Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Sandstorm; reunion

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 28/10/2012, 12:17

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,537
Location:
Oltre la Barriera.

Status:


Quello che accadde negli istanti successivi al tentativo di contrattacco si perse in seguito nella memoria di Zaide come un groviglio di tumultuose emozioni: se la situazione pareva già disperata all'inizio, ora regnava solo un immane caos che rischiava di compromettere il piccolo vantaggio che l'attacco simultaneo dei cadaveri trappola e degli orridi servitori di Rekla aveva loro concesso.
Incredibilmente, le ripugnanti creature risvegliate dalla morte sembravano essersi moltiplicate e attaccavano indiscriminatamente amici e nemici: alla strega occorse qualche istante per comprendere che non era il suo incanto ad essere fallito, ma che la strategia dei pelleverde era evidentemente molto meno rozza di quanto ci si sarebbe aspettati da mostri del genere.
Il grido di Raymond squarciò l'aria:

- Il nemico si nasconde fra noi! I PELLEVERDE INDOSSANO LE NOSTRE STESSE VESTI!

Se da un lato udire la voce di Raymond fu come un toccasana per i soldati stremati e spaventati, dall'altro la rivelazione era talmente inquietante che molti, soprattutto tra i più giovani e inesperti, si lasciarono sopraffare dal panico. Conoscere il proprio nemico è il principio primo di ogni combattimento, e non sapere cosa si cela dietro la maschera di chi sta lottando al proprio fianco può logorare anche il guerriero più smaliziato.
Zaide vide il giovane lentigginoso inciampare nei corpi privi di vita, lo sguardo folle di terrore, nel tentativo di scostarsi da quell'orda sanguinante di vivi e morti.

- Non essere sciocco, vieni con me!

Zaide disprezzava i deboli, ma doveva ammettere che in quella circostanza non era facile mantenere il sangue freddo. I soldati che non erano impegnati in uno strenuo corpo a corpo con le creature nemiche si guardavano turbati, e solo il semplice gesto di svolgere le fasce scure che avvolgevano le loro teste sembrò rinfrancarli, un gesto comune di appartenenza.
La battaglia imperversava, ma in qualche modo era più fiacca. Avevano tutti giocato la loro arma segreta, e ora che tutte le forze erano in ballo, stava subentrando una sorta di stanchezza e demotivazione; Zaide non era una stratega, ma sapeva che il morale basso può mietere più vittime di una spada affilata. Udì un uomo che non aveva ancora notato gridare un incitamento agli uomini del deserto, e la lotta riprese con rinnovato vigore; ora che tutti gli uomini di Nazir si erano tolti il turbante, era più semplice scovare gli infiltrati, ed altrettanto ovvio cercare di annientare le loro forze occulte; il grido di Rekla tradusse in parole ciò che probabilmente tutti pensavano, e Zaide si sentì rinvigorita: uno sciamano era un nemico che lei poteva comprendere e annichilire.

Sgusciò rapida tra i soldati intenti a sferrare gli ultimi colpi mortali a un grosso essere dalla pelle olivastra e si allontanò dall'epicentro dello scontro: ed eccoli finalmente, così ben camuffati da risultare a prima vista irriconoscibili ma ora traditi dalla loro stessa impossibilità di muoversi, pena lo scioglimento del sortilegio con cui rianimavano i cadaveri.
Zaide si avvicinò cautamente allo sciamano più vicino, indicandone a Lot con un cenno del capo un secondo che operava indisturbato poco più in là, e scagliò con forza due pugnali dritti alla testa dello stregone. Un lamento raccapricciante invase l'aria, attirando l'attenzione dei combattenti più prossimi; ma Zaide non aveva occhi che per la sua vittima che si contorceva per il dolore: una delle lame era penetrata nell'angolo di un occhio, e il tremito incontrollato delle mani gli impediva di reagire all'attacco della strega. Tuttavia una magia tanto antica e potente affascinava Zaide più di qualunque altra cosa, e un primitivo istinto di conoscenza la spinse a risparmiargli la vita. - Tu! - Zaide apostrofò un soldato in disparte, che aveva assistito con una smorfia di raccapriccio al breve incontro tra Zaide e lo sciamano - Legalo e portalo da Nazir, e assicurati che ci arrivi vivo.

A poca distanza, Lot non aveva avuto altrettanta fortuna con lo sciamano di cui si stava occupando.
Lo stregone non si era lasciato cogliere di sorpresa e aveva rivoltato contro al giovane i cadaveri accatastati fino a un istante prima al suolo. Il ragazzo menava fendenti con estrema rapidità, rigettando i corpi morti nella tenebra da cui erano venuti, ma lo sciamano sembrava godere di una soddisfazione perversa nell'accanirsi su di lui.
Zaide strinse gli occhi, avvicinandosi di soppiatto; e d'un tratto teneva per mano una seconda giovane donna dai capelli rossi, e una terza, e una quarta. Come tre specchi, le streghe si lanciarono nella mischia strappando facilmente Lot dalle grinfie dei cadaveri: al loro tocco quelle creature tanto spaventose sembravano mutarsi in fantocci inservibili prima di crollare nella polvere; con una risata che avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque, i tre specchi si dileguarono poi per il campo di battaglia, attaccando a sorpresa nemici vivi e morti e creando un certo scompiglio in chi si sarebbe accorto che la strega dai capelli rossi era ovunque.
Se il giovane soldato fu spaventato dall'improvvisa apparizione di tre copie della sua inquietante nuova amica, non lo diede a vedere, e ammiccò in segno di gratitudine verso una delle Zaide che gli passò accanto. La strega intanto era balzata alle spalle dello sciamano mulinando la scimitarra, ma non aveva previsto la fulminea rapidità con cui l'avversario si sarebbe voltato, né che la sua lama incontrasse la resistenza del coltellaccio scheggiato che lo stregone teneva celato sotto il mantello.

- Attenta! - gridò Lot.

Zaide si sentì afferrare alle spalle da una mano poderosa e gelida, una morsa tanto potente da farla torcere su se stessa urlando di dolore. Un'immensa creatura dall'aspetto raccapricciante e dalla pelle putrefatta incombeva su di lei nauseandola con suo tremendo puzzo di morte. Lo sciamano era alle sue spalle, il coltellaccio levato pronto a conficcarsi nella sua schiena. Zaide udì il grido soffocato di Lot quando la lama si abbassò ferocemente a colpire la strega, ma la punta del coltello si scheggiò con un sonoro clangore contro la patina opalescente e traslucida che ricopriva la strega dalla testa ai piedi. Allo stesso modo la presa del cadavere si fece meno salda, in cerca di un appiglio sul suo corpo da stringere e schiacciare, ma invano.
Se lo sciamano conosceva solo il potere sui corpi morti, peggio per lui, pensò la strega. Il potere delle anime che hanno abitato quei corpi è molto più forte. Fu facile, protetta dal suo scudo infrangibile, sollevare la scimitarra a due mani e affondarla nel gigante cadavere aprendo un grosso squarcio da cui non uscì sangue, ma una sostanza nera e putrida.
E fu stranamente confortante per Zaide lo sguardo di amichevole intesa che le scoccò Lot, ammirato e intimorito al tempo stesso. La testa dello sciamano giaceva a pochi piedi dal resto del corpo in una pozza di sangue, ma sapevano entrambi che non era ancora finita.


Zaide

°concentrazione [+2]
°intuito [+2]

[c. 29%; a. 13%; m. 5%; b. 1%]



Poco da aggiungere a quanto scritto, il post è talmente scarno che penso sia chiaro. Zaide attacca con facilità uno sciamano accecandolo con due coltelli da lancio e ordinando a un soldato di legarlo e portarlo vivo da Nazir; poi va in soccorso di Lot, giovane soldato già incontrato, contro cui un altro sciamano si accanisce. Zaide ricrea tre copie di se stessa (gli "specchi", Medio), che annientano facilmente i cadaveri e poi si sparpagliano sul campo di battaglia combattendo (il tempo necessario a sferrare qualche attacco ai non morti e seminare un certo scompiglio), poi si lancia sullo stregone con la scimitarra in pugno, pensando di prenderlo di sorpresa, ma lui si difende con un coltello. Alle spalle di Zaide, un enorme cadavere di natura imprecisata la afferra e lo sciamano le si avventa contro mirando alla schiena, ma la strega si protegge con una barriera difensiva (Medio) che vanifica l'assalto: approfittando dello stupore annienta il cadavere squarciandolo con la scimitarra, mentre alle sue spalle Lot decapita lo sciamano.


Energia:
74% - 5 - 5 = 64%

Stato fisico:
ferita da artiglio alla spalla sinistra aggravata dalla presa ferrea di un non morto, lividi e contusioni a braccia e gambe.

Passive:
[Passiva di ammaliamento psionico; a seconda dei comportamenti di Zaide e ad interpretazione del personaggio che subisce la tecnica, può istillare in lui lussuria nei confronti della strega o terrore - sta alla vittima decidere quale delle due, coerentemente ai comportamenti e all'aspetto assunto da Zaide]
[Disciplina ferrea e dedizione, ma anche un’innata predisposizione nei confronti di tutto ciò che riguarda la sfera delle conoscenze arcane, sono alla base della capacità di Zaide di percepire istintivamente ciò che è magico attorno a lei, permettendole di svelare illusioni ambientali e avvertire attacchi magici anche alle proprie spalle]
[La portata del suo sapere magico è tale che ogni sua tecnica di natura magica provocherà danni di un livello superiore rispetto al consumo utilizzato, a fronte di una diminuzione delle tecniche fisiche di pari natura]

Armi:
Scimitarra
20 pugnali da lancio (11 utilizzati)
Athame del corvo
Athame delle anime

Attive:
Miroirs [Medio]
CITAZIONE
Con un consumo pari a Variabile, Zaide può generare uno o più alter ego (tre, per ragioni simboliche, è il suo numero preferito) in tutto e per tutto identici a lei. In base alle circostanze può decidere di modificarne i tratti, ma sempre in modo che le copie siano ben riconoscibili come un riflesso fedele o deformato della strega. Si tratta di una tecnica magica della durata di un turno che provocherà un danno complessivo pari al consumo utilizzato, indipendentemente anche dall'eventuale presenza di armi o oggetti tra le mani degli Specchi [Personale offensiva].

Arabesques[Medio a 360°]
CITAZIONE
Con un consumo pari a Variabile, Zaide potrà richiamare un vortice di spiriti che apparirà normalmente come una massa in cui però rimarrà possibile scorgere i lineamenti di una moltitudine di creature. Zaide può modificare la forma della presenza come desidera, ai fini di creare una barriera difensiva di livello pari al consumo di energie speso per evocarla, che avrà come punto d’origine sempre ed esclusivamente la sua persona [Personale difensiva].




 
Top
view post Posted on 28/10/2012, 14:19
Avatar

--------------------
··········

Group:
Administrator
Posts:
34,432

Status:


Raymond affondò la lama nella clavicola di un avversario, spingendola fino all'altezza dei polmoni. Dovette poggiare un piede sulle gambe del nemico esanime per estrarla; un gesto accompagnato da una spiacevole sensazione di risucchio che remava contro di lui.
I pelleverde avevano dimostrato di essere ben più organizzati di quanto avesse mai creduto; in poche mosse erano riusciti a portare il caos fra i Falchi Rossi, costringendoli a scendere da cavallo ed affrontarli faccia a faccia. Solo dopo qualche scambio di fendenti il Lancaster s'era reso conto di non riuscire a poggiare i piedi sulla sabbia, di faticare a muoversi e scivolare ad ogni sgambata; lo stesso doveva essere per gli uomini che aveva portato da Basiledra, che in quell'istante stavano venendo decimati a causa dell'alienità del campo di battaglia.
Il caos, poi, aveva costretto i Falchi Rossi ad una lotta senza quartiere, senza rigore e totalmente priva d'ordine: aveva di fatto abbassato il livello del contingente, portandolo ad utilizzare le stesse strategia che avrebbero adottato i loro avversari. E se non potevano battere i pelleverde con l'intelligenza, la loro superiorità fisica avrebbe inevitabilmente vinto la battaglia.

In tal senso, Raymond ringraziò il Sovrano per aver incrociato unicamente troll, dall'inizio dei combattimenti. Questi ultimi erano esili e gracili; ben più semplici da gestire dei loro fratelli orchi, bugbear ed ogre: se queste creature fossero scese in campo, probabilmente per l'esercito umano non ci sarebbe stata più alcuna speranza: senza tattiche, senza strategia e senza superiorità fisica, il solo coraggio non li avrebbe certo protetti dalle armi dei barbari più potenti.
Si maledisse per aver anche solo indugiato su una simile prospettiva, senza preventivare che il suo lato superstizioso avrebbe avuto la meglio.

Sentì la terra tremare.
Una, due, quattro volte.
Tonfi giganteschi, come se dei tronchi d'albero stessero venendo abbattuti sistematicamente poco distanti.
Bastò quel suono per fargli comprendere che i troll erano serviti unicamente a prendere tempo. Non erano stati altro che un amaro aperitivo delle reali forze dei pelleverde, che mai si sarebbero mosse in prima linea. Forze che avevano dovuto tenere lontano fino a quell'istante e che li avevano raggiunti solo in quel momento; forze che probabilmente, come i troll, avevano iniziato a muoversi in direzione della battaglia solo quando il corno aveva smesso di suonare.

Raymond alzò lo sguardo e si sentì in colpa per aver pensato che potevano vincere grazie alla superiorità fisica.
Una creatura umanoide lo squadrava dall'alto al basso, abbracciandolo completamente con la propria ombra; la sua mole era tale da ammantare persino il sole sopra di lui, che si limitava ad illuminarne il profilo.
Il mostro impugnava un randello di legno grande quanto una colonna e si passava una mano lungo la barba cespugliosa con aria pensierosa; i suoi lineamenti erano grezzi e bulinati nel viso come crepe nella roccia. Accanto a lui c'erano altri appartenenti alla sua stessa razza, e sebbene insieme non raggiungessero neppure la decina di individui, la loro sola imponenza bastò a dare l'impressione che un terzo esercito si fosse unito alla battaglia.

Giganti.

Perfettamente conscio che il colosso che aveva avanti lo stava studiando solamente in preparazione del proprio attacco, Raymond si ritirò, senza levare lo sguardo dalla creatura e arretrando il più lentamente possibile.
Era tutta sua responsabilità; per un istante aveva avuto l'arroganza di presumere che avrebbero vinto quella battaglia, e ora il Sovrano stava punendo inappellabilmente il suo atto di egocentrismo.

« Nazir...? »
Ululò incerto, non riuscendo a scorgere la figura del capo dei Falchi Rossi accanto a sé.

« Nazir...! » alzò la voce, per farsi sentire sopra il caos « Il rituale, Nazir! Chiama Adara e Zaria; PRESTO! »

Eppure, nessuno rispose al suo spaventato appello.

8tmxw

Nazir si era allontanato dalla battaglia non appena i troll erano emersi da sotto le sabbie.
In sella al suo cavallo e cercando di farsi notare il meno possibile, era tornato all'accampamento in compagnia di alcuni fra i suoi Rooi Valke più fedeli. Alcuni fra i soldati di più basso rango sembravano aver notato il suo strano comportamento, ma inevitabilmente i loro dubbi erano stati velocemente cancellati dal furore della battaglia. Lui non aveva certo intenzione di giocarsi la vita in una scaramuccia con i groenleer, e Raymond Lancaster era stato il capro espiatorio perfetto: conferendogli il privilegio del comando aveva annegato le attenzioni nei suoi confronti, e questo gli aveva permesso di allontanarsi dal contingente con più semplicità. Il discorso del donkerdraak era stato poi la cigliegina sulla torta del suo piano: lo zelo con il quale il soldaat si era rivolto ai bedouin era stato tale da far sì che si dimenticassero completamente della sua presenza.
Giunto all'accampamento abbandonò la propria scorta personale e lasciò sì che si ricongiungesse a quei Rooi Valke che non avevano partecipato al combattimento. Nella frenesia dei preparativi per lo scontro imminente, era stato semplice istruire alcuni sottoposti perché si nascondessero nei tendoni e non partecipassero alla battaglia. I Bedouin erano stati troppo impegnati a gridare ordini a destra e a manca per accorgersi che alcuni fra loro non stavano affatto preparandosi.
Raggiungere Alexei, a quel punto, era stato il compito più facile in assoluto.
L'aveva trovato nel padiglione medico, intento a compilare scartoffie: presumibilmente i registri che tenevano conto del numero e dei nomi dei feriti.

« Confido che mi spiegherai perché mi stai conducendo così vicino al campo di battaglia, amico mio. »

Ora stavano cavalcando fuori dall'accampamento. Lui, Alexei, Adara e Zaria. I suoni dello scontro spezzavano l'aria, e la sabbia sollevata dal clamore delle armi li sporcava in viso, mossa da un vento afoso e crudele.

« Io già spiegato, Alexei. Groenleer usano veleno che paralizza arti; abbiamo raccolto feriti oltre questa duna, ma c'è bisogno di tue arti curative. »
Alexei lo studiò con scetticismo; le probabilità che dubitasse della sua menzogna erano alte, ma conoscendo il carattere dell'uomo, questi l'avrebbe seguito anche in capo al mondo, in caso di necessità.

Si fermarono sulla cima della duna. Naturalmente ai suoi piedi non vi era nessuno, se non il combattimento che - da quella distanza - poteva essere osservato nei minimi particolari.
Alexei si agitò sulla sella, incapace di trattenere una certa inquietudine: non aveva mai partecipato ad una battaglia, né mai si era avvicinato così tanto ad un campo di battaglia - quantomeno, non piùdai tempi della guerra del Crepuscolo.

« Nazir, non vedo... »
Le sue parole gli morirono in gola. Si trovò improvvisamente paralizzato e cadde dalla sella.
Alle sue spalle Adara e Zaria avevano iniziato a cantare un lento e basso rituale, che senza dubbio era la causa della sua immobilità. Sgranò gli occhi con terrore mentre veniva sollevato e messo faccia a facci con Nazir che, nel frattempo, aveva estratto la propria scimitarra dalla fascia che la teneva legata alla vita.

« Tu deve perdonarmi, Alexei. » gli disse con tono amichevole « Tu essere stato di grande ispirazione per Rooi Valke, ma ispirazione non si può mangiare, né paga. »
sorrise, ridendo come di una battuta che era stata raccontata solo nella sua testa
« o se non altro paga molto meno di Razelan Vaash, tu comprendi, sì? »

Affondò la scimitarra nel ventre di Alexei.
Fu sorpreso nel constatare che il sangue che fluiva nel suo corpo era dello stesso colore dei suoi capelli.

« e ordini di Lord Vaash essere stati molto precisi. »

In quell'istante, l'incanto di paralisi si sciolse.
Alexei portò le mani alla ferita, che immediatamente si impregnarono del colore del suo sangue. Non tentò neppure di tamponarla, ben conscio che anche i medici più esperti avrebbero faticato a salvarlo da un danno simile.
Alzò il viso verso Nazir, che aveva creduto un amico. Sotto i suoi occhi stavano già formandosi delle borse, e ai loro angoli si formarono due pesanti lacrime salate. Il suo volto era coperto di sudore freddo e pallido, come quello di una persona prossima allo svenimento.
Alzò un palmo, arrossato dal suo stesso sangue, e lo mise innocentemente fra lui e il traditore. Vi accennò con le poche energie rimaste.

« ...Rooi; come il mio sangue. »
Poi cadde sulle ginocchia e si stese sulla sabbia; esanime.
Nazir assunse una smorfia indispettita, ferito dalle ultime parole di Alexei. si congedò dal corpo sputandovi sopra, prima di rivolgersi ad Adara e Zaria, che gli risposero con un semplice cenno del capo.

« Voort te gaan met die ritueel. »
« procedete con il rituale. »

8tmxw

Quando si alzò la sabbia, Raymond aveva appena eliminato il primo gigante.
Era stato uno scontro lungo e per nulla semplice; il suo corpo era martoriato dai lividi provocati dal continuo rotolarsi sulla sabbia, e segnato ovunque dalle armi dei troll. Un taglio sulla fronte gli impediva di tenere l'occhio destro aperto, ma riuscì comunque a scorgere le due figure familiari che scendevano dalla duna poco distante.
Adara e Zaria, nei loro abiti sontuosi e dorati, stavano raggiungendo il luogo del combattimento.
Il suo viso si schiuse in una radiosa espressione di gioia, mentre la sua mente sottolineava l'ironia della sua felicità nel vedere arrivare le persone che più aveva disprezzato all'interno dell'accampamento. Nazir doveva aver sentito il suo appello, infine: per lunghi istanti aveva creduto che per loro non ci sarebbe stata più alcuna speranza, sentendo le proprie grida d'aiuto disperdersi nel vento.

Adara e Zaria - le due streghe - si posizionarono a due lati del campo di battaglia, diametralmente opposte, liberandosi con semplicità di quei troll che le avevano adocchiate come prede particolarmente semplici. Lì scesero da cavallo, e iniziarono a sciorinare una lenta nenia incomprensibile, che non differiva granché dal tono con cui Raymond intonava i propri rosari al Sovrano.

Si alzò la sabbia.
Prima lentamente, come sospinta da una mite brezza estiva; poi più velocemente, in circoli tutt'intorno ai combattenti; infine si trasformò in una vera e propria tempesta di sabbia, seppur localizzata unicamente nella zona dello scontro.
La polvere vorticava ovunque, accecando i contendenti e, in breve, finì con l'impedire a chiunque la lotta. Sia orchi che umani abbandonarono le proprie armi lungo i fianchi, alzando le braccia nel tentativo di riparare gli occhi da quella tempesta così opprimente. Raymond fece ovviamente lo stesso, lasciando uno spazio fra le dita della mano che usava come schermo per guardarsi intorno.
Inizialmente non notò alcunché di strano nello sconvolgimento climatico, per quanto fosse anomalo. Poi se ne rese conto:
vide la sabbia insinuarsi fra le vesti dei pelleverde, abbracciandoli e strisciando contro i loro corpi come fosse fatta da mille serpenti; vide la sabbia prendere vita, formare lunghe spire ruvide in grado di muoversi con sorprendente rapidità; vide questi tentacoli infilarsi nelle gole, nei nasi e attraverso la pelle dei suoi nemici
che lentamente
andarono in pezzi.

Come non fossero stati altro che statue d'argilla colpite da un randello, i corpi di quei pelleverde che si vedevano stritolati dalle sabbie si irrigidirono lentamente come pietra, per poi infrangersi come uno specchio. Ciò che rimase di loro non furono che pietre sconnesse che ricordavano incredibilmente nella forma chiare parti del corpo, quali mani, piedi, o addirittura visi pietrificati nell'orrore di ciò che stava accadendo. Cocci che stavano già tornando ad essere sabbia inerte del deserto.


Il Lancaster non poté che restarne inorridito, ma le grida che gli giungevano alle orecchie gli fecero notare un'atrocità ben più grande di quella che stava già avvenendo nei confronti dei pelleverde.
La stessa cosa stava succedendo a tutti gli uomini sul campo di battaglia.

Con gli occhi tracimanti di panico vide un bedouin andare in pezzi poco distante da lui, senza possibilità di errore. Le urla di terrore che gli giungevano da tutte le direzioni non lasciavano dubbi sul fatto che le stesse atrocità stessero accadendo ovunque sul campo di battaglia.
Stava per riprendersi; stava per gridare il nome di Nazir; stava per chiedere spiegazioni
quando sentì la sabbia strisciare su di sé.
Fisso la spira con orrore e tentò di liberarsene agitando la gamba. In breve, come se fosse stato il suo stesso movimento a richiamarle, molte altre serpi di sabbia gli si avvinghiarono al corpo.
Di ciò che accadde dopo, il Lancaster non ricordò nulla.



CITAZIONE
Ecco a voi il finale della battaglia. Come avrete intuito - e come già avevo preventivato - vi ho usato come esperimento e, qualsiasi percentuale avreste raggiunto nella vittoria del contingente umano, questo non avrebbe cambiato gli avvenimenti di questo post (tuttavia, cambieranno altre cose che ci attendono nel futuro della quest). Grazie al vostro contributo ho potuto definire meglio alcune percentuali e alcuni conti: la prossima volta che adotterò questa modalità (e non sarà poi così distante) saprò gestirla meglio. Detto questo, le statistiche finali sono, contando anche l'arrivo dei giganti:

Percentuale di Vittoria:

Rooi Valke 30% / 70% pelleverde

mostri sul campo di battaglia [ImG]:

CITAZIONE
Assassini e cacciatori: i troll (creature alte poco meno di un essere umano, dalla pelle verde, esili, molto intelligenti e con la bocca irte di lunghe zanne da facocero) sono una delle minoranze appartenenti all'esercito dell'occhio di Gruumsh. Nonostante la loro assoluta devozione, tuttavia, le loro caratteristiche fisiche impediscono loro di dedicarsi anima e corpo al combattimento e anzi, molti di essi fungono per lo più da approvvigionatori per le truppe e medici di fortuna - i quali però che non hanno il talento nel così detto sciamanesimo, fanno dell'assassinio la loro forma d'arte: divengono maestri nell'infliggere colpi fulminei e letali, e esperti nell'infiltrazione e nel travestimento. Agiscono come spie, informatori, sicari, o strumenti di vendetta. Sono bene addestrati nell'anatomia, nella furtività, nei veleni e nelle arti oscure, le quali permettono loro di portare a termine missioni di morte con terrificante e spaventosa precisione. Fanno spesso uso di tecniche di mimetizzazione, di invisibilità e intrugli dalla dubbia provenienza; alcuni in grado di curare le loro ferite - sembrano anche in grado di identificare la posizione dei loro avversari con paurosa efficacia. Il loro evidente punto debole è il fisico gracile e debole, ben più sofferente di quello di un qualsiasi umano medio.

CITAZIONE
Sciamani: signori del mondo degli spiriti, gli sciamani seguono una tradizione divina leggermente differente da quella dei consiglieri e degli Hoëpriester: il loro mondo è pieno di potenti spiriti viventi, alcuni utili e altri maligni. Contrattando con essi lo sciamano ottiene potere sul mondo naturale e una possente magia con la quale aiutare i suoi compagni e punire i suoi nemici. Benché la stragrande maggioranza dei pelleverde possedenti questo dono siano per lo più troll, non è raro incontrare anche sciamani di razza orchesca, o addirittura goblinoidi. Lo sciamano funge da medico sul campo di battaglia, benché abbia anche una ampia conoscenza dei veleni e di alcune subdoli tecniche negromantiche: non disdegna neppure di rimpinguare il proprio compendio tecnico con qualche illusione e qualche offensiva psionica, benché la stragrande maggioranza di queste ultime siano troppo elaborate per poter essere utilizzate da troll disponenti le sole risorse offerte loro dall'occhio di Gruumsh. Come i barbari, infine, sono soliti cadere in una sorta di trance furiosa a un passo dalla morte, brandendo i propri coltellacci contro amici e nemici, nel tentativo di mietere quante più vittime è possibile.

CITAZIONE
Giganti: i giganti combinano la loro grande taglia con una forza ancor più grande, il che conferisce loro un'impareggiabile capacità di seminare distruzione su qualunque cosa o persona abbastanza sfortunata da porsi sul loro cammino. Hanno una reputazione di rozzezza e stupidità non del tutto immeritata, specialmente tra le varietà più malvagie - anche se i meno intelligenti fra loro possono dirsi comunque in grado sia di leggere che di scrivere fluentemente, come un normale essere umano. La maggior parte di loro si affida alla propria leggendaria forza per risolvere i problemi: ogni difficoltà che non ceda all'utilizzo della forza bruta non è degna di preoccupazione. Solitamente vivono di caccia e razzie, prendendo ciò che desiderano dalle creature più deboli: uno di loro è bastante per eliminare un intero villaggio, in fondo. Raggiungono l'altezza spropositata di cinque o sei metri, sono armati da giganteschi randelli - spesso ricavati dagli alberi più robusti - e dispongono di un'inusuale resilienza agli attacchi magici e alle illusioni, che li rendono tremendamente pericolosi in battaglia. Nonostante essi non siano propriamente dei pelleverde e non abbiano alcun sangue in comune con essi, venerano comunque Gruumsh e vedono nella sua armata personale l'occasione perfetta per concedersi razzie di vario genere e svago meritato: è nella loro natura anelare al combattimento e alla distruzione fini a loro stesse, dunque non possono che trarre giovamento dall'alleanza con l'occhio di Gruumsh - ciò che è chiesto loro in cambio, in fondo, è solo di venerare una divinità con i loro stessi principi.

Il vostro prossimo post potete strutturarlo con le regole dei precedenti due per contrastare l'arrivo dei giganti, ma è ovvio come andrà a finire: il rituale ha preso atto e voi ne sarete coinvolti come tutti gli altri. Al termine del post, dunque, perderete semplicemente i sensi; la narrazione riprenderà dal mio prossimo post da QM. Per le tempistiche, vi rimando al topic in confronto.

 
Top
J!mmy
view post Posted on 3/11/2012, 17:35




C’era qualcosa di malvagio nell’aria, qualcosa che punzecchiava le narici con un aspro odore di lercio più di quanto le centinaia di maleodoranti carogne – tra morti e presunti tali – già non facessero. Ma il sapore del sangue tra i denti, la saliva in eccesso che impastava la lingua, il sudore freddo che imperlava la fronte e la gola tesa in un rapido fremito d’ira: niente di tutto questo era mai abbastanza, in guerra.
Mentre l’ennesimo corpo esanime si accasciava ai suoi piedi, scolpito a braccia in avanti in quel suo orrendo sforzo di afferrare il proprio carnefice, Rekla sfilò la lama nera come pece dalla carcassa e si fermò.
Nell’accatastarsi imprescindibile di carne su carne, di caos su caos, di grida su grida, allungò lo sguardo molto oltre dinanzi a sé, e ciò che vide fu il nulla assoluto. Una strana percezione le attanagliava lo stomaco, ma i suoi sensi smentivano ogni pessimo pensiero, ogni presagio e ogni ipotesi. Tutto era figlio del caso. Per un attimo le parve di sentire tozze e gigantesche dita protendersi sui suoi fianchi e spingerla, muovendola così come si muove una pedina su di un'immaginaria scacchiera, portandola ad affondare a destra e a sferzare a manca quasi meccanicamente. Sentiva di non essere più padrona di se stessa.
Sembrava quasi che un vizioso dio stesse prendendosi gioco di loro, illudendone le menti con la vana speranza di vittoria per poi rigurgitarli nuovamente nel baratro della sconfitta.
Di nuovo, infatti, erano in netta minoranza.
Ne era certa: qualcosa di perfido aleggiava nel fuoco incombente della guerra.
Com’era potuto accadere che gli orchi diventassero tanto forti e organizzati? Come avevano potuto concedere che acquistassero una simile indipendenza su territori che loro avevano occupato e che il loro sudore aveva battezzato? Il solo permettere ai pelleverde di solcare quella sabbia era un affronto a tutti coloro che erano caduti nella corsa alla riunificazione di un regno sepolto dalle sue stesse ceneri. Gli orchi erano assai peggio di una minaccia, adesso: erano un oltraggio!

« Nazir...! »
Una voce familiare la colse alle spalle con una tale violenza che faticò a ignorarla, quindi si volse. Contro ogni previsione, tra scatti e schivate, era finita a soli pochi passi dal Lancaster, le cui grida ora sfregiate di paura gremivano il campo sormontando le restanti mille dei soldati attorno a lui; soldati che avevano fatto della lotta alla sopravvivenza il loro unico reale vessillo, questo era certo.
« Il rituale, Nazir! Chiama Adara e Zaria; PRESTO! »
Rituale? Quale rituale? Quante altre cose le erano state precluse?
Nel furore della battaglia, Rekla ebbe l’impulso di correre verso Raymond, stendersi su di lui e schiaffeggiarlo fino a scorticargli le guance, fino a che ogni parola che le aveva tenuto celata non fosse sgorgata fuori come acqua limpida da una fonte, fino a che non avesse implorato pietà per la sofferenza patita. Benchè Raymond non fosse certo uomo da simili piagnistei, la Nera sentiva in sé la rabbia logorarla dall’interno e il furore montare alle tempie appannando ogni stralcio di razionalità rimasto: era stato per lui che aveva spinto i suoi uomini al macello; era stato per lui e per quella fottuta pretesa dei corvi che aveva osato più di quanto le fosse concesso. E ora, che la vita si spegneva come lucciole al sole, Rekla si pentiva di ciò che aveva deciso, di ciò che aveva lasciato che facessero di lei e delle sue fedeli Tenebre. Ed era di quel mentecatto di un Lancaster la dannata colpa: che diavolo si era messo in testa? Che diavolo avevano creduto di fare, tutti?
Scattò in avanti, come a volerlo raggiungere, come a voler chiudere i conti lì e subito, quando un nuovo e ben più grosso impedimento la intralciò: una coscia di carne livida, massiccia, molle e ricoperta di svariate pustole incrostate di pus ed esalanti un fetore nauseabondo che avrebbe fatto invidia al più decomposto dei cadaveri s’incastrò tra lei e il capitano sbucando come dal nulla. Rekla si fermò e sollevò lo sguardo. Ciò che vide non fu certo più allettante di quella putrida coscia di carne verde, però: un gigante, della peggior specie e fattura, proprio lì, proprio su di loro.
Ben presto anche altri suoi fratelli si unirono allo sfacelo, torreggiando con le loro ispide barbe nere, coi loro sadici sorrisi privi di denti e coi loro minacciosi randelli di legno scuro. Quello che le era più vicino piegò il collo verso il basso, piantandole addosso quei suoi torvi e famelici occhietti gialli, talmente piccoli fin quasi da perdersi tra le crespe di pelle in eccesso del volto, un volto del tutto povero di espressione o forma alcuna. Il solo guardarlo bastò a darle il voltastomaco.

« Via! » urlò a squarciagola.
Raymond doveva attendere. Abbatterli da soli era pressoché improbabile; limitare le perdite, invece: quella era l’unica mossa con un minimo di buonsenso che potessero concedersi, per quanto gliene fosse rimasto ben poco, dopotutto. Le corde vocali esplosero in un torrido inferno di dolore: erano solo all’inizio, eppure avevano già perduto.
« Tenete la posizione! » berciò in un estremo tentativo di preservare quel vacuo riverbero d’ordine conquistato
« Non dategli spazio! Restat... ! »
Ma era troppo tardi ormai.

fe6812cecbf6102396ae307

Issandolo come un’imponente stele di roccia, l’energumeno distese il braccio armato sulla giovane e ignara regina dei defunti. La mazza svettò su di lei con gravità, allungando colossali ombre corvine sotto la cui egida Rekla non poté che sentirsi minuscola, e insignificante, e debole. In un attimo le scorsero davanti ricordi di una vita di cui non avrebbe certo detto di sentirsi fiera ma che, nel bene o nel male, aveva forgiato il tremendo essere che era diventata.
Non avrebbe ammesso che un’accozzaglia di lardo e sudiciume le osasse mancarla di rispetto più di quanto altri, prima di lui, non avessero già fatto. Un’ultima volta lanciò un’occhiata al Lancaster, delusa, prima di dimenticarsene e prodigarsi in un’agile piroetta laterale. Il randello impattò sul terreno con violenza, sbalzandola di alcune falcate più indietro.
La Nera, però, non perse tempo in futili constatazioni: recuperò prontamente la Constantine, ne serrò l’elsa con rabbia e schivò una seconda ma meno pericolosa percossa orizzontale del gigante, fino a raggiungere le sue ginocchia e immergere trasversalmente la lama nei tendini della gamba. La bestia precipitò con impeto, cadendo come un uomo qualsiasi, gemendo come un uomo qualsiasi e – quando la donna gli fu sopra e spinse l’acciaio nella sua fronte – tacendo come un uomo qualsiasi.
Niente poteva più lenire la furia che tracimava dalle sue viscere.
Ma era esattamente qui che si sbagliava.

« Tenebre, intorno a me! »
Non sapeva se per via del naturale spirito di conservazione che quella sua ammorbante parte umanoide proiettava ancora in lei, o se per la sola e irrefrenabile convinzione di non cedere neppure un altro singolo passo alle creature che più di tutte detestava e temeva, ma quel comando saettò comunque per il campo come se vi fosse ancora qualcuno davvero in grado di obbedirvi.
Perché per quanto si sforzasse di rinnegare ogni pessimo presagio, la realtà tornava a tormentarla gravida di desolazione.
« Tenebre! Intorno a me, ho detto!!! »
Ma ciò che ottenne di rimando fu solo un’acida stilettata di dolore alla bocca dello stomaco. A socchiudere gli occhi le sarebbe parso di udire persino remoti granelli di sabbia picchierellare sul fondo di un’invisibile clessidra e scandire secondi sempre più lunghi, sempre più, sempre più. D’un tratto, poi, i granelli cessarono di rincorrersi. Il tempo parve sospendersi il tanto bastante da farle chinare il capo e vedere il nodoso tronco di un’immensa falce scagliarsi sul suo addome, nell’esatto punto in cui la fitta aveva preso a divampare.
Volò, come carne rancida priva di utilità, come avanzi di pasto maciullati; reliquia di una dama temuta da molti, troppi perché potesse ancora albergare in essa la stolida illusione di scorgere volti amici, in quel miasma venefico di morte e fiamme.
E, di nuovo, quella strana e amara sensazione: era una bambola di stoffa balzata da un cornicione troppo stretto e giù fino ad affogare nel fango della strada, sola, biasimata, scansata neanche fosse peste. Il petto ridusse la profondità dei respiri, accoccolandosi lentamente nel suo letto di sconforto e delusione.
Sentì la sabbia scivolarle addosso, accarezzarla e graffiarla.
Infine...
...

... il silenzio...

...

..


CITAZIONE
Rekla Estgardel
la Nera Regina
––––––––––––––––––––––
Stato Umano
{ Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }

––––
« Energie: 76 - 2 - 2 = 72%
« Stato fisico: ferita da taglio alla coscia destra, molteplici fratture allo sterno.
« Armi: Constantine • sfoderata

Attive...
Nessuna

... e passive

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Nel principio, la Riluttanza
Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.


.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.

.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.

Vizio dell'Animo • честолюбие
Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)

An endless guard
In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro.
{ Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. }

Note
Alcune precisazioni:
- ho scelto due bassi per i rispettivi due comandi "Tenebre, intorno a me" e "Tenebre! Intorno a me, ho detto" non per una questione di furbizia ma perchè, date le circostanze, ho ipotizzato che i soldati siano in una tale difficoltà da non tenere in gran conto i comandi impartiti loro; ergo la potenza bassa di entrambi i comandi, oltretutto identici tra loro.
- invece di svenire per via della sabbia, ho ipotizzato inoltre che - dopo averne abbattuto uno - Rekla perdesse i sensi per via di un fortissimo colpo subito allo stomaco da un secondo gigante, rovinando a terra e venendo solo allora raggiunta dalla sabbia.
- Rekla è molto irata nei confronti di Raymond, dacchè lo ritiene responsabile per aver spinto lei e i suoi uomini al macello e si sente tradita per non essere stata messa a conoscenza del fatidico rituale di cui sbraita il Lancaster. Si, lo so, Rekla è molto suscettibile.

Spero il post vi sia gradito.

 
Top
view post Posted on 4/11/2012, 12:53

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,537
Location:
Oltre la Barriera.

Status:


Nessun essere umano potrebbe mai essere preparato ad assistere all'orrido spettacolo che di lì a poco si parò davanti agli occhi dei guerriglieri del deserto. Stanchi e provati dal fallimentare assalto, insanguinati e desiderosi più che mai di rientrare all'accampamento e bere un sorso di buon vino allo scampato pericolo, niente li avrebbe resi più felici che trovarsi al riparo delle tende di pelle conciata che, in qualche modo, per molti di loro, significava casa.

Ma il boato che parve sorgere dalle viscere della terra annichilì anche gli spiriti più audaci, e quei tonfi, uno dopo l'altro, erano il tamburo di morte che risuonava nei loro cuori già sconfitti. Zaide correva zigzagando tra le fila scomposte dei combattenti, assestando fendenti di scimitarra e lanciando pietre dove vedeva un compagno in difficoltà; ma quando si accorse del fragoroso rumore di mostruosi passi che si avvicinavano fu già troppo tardi.
Non aveva mai visto un gigante.
La sorpresa per un momento le mozzò il fiato in gola alla vista di quella torre di carne che avanzava lenta ma inesorabile a schiacciare, afferrare e colpire tutto ciò che si trovava davanti. Non c'era tempo da perdere. Altri immensi esseri avevano fatto la loro comparsa sul campo di battaglia e non era difficile pronosticare come sarebbe andata a finire quella carneficina; spaventate ma lucide e pronte all'insensata lotta, una quindicina di persone si accalcavano indietreggiando attorno alla strega, e Zaide comprese che, per quanto valorosi, quei soldati non valevano niente senza un capo.
Scorse con la coda dell'occhio la carcassa di uno dei destrieri caduti, e corse a frugare nella bisaccia appesa accanto alla sella.
Ricordava bene: afferrò un lungo rotolo di spessa corda grezza e ne gettò un capo a un soldato massiccio che nonostante il sudore che gli ruscellava da sotto l'elmo di ferro sembrava il più determinato. Passò l'altro capo a Lot e fece segno agli altri di afferrare anche loro l'estremità della corda, e poi parlò in maniera concitata ma autorevole.

- Con la forza non otterremo niente, ma se giochiamo di rapidità e d'astuzia abbiamo ancora una possibilità. Vedete? Non ci sta guardando, siamo troppo vicini a lui. Dobbiamo riuscire a tendere la fune davanti ai suoi piedi e se siamo fortunati sarà troppo grosso per riuscire a tenere l'equilibrio. Agite con prudenza, ma rapidi. ORA!

Se inizialmente gli sguardi dei soldati si erano focalizzati con perplessità sull'esile figura dai capelli rossi che pareva volerli comandare, a poco a poco iniziarono ad annuire convinti, e una maschera di decisione indurì i loro volti nel momento in cui si misero a correre per tendere la folle trappola al gigante. Incredibilmente, funzionò.
Il mostro puntava a qualcosa di indefinito dietro le loro spalle, forse un cavallo ferito; distratto dalla preda, non notò minimamente le quindici formiche che si affannavano tra i suoi immensi piedi né l'improvviso ostacolo tra le caviglie, e cadde a terra con un ululato di dolore.
Zaide era pronta: impugnando la scimitarra a due mani la calò con tutta la sua forza sul muso del mostro, provocandogli un profondo taglio che lo fece ruggire di rabbia e dolore; contemporaneamente a lei, diversi combattenti che avevano assistito all'atterramento del gigante furono rapidi a lapidarlo di sassate che gli ferirono gli occhi e la bocca, quando infine si avvicinarono di corsa i soldati, ansanti ma trionfanti, che con precise sciabolate riuscirono a staccargli quasi completamente la testa.
Zaide represse un conato alla vista della brutta faccia martoriata ridotta a un grumo di sangue, e si chiese se quel gigante sapesse ciò che stava facendo, o era solo una marionetta al servizio di chissà quale forza oscura.

I soldati esultarono della morte del gigante e si prepararono a un nuovo assalto, galvanizzati dall'insperata vittoria verso il mostro; ma Zaide non volle prendervi parte.
Un fastidioso senso di inquietudine le serpeggiava nello stomaco. Vedeva Raymond combattere con valore ma allo stremo delle forze sul campo di battaglia: dov'era quell'altro uomo di cui tutti le avevano parlato con ammirazione e rispetto? Dov'era il capo di quella gente, svanito nel nulla quando i suoi soldati avevano maggior bisogno di lui? Zaide aveva mandato un uomo a cercare Nazir, ma non vedeva traccia né di uno né dell'altro.

Tossì, schiaffeggiata improvvisamente da un nugolo di sabbia che si era sollevato nell'aria immobile del deserto.
Gli occhi iniziarono a lacrimarle, pieni di granelli irritanti; rimpianse di essersi levata il turbante, che sarebbe stato certo utile a ripararsi dalle brevi tormente che imperversavano nel deserto.
Ma quella che si stava levando non sembrava una normale tempesta di sabbia. All'improvviso, tutto il campo di battaglia fu velato da uno strato opaco che impediva di vedere e respirare, e la battaglia si fermò. Amici e nemici presero a correre a casaccio nel tentativo di ripararsi da quel flagello che si stava abbattendo su di loro, e Zaide cercò riparo tra le zampe del cavallo caduto, schermandosi gli occhi con un braccio nel tentativo di capire cosa stesse accadendo ai suoi compagni.
La sabbia si sollevava in ampie volute, ma non sembrava seguire il normale andamento di una tempesta mossa dal vento rabbioso del deserto; era una cosa viva che si muoveva e cercava le sue vittime per avvolgerle in una coltre impenetrabile.

E sgretolarle.

Zaide trattenne a stento un urlo d'orrore quando vide uno dei soldati che avevano combattuto il gigante bloccarsi, immobilizzato dalla tormenta, per non muoversi più. Sotto lo strato di sabbia che lo ricopriva non si vedeva più pelle, ma solo altra sabbia. E quando il vento la soffiò via, del soldato non era rimasto nulla.

Magia nera.
Zaide si diede della stupida per non aver capito, per non aver fatto nulla per impedire quella trappola mortale: ora che lasciava i suoi sensi liberi di cogliere ogni vibrazione dell'energia circostante, avvertì chiaramente il flusso di un rituale oscuro in atto, e il pensiero le corse immediatamente alle vaghe parole che aveva sentito all'accampamento, quello che pareva un secolo prima, tra Nazir e due donne ammantate di mistero.
Cercò di drizzarsi sulle ginocchia contrastando la furia degli elementi, e le parve di scorgere, alle estremità del campo di battaglia, le due fattucchiere velate e intente a formulare i loro arcani. Ma forse era solo suggestione. Il vento la schiacciò di nuovo a terra, riempiendole la bocca di sabbia.

Era furiosa.

Con Alexei, per averle propinato quella manfrine di sciocchezze sull'altruismo e sull'aiutare i feriti del deserto. Con Nazir, per aver abbandonato i suoi uomini nel più vigliacco dei modi. Con Lot e Eldar e tutti coloro che avevano combattuto con lei, per essere morti, uccisi da un tradimento senza senso.

E con se stessa, per aver creduto anche solo per un istante che potesse esistere un'altra vita fatta di ascolto e sostegno, che potesse esistere un'alternativa alla torre d'avorio in cui si era chiusa per non soffrire, per non chiedere, e per non dare mai. Stolta.
Non esisteva nient'altro, né avrebbe mai potuto esistere altro al mondo, che una perpetua lotta per la sopravvivenza dove chi pensa a se stesso vive. Una coltre di nebbia offuscò i suoi sensi, già ottenebrati dalla sabbia che non poteva più contrastare.

png
























Il corvo vola da solo, Zaide.
Non dimenticarlo più.





Zaide

°concentrazione [+2]
°intuito [+2]

[c. 29%; a. 13%; m. 5%; b. 1%]



Zaide affronta uno dei giganti giocando d'astuzia, conscia della sproporzione fisica tra il mostro e i soldati; impartisce un ordine [Basso], e fa in modo che gli uomini tendano una corda ai piedi del gigante così da farlo inciampare. Una volta atterrato, lei stessa e numerosi altri combattenti lo finiscono a colpi di lama e sassate. Al sopraggiungere della tempesta di sabbia, trova parziale rifugio dietro la carcassa di un cavallo e assiste alla morte dei suoi compagni, oltre che dei nemici; avverte la presenza della magia nell'aria [Passiva] e intuisce il tradimento. Se fino a poco prima Zaide era affascinata all'idea di una possibile vita comunitaria, ora è più che mai tornata alle sue vecchie convinzioni che solo chi pensa a sé sopravvive...


Energia:
64% - 1 = 63%

Stato fisico:
ferita da artiglio alla spalla sinistra aggravata dalla presa ferrea di un non morto, lividi e contusioni a braccia e gambe; sfinimento dovuto alla tempesta di sabbia.

Passive:
[Passiva di ammaliamento psionico; a seconda dei comportamenti di Zaide e ad interpretazione del personaggio che subisce la tecnica, può istillare in lui lussuria nei confronti della strega o terrore - sta alla vittima decidere quale delle due, coerentemente ai comportamenti e all'aspetto assunto da Zaide]
[Disciplina ferrea e dedizione, ma anche un’innata predisposizione nei confronti di tutto ciò che riguarda la sfera delle conoscenze arcane, sono alla base della capacità di Zaide di percepire istintivamente ciò che è magico attorno a lei, permettendole di svelare illusioni ambientali e avvertire attacchi magici anche alle proprie spalle]
[La portata del suo sapere magico è tale che ogni sua tecnica di natura magica provocherà danni di un livello superiore rispetto al consumo utilizzato, a fronte di una diminuzione delle tecniche fisiche di pari natura]

Armi:
Scimitarra
20 pugnali da lancio (11 utilizzati)
Athame del corvo
Athame delle anime

Attive:
Ordine verbale [Basso]



 
Top
Vrastax Victorian
view post Posted on 4/11/2012, 13:08




Il sangue che sputò da fuori la bocca macchiò la terra ancora più di quanto già non lo fosse, più volte il piede del Vittoriano era finito dentro quelle pozzanghere fatte di piscio e liquido rosso, più volte la sua faccia era finita dentro di esse. Durante tutta la battaglia però sembrava non essersene accorto; aveva ferito molti altri nemici e qualcuno tra loro era pure morto dissanguato ma Vrastax era comunque stato colpito, più e più volte. Ogni secondo che passava in quel mondo la sconfitta si faceva più certa, e i suoi colpi di spada facevano sempre meno male. Si fermò ingoiando ora parte della sabbia che aveva tenuto in bocca, grazie anche al sangue che aveva irremovibilmente preso posto tra la lingua e il palato.
Il sapore aspro e caldo gli fece strizzare gli occhi, dopo tutto quel tempo non era ancora abituato al gusto acre del suo sangue che al tempo stesso sapeva di metallo. A dire il vero non era nemmeno rosso, aveva tonalità più spente, più vicine al grigio e al nero.
Ogniqualvolta si girava i suoi occhi finivano per incrociare quelli di un nemico e mai di un amico, non credeva di essere rimasto l’unico, non poteva essere rimasto solo lui. Fu un pensiero che lo scosse fortemente, si era promesso di proteggere tutti i suoi compagni e ora invece era rimasto col difendere se stesso e i suoi fratelli.
I pelleverde e i troll della morte avevano preso il sopravvento, in ogni parte del campo di battaglia due di loro uccidevano tre beduini e adesso il numero dei soldati si era talmente assottigliato da poter vedere più cadaveri che spade puntate in alto. Strinse i denti e si irrigidì. Alcune parti dell’armatura si erano come deformate e per questo respirava a fatica.

Non arrendetevi, non ora, l’avrebbe detto se non fosse stato per un volere quasi interiore di scappare di dire ai suoi compagni di ritirarsi. Ci pensò a fondo; la speranza cominciava a spegnersi, lo poteva vedere negl’occhi di Shadr e degli altri. Chi era sopravvissuto tra loro? Le ferite dei suoi amici del deserto avevano il sapore di morte. Scosse la testa e schivo un attacco frontale di un pelleverde, spade e lancia si incrociarono in una danza di metallo che Vrastax conosceva molto bene: gli bastò spostarsi di lato tranciare le mani a quella bestia e trafiggerlo nel collo con un colpo di punta, tuttavia l’armatura lo rallentò e la lancia lo colpì al fianco, penetrando nel metallo e poi nella carne. La forza del Vittoriano però era assai maggiore di quella dell’avversario, prese la lunga asta con una mano l’estrapolò dal suo corpo e con un colpo secco tirò a sé il troll; non tranciò le mani no, ma decapitò la testa.
Era sfiancato.

« Non arrendiamoci! »

« E tu ti arrendi fratello? » La voce arrivò diretta, sibilante, carica di disprezzo. L’ombra del traditore si avvinghiò alla sua anima come un serpente con la sua preda. Si rifiutò di rispondergli; la sua morsa era forte e il suo respiro fece aumentare il battito del suo cuore. Non avrebbe mai immaginato che Umbrastax si facesse cosi avanti nella sua mente. Aveva sempre percepito i suoi pensieri ma non si era mai esposto più di tanto con lui, non pensava che in quella situazione potesse avvicinarsi cosi tanto. Chi l’avrebbe mai detto?
L’ombra era lì, vicino a lui. « Ti hanno tagliato la lingua fratello? »
Per un attimo lo vide in volto, aveva occhi bianchi, carichi di odio, uno squarcio, due squarci, tre anzi quattro, quattro squarci profondi che segnava il suo volto una volta perfetto, una volta bellissimo.
Quattro lunghe strisce che riempivano ogni parte della sua faccia. « Mi guardi fratello? »

Osava forse sfidarlo l’Ultimo? Non avrebbe potuto farlo anche se era con lui anche se era contro di lui.
Il volto scomparve fra tutti gli altri, i Vittoriani continuarono a osservare assieme a Vrastax quella battaglia che sembrava ormai essere persa. Non erano soddisfatti, il loro cavaliere del metallo non aveva combattuto come loro avrebbero sperato. Reagisci fratello, furono queste le parole che poté udire, non le sole però che arrivarono alle sue orecchie.
Una fra le molte che vennero gridate dai compagni superstiti fu giganti, giganti e giganti.
Un tonfo sordo, poi molti altri passi goffi e infine una moltitudine di rumori di ossa rotte, schiacciate e distrutte, le grida si fecero più acute e Vrastax fece un passo all’indietro, più confuso e preoccupato di quanto potesse immaginare ma non avrebbe demorso, non ancora almeno, non era stato addestrato per arrendersi ma per risultare vittorioso, sempre e in qualsiasi situazione beffarda e pericolosa.
Non avrebbe abbandonato i suoi uomini, sarebbe morto per loro.
E quando li vide da lontano credé davvero a quelle parole, non erano in molti certo ma la loro possanza faceva si che uno di loro rappresentasse dieci troll della sabbia. Assunse una posizione di difesa con lo scudo vicino al petto e la lama della spada puntata davanti a sé.
Respirò a ogni passo, ogni volta che chiudeva a apriva gli occhi, sempre più veloce. Respirò per ricordarsi che era ancora vivo. Un gigante lo vide, lo prese di mira. Doveva ucciderlo, l’avrebbe fatto se non fosse stato per il colpo che Vrastax aveva subito alla schiena da un secondo gigante. Cadde a terra, inarcando la schiena, contorcendola come una lucertola schiacciata, cadde in ginocchio digrignando con ferocia. Aveva perso il fiato tutto di un colpo; forse l’armatura aveva attirato la sua attenzione, forse la sua altezza, la sua forza e il suo coraggio. Qualcosa aveva attratto quelle creature verso di lui, qualcosa che Vrastax non riuscì a pensare. Il dolore si ramificò in tutto il corpo, non riusciva a muoversi ne ad urlare e tremò, convinto di morire.

« Mi guardi fratello? »
« Mi guardi fratello? »
« Mi guardi fratello? »
« Ti hanno tagliato la lingua fratello? »
« Ti hanno tagliato la lingua fratello? »
« Ti hanno tagliato la lingua fratello? »
« Ti arrendi fratello? »
« Ti arrendi fratello? »
« Ti arrendi fratello? »

Le parole fuoriuscirono dalle labbra come sussurri lontani, capaci di essere percepiti solo da lui e dal traditore. Gliel’aveva detto, aveva immaginato quel momento, l’aveva visto nel futuro dell’Ultimo.

« Non dovresti stare tu in quel posto ma... »

Vrastax non riuscì a sentire più nulla.
Ma diversamente poté vedere quello che accadde dopo, i giganti si fermarono anch’essi come meravigliati da quanto stava succedendo vicino a loro e vicino a tutti. Alcuni provarono a scappare mentre le immagini diventavano sempre più confuse e oscure, doppi compagni, doppi troll, doppi pelleverde, Vrastax vedeva male, alcuni furono assaliti dalla terra stessa. E’ un sogno si disse, è solo un brutto sogno. Le urla si fecero più taglienti e i chicchi della sabbia cominciarono a invadere gli occhi e la bocca, il naso e le orecchie, sembrava che la rena avesse preso vita ma non ci credeva, non ancora. Poggiò le mani su di essa, accasciandosi a carponi, poté vedere le dita sprofondare nella superficie poi anche i palmi e gli avambracci.
E’ solo un brutto sogno, svegliati, adesso puoi svegliarti.
Andò sempre più giù.
La ferita che sanguinava cominciò a coprirsi e a chiudersi, poté sentire la polvere avvolgerla, cosi come l’armatura sempre più appesantita dalla quantità immonda di sabbia che ne era entrata.
Sputò sangue un’ultima volta prima di lasciarsi andare.

« Perdonatemi non... »

Gli uomini stavano cadendo cosi come i nemici; i giganti avevano predominato fin dal momento in cui erano giunti sul campo di battaglia ma quella strana maledizione aveva preso anche le povere e immense creature che avrebbero potuto far finire quella difficile e sanguinosa battaglia. Forse per un attimo il silenzio prese il sopravvento ma alcune gole furono comunque aperte, alcuni crani frantumati e schiacciati, alcune braccia e gambe invece amputate mentre chi ancora aveva occhi per guardare poteva vedere il cambiamento di ogni previsione cattiva e buona a cui si rifacevano entrambi gli schieramenti.
Nessuno seppe chi vinse, nessuno forse seppe chi perse.






CITAZIONE
energie: 68% (svenuto)
stato fisico: leggera contusione alla spalla da caduta da cavallo, ferita al polpaccio più o meno profonda (danno totale pari a basso), ferita alla bocca e al fianco, botta alla schiena (danno totale pari ad alto)
abilità attive:
CITAZIONE
comando "non arrendetevi" con un consumo pari medio

abilità passive:
note:


 
Top
view post Posted on 6/11/2012, 16:55
Avatar

--------------------
··········

Group:
Administrator
Posts:
34,432

Status:


Aprì faticosamente gli occhi per un istante.
Il cielo era sotto di lui, e il terreno sopra.
Tutto pareva essere scosso da fremiti incontrollabili che portavano la sua testa pericolosamente vicina alla sabbia, costringendolo a respirare polvere. Ogni singolo muscolo del suo corpo gli doleva, e la sua mente inzaccherata non possedeva ancora la lucidità necessaria a lasciarsi alle spalle la spiacevole sensazione onirica che lo cullava in maniera maldestra.
Che cos'era successo? Doveva essersi addormentato.
C'era stata la carica e...
Carica? C'era forse stato un combattimento? Chi si era scontrato?
Alexei, ricordava di aver parlato con Alexei. In quell'istante era così difficile mettere insieme i pezzi...
Sentì molte voci intorno a lui, ma non riuscì a distinguerne le parole; infine, si rese conto di essere trasportato come un sacco di patate sulla schiena di qualcuno.
Quella consapevolezza gli diede la sicurezza necessaria a riaddormentarsi.

8tmxw

Quando si risvegliò del tutto, non seppe dire quanto tempo fosse passato.
Aprendo gli occhi vide l'ombra di alcune foglie di palma sopra di sé e venne infastidito da un pungente odore di bruciato.
Percepiva molto movimento intorno a sé, ma rimase steso fino a che non sentì di avere pieno controllo sulle proprie facoltà fisiche. Sentiva il dolore delle ferite riportate durante la battaglia, dunque non doveva essere trascorso troppo tempo dallo scontro; mezza giornata al massimo.

Sentì il suono cristallino di alcune risate fanciullesche.
Fu la curiosità indotta dall'estraneità di quella percezione a indurlo a sollevarsi del tutto.
Mettendosi seduto scoprì di essere all'esterno, al centro di quella che pareva una grande oasi. La sabbia sotto di lui era raffreddata dall'ombra delle piante, e alla sua destra poteva scorgere un modesto specchio d'acqua limpida.
Si trovava al centro di un piccolo recinto di quelli che vengono utilizzati per il bestiame, in compagnia dei corpi ancora privi di sensi di alcuni uomini con cui aveva combattuto. Allungando lo sguardo al di fuori della recinzione poté scorgere un grande accampamento simile a quello precedentemente visitato dei Falchi Rossi.
Non fu niente di tutto questo, tuttavia, ad attirare la sua attenzione.

Pelleverde. Ovunque.
Il campo era costellato di creature mostruose ovunque poggiasse lo sguardo: orchi che uscivano dai padiglioni; troll che rimettevano in sesto i feriti; goblin e hobgoblin che conversavano gutturalmente con piccoli gruppi di bugbear. Persino le risate bambinesche dalle quali era stato incuriosito appartenevano inequivocabilmente a un gruppo di piccole creature di razze promiscue, fra le quali si riconosceva quello che era senza ombra di dubbio il cucciolo di un gigante.
Ogni singolo pelleverde pareva impegnato nelle proprie attività quotidiane; c'era chi curava i bambini; chi distribuiva vettovaglie; chi si allenava poco distante impegnato in sanguinosi duelli; chi si occupava di rimettere in sesto i feriti e urlava a gran voce ordini in una lingua sconosciuta. Fra tutti loro, un gruppo particolarmente nutrito di orchi circondava la recinzione all'interno della quale si trovava Raymond e i propri compagni. Vedendolo sollevarsi, il più minuto fra loro aprì il cancello del recinto e gli si inginocchiò davanti, rimanendo in posizione accosciata.
Innanzi allo sguardo atterrito del Lancaster - paralizzato dall'incapacità di comprendere la situazione - l'orco lo studiò con grande interesse, prima di proferire parola.

« Wat is jou naam? »

La frase aveva indubbiamente la tipica inflessione di una domanda, ma Raymond non seppe cosa rispondere.
Come se l'assurdità della situazione non fosse sufficiente, l'orco gli parlava nella sua lingua natale che lui, ovviamente, non era in grado di capire. Si limitò dunque a balbettare una risposta senza senso, incapace persino di articolare i propri pensieri.

« Wat is jou naam? »
Ripeté l'orco, con la stessa inflessione.

« Io... non capisco cosa mi stai chiedendo... » affermò Raymond, dopo un lungo silenzio « ...non parlo la tua lingua. »
In tutta risposta, quello lo guardò con un'occhiata inequivocabilmente indispettita. Lo vide porsi le mani alla gola e, dopo aver dato un paio di colpi di tosse, schiarirsela.
Con uno sforzo mentale che a Raymond parve incredibile, l'orco riprese a parlare.
« Qual... esserè... nome? »

Il Lancaster, esterrefatto, si portò una mano al petto.
« Il mio nome? »
L'altro annuì con silenziosa accondiscendenza, come quando si insegna a parlare ai bambini.

« ...Raymond Lancaster. »
Gli rispose con forte esitazione, benché non gli venne in mente alcuna ragione valida per non farlo. Si trovava comunque oltre le linee nemiche, e concedere così facilmente il suo nome gli donò uno sgradevole senso di inquietudine. Tuttavia, come se l'interesse nei suoi confronti fosse scemato all'improvviso, l'orco si alzò con espressione scettica e si allontanò senza più rivolgergli la parola, come se Raymond l'avesse appena insultato. Senza poter neppure avere il tempo di chiedersi la ragione di quello strano comportamento, il pelleverde venne sostituito da un troll ben più esile, che gli si inginocchiò davanti.

« troppo lungo. » gli disse il troll nella sua lingua, seppur con un accento molto marcato e con voce spezzata dalle indecisioni lessicali « orke non rispetteranno mai te. »
Raymond quasi pianse di gioia nella realizzazione di trovarsi innanzi a un individuo in grado di comprenderlo appieno. Era il primo senso di sicurezza che aveva da quando aveva ripreso i sensi. Aveva così tante domande da porre, tuttavia, che in quell'istante l'unica che gli balzò alla mente fu la più insignificante fra tutte.

« Troppo lungo... cosa? » chiese, completamente ubriaco di assurdità « ...il mio nome? »

Il troll annuì con severità.
« groenleer usano nomi lunghi solo per Algemeen e Bejaardes » attese un istante, pensieroso « è forma di grande rispetto, che tu no ha ancora. »
« tu ha fame, Ray? »

Quella domanda lo lasciò attonito - come anche sentirsi chiamare con il nome del profeta del Sovrano, ma ancor di più lo fu vedendo il troll che lo aiutava a rialzarsi e lo conduceva fuori dal recinto. Gli orchi e gli altri pelleverde lo guardavano con un misto di sospetto e aspettativa; una sensazione che non riuscì a decifrare vedendola sui loro volti. Nessuno di loro sembrava tuttavia intenzionato a fermarlo e anzi, vedendolo barcollare lo aiutarono a reggersi in piedi perché seguisse il troll che pareva l'unico in grado di fare da interprete.

« Non... mi uccidete? »
Perfino lui fu stranito dall'estraneità di quella affermazione, ma il troll non si degnò nemmeno di guardarlo, nel rispondergli: fece un cenno di diniego col capo e continuò a farsi seguire.

« Dove mi stai portando? »
« a mensa. »
« E non hai paura che io possa fuggire? »

Solo in quell'istante Raymond aveva realizzato di non essere stato separato dalle proprie armi. Indossava ancora la sua armatura di cuoio al di sotto delle vesti stracciate dei Falchi Rossi e portava la scimitarra alla vita, annodata con la fascia che gli faceva anche da cintura, in bella vista. Niente in quell'istante avrebbe potuto impedirgli di afferrare l'arma e affondarla fra le scapole della propria guida, se non il timore di trovarsi al centro esatto di un vastissimo campo di pelleverde.
Il troll si fermò e allungò una mano alla sua destra; lì il campo terminava, e non vi era nulla da indicare.
Il Lancaster ci mise ben più di qualche istante per capire che l'interprete stava accennando col proprio gesto al deserto stesso.

« fuggi; dunque. »

L'importanza di quella risposta lo zittì del tutto.
Seguì il troll senza fare più domande e venne condotto in un padiglione di tenda di capra che odorava pesantemente di cuoio; lì un bugbear particolarmente peloso gli infilò fra le mani una scodella piena di liquido grigio che appariva incredibilmente disgustoso. Lo assaggiò con la punta della lingua e scoprì invece che la brodaglia possedeva un sapore incredibilmente genuino: sembrava essere una qualche specie di brodo di pollo, ma insaporito con una modesta dose di spezie esotiche; al suo interno vi trovò anche alcuni dadi di carne bianca dei quali si ingozzò voracemente. La situazione di percepito pericolo gli aveva messo indosso una fame incontrastabile, dunque non si prese neppure la briga di fermarsi a fare complimenti; d'altra parte, innanzi a lui, il bugbear cuoco sembrava particolarmente soddisfatto della sua ingordigia.
Terminato di mangiare venne condotto all'esterno del padiglione e, muovendosi fra le tende, poté assistere a numerose scene di vita orchesca. Nessuno dei pelleverde sembrava stranito o intimorito dalla sua presenza, né particolarmente interessato. La maggior parte passavano il tempo affilando le proprie armi, combattendo in fin troppo feroci duelli amichevoli o cantando a squarciagola. La loro goduria nel cantare sembrava essere inversamente proporzionale alla loro bravura nel farlo: si ritrovavano in gruppi, cori, singoli, duetti, trii, quartetti e chi più ne ha più ne metta a lanciare grida senza senso e prive di alcuna musicalità che, al primo acchito, a Raymond erano parsi i guaiti di una viverna trafitta a morte. I toni delle loro canzoni erano terribilmente primordiali e inconcepibilmente severi, ma l'atmosfera militare e il breve accenno a ritmi di marcia riuscirono a rendere un pochino più comprensibili quei cori al Lancaster.
Molti erano poi intenti a bere e mangiare, o a ridere e scherzare sui propri compagni intenti a sfidarsi nelle prove di forza più disparate: c'era chi duellava con le spade; chi si spingeva all'interno di un cerchio tracciato nella sabbia; chi giocava una rudimentale versione del braccio di ferro; chi lanciava tronchi; chi sollevava pesi incredibili e chi cercava di resistere in verticale per più tempo possibile.
A Raymond parve per un istante di trovarsi in un centro circense per culturisti.
Davanti ad alcune scene non poté che lasciarsi sfuggire delle timide risatine, che tuttavia vennero accolte dai pelleverde con occhiate dure e severe e tutto ciò che riuscì a guadagnarne furono numerosi insulti in lingua orchesca.
Infine venne condotto sulla riva dello specchio d'acqua, dove stavano giocando i cuccioli pelleverde. Un piccolo di gigante sembrava essere il centro della competizione, mentre tentava di colpire i minuscoli bambini goblin che gli zampettavano tutt'intorno. Rilassatosi a quella vista, Raymond riprese a parlare.

« Ho visto che non ero l'unico nel recinto. Perché non ci avete ucciso? »
« tu sopravvissuto a grande battaglia; questo è grosso pregio fra groenleer. Noi onorato ciò. »
« Ma siamo nemici. Come potete lasciarmi libero all'interno del vostro accampamento? » Raymond accennò ai cuccioli che giocavano poco distante « Potrei uccidervi, fuggire, o persino eliminare la vostra prole. »
« no nemici; avversari. Noi giocato grande battaglia; ora che battaglia finita, noi onorare te per bravura. »

A Raymond quell'atteggiamento ricordò quello fra competitori nei tornei e nelle giostre. Nemici sul campo da gioco, ma grandi amici al di fuori di esso.
« Questo vale per voi, forse. » affermò con una punta d'ira « Ma noi umani non possiamo dimenticare i vostri massacri compiuti qui, nel deserto dei See. »

« massacri? »
Il troll pareva sinceramente sorpreso.

« Non hai ragione di negarli. » continuò il Lancaster « Io stesso sono stato inviato qui per fermarvi. »

Il troll si fermò pensieroso, cercando di soppesare la propria risposta. Pareva stesse cercando le parole adatte.
« tu ha visto questi massacri? »

Glielo chiese con grande ingenuità. Quell'inettitudine - voluta o meno - fece scaldare ancor di più Raymond, che prese a gesticolare mentre parlava.
« L'intero deserto è costellato da quelli che sono stati senza dubbio campi di battaglia! » esclamò indignato « Ho visto morti ovunque sepolti fra le sabbie, anche fra le vostre fila; dovresti ben saperlo! »
« groenleer solo risposto ad attacchi; partecipato a spel, ma solo difeso. No c'è nulla da guadagnare da massacri. »

In preda all'agitazione, Raymond frugò fra le proprie vesti. Le sue mani incontrarono il pugnale di vetro lunare donatogli da Nazir e, poco più sotto, il messaggio che gli aveva consegnato il corvo a Basiledra.
La richiesta d'aiuto.
Senza aggiungere altro e cercando di contenersi, la passò al troll che la afferrò con ben poca eleganza.
Il pelleverde guardò la pergamena per qualche istante; poi sghignazzò.

« credo che tu sbagliato, dom. guarda questo: » e indicò il simbolo sul fondo della pergamena; quel simbolo a cui, nel corso del viaggio, Raymond non era riuscito ad attribuire un significato « questo è occhio di gruumsh. Noi mettere questo a fine di ogni testo così carta no ruba noi le parole dalla testa. »
« ...Cosa significa? »

Il troll rise sguaiatamente.
« che questo messaggio è nostro, no vostro. »

In seguito, gli venne spiegato tutto.
I pelleverde si erano ritirati dopo la battaglia del Crepuscolo; alcuni fra loro avrebbero condotto sì campagne contro la razza umana - oltraggiati dal comportamento che il fu Re che non perde mai aveva condotto nei loro riguardi, sfruttandoli come proprio esercito - ma la maggior parte fra loro decise che gli umani non erano altro che una razza meschina, dalla quale tenersi lontano. Nel corso della loro ritirata si sentirono abbandonati dal loro dio, e si rivolsero ai profeti e ai chierici che ora guidavano l'intera armata: quest'ultimi annunciarono che il loro unico dio avrebbe mandato loro un segno proprio nel deserto dei See, o nelle zone limitrofe.
Molti distaccamenti di pelleverde si erano dunque insediati in quella desolazione, fra cui il Die Res van Die Reisiger; il plotone appartenente al campo dove si trovava. Il loro obiettivo era quello semplicemente di attendere un segno del proprio dio, cercandolo il più lontano possibile dai centri abitati degli umani, che già una volta erano riusciti ad ingannarli.

Furono quindi attaccati dai Falchi Rossi senza che venisse loro data alcuna spiegazione.
Inconcepibilmente, erano stati i beduini a muovere guerra contro i pelleverde e, nel corso dei mesi, la situazione si era evoluta fino allo stato di cose attuale: i pelleverde non si erano certo ritirati e piccoli scontri avvenivano ovunque nel deserto, come quello a cui aveva partecipato Raymond con i suoi uomini.
Cosa aveva pensato Nazir per condurre i Falchi Rossi a quella crociata insensata? Fin dove si estendeva il suo tradimento, e quali erano i suoi piani?

« sopravvissuti a battaglia essere stati tu, uomo di ferro, donna rossa e koningin nera. »
Non gli fu difficile associare quei nomi ai visi di Vrastax, Rekla e di una sopravvissuta che aveva visto muoversi nella mischia dei combattimenti, particolarmente dotata.
« stanno in tue stesse condizioni. Uomo rosso essere invece più grave. »

« Uomo rosso? »

Il troll annuì.
« capelli rossi, vesti oro. Abbiamo trovato lui distante da campo di battaglia, scampato a rituale. »

Il viso di Raymond si spalancò in una genuina espressione di gioia.
« Alexei! »

8tmxw

Quando Rekla si svegliò, non lo fece nel recinto.
Si trovava all'interno di una tenda piccola ed angusta, particolarmente buia. L'odore di capra era fortissimo.
La sua mano sinistra doleva terribilmente, senza che vi fosse una causa precisa. Intorno a lei poté scorgere una figura massiccia che pareva studiarla dall'alto al basso.
Un orco allenato, aitante, maestoso.
Bara-Katal.

« Mi riconosci, Swart Koningin? »



CITAZIONE
Alla fine mi è venuto fuori un post persino più lungo del precedente; spero che risulti godibile.
Inizia ora la seconda fase della quest che, come ormai avrete capito, ci vede affiancati dagli stessi pelleverde con cui avete combattuto fino ad ora. Dimezzate la vostra energia residua rispetto al post precedente come effetto del rituale. Non siete guariti dalle ferite, che però rimangono della stessa entità
Il prossimo post andrà strutturato alla maniera da tavolo, come quello nell'accampamento dei Falchi Rossi. Avete una settimana di tempo comprensivo di quello necessario per decidere come muoversi in confronto. Date fondo a tutta la sorpresa del vostro personaggio e non esitate a concedervi esplosioni creative: sono preparato.

Piccole note: ovviamente se Raymond viene chiamato Ray, voi verrete chiamati Zai, Vras e Rek.
Zaide e Vrastax si svegliano nella recinzione qualche minuto dopo Raymond; Rekla invece all'interno di una tenda con Bara-Katal.
Sulla mano le è stato tatuato questo simbolo: [LiNk]



Edited by Ray~ - 6/11/2012, 17:46
 
Top
view post Posted on 11/11/2012, 11:58

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,537
Location:
Oltre la Barriera.

Status:


Quando Zaide riprese conoscenza cercò di allungare i suoi sensi in tutte le direzioni senza aprire gli occhi. La cupa oppressione che le aveva attanagliato il petto nell'inferno di sabbia non si era ancora dileguata del tutto, ed era meglio saggiare la nuova situazione con cautela.
L'odore di morte e paura che aleggiava sul campo di battaglia sembrava svanito, sostituito da un vago miscuglio di sudore e sabbia, unguenti medicinali e paglia, e qualcosa di simile al profumo fragrante del pane appena sfornato.
Con sorpresa, si accorse di avere le mani e i piedi liberi: d'istinto, aveva creduto di essere imprigionata. Voci sconosciute parlottavano una lingua incomprensibile non lontano dalla sua posizione, ma non sembravano minacciose né rivolte a lei. Aprì gli occhi, strofinandosi via dal viso la sabbia residua, e notò con sorpresa che tutte le sue lame erano al loro posto, appese alla cintola.
Cosa stava accadendo?

- ... noi solo salvato voi da fame di deserto; onorato buoni avversari.

Una voce rozza ma gentile giunse alle orecchie di Zaide; si sentiva ancora fiacca, ma strisciò nella paglia fino a spiare, non vista, quella conversazione. Onorato buoni avversari? Dunque i mostri che volevano sterminare avevano un codice d'onore?

- Combattimento è gioco - le parve di udire ancora. - Gioco dove più bravo è chi vive. Voi giocato bene.

Zaide non poteva essere certa di quello che udiva: altre voci si sovrapponevano a quel dialogo surreale, ma era certa che il senso del discorso fosse quello. Si sporse prudentemente al di sopra della balla di fieno che la teneva celata, e riconobbe con un tuffo al cuore lo sconosciuto che combatteva accanto a Raymond. Un'ondata di odio la pervase. Un gioco...Forse anche lui era in combutta con Nazir e gli altri in quell'insensato massacro.

- Sono sopravvissuti altri uomini, vero? Chi? - lo udì domandare.

- Una donna dai capelli rossi, il vostro comandante e la regina nera che ha combattuto nella guerra del Crepuscolo.

A Zaide questo bastò.
Il suo pensiero corse a Eldar, al viso lentigginoso del giovane Lot, e a tutti i valorosi senza nome che avevano combattuto contro il gigante al suo fianco. Per morire, sgretolati nella sabbia. Strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nella pelle: voleva farsi del male, provare dolore. A questo l'aveva portata quella sua sciocca credulità: si era rammollita, abbindolata dalla falsità degli uomini del deserto, e aveva rischiato di diventare una creatura ottusa e debole come tutti gli altri.
Si alzò piena di rabbia, ma lo sconosciuto si era già allontanato, diretto a una tenda poco distante.
Zaide si spolverò gli abiti dalla sabbia e lo seguì senza farsi notare. Non sapeva cosa gli avrebbe detto, o cosa gli avrebbe fatto.
D'istinto avrebbe cavato gli occhi a lui, a Raymond e a Rekla...Detestava i traditori e i meschini, e la loro complicità nel delitto era palese agli occhi della strega. Ma poi placò il suo animo in tumulto, ricordando a se stessa che l'impulsività ben di rado le aveva portato qualcosa di buono nella vita.

Si sentiva perduta e sola. E le mancava Caelian. L'avrebbe stretta tra le braccia e affondato il viso nei suoi capelli profumati di sandalo, ma soprattutto le avrebbe parlato e chiesto consiglio: sentiva il bisogno di una guida, di una mente saggia che le illuminasse la strada.

- Perdonami. - persa nei suoi pensieri aveva urtato un troll carico di vettovaglie. Non era dissimile dalle creature che fino a poco prima aveva considerato bestie da macellare, eppure ora riusciva a scorgere i quegli occhi cisposi una persona.

- No è problema - gracchiò con quello che parve un sorriso affabile.

- Parli la lingua comune? - Zaide era sorpresa. - Ti prego, indicami la tenda della vostra guaritrice.

Il troll inclinò lievemente la testa e la guardò con curiosità. - No guaritrice.

- Ci sarà pure una donna anziana, un'esperta di erbe e sapere...Il vostro popolo conosce la magia.

- Jaa...No qui. Qui solo mense di spel, gioco. Donne sono nostro skat. Noi teniamo nostro skat, nostro tesoro, in grande città.

Zaide era delusa e allo stesso tempo affascinata dall'affabilità di quella creatura. - Tu cerca saggio, jaa? - continuò, e la strega annuì curiosa. - Tenda di guaritori è là, tu chiede di shaman e loro aiuta. Ja?

Gli sciamani.
Zaide ripensò al massacro sul campo di battaglia, alla ferocia con cui lei stessa si era accanita sugli stregoni intenti nel rituale e represse un brivido inorridito. Ringraziò il troll, e rimase un istante immobile, incerta su come muoversi.

- Sei la donna dai capelli rossi che si è salvata, sono lieto di vederti ancora viva!

La conversazione con il troll le aveva fatto quasi dimenticare il suo intento originario di seguire lo sconosciuto, che ora le era di fronte e la guardava con visibile sollievo.

- Il mio nome è... - esitò un istante. Un istante di troppo. Falso, pensò la strega. Sei un uomo falso. - Il mio nome è Vrastax.

- Traditore! - sibilò la donna.
Con uno scatto felino aveva estratto la pesante scimitarra e gliel'aveva puntata alla gola. La mano ardeva dal desiderio di mutilare e torturare chiunque avesse cospirato a cacciarla in quella maledetta situazione.

- Parla, Vrastax. - sputò il suo nome con rabbia. - Cosa sai di questa storia?

L'uomo parve sinceramente sorpreso dall'aggressione, ma non fece nulla per difendersi.

- Traditore? Se lo fossi stato non ti avrei di certo rivelato il mio nome, perché quindi darmi del traditore?

La strega non voleva cedere, anche se l'intuito le suggeriva che forse Vrastax era davvero estraneo al complotto. Una vittima, come lei.

- E di questa storia credimi, ne so meno di niente; devo andare dal comandante Raymond.

Lo sguardo di Zaide indugiò sulla cotta di ferro che proteggeva il corpo dell'uomo e le armi che si portava appresso. Se lo avesse voluto, l'avrebbe colpita e schiacciata prima ancora che lei potesse accorgersene.
Abbassò la lama e prese un grande respiro per calmarsi. Raymond. Che fosse lui la chiave di tutto, allora? E se loro quattro, i sopravvissuti, fossero davvero accomunati da un unico destino...di vittime?

- Puoi chiamarmi Caelian - mormorò la strega.

- Lasciami andare, ragazza baciata dal fuoco.

- Sia.

Zaide si scostò, lanciandogli una lunga occhiata inquisitoria. Non aveva mentito, ne era certa. Ed era stanca di essere avvolta nella cecità dell'incomprensione.
Scrollò la testa, e voltò le spalle a Vrastax, a Raymond e tutto ciò che per lei non aveva significato.
Individuò rapidamente la tenda dei guaritori e vi si diresse, in cerca di risposte.
Quando scostò i tendaggi di pelle che celavano alla luce del sole i letti dei feriti, Zaide si ritrovò immersa in una penombra che le echeggiò familiare nella memoria; alcuni sciamani erano intenti ad applicare impiastri curativi dall'odore intenso sulle ferite più gravi, altri mormoravano nenie nella loro lingua melodiosa e altri ancora erano chini su antichi tomi in un angolo più buio della tenda.
La strega ne fu inevitabilmente attratta.

- Salute a te, Shaman.

- Salute a te, Rooivrou - le rispose l'anziano sciamano - E' un piacere vedere che ti sei ripresa.

Zaide sorrise. Lo sciamano sembrava bendisposto nei suoi confronti, e lei avvertiva potentemente il fascino del sapere e della conoscenza antica che sprigionava da lui.

- Stai studiando?

- Sempre, Rooivrou. Non bisogna sottovalutare mai il potere racchiuso dai maestri antichi nelle pagine dei vecchi libri.

La strega annuì. - Io... Ho assistito al prodigioso incanto sul campo di battaglia.

Lo sciamano ammiccò. - Sì, so che l'hai visto. E' magia antica.

- Abbiamo combattuto da avversari, ma non potevo non ammirare la grandezza di quell'incanto. Se posso domandare...

- Puoi, Rooivrou.

- Da dove traete tanto potere?

Sul volto dello sciamano balenò una luce compiaciuta. - Rianimare corpi esanimi è molto semplice, in realtà. L'Unico ci concede questi ed altri privilegi, purché la nostra devozione sia genuina e il nostro zelo incrollabile. Gruumsh ci parla attraverso i chierici, ed è da lui stesso che ci viene donato il nostro potere magico.

- Gruumsh?

- Voi potreste definirlo "L'Unico", o "L'Idolo". L'unico dio che guida le nostre strade.

Zaide riflettè un istante, folgorata da un ricordo ormai sopito dalle mille peripezie affrontate negli ultimi anni. - Ma certo...Tutte le dee sono una sola dea, e tutti gli dei un solo dio...Come ho potuto dimenticare? - mormorò rivolta più a se stessa, sfiorando con le dita la cicatrice che le aveva marchiato a vita sul braccio il nome della Dea, dimenticata e tradita ormai più volte.

Lo sciamano annuì con aria solenne. - E' Gruumsh che guida i pelleverde nelle loro vite, nelle loro conquiste e ricerche: i chierici sono il tramite tra Gruumsh e il popolo, sono i chierici a indicare la via e dire cosa fare, dove combattere e cosa cercare.

- Ma vi ha condotti al massacro, stavolta.

Sotto lo sguardo severo dello sciamano, Zaide si morse la lingua nel timore di aver osato troppo.

- Gruumsh ci ha guidati nel deserto - continuò lui con una punta di amarezza, ma senza dar segno di essersi offeso per il commento impertinente - nella ricerca dell'oggetto sacro che ci avrebbe ridonato la luce dopo la tenebra calata su di noi dopo la guerra del Crepuscolo. Tuttavia - proseguì - nonostante l'Idolo sia magnanimo e i doni che ci conferisce siano grandi... - lo sciamano fece una lunga pausa, passandosi una mano raggrinzita sugli occhi, in segno di stanchezza - ...non sono stati sufficienti a salvarci dall'incantesimo pagano lanciato da voi umani.

Zaide non seppe cosa rispondere.
Gli occhi infossati dello sciamano indugiarono su un punto alle spalle della strega e lei si voltò, seguendo il suo sguardo. Le ferite visibili sui pelleverde in agonia nei letti più vicini non erano normali segni di battaglia. La pelle era crepata e sgretolata come roccia bruciata dal sole, e, sebbene vivi, alcuni di loro sembravano inesorabilmente condotti alla fine tramite pietrificazione.

Zaide sospirò. - Non è stata una lotta giusta, ora lo so.

- No, non è stata una lotta giusta. Avete usato un rituale arcano che va oltre le leggi della magia. Un rituale che avrebbe potuto risplendere unicamente nel tradimento, ovviamente.

La sua voce si era indurita e la strega comprese che, nonostante la sua gentilezza, lo sciamano includeva anche lei nel novero dei traditori.

- Siamo stati traditi quanto voi, Shaman. Abbiamo combattuto credendo in un falso dio, che ci ha condotti alla rovina; io e pochi altri siamo sopravvissuti, ma ad un prezzo che non avremmo mai voluto accettare.

- Non hai colpe Rooivrou - il suo parlare era tornato affabile - Ma le tue scuse sono ben accette. Non vi avremmo salvato se non avessimo compreso il tradimento che vi ha quasi eliminato.

Zaide gli porse una mano in segno di fratellanza, e se lo sciamano parve stupito da quel gesto insolito non lo diede a vedere. Strinse la sua mano rugosa in quella della giovane e la congedò con un sorriso: si sarebbero rivisti, e Zaide era disposta ad accompagnarlo in qualunque sua necessità, pur di apprendere l'antica saggezza degli sciamani.

Quando tornò alla luce del sole si sentì meno stanca, meno furente e meno livida di odio di quando vi era entrata.
Così non aggredì Raymond nel momento in cui incrociò i suoi passi, come forse avrebbe fatto pochi istanti prima.

- Sono felice di vedere che anche tu stai bene. - la salutò il comandante - Sembra che il deserto non ti riservi doni felici.

Zaide non riuscì a serbargli rancore. Nonostante l'aspetto di un grande condottiero, il suo volto tradiva stanchezza e angoscia.

- Non sono venuta nel deserto in cerca di doni...E non è di me che ti devi preoccupare, comandante. Hai una pessima cera.

Raymond sorrise debolmente, passandosi una mano sul viso scarno.

- Non è una delle mie giornate migliori, no. - Il suo viso tornò a incupirsi. - Ti ho coinvolta in una serie di eventi che non sono riuscito a prevedere, costringendoti a battaglie sanguinose e facendoti assistere ai più empi tradimenti.

La strega non era pronta a quella resa incondizionata: la sincera ammissione di Raymond la lasciò spiazzata e un sordo fastidio iniziò a renderla inquieta. Non voleva scuse, non voleva giustificazioni. Non voleva che Raymond fosse debole e sconfitto.

- Non l'avrei mai potuto immaginare; nessuna scusa giustificherà mai la mia incompetenza. Perdonami.

- BASTA! - esclamò Zaide - Se tu mi avessi incontrato solo mezz'ora fa, ti avrei puntato un pugnale alla gola come ho fatto con Vrastax - accennò col mento alla tenda. - Ma ora...guardaci: siamo quattro sopravvissuti a morte certa, in un accampamento di nemici che per qualche ragione non ci odiano. E' ora di tornare a camminare: i pelleverde seguono il loro Gruumsh...A noi non serve seguire alcun dio, ma un grande uomo. E cerca di non fare in modo che quel grande uomo sia la Nera Regina!

Non avrebbe mai pensato di poter apostrofare così quell'uomo, in effetti sconosciuto per lei, ma la rabbia aveva preso il sopravvento.
Aveva riconosciuto in lui un grande, e Zaide non gli avrebbe concesso alcun diritto di nascondersi sotto la sabbia come uno scorpione.






Zaide

°concentrazione [+2]
°intuito [+2]

[c. 29%; a. 13%; m. 5%; b. 1%]





Energia:
63% : 2 = 32%

Stato fisico:
ferite non gravi (artigliate e contusioni su tutto il corpo, in particolare spalla sinistra); stanchezza generale.

Passive:
[Passiva di ammaliamento psionico; a seconda dei comportamenti di Zaide e ad interpretazione del personaggio che subisce la tecnica, può istillare in lui lussuria nei confronti della strega o terrore - sta alla vittima decidere quale delle due, coerentemente ai comportamenti e all'aspetto assunto da Zaide]
[Disciplina ferrea e dedizione, ma anche un’innata predisposizione nei confronti di tutto ciò che riguarda la sfera delle conoscenze arcane, sono alla base della capacità di Zaide di percepire istintivamente ciò che è magico attorno a lei, permettendole di svelare illusioni ambientali e avvertire attacchi magici anche alle proprie spalle]
[La portata del suo sapere magico è tale che ogni sua tecnica di natura magica provocherà danni di un livello superiore rispetto al consumo utilizzato, a fronte di una diminuzione delle tecniche fisiche di pari natura]

Armi:
Scimitarra
20 pugnali da lancio (11 utilizzati)
Athame del corvo
Athame delle anime

Attive:
/



 
Top
Vrastax Victorian
view post Posted on 11/11/2012, 17:38




Sentiva una strano formicolio che gli percorreva tutta la schiena, aveva le braccia allargate e un ginocchio leggermente piegato verso l’alto. Il manto di sabbia che lo sosteneva sembrava essere un buon talamo per il suo corpo e quando aprì gli occhi lo scorpione che gli camminava vicino cominciò a farlo insospettire.
La prima cosa che pensò fu quella di chiedersi se si trovasse ancora sul campo di battaglia o in un altro e differente luogo, per via delle voci in sottofondo che sembravano rendere quel posto vivo. La seconda cosa invece fu domandarsi quando difficile sarebbe stato rialzarsi col dolore che avrebbe sicuramente incattivito la sua non tanto genuina espressione. La grigia armatura aveva cominciato a guarire dalle percosse che aveva subito ma la pelle del Vittoriano ci avrebbe messo molto di più per farlo. Non era passato poi molto tempo dalla fine della battaglia, di questo almeno ne era certo. Il caldo aveva intorpidito le sue ossa e aveva persino lasciato una piccola bruciatura sul palmo della mano, dove il guanto che la ricopriva era stato quasi del tutto lacerato.
La prima volta che provò ad alzarsi il corpo del Vittoriano sembrò maledirlo in tutto il suo torpore. La seconda volta accadde il contrario e alla terza entrambi trovarono un accordo: restare fermi.
Per qualche minuto Vrastax rifletté su ciò che era accaduto, sugli errori che aveva commesso, ebbe anche un cattivo presentimento che scacciò via in un attimo. Una cosa però era sicura: avevano perso quella battaglia, erano stati traditi, non sapeva come, non sapeva perché, aveva avuto modo di vedere ciò che li aveva sconfitti ovvero quella stessa distesa di terra e sabbia su cui Vrastax giaceva inerme – o quasi.
Rifiutò di continuare a pensare e senza esitare, e ricordare ancora il dolore, si issò di qualche centimetro dal suo giaciglio, digrignò i denti e piegò i gomiti mentre le mani sprofondavano sempre più giù verso l’entroterra.
Anche le ginocchia e gli stinchi assieme ai piedi trovarono il sostegno della sabbia, solo i quadricipiti non ebbero la meglio; cercò di alzare la testa ma l’aver assunto la posizione di un leone lo portò in realtà ad assomigliare più ad un iena, con lo sguardo basso e il corpo viscido. Strinse i denti mentre la saliva gli colava dalla bocca, più che saliva fu sangue raggrumato, più che sangue raggrumato fu semplicemente dell’ acquosa sabbia rossa.
Sbuffò con più ostinazione del solito quando si rese conto di trovarsi in una specie di prigione all’aperto, un recinto che non avrebbe potuto scavalcare in quelle pietose condizioni, poi però rifletté e guardò più lontano, oltre quel perimetro che lo rifaceva ad un animale da pascolo. C’erano delle persone e non c’erano delle guardie, o almeno questo accadeva di fronte a sé, non osò ruotare il collo e nemmeno il torace, a dire il vero non osò fare nulla finché, con stupore, non si rese conto di avere la spada nel proprio fodero e forse di possedere ancora lo scudo dei Vittoriani. L’Onore e la Pietà era invece conficcata poco vicino al recinto di legno, e per essere finita là, pensò, qualcuno l’aveva presa. E se quindi quella rudimentale prigione gli permetteva di avere libero accesso alle proprie armi forse proprio di prigione non si trattava.
Alzarsi ora non fu troppo difficile, il dolore continuava a non cedere certo ma la speranza di aggrapparsi alla sua picca e di avere di nuovo pieno possesso dei suoi poteri lo aiutò molto. Incurvato, chiuso con le spalle e tremolante riuscì ad afferrare il gelido metallo che componeva l’asta del Grifone. E tutto il peso, tutta la sofferenza sembrò essere rigettata in quell’apparente picca inanimata. Accasciandosi su di essa allungò lo sguardo verso quello che sembrava essere un accampamento, la vista era leggermente appannata e la confusione di Vrastax non lo aiutava di certo a capire cosa stesse accadendo. Era un accampamento, sicuro, ma di chi? Rifletté. Sentiva delle voci, erano confuse e distanti, irriconoscibili. Fece un passo avanti mentre notava l’uscita di quello spazio circondato da legni e legnetti. E quando i suoi occhi grigi incrociarono quelli neri e profondi di un uomo verde leggermente deformato e quasi nudo si convinse di essere in un sogno.
No.
Si convinse di essere in un accampamento di orchi. Suo rammarico si convinse anche di essere in un incubo, ancora peggio quando il dolore della schiena e il sorriso di quel pelleverde non svanirono ebbe come un coniato di vomito risalire dalle viscere: aveva capito di trovarsi nella realtà. Estrasse la spada contro quella creatura che continuava a sorridergli ma tremava e sapeva che sarebbe stato inutile tentare di combattere viste le sue pessime condizioni.

« Perché ci avete fatto questo? » Poco più di un sussurro involontario che non sembrò essere nemmeno il suo. « Questo cosa? » Rispose il pelleverde, nella lingua di Vrastax, con un accento strano. Il Vittoriano non riuscì a meravigliarsi più di tanto visto che praticamente aveva già raggiunto il picco di quello stato d’animo. « Noi solo salvato voi da fame di deserto; onorato buoni avversari. » E continuò offrendo al Vittoriano acqua sporca e carne secca; fu una chiacchierata lunga che portò i due a parlare per molto tempo. Aveva dolori da tutte le parti mentre solo rimaneva in piedi, e per un attimo gli sembrò di essere un anziano centenario con addosso il peso di tutta la vita, tanto era piegata la sua schiena.
Le parole di quel troll erano macigni di sofferenza per Vrastax, il rimorso e la paura di quel presentimento avevano innalzato una barriera di silenzi e semplici assenzi da parte dell’uomo di metallo che non riusciva ad allontanare. Per quanto forti potessero essere le parole del pelleverde che parlava di quella battaglia come un gioco e una prova di forza, che diceva che solo chi sopravviveva vinceva e chi moriva perdeva, Vrastax non voleva crederci, nemmeno quando disse tali parole. « Insignificante essere nome della fazione contro cui combattere. Noi portare qua voi per curare.[/color] » Si fermò guardandolo ancora senza nascondere alcun sorriso. « Noi portare qua te perché tu essere forte guerriero uomo di metallo. »
Se non fosse stato per la preoccupazione crescente Vrastax avrebbe pure ringraziato quel pelleverde ma era comunque un troll e il cavaliere si ostinava già a rivolgergli la parola normalmente, non credeva ancora molto a quello che stavano vedendo i suoi occhi. Ci fu un piccolo silenzio tra i due, il cavaliere ne approfittò per respirare più a fondo, gliel’avrebbe chiesto ora. Chiediglielo, fallo pensò con sforzo.
« Sono sopravvissuti altri uomini, vero? Chi? » Non voleva essere l’unico sopravvissuto di quella battaglia che non gli apparteneva anche se comunque aveva conosciuto meravigliosi alleati, teneva più a loro infatti che al risultato di quella guerriglia. « Una donna dai capelli rossi, il vostro comandante e la regina nera che ha combattuto nella guerra del Crepuscolo. »
Inutile fu il primo pensiero che gli balenò in testa. Sei una persona inutile si disse. « Donna nera marchiata, lei essere traditrice del popolo verde.
»
Il secondo pensiero andò a loro, agli uomini con cui aveva combattuto, a tutti quelli che aveva conosciuto.
« Il marchio del disprezzo noi chiamiamo. » Si sentiva debole Vrastax ora, non era riuscito a proteggere nessuno ma solo se stesso. « [color=#DF3A01]Chi possiede marchio essere criminale e creatore di disgrazie incredibili. »
Cosa stai dicendo troll? « Noi tutti odiare marchiati. Sì noi tutti odiare marchiati. » E poi parve continuare con quella voce piena di calma e lo vide addirittura sorridere, gli disse altre cose che a Vrastax ora poco importavano e quando ebbe finito arrivò finalmente il momento del paladino.
« Nessun altro? » Sussurrò con difficoltà. « Nessun altro è ancora in vita? »
Questa volta nell’espressione del troll parve nascere il dubbio, aggrottò la lunga fronte verde che aveva finché non assunse un espressione buffa, quasi ingenua, porse il labbro inferiore in avanti cosi da far vedere ancora di più gli strani aggeggi di metallo che pendevano dalla sua carne e, non appena passò il palmo della mano nel viso, parve trovare la risposta alla domanda di Vrastax.
« Sì, uomo del deserto: Alexei. Ma lui essere vicino morte, grave ferita ma tu tranquillo noi curare tuo amico. »
Alexei? E Shadr, Nazeem, Kayd, Amren? Dov’erano loro?
Non poteva crederci, un altro coniato di vomito parve assalirlo e questa volta tossì anche finché non sputò sangue e saliva. Molto spesso in battaglia la causa di un esercito che veniva sbaragliato e annientato aveva o la morte del comandante o il tradimento e la resa di alcuni. Vrastax ricordava abbastanza bene il suo passato: era già stato tradito da uno dei suoi comandanti, il generale Umbrastax, ricordava bene le sue parole e ciò che aveva fatto per eliminare ogni Vittoriano che componeva l’esercito dei Mille, ricordava molto bene ogni sua singola mossa che li aveva portati alla disfatta. E adesso il cavaliere sembrava rivivere il passato nella sua forma più pura e non avrebbe mai permesso che un generale venisse tradito da qualcuno dei suoi stessi uomini.
« Portami dal mio comandante, per favore... »
Era stato imponente pronunciando quelle parole e solo ora sembrava aver parlato con una voce che si rifaceva alla glacialità di un Angelo della Picca Velata.
« Portami da lui orco: devo parlargli. »
Il troll annuì notando la dura espressione di Vrastax, il paladino stava ancora cercando di nascondere quella sofferenza che avrebbe curato solo dopo aver incontrato Raymond, non aveva intenzione di perdere ancora tempo ma il destino era beffardo, non era ancora pronto a rivelarsi e volle fare aspettare l’Ultimo più del dovuto. Infatti poco dopo aver cominciato a zoppicare in avanti verso la direzione che il troll intendeva prendere Vrastax notò la figura di una ragazza che già in passato aveva visto ma non ricordava dove; si avvicinarono e il Vittoriano esordì con gentilezza – una gentilezza fredda e distante.
« Sei la donna dai capelli rossi che si è salvata, sono lieto di vederti ancora viva. » Aveva i capelli rossi, come il fuoco e il sangue, sì l’aveva già vista: aveva i colori della donna con cui aveva passato una notte in una locanda non molto tempo prima, non per suo volere.
« Il mio nome è… » Si fermò guardandola dritta negli occhi e abbassando ancora di più il capo. « Il mio nome è Vrastax. »
E poi sentì una lama fredda sfiorargli il collo, il metallo di un pugnale, l’arma degli assassini e dei codardi.
« Traditore! Cosa sai di questa storia? »
Non si mosse ma dovette per un attimo inarcare la schiena verso una posizione meno gobba, era sorpreso per la reazione cosi incresciosa e inutile di quella donna.
« Traditore? » Disse più a se stesso che a lei.
« Se lo fossi stato non ti avrei di certo rivelato il mio nome, perché quindi darmi del traditore? » Tentò di rilassarsi.
« E di questa storia credimi ne so meno di niente; devo andare dal comandante Raymond, devo parlargli urgentemente. » Le guardò i capelli, poi gli occhi e le labbra carnose.
« Lasciami ragazza baciata dal fuoco. »
« Puoi chiamarmi Caelian. »
La donna rossa scostò la lama dalla cotta di maglia che copriva parzialmente la sua pelle ma senza esitare strinse il pugno sul petto del Vittoriano.
« Ha usato anche te… siamo stati tutti manovrati come pedine! »
Vrastax adesso cominciava a capire perché la donna avesse avuto quella reazione. A differenza del paladino non si fidava di nessuno, per lei tutti i sopravvissuti erano traditori e se entrambi non avevano fatto nulla gli unici a poter essere giudicati a quel modo erano solo Raymond, la Nera Regina e il forse sopravvissuto Alexei. Un pensiero balenò nella sua mente, forse era stata Rekla, ancora lei. Ma per quale motivo? Entrambi servivano il Clan Toryu, persino il generale Raymond era dalla loro parte. Quel Alexei non avrebbe rischiato la vita per annientare i suoi uomini. Forse quella Caelian, forse lei si stava solo prendendo gioco di lui…
« Caelian! » Disse, ma non c’era più.

[…]

« Vrastax; sono contento di vedere che sei sano e salvo. » Affermò con un'espressione di conforto genuina.
Il volto del generale era segnato dalla stanchezza e da uno strano senso di inquietudine ma Vrastax sembrava più adirato del solito, poteva percepire dentro di sé i fratelli di metallo: si stavano svegliando.
Non l’avrebbe fatto se non fosse stato per la sofferenza, per l’ira che cominciava a crescere e per la confusione a cui era stato indotto, lasciò perdere il dolore e concentrò tutte le sue forze, il dolore alla schiena fu lancinante e la smorfia che fece per estrarre la spada e puntarla contro il suo stesso capitano fu una mossa dolorosa, sia per l’animo che per il corpo. Non l’avrebbe mai fatto se non fosse stato per quell’istinto cosi acerbo che era nato in lui, e che l’aveva portato in queste occasioni a essere timoroso persino delle sue stesse mani. « Come fai ad essere cosi tranquillo di fronte a ciò che è successo? » Gli sembrò di parlare con la voce dei morti, di tutti coloro che non ce l’avevano fatta in quella competizione, in quel gioco. Chi l’avrebbe mai detto: morire per un gioco svolto male, col tradimento.
« Come? » Urlò, facendosi sentire dai molti lì vicino.
« Siamo stati sbeffeggiati, questi orchi si sono presi gioco di noi, siamo stati traditi e portati in mezzo a recinti come pecore ferite. » Sibilò come un serpente non velenoso ma pronto a stringere a sé tutti i mali più oscuri di quel mondo; gli occhi dei Mille cominciarono ad aprirsi e scrutarlo. E a ridere. Gli occhi ridevano.
« E tu sei solo contento di vedermi sano e salvo? »
Che stupido che sei Raymond, non è cosi che si comanda un esercito ma questo non lo disse, Vrastax serbava ancora un filo di lucidità e no, non era ancora diventato un serpente velenoso.
L’espressione del capitano che cambiò quasi immediatamente non lo spaventò, in fondo sapeva di aver sbagliato ma l’aveva fatto per capire, per capire lui e se stesso. Lo schiaffeggiò; il palmo della mano che si infrangeva sul volto e la sensazione di libertà, del freddo che gli fece percuotere l’animo.
E poi il senso di colpa del capitano, la sua espressione dispiaciuta, la verità nei suoi occhi. Non era lui.
« Spiegami come rattristarmi potrebbe salvare coloro che sono perduti. » La sua voce era un sussurro privo di emozioni. « Spiegami come agitarmi possa cambiare la situazione, e seguirò volentieri i tuoi consigli. »
« Pensi forse che sia felice di ciò che è successo? Ne sei convinto? » Non era lui.
« In caso tu non te ne sia reso conto, siamo stati traditi tutti quanti da chi credevamo amico, o comandante; è un miracolo che quattro di noi siano ancora in vita. » Raymond si bloccò. Non era lui. Il suo volto era terrorizzato.
« Io... » Esitò « ...ho bisogno di qualche tempo per decidere sul da farsi. »
Aveva ragione, il Vittoriano l’aveva sempre saputo. Non era lui ad aver sbagliato e il peso di quella sconfitta, il peso di quelle morte sembravano gravare anche sulle spalle e la coscienza del capitano. Vrastax non abbassò lo sguardo ma si avvicinò al suo generale, aggrappandosi ancora all’Onore e alla Pietà.
Ricordava molte cose del suo passato, molte delle quali avevano a che fare con eserciti, tradimenti e generali. Diglielo cavaliere, diglielo pure.
« L’esercito per cui una volta combattevo... » Sussurrò, abbassando questa volta lo sguardo verso terra.
« E' stato annientato per colpa di un tradimento. »
« Tutti i miei fratelli Vittoriani sono morti e ora non mi resta più nessuno. »
In realtà erano morti nel mondo che tutti conoscevano ma i loro spiriti vivevano ancora in lui, Mille uomini in uno solo.
« Raymond, comandante, ho avuto generali peggiori e migliori di te ma li ho sempre serviti e li ho sempre aiutati nei loro innumerevoli intenti. »
« Per questo... » Sono cosi irato. « Per questo ti aiuterò ancora. »
E conficcò la spada nel terreno chinandosi al suo capitano.






CITAZIONE
energie: 34%
stato fisico: leggera contusione alla spalla da caduta da cavallo, ferita al polpaccio più o meno profonda (danno totale pari a basso), ferita alla bocca e al fianco, botta alla schiena (danno totale pari ad alto)
abilità attive:
abilità passive:
note:

 
Top
J!mmy
view post Posted on 12/11/2012, 02:43




Aveva freddo, una sensazione strana per un luogo come il deserto... o l’inferno.
L’uomo ha così tante strade da poter imboccare, così tante decisioni da poter prendere che alla fine smette persino di rendersi conto di quanto la scelta diventi sempre meno propria e sempre più di qualcun altro; penne intinte in un calamaio d’inchiostro e poi spinte dal destino a graffiare su di una pergamena logora nell’inane tentativo di concepire una trama avvincente, una storia custodita dai libri e presto anche cinguettata dai musici. L’uomo non era più neppure padrone di se stesso, in fondo.
Rekla non era affatto diversa in questo, e lo testimoniava il caso che fosse ancora lì, ancora viva.
Aprì gli occhi con calma, scollando le palpebre una ad una e lentamente.
C’era uno strano odore di capra, talmente forte da punzecchiare fastidiosamente il setto del naso. In verità, quel fetore le riportò alla mente di quando vagava ancora tra le vie di Erdan, sola e affamata, costretta a rimediare un giaciglio tra paglia e sterco di animale nei fienili impestati delle fattorie fuori città. L’idea di aver ora indosso vesti fastose, calde e soprattutto pulite le diede come la sensazione di ridestarsi da un brutto, bruttissimo incubo. Non era più sola, no, né lurida e affamata; ma aveva i suoi uomini con sé, i suoi... i suoi uomini! Dov’erano?!
Quando sollevò il capo alla loro ricerca, riuscì solo a intravedere un mucchio di logore brandine di cuoio assicurate a due corti pali di legno di quercia con finissima corda lavorata. Trovò un ché di affascinante nella dedizione di cui persino la tenda in cui i nemici venivano confinati era stipata che il delirio svanì improvvisamente.

« Mi riconosci, Swart Koningin? »

• • •

Quanto tempo era trascorso? Uno, dieci, cento anni?
Quali che fossero erano stati troppi, troppi perché la gente potesse ancora rammentare con esattezza: sangue che schizzava sulle rocce, latrati di soldati ormai privi della loro virilità, urla, comandi, clangori di armi e cigolanti armature che impattavano il terreno. “Aiuto” gridavano alcuni, “Sono in troppi” arretravano altri, terrorizzati. E lei c’era, era lì, a dar fiato ai polmoni, svuotandoli completamente e riempiendoli di nuova furia. Ma qualunque cosa abbaiasse, qualunque cosa sputasse loro in faccia, era tutto inutile. Nessuno stava a sentirla, nessuno che potesse dirsi suo vero servitore: macchine da guerra e nient’altro, questo erano tutti loro.
Orchi ed elfi, pedine degli dei.
Molti erano gli esseri che oggi si dicevano fedeli del Sovrano, ma al tempo del Crepuscolo vi era solo uno di loro a muoversi davvero nella volontà di colui che ancora non era che un’ombra sugli eventi, un bizzoso e giovane ragazzo che aveva fatto dello scranno su cui posava le natiche un vettore con cui spargere il proprio verbo, cresciuto troppo in fretta per dar fondo finanche alle sue più perverse ambizioni e annebbiare la mente di chi aveva avuto la sventura di trovarsi sul suo cammino. Lui, che aveva varcato gli ormai labili confini delle umani concezioni.
E Bara-Katal, comandante delle innumerevoli falangi orchesche, combatteva per Costui, per il Re Che Non Perde Mai. Un pazzo, forse, o solo un magnifico guerriero, della cui tempra nessuno era più dotato: agitava quel suo immenso spadone come fosse un fuscello, sbatacchiandolo a destra e a manca con colpi potenti ma mai casuali.
Dinanzi a lui, Arthur Finnegan: solo l’ennesima delle sfumature che avevano tinteggiato lo sfondo dell’inevitabile apocalisse. Un’apocalisse, già, una catastrofe che aveva totalmente sconvolto i connotati del mondo. Nulla era più come si ricordava, neppure i ricordi stessi.
Pelleverde diventati scaltri e misericordiosi, fautori di sciagure lodati dal popolo medesimo che le aveva patite, eroi caduti i cui riflessi ombreggiavano oramai solo tra i silenziosi colonnati di basiliche e templi adornati di affreschi narranti le loro antiche – e dimenticate – gesta: Tristan, Viktor, Lady Alexandra, Shakan e persino Ray l’Invincibile riposavano adesso tra quelle mura, vittime dello stesso implacabile destino.

• • •

« Sembra che i tuoi soldati abbiano superato parecchi limiti dall'ultima volta, kaptein. »
La voce di Rekla fu alterata da un molesto fastidio alla gola, come di parole vomitate troppo forte e troppo in fretta, per poi tacere per lunghissimo tempo.
Sollevò il busto come meglio poté, obbligandosi allo straziante tentativo di mettersi a sedere sulla branda. Nel farlo, la terza e la quarta costola di sinistra cigolarono e scagliarono violente vampe di calore su per il torace. La donna tossì furentemente, rivelando tutto il suo dolore al proprio interlocutore che – a quanto sembrava – pareva quasi bearsi dello stato in cui versava, dacché tacque compiaciuto per l’intera pantomima. Fu allora che Rekla lo vide: un simbolo, o probabilmente uno stemma – benché non avesse nulla a che vedere con il blasonato Occhio di Gruumsh – sulla mano che le doleva orribilmente, al punto da indurla a pensare che fosse proprio quel coso la fonte di tutta la sua sofferenza; ma si sbagliava.
« Cosa significa? Vuoi forse uccidermi proprio adesso che sono finalmente riuscita a raggiungerti? » chiosò, ghignando sardonica.
Dopotutto, sapeva abbastanza bene quanto gli orchi adorassero dipingersi la carne, e quanto amassero marchiare ogni cosa non appartenesse loro. Quel sorriso, dunque, fu meno per ciò che aveva detto e più per i suoi pensieri, nonostante quest’ultimi non sembrassero aver risparmiato neanche la controparte.

« Non sono più i miei soldati da diverso tempo, ormai » rispose lui con aria assorta.
Bara-Katal era accoccolato su di un macilento sgabello, talmente misero che faticava persino a credere che potesse reggere una simile massa di muscoli e fermezza. Nella figura dell’orco, Rekla scorse però solo un vecchio guerriero sbranato dalla commiserazione e con lo sguardo perso a vagabondare nel vuoto, nulla di ciò che rammentava del grande campione che aveva conosciuto sul campo di battaglia: l’ennesima discrepanza tra presente e passato, in effetti.
« E quel marchio non costituisce alcun pericolo diretto; come vedi, lo porto anche io » continuò, sollevando il braccio manco e rivelando un simbolo identico a quello che le era stato inflitto.
Bara-Katal le spiegò che esso non era altro che un modo degli orchi per distinguere i reietti che non meritavano di far parte della loro società, infuso dai chierici in onore del disprezzo di cui quell’emblema era portatore. Aggiunse che il solo possederlo comportava diversi svantaggi e che solo pochi di loro ne erano stati ritenuti degni: la colpa dell’orco era, a suo dire, l’aver abboccato all’inganno del fu Leviatano conducendo alla morte migliaia di pelleverde – colpa che la Nera Regina condivideva, a quanto pare.
La Nera non poté trattenere un grugnito di dissenso per quel che aveva appena udito. Perdendo il comando sugli orchi, infatti, Bara-Katal non era più l’utile strumento che aveva sperato che fosse, ma solo un nuovo e seccante impedimento da abbattere, una bestia da sopprimere.

« E chi ha il controllo, ora? » domandò.

« I chierici stessi. L’Occhio è ancora nel caos; si è ritirato nel meridione per via di una profezia, di cui solo i chierici conoscono i dettagli, circa un qualche segno di Gruumsh nel Deserto dei See. »
Il clero, tutto uguale. Quei preti si sarebbero trovati piuttosto bene a Basiledra, spalla a spalla con quei viscidi omuncoli dei Corvi; non si era mai fidata di loro. Abbassò gli occhi, avvicinandoli all'elsa a foggia di teschio di Vesar "Luna dell'inferno" poco al di là del fianco e prendendo coscienza del fatto che fosse ancora armata. Perchè?
D’un tratto, ecco che l’ostacolo più arduo diveniva l’opportunità più intrigante.
reklapost
« E se ti aiutassi a rivendicare il tuo onore... ? »
Fissò l'orco con durezza.
« ... e se ti aiutassi a riavere il comando? »
Il ghigno che apparve in quel momento assunse sempre più i tratti di uno squarcio colmo di perfidia e depravazione.
Qualunque idea le stesse passando per la mente la eccitava,
la eccitava parecchio.


CITAZIONE
Rekla Estgardel
la Nera Regina
––––––––––––––––––––––
Stato Umano
{ Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }

––––
« Energie: 72%
« Stato fisico: ferita da taglio alla coscia destra, molteplici fratture allo sterno.
« Armi: Constantine • riposta; Vesar "Luna dell'inferno" • riposta

Attive...
Nessuna

... e passive

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Nel principio, la Riluttanza
Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.


.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.

.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.

Vizio dell'Animo • честолюбие
Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)

An endless guard
In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro.
{ Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. }

Note
Nulla da aggiungere, a parte le mie scuse per il ritardo.
Spero che il post sia di vostro gradimento, per quanto breve rispetto a quelli dei miei compagni.^^

 
Top
view post Posted on 12/11/2012, 15:42
Avatar

--------------------
··········

Group:
Administrator
Posts:
34,432

Status:


« Sto già rivendicando il mio onore, Koningin. »

Bara-Katal rispose severamente, apparentemente disgustato dalle parole di Rekla. Come la donna non gli aveva mancato di dimostrare, gli umani non tradiscono mai se stessi; piuttosto, tutti gli altri. Era tipico della loro razza lasciarsi montare dall'ambizione, restare preda della testardaggine e rivolgersi contro i propri simili: comportamenti che apparivano unicamente come una macchia stinta nell'animo dei pelleverde, e solo in quelli più subduli. Se Bara-Katal venne tentato dalla proposta di Rekla, dunque, non lo diede a vedere: il suo sguardo si indurì come una pietra e sul suo viso si disegnò una smorfia di puro disprezzo.

« Sono vecchio e stanco. » continuò « Ho superato l'età del sunset, e la dood sgretolerà il mio corpo a breve. »
Era vero: fissando il suo riflesso negli specchi d'acqua Bara-Katal poteva vedere già alcune parti del suo corpo marcire. Se agli estranei appariva solido come un muro, quelle escoriazioni e grumi di pelle raggrinzita che i conoscenti non vedevano era il suo intonaco che andava spaccandosi dopo il lungo tempo passato in battaglia. Quand'è che i suoi muscoli avevano smesso di essere tonici? Quand'è che il suo corpo l'aveva tradito, rinnegando il soprannome di Hard Soos'N Rots, che ancora sentiva sussurrato fra i suoi ex sottoposti?

« Ho vissuto una lunga vita... » "diavolo, ben più lunga della maggior parte di quelli che furono miei coetanei" « ...e la potrò terminare espiando le mie colpe sotto gli occhi dell'Unico. »
Sputò l'ultima affermazione come fosse un insulto. Non sarebbe andato contro le leggi del suo popolo, per alcuna ragione al mondo.
« Solo un menslike potrebbe credermi inappagato. »
« Tieni a freno la tua lingua biforcuta, quindi; una duiwel come te non riuscirà a indurmi in tentazione. »

Calò un lungo silenzio. L'idea che la proposta di Rekla potesse costringerlo a combattere contro i propri simili lo disgustava profondamente, ma non per questo le avrebbe voltato le spalle del tutto: la swart koningin era subdola, infida e malvagia ma, in quell'istante, loro due vivevano la medesima condizione. Senza l'aiuto di qualcuno Rekla sarebbe probabilmente impazzita di rabbia e avrebbe dato fuoco all'intero accampamento, e questo Bara-Katal non aveva intenzione di permetterlo: dando lei parte di ciò che desiderava avrebbe tenuto a freno la sua woede, preservando i die res van die reisiger da quella minaccia che solo lui sapeva quanto fosse grande.

« Se è il nuovo Hoëpriester che cerchi, dovrai attendere le parole dei chierici. » affermò dunque, tentando di placare le mire oscure della gemerk « Come ti ho detto, sono stati loro a condurci qui per trovarlo. »
Si lasciò andare in una risata sguaiata, fulminato da un lampo di cieca ironia.
« Potresti persino aiutarli a trovarlo! »

8tmxw

« "ciò che tocca il Drago Nero marcisce e muore", giusto? »
Alexei gli sorrise comprensivo, col viso imperlato di sudore freddo.
Raymond non rispose, fissando la terra battuta sotto di sé.

Con sua immensa gioia, Alexei era in condizioni immensamente migliori di quanto si sarebbe mai aspettato: quando l'aveva raggiunto l'aveva trovato già sveglio, bendato e fasciato alla perfezione, persino in grado di muovere liberamente la testa e gli arti superiori. L'uomo dai capelli rossi sosteneva che avrebbe potuto anche allontanarsi a piedi, se l'avesse desiderato, ma la stanchezza e il dolore alla ferita lo relegavano ad una branda ricoperta da paglia e fieno, sopra la quale sembrava trovarsi comodamente a proprio agio. La ferita che gli aveva lasciato Nazir era profonda e sarebbe guarita solamente col tempo: nel vederla Raymond si rese conto che era stato un puro miracolo - un atto di misericordia del Sovrano - a salvare il suo amico da una fine certa. Non riusciva a spiegarsi il recupero quasi sovrannaturale di Alexei e la sua incredibile resistenza, ma quello gli rispose che se ora poteva ancora respirare era stato solamente grazie alla sua capacità di arginare il danno già pochi secondi dopo averlo subito, grazie a quel poco residuo di energie magiche che gli erano rimaste.
Raymond avrebbe gioito ancor di più, se il suo animo non fosse stato turbato dagli incontri precedentemente avvenuti con i restanti sopravvissuti.
Le parole di Vrastax e Caelian avevano scavato un buco al posto del suo cuore, facendolo sprofondare in un baratro di autocommiserazione. Non aveva potuto negare alcuna delle loro affermazioni, e la loro ira era stata completamente giustificata: con un altro comandante, tutto ciò che era avvenuto non sarebbe successo.

Come il peggiore degli amici, poi, Raymond era riuscito a deviare immediatamente il discorso in quella direzione, alla disperata ricerca di una spalla su cui piangere. Così ora si sentiva anche in colpa per essere andato a parlare ad Alexei delle proprie preoccupazioni, quando l'uomo dai capelli rossi giaceva in uno stato centinaia di volte più pietoso del suo. Nonostante ciò, non riuscì a fermarsi: come una biglia su un piano inclinato che scivola verso la disperazione, il suo animo era stato stappato, e Alexei si era fatto suo canale di scolo.

« Non lo sentivo più dire da mesi, ormai. » sospirò il Lancaster « Ma pare proprio che la mia fama da corvo menagramo abbia delle radici fondate. »
Si passò una mano sul viso con aria stanca: sentì le dita graffiare la barba lasciata incolta sulle guance ed affondare morbidamente nelle borse sotto gli occhi. Doveva avere un aspetto orribile, come se non bastasse la disperazione già ad imbruttirlo abbastanza.
« Doveva essere una missione semplice; quasi una ricognizione... » continuò atono « e invece ho fatto ammazzare decine di uomini innocenti, e i sopravvissuti sono sperduti in un campo di pelleverde nel mezzo del fottuto nulla. »
Arricciò il naso, che era stato raggiunto da una zaffata di polvere: più tempo passava nel deserto, più sentiva di odiare la sabbia. Ruvida, fastidiosa, inappropriata.

« Il tempo sana ogni cosa, Raymond. » gli rispose Alexei, accennando implicitamente anche alla propria condizione « Abbi pazienza e ti verrà data l'opportunità di riscattarti. Fino a quel giorno, non attribuirti colpe che non hai. »
Il Lancaster lo fissò con aria interrogativa, come se si chiedesse chi altri avrebbe dovuto incolpare della disfatta, se non se stesso.
« Il responsabile è unicamente Nazir. »

Non rispose.
Anzi, si stupì della calma con cui Alexei riusciva a valutare la faccenda e pronunciare il nome di colui che l'aveva tradito. Di colui che aveva tradito tutti: anche Raymond aveva ritenuto Nazir un amico, come lui; un amico esuberante, allegro, aperto e gioviale; un amico che anni prima l'aveva salvato dal deserto, e che ora si era rivoltato contro tutti loro, mosso unicamente dall'avidità. Poteva essere vero? Poteva essere stato unicamente il denaro a spingere Nazir a compiere un atto così bieco? ...gli riusciva difficile crederlo.
Alexei gli aveva raccontato tutti i dettagli. Della pugnalata, del rituale, di Razelan Vaash. Un nome al quale il Lancaster non poteva associare neppure ad un viso, ma a cui facevano capo tutte le sue disgrazie.

« ...i pelleverde mi hanno raccontato che sono stati i Rooi Valke a braccarli per primi, mentre loro si aggiravano pacifici per il deserto dei See, alla ricerca della loro reliquia. »
Alexei non mutò espressione, rimanendo affabile e severo al tempo stesso.
« Possibile che tu non ne sapessi nulla? »

Il guaritore chiuse un occhio sulla velata accusa nascosta in quelle parole, ben conscio dello stato di instabilità nel quale versava l'amico.
« No. » rispose « Non ne sapevo nulla. »
« Non ho mai preso parte alle riunioni strategiche dei Rooi Valke; tutto ciò che ho visto sono stati i feriti. Non ho dubitato di chi mi diceva che erano il risultato di subdole imboscate dei pelleverde, come non ho dubitato di Nazir neppure quando mi ha condotto al macello; o almeno così sperava. »

Si fermò per un istante, squadrando Raymond con severità.
« Nel mio caso si può dire che sia stato un eccesso di fiducia a scavarmi un buco nel cuore, letteralmente. »
« A differenza di quello che sta accadendo a te, che sei ancora integro, nonostante tutto ciò che dai a vedere. »

Raymond sentì una fitta al torace. La saggezza dell'amico era soverchiante, e finiva spesso con il lasciarlo senza parole. Neppure i Corvi avevano mai saputo suonare le corde scoperte del suo animo con così tanta naturale delicatezza. Alexei aveva ragione: nessuna ferita materiale lo costringeva a letto a commiserarsi, come nemmeno il rosso stava facendo. Alexei aveva sempre ragione.

« E' solo che... non so come dovrei comportarmi. »
affermò quindi con voce stanca, suscitando un nuovo moto di comprensione nel suo interlocutore.

« Hai troppa fretta. » lo rassicurò il rosso « Dai tempo al tempo, e le risposte arriveranno da sole. »
Raymond sorrise, stupito per l'ennesima volta da quanta innaturale pazienza il suo amico era in grado di dimostrare, persino durante le ore più buie.

« Grazie, Alexei. »



CITAZIONE
Seguiamo il consiglio di Alexei, quindi, e diamo tempo al tempo.
Chi ha seguito il Valzer sa già come funzionerà il prossimo post: vi chiedo di descrivere un timeskip. Ossia il trascorrere di un terminato lasso di tempo, che nel nostro caso ammonta a circa due settimane dagli avvenimenti di questi ultimi post. Sfruttando questo periodo i vostri personaggi avranno occasione di amalgamarsi con il popolo dei pelleverde, imparare le loro abitudini, le loro arti, o qualsiasi altra cosa decidiate di fare. Insomma, nel prossimo post vorrei che descriveste come i vostri personaggi passano le due settimane successive a ora: nessun botta e risposta in confronto, nessun giro "da tavolo"; il prossimo post è narrazione allo stato più puro, e siete liberi di inventarvi qualsiasi cosa. Giacché mi sono raffinato dall'ultima volta che ho chiesto agli utenti un impegno simile, vi do qui sotto una serie di spunti narrativi che potrete sfruttare a vostro piacimento:

• La vita dei pelleverde è breve e si aggira intorno alle quattro decadi: capite ben presto che la maggior parte delle differenze fra umani e pelleverde può essere ricondotta a questo fattore.
• I pelleverde hanno nomi brevi, generalmente di una sillaba. Solo i vecchi e i generali possiedono nomi lunghi, come "Bara-Katal".
• Gli anziani sono rispettatissimi, e la loro opinione è tenuta di gran conto anche se non fanno parte di una gerarchia: se sono anziani è perché sono sopravvissuti fino ad oggi, quindi sono o benedetti, o fortissimi, o entrambi.
• Si dice "anziani" per modo di dire: il corpo dei pelleverde matura in fretta e non decade fino a che non è prossimo alla morte per vecchiaia, quindi anche chi ha quattro decadi ha corpi forti e tonici come chi ne ha due.
• A tal proposito, gli storpi e chi non è in grado di combattere vengono rinnegati e allontanati dall'accampamento: un po' perché non sono utili, un po' per salvarli dai combattimenti.
• I pelleverde hanno una mentalità incredibilmente agonistica. Buttano qualsiasi cosa sul gioco, e tentano di trasformare qualsiasi discussione in una prova di forza. Persino la guerra per loro non è altro che una competizione.
• I pelleverde non hanno paura di giocarsi la vita, anche per delle sciocchezze: giacché è breve già naturalmente, la maggior parte di loro sostiene che vada dunque vissuta al limite in ogni secondo.
• I pelleverde tendono ad agire prima di pensare. Dove gli umani pianificano, i pelleverde dicono "andiamo lì, poi vediamo cosa fare.". Questo non significa che non siano in grado di creare tranelli o strategie elaborate come quelle a cui avete assistito nella battaglia precedente.
• I pelleverde hanno un rispetto assoluto per il sesso femminile: le donne vengono trattate come veri e propri tesori; alcuni hanno addirittura timore di loro.
• I pelleverde non fanno distinzioni razziali, anche se diffidano degli umani: finché starete nel loro campo, visto che siete stati traditi, sarete considerati a tutti gli effetti dei pelleverde anche voi.
• I pelleverde non tradiscono né danneggiano mai (se non per competizione) altri pelleverde. Il tradimento non esiste neppure nella loro popolazione; non è concepito: la vita è troppo breve per sprecarla a macchinare o usarla per danneggiare i propri simili. E' un abominio umano.
• I pelleverde sono super religiosi, benché il culto dell'Unico non abbia funzioni: ognuno lo venera a modo suo, e questo la rende una religione incredibilmente eterogenea.
• I pelleverde rispettano l'autorità e sono umili e obbedienti, anche con le autorità che non appartengono al loro popolo, come Raymond.
• La vita dei pelleverde ha un regime molto militare, con ampie brecce di cameratismo: si passa dai bambini addestrati con severità a momenti di totale cazzeggio alla mensa comune.
• I pelleverde mangiano sempre tutti insieme nella stessa tenda.
• I figli dei singoli pelleverde sono i figli di tutti i pelleverde e vengono allevati e cresciuti come se ciascun adulto fosse loro padre; non ha importanza chi lo sia biologicamente.
• I pelleverde odiano cani e cavalli, e cani e cavalli odiano loro: ringhiano e si imbizzarriscono, e le diverse razze non possono avvicinarsi.
• Ai pelleverde piace immensamente cantare; peccato che siano cantanti pessimi.
• I pelleverde adorano il fuoco, e lo venerano in maniera mistica: spesso il fuoco fa parte dei loro rituali religiosi.
• I pelleverde credono che la scrittura possa rubare l'anima: pochi sanno leggere, meno ancora sanno scrivere. Quelli che scrivono affiggono poi un timbro a forma di occhio al termine dei loro messaggi, poiché credono che altrimenti la pergamena svuoterebbe la loro testa dalle parole.
• La lingua che parlano gli uomini del deserto e i pelleverde è la stessa; sono stati i pelleverde ad insegnarla agli uomini migliaia di anni prima.

Naturalmente se avete qualsiasi dubbio su ciò che volete scrivere, non esitate a chiedere in confronto: sono disponibilissimo a qualsiasi chiarimento aggiuntivo. Chiedetemi "posso...?" e vi risponderò. Siccome questo è un post impegnativo e gli impegni sono impegni, avete una settimana intera per portarlo a termine.

 
Top
J!mmy
view post Posted on 18/11/2012, 17:55




Era mattina.
La luce era incredibilmente calda, e penetrava gli opachi rosoni della Sala dei Teschi dissolvendosi in un meraviglioso caleidoscopio di giallo e arancio. Neppure la soffocante penombra che albergava tra i colonnati o le dozzine di carcasse murate assieme alla calce tra un arazzo e l’altro poterono offuscare una simile bellezza.
Tuttavia, sullo scranno stava seduto un uomo duro in volto e plagiato dalla fatica, che si massaggiava con aria stanca una delle tempie che non smetteva di pulsare, e pulsare, e pulsare. Si accarezzò la barba ispida del mento come se riflettesse su di un’importante questione – o fingesse semplicemente di farlo. Dinanzi a lui, a tre scalini di distanza, vi era un secondo uomo attorniato da oltre una dozzina di sentinelle, tutte bene armate e con lo sguardo rigidamente spedito a disperdersi nel vuoto di fronte a loro; per qualche istante, quando la luce del sole scivolò sui loro spallacci e sui loro elmi neri a foggia d’animale, parvero persino tramutarsi improvvisamente in statue di solida pece. L’uomo al cospetto di Duevite parlò, blaterando di come lui e la sua famiglia fossero oramai prossimi alla morte, data la tremenda siccità degli ultimi tempi e l’insufficiente razione di frumento che le autorità dispensavano loro.
Erano trascorsi già quasi venti giorni da quando la Nera Regina aveva lasciato il proprio posto sul trono di Fortescuro e il feudo non poteva davvero essere più allo sbaraglio: lamentele, suppliche, carestie, malattie ovunque e un’insignificante quantità di guardie rimaste ad assicurare l’ordine e la sicurezza in città. Gli era stato affidato il controllo e la salvaguardia del regno del meridione in sua assenza, ma più tempo passava e più Nicholas Varry si rendeva conto di quanto poco vi fosse realmente da controllare e di quanto presto non sarebbe rimasto che un mesto ricordo della fantomatica Città Infame. E adesso doveva anche sopportare di ascoltare i piagnistei di quei rifiuti!
No, quello del reggente era un ruolo che gli andava dannatamente scomodo.

« E sia, dirò ai miei uomini di raddoppiare la vostra razione di frumento per una settimana. Ora va'. »
Il Lord Assassino, quel dì, pareva incredibilmente provato dalla stanchezza. Indossava vesti color d’ottone, con un morbido farsetto di cuoio a sovrastare una camicetta in lino bianco e dai ricami elaborati; al fianco destro del podio la Mietitrice dimorava silenziosa.

« Cos... ? Oh... oh, grazie infinite mio lord! » replicò incredulo l’uomo, trattenendo lacrime di gioia « Che il Sovrano vi benedica! »
Ma ignorava che nella subdola trappola che era la vita, nessuno dava nulla per nulla, neanche il più misericordioso dei sovrani, neanche il suo di Sovrano. Duevite agitò lentamente indice e medio, e una delle sentinelle gli si apprestò solerte: portava una rozza celata a forma di cervo e dagli occhi di questa colavano due lunghe scalfitture arrugginite, simili a lacrime di sangue. Il lord si strofinò nuovamente i peli del pizzetto, arricciando il naso e corrugando la fronte.
Quindi avvicinò la bocca all’orecchio del soldato.

« Portate lui e il figlio fuori dalla città e impiccateli: basterà a tenere lontani i corvi per un po' dai nostri campi » sussurrò.
« Risparmiate la moglie, invece. Lei la voglio in una casa dei giochi; varrà più da puttana che da morta. »
No, la carica di sostituto non faceva affatto al caso suo.

“Dove sei finita, mia regina?”

Nel frattempo, da qualche parte nel deserto...

sandstorm


La giubba di cuoio nero, bordata di pelo d’animale alle spalle – benché ne ignorasse la specie – si adagiò sulle sue forme con semplicità, ricoprendo l’intero busto ma lasciando libere entrambe le braccia, una delle quali rivestita per gran parte dal metallo del Gauntlet. Alla fine, pensò incamminandosi fuori della tenda, tutto era andato pressoché come sperato: aveva richiamato l’attenzione dell’ex capitano, aveva ottenuto la possibilità di studiare da vicino quei rozzi bifolchi che i più a Fortescuro chiamavano “i Demoni Verdi” e adesso – solo dopo giorni d’insistenza – riusciva finalmente ad avere persino udienza con i chierici.
La vita da reietto era infatti tutt’altro che semplice tra i pelleverde. Il segno che portava sulla mano non era che un monito, l’aveva informata Bara-Katal, un segno di riconoscimento per tutti coloro che non meritavano taluni privilegi, come la partecipazione alle competizioni o la condivisione dei riti religiosi; nulla che potesse importarle di meno, d’altronde.
Tuttavia, con sua somma sorpresa, si rese presto conto che gli orchi non erano affatto i demoni che le stolte genti del sud dipingevano, e che il disprezzo non era un sentimento che facilmente esternavano: preferivano osservare da lontano, scrutare coi loro curiosi occhi gialli i nuovi ospiti, ma raramente giungevano a prodigarsi in offese o calunnie di sorta. Alcuni di essi, notò perfino, quasi la temevano. Fu forse proprio grazie a questo timore che alla fine era riuscita a guadagnarsi quell’incontro coi loro più grandi esponenti.
L’accampamento dei pelleverde sembrava parecchio più vasto di quello dei Rooi Valke, al punto che era quasi possibile perdervisi e non ritrovare più la strada per la propria tenda. Tende, già, di quelle ce n’erano in abbondanza; l’intero campo era una baraccopoli di tende su tende, su tende e su ancora altre tende, tutte uguali tra loro e tutte sapientemente lavorate in accostamenti eterogenei di pelli diverse e variopinte. E, come se non bastasse, ovunque andasse i canti stonati di quelle bestie ignoranti la seguivano come un’ombra. Dovette interpellare tutta la pazienza di cui disponeva per non saltare addosso al primo orco improvvisatosi cantore e sradicare lui le corde vocali cosicché tacesse per sempre; anche se quell’impresa, probabilmente, sarebbe finita per essere la sua ultima.

« E’ quella » gli suggerì un abitante indicando uno strano baraccamento al centro del villaggio.
Allungando lo sguardo, Rekla scorse un ampio cerchio di sabbia allargarsi a raggiera da quella che sembrava un ennesimo padiglione, benché assai più grande di qualunque altro avesse visto finora. Il perimetro era puntellato da decine e decine di torce assicurate ad esili aste di legno bianco per mezzo di sottili legacci di canapa altrettanto chiara. Di primo acchito a Rekla parve un’arena da combattimento, ma non c’era nessuno ad affrontarsi e le fiaccole erano ancora tutte spente.
In verità, in quelle due settimane non aveva mai osato spingersi tanto in profondità nell’accampamento.

« Entra pure » la raggiunse una voce solenne dall’interno non appena fu abbastanza vicina per udirla, quasi sapesse già che era lì.
La Nera accettò l’invito e si addentrò con la boria che da sempre la contrassegnava. Per quanto altera o immensa all’esterno, l’alloggio dei chierici non aveva affatto nulla di diverso dalla tenda in cui aveva ripreso coscienza tredici giorni prima: era buia, appestata di odori acri e dotata di poche e umili brande di stoffa. Alla sinistra stava un largo tavolo di legno d’acero su cui giacevano alcuni composti e diversi mortai sporchi di uno strano liquido grigio-verde. Niente di nuovo, insomma.
« Il nostro attendente ci ha informati della tua proposta. »
I chierici erano poco più di una ventina, ma fu soltanto uno di loro a parlare.
« Noi sappiamo chi tu sei, Rekla Estgardel, e il segno che porti sulla mano lo dimostra. »
Alluse all’arto dolente della donna, con aria stanca e il volto che si faceva incredibilmente tetro e serioso.
« Ma saremmo degli stolti se non lodassimo l’Unico per il tuo arrivo a questo campo. »
« E’ per questo che, dopo un lungo consulto, abbiamo deciso di accettare: avrai la tua alleanza, regina dei morti; in cambio, però, noi condivideremo con te la nostra conoscenza » sollevò il braccio in direzione degli intrugli sul tavolo « e tu ci aiuterai a metterla in atto. »
Rekla non parlò, giacché la piega stessa che gli eventi stavano prendendo non gliene diede motivo. Ottenere una tregua tra gli orchi e i territori meridionali era stato il suo obiettivo fin dal momento in cui aveva accolto la richiesta di quel dannato di un Lancaster – che, tra l’altro, si era pure premurata di evitare per l’intera convalescenza, temendo che potesse in qualche modo scoprirla e ostacolarla più di quanto non avesse già fatto – e se per raggiungerlo doveva cercare una stupida reliquia smarrita in qualche abietta spelonca del deserto non avrebbe certo fatto la schizzinosa, non adesso.
Pertanto si sarebbe limitata semplicemente ad annuire e ad ingerire quello stesso, maleodorante infuso che aveva notato solo pochi istanti prima.
Lo afferrò tra le dita e lo sentì caldo, quasi piacevole.
E se avessero tentato di avvelenarla? E se quella mistura avesse fatto di lei una povera mentecatta al servizio di quello che i pelleverde chiamavano “l’Occhio”? In entrambi i casi la morte sarebbe stata l’unica soluzione, questo era certo, ma rischiare era anche l’unica maniera perché quei vecchi fanatici verdi – che di vecchio avevano ben poco, in verità – si fidassero di lei.
« Ah, quasi dimenticavo: mi auguro che il soggiorno qui sia stato quanto mai... ristoratore. »
Ma si sbagliava: non era veleno, quello;
era peggio, molto peggio.

[...]

Nove giorni prima.

Fin da quando era bambino, Skjor aveva avuto una passione smodata per le asce bipenni. La loro strana forma gli ricordava la verità che stava celata dentro ogni bivio, il dualismo che ne stipava ogni anfratto, l’atroce indecisione tra lewe e dood; eppure, quell’arma così affascinante e così letale rappresentava un’improvvisa profanazione di qualunque di queste universali ideazioni: comunque la si voltasse, infatti, portava sempre e solo alla morte, come una moneta truccata dalle facce identiche.
E neppure tre decadi di esistenza bastarono a togliergli dalla testa quest’idea.
Skjor era un barbaro, un comunissimo orco dell’est, generato dagli aspri monti del Vixar e temprato dalla durezza dei campi di battaglia. Il buon vecchio F’gorn - che l’Unico l’abbia in gloria - era stato suo maestro d’armi fin da quando era un infante ancora inchiostrato di sangue, lo aveva reso il combattente che era e gli aveva insegnato tutto quanto in suo possesso.
Gli aveva insegnato che in guerra sopravviveva il più valoroso, e che chiunque fosse in grado di farlo andava rispettato e onorato degnamente; gli aveva insegnato che il fuoco era l’espressione dell’immensa volontà dell’Occhio, e che quella stessa volontà guidava su cammini gloriosi i passi solidi di ogni pelleverde del pianeta, giacché quella era per lui l’unica strada del trionfo; gli aveva insegnato che le femmine erano un dono raro e che, come tale, andassero preservate indipendentemente dalla razza o dal colore della loro vel.
Fu quest’ultimo pensiero ad attraversarlo mentre, dall’esterno del padiglione di Khol-huum il mastro ferraio, osservava colei che i suoi fratelli chiamavano Swart Koningin. Si diceva che fosse bella né più né meno della media delle femmine umane e che avesse occhi cupi e profondi come la notte più oscura. Ma se i chierici avevano deciso che trattenerla al campo fosse la decisione più saggia, lui non avrebbe certo osato contraddirli, obbligandosi a ripudiare qualunque forma di timore o titubanza in proposito.

« La lama è un po’ smussata alla base » le sentì dire all'anziano fabbro, che annuì pigramente « Ho bisogno che la affili. »
Skjor indossava vesti semplici, quel giorno. Il petto prominente e muscoloso era lasciato scoperto, mentre larghe braghe di cuoio indurito lo cingevano dall’ombelico fin sotto alle caviglie, dove lasciavano spazio a gambali alti qualche pollice e bordati di pelliccia di volpe del deserto. Non certo un abbigliamento degno d’un simile incontro, insomma, ma poco gl’importava in effetti.

« Io sentito dire tuo valore grande, Swart Koningin » disse avvicinandosi.
Quelle parole fuoriuscirono dalle sue labbra come un boccone di carne troppo amaro e mal masticato. Nel parlarle, però, la donna si volse come se avesse appena ricevuto un insulto, al punto che finì quasi col preoccuparsi che non avesse usato le parole adeguate o l’avesse in qualche modo offesa. Quando poi Rekla si rese conto di chi aveva dinanzi, tornò ad ignorarlo e ad osservare Khol-huum che sfregava ripetutamente una grossa cote sulla lama di Vesar "Luna dell'Inferno".

« Il valore non ha importanza per me, orco; è per i deboli » ribatté lei, senza degnarlo del ben che minimo sguardo.
Quella risposta giunse al viso di lui con una tale veemenza che parve scudisciare sulle sue guance come un nerbo ruvido. Il valore era quanto di più sacro, ad eccezione della fede, contasse per Skjor. Sentirla sputare tanto impudentemente sulla propria disciplina e sul proprio credo fu peggio che venire trapassato da trenta o più lance. I denti dell'orco schioccarono, la mano si appoggiò lentamente sull’aràkh infoderata all’anca, ma la Koningin fu troppo strafottente per notarlo.

« Quel valore ha salvato tua vita » grugnì il barbaro, arricciando furiosamente il naso « Questo rende te debole? »
In tanti anni di esistenza, di nemici subdoli e venefici ne aveva conosciuti a iosa, e tutti erano caduti in combattimento sotto il suo braccio. Rekla Estgardel, invece, respirava ancora e lo faceva con incredibile superbia: era questo a renderla davvero minacciosa.
« Tieni tuoi occhi aperti, donna. »
E, come una nube allo sbuffo del vento, Skjor si dileguò.


CITAZIONE
Rekla Estgardel
la Nera Regina
––––––––––––––––––––––
Stato Umano
{ Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }

––––
« Energie: 100%
« Stato fisico: illeso.
« Armi: Constantine • riposta; Vesar "Luna dell'inferno" • sfoderata

Attive...
Nessuna

... e passive

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Nel principio, la Riluttanza
Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.


.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.

.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.

Vizio dell'Animo • честолюбие
Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)

An endless guard
In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro.
{ Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. }

Note
Alcune annotazioni:

• Ho suddiviso il post in tre per tre protagonisti e tre punti di vista diversi dello stesso "timeskip". Spero apprezziate l'idea, nata per spezzare la monotonia e la solita banalità.
• Nella parte inerente a Rekla (secondo pezzo) ho evitato di dilungarmi troppo, sia narrando alcuni eventi precedenti la "fine" delle due settimane attraverso gli occhi dell'orco Skjor (terzo pezzo), sia saltando letteralmente la parte della proposta e della visione che coinvolge la donna e i chierici tramite alcuni espedienti. No, non li ho lasciati al caso, non preoccupatevi: semplicemente utilizzerò queste informazioni nei miei post futuri.
• Chiedo scusa in anticipo per eventuali distrazioni o errori, ma la carne al fuoco era parecchia ed ho preferito non appesantire ulteriormente il tutto.

 
Top
Vrastax Victorian
view post Posted on 18/11/2012, 18:47




tumblrmd6egatd7n1qbmget

« Vras perché tu non togliere mai armatura? »
C’erano diversi orchi vicino a lui, tutti in piedi e con un’arma diversa in mano, quasi tutti a torso nudo e sudati. Molti di loro avevano appena concluso un gioco, un semplice momento di divertimento che il cavaliere nel suo mondo chiamava combattimento. Ogni conflitto, ogni cozzare d’armi e ogni momento in cui la vita di un pelleverde veniva messa a rischio risultava essere una delle migliori fonti di svago che i troll conoscessero e Vrastax ci aveva fatto l’abitudine, non subito ovviamente ma nemmeno troppo tardi quando al secondo giorno del suo risveglio l’avevano preso come un bambolotto e l’avevano strizzato come una pezza ridendo e scherzando, pensando che un soldato come lui non potesse restare cosi incurvato per tutto questo tempo. Era uno scherzo per loro, un semplice modo per attirare l’attenzione pensava il Vittoriano. Eppure lui stava giù, piegato in due per la sofferenza che uno di loro gli aveva provocato durante la battaglia tra beduini e orchi.
Vras l’avevano chiamato e lo chiamavano sempre cosi, con questo diminutivo e mai con altri appellativi. Vras si disse; suonava bene pensò, era bello. « Svegliare uomo di latta! Svegliare! »

Ecco, si sbagliava. Una pacca sulla spalla più forte del dovuto. Erano quasi tutti alzati, altri invece preferivano stare sdraiati con la sabbia che si appiccicava sul corpo bagnato. Il cavaliere era assorto nei suoi pensieri ma aveva gli occhi aperti; quel giorno lui non aveva ancora partecipato al gioco. « La mia armatura è la mia pelle, come le dure squame di un drago o come la corteccia che protegge un albero. »
Ogni volta che Vras parlava gli orchi sembravano assorti e pronti ad ascoltare tutto ciò che proferiva il cavaliere con una certa curiosità genuina. Eppure il Vittoriano sapeva che erano esseri temibili, sapeva che qualcosa in loro non andava.
« L’unica parte di armatura che fa da eccezione a quello che vi ho detto… » Prese l’elmo e lo sfilò dal capo.
« E’ questa. » E tutti fissarono l’oggetto che il cavaliere aveva tra le mani.
Molti chiesero perché, molti altri non capirono e l’Ultimo aspettò che il silenzio prendesse di nuovo il sopravvento.
« Quando guardo quest’elmo rivedo loro, i miei fratelli. Quando guardo loro vedo la fine, la nostra missione e il nostro credo. »
Quindi è per questo che i Mille non stati cosi magnanimi con me.



La prima notte la passò in bianco in una tenda, con quell’asfissiante dolore alla schiena, non riusciva coricarsi e il metallo della corazza sembrava essersi ristabilito – almeno quello, si era gonfiato aspirando da Vrastax tutte quelle energie che gli aveva fatto recuperare la perfetta forma primordiale. Lo stesso però non poteva dirsi della ferita al polpaccio e di quella alla bocca e, ovviamente, nemmeno di quella alla schiena: il peggiore fra tutti i mali. Strinse i denti e quasi pianse finché il sole prese il posto della luna, finché le stelle si trasformarono in macchie bianche, tutte diverse. Respirò a fondo prima di lasciare la tenda in cui aveva provato a passare la notte. All’alba l’avevano mendicato utilizzando unguenti sconosciuti e facendogli bere una strana sostanza amara di colore nero, l’aveva buttata giù tutta d’un colpo e quando ebbe finito non riuscì a non tossire, era talmente pesante che se avesse avuto qualcosa in pancia l’avrebbe vomitata.
« Ti ringrazio… » Il troll non gli rispose subito ma sorrise come quello che l’aveva accolto il giorno prima accompagnandolo dal capitano.
« Chiamami pure col mio nome: Hurlt. »

« Ti ringrazio Hurtl Il mio nome è Vra - » « -Vras, esattamente, lo conosciamo già abbastanza bene il tuo nome. »
E uscì dalla tenda facendo filtrare un raggio di luce talmente potente da illuminare il suo volto e ciò che si trovava dentro il suo padiglione, praticamente nulla certo ma per Vrastax – Vras non era un problema. Aveva apprezzato molto il fatto che gli fossero state concesse le armi, il cibo e pure un posto dove dormire in completa libertà. Erano davvero strani quei pelleverde, li ricordava in maniera veramente diversa. Li ricordava cattivi e pieni di odio, con un’unica e terribile ambizione: quella di conquistare attraverso la morte.
Quei troll erano diversi, forse il cavaliere si sbagliava.



« E’ interessante questa tua pelle corrazzata Vras. » Intervenne Hurlt con quel suo modo gentile e pieno di ammirazione, proprio lui non sembrava essere nemmeno un troll, aveva le sembianze caratteriali di un vero umano, di un lord, di un grande uomo saggio.
« Io volere tua armatura uomo di latta, piacere me. » Annuì con forza battendo un pugno sul petto con forza. « Piacere molto, sì! »
Ma Hurtl parlò prima che Vrastax potesse dire qualcosa a riguardo.
« Ghemn... » Sospirò. « Caro Ghemn tu non porti armature, non ne hai mai portate! » E sorrise guardando il cavaliere del metallo con quei grandi occhi violetti.
Stavano mangiando qualcosa ora e accompagnavano il tutto con una strana bevanda dal sapore aspro, l’ennesima.
Tutti avevano riso alle parole di Hurtl, solo Ghemn aveva fatto una brutta smorfia in segno di disprezzo.

« Io volere lo stesso però. »

Dovevano essere una decina e tutti si conoscevano, tutti si sentivano fratelli e Vrastax era l’unico tra loro ad essere solamente un semplice ospite. La luce del sole stava cominciando ad affievolirsi mentre le torce invece venivano accese in diverse zone dell’accampamento.
Poi un suono greve squarciò tutti i mormorii di quel gruppo, uno tra i pelleverde di quel piccolo gruppo cominciò a gridare a squarciagola cercando di intonare quella che sembrava essere una canzone orchesca e tutti come un coro lo seguirono.
La serietà nei loro volti era talmente ridicola da far sorridere persino il Vittoriano che li guardava con un misto di vergogna e piacere, la loro coesione però era talmente forte che gli sembrò vedere cantare solo uno di loro anche se tuttavia nessuno era riuscito ad essere intonato.
Gli schiamazzi fecero avvicinare altri troll e da dieci guerrieri il numero arrivò fino ad una cinquantina; Vrastax sentì una strana puzza, si tappò la bocca con la mano e poi tentò di allontanarsi da lì, quasi non riusciva a respirare e, arrivati ad un certo punto della canzone, nemmeno più a sentire i suoi pensieri. Si fermò arrendendosi a quel circolo musicale che l’aveva risucchiato dentro. Si sentiva diverso là dentro, non tanto per la sua natura ma più per comportamenti che non gli erano familiari, e cantare in modo orribile e senza senso era uno di questi.
La fredda notte era ormai scesa tra loro e un immenso e bellissimo fuoco era stato accesso al centro di tutti i pelleverde.
« Vras! » Urlò Hurtl. « Vras canta con noi per l’Unico. »
E chiuse gli occhi.



« Vieni con me per favore. »
Quello che uscì dalla bocca del troll parve essere un ordine, almeno questo pensò il cavaliere che, senza esitare, lo seguì comunque. Si mosse rapido senza problemi, segno che le pozioni di quei pelleverde stavano funzionando alla perfezione, la sofferenza della sua schiena si era infatti trasformata in un misero fastidio facilmente sopportabile.
« Dove andiamo? » Esordì cosi quella mattina, senza salutare e senza pronunciare il nome di Hurtl. Hurtl era diventato il suo accompagnatore, la sua guida e la sua risposta al perché Vrastax stesse passando una piccola parte della sua vita in quel luogo. A dire il vero nemmeno lui aveva la risposta, ma con lui Vrastax aver trovato la soluzione a diversi dubbi. Lo apprezzava per questo ma per quanto differente potesse sembrare dai normali troll, c’era una parte dell’Ultimo che non lo accettava.
Il pelleverde parve non sentire e infatti tra i due calò il silenzio.
« Dove andiamo? » Ripeté Vrastax alzando la voce.
« Sei una persona paziente Vras? » Sapeva già dove sarebbe arrivato.
« Sì. » Disse a malincuore conoscendo già quello che avrebbe detto la guida.
« Allora taci e aspetta. » Si girò e Hurtl gli sorrise con quei bianchi denti storti che aveva.
Arrivarono dopo qualche minuto nello stesso spiazzo in cui qualche giorno prima avevano tutti cantato a squarciagola e forse il Vittoriano trovò la risposta da solo.



Aprì gli occhi; stavano cantando un’altra canzone, una molto più rumorosa e assordante della precedente. Il cavaliere non ne poteva più questa volta ma cercò comunque di resistere e lasciarsi andare, tuttavia quello che ottenne fu un semplice suono flebile. Non aveva voglia di cantare, non l’aveva mai fatto e di certo non avrebbe cominciato quel giorno.
Da quanti giorni era lì comunque? Non lo ricordava, forse quattro o cinque, forse era soltanto il secondo ma qualunque fosse il giorno non importava. Se fosse stato un mese, un anno o un decennio il Vittoriano avrebbe aspettato comunque il suo capitano e la sue decisioni, era questa la sua missione, stare in quel luogo e aspettare che qualcosa si muovesse, buona o cattiva non sarebbe stata un problema.
Bevve un altro sorso di quella bevanda poi cominciò a guardare la folla, i troll, alcuni piccoli goblin e infine i giganti. C’erano pochi, forse tra loro avrebbe visto il codardo che l’aveva colpito alle spalle.
Cominciò a cercare tentando di non farsi vedere da Hurtl, fece finta di muovere le labbra e di trovare le parole adatte. C’erano quattro giganti in tutto. E lì, alla destra di Vrastax, c’era lui.
Per un attimo sembrò non notarlo ma poi la creatura verde alta quasi tre metri lo fissò e a differenza di Hurtl non rise ne cambiò la sua espressione, semplicemente lo guardò diritto negli occhi e Vrastax non seppe dire per quanto tempo.
« Vras… » Sussurrò il troll, suo amico, come se avesse già capito le intenzioni del cavaliere.
« Lascia stare per ora e aspetta. »
Aspetterò si disse e quella notte finì.



Il sole era alto in cielo e questa volta nessuno sembrava aver deciso di coricarsi sul manto di sabbia incandescente. Il Vittoriano era molto tranquillo e rilassato, non era lì per vendetta, non era lì nemmeno per uccidere, voleva giocare e avrebbe giocato, si era ormai abituato a quel loro modo di affrontare qualcosa, avrebbe affrontato una semplice gara in mezzo a tutti quegl’esseri che una volta considerava suoi acerrimi nemici.
« Tu credere in qualcosa uomo di latta? » Ghemn si era aggiunto al duo senza farsi troppi problemi a chiedersi perche sia il cavaliere che la guida fossero cosi seri. Era uno di quei pelleverde spontanei, troppo sicuri di sé e pieni di forza sì, ma con un piccolo vuoto nel sapersi comportare in situazioni del genere.
« Il mio popolo non credeva in nulla se non alla giustizia e alla pace. » Nessun dio, nessuna venere, niente di niente.
« Adesso io credo in me, nell’Ultimo Vittoriano. Io rappresento il mio popolo, io rappresento i Mille. » Attese qualche attimo prima di completare la frase e dargli un senso.
« Io sono l’unico... » Ma Ghemn lo bloccò. « Unico? Occhio di Gruumsh essere l’Unico, tu essere niente. »
Ancora il pugno sul petto, a volte a Vrastax sembrava che volesse romperselo il petto.

« Sì Ghemn, Gruumsh è l’unico. »
Qualche giorno prima era stato proprio lui, a parole sue, a parlare del Dio in cui molti di quei troll credevano. E questo Dio aveva molti epiteti tra cui l’Unico, l’Idolo o Colui-Che-Non-Sogna-Mai. Ghemn era stato quanto mai più preciso e serio nel parlare di lui, di questo Gruumsh.
« Nostro Dio grande guerriero con occhio solo e armatura nera e ciclope. » Batté il pugno sul sudato petto muscoloso. « Soprattutto ciclope, per questo essere chiamato Occhio e Unico e Gruumsh, per questo. »
Il cavaliere chinò il capo ricordando per l’ennesima volta le parole con cui il troll senza armatura aveva descritto con tanta religiosità il suo Dio, ma solo uno di quei titoli attraversò la mente di Vrastax. L’Unico.
A differenza dei troll e di quella loro divinità che non sognava mai, Vrastax si era sempre considerato l’ultimo ma mai l’unico tra tutta la gente del suo popolo. Certamente i significati di quella parola potevano essere diversi sia per il Vittoriano sia per i troll ma in qualche strano modo, Vrastax, sentiva adesso il peso non solo di essere l’Ultimo ma di essere persino l’Unico a rappresentare la sua gente. E ciò, se da un lato lo rendeva fiero, dall’altro si era sentito solo e triste come mai prima d’ora.
« Eccolo Vras il tuo gigante sta arrivando. »
Ma non era solo.



Una ferita non guarisce solo col riposo. Questo il Vittoriano lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Le medicine stavano facendo il loro effetto certo ma a Vrastax mancava qualcosa, e forse il fatto di vivere in una tenda senza essere abituato a stare fermo lo aveva reso più impaziente del solito per questo fremeva dalla voglia di fare il suo dovere, ciò per cui era nato. Voleva muoversi e non voleva pensare, a dire il vero non voleva nemmeno ritrovarsi a parlare con i suoi fratelli. C’erano dei periodi della sua vita in cui la loro presenza si affievoliva, giorni in cui sembravano scomparire dal corpo del cavaliere. A Vrastax tutto ciò non dispiaceva: si sentiva libero di vivere cosi quel che rimaneva della sua vita e pur non stando dentro una prigione sentiva comunque ai polsi e alle caviglie delle catene che lo rallentavano e lo appesantivano eppure era sempre meglio di stare in una prigione con addosso tutto quell’altro metallo.
Era solo, era riuscito a trovarsi un pezzo di terra dove non essere disturbato, vicino passavano molti orchi ma solo alcuni sembravano interessarsi realmente a quello che stava per compiere il Vittoriano. Aveva la spada in mano e respirava profondamente, si concentrò prima di iniziare.
Strinse le dita attorno all’elsa poi attaccò l’aria: sferzata e sciabolata. Colpo laterale e trasversale; scudo al petto e di nuovo colpo laterale orizzontale e poi verticale, colpo obliquo e scudo al petto. Sferzata; sciabolata.
Un respiro profondo e si piegò, il nemico era fermo e da tutte le parti, era immortale e invisibile. Affondo. Affondo sempre più forte. Affondo e rotolamento; concentrazione; affondo e rotolamento.
Respirò e si alzò. Il dolore alla schiena sembrava essere aumentato, ma era solo un fastidio fortunatamente, solo una sofferenza da poco conto.

« Coraggio Vrastax. »

Fece lo stesso per altre tre volte. Stessi movimenti precisi, scanditi dal tempo e dal respiro, non si fermò mai e non pensò mai a quale sarebbe stata la prossima mossa, tutto filava con una certa naturalezza, gli sembrava di portare con sé tutte le tecniche dei suoi antenati, le sapeva a memoria e alla perfezione, poi immaginò le battaglie e le grida dei loro nemici e divenne più feroce a colpire l’aria, gli parve, per un attimo di tagliarla pure in due. Vide l’unione dei suoi fratelli nell’attaccare in modo silenzioso e pacato, veloce e mortale, vide la classe nei loro movimenti, la loro grande tenacia nel resistere anche alle situazioni più avverse. Vide ogni loro giustizia.
Le sciabolate erano a migliaia, cosi come le capriole e i colpi obliqui, tutti erano perfetti in quella graziosa danza della morte. Poi tra loro in un immagine fulminea vide passare il capitano Raymond, cosa ci faceva lì?
Stava passeggiando in mezzo ai morti e ai suoi fratelli. Come poteva essere?
Chiuse gli occhi e quando gli riaprì tutti erano scomparsi, solo il comandante era rimasto nel suo campo visivo; per un attimo si guardarono poi convinto il Vittoriano che Raymond fosse ancora offeso con lui abbassò lo sguardo continuando per tutto il giorno quello che gli parve essere solo un riscaldamento.
E quell’ennesimo giorno finì.



« Giganti fratelli, uomo di latta. » Disse Ghemn in un sussurro.
C’erano soltanto loro ma sembravano essere molti di più pensò l’Ultimo. Erano identici e per questo Vrastax avrebbe avuto difficoltà a scegliere con chi avrebbe giocato.
« Vras non devi per forza affrontare uno di loro. » Un altro sussurro, questa volta fu l’orco Hurtl a emetterlo.
« Vras se ti colpissero un’altra volta alla schiena non sarà facile per i chierici curarti. » Ma non gli diede retta perché uno dei giganti era ormai arrivato troppo vicino al Vittoriano.
« Drokl questo mio nome. Tu combattere con me. Io colpire alle spalle te alla battaglia di giorni fa. »
Dunque era questo il suo nome, era lui…
« Wrokl questo mio nome. Tu combattere con me. Io colpire alle spalle te alla battaglia di giorni fa. »
A differenza del fratello, quel Wrokl gli sorrise ma Vrastax fu sorpreso di vedere come i due giganti avessero la stessa tonalità di voce, la stesso e identico modo di parlare e chissà forse anche un’uguale modo di combattere. Se li avesse sfidati entrambi avrebbe avuto davvero poche chance di uscirne indenne, non poteva rischiare cosi tanto, non ora che era riuscito a guarire quasi completamente.

« Voglio giocare con uno solo di voi. E io voglio giocare proprio con chi ha riso alle mie spalle e ride ancora. »
Estrasse la spada con rapidità.

« Io voglio te Wrokl! »

Disse con coraggio.
Ma ad attaccare fu il fratello e Vrastax si pentì di essersi buttato in quel casino. I due orchi avevano solo una mazza tra le mani, nessuna armatura, nessun elmo, erano persino scalzi e l’unica cosa che coprivano era il loro membro.
Rotolò all’indietro prima che l’attacco potesse risultare letale. E quello che accadde dopo fu difficile da capire per Ghemn e Hurtl; i giganti urlarono e attaccarono sempre in continuità, senza mai lasciare spazi di uscita al cavaliere, sembrava non si stancassero mai. Vrastax però capì di trovarsi in mezzo a due giovani soldati che seguivano più l’istinto che la strategia. Infatti per gran parte del combattimento studiò i loro movimenti e si ricordò di non essere in battaglia ma in un duello, e in quel genere di sfide molti fattori venivano a galla. Il primo fra tutti: l’instabilità di quelle creature.
I loro attacchi erano sempre simili tra di loro, concatenati e quasi sempre portati a colpire la terra in modo più forte possibile. L’armatura ingombrava i suoi movimenti certo ma per tutta la sua vita aveva combattuto con essa e quindi poteva dire di essere abbastanza scaltro per evitare i colpi.
Questo però non voleva dire che li avrebbe evitati tutti e infatti diversi di quei rozzi attacchi finirono per infrangersi sullo scudo del Vittoriano oltre che sulla terra.
Respirò a fondo.
Era il momento di agire.
Ripeté gli stessi schemi del giorno prima solo per il gusto di farli sfiancare e arretrare e i due fratelli si allontanarono tra loro sempre di più finché Vrastax ebbe a che fare solo con un di loro. Rotolò a sinistra e quando si ritrovò di fianco a quello che sembrava essere Drokl colpì con forza il centro di una delle sue ginocchia. Immediatamente il gigante perse l’equilibrio. Non lo uccidere, si disse, questo è un gioco e i giochi non finisco con la morte. Anche da quella posizione Drokl era quasi più alto di Vrastax, si girò per guardare la posizione del fratello che prendeva fiato, era quasi arrivato nei pressi dei due con quella sua corsa poco graziata. Il gigante forse non sentì lo scudo che si infrangeva nella sua faccia e per questo l’Ultimo fu costretto a rifare lo stesso movimento per tre volte di fila finché lo stesso cavaliere non sentì qualcosa rompersi, forse il naso.
Per un pelo riuscì a schivare l’attacco del fratello adirato ma cadde a terra e il colpo successivo questa volta parve prenderlo in pieno volto.
Vide il nero e le stelle, tantissimi troll che si erano avvicinati a vedere lo spettacolo.
Poi sentì un dolore acuto vicino al collo e alla mascella, vide ridere il suo avversario che lo prese e se lo portò sulle spalle. Le immagini erano confuse, tutte diverse e la testa gli girava; Drokl era in piedi che sanguinava anche lui sorridente: lo salutò con quella grande e poderosa mano che aveva. Ghemn aveva la bocca spalancata, lo sguardo esterrefatto e Hurtl… be Hurtl avrebbe passato un’altra notte in bianco col Vittoriano, poté vedere la sua delusione. E Vrastax per un attimo, prima di perdere i sensi capì di essere ancora un bambino.

« In fondo è stato un bel gioco. »



Quando riaprì gli occhi la prima persona che vide fu Hurtl.
E le prime parole che udì furono le sue. « Sei fortunato a non avere una corteccia d’albero anche in testa. »
Sorrise, a Vrastax davano sollievo i suoi sorrise. Notò di avere solo un occhio aperto.
« Sono guarito? » Chiese.
« Diciamo che stai guarendo, il tuo corpo reagisce bene alle pozioni dei chierici. »
L’Ultimo alzò la schiena e si mise a sedere, fortunatamente non sentì alcun dolore. L’unica cosa che percepiva era il gonfiore della sua faccia e il formicolio che aveva un po’ da tutte le parti, assieme alla debolezza fisica.
« Hurtl mi stavo chiedendo… »
« Ti stavi chiedendo cosa Vras? » Hurtl si alzò e si avvicinò all’entrata della tenda.
« Mi stavo chiedendo se… » Il troll aspettò qualche attimo poi uscì dalla stanza del Vittoriano.
« Niente, niente. »




Edited by Vrastax Victorian - 19/11/2012, 14:36
 
Top
view post Posted on 18/11/2012, 23:39

Esperto
······

Group:
Member
Posts:
4,537
Location:
Oltre la Barriera.

Status:


Quattordicesimo giorno

Le prime luci dell'alba accarezzarono lievemente i contorni delle cose creando sfumature rosate e giochi di chiaroscuro che impreziosivano la scarna severità dell'arredamento. Un piccolo tavolo di legno su cui giacevano in disordine centinaia di pergamene fitte di appunti e disegni che Zaide aveva collezionato nelle ultime due settimane, il manto blu scuro datole dai beduini, abbandonato sullo schienale dell'unica seggiola e un cimitero di mozziconi di candela, consumati nelle lunghe notti insonni immerse nello studio delle antiche pratiche degli sciamani.
Zaide si rizzò a sedere sulla branda. Un vago odore dolciastro proveniente dalla tenda vicina permeava l'aria appesantendola. E la strega decise: l'avrebbe fatto. Quella stessa notte.


Decimo giorno


- Se sei davvero così determinata, seguimi.

Lo sciamano parlava con autorevolezza ma il brillio nei suoi occhi tradiva una vaga eccitazione e un malcelato compiacimento all'idea di fungere da maestro a una nuova discepola: tra i pelleverde non era comune incontrare una mente pronta a ricevere l'Insegnamento, e benché i suoi modi apparissero talora bruscamente sgarbati, non passava giorno senza che l'anziano sciamano e la strega dai capelli rossi venissero visti insieme a discutere animatamente di questioni teoriche o a scrutare il cielo in cerca di segni.
Sei ancora qui? borbottava ogni mattina l'anziano, non appena la tenda di pelle si scostava per lasciar passare Zaide. Ma la strega sorrideva a quel burbero cipiglio: nonostante i rimbrotti, non aveva potuto non notare che sul suo tavolo, ogni mattina, attendevano due tazze fumanti di té speziato.

- Dove andiamo, Shaman?

- Mi segui da dieci giorni, ormai. E' ora di mostrare cos'hai imparato.

Una lieve inquietudine le contrasse lo stomaco. Dieci giorni? Non credeva di aver trascorso tanto tempo presso i pelleverde. Il giorno del tradimento sembrava ormai lontano e la vita al campo scorreva sorprendentemente rapida e piacevole. Il pensiero le corse a Caelian: doveva essere in pena, senza aver più avuto sue notizie...
Un dolore lancinante al ginocchio la riportò bruscamente alla realtà facendola strillare.

- Sei distratta! Nessun pensiero può essere più importante della tua brama di apprendere!

Zaide si massaggiò il punto dove il bastone nodoso dello sciamano l'aveva colpita.

- Se non ti interessa apprendere, vattene! Vai via, Rooivrou!

Sebbene d'istinto le venisse da ridere alla vista della faccia offesa del suo mentore, la strega chinò il capo in segno di pentimento e mormorò: - Non accadrà più, Shaman. La mente è debole...aiutami a seguire la strada!

Questa scena non era inusuale: di tanto in tanto lo sciamano si prodigava in quelle che Zaide chiamava tra sé e sé "scenate di gelosia", ma lei non voleva abbandonarlo per seguire gli insegnamenti di un altro saggio sebbene molti sciamani avessero manifestato un profondo interesse nei confronti della sua conoscenza magica. Ekver-Wysnad'lig era il membro più anziano della loro comunità: superava di poco le quattro decadi, aveva appreso Zaide con sorpresa, età di tutto rispetto per le tribù, che gli conferiva il dono di portare l'antico nome dei più grandi sciamani, nonchè la venerazione di tutti i componenti più giovani. Quando Zaide gli aveva raccontato che gli umani potevano raggiungere almeno il doppio della sua età per essere considerati davvero anziani, lui era scoppiato a ridere con la sua voce rauca: Ecco perchè non conoscono la magia! E' come diluire una goccia di miele in un barile d'acqua!
Ma l'opinione che aveva di Zaide era ben diversa: lo dimostravano le interminabili discussioni sulla vita e la morte che li accompagnavano spesso per intere giornate, finchè il buio e il freddo non li sorprendevano.

- Hai studiato i libri che ti ho dato, Rooivrou?

Nonostante il tempo trascorso assieme, lo sciamano continuava a chiamarla in quel modo anzichè per nome; quando Zaide gli aveva domandato il perchè, lui le aveva chiesto: E come ti chiami? Come sai, mi chiamo Caelian, Shaman. Bugiarda. Almeno su quella testa di fuoco non puoi mentire,quindi continuerò a chiamarti Rooivrou.

- Li ho studiati, Shaman.

- Hai compreso a fondo l'uso del cardo rosso di Brise?

- Certo, Shaman.

- Il dosaggio, la preparazione?
Zaide annuì spazientita.

- Sai come servirtene in circostanze d'emergenza?

- L'ho studiato, Shaman. Ma dubito che mi possa capitare di trovarmi in una situazione del genere, insegnami l'incanto della morte, te ne prego!

- Impaziente! - sbottò lo sciamano, infuriato. - Tu imparerai quello che dico io, e quando lo dico io! Né più, né meno!
Zaide non voleva cedere, ma dovette assentire, sconfitta.

- E ora monta su!

Sorpresa, la strega si accorse che la loro conversazione li aveva condotti al recinto degli animali, e che lo sciamano le stava indicando uno dei due muli più vicini. - Ma dove...?

- Monta e taci!

Cavalcarono finchè il sole fu alto nel cielo, e ardente. Il pensiero di Zaide tornò al suo viaggio solitario nel deserto, e sperò che il vecchio sapesse ciò che faceva: l'accampamento era ora decisamente lontano, e di lì a poco il caldo sarebbe stato insopportabile.
Quando smontarono, lo sciamano appoggiò a terra le bisacce e assemblò alla bell'e meglio un riparo improvvisato sotto cui si sedette, al riparo dal sole.

- Dimmi, a cosa serve dunque il cardo rosso di Brise?

Spazientirsi non sarebbe servito a nulla. - Cicatrizza le ferite più profonde, stimola la ricostruzione dei tessuti, e se miscelata con la roccia nera di Laslandes, e con l'opportuno incanto, può addirittura riparare una mutilazione.

Zaide cominciava a intuire dove volesse andare a parare quella lezione. Alcuni giorni prima le aveva fatto ferire alcuni topi del deserto per vedere se era in grado di curarli; ma non c'era traccia di animali in quell'angolo d'inferno. Quando vide lo sciamano alzarsi e dirigersi verso i muli, temette che volesse usare le loro cavalcature come carne da macello per i loro esperimenti; ma ciò che fece fu anche peggio. Sciolse le briglie di entrambi gli animali e lanciò un grido d'incitazione dando loro una pacca sulla coscia. I muli partirono al galoppo sollevando un gran polverone che fece tossire Zaide. - Ma cosa diavolo stai facendo? I nostri muli!

- Non devi aver la tentazione di scappare.

- Scappare? Ma...

Con un tuffo al cuore vide che lo sciamano aveva estratto il proprio pugnale. Una luce strana, maniacale, gli scintillava negli occhi.

- Tu sei dotata, Rooivrou. Forse la creatura più dotata che questi vecchi occhi abbiano mai incontrato. Ma sei pigra. E impaziente. Questa sarà una bella lezione per te.

In un batter d'occhio, roteò la lama del pugnale nella mano e prima che Zaide potesse emettere un solo grido, l'aveva affondata nella sua stessa carne. La strega urlò, piena d'orrore alla vista della mano del vecchio che rotolava inerme sulla pelle di pecora distesa sul terreno. Lo sciamano lasciò cadere a terra il pugnale, stringendosi con la destra il moncherino e andando a sedersi sotto la tenda: - Ecco fatto.- esalò con voce flebile. - Ora credo che perderò i sensi, e mi piacerebbe tanto risvegliarmi con la mano riattaccata. Fai un buon lavoro, Rooivrou.

- NO! No, no no! - Zaide si gettò a terra accanto allo sciamano, tamponando la ferita. Stracciò il mantello blu e lo avvolse stretto attorno al moncherino, ma si imbevve subito di sangue e dovette preparare un'altra benda. - No, maledetto vecchio pazzo, questa non me la dovevi fare!

Il cuore le martellava all'impazzata, e il panico unitamente al calore del sole sempre più feroce le offuscava la vista. Non riusciva a controllare il tremito delle mani, ma quando lo sciamano chiuse gli occhi si impose la calma. Non poteva credere che quel diavolo avesse davvero fatto una cosa del genere solo per metterla alla prova...Come poteva aver messo a repentaglio la sua stessa vita in quel modo? Il primo pensiero di Zaide fu di andare a cercare aiuto...ma quel furbacchione aveva pensato anche a questo: i muli erano orma lontani e irraggiungibili.
Lo sciamano si fidava, si fidava davvero.
E lei non sapeva cosa fare. Eppure, quella era davvero una lezione. La più difficile di tutte.
- Vecchio pazzo... - mormorò, mentre si apprestava a scandagliare ogni roccia in cerca di quello stramaledetto cardo.


Quattordicesimo giorno


La memoria di Zaide tornò con un profondo senso di soddisfazione a quella sera di pochi giorni prima in cui aveva fatto ritorno all'accampamento trascinandosi dietro lo sciamano, affaticato e pallido, ma con entrambe le mani al posto giusto. Lo sgomento dei pelleverde nel vedere le condizioni del loro anziano si era tramutato in incredula meraviglia nell'apprendere la terribile prova a cui era stata sottoposta l'apprendista, e quella sera c'era stata festa grande attorno al falò. Ekver-Wysnad'lig decantava il sangue freddo di Zaide, mentre lei, ancora furente e sfinita, non chiedeva di meglio che andare a dormire un sonno senza sogni.
Ora che anche quel momento sembrava così lontano, la strega lo serbava nella memoria con orgoglio e gratitudine. E il pensiero che l'assillava fin dall'alba iniziò a prendere forma. Anche quella era una prova, lo sentiva. L'ultima grande lezione.

Quando calò la notte, lei era pronta. Gli ultimi canti funebri avevano cessato di risuonare un'ora prima e i profumi del banchetto rituale iniziavano già a svanire nell'aria fredda della sera, quando si accostò furtivamente alla tenda che da due settimane era quasi la sua casa. Il nuovo sciamano anziano aveva decretato la morte di Ekver-Wysnad'lig per cause naturali, avendo egli abbondantemente superato il limite di vita medio di ogni pelleverde, e questo era bastato a prosciogliere Zaide da ogni sospetto di un suo coinvolgimento accidentale nella morte del suo maestro. Quando entrò nella tenda, il giovane apprendista che vegliava in assorto silenzio il cadavere si alzò e fece un piccolo ossequioso inchino alla strega, cedendole frettolosamente il suo posto e uscendo nella notte.


Era sola.

Accese una candela e la accostò al viso dello sciamano; curiosamente, nella morte appariva più giovane e minuto che da vivo. O forse, più semplicemente, Zaide aveva voluto vederlo vecchio e rugoso, mentre invece la sua pelle era compatta e liscia.

- E' l'ultima lezione, non è vero? - gli mormorò. - Mi hai insegnato, mi hai guidato fino a qui. Ti ho riattaccato la mano, ora vuoi che faccia lo stesso con la vita, non è così?
Il silenzio tutt'attorno era irreale.

Ma cosa sto facendo...Parlare con un fantoccio vuoto!

Eppure l'idea che quello fosse il suo ultimo compito da apprendista la allettava terribilmente. - E se mi sbagliassi? - chiese al morto. - E se non vuoi veramente essere svegliato?
Ma poi ripensò ai cadaveri rianimati dagli sciamani sul campo di battaglia: erano perfettamente in grado di agire, combattere e uccidere nel pieno del loro potenziale, solo che sembravano non disporre di una volontà propria. Ekver-Wysnad'lig avrebbe potuto risvegliarsi e continuare a insegnarle, perchè lei lo voleva.

Sospirò.
Sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in tutta quell'idea, ma se ne sentiva anche morbosamente attratta...doveva farlo.

Lentamente e sottovoce intonò la scura melodia che lo sciamano le aveva pazientemente insegnato, parola dopo parola. Rispetto al lugubre lamento che era risuonato sul campo di battaglia, nella penombra della tenda sembrava più una ninnananna triste, e Zaide cadde presto in uno stato di semicoscienza a cui era preparata, ma a cui non sapeva reagire. Continuò a cantare muovendo lievemente le mani finchè davanti ai suoi occhi non si addensarono delle figure perlacee vagamente familiari. Fluttuavano davanti a lei, contorcendosi in spirali luminescenti che sembravano cangiare di colore alla fioca luce della candela. "Perchè lo fai, Rooivrou?" "Sei morto, e faccio ciò che mi hai insegnato" "Non sarò felice" "Ma sarai vivo" "Non sarai felice nemmeno tu" "Io non sono mai stata felice" "Bugiarda" "Ero felice quando imparavo da te" "Ma io sono morto" "Non per molto" "Pensaci bene, Rooivrou...Zaide".

Zaide non seppe mai se quel dialogo interiore fosse davvero mai avvenuto o se fosse solo il frutto della sua immaginazione. Ebbe solo la vaga consapevolezza che il suo canto si stesse facendo più intenso, come se assieme a lei stessero cantando centinaia di altre voci in tonalità diverse, e che il suo corpo si stesse lentamente surriscaldando.
L'aria della stanza era rovente.
Per un istante, una memoria atavica si sovrappose alla realtà: una donna urlava contorcendosi in preda a dolori atroci in un rogo, mentre attorno la folla vociava feroce. Per un attimo, Zaide fu quella sconosciuta, ma delle grida in lontananza la riportarono al presente. C'era gente che gridava fuori dalla tenda nella lingua aspra dei pelleverde, urla spaventate e sempre più vicine: "Vuur, Vuur!". Era una delle parole che la strega aveva imparato nel suo breve apprendistato. Fuoco.
E improvvisamente tossì, la gola piena di fumo acre: la tenda funeraria stava bruciando. Sussultò, quando qualcosa di freddo le strisciò sulla mano, stringendola convulsamente; e Zaide, con un misto di orrore e gioia feroce, si accorse che serrate attorno al suo polso erano le dita di Ekver-Wysnad'lig, che lentamente si stava rizzando a sedere sul letto.

- Tu! - Zaide avvertiva l'urgenza del momento, ma la consapevolezza di aver completato, da sola, un rituale arcano di enorme complessità la riempiva di insano orgoglio. - Shaman, sono così felice! Presto, usciamo di qui!

Lo sciamano si muoveva lentamente, come se stesse saggiando la solidità delle proprie membra; i suoi occhi erano rossi come il fuoco, ma per il resto a Zaide sembrava lo stesso di sempre.

- Perchè l'hai fatto?

Zaide si rabbuiò. Gli aveva salvato la vita, non era il momento dei rimproveri.

- Dai, usciamo da qui o sarà stato tutto inutile.

Nel momento in cui misero piede all'aperto, un interminabile silenzio calò sulla piccola folla riunitasi. Hanno paura, pensò Zaide. Hanno paura di me...ci saranno conseguenze, lo sento. La sua sicurezza vacillò per un momento, ma poi la grandezza del suo operato tornò a riempirla di fierezza.
Che mi puniscano, pensò.
Non si era mai sentita così potente come in quell'istante.









Zaide

°concentrazione [+2]
°intuito [+2]

[c. 29%; a. 13%; m. 5%; b. 1%]



Non c'è molto da aggiungere, so di aver azzardato un po' ma ho seguito la condotta di Zaide: non avrebbe potuto agire altrimenti, poichè imparare è la sua fissa quasi morbosa, e dimostrare di essere la migliore ne è la diretta conseguenza. Ho lasciato aperto il finale, perchè Zaide pg (e io) siamo consapevoli che potrebbero esserci conseguenze di una certa entità in seguito a questo evento, per cui mi rimetto nelle mani del master. Il cadavere rianimato non è un "burattino" come apparivano i cadaveri nel combattimento: ho "migliorato" l'incantesimo grazie alla capacità di Zaide di sentire le anime dei morti, così che lo sciamano resuscitato sia più simile a un essere vivo che a un non-morto. Quello che accadrà in seguito, dipenderà dall'evolversi della situazione. La tenda è effettivamente bruciata, non è chiaro se per effetto del rituale o se qualcuno abbia volontariamente appiccato il fuoco non appena compreso quale rituale si stesse svolgendo all'interno.
In sostanza, in queste due settimane Zaide ha vissuto in una sua personale bolla d'aria lontana da tutto e da tutti, immersa in ciò che ama maggiormente fare; ho raccontato un solo episodio, quello della mano, ma nelle due settimane ce ne sono stati molti altri dello stesso stampo.
Spero che vi piaccia questo post, a me ha entusiasmato scriverlo!

Passive:
[Passiva di ammaliamento psionico; a seconda dei comportamenti di Zaide e ad interpretazione del personaggio che subisce la tecnica, può istillare in lui lussuria nei confronti della strega o terrore - sta alla vittima decidere quale delle due, coerentemente ai comportamenti e all'aspetto assunto da Zaide]
[Disciplina ferrea e dedizione, ma anche un’innata predisposizione nei confronti di tutto ciò che riguarda la sfera delle conoscenze arcane, sono alla base della capacità di Zaide di percepire istintivamente ciò che è magico attorno a lei, permettendole di svelare illusioni ambientali e avvertire attacchi magici anche alle proprie spalle]
[La portata del suo sapere magico è tale che ogni sua tecnica di natura magica provocherà danni di un livello superiore rispetto al consumo utilizzato, a fronte di una diminuzione delle tecniche fisiche di pari natura]

Armi:
Scimitarra
20 pugnali da lancio (11 utilizzati)
Athame del corvo
Athame delle anime





Edited by Zaide - 19/11/2012, 14:21
 
Top
view post Posted on 20/11/2012, 16:09
Avatar

--------------------
··········

Group:
Administrator
Posts:
34,432

Status:


Nel sogno, la montagna gli appariva stagliandosi contro l'orizzonte ben più nitida di qualsiasi altro elemento del paesaggio. La sua presenza era talmente prepotente da impedirgli di comprenderne la reale altitudine: migliaia di metri? Centinaia di metri? Forse non era nemmeno una montagna; forse era un altopiano, o addirittura una collina. Il mondo intorno a lei sfumava ai suoi piedi, senza reale continuità od importanza, permettendogli di raggiungere l'altura con un unico grande balzo, come avrebbe potuto fare solamente in sogno.
La cima della montagna era avvolta dalle fiamme. Proprio lì dove le prime nevi avrebbero dovuto imbiancarla, il fuoco la incoronava con gentile autorità, facendola risplendere come un piccolo inferno. Poteva sentire la sua pelle contorcersi sotto l'effetto del calore e i peli delle sue braccia avvizzire; la sua fronte riempirsi di sudore; i suoi occhi lacrimare per il fumo; la gola bruciargli e annaspare per l'aria. Vedeva le fiamme chiudersi intorno a lui sfumando dal rosso in colori più scuri e, con quella certezza onirica che determina l'andamento degli incubi, sapeva che era colpa sua. Che qualcosa di orribile stava per accadere, e che la portata del suo fallimento avrebbe condannato ben più che la cima di quella montagna.
Il fuoco gli lambì gli occhi, e si svegliò urlando.

Alzò una mano per ripararsi dalla luce del sole, rigirandosi nel suo giaciglio improvvisato. Il bagliore penetrava però con semplicità il cuoio della tenda, rendendo inutile qualsiasi sua opposizione e risvegliando i suoi sensi: ben presto le sue orecchie vennero raggiunte dal vociare rauco dei pelleverde e dalle grida di gioia dei loro bambini, ricordandogli dov'era e ammorbando i suoi muscoli con lo sconforto. Si alzò solo qualche minuto dopo, intorpidito e intontito dal sonno, e si diresse verso un bacile d'acqua per immergervi il viso e riprendersi del tutto; mise le mani a coppa e iniziò a lavarsi, sentendo la barba incolta graffiargli le dita mentre le passava sul volto.
Quella mattina si sentiva incredibilmente vecchio e, scrutando il suo riflesso, capì di apparirlo altrettanto: portava sotto gli occhi due borse tanto grandi che avrebbero potuto fare invidia ai più grandi consumatori di vini di ferro, intorno agli occhi iniziavano a intravedersi piccole zampe di gallina e le rughe sulla sua fronte erano ormai divenute parte naturale di qualsiasi espressione. Se non fosse stato per la barba e la fanghiglia indelebile che gli copriva il viso, sarebbe riuscito a commiserarvi di molti più dettagli; invece qualche giorno prima un hobgoblin aveva ben pensato di prendersi gioco della sua animosità, e ora ne portava ancora lo sporco segno verde.

« Voglio assistere Alexei. » aveva affermato con decisione « Se potesse parlare, vi chiederebbe lui stesso della mia presenza. »
L'amico dai capelli rossi aveva dovuto sottoporsi ad una pericolosa operazione per sopravvivere. La sua ferita si era infettata due volte nel corso delle settimane, e ora gli sciamani dedicavano lui dieci volte le cure che donavano a qualsiasi altro paziente, convinti di poterlo salvare. Dal canto suo Alexei non aveva mai mostrato un singolo attimo di dubbio, né la morte aveva mai adombrato col dubbio ed il panico la sua espressione, dimostrando per l'ennesima volta di possedere una quiete interiore sovrannaturale.
« pelleverde no possono disturbare toordokters durante bedrywighede. » gli aveva risposto l'hobgoblin a guardia della tenda, allungando una mano innanzi a sé « tu aspettare come tutti altri. »
« Ma io non sono un pelleverde. »
A quelle parole l'hobgoblin aveva chiamato uno sciamano nella sua lingua gutturale. I due avevano discusso per qualche secondo, poi lo stregone aveva armato la guardia con una scodella di terra piena di liquido verdastro e appiccicoso che, senza un solo secondo di esitazione, l'hobgoblin aveva tirato in faccia a Raymond. La sostanza aveva la consistenza della melassa e ci erano volute ore intere per liberarsene; ricordava tuttavia distintamente le parole della guardia - non infarcite di una certa ironia - mentre due bugbear lo allontanavano dalla tenda trascinandolo per le braccia e tentando di soffocare le sue grida e lamentele.
« ecco, soldaat! tu essere pelleverde ora! »

Solo poi aveva scoperto che il composto era tanto innocuo quanto indelebile.
Il suo riflesso nell'acqua sembrava prenderlo in giro per la sua ingenuità, ricordandogli della sfumatura verdognola che aveva sulle guance e che ogni mattina tentava di levarsi inutilmente.
« "la fiamma arde senza estinguersi mai" Aye, padre. Ma ci sono giorni in cui è più forte e giorni in cui è smorzata dal vento. »

8tmxw

« ecco Ray! venite qua, cuccioli! »
L'orco richiamò attorno a sé i bambini che, dimostrando una solerzia impeccabile, si disposero tutti in fila intorno al mezzorco.
« Ti ho detto mille volte che odio che mi si chiami con quel nome, Ohr. » gli ricordò Raymond, raggiungendo il gruppo « E' molto più importante di me. »
Ohr aveva indubbiamente preso più dal suo genitore umano che da quello pelleverde. Era relativamente basso e snello, non particolarmente atletico né aitante. Il suo viso non aveva i lineamenti duri degli orchi, né i suoi occhi sembravano pozzi di pece senza fondo. Compiva naturalmente più espressioni più credibili dei suoi consanguinei e parlava fluentemente la lingua comune. Per questa ragione - e per queste stesse ragioni anche Raymond - era stato assegnato alla cura dei cuccioli; un compito che i pelleverde ritenevano tanto necessario quanto oltraggiante. Il Lancaster era stato felice di piegarvisi: questo l'aveva costretto ai limitari del villaggio, ben lontano dai suoi sottoposti, e gli aveva dato il tempo di riflettere sul corso delle azioni, senza che gli venisse continuamente chiesto che cosa avrebbero dovuto fare.
La verità era che neppure lui sapeva come avrebbero dovuto procedere.

Il mezzorco si fece pensieroso per un istante, poi gli rispose entusiasta.
« Ah già! E' il nome del tuo Dio, giusto? »
« Del suo primo profeta, Ohr; » un errore che si stava stufando di correggere, e che facevano in troppi « ...anche se non fa grande differenza. »
« Però dovresti essere orgoglioso che i tuoi genitori ti abbiano chiamato come lui! »

Raymond sospirò con aria stanca. Come poteva spiegargli che era nato anni prima dello stesso profeta che adorava e che suo padre aveva oltrepassato i confini dei quattro regni pur di non abbandonarsi a credere nel Sovrano? La sua famiglia aveva sempre odiato e disprezzato Rainier con ogni fibra del proprio essere, ma non voleva confondere il mezzorco più di quanto già non lo fosse.
« Preferirei avere altre ragioni per sentirmi orgoglioso. » concluse non senza rammarico « Quindi inventati pure un appellativo con il quale chiamarmi. »
« D'accordo, soldaat. »

Ohr gli rivolse un sorriso, fiero di quella breve discussione. Aveva fatto passi da gigante con la lingua comune e ormai riusciva a nascondere quasi perfettamente il suo accento: probabilmente percepiva persino quei brevi scambi di battute come un successo tale da spingerlo a potersi concedere un nomignolo nella sua lingua d'origine. Il Lancaster gli rispose con un cenno affermativo della testa e lui lo abbandonò dopo poco, salutando i cuccioli intorno a lui.
Rimase solo coi piccoli che, come ogni giorno, lo scrutavano con grande diffidenza. Erano un gruppo eterogeneo: quattro goblin, quattro hobgoblin, tre orchi, due troll, due bugbear e persino un gigante che, nonostante avesse in tutto e per tutto l'anatomia e l'aspetto di un bambino intorno ai cinque anni d'età, lo eguagliava agilmente in altezza.
Raymond batté le mani fra loro e, come ogni mattina, li fece disporre in due file compatte. Giacché si era accollato quel compito aveva pensato di insegnare ai cuccioli pelleverde le norme basilari del cavalierato, iniziando dalle fondamenta che avrebbero dovuto costituire la sorgente di qualsiasi conoscenza: scrittura, lettura, dialettica. Molti uomini del campo si erano lamentati apertamente con lui per il suo aperto tentativo di... sottrarre le parole alla mente dei figli, ma alla fine avevano ceduto innanzi alle necessità strategiche esposte dal Lancaster provenienti dal possedere compagni in grado di comprendere, tradurre e scrivere nella lingua degli uomini.
I cuccioli imparavano in fretta, anche se non quanto Raymond aveva osato sperare. Insegnava loro per via prevalentemente orale e, grazie alla mediazione di Ohr, stava anche lui imparando la lingua gutturale dei pelleverde - o quantomeno alcuni vocaboli basilari: era ormai in grado di sostenere una rudimentale conversazione anche con quegli orchi che si rifiutavano di parlare in comune, seppure sostenuta da un frenetico gesticolio.

Pian piano, quindi, stava iniziando ad ambientarsi.
Dopo due settimane il sole non batteva più così cocente sulla sua pelle; i canti dei pelleverde erano quasi musicali; le tende non puzzavano più di capra; la lingua degli orchi non era più così incomprensibile; il cibo era persino più saporito della prima volta che l'aveva assaggiato e la sabbia non gli dava più fastidio: aveva imparato che le rudimentali protezioni degli orchi erano pensate per proteggere il corpo senza appesantirlo con la polvere, così ora indossava uno spallaccio d'osso sopra la spalla destra, e aveva sistemato la sua vecchia armatura di cuoio nero perché non lo appesantisse più del necessario, strappandola e ricucendola con i fermagli rudimentali che gli venivano forniti. Aveva legato i capelli in una coda dietro la testa tenendoli insieme con quello che gli era stato presentato come un budello, ed aveva abbandonato i propri foderi.
Tutto questo, sommato al colore verde con il quale era stato sporcato il suo viso, gli dava l'aspetto di un vero e proprio barbaro; i pelleverde lo salutavano ora come uno di loro, inneggiando cori in suo onore e prendendolo in giro, ma ogni volta che lo sguardo del Lancaster cadeva nell'acqua dell'oasi, si rendeva conto di non riuscire più a riconoscere il proprio riflesso.
Forse era quella la ragione principale per cui stava tentando di portare un poco della propria cultura all'interno di quell'accampamento dimenticato dal Sovrano. Per non dimenticarsi di sé.

« Ti stai dando da fare, vedo. »
Alexei l'aveva raggiunto in un momento di studio, mentre era intento ad ascoltare i suoi improvvisati allievi. Lo salutò con grande calore, rivolgendogli un sorriso a trentadue denti.
L'operazione era andata a buon fine ed era ormai qualche giorno che l'amico poteva muoversi liberamente per il campo, seppur non senza difficoltà: la ferita lo costringeva a camminate incredibilmente brevi e spesso lo portavano all'oasi, dove era costretto ad immergere il viso nell'acqua per placare il proprio fisico. Ciò nonostante la tranquillità con la quale Alexei affrontava la degenza era impareggiabile: si comportava come se nulla fosse accaduto, e come se quella nell'accampamento dei pelleverde fosse la sua vita di tutti i giorni. Aveva immediatamente raccolto uno stuolo di sciamani intorno a sé che erano stati affascinati dal suo carisma e, in breve, dalle sue arti alchemiche: aveva aiutato a comporre nuovi medicinali per i feriti e in breve era divenuto il paladino dell'intero die res van die reisiger. Alcuni sostenevano fosse stato benedetto dall'Unico per essere sopravvissuto e per la facilità con la quale interagiva con elementi non della propria razza. Per Raymond, come al solito, Alexei non rappresentava altri che la reincarnazione stessa del Sovrano.

« I cuccioli imparano le basi molto velocemente. » affermò Raymond, dopo qualche minuto di discussione « Anche se i concetti più complessi ancora gli sfuggono. »
Alexei veniva a trovarlo spesso e, in generale, sembrava preoccuparsi per lui molto più di quanto Raymond si preoccupasse per l'amico.
« Certo, non mi aspetto che divengano fluenti oratori, ma sono certo che in un paio di mesi... »
« ...un paio di mesi? »

Raymond arrossì per la sua ingenuità.
« ...era solo un'ipotesi. Ho dato ad Ohr il materiale necessario per guidarli in mia assenza. »
« Non prendertela, amico mio. » gli rispose Alexei con un sorriso « E' solo che ho la forte sensazione che questa pace stia per terminare. »
« Non penso sia il caso di concederci a progetti a lungo termine, ancora. »

Raymond stava per rispondergli, quando un cucciolo goblin lo afferrò per i pantaloni, attirando la sua attenzione.
« Ray, Ray! » gridò con voce acuta, con tono spaventato « Che cosa sta facendo Ohr? »

Il Lancaster non capì, poi seguì con lo sguardo la direzione che il piccolo gli stava indicando. La sua occhiata si addentrò nel deserto dove, a diversi metri di distanza, scorse Ohr, sdraiato in terra con la schiena rivolta verso l'alto.
Da quella distanza non riusciva a scorgere i dettagli, ma gli sembrò che il mezzorco stesse cercando qualcosa nella sabbia, muovendo lentamente le braccia sotto di sé. Qualcosa di scuro, a giudicare dalla sostanza che aveva lasciato cadere sulla sabbia.
« Raymond... »
Alexei gli poggiò una mano sulla spalla, e solo in quell'istante capì a cosa stava assistendo.
Abbandonò l'amico e il cucciolo e si lasciò l'accampamento alle spalle, correndo in direzione del mezzorco accasciato a terra. Ci vollero solo pochi secondi a raggiungerlo.
Orh era immerso in una pozza del suo stesso sangue e dalla sua schiena si ergevano verso l'alto i corpi di due picche infilzate in profondità. Stava tentando di arrancare in direzione dell'oasi, ma quando vide il Lancaster si fermò, sorridendogli apertamente e abbandonandosi fra le sue braccia. Le ferite erano indubbiamente mortali e non sarebbe sopravvissuto se non per qualche altro, doloroso, minuto.
« Ray... » sussurrò, gorgogliando « ...no, soldaat. »
« ...i Rooi Valke... »

Non riuscì ad aggiungere altro.
Lo sguardo di entrambi fu attirato da una stella di fuoco che si mosse nel cielo. Una cometa infernale, seguita da centinaia di sorelle.
Proiettili incendiari grossi come pugni, diretti verso l'accampamento.
I Falchi Rossi si erano mossi per concludere il lavoro.



CITAZIONE
Com'era prevedibile, i Falchi Rossi sono passati all'attacco, e questa volta molto più organizzati di prima.
Supponendo che tutti voi siate all'interno dell'accampamento - ma potete anche essere nelle vicinanze, non ha importanza - vedete scoppiare numerosi incendi: i Falchi Rossi stanno bombardando il campo degli orchi con proiettili incendiari grossi come pugni: palle di bende e pece che probabilmente vengono lanciate da onagri situati in lontananza, oltre le dune. [LiNk] Non riuscite ancora a scorgere le armi d'assedio, ma i loro effetti sono devastanti: essendo l'accampamento costituito per lo più da tende di cuoio, il fuoco prende piede velocemente e sono in molti i pelleverde che ne rimangono immediatamente vittima. In poche parole, nel giro di un minuto si scatena l'inferno.

Quello che vi chiedo è di fare qualcosa di particolare; ossia reagire in maniera coerente con il personaggio e... tutto qui. Alcuni di voi potrebbero voler aiutare a domare le fiamme; altri potrebbero dedicarsi a salvare i più deboli dai padiglioni dei malati; altri ancora potrebbero voler organizzare una difesa efficace; altri ancora dare ordini ben precisi; altri darsi allo sciacallaggio; altri approfittarsene della situazione per fare i propri comodi. Insomma, chi più ne ha più ne metta: fate un post semplice, breve, in cui reagite al primo attacco dei Falchi Rossi; avete ancora il diritto di gestire i pelleverde intorno a voi autoconclusivamente, tenendo a mente che la maggior parte di loro saranno furibondi o preda delle fiamme, spaventati o presi a tentare di salvare il salvabile.

Per qualsiasi dubbio, usate il topic in confronto. Siccome questo post dev'essere relativamente breve e semplice, avete cinque giorni per portarlo a termine.

 
Top
Vrastax Victorian
view post Posted on 24/11/2012, 19:58




Non seppe dire cosa arrivò per prima: se la tosse o la puzza di bruciato, se le grida degli orchi o quella dei suoi fratelli. Quando aprì gli occhi l’unica cosa che vide fu il solo fuoco rosso che divorava l’intera sua tenda.
Avevano diverse sfumature quelle fiamme: erano arancioni, altre violette, alcune blu ma fra quei colori lo scarlatto predominava su tutti. Il cavaliere sussultò e in preda al panico si alzò dalla branda su cui giaceva; respirò velocemente e tossì subito dopo aver inghiottito una nuvola di fumo, cercò con lo sguardo l’uscita, la stessa in cui Hurtl era andato via eppure adesso la fenditura era totalmente avvinghiata dal calore e dalle vampe. Gli occhi gli cominciarono a lacrimare e l’armatura divenne bollente in un attimo.
Gridò. Gridò con tutta la forza che aveva, poi a quell’urlo si aggiunse la voce dei suoi fratelli, i loro insulti carichi di odio; col fuoco sembravano essersi risvegliati. Cosa stava aspettando Vrastax ad uscire da quell’inferno? Le prime bruciature comparirono nelle pallida pelle dell’Ultimo; girò più volte su se stesso in cerca di una via d’uscita. Quella tenda era talmente grande che non sapeva dove guardare. Quella tenda era talmente piccola che non sapeva come muoversi. Restò fermo, inerme e confuso.
La testa gli girava talmente forte da perdere quasi la percezione della realtà; era un incubo, forse era semplicemente un sogno di febbre ma in quei giorni non aveva avuto nulla di tutto ciò, niente febbre, niente allucinazioni.
C’era luce ma c’erano anche le tenebre. Provò a immergere le mani nel calore ma quasi immediatamente si ritrovò ad averle nelle stesse posizioni di prima. Non sentiva alcune energia scorrere in lui, i fratelli erano lì, vicino alla sua armatura eppure mancava qualcosa. Gridò ancora un’ultima volta prima che l’istinto della sopravvivenza umana prevalesse su di lui, corse in avanti verso la zona dove sembrava ardere meno fuoco, si lanciò con tutto il peso dell’armatura verso l’esterno e in un battito di ciglia si ritrovò dall’altra parte, a terra, infuocato.
Bruciava e solo i suoi fratelli seppero quanto soffrì dentro con le fiamme che l’abbracciavano e quando arrivò l’acqua nerastra un’altra piccola nuvola di fumo si innalzò dal suo corpo. Non sapeva chi l’aveva salvato, tutto ciò che vide dopo fu solo caos. Spalancò gli occhi. Fortunatamente il metallo non si era fuso e non si sarebbe fuso nemmeno con il doppio del calore prodotto da quel fuoco. Si alzò in piedi, un po’ stordito e impaurito. Vedeva gli orchi gridare, alcuni lo facevano per la paura e altri per incoraggiare gli amici a portare in salvo quanti più feriti e bambini possibile.
Ma dove andavano?
E da chi stavano venendo attaccati?

« Capisco che stare sdraiato a terra dia uno strano senso di libertà ma... » Hurtl lo prese dalla spalle. « adesso devi aiutarmi. »

« Non - » Tossì. « devo. » Altri due colpi di tosse e gli sbraiti degli orchi si fecero più caotici. « Non posso aiutarti. » Devo. « Devo trovare il mio capitano. » Tossendo sputò qualcosa. « Dobbiamo difenderci dagli or… »
« Orchi? Sei per caso impazzito Vras? » Lo spinse indietro, fissandolo con occhi guardinghi.
« I Rooi Valke ci stanno attaccando, proprio i tuoi amici, cavaliere di latta. »

C’era troppo via vai per far si che il Vittoriano prendesse una decisione ponderata, doveva agire e in fretta, e l’unico sentiero che avrebbe potuto prendere era quello tracciato dal pelleverde. Si sentì come in dovere di seguirlo per tutto l’aiuto che in quegl’ultimi giorni gli aveva dato, in qualche modo Hurtl aveva fatto tanto forse troppo per Vrastax e lui non aveva nemmeno mai accennato ad un grazie. Forse ora era il momento di fare qualcosa, forse era arrivato il momento di pagare i propri debiti.
Non rispose all’evidente arroganza del suo amico, non poteva biasimarlo era preoccupato e forse anche terrorizzato anche se sembrava celasse quell’aspetto con molta facilità. Era sporco di sangue e fango, non riusciva a rilassarsi, era come stare in guerra.
Immediatamente si lanciarono verso coloro che avevano bisogno di un aiuto, i bambini primi fra tutti: poteva sentire l’angoscia e la paura nelle loro anime, persino loro però non mostravano nulla di tutto questo. Vrastax ne fu affascinato, erano dei veri guerrieri pronti a tutto. Portarono fuori i troll dalle zone più infuocate, buttarono l’acqua dove poterono eppure alcune frasi balenarono ad ogni instante nella mente del Vittoriano – erano i suoi fratelli a parlare.

« Vai dal capitano qui non potrai fare nulla. » « Non serve a niente restare. » « Tu sei nato per combattere e proteggere la giustizia. »

Prese un secchio d’acqua e si fermò guardandosi intorno. Doveva farsi forza, doveva. Aiutare i deboli in quella maniera era l’ultima cosa che avrebbe pensato di fare in vita sua. Hurtl, a differenza del cavaliere, era molto più attento e veloce. Pensò alle piaghe, le bruciature erano fastidiose e appiccicose e le ferite del polpaccio e della bocca gli parvero riaprirsi.

« Questo è ciò che vuoi fare? Buttare acqua sulla terra e vedere gente infuocata? »

Cercò di evitare i suoi fratelli , le loro voci e le loro tentazioni. Portò il suo aiuto ad altri troll, evitò che due tende bruciassero, salvò uno sciamano intrappolato in una di esse. Fece allontanare quanti più pelleverde feriti eppure qualcosa lo bloccava.

« E quindi ora che li hai salvati pensi che smetteranno di lanciare queste palle di fuoco? »

La risposta era lì, vivida e presente, la conosceva già ma non l’aveva ancora vista non dopo quello che aveva fatto. Respirò a fondo quando afferrò l’elsa della spada; era stato tutto inutile, vide lo sciamano morire sotto le schegge di un’altra palla di fuoco, vide parte dell’accampamento che aveva salvato bruciare come se niente fosse.
Era stato inutile.
Tutto inutile.

« Sei contento Vrastax? »
« Mi dispiace Hurtl… »




CITAZIONE
Spero di non aver fatto idiozie! Vrastax comunque è intenzionato a trovare Raymond.

 
Top
37 replies since 8/10/2012, 15:45   1402 views
  Share