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| Un dardo luminoso penetrò la coltre nebbiosa e andò a infrangersi sul volto del Falconiere. La cortina si diradava, incendiata dal calore del pomeriggio, e si sfilacciava come una fune sottoposta a un peso troppo gravoso. Lo scontro volgeva a termine, lo sentiva nelle ossa. Era un'intima convinzione, accompagnata dalla consapevolezza che ci sarebbe stato solo un vincitore, e nessuna pietà per il vinto. Anche gli spettatori, dalle tribune, l'avevano compreso e rumoreggiavano. Per loro quella battaglia non rappresentava altro che un piacevole diversivo, la soddisfazione della propria sete di sangue e violenza ad essi preclusa nel tempo restante, due cani rognosi che si scannavano contendendosi un osso vecchio e spolpato. Non si rendevano conto di come in realtà a fronteggiarsi non fossero semplici uomini, ma due principi contrapposti e inconciliabili che aspiravano ad annientarsi reciprocamente: vita contro morte. L'una escludeva l'altra, ma non su quell'isola di marmo e roccia innalzata dagli abissi fangosi, dove era stato loro permesso di convivere per un frammento di tempo. Deöwyr e Astro, la vita, energia selvaggia discesa dalle profondità cobalto del cielo, e al lato opposto Rage, la morte, con le sue creature d'ombra risorte dalle viscere infette della palude. Ma l'incantesimo non poteva durare: ormai era il momento di decretare chi avrebbe trionfato. Quando erano giunti per la prima volta a Taanach aveva fatto una promessa, a se stesso e ad Astro. Ricordava la città che si spalancava davanti a lui in tutta la sua decadente maestosità, i meandri contorti della periferia, budelli di strade e vicoli luridi che serpeggiavano fra le basse abitazioni diroccate: arterie irrorate di fiele, dei rifiuti e gli scarti che il cuore sano e splendente della metropoli pompava lontano da sé, nelle appendici in cancrena che marcivano fra le urla dei disperati. Aveva giurato che quello sarebbe stato un nuovo inizio, che da lì si sarebbe messo alle spalle tutti i fallimenti passati per ripartire con nuova determinazione. Non era stato facile fin dal principio, quando si era ritrovato a fronteggiare il Custode ammantato di nero nella sua corazza d'oricalco, eppure non si era arreso e aveva proseguito. E adesso non aveva certo intenzione di fermarsi, non quand'era così vicino al raggiungimento del proprio scopo.
Gli arti mozzati caddero uno dopo l'altro come foglie in autunno, ripiombarono nella palude da cui erano venuti. Il pugnale fendette la cortina ormai rarefatta, si moltiplicò come tante lacrime d'argento per poi scrosciare sullo spettro simile a una pioggia battente e letale. Bianche ossa lo ricoprirono, proteggendolo. Gabbia toracica prominente, protuberanze gibbose, costole piegate, reticoli sottili o spessi, ossa attorcigliate e spezzate per comporre una livida armatura coronata dal teschio scarnificato e scavato che rivestì il volto inespressivo. La struttura ossea incassò i colpi e lasciò indenne l'uomo imprigionato nell'esoscheletro.
« IO SONO LA MORTE! »
Ruggì, un verso gutturale soffocato a stento dal cranio spigoloso che fungeva da elmo.
«NON E' VERO!»
Esplose subito in risposta il Falconiere, e una fitta gli squarciò il petto nello sforzo improvviso, mentre il mondo roteava confuso intorno a lui. Le parole sgorgarono spontanee senza che si affannasse per cercarle; forse era un'esigenza inconscia, la necessità di affermare le proprie possibilità di vittoria, di sopravvivenza. Se davvero era la morte quella che aveva di fronte, allora era spacciato - poteva lottare, ma presto o tardi era destinato a capitolare. Invece, aveva bisogno di credere che il suo nemico era un uomo come tanti altri; al di là di metafore e allegorie, oltre i significati fallaci attribuiti dalle parole, rimaneva solo un simbolo, e il simbolo è la rappresentazione di qualcosa di più forte adottato per celare le proprie mancanze. Sotto lo scheletro corazzato, oltre la cappa scura, non lo aspettava la Morte, ma carne calda in attesa delle sue lame.
«La morte non sanguina.»
Gli appariva tutto più chiaro, ora: il velo che gli offuscava la vista si era dissolto al sole come la nebbia velenosa. Lui l'aveva ferito, ne aveva straziato le carni, trafitto le membra, aveva fatto sgorgare il suo sangue. Ed era vermiglio e tiepido come il suo. La morte non può essere colpita.
«La morte non soffre.»
L'illusione gli aveva stravolto la mente e offuscato i sensi. Deöwyr l'aveva visto impazzire coi propri occhi: con la falce fendeva i fantasmi che incombevano dal suo passato, mosso da una furia cieca, tremava di paura di fronte al nulla reso folle dal terrore e dal rimorso. La morte è fredda, è insensibile, non si lascia sconvolgere.
«Tu sei soltanto... una MENZOGNA!»
E infine comprese. La verità gli si disvelò dinnanzi agli occhi come un guscio che si schiude e lascia uscire ciò che celava al suo interno. Si era ingannato, fin dal principio. Il suo nemico era una menzogna: il Falconiere aveva creduto che fosse un emarginato, un diverso come lui, seppure in maniera differente. Niente di più errato: lo spettro era come tutti gli altri, rappresentava quello stesso mondo che da sempre rifiutava e respingeva l'elfo, ne incarnava l'intima anima malvagia, solo senza alcuna falsa patina esterna. Era il seme scuro che germogliava nell'ombra, il lato crudele non mascherato da riflessi ingannevoli, l'espressione sincera di ogni corruzione che albergava sulla terra. Era come quegli invasati sugli spalti, ma a differenza loro non si preoccupava di celare la propria natura nelle altre occasioni: aveva scelto di manifestarla senza esitazione. Era crudeltà allo stato puro, nella sua forma più essenziale. Il mondo era una menzogna. Dopo la fuga dalla Torre Nera si era presentato a Deöwyr come un luogo meraviglioso e splendido, l'aveva attirato in fantasticherie ingannevoli, adulato con finte possibilità, ammaliato e sedotto. Gli aveva donato la speranza e nutrito le sue aspettative, gli aveva promesso una vita finalmente serena, libera, lontana dal dolore dell'infanzia, e quando lui si era lasciato convincere, quando davvero aveva iniziato a crederci, allora gli aveva tolto tutto, rivelandosi per quel posto crudele che era. Non c'era spazio per lui là fuori, questo gli aveva fatto capire: a quel punto l'unica alternativa rimasta era ripercorrere a ritroso i propri passi, e fu lì che realizzò orripilato la caducità della sua memoria. Il mondo lo respingeva, e al tempo stesso non gli permetteva di allontanarsene; lo costringeva a vivere in un eterno esilio dal corso dell'esistenza. Era malvagio, e quella malvagità rappresentava il suo avversario. Infine, il Falconiere era una menzogna. Aveva mentito a se stesso, convincendosi che non gli importava più niente della realtà che lo circondava, raffreddando il suo cuore di fronte all'indifferenza della gente; si era imposto un falso dogma: solo la Torre Nera contava. Non era così. La verità affermava una cosa diversa: lui odiava il mondo, odiava il genere umano, odiava tutti perchè l'avevano tradito, perchè aveva riposto ogni speranza di un avvenire migliore in loro, ed essi l'avevano deluso. Prima gli avevano fatto credere che tutto ciò che sognava e bramava era divenuto realtà, poi l'avevano risvegliato con mani crudeli. Li odiava per aver distrutto le sue aspettative, dunque odiava il suo nemico perchè era la personificazione sublimata di quella disumana perfidia che permeava la gente. Mentiva a se stesso, quando affermava che lo spettro non significava niente per lui, che era solo un ostacolo da abbattere per proseguire sul proprio cammino. No, in quel momento lo detestava con tutto il cuore. Il suo desiderio più grande era arrecargli il dolore più vasto possibile, abbatterlo, annientarlo. Vendicarsi. Tutto era una menzogna, se ne rendeva conto adesso. Soltanto Astro era vera: la vedeva stagliarsi nel cielo limpido, la nebbia fallace svanita del tutto.
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EVERYTHING IS A LIE - but I'll write my own truth -
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