Dal primo vagito di neonato fino all'ultimo respiro prima della morte, ogni vita si consuma o si svolge dietro mille e più diversi sfondi. Ogni avvenimento si compie in un luogo che nel suo lungo esistere fa da palco a tante e molte storie. Alcuni di questi son costretti a veder ripetere molte volte, forse troppe, scene simili e monotone, come nei cimiteri, mentre altri hanno il privilegio di ospitare ogni sorta di evento da feste in maschera a tetre processioni, da risse finite in tragedia ad amori sbocciati in una sera, come nelle piazze delle grandi metropoli o le ville dei nobili più importanti. E questo continuo flusso di genti e di vite,di emozioni ed eventi, lento lento infonde un barlume di vita in questi scenari e mentre alcuni si rassegnano ad essere meri paesaggi, altri si ribellano e creano una propria identità. Nascono così le leggende di case stregate che scacciano ogni proprietario, di vicoli che non si riescono a trovare ed altri che gira gira ci si finisce sempre per capitare, posti da cui si fugge anche la vista ed altri di cui si finisce per innamorare. Luoghi che sembrano dialogare con le persone in un linguaggio fatto di impressioni, talvolta esplicite ed altre velate, che in qualche modo fan sentire la loro voce a chi sa drizzare la propria anima.
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Per sfortuna di Jace, quello non era il futuro in cui la sua frusta squarciava il ventre dell'operaio che sanguinante si accasciava a morire né, per sua fortuna, era quello in cui l'altro afferrava la sua arma e lo tirava a sé con forza, facendolo rovinare a terra ad imbrattare di rosso ciottoli ed attrezzi. Né uno dei migliori, né uno dei peggiori. L'altro sanguinava dove la carta l'aveva ferito, ma per il resto era in perfetta forma poiché la frusta non l'aveva mai colpito. La lama rapida e splendida aveva tagliato l'aria senza incertezze o tentennamenti ma si era rifiutata di fare lo stesso con la carne dell'uomo, rimbalzando via sdegnata e costringendo lo Stregone a gran sforzo per non vedersela sfuggire. La mano destra era rimasta salda e con uno strappo l'aveva riportata a sé, raccolta in spire ai suoi piedi come un serpente sonnecchiante in attesa della prossima preda. Nonostante ne fosse uscito incolume, l'uomo sparì nelle sue fortificazioni, forse per pianificare la prossima mossa o forse per darsela a gambe levate. Non bisognava essere veggenti per capire che Jace avrebbe approfondito la questione, ma esserlo non l'aveva avvertito dell'infido assalto della fune. Come ad imitare la mossa del cartomante essa guizzò come per strangolarlo o forse immobilizzarlo, apparendo letteralmente dal muro squadrato, muovendosi come animata da qualche stregoneria; o così appariva al ragazzo preso alla sprovvista. Il movimento era stato troppo rapido e questi non poteva evitarla gettandosi a terra, così digrignò i denti e strinse i pugni per proteggersi alla bene e meglio. Apparve così un'accozzaglia informe di travi divorate dalle fiamme, e porte sfondate, e pietre erose dal tempo e dall'incuria e mobili spaccati, tutti assieme in una strana scultura pronta a fargli da barricata. Sul viso di Jace si disegnò il più genuino stupore a quell'improvvisa apparizione. Non era la prima volta che usava i suoi poteri per difendersi ma solitamente apparivano zanne e lance, cadaveri delle sue vittime o corpi di mostri dalle forme più bizzarre, od uno dei tanti orrori che popolava i suoi incubi passati o recenti, e non ricordava un tavolino tra le sue paure od i suoi rimorsi.
Al tocco di quello strano serpente di canapa tutto venne scagliato in ogni direzione con un boato da mozzare il fiato ed una nube nera di lapilli e polveri incandescenti travolse ed inghiottì ogni cosa, incenerendo ogni particolare di quell'orrido mucchio di infissi e pareti. Il mondo si era fatto vibrazione, che scuote il terreno ed il corpo dello Stregone, che ronza nelle orecchie cancellando ogni altro suono. Il fondersi nauseabondo dell'odore della polvere incenerita e quello della carne che arrostisce. Mille e più piccole lame rosse di calore e di dolore che si conficcavano nel suo petto e nelle sue braccia e nelle sue gambe senza però affondare, perennemente sospese sulla superficie. E mentre Jace sentiva la pelle sfrigolare per le ustioni e perdere l'appoggio del suolo, non poté fare a meno di urlare. Non una frase articolata, né una minaccia d'odio strisciante, solo un suono che per metà era dolore cocente e per l'altra rabbia grezza, e continuò finché non sentì il suo corpo urtare il terreno sotto di sé. La sua vista aveva spaziato nel tempo, visto cosa doveva accadere ma questo bruciante dettaglio gli era stato precluso, celato dietro mille fittizi paraventi. Pur conoscendo la risposta, andava chiedendosi come fosse possibile tutto ciò, forse per sfogarsi o forse per nascondere la propria incapacità. Il Fato era pericoloso ed intricato come una giungla, che pur conoscendola perfettamente rappresentava in ogni caso mortale. Un enorme e variopinto ammasso di grandi alberi e piccoli fusti, di strani frutti e fiori odorosi, di torrenti impetuosi e di pantani celati, di bisce grandi e piccole, di insetti di ogni genere. Si evita così un alligatore e non si ci accorge del ragno velenoso che zampetta sul polpaccio, si ci distrae per un pericolo e non ci si avvede di un altro. Il dolore, proprio come la bacchettata di un severo precettore, era la giusta ricompensa per un atteggiamento distratto; Jace doveva ringraziare di essere ancora vivo. Per evitarne di altre bisognava stare attenti e come uno scolaro diligente fare per bene i propri compiti. Il primo ostacolo che si presentava, tutto di natura fisica, era quel muro che si stagliava tagliando a metà il cantiere a cielo aperto, così diverso ed alieno da tutto quanto. Pareva spesso e costruito a regola d'arte, dando conferma che il manovale sapesse svolgere il proprio lavoro, difficile da far esplodere con gli Arcana Minori. Rimaneva o di aggirarlo, ed era abbastanza lungo, o di scavalcarlo nonostante la sua vertiginosa altezza. Così mentre le ipotesi si dipanavano nella mente del Cartomante, in cui ipotesi e visione del futuro fondevano i loro confini, ecco apparire una visione bizzarra: se stesso che semplicemente l'attraversava, incurante di quella solida barricata. Il suo corpo si immergeva in quella roccia e ne emergeva senza sforzo, quasi non esistesse o fosse una semplice illusione. Così tutto gli fu chiaro, ed un sogghigno pieno di ammirazione si faceva largo sul suo viso. L'illusione non poteva che apprezzare una truffa così semplice eppur così convincete, anche se ai suoi danni. Adesso però doveva punire l'operaio per il raggiro oltre che per i danni.
La scena iniziò a dipingersi nella sua mente come un arazzo variopinto nel quale ogni movimento possibile o probabile, suo o dell'avversario rappresentava una pennellata. La rete di sentieri delle possibilità diveniva sempre più intricata, disperdendosi a destra e sinistra, continuando dritta o perdendosi all'indietro nella giungla del futuro. Le ipotesi e le possibilità si affollarono finché lo stregone non riuscì a prendere una decisione. Si vedeva a correre attraverso il muro e cercare l'altro una volta oltrepassata l'illusione. Nell'istante in cui l'avrebbe trovato la piccola biglia contenente l'Alito di nebbia sarebbe scivolata per terra, lasciando che i suoi densi fumi si liberassero per le macerie. L'innocuo fumogeno sarebbe però apparso agli occhi del sempliciotto come un enorme serpente fumoso dalle spire cangianti ora grigie, ora nere, ora d'avorio che sinuoso si sarebbe avvolto attorno al suo corpo, stritolandolo ed immobilizzandolo. E proprio in quel momento la sua frusta, inviperita e perfida, avrebbe morso il braccio armato dell'uomo per assaggiarne bicipite, avambraccio ed anche il polso, se possibile. La lama sarebbe calata in un arco obliquo, volto a scavare un solco profondo per tutta la lunghezza dell'arto, decisa a ferire e rendere inabile più che ad uccidere. Una vera e propria punizione corporale, al termine della quale Jace si sarebbe fatto largo nel fumogeno con ampie falcate. Da dietro le spalle del suo avversario avrebbe osservato gli esiti e le conseguenze dei propri insegnamenti.
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