sembravano precederli, schizzati in avanti nella foga. Cercai di prendere bene la mira, volevo divertirmi. Tesi le mie lame in avanti, correndo verso quel labirinto di denti affamati. Movimento secco, quando le due bestie erano ad un passo da me, affondandole dritte in gola, in quel vuoto d’intestino fino a quel momento neppure letale. Poi strinsi le lame verso l’interno, portandole verso di me, in avanti, sentendole lacerare dall’interno organi, muscoli, pellicce. Nell’ordine. I miei machete conquistarono l’esterno in un fragore d’interiora e sangue. In un solo colpo ero una scarlatta macchia dall’incredibile fetore pronta a scattare, scheggia impazzita, in quel mare di grigio. Un terzo animale cercò di schizzarmi addosso, poco alla mia sinistra, e dovetti liberarmene con un colpo secco, un taglio orizzontale all’altezza dei suoi occhi dorati. Divennero un ricordo, una condanna segnata da un guaito, dimenticato anche lui in un ammasso di materia cerebrale sperduto sul terreno. «Avanti un altro, il vostro ammaestratore di cani preferito ora è libero!» Era tempo di cominciare a dare spettacolo. Altre due bestie scalciarono verso di me, provenendo da due direzioni opposte, la mia destra, la mia sinistra. Era tempo di chiedere un aiuto. Compii un leggero balzo all’indietro, ed ecco che lì dov’ero crebbe una piccola pozza di pura energia maligna. Nera, l’ombra crebbe, nel giro di un semplice istante, fino a definire la sagoma di un nerboruto ammasso di carne decomposta che ormai non aveva più niente di umano. Un abito in pelle ne nascondeva le cicatrici che ne univano i frammenti, ma il viso, scoperto, rivelava un disegno maligno, figlio di un diavolo. Una cicatrice profonda solcava tutto il volto, rendendo le labbra un’unica smorfia tirata verso l’alto, coprendo interamente un occhio. Al posto dei capelli, segni di suture casuali, come frutto del divertimento di un accoltellatore folle. La sua sola iride si soffermò su di me, e capì le mie intenzioni. Le sue braccia, ammassi disordinati di muscoli, si allargarono, afferrando al collo i due lupi, sollevandoli dal terreno. Tendendoli verso di me. «Ti ringrazio, Nemesis.» Un colpo di frusta, un guizzo della lama, e le teste delle due prede trovarono un percorso ben diverso dal resto dei loro corpi. «Ora va e datti da fare.» Meccanicamente, la vera bestia del gruppo si voltò, sferrando un unico montante ad un altro lupo in arrivo, lasciando distintamente percepire lo scricchiolio delle ossa rotte. Poi saltò verso l’alto, a braccia aperte, atterrando con il suo enorme corpo e la sua terrificante mole su altri due di quei cani troppo cresciuti. L’erba si tinse di un rosso quasi disgustoso, ed il suono fu quello dei liquidi che, in un solo attimo, cercano la fuga da un qualsiasi involucro. All’improvviso, quei due animali, nella mia testa, venivano rappresentati come niente più che due tubetti spremuti. Mentre lasciavo affondare la lama, in verticale, nel cranio di un ennesimo animale, non potevo che ritenermi a mio modo divertito. Stavo quasi perdendo di vista quei due ragazzini che si erano gettati in modo così avventato nella mischia. Ascoltò il richiamo di quel tipo che aveva un nome come un volgare rutto. Reel. Distraeteli, aveva detto. Sarebbe stato divertente vedere cos’avrebbe combinato. Lasciò scorrere in avanti il suo compagno di battaglia, a questo scopo. Due metri di defunto ambulante per poco meno di larghezza e muscoli ovunque che cercava di urlare, a suo modo, nonostante le corde vocali amputate. Il risultato fu un quasi comico richiamo, del tutto simile a quello tipico dei nostri avversari. Occhi a me, sembrava a dire, prima di avventarsi sui due avversari, in maniera quasi suicida. Bello sforzo, per un essere già defunto. Puntò a travolgere il lupo più vicino, allargando il braccio, stringendo il palmo in un pugno, preparandosi a colpire con violenza. Io? Io estraevo il mio machete dal fianco di un’altra bestia. Ero sudato, avevo il fiatone e cominciavo davvero da essere stanco, ma se avevo fatto bene i miei conti avevo capito dov’era il cuore di quegli animali, ed una volta che hai le mani sul cuore di qualcuno, il passo per fare male è davvero piccolo. Statistiche: ReC (250) ; AeV (175) ; PeRf (125) ; PeRm (250) ; CaeM (175)
Stato Fisico: Principi di stanchezza, muscoli leggermente indolenziti. Stato Psicologico: Ottimale. Riserva Energetica: 100% Dominio: Evocatore. Evocatore; Effetto passivo: Per via degli studi affrontati e anche per via di una certa predisposizione alla materia evocativa, ogni evocatore può vantare di un tempo di evocazione superiore a quello di un comune mago o druido. Difatti le sue evocazioni sorgeranno sul campo a tempo zero, istantaneamente, senza bisogno di concentrazione ma solo di un consumo energetico.
Machetes: Non ditemi niente, ma per me i bisturi sono roba da pederasta. Solo i fighetti della chirurgia operano con strumenti del genere. Dov'è il brivido? Dov'è la passione? La rabbia nascosta in un filo di ruggine? Non c'è molta roba più lussuriosa dell'atto catartico e liberatoria del movimento libero e puramente istintivo di una lama che scende ad aprire in due uno strato d'epidermide, poi un muscolo, poi un organo vitale, poi una vita. È troppo poetico per rifugiarsi dietro un bisturi, davvero. È per questa ragione che, se proprio un pirata (perchè è questo che siamo, nonostante tutto: pirati della peggior specie) deve girare armato, io ho rivolto la mia attenzione ai coltelli più affilati che mi ha passato il convento. Eccomi quindi con due coltelli di una trentina di centimetri circa di filo infilati ai lati della cintura, uno a destra e l'altro a sinistra, con il manico rivolto verso l'alto. Sono formati da un unico blocco di metallo, taglienti lì dove si trova il filo, più ergonomico lì dov'è l'impugnatura, a formare la sagoma di una stretta di mano ricorperta da bende bianche, ormai sporche da macchie di sangue della provenienza più disparata. Non sono nulla di eccezionale, ma che devo dirvi, è il fascino retrò del puro blocco d'acciaio stretto in mano che ti dà il potere di scelta sulla vita e la morte in un solo attimo. Tra parentesi, una scelta quasi obbligata.
Dead Men Walking: Non è curioso come i cani si affezionino ai loro padroni? Come i fedeli si aggrappino insistentemente alle gambe dei loro creatori, dei loro dei, ciecamente, come a credere che diventarne l'ombra possa essere la massima aspirazione di una vita? Ho passato mesi a pensarci, mentre osservavo i miei capolavori. Sapete, sono sempre stato particolare in quel che ho fatto, soprattutto nel mio lavoro. Ma si, quello del chirurgo. Ho sempre cercato di sperimentare e provare nuove vie, lavorando su vivi e morti di ogni tipo. Ammetto di aver sempre fatto distinzioni al riguardo, sono sempre stato di mentalità chiusa e mi sembrava offensivo per i vivi preferire a loro i defunti, qualora ne capitasse l'occasione. Il problema dei vivi è sempre stato trovarli, piuttosto. Quindi mi è spesso capitato di dover mettere mano a bei corpi già prossimi al consumo del tempo, o malati, o malconci. Questo ha offerto alla mia collezione, in ogni caso, una merce piuttosto variegata. Ed il risultato, alla fine, era lo stesso. Come ho detto prima, ancora non so perchè questo accada. Le malelingue sostengono che sia la mia anima putrida ad attrarli, il mio spirito venefico, il mio fascino dal puzzo di pece. Quando ne ho bisogno, previa apparizione di lingue d'ombra che crescono dal terreno a delinearne i fatiscenti corpi, le mie creature accorrono in mio aiuto. Deliziosi. Non riesco mai ad evocarli oltre i tre metri di distanza dal mio corpo, ma riescono sempre a fare il loro lavoro. È sempre bello ammirare come eseguano perfettamente i miei compiti e si adattino ad ogni situazione. Inoltre, pregevole caratteristica utile per dare un tono all'ambiente, una volta richiamata, ogni mia creatura sparisce solo qualora io lo voglia. Beninteso, semplicemente significa che, se distrutta, i suoi brandelli continuano a restare sul campo di battaglia, non svaniscono. Oltre una certa quantità di tempo, anzi, smettono persino di muoversi, a causa della poca energia che sono in grado di sviluppare. Solitamente non durano più di un attacco, ma posseggo tipi e tipi di esperimenti. Averli con me mi fa sentire a casa, anche se effettivamente a casa possedevo decine di modelli differenti per caratteristiche, virtù e difetti. Questo, ad esempio, è il mio catalogo.
• nemesis_ Questo zombie è gradevolmente particolare. Il suo viso è una maschera di pelle e ossa esposte, segnate casualmente da cicatrici per tenerne insieme le parti. Il risultato è un orrido ritratto di crudeltà e disgusto, e personalmente tutto questo è adorabile. Il suo occhio destro è coperto da uno strato di epidermide cicatrizzata, mentre il restante, sottile ed affilato come un rasoio, è totalmente bianco, bordato da un contorno sanguinolento. Il suo sorriso è una mandibola esposta, lasciata aperta e digrignante. Ossa artificiali ripercorrono la sua struttura corporea fondando un leggero scheletro che sembra cerchi di uscire dalla sua custodia di pelle e cuciture, creando un insieme di muscoli orripilante. La massa corporea è superiore a quella di un uomo normale, avvolta in vesti di cuoio scuro. La sua forza è superiore alla norma, ed è su tale caratteristica che il Nemesis fonda la sua utilità. Ne posso evocare solo uno per volta. Nemesis possiede un potenziamento medio al parametro corrispondente alla forza fisica nel turno in cui è evocato. L'evocazione possiede un'energia in meno rispetto a quella del suo evocatore (quindi bianca). - Medio -
Riassunto: Sinteticamente, mi butto nella mischia e, mentre combatto, evoco Nemesis a darmi una mano. Il turno termina con Nemesis che si avventa su di un lupo, quello ignorato da Reel, con l'intento di affrontarlo con un pugno. Vi domando scusa per il ritardo, ma tra la laurea incombe e devo terminare tutto entro fine settimana, vi chiedo scusa ancora.
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