Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Sandstorm; reunion

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J!mmy
view post Posted on 25/11/2012, 10:52




Il quattordicesimo giorno

• • •

Tant'è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
tant' era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.

Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto,

guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.


• • •

Non ricordava se fosse giorno o notte.
Nella sua mente si ammucchiavano frammenti confusi di un mosaico che non riusciva a ricomporre, finendo per lasciarli a mescolarsi gli uni agli altri in un intruglio torbido e inspiegabile di immagini. Non che fosse una novità, d’altronde: nulla di ciò che peregrinava tra le sue cervella aveva più senso di recente.

Aveva freddo, un freddo tale da penetrare nelle ossa e scuotere la spina dorsale, un freddo tagliente e perfido. Eppure, ovunque posasse lo sguardo c’erano solo fiamme, un’incomparabile manifestazione di screziature vermiglie e arancio che danzavano sinuose e volteggiavano ritmicamente, annodandosi a qualsiasi lembo di carne viva riuscissero a ghermire. Ma Rekla era troppo in alto perché potessero arrivare anche a lei.
Le spalle dolevano, e avrebbe giurato che le ossa delle scapole fossero oramai entrambe rotte. I polsi bruciavano per la veemenza con cui le manopole di acciaio vi si avvolgevano, mentre il resto del corpo – nudo e consumato da scudisciate di frusta – penzolava come carne morta sullo strapiombo che dava su un oceano di puro e incandescente magma. Solo esili lembi di terra scampavano a quell’impietoso manto di fuoco, e su di essi erano costretti dozzine e dozzine di uomini, e donne, e vecchi, e bambini; si combattevano a vicenda, spintonandosi, mordendosi e graffiandosi in estremo impeto di sopravvivenza. Razza, sesso o religione: niente faceva più differenza alcuna, tutti soffrivano alla stessa maniera. Era un mattatoio di genti.
Un grugnito la raggiunse dall’alto, dall’esatto punto in cui le sue catene cigolanti cingevano un aguzzo sperone di roccia non troppo solida e rossiccia. La pietra gemette quando un essere dalle astruse sembianze giunse a solcarla, sbucando dall’ombra come se ne facesse parte e godendo beatamente dell’indescrivibile sofferenza cui aveva indotto la propria vittima. E Rekla, lei era sempre stata la sua preferita.
Sentiva gli occhi della bestia scivolare eccitati e affamati su di lei, sulle sue forme, sul suo seno ustionato. Provò ribrezzo e profonda vergogna, ma i raccapriccianti lamenti dei dannati tornavano dal baratro a sovrastare costantemente ogni suo pensiero. Avrebbe voluto portarsi le mani al pube e al petto, coprire quelle uniche parti di sé che sentiva realmente fragili e che sapeva essere alla mercé di una creatura che avrebbe potuto farne quanto di più le aggradava. Avrebbe persino preferito mischiarsi alla ressa d’individui di sotto, ma dovette presto arrendersi e sopportare il disgusto, la nausea, la collera.

« Confessa i tuoi peccati, sgualdrina » esordì lui.
Un lampo rischiarò le tenebre, rivelando a malapena corna lunghe e arricciate e un muso prominente e peloso. Sembrava che zoppicasse, ma solo quando fu abbastanza vicino perché uno sbuffo di magma lo illuminasse notò due zampe da puledro e zoccoli di ferro arrugginiti e sozzi di sterco. L’odore del sangue era inconfondibile. Ovunque si voltasse, ovunque guardasse, ovunque annusasse, tutto rimaneva uguale: lezzo di carne bruciata, urla deformate dalla sofferenza, schiavitù e morte.
« Confessa i tuoi peccati, ho detto, o muori » ripeté con voce raschiante.
« Senti il peso della tua crudeltà sulla schiena? »
« Il tuo posto è tra i dannati, Rekla Estgardel. »
Tese il dito in direzione dei pochi superstiti in fondo, dei corpi vuoti che ardevano e annegavano nel fuoco, perdendo anche gli ultimi dettagli che facevano ancora di loro qualcosa di lontanamente simile a un essere umano. Scheletri in fiamme e pezzi di carne carbonizzata: questo rimaneva degli sconfitti di quella contesa.
« Il tuo posto... è tra i dannati... »
Il freddo la abbandonò.
« ... Rekla Estgardel. »
Il rosso s’inerpicò su per la montagna.
Caldo, torrido e rovente, divorava le caviglie, saliva per gli stinchi e artigliava le ginocchia.
Era morta, voleva esserlo.
« ... Rekla Estgardel... »
« ... Rekla! »
« Sveglia Koningin!! »

[...]

Quando riaprì gli occhi le acque del delirio si ritirarono, e di esse non rimase altro che la parte più perfida, sporca e truculenta. Capì solo allora che il calore percepito non era che il refolo perpetuo delle fiamme che si stagliavano implacabili intorno a lei, e che l’intero accampamento ne veniva pezzo dopo pezzo masticato e ingoiato.
Gli abitanti si muovevano fuori dalle tende come formiche impazzite scacciate dalle proprie tane, premurandosi dei cuccioli e dei fratelli prim’ancora che di se stessi; il problema era che tutti, tra gli orchi, erano fratelli.
Molti erano i pelleverde che, audaci, non osavano certo cedere all’assalto degli oppositori, resistendo ed aggrappandosi ancora una volta alle loro picche e alle loro rozze armi da barbari come fossero miseri emblemi di speranza. Nel frastuono che s’impossessò dei suoi sensi, scorticandole l’udito, Rekla provò una profonda ammirazione per quel popolo che a lungo aveva disprezzato e giudicato. Rinvenne in loro una forza che lei stessa aveva perduto da tempo immemore.

« Tu alzare, forza! »
Skjor, l’orco che aveva conosciuto solo alcuni giorni prima, era chino su di lei e le tendeva il braccio destro. Aveva il volto lordo di fuliggine e il sessanta per cento del corpo bruciato. Dei suoi abiti non rimanevano che stracci neri. Per la prima volta, probabilmente, la Nera dovette ammettere di aver bisogno d’aiuto e si aggrappò all’arto del pelleverde con titubanza, allacciando le sue dita al pesante polso di lui. Quando fu in piedi e abbastanza cosciente, però, si fermò a fissarlo con aria severa.

« Dobbiamo impedire che le fiamme si propaghino » borbottò inaspettatamente, le orecchie che ancora sibilavano di dolore e la testa che non accennava a smettere di roteare. L’ultima cosa che rammentava era l’asse portante della sua tenda che cedeva e la picchiava sulla nuca;
dopodiché, il vuoto... e l’incubo.
« Gli sciamani... »
Urla di donna esplosero in lontananza.
« Di’ agli sciamani di respingere gli esplosivi verso le dune. »
Indicò un punto al di fuori della palizzata dell’accampamento, oramai per larga parte divelta e carbonizzata, da dove s’intravedeva a malapena il sopraggiungere delle bordate nemiche. Mentre la realtà riacquistava molto lentamente consistenza e la sabbia cessava di volteggiare, la Nera si abbassò, recuperò la Constatine e prese a camminare a passo svelto verso l’interno devastato dei baraccamenti, un’accozzaglia di fuoco e corpi ustionati dove i più fortunati erano coloro i quali erano riusciti ad ottenere quantomeno una morte rapida e un po’ meno dolorosa.
Skjor - gravemente ferito ma ancora in vita - pedinava la donna da vicino come un segugio, centellinando ogni sua singola parola e annuendo seccamente a ciascuna di esse.
« Non importa se o dove li colpiranno. »
Una voce iniziò a palpitare nel fondo dello stomaco, raspando e mordendole il cuore.
"Senti il peso della tua crudeltà sulla schiena?"
« Ci serve tempo perché portiate via i bambini. »
"Oh, si che lo senti!"
"Non mi starai diventando sentimentale, eh sgualdrina?"


« Cosa fare tu, invece? » pronunciò l’orco come meglio poté.
Qualcosa d’incomprensibile si impadronì della volontà della regina dei morti, proprio di colei che sconosceva la pietà e il sentimento; qualcosa di inspiegabile e di fottutamente inappropriato alla sua indole. Compassione? Stupidità? Suicidio? Forse ognuno di questi, o forse nessuno. Sentì come l’impellenza di difendere quelle mistiche creature verdi, i membri di quella gente che l’aveva raccolta come un fiore appassito dal deserto e l’aveva innaffiata ridandole una nuova imprescindibile esistenza; doveva loro tutto, ma non voleva dar loro nulla.
Subito la mente andò a quegl’uomini che affogavano nel magma, e l’immagine di lei che annaspava tra quelli le fu immediatamente vicina e familiare.
Non voleva; non voleva finire come loro.
Si volse verso Skjor, dunque.

« Io resterò qui a combattere. »
Inspirò, penetrandolo con lo sguardo.
« Avevi ragione, orco: il valore mi ha salvato la vita;
è ora di estinguere il mio debito.
»


CITAZIONE
Rekla Estgardel
la Nera Regina
––––––––––––––––––––––
Stato Umano
{ Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }

––––
« Energie: 100%
« Stato fisico: medio trauma da impatto alla nuca.
« Armi: Constantine • riposta; Vesar "Luna dell'inferno" • sfoderata

Attive...
Nessuna

... e passive

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Nel principio, la Riluttanza
Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.


.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.

.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.

Vizio dell'Animo • честолюбие
Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)

An endless guard
In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro.
{ Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. }

Note
Vorrei precisare alcune cose, oltre al fatto che il testo è tutto un'unica allegoria della mente stessa del personaggio.
Innanzitutto, la Rekla di questo turno è una Rekla del tutto diversa da come la si è conosciuta finora: ha paura, paura di morire, paura di finire come uno dei dannati bruciati dalla lava scorti nella visione. Decide dunque di provare a "tamponare" le macchie che sporcano il panno della sua coscienza aiutando Skjor a salvare i cuccioli dell'accampamento. E qui arriviamo al secondo punto: Rekla suggerisce a Skjor di ordinare agli sciamani dei pelleverde di respingere le bordate nemiche (ovverosia attivare l'abilità "Spinta violenta"; ho usato un linguaggio indiretto, ma questo è il mio reale obiettivo) così da restituirle alla men peggio ai mittenti e ritagliare il tempo necessario a mettere in salvo i più deboli del villaggio. Come specificato da Ray, inoltre, la posizione degli onagri non è visibile ma ho pensato che la si potesse dedurre semplicemente osservando il punto dal quale le bombe incendiarie scaturivano.
Lo so, è una brusca inversione di comportamento per il pg, ma purtroppo anche la Nera Regina è umana - per quanto odi terribilmente lei stessa questa sua inevitabile "debolezza".
Credo di aver detto tutto. Buona lettura. :sisi:
 
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view post Posted on 25/11/2012, 21:57

Esperto
······

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- Ek sê vir julle dat ons 'n beroep na hierdie behandeling.

- Nee, dit is beter.

Gli sciamani bisbigliavano concitati attorno a un letto lievemente isolato da tutti gli altri.
Sembravano consultarsi su qualcosa, forse un ferito particolarmente grave; quando Zaide scostò la tenda e avanzò a grandi passi verso il centro della stranza, non poté non notare la loro improvvisa rigidità nei modi e negli sguardi.

- Moenie praat nie, die heks hier is. - mormorò ben udibile uno degli sciamani più anziani lanciando alla ragazza un'occhiata eloquente.
Di sfida, forse. Ma anche dubbio e paura.
Zaide fece una smorfia e si avvicinò a grandi passi al letto. Heks, strega.
Era al campo da abbastanza tempo da saper riconoscere alcuni vocaboli di quella lingua aspra e sconosciuta, ma non serviva un interprete per comprendere che l'incredibile riuscita del sortilegio aveva gettato gli sciamani nello sgomento. Razza di stolti, aveva pensato Zaide: dovrebbero essermi grati, chinarsi al mio cospetto. Invece le giravano alla larga, improvvisamente disinteressati al prodigio di talento che solo un giorno prima cercavano di ingraziarsi lusingandola e condividendo i propri tomi con lei.

- Cae, non avvicinarti a questo letto. Il ferito è troppo grave per essere disturbato e noi non possiamo fermarci.

Il tono autoritario dell'anziano sciamano era appena incrinato da una nota di nervosismo: gli occhi verdi della strega lo scrutavano con freddezza. Zaide non gli badò e si accostò alla branda mentre gli sciamani si scostarono leggermente facendole ala. Al suo fianco, Ekver-Wysnad'lig sospirò esasperato, ma la strega lo ignorò. - Alexei... - mormorò quando riconobbe l'uomo dai capelli rossi che all'inizio di quella sconcertante avventura le aveva instillato nell'animo il dubbio che potesse esistere un'alternativa alla sola vita che lei conosceva, fatta di egoismo e dominio, di potere e solitudine.
Sogghignò, ma il suo volto tradì per un istante un velo di tristezza.

- Ti sbagliavi, Alexei...

Poi gli voltò le spalle e uscì dalla tenda, accompagnata da Ekver-Wysnad'lig che si trascinava sul suo bastone nodoso. - Cosa volevi dimostrare, eh? Che bisogno avevi di sfidare Wandien-Gotha'and? Sai bene che non ti amano più. Sei stata sciocca e arrogante, e ora non devi più andare e venire a tuo piacimento!

Zaide lo zittì con un brusco cenno della mano.
Da quando lo aveva richiamato dalla morte, il loro legame si era palesemente rafforzato, ma anche la loro confidenza. Lui la rimbrottava continuamente come un padre severo sgrida una bambina cocciuta, e lei lo maltrattava azzittendolo e criticando ogni suo consiglio. Lui la seguiva ovunque lei andasse, e benchè gli sciamani lo avessero riaccolto a braccia aperte in seno alla comunità, non aveva voluto allontanarsi dal fianco di Zaide, i cui rapporti con i vecchi saggi dell'accampamento si erano improvvisamente fatti gelidi e distanti.
Ekver-Wysnad'lig sosteneva che per via del sortilegio ora non potesse più agire autonomamente.
Ma Zaide sospettava che in realtà non volesse.
E, anche se infastidita, era grata dell'insegnamento costante che traeva dalla saggezza dello sciamano.

- Alexei sta morendo. Hai visto Vras, gioca e fa l'amico dei pelleverde come se vivesse qui da una vita. Rekla non l'ho più vista e Ray è solo un vigliacco. Cosa ci facciamo qui?

- Sono i tuoi compagni, Rooivrou.

- Mi chiamo Caelian.

- Bugiarda.

- E comunque, sono stanca di marcire qui senza sapere cosa sta per accadere! Dobbiamo andarcene!

La stessa conversazione fu ripetuta con poche varianti per decine di volte quel giorno, ma infine qualcosa accadde.

- Ray, Ray!

Avevano sentito la voce acuta di un cucciolo pelleverde poco lontano e si erano avviati in quella direzione. Prima che potessero intuire cosa stava per accadere, un gruppetto sparuto di bambini passò di corsa accanto a loro strillando. Il più grosso sciabolava nell'aria un poderoso bastone come una spada, ma gli altri si stringevano gli uni agli altri come per proteggersi a vicenda.

- Hey! Wat gebeur?

- Ohr! Ohr het gesterwe!

- Co...Cosa? Chi è morto? - Zaide bloccò per un braccio un ragazzino, costringendolo a guardarla in faccia.

- O-ohr, Cae. Ray dice. Forse. E che spiel inizia. Ma noi no pronti! - il bambino si divincolò dalla presa della strega e scappò via insieme ai suoi compagni. Zaide fissò il vuoto per un momento, poi afferrò Ekver-Wysnad'lig per le spalle. - Un attacco a sorpresa! Non è poi difficile intuire chi ci voglia morti...Ecco la nostra occasione, Shaman! Ci sarà panico e confusione, nessuno baderà a noi. Al calare della sera ce ne andremo da qui, e nessuno ci verrà a cercare!

- Rooivrou, ma cosa dici? - lo sciamano appariva sgomento, e più vecchio ancora. - Non possiamo abbandonarli proprio ora che hanno bisogno di noi, che hanno bisogno di te!

- Mi disprezzano: io non ho proprio nulla a che fare con questa gente.

- Ma io sì, Rooivrou!

- Disprezzano anche te! Ti trattano come se fossi una mia creatura, un morto che cammina! Non hai più una vita qui, e io non l'ho mai avuta! Dobbiamo partire!

- No, io resterò e combatterò per la mia gente.

- E invece tu farai ciò che io ti dirò di fare. E lo sai bene.

Lo sguardo dello Sciamano era allo stesso tempo furente e ferito. Era vero. Avevano già compreso che, sebbene Ekver-Wysnad'lig nella sua nuova vita avesse mantenuto la piena consapevolezza della sua identità e del suo potere, ora dipendeva ciecamente da Zaide come uno schiavo. E non poteva fare a meno di amarla e odiarla per questo.

Ma il caos scoppiò attorno a loro prima che Zaide potesse ideare una strategia di fuga.
Stavolta i Falchi Rossi avevano adottato una tattica tanto subdola quanto efficace: cosa può distruggere un accampamento fatto di legno e pelli che una pioggia di fuoco incontrollabile e devastante?

- Dannazione...da questa parte!

La strega si liberò del pesante mantello blu che la rallentava e iniziò a correre zigzagando tra i roghi, seguita a ruota dallo sciamano che mostrava un'agilità sorprendente per le sue condizioni.

- Fermati, disgraziata! - ansimava. - Dobbiamo aiutarli!

- Che si arrangino!

Zaide era determinata a sfruttare il caos e il panico generale per confondere le proprie tracce e allontanarsi dal campo. Dall'altra parte della recinzione c'erano gli animali, avrebbero potuto rubare due cammelli o qualunque altra cavalcatura e lasciarsi alle spalle quell'inferno.

- Rooivrou, ti prego, devi fermarti!

Le urla agonizzanti dei pelleverde rimasti intrappolati nelle tende date alle fiamme laceravano il cuore dello sciamano, ma Zaide non voleva sentire ragioni. Afferrò Ekver-Wysnad'lig per la gola e gli sibilò, minacciosa: - Ho rischiato la vita per gente che ora mi disprezza. Ho passato tutto questo tempo qui solo perchè c'eri tu a guidarmi e a insegnarmi. E' questo che fate voi sciamani, no? Illuminate il cammino. E ora rischio di perdere tutto per una guerra che non mi appartiene! Non cercare di fermarmi!

Riprese a correre, ma suo malgrado qualcosa attirò la sua attenzione.
E nella memoria si affollarono ricordi di un'altra vita, di un'altra storia.
Era solo una bambina allora. Che viveva con altre bambine come lei. Stupidi, piccoli esserini indifesi e fiduciosi.
Quando la grande casa aveva preso fuoco, tutte loro si erano barricate nel cuore della casa, ventre protettore che credevano le avrebbe tenute al sicuro da ogni male. Ma il fuoco arrivò lo stesso, e l'Uomo con esso. Negli occhi Zaide aveva ancora impresso l'orrore alla vista dei corpicini carbonizzati nel tentativo di rannicchiarsi vicine per difendersi le une con le altre.
E a quella terribile scena dimenticata si sovrappose l'immagine dei giovani pelleverde che si stringevano come per proteggersi dalla paura, dal fuoco e dalla fine.

- Al diavolo! - gridò Zaide, e si lanciò nella grande tenda divorata dal fuoco dove i cuccioli pelleverde usavano riunirsi a giocare e crescere insieme.

- Rooivrou...No! - ansimò debolmente Ekver-Wysnad'lig. Quella gli sembrava una mossa più suicida del tentativo di fuga.

Zaide si fece largo tra i detriti tossendo e rimpiangendo di aver abbandonato il mantello che avrebbe potuto coprirle la bocca, ma non si fermò. L'aria era rovente come la notte del rogo, ma la strega promise a se stessa che non sarebbe uscita di lì senza i bambini. E poi li vide accovacciati in un angolo, gli occhi coperti dalle tozze manine per non guardare in faccia la morte. Due di loro sembravano privi di sensi.

- Aiutami, prima che crolli tutto!

Lo sciamano si concentrò un istante, e intonò con la sua voce lamentosa una nenia sconosciuta. Zaide afferrò il ragazzo più grande, quello che maneggiava solo poco prima un bastone come una spada, e gli gridò: - Prendi in braccio quel piccoletto e seguimi! Fai quello che faccio io!

Il giovane sembrava paralizzato dal terrore, ma quando Zaide lo mise in piedi a forza cercò di imitarla e raccolse da terra uno dei suoi compagni svenuti. Il fuoco era ovunque e ormai erano circondati dalle fiamme da ogni lato, l'odore acre del fumo li accecava facendoli tossire.
Ma la strega volle avere fiducia nel suo maestro, che cantava indifferente a tutto e a tutti, gli occhi persi in un mondo lontano.
E si gettò nel fuoco cercando di tenere a bada il terrore atavico che il pensiero del rogo le instillava; ma le fiamme parevano lambirla senza bruciarla, accarezzandole il corpo come seta.

- Vieni! - cercò di incitare il ragazzino, ma il fumo le soffocò le parole in gola.

E poi fu finalmente fuori.
Gettò a terra il bambino che aveva salvato e tossì, grata dell'aria fresca che le riempiva i polmoni. Tornò nelle fiamme, ma nonostante l'istinto le suggerisse di scappare rapidamente, ancora una volta la carezza tiepida del fuoco la convinse ad andare avanti. Afferrò per le braccia il ragazzotto paralizzato dalla paura e riuscì a farlo mettere in salvo, e poi tornò dentro, una, due, tre volte ancora.
La melodia triste accompagnava la sua disperata missione di salvataggio come un faro, dandole la certezza che Ekver-Wysnad'lig era lì con lei e che non l'avrebbe abbandonata.
Ma quando anche l'ultimo bambino fu tratto in salvo, Zaide si voltò verso la tenda che era ormai una pira inestinguibile e fece per rientrare in modo da aiutare lo sciamano ad uscirne; ma accostandosi nuovamente alle fiamme dovette fare un balzo indietro, allarmata. Una lingua di fuoco le lambì gli abiti, bruciacchiandoglieli; e la vampa di calore era insopportabile.
E si accorse che la nenia era cessata.

- Shaman! SHAMAN!! - Zaide gridò con quanto fiato aveva in gola, girando attorno alla tenda come un animale in gabbia. - Shaman! - Non riusciva a gridare altro che qual nome, come se ripeterlo potesse convincere lo sciamano a uscire di lì per rassicurarla.
Non vedeva più null'altro che quell'immensa catasta di fiamme e detriti.
Era vagamente consapevole degli sguardi impauriti dei bambini alle sue spalle, ma per lei non esistevano più.
Allargò le braccia e iniziò a cantare la tetra melodia che due notti prima le aveva riportato il suo Shaman, gli occhi colmi di lacrime per il fumo e la paura.
Cantava e scavava la sabbia con le mani, come se potesse trovarlo sepolto da qualche parte lì sotto.
Cantava e piangeva, incredula del fatto che lui avesse potuto abbandonarla così, tradirla così.
Non poteva essersene andato, non di nuovo.

Cantava e pregava, cantava e malediceva.

E le fiamme parevano ridere della sua disperazione.







Zaide

°concentrazione [+2]
°intuito [+2]

[c. 29%; a. 13%; m. 5%; b. 1%]



Ogni volta che scrivo un post per Sandstorm mi stupisco di come una quest che originariamente sembrava calzarmi poco a pennello, ora mi stia dando ogni volta un'incredibile quantità di spunti per affinare e sviluppare il carattere di Zaide. Questo post in particolare, sebbene scritto di getto e non particolarmente bello, mi sta a cuore perchè ha preso forma sotto i miei occhi mentre lo scrivevo: non avevo assolutamente idea di cosa scrivere, e sono andata a puro istinto finchè non mi sono trovata la storia scritta. Mai capitato!
Sto delineando sempre meglio il carattere di Zaide: è arrogante e impulsiva, e sotto la facciata gelida è una donna che sa amare. Per via della sua storia personale non è in grado di amare un uomo (infatti convive con una ragazza), ma in un certo senso ama lo sciamano in quanto incarnazione di quanto ci sia al mondo di più grande e bello, cioè la saggezza e la conoscenza. E non riesce a ignorare il pericolo di morte dei bambini, perchè ci è passata lei stessa. Con l'aiuto dello sciamano salva i cuccioli pelleverde (i più giovani e immaturi, non ancora addestrati a combattere) ma apparentemente perde lo sciamano.
La scena iniziale (spero di non aver incasinato, ancora una volta, la cronologia) si colloca dopo la resurrezione dello sciamano, ma ovviamente in un periodo in cui Alexei è ancora sotto stretta osservazione - e in quel preciso momento direi addormentato o privo di sensi. Ho ipotizzato che Zaide potesse entrare nella tenda a differenza di Raymond per via della sua stretta collaborazione con gli sciamani e il suo legame con il più anziano, nonostante non siano più visti di buon occhio.

Passive:
[Passiva di ammaliamento psionico; a seconda dei comportamenti di Zaide e ad interpretazione del personaggio che subisce la tecnica, può istillare in lui lussuria nei confronti della strega o terrore - sta alla vittima decidere quale delle due, coerentemente ai comportamenti e all'aspetto assunto da Zaide]
[Disciplina ferrea e dedizione, ma anche un’innata predisposizione nei confronti di tutto ciò che riguarda la sfera delle conoscenze arcane, sono alla base della capacità di Zaide di percepire istintivamente ciò che è magico attorno a lei, permettendole di svelare illusioni ambientali e avvertire attacchi magici anche alle proprie spalle]
[La portata del suo sapere magico è tale che ogni sua tecnica di natura magica provocherà danni di un livello superiore rispetto al consumo utilizzato, a fronte di una diminuzione delle tecniche fisiche di pari natura]

Armi:
Scimitarra
20 pugnali da lancio (11 utilizzati)
Athame del corvo
Athame delle anime



 
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view post Posted on 26/11/2012, 11:25
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« Raymond, amico mio, mantieni la calma. Ricordi ciò che mi hai raccontato ti insegnava tuo padre? »
« Io... non... che la fiamma arde senza estinguersi mai...? »
« Non quello, anche se è quantomai vero. Ciò che dite vi abbiano insegnato i draghi. »
« Ma... »
« Non puoi non ricordarlo. E' di grande importanza che tu lo ricordi ora. »
« ...La fauce del drago si chiude sulla gola del nemico solamente quando questi si mostra più vulnerabile. »
« Giusto. Sei tu un drago, Raymond? Si è forse la tua fiamma estinta? Stai solo dormendo, o aspetti che qualcuno soffi sulle tue braci per riaccenderti? »
« Il Drago Nero. DonkerDraak. Sono l'anatema della mia stirpe; mio padre ha sempre detto che ero il più instabile dei draghi. »
« E questo non ti rende forse più pericoloso? ...Voi uomini tenete troppo conto delle parole dei vostri padri; dipingete sui vostri stendardi leoni, orsi, lupi e vi sentite subito delle belve feroci. Ma sono soltanto apparenze da corte, se quando siete sul campo di battaglia non riuscite a tenere fede alle creature dalle quali sperate di trarre la vostra forza. »
« Alexei, ma tu... »
« Tempo al tempo, Raymond; ora la tua presenza è richiesta altrove. Tuo padre te l'ha insegnato, quindi sai già cosa fare. »

Raymond annuì.
Sfoderò la spada e sganciò una delle piccole ampolle che nascondeva sotto le vesti, ingerendola rapidamente.
La sua sclera si colorò di nero, come se le sue pupille fossero appena esplose e l'inchiostro in esse contenuto avesse impiastricciato tutto il suo sguardo.

« Vai, fauce. Penserò io ai tuoi compagni. »

Ma il Lancaster era già sparito.

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La mano che raggiunse Zaide in mezzo alle fiamme non era rugosa, né dalla dura scorza, né verde. Era affusolata ed elegante, con al polso un bracciale di cuoio borchiato e riccamente adornato; e nonostante tutti gli orpelli, era dotata di una forza tale che - chiunque ne sarebbe stato certo - avrebbe potuto spezzare con semplicità il corpo della donna, se non fosse stata così calma e gentile.
Alexei, fresco in viso come una rosa, fece alzare la donna e le sorrise con cavalleria, nonostante il fuoco divampasse tutt'intorno a loro. Pareva che le fiamme danzassero intorno alle sue vesti senza lambirle, e che non fosse mai stato ferito da Nazir. Anzi, le vampe intorno a lui facevano risaltare la bellezza androgina del suo viso, illuminandolo come un Dio sceso a concedere la propria misericordia agli uomini. Il Sovrano fattosi uomo.

Condusse senza difficoltà la donna fuori dal padiglione in fiamme, dove la attendevano altri sopravvissuti: cuccioli, orchi di mezz'età, un troll vecchio e stanco. Solamente lì all'esterno Alexei pareva stanco: lontano dalle fiamme il suo viso era imperlato di sudore e la sua bocca ansimava faticosamente; la ferita sembrava dolergli più di prima e le gambe parevano cedere sotto il peso della sua stessa debolezza.

« Stai bene? »

A poca distanza da loro stavano anche Vrastax e Rekla. Alexei li aveva incontrati per strada precedentemente, e si era fatto seguire alla ricerca di Zaide, nel completamento del trio. L'accampamento era un inferno di fuoco e fiamme tutt'intorno a loro, ma ciascuno degli uomini si era impegnato per arginare la prima offensiva dei Rooi Valke come meglio aveva potuto.
Il tentativo di rispondere al fuoco di Rekla era riuscito ad arginare le fiamme ma, senza vedere gli onagri d'assedio, non c'era modo di capire se i proiettili incendiari erano stati efficacemente rispediti al mittente. Vrastax aveva invece girato per l'accampamento a vuoto, fino a trovarsi faccia a faccia con Alexei, che l'aveva condotto con sé.
Intorno a loro la situazione era caotica più che mai: i Pelleverde si allontanavano velocemente dal gruppo, scivolando fra pire di tende in fiamma; i fuochi impedivano di scorgere oltre una certa distanza e il fumo che aveva iniziato a diffondersi era maleodorante ed appestante: un aroma familiare di zolfo che avrebbe costretto qualsiasi persona normale a farsi preda di tosse e singulti.
« sono troppo vecchio per queste cose. »

« Ascoltatemi, non c'è molto tempo. »
Lo affermò alzando le mani, cercando di bloccare qualsiasi domanda proveniente dai tre uomini.
« Raymond non ci raggiungerà. So perfettamente come lavorano i Rooi Valke, dunque l'ho mandato a compiere un'azione di ben più grande importanza. »
Avrebbe atteso qualche istante per lasciarli sfogare: la loro ira sarebbe stata comprensibile. Per quanto suo amico, Raymond aveva compiuto degli errori, ed ora sembrava stesse fuggendo per scamparne le responsabilità. Non potevano comprendere che solo muovendosi in quell'istante il flusso della guerra sarebbe cambiato; né prima, né dopo. Gli uomini agivano sempre frettolosamente e d'impulso, privi della giusta visione d'insieme di cui dovrebbe essere dotato ogni stratega, e attendendo pazientemente solo per cogliere l'occasione di compiere errori persino più grandi dei precedenti.
Qualcuno avrebbe dovuto correggerli. Lui aveva iniziato con Raymond.

« Ciò che credete ora non ha importanza. » continuò con decisione « Soffocate i vostri istinti: tutto ciò che conta è proteggere l'accampamento da questo massacro insensato. »
« E se conosco bene Nazir, i suoi uomini dovrebbero averci già raggiunto. »

Fu come una premonizione.
Dalle ombre tutt'intorno si sollevarono delle figure, come fossero state adagiate nelle tenebre fino a quell'istante.
Uomini dai vestiti voluttuosi e dalla pelle grigia, vestiti come Bedouin dai colori rossi. I loro occhi erano lucide sfere completamente nere, come quelli dei corvi. Le loro ombre erano persino più buie di quelle lanciate dalla notte stessa. Ciò che più straniva del loro aspetto, tuttavia, era la quantità di ornamenti metallici con i quali decoravano la propria pelle: anelli, orecchini, cerchi al naso, collane, bracciali, innesti, rilievi sotto pelle... tutto dell'acciaio più puro.
Erano decine, e non sembravano accennare a diminuire. Voltando la testa sembravano comparirne sempre altri dieci a rimpinguare le fila del precedente battaglione.

« Shadar-Kai... gli uomini di Razelan Vaash. »

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L'onagro funzionava alla perfezione. I rumori della corda che scattava e degli ingranaggi che ruotavano erano precisi come quelli di un orologio, e il suo solo compito era quello di caricare il cucchiaio con i proiettili di bende e pece ogni volta che questi si abbassava: altri erano impegnati a lavorare su leve e corde necessarie a tendere la macchina, ma il suo compito era relativamente semplice e non se ne lamentava.
Razlean Vaash era stato altresì magnanimo a concedere loro alcune delle sue armi d'assedio; d'altro canto non avrebbero certo potuto dare l'assalto ad un intero accampamento di Pelleverde armati unicamente da scimitarre e coltelli kukri.
Personalmente non comprendeva le ragioni di quell'accanimento, ma Nazir era stato chiaro. "Lord Vaash essere molto adirato con noi;" aveva detto loro "si aspettava che noi portare lui garanzia di morte di Alexei e cavalieri del regno. Dobbiamo continuare con epurazione, e questa volta assicurarci morte di tutti i bersagli."
Fece spallucce. I pelleverde lo disgustavano profondamente; non aveva dubbi che il mondo non avrebbe sofferto la mancanza di alcuni di loro. Erano creature barbare e reiette, che probabilmente si stupravano fra loro e uccidevano le proprie mogli e i propri figli: non poteva che essere così, considerato quanto erano dediti alla lotta e alla violenza.

« Ahtar, servono altri proiettili. »

Annuì e si allontanò a passo svelto. Il deposito era poco distante, ma fu costretto a passare accanto a molte altre armi d'assedio prima di raggiungerlo. Lì riempì una sacca di sfere di bende e pece, facendo un cenno a coloro che le stavano producendo incessantemente. Decise di prenderne più del solito, così da non dover rifare quel percorso ancora una volta a distanza di pochi minuti.
Il sacco gravava sulle sue spalle, impedendogli di guardare alcunché; poté notare che le sue impronte lasciavano impronte strascicate nella sabbia.
Ci mise diverso tempo a tornare all'onagro.

« Rieccomi; scusate, ma ho voluto... »

I suoi compagni non avrebbero potuto rispondergli.
Gli altri Rooi Valke giacevano riversi in terra, segnati da squarci profondi e devastati dal dissanguamento. Alcuni di loro erano stati colpiti alla gola; altri avevano le viscere esposte; altri ancora avevano avuto la fortuna di subire una morte più pulita.
Lasciò cadere il sacco pieno di proiettili, preso dal panico.
Stava per voltarsi e tornare alle tende - qualcuno avrebbe dovuto avvisare Nazir! - quando sentì la consistenza gelida del ferro poggiarglisi sulla gola.
Qualcuno premette; non abbastanza da fendergli il gozzo, ma abbastanza da tenerlo in scacco in quella posizione. Sentì una mano poggiarglisi lungo la schiena e deglutì rumorosamente.
La voce che lo raggiunse era spezzata e gutturale; non dissimile dal rauco verso di una bestia.

« Conducimi da Nazir. »



CITAZIONE
Post diviso in tre parti, di cui voi siete i protagonisti di quella di mezzo.
Come avrete capito, Alexei vi riunisce tutti quanti e salva Zaide e Shaman dal fuoco del padiglione. Molto prevedibilmente venite infine raggiunti dai nemici che stanno attentando all'accampamento: Shadar-Kai, uomini di Razelan Vaash. Se la descrizione non fosse abbastanza vi lascio qui un'immagine esplicativa, anche se dovete immaginare un vestito da beduino rosso indossato dalla figura [ImG]

Gli Shadar-Kai combattono come uomini normali armati di scimitarre e coltelli kukri - o, più in generale, di armi esotiche - ma a volte spariscono tra le ombre o si teletrasportono a brevi distanze, svanendo da un punto e ricomparendo da un altro. Sono leggermente migliori di un soldato normale, ma non esageratamente. Sta di fatto che siete soverchiati dal numero incalcolabile di avversari, che sembrano continuare ad aumentare:

Il prossimo post sarà il più classico della quest, probabilmente. Inscenate una breve resistenza contro le orde di Shadar-Kai il cui obiettivo è, ovviamente, uccidervi. Tale resistenza deve però dimostrarsi vana: non c'è modo che li battiate tutti quanti, dunque vorrei che sul termine del vostro post lasciaste intendere che la situazione è disperata - cosa che effettivamente e realmente è.

So che vi sto chiedendo un post più noioso degli altri, ma siamo alle battute finali; fate un ultimo sforzo e la quest terminerà in un baleno. Avete cinque giorni per rispondere; per qualsiasi domanda e dubbio scrivete nel post in confronto.

 
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view post Posted on 30/11/2012, 15:22

Esperto
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- Stai bene?

La voce gentile dell'uomo le giunse come da lontano, penetrando a malapena il sordo ronzio che le riempiva le orecchie. Rabbia. Frustrazione. Disperazione. L'aveva chiamato, implorato, si era gettata tra le fiamme per lui. Ma Ekver-Wysnad'lig non aveva risposto, e l'aveva abbandonata tra le braccia forti e sicure di quello sconosciuto.

- A-Alexei? - mormorò Zaide, colta di sorpresa nel riconoscere al bagliore rossastro del fuoco il volto che aveva inizialmente scambiato per qualcun altro. Le era parso così forte, così invulnerabile...mentre Alexei era ferito e, per quanto le era parso di capire dalle parole degli sciamani, ancora indebolito dalla lunga degenza.
Lo seguì come in un sogno, rendendosi a malapena conto di quel che le accadeva intorno. Si sentiva svuotata e inutile, e l'incombente pericolo non bastava a svegliare in lei alcuna reazione; né la vista di Rekla e Vrastax le fu di alcun conforto. Loro erano sopravvissuti, e lui no.
Tutt'attorno sembrava regnare il caos; tra le urla e le incitazioni dei guerrieri non si poteva ignorare il crepitio continuo delle fiamme che ardevano in ogni dove, e l'insopportabile odore di fumo e carne bruciata che appestava l'aria. Il puzzo era soffocante, e Zaide tratteneva a malapena la nausea.

- Raymond non ci raggiungerà. So perfettamente come lavorano i Rooi Valke, dunque l'ho mandato a compiere un'azione di ben più grande importanza.

Nulla aveva più importanza, pensò Zaide. Che Raymond andasse pure a dannarsi nelle fiamme dell'inferno, per quanto la riguardava. Non capiva come potesse trovarsi di nuovo lì, ad ascoltare parole vacue in un luogo che detestava con ogni fibra del suo essere. Ma non trovava nemmeno la forza di fuggire, di mandare al diavolo tutto e tutti: era sperduta e sola. Ad un tratto uno dei cuccioli che aveva poco prima estratto dalle fiamme le si accostò, appoggiandole il faccino al fianco senza dire una parola; quel gesto inatteso spiazzò la strega più di qualunque altra cosa, e quasi senza accorgersene si ritrovò a passargli la mano sul capo irsuto.

- Ciò che credete ora non ha importanza. Soffocate i vostri istinti: tutto ciò che conta è proteggere l'accampamento da questo massacro insensato.

Zaide non seppe mai se fu l'improvvisa ondata di adrenalina che si riversò sul campo con l'arrivo dei guerrieri nemici, o le parole di Alexei, o quel semplice tocco infantile ad aver risvegliato in lei una sorta di ruggito ferino che le scorse nelle vene come un fiotto di calore; si accorse solo di essere, ancora una volta, viva. Era il momento di combattere e tornare a casa, ci sarebbe stato tempo per il dolore più tardi.
Ma lo sparuto gruppo riunito al centro dell'accampamento non impiegò molto tempo a comprendere che le forze in gioco erano, ancora una volta, di una disparità inimmaginabile.
Gli uomini ammantati di rosso li avevano accerchiati, e al bagliore del fuoco sembravano rilucere come oggetti preziosi, e dall'oscurità sembravano sorgerne di nuovi a decine, come se non avessero incontrato resistenza alcuna nel giungere fino a lì.

E poi attaccarono.

Urla disumane accompagnarono i loro assalti feroci, mossi con tale rapidità che non si riuscivano a scorgere i loro movimenti, ma solo il bagliore degli ornamenti metallici che adornavano i loro corpi. Zaide vide i primi pelleverde cadere come fantocci sotto i violenti colpi di lama, e corse rapidamente verso il punto in cui si trovavano i suoi compagni. Si chinò su uno dei cuccioli meno giovani e gli sussurrò concitata: - Niente panico. Correte, trascinatevi dietro i più piccoli, non vi faranno del male.

Zaide temeva che quest'ultima fosse una bugia, ma un tentativo di fuga era comunque preferibile a un massacro certo. - Non andate verso il deserto, prendete gli animali e cavalcate veloci in direzione di Laslandes. Che l'Unico vi aiuti...

Per quanto spaventato, il ragazzino annuì con espressione concentrata e poi corse tra i suoi compagni, organizzando la fuga. La strega poi non ebbe più nemmeno il tempo di cercarli con lo sguardo per vedere se ce l'avessero fatta, perchè un istante dopo gli Shadar-Kai erano su di loro.
Non c'era possibilità di scampo, erano troppi e troppo ben addestrati.
Zaide si domandò se oltre che micidiali macchine da guerra, fossero anche addrestrati nella magia; ma non aveva tempo di verificarlo, se non tentare, disperatamente, il tutto per tutto. Aveva sfoderato di nuovo l'inutile, pesante scimitarra con cui era riuscita a deviare almeno parzialmente una spadata potenzialmente mortale diretta alla sua gola. Sangue colò dalla sua spalla, ma cercò di ignorare il dolore. Guardò fisso negli occhi il suo assalitore, finché non vide il rosso dei suoi occhi velarsi di un'ombra incerta. Preoccupazione e timore trasparirono dal suo viso fino a tramutarlo in una vera maschera di terrore al punto che le sue mani parvero non riuscire più a reggere la spada che cadde nella sabbia con un tonfo sordo.
Zaide decise che doveva provarci. Alzò lo sguardo e si concentrò a fondo sullo schieramento nemico, cercando quando possibile di intercettare uno di quegli sguardi rossi per instillare in ogni animo il terrore più atavico.
E infine dal terreno sbucarono sottili spirali d'ombra, a malapena distinguibili dall'oscurità della notte: mani, radici, volute di fumo che salirono e si arrampicarono a stringere le gambe dei guerrieri avversari, bloccandone alcuni e creando scompiglio tra gli assalitori.

Un profondo dolore all'addome costrinse Zaide a interrompere lo stato di profonda concentrazione in cui si era immersa e le permise di vedere la scena: molti Shadar-Kai erano effettivamente rimasti vittime della sua trappola d'ombra, e molti altri si contorcevano a terra per il terrore e il dolore che la presa delle spirali di tenebra avevano lasciato sul loro corpo. Ma ancora di più erano i guerrieri ancora incolumi, che continuavano a gridare e assaltare senza pietà. Zaide si portò una mano al ventre: il calore del sangue fresco le bagnò la mano, e con le dita sentì la dura consistenza di un pugnale conficcato nella sua carne. La lama non era penetrata in profondità, ma la ferita non era trascurabile. Cadde in ginocchio e riuscì ad estrarre il pugnale mordendo un'estremità del mantello per non urlare. Forse gli Shadar-Kai l'avevano già data per spacciata e nessuno in quel momento sembrava curarsi di lei.

La battaglia era vana.

Controllando il respiro affannoso e gli spasmi di dolore, Zaide riuscì a strisciare in un angolo oscuro ai margini della battaglia. Non le riusciva di scorgere Alexei, Rekla né Vrastax da nessuna parte e pregò con tutta se stessa che i bambini ce l'avessero fatta. Poi arrancò appoggiandosi a un bastone nodoso trovato tra i resti bruciati di una capanna e si allontanò dalla mischia. Non avrebbe più combattuto una guerra persa. Se doveva morire, avrebbe scelto almeno la sua tomba.

Quando riconobbe il posto, gettò a terra il bastone e strisciò tra la cenere della grande tenda, di cui non restava nulla se non travi carbonizzate e pochi brandelli di cuoio. Si sedette al centro, affondando le mani nella cenere ancora tiepida. Lì era morto Shaman. Ora Zaide capiva: lui le aveva detto, in quell'istante ignoto tra la veglia e l'incoscienza, che né lui né lei sarebbero stati felici, se il rito si fosse concluso. Avrebbe dovuto ascoltarlo, lasciarlo vivere in pace la sua morte, ma la sua brama di gloria aveva avuto il sopravvento, e ora lui aveva scelto di lasciarsi bruciare per non tornare a vivere una pallida imitazione di quello che era stata la sua vita.
Persa nelle sue riflessioni, Zaide non notò subito la pietra nera che le era capitata tra le mani. Ma poi la pietra divenne quasi rovente, e la strega notò la sottile incisione che la decorava...Il simbolo che gli sciamani apponevano alle pergamene perchè lo scritto non rubasse loro l'anima. Zaide ruotò la pietra davanti agli occhi, incuriosita e quasi dimentica del dolore. E poi, con un tuffo al cuore, notò che il simbolo non era proprio lo stesso che usavano tutti gli sciamani...ma solo uno in particolare. Il minuscolo sole disegnato all'interno dell'iride era il piccolo segreto che aveva legato Ekver-Wysnad'lig e Zaide in un gioco di complicità quando volevano scambiarsi messaggi a insaputa degli altri anziani.

- Non mi hai abbandonato, allora...

Poco lontano, il clamore della battaglia non accennava a diminuire. Ma la ferita le impedì di alzarsi e tornare a prestare aiuto ai suoi compagni; era la fine, lo sapeva. Una lacrima le rotolò lungo la guancia, ma era una lacrima di felicità: strinse nel pugno la pietra nera, e seppe che lo sciamano non se ne sarebbe mai andato.








Zaide

°concentrazione [+2]
°intuito [+2]

[c. 29%; a. 13%; m. 5%; b. 1%]



Mi scuso per il post un po' scarso ma tempo e ispirazione non mi hanno aiutata stavolta. Zaide, inizialmente annichilita dal dolore e totalmente apatica, si "risveglia" grazie alla botta di adrenalina che precede la battaglia (forse anche grazie ad Alexei, le cui parole hanno sempre un effetto strano su Zaide, e allo spontaneo gesto d'affetto del cucciolo di pelleverde). Consapevole della schiacciante superiorità dei nemici, tenta una combo magica: Timore, prima utilizzato su un singolo bersaglio, e poi ampliato nel tentativo di colpire tutti gli avversari (Alto ad area), e Dominio delle ombre (alto ad area), che dovrebbe ostacolare l'avanzata dei nemici. Però viene colpita da una pugnalata all'addome, che le fa comprendere come tutto sia inutile. Non vista, va a cercare la tenda dove è morto lo sciamano, e ci rimane: lì trova una misteriosa pietra nera, che intuisce essere l'ultimo dono del suo maestro per lei. [Scusa Ray se mi sono attardata su questo punto, ma quella pietra mi serviva........]

Energia:
100 - 27 = 73%

Stato fisico:
Ferita alla spalla sanguinante e pugnalata abbastanza grave all'addome.

Attive:
Scarbo [Alto ad area]
[Scatenare il terrore con il solo dominio della mente è prerogativa di ogni adepto delle arti oscure: con un consumo Variabile Zaide può martoriare la mente dell’avversario con una gamma di sensazioni che vanno dal timore all’orrore più nero, oltre a poter colpire contemporaneamente più vittime: in tal caso la potenza sarà di un livello inferiore al consumo. - Pergamena Timore]
Ondine [Alto ad area]
[Con un consumo Variabile potrà dominare l’elemento ombra a suo piacimento, generando raggi e sfere, armi, spazzate, attacchi diretti o a trecentosessanta gradi, purchè ogni emanazione si origini da lei stessa e svanisca dopo aver compiuto l'attacco. Contro offese o difese magiche, le ombre andranno considerate di un livello di potenza superiore; contro offese o difese fisiche, le ombre andranno considerate di un livello di potenza inferiore. - Pergamene Dominio delle ombre]
Passive:
[Passiva di ammaliamento psionico; a seconda dei comportamenti di Zaide e ad interpretazione del personaggio che subisce la tecnica, può istillare in lui lussuria nei confronti della strega o terrore - sta alla vittima decidere quale delle due, coerentemente ai comportamenti e all'aspetto assunto da Zaide]
[Disciplina ferrea e dedizione, ma anche un’innata predisposizione nei confronti di tutto ciò che riguarda la sfera delle conoscenze arcane, sono alla base della capacità di Zaide di percepire istintivamente ciò che è magico attorno a lei, permettendole di svelare illusioni ambientali e avvertire attacchi magici anche alle proprie spalle]
[La portata del suo sapere magico è tale che ogni sua tecnica di natura magica provocherà danni di un livello superiore rispetto al consumo utilizzato, a fronte di una diminuzione delle tecniche fisiche di pari natura]


Armi:
Scimitarra
20 pugnali da lancio (11 utilizzati)
Athame del corvo
Athame delle anime








 
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J!mmy
view post Posted on 30/11/2012, 21:37




Da qualche parte, tra le fiamme, qualcuno gridò.
Non seppe dire se uomo o donna, se giovane o vecchio. Il mondo che i popoli credevano con presunzione di conoscere dimostrò loro che non vi era alcuna speranza, divinità o fato a cui aggrapparsi. Tutto era cenere. Tutto grondava sangue e morte in quantità.
Si sentì incredibilmente a proprio agio in quell’oceano di fuoco, in quell’inferno giunto a riscattare ogni peccato, ogni offesa. Gli uomini non avevano la minima idea della potenza in esso serbato, e presto la verità sarebbe giunta a schiaffeggiarli ancora e sempre più violentemente. Rekla sorrise, dacché il timore che portava in grembo fu condiviso da ognuno, come un fardello dalla mole immensa che calpestava e devastava, che deturpava e distorceva la mente. Ma non lei, non la sua mente. Fin dal principio, infatti, la Nera era stata costretta a convivere con quell’acre sensazione d’impotenza, fino a che quella stessa debolezza non era divenuta la sua maggior forza.
Il volto si fermò a pochi pollici dal terreno. Gocce di sudore ruscellavano dalla fronte e giù fino al suolo, finendo con l’affastellarsi in sparse chiazze nere sul giallo fiammeggiante della sabbia. La testa continuava a pulsare, e ben presto anche caldi rivoli di sangue giunsero ad inumidirle il collo. Carpiva i sensi scivolarle via ogni istante di più e gli occhi perdere la presa sulla realtà e sulla moltitudine di cadaveri di cui l’accampamento era oramai gravido. Ovunque guardasse, il puzzo di carogna bruciata la raggiungeva. Normalmente quell’odore l’avrebbe fatta impazzire, eccitandola; ma la storia era assai diversa, adesso: sentiva di essere così vicina a condividere la sorte di quei corpi imbruttiti dalla morte che le ginocchia cedettero e il freddo s’impossessò di lei.

« Non... mi avrai » ringhiò al vuoto.
Eppure, quando le forze stavano quasi per abbandonare la sua carne, ecco che una nuova e più delicata mano le cinse la spalla tirandola a sé. Si volse a malapena, il tanto bastante a scorgere le fattezze femminee dell’uomo con cui aveva condiviso un importante segreto, di colui al quale aveva rivolto la richiesta del veleno paralizzante. Fu come risvegliarsi da un terribile incubo – e lei, agl’incubi, era quanto mai abituata. Subito sopperì all’impulso di palpare la tasca delle brache sotto la casacca, e sentì l’armoniosa forma dell’ampolla premere sulla sua coscia. Era ancora lì, intatta, e non avrebbe permesso che andasse sprecata.
Alexei l’alchimista le fece cenno di seguirla, quindi raccattarono Vrastax il senzafratelli lungo la strada e partirono alla ricerca dell’ultimo membro del gruppo: Zaide, la strega. La ragazza dai capelli rossi era moribonda e sepolta da un cumulo di macerie annerite, ma la tinta bronzea della carnagione del beduino parve quasi rischiarare l’oscurità quando si protese su di lei e la tirò fuori con inverosimile naturalezza. “Le avevo detto di non mettersi nei guai”, pensò non appena fu abbastanza vicina perché potesse riconoscerla.
Rekla, dal canto suo, ignorava ancora la ragione per cui si era spinta a seguire quell’uomo tanto emblematico e gentile; non riuscire a scrutare nell’animo di chi aveva dinanzi era qualcosa che la disturbava particolarmente. Ciononostante, contro ogni prospettiva, aveva deciso di percorrerne le orme e di intrufolarsi comunque in quella strana quanto inutile riunione di famiglia. Dopotutto, nulla in quell’ardente putiferio aveva più senso.

« Ascoltatemi, non c'è molto tempo. »
« Raymond non ci raggiungerà. So perfettamente come lavorano i Rooi Valke, dunque l'ho mandato a compiere un'azione di ben più grande importanza. »
Alexei tacque alcuni istanti, come se si aspettasse una qualche loro reazione o parola.
Ma Rekla non parlò, limitandosi ad osservare quell’uomo dall’aura troppo misteriosa per i suoi gusti. Allungò la mano destra verso la spalla opposta, e con un secco moto del polso sfilò via la giubba di cuoio ormai abbrustolita e strappata in molteplici punti.
« Ciò che credete ora non ha importanza. »
Doveva liberarsi di ogni elemento d’impaccio, poiché presto avrebbe avuto bisogno di tutta l’agilità possibile. Lo sentiva dentro di sé.
« Soffocate i vostri istinti: tutto ciò che conta è proteggere l'accampamento da questo massacro insensato. »
« E se conosco bene Nazir, i suoi uomini dovrebbero averci già raggiunto. »
Torse il capo, posando lo sguardo sulla fitta coltre di fumo che si stagliava tutt’intorno ai baraccamenti. Fu come il lampo che precede il tuono: qualcosa nella nebbia si mosse, avvallando le brevi e scoraggianti parole del beduino.
Arrivavano.

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La raggiunsero in cinque, rapidi e silenziosi come pantere, tutti addobbati di modesti drappi color cremisi e chincaglieria d’ogni sorta infilzata nella carne. Tra i nugoli di fumo poté distinguere nitidamente due di loro portare strani ornamenti d’acciaio al naso e altre dozzine di soldati dispiegarsi alle loro spalle come un esercito di spettri.

« Shadar-Kai... gli uomini di Razelan Vaash. »
Vaash. Quel nome le diede i brividi, vuoi per la triste fama che ne accerchiava la sede – Castelgretto – vuoi per il ribrezzo che quella meschina casata le iniettava nello stomaco. Avevano scelto di servire il regno e spartirlo con il reggente, di piegarsi al fantomatico Sovrano di cui i subdoli Corvi non facevano che blaterare e blaterare. Cosa ci facevano, dunque, sulle sponde del Deserto dei See a dar guerra agli orchi? Un pensiero che non le dispiacque, in verità, ma quello nei confronti dei Vaash perpetrava ad essere un puro e semplice odio: i territori meridionali erano suoi, e lei sola poteva dominarli.
La furia convogliò lentamente sul braccio, che scattò al foderò di Vesar e ne serrò l’elsa. Quando poi fu abbastanza vicina al primo dei cinque, l’estrasse in un unico colpo emanando una mezzaluna di fiamma che s’infranse sul mento nemico sbalzandolo di parecchi piedi.
Il secondo e il terzo, invece, agirono insieme. Mentre l’uno menava una sferzata al fianco della Nera, l’altro spalancò le fauci e tentò di affondare la propria sciabola. La donna fu lesta, abbastanza da deviare il primo attacco – per contrattaccare quindi verticalmente, tranciando di netto l’arto dell’uomo – ma non altrettanto da impedire che il successivo le si conficcasse nello stomaco.
Digrignò i denti, imprecò in faccia al beduino, ringhiò come una belva ferita gravemente e inferocita dal suo stesso dolore.

« Non... mi avrai. »
Aggrottò la fronte, ringhiando in un impeto di cieca furia. La luna d’inferno si mosse con una tale violenza e velocità che il burattino dei Vaash non poté fare alcunché per notarlo. In men che non si dica, il suo capo era già mozzo e rotolava mestamente verso le fiamme.
« Non mi avrai » ripeté per la terza volta, sputando sulla carcassa che precipitava.
Ma quando sollevò lo sguardo era di nuovo troppo tardi: alzò la mano marchiata, appena in tempo perché dai cadaveri appena trucidati squarci nella pelle rigettassero masse bianche e dure, che le si avvolsero intorno plasmando quanto di più simile a un guanto fatto di ossa e nervi. La lama avversaria vi si schiantò infrangendosi in centinaia di schegge, tra le quali Vesar schizzò abilmente per colpire con fatalità alla giugulare dello sventurato.
Revul’ghul: questo era però il nome di colui il quale trafisse la coscia della Nera, costringendola al suolo e inerme. Rekla fissò in volto quell’essere, vigliacco a tal punto da aver osato aggredirla alle spalle piuttosto che frontalmente, probabilmente nel terrore di essere sottoposto al medesimo trattamento dei propri compagni. Negli occhi di lui, di quel lembo d’oscurità che neppure poteva dirsi degno di essere chiamato “uomo”, la Regina dei morti scorse una luce cupa, del tutto identica a quella che governava i suoi di occhi.
Tuttavia, quando oramai le dita della morte scivolavano sui suoi capelli accarezzandoli, ecco che un’ascia guizzò dal nulla, frantumando in due il cranio del codardo e palesando fattezze assai note, infine.

« Tu credere che io lasciare te tutto divertimento? » Skjor espose quelli che dovevano essere dei denti in qualcosa di lontanamente affine a un sorriso; gesto che Rekla non apprezzò affatto. « Oh, no no. »
La bipenne del pelleverde toccò nuovamente il terreno, schiantandosi un’ultima volta sul corpo agonizzante dello Shadar-Kai. L’energumeno si dimostrò particolarmente utile: come una macchina forgiata dalla guerra medesima balzava a destra e a manca sbatacchiando la sua arma e mietendo vittime su vittime. Ma nonostante il macello, nonostante la pioggia di morti, cui presto anche la Nera si associò, quelle fetide pustole non accennavano ad attenuarsi né a ridursi; anzi.

« NOOO! » fu l’ultima sillaba che fuggì alle labbra di Rekla.
Ancora una volta, con l’amaro retrogusto di rimorso a impastarle la bocca, colei che dal fuoco era sorta nel fuoco dovette riporre il proprio compianto. Due dei beduini, infatti, erano sbucati dal nulla e si erano lanciati sulle corpulente spalle dell’orco. Poté scorgere i loro coltelli pregni di veleno – il cui odore le era assai noto – immergersi ripetutamente nella carne di lui, che non tardò a capitolare impotente sul fuoco, avvampando come una torcia insanguinata. Dopotutto, non era forse il fuoco ad essergli sacro?
Provò un’indescrivibile pietà per colui che ben due volte l’aveva strappata al destino e che adesso non aveva neanche la possibilità di urlare dal dolore. Provò colpa, e rabbia; molta, moltissima rabbia.
« NOOOOOO! »
Una luce esplose dalle tenebre, una trama fatta di ombre a sua volta che con immense dita di demone scaraventò nell’oblio le anime di coloro che erano stati tanto stolti da credere di potervi resistere. E, invero, non avevano tutti i torti.

« Cos... ? »
Lo stupore fu immane, le caviglie quasi tremolarono.
Erano lì, erano ancora li.
E il loro numero cresceva, e cresceva, e cresceva.

நாம் அவதாரமெடுத்து செய்ய முடிவு செய்த ஆத்மா, ஆத்மா என்பதை மறக்க வேண்டாம்.
Non dimenticare che siamo anime, anime che hanno deciso di incarnarsi.

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Silenzio, rassegnazione.
Nient'altro.
« Eccomi. Sono tua. »


CITAZIONE
Rekla Estgardel
la Nera Regina
––––––––––––––––––––––
Stato Umano
{ Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }

––––
« Energie: 100 - 6 - 15 = 79%
« Stato fisico: medio trauma da impatto alla nuca + squarcio di media entità al torace + taglio basso alla coscia destra.
« Armi: Constantine • riposta; Vesar "Luna dell'inferno" • sfoderata

Attive...
First darkness - Oscurità dell'arto
Il potere di Rekla sembrava non avere mai fine, illimitato nella ciclica ricerca di un traguardo perennemente prossimo. Vessillo di questa perpetrata sete di potere fu la volontà di accaparrarsi un diritto non proprio, ma spettante a Dio stesso, divenendone il sostituto: la creazione. Un'idea folle, questo era certo, ma potente oltre ogni immaginazione. Concentrandosi per un paio di secondi, Rekla aveva ereditato la capacità di forgiare le tenebre interiori a proprio piacimento, donando loro le fattezze a lei più gradite, come quelle di una guargantuesca effigie di braccio demoniaco, interamente composto d'ombra scura e profonda, defluente dal palmo spalancato della Nera. La grandezza dello stesso -e dunque la relativa potenza- sarà esattamente proporzionale al consumo variabile alto impiegato. L'attacco avrà i connotati di un potente colpo elementale, spesso sotto le irruente sembianze di una devastante onda d'urto dovuta all'inevitabile scontro col terreno. Il braccio risulta essere però assai versatile, e permarrà sul campo di battaglia fino al momento dell'impatto dissolvendosi immediatamente dopo.

Second darkness - Oscurità dell'osso
La tenebra che divorava Rekla non conosceva vincolo, o inibizione, o freno. La carne stessa marciva al suo incedere, non essendo di alcuno impedimento per un morbo tanto instabile ed insaziabile. Per tale ragione, la maledizione era giunta finanche al duro delle ossa, elargendo alla Nera Regina delle Tenebre la facoltà di sfruttare i resti putridi e decomposti dei cadaveri per richiamare difese impenetrabili in grado di proteggerla come meglio necessita. Era sufficiente un cenno, un misero cenno, perché la tecnica -di natura magica- tramutasse le spoglie derelitte dei morti in ombre solide come roccia e inamovibili come acciaio temprato. Rekla poteva compiere qualsiasi manifestazione le venisse in mente: armature, barriere, scudi, cupole, difese dirette o a trecentosessanta gradi. Tutte queste dovevano però averla come punto d'origine e non potevano perdurare sul campo di battaglia oltre il compimento di ciò per cui erano state reclamate; dunque, svanivano subito a seguito del colpo incassato. La potenza delle manifestazioni era variabile media, pari al consumo speso per richiamarle, e di un livello inferiore se dislocate a trecentosessanta gradi intorno al caster.


... e passive

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Nel principio, la Riluttanza
Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.


.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.

.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.

Vizio dell'Animo • честолюбие
Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)

An endless guard
In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro.
{ Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. }

Note
Eccomi. Premetto che ho scritto questo post con un'emicrania indescrivibile, quindi mi scuso per eventuali aberrazioni.
Per quel che concerne il contenuto, credo che la "disperazione" sia piuttosto palpabile, e mi sono permesso di arricchirla ulteriormente con la triste sorte seguita da Skjor, l'orco introdotto nei due turni precedenti e che ha salvato la vita a Rekla per ben due volte.
Spero di aver fatto/detto tutto. A voi.



Edited by J!mmy - 1/12/2012, 12:26
 
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Vrastax Victorian
view post Posted on 1/12/2012, 18:10




« Raymond non ci raggiungerà. »

Furono le uniche parole che ascoltò con un certo interesse, le uniche che lo portarono quasi ad arrendersi di fronte l’ennesima delusione che provò quel giorno. Non parlò ne avanzò chissà quale minaccia, addirittura non osò nemmeno cambiare l’espressione del proprio volto, tanto nessuno l’avrebbe vista e nessuno tra loro l’avrebbe volutamente notata. Tenne tutto dentro di sé questa volta senza apparire mortificato o arrabbiato, si comportò da perfetto soldato quale era ma in fondo al suo animo si risvegliò qualcosa, una rabbia forse o un semplice istinto primordiale che tenne a bada finché poté, finché si dissolse. In quel frangente di attimi nervosi Alexei parve apparire al gruppo in modo tranquillo, parlò al trio con parole precise, con una fermezza fuori dal comune eppure, quel suo modo di fare, risultò essere fastidioso per le orecchie del Vittoriano; stavano iniziando una battaglia e forse le uniche cose che non sarebbero rimaste a proprio posto sarebbero state le loro teste. Si sarebbe aspettato qualcosa di più dall’alchimista che era riuscito a raggruppare il trio di sopravvissuti, qualcosa di importante che avrebbe rivelato come i beduini dovevano essere affrontati, quali rischi avrebbe corso e quante possibilità avrebbero avuto contro di loro.
E invece erano soli e non avevano alcuna strada da seguire. Vrastax avrebbe dovuto proteggere quegl’orchi da nemici che prima erano stati loro alleati. Com’è beffardo questo mondo si disse l’Ultimo mentre stringeva con ancora più forza l’elsa della propria spada.
Era scoraggiato e deluso, non avrebbe mai creduto di trovarsi in una situazione cosi assurda, cosi particolare. Perché continuava a chiamarsi Vrastax se non era più la stessa persona di un tempo? Quel pensiero balenò in un lui con la forza di uno tsunami. Nemmeno nell’aspetto ormai era ciò che una volta poteva essere scambiato per un Angelo, un Angelo della Picca Velata. Quel viso pallido e asciutto aveva lasciato il posto ad un volto diverso, più colorito ma meno acceso, più vivo e rugoso ma meno perfetto. Solo gli occhi, invece, sembravano non aver cambiato il proprio colore, erano rimasti grigi, privi di apparente emozioni, erano occhi solo occhi vuoti. Ricordava però ancora con fierezza il suo aspetto, ricordava ancora com’era stato, qual’era il suo modo di affrontare i problemi, gli errori che di rado commetteva e le risposte che avrebbe trovato in mezzo a mille e mille di quei quesiti. Era cresciuto troppo in fretta. Era tornato ad essere un bambino grande troppo in fretta. Un bambino vecchio, impaurito, un bambino debole che non sapeva più riconoscere e interpretare la propria vita, era stato lasciato solo e adesso doveva crescere senza nessuno, senza una madre e senza un padre.
Ma ora non era più nulla di tutto ciò, era un soldato e un mercenario – quella solo parola lo fece rabbrividire, mercenario si disse con astio - e chi era lui per combattere con degli orchi che prima erano stati suoi acerrimi nemici? Perché era caduto cosi in basso da non poter più distinguere il vero dal falso? Ciò che era giusto da ciò che era sbagliato?
Guardò il cielo grigio, pieno di polvere e fumo, nell’aria poteva vedere la cenere nera brillare a contatto con i raggi del sole, quel giorno vide più di un sole a dire il vero, enormi fuochi ardevano vicino a lui trasmettendo allo stesso tempo uno strano senso di calore e terrore che lo portarono a distogliere lo sguardo da uno di quelli che aveva fissato fin troppo a lungo. Purtroppo però ogni volta che lo faceva i suoi occhi andavano a trovare una nuova fonte di energia rossa. Era un inferno e dappertutto erano scoppiati diversi incendi mortali cosi, ogni volta che spostava lo sguardo, i suoi occhi si poggiavano sempre su un differente spettacolo di fiamme, sempre meraviglioso e mortale come i suoi rossi fratelli.

« Queste domande non faranno altro che farti impazzire, fratello. »

La voce di uno dei Mille spezzò i pensieri del Vittoriano, i suoi pensieri e le sue congetture furono lasciate in sospeso, abbandonò ogni sofferenza e ogni domanda che si era posto. Non tanto per le parole che aveva poco prima sentito nella sua mente tanto più per quel che stava per accadere e per chi stava arrivando.

« Shadar-Kai... gli uomini di Razelan Vaash. »

Nella sua vita aveva perduto tre cose: la famiglia, l’esercito per cui combatteva e la speranza di riottenere entrambi, adesso forse se ne sarebbe aggiunta un’altra che non osò ricordare a se stesso ma che sapeva che in qualche modo, prima o poi, sarebbe arrivata.
Più il fuoco era alto più gli sembrò di vedere ombre giganti, prima affusolate poi sempre più alte, sempre più imponenti. Eppure quelle stesse ombre nere si trasformarono in uomini rapidi e veloci che vestivano seta rossa. Saettarono verso di loro, silenziosi come assassini; Vrastax indietreggiò, assumendo la guardia, spostò il collo a destra e sinistra per cercare di contare quanti ne avessero dovuti affrontare e quanti forse ne avrebbe uccisi. Tuttavia si fermò quasi subito, per un attimo credé di affrontarne dieci. Erano uomini esili, privi di armature, sicuramente celeri in ogni movimento. Il Vittoriano invece era tutto l’opposto di quei guerrieri: relativamente lento, corazzato al massimo, armato fino ai denti, attento ad ogni singola mossa dei propri avversari.
Non seppe dire cosa fecero i suoi compagni ma a differenza di tutti andò alla carica. Abbatté il primo assassino che gli si presentò davanti e afferrò con una mano un altro facendolo scaraventare in avanti; due volte provarono a infilzare il soldato, due volte le punte dei pugnali scalfirono il metallo dell’armatura Vittoriana.

« Combatti e uccidili tutti, fratello. »

Il cuore batteva in modo forsennato, il respiro era spezzato dai colpi che subiva e arrecava. Il fumo e il fuoco erano ottimi alleati di quei temibili avversari. Più volte si trovò costretto a girarsi e a parare svariati affondi apparentemente inutili, più volte si confuse mentre quegli stessi assassini scomparivano e comparivano in luoghi differenti sempre più vicini al Vittoriano.
Non ce la faccio si disse. Sono troppi continuò mentre osservava la sua lama sporca di sangue scintillare.
Ogniqualvolta ne abbatteva uno tre nuovi nemici sembravano intervenire in loro aiuto, per vendetta. E a un certo puntò non trovò più nemmeno i suoi compagni. Che fossero stati uccisi? Che la Nera Regina e Zaide fossero state trapassate?
Poi, come sempre accadeva, fu colpito alle spalle, proprio alla schiena, non tanto da un’arma ma dal corpo di un ninja stesso che l’aveva afferrato con entrambe le mani e si era come catapultato su di lui. Vrastax tentò in tutti i modi di toglierselo di dosso ma ciò che ottenne fu solo una profonda ferita alla scapola poi, fortunatamente, l’armatura prese vita: una parte di quella assunse una nuova forma, simile a un uncino, il metallo che era fuoriuscito da lì infilzò il cuore del malcapitato e lo fece accasciare a terra, morente.
Il Vittoriano ebbe un brivido. I suoi fratelli cominciavano a non poterne più di quella storia, di quella sfortuna che sembrava stesse perseguitando il povero Vrastax. L’uncino che si era creato alla schiena scomparve nello stesso modo in cui era stato generato.

« Sono troppi, ti uccideranno, facci combattere fratello. » Dissero all’unisono. « Facceli affrontare uno ad uno. »

Anche loro avevano capito in che tipo di situazione era capitato l’Ultimo, e se da un lato sembravano gioire e godere dall’altro invece erano preoccupati per le sorti del loro stesso bozzolo di vita. Non l’avrebbero aiutato per il piacere di farlo ma solo per la mera inquietudine di finire presto all’altro mondo, non volevano ovviamente che accadesse ciò, non volevano morire, ne tanto meno volevano liberare il Vittoriano da quella maledizione che loro stesso gli avevo imposto.
Cercarono di prendere vita, alcuni volti comparirono nelle placche nere e grigie della corazza, molti occhi furono bucati e molte bocche infilzate.
Vrastax gridò. Girò su se stesso, era in preda alla disfatta. Colpì altri nemici, senza però riuscire a ucciderli.

« Aiutatemi fratelli, ve ne prego. Aiutatemi. »

Fu un sussurrò che dilaniò l’anima dell’Ultimo. Dentro di sé infatti lo percepì più come uno sbraito che come una semplice frase fatta, fu una richiesta d’aiuto che fece rimanere a bocca aperta perfino gli stessi Vittoriani che, di fronte a loro, videro ciò che mai e mai si sarebbe potuti aspettare di vedere.
Centinai, a centinaia erano arrivati. Uomini rossi, vestiti con stracci, armati con la morte. A Vrastax gli fischiarono le orecchie, fece un passo indietro, l’ennesimo. Fu colpito e strattonato da un paio di inetti assassini, correvano verso di lui e verso di loro. Correvano.
Correvano per uccidere tutti loro.




CITAZIONE
abilità passive:

CITAZIONE
Un Vittoriano che cade, che è sconfitto dalle sue stesse forze che pensava fossero irraggiungibili all’occhio del nemico, per mano delle sue stesse idee - linee che non avrebbero potuto scontrarsi col disegno predeterminato dei suoi padri - ha fatto sì che la solitudine lo divorasse, cosi da non avere più alcuna spalla su cui poggiarsi e piangere, e non poter nemmeno fidarsi di uomini che prima considerava alleati, l’emarginazione dalla vita a cui era abituato l’ha portato a chiudersi in se stesso, a essere fragile con il corpo, distaccato dal suo io; quasi involontariamente si è arreso rendendosi gracile, come se la lontananza lo sfiancasse, eppure adesso che ogni pezzo inanimato dei suoi avi è presente nelle sue ossa qualcosa è cambiato, come un fabbro che sull’incudine ripara un’arma spezzata, o come soldati che giungono dalle seconde file per rinforzare quelle indebolite. A Vrastax è accaduto qualcosa non dissimile a quanto detto: ha rafforzato all'invero simile le sue conoscenze potendosi quindi affermare come un Negromante , un Guerriero e un Paladino, poiché in vita i suoi fratelli hanno ricoperto queste categorie, adesso l'ultimo di loro sarà consapevole di tenere con sé questi nuovi valori che l'hanno portato inoltre ad avere un potere innato in grado di percepire l’aura dei nemici nell’area circostante, di ricorrere alle proprie difese anche quando ciò sembra implausibile, quando l'offensiva del nemico sembra andata certamente a segno, di innalzare le tecniche difensive in maniera istantanea, senza alcun vincolo di tempo o concentrazione, di ottenere qualsiasi difesa a 360° con una potenza pari al consumo impiegato per generarla e infine di manifestare le proprie egide in maniera inconscia contro attacchi dei quali non è per nulla cosciente, o quasi. Come se le sue barriere e i suoi scudi fossero animati di una volontà propria, come se gli occhi dei Vittoriani suoi fratelli potessero guardare mentre lui non potrebbe.
··· tomo sacro; tomo epico; bracciali dell’auspex; riassunto della abilità passive del dominio absolute defense; quattro punti alle capacità straordinarie alla costituzione

abilità attive:

CITAZIONE
Levigato e lucido l’acerbo metallo di uomini coraggiosi morti in guerra, guerrieri che hanno travagliato la vita di esseri ignobili perendo però e, a volte, vincendo. Scudi, lame, ferro e squame di corazze fuse in una lega impregnata di odio e vendetta, metallo nero infuso nelle vene di un Vittoriano decaduto, un rinnegato lasciato solo alla vita ingannatrice che l’ha vinto. Le sue mani sono le spade e gli scudi dei Vittoriani, il suo coraggio è quello di chi l’ha visto crescere, i suoi occhi sono l’emblema di una razza distrutta e perduta in macerie di sangue e urla. La sua realtà è totalmente cambiata, solo lui adesso rappresenta un popolo guerriero che ha vissuto per migliaia di anni tra l’ardore di battaglie e il profumo di nemici sempre nuovo. Vrastax è diventato un Vittoriano, l’ultimo che porterà avanti il nome della sua stirpe che prima ha amato e che adesso odia. Il metallo è il primo punto in comune con i suoi antenati poiché questo è stato ciò che più gli ha distinti durante le mille e mille battaglie, il nero paladino potrà infatti manipolare il metallo che scorre dentro di lui – riuscendo pure a farlo nelle immediate vicinanze -, potrà donargli qualsiasi forma, lancia, picca, scudo, spada, persino un normalissimo spuntone di metallo potrà fuoriuscire dalla sua mano. Vrastax adesso è metallo. E metallo lo sono stati i suoi avi.
··· abilità personale a consumo variabile 2/10

note: niente di eccezionale, chiedo ancora scusa per il ritardo e per lo scritto sicuramente poco coinvolgente. Per quanto riguarda la fase combattiva ho lasciato tutto molto sul vago conoscendo già l'esito della fine non mi sono azzardato di costruire strategie particolari, spero - ancora - che il post sia quanto meno chiaro e "cristallino"
 
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view post Posted on 1/12/2012, 18:52
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Eppure aveva creduto che nel deserto sarebbe stato al sicuro.
Ricordava con grande precisione l'istante in cui era stato rigurgitato in questo mondo al termine della battaglia del Crepuscolo. La sua schiena era stata accarezzata dalla tiepida sabbia del deserto, e il suo sguardo si era perso nell'infinito cielo serale stagliato sopra di sé. La sua amata non era al suo fianco, e un accoramento gli doleva al centro del petto: l'algia di un uomo stanco; di chi ha perso tutto. Ricordava di essere rimasto steso lì in terra per ore - ...forse giorni - prima che la sua mente elaborasse l'idea che qualsiasi sentiero avesse deciso di intraprendere avrebbe dovuto stare in piedi e camminare sulle proprie gambe.

Aver perso ogni cosa
È una sensazione potente; spaventosa. Smorza i sorrisi, rende distaccati, alimenta i sospiri; non che Alexei fosse diverso, prima.
È che chi come lui ha vissuto tanto a lungo, sente franare i pezzi del proprio cuore come una fronda al primo sole, che si scrosta dalla neve.
Si arriva al punto in cui si è stanchi di ricominciare. Ci si rannicchia in solitudine e si aspetta che il tempo faccia il proprio corso, lasciandolo scivolare su di sé senza reagire. Le nuove opportunità fanno sentire incredibilmente soli, e la solitudine è un male che uccide. E' uno stato d'animo che viene coltivato da chi lo possiede, inesistente, ma che può trasformare un uomo in un guscio vuoto: muoverlo senza muoverlo; emergere dalla sua gola per parlare al posto suo; eradicarne l'esistenza.

La solitudine è pericolosa
e forse proprio per questa ragione Alexei aveva salvato dalla fame quei beduini con indosso turbanti porporini.
Uomini che avevano iniziato a seguirlo senza ragione, e che in breve si erano autoproclamati Rooi Valke.
"Falchi Rossi".

Così era iniziata.
E ora uomini differenti lo circondavano, con indosso gli stessi abiti rubizzi di chi l'aveva aiutato ad uccidere la solitudine. Sicari pronti a prendere la sua testa, poiché Nazir non ci era riuscito.
Vide chi lo difendeva arrendersi e cadere; sconfitto. La ragazza dai capelli rossi allontanarsi con una grave ferita all'addome; quella coi capelli neri semplicemente abbandonare ogni speranza; persino il cavaliere di ferro non poté nulla contro la sciamante orda di Shadar-Kai.
Avevano bisogno del suo aiuto.
Quand'è che aveva creduto di poter abbandonare quella vita?

« ...Io, fai che Chronepsis non stia guardando. »

E il suo corpo iniziò a mutare.

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« Soldaat, ne possiamo parlare, sì? Tu vuoi denaro, io do denaro; vuoi donne, io do donne; vuoi potere, io do potere; sì? »

Nazir restò soffocato nel turbante mentre Raymond lo trascinava silenziosamente per il collo dell'abito lungo la sabbia.
Non stava nemmeno tentando di ribellarsi; di quando in quando cercava di allargare le proprie vesti e sfilarsele, più per mancata respirazione che per tentativo di fuga. E per andare dove, poi? Ora che il Lancaster aveva assunto diverse dosi dei suoi vini metallici non c'era un solo angolo dell'intero deserto dei see dove Nazir avrebbe potuto nascondersi da lui.

« Ammetto di avere molto sottovalutato te; ma Nazir sarà bravo prigioniero, così tu non ucciderà lui, sì? »

Il piano di Alexei si era dimostrato efficace.
I Falchi Rossi mandavano sempre la maggior parte delle proprie forze all'attacco, lasciando sguarnita la retroguardia. A difesa degli onagri Raymond aveva trovato pochi guerrieri, troppo giovani per trovarsi su un campo di battaglia e male armati. Non era stato difficile costringerli a condurli da Nazir, che se ne stava a fottere una concubina dai capelli neri all'interno di una piccola tenda principesca, ricamata d'oro e rosso come gli abiti di Alexei. Così ora aveva tra le mani l'ostaggio più importante, aveva salvato una ragazza innocente e avrebbe potuto terminare quel massacro insensato.

Oh, certo, avevano tentato di fermarlo.
Sì, Nazir aveva chiamato le guardie.
Chi è nato nel Nord, però, sa bene che "decine di contadini non possono che restare scottati dalla fiamma di un solo Lancaster", come diceva spesso suo padre. I vini di ferro l'avevano reso sorprendentemente agile e forte; gli avevano dato l'aspetto di un mostro, colorando la sua pelle e i suoi occhi di nero; l'avevano fatto invulnerabile e avevano annebbiato i suoi sensi con la crudeltà, come il sangue che lo inondava da capo a piedi non mancava di testimoniare.
Raymond tossì violentemente, e scoprì di perdere sangue lui stesso, non seppe dire se per i danni subiti nello scontro o per effetto delle droghe. Nessun dolore tale da impedirgli di raggiungere l'accampamento degli orchi sotto attacco, comunque.

« Non mi darai in pasto a qualche mostro, no? Groenleer mangiano gli uomini, tutti sanno; fornicano nella polvere, non sanno parlare nostra lingua, bruciano città e uccidono fratelli per tozzi di pane; tu no vuole darmi loro in pasto, no? »

Raymond si bloccò all'istante.
« Che il Sovrano mi maledica se non ti divoro all'istante, Nazir » esclamò ripensando ai segni verdi sul suo viso lasciatigli dall'hobgoblin « giacché oggi sono sia pelleverde che uomo »
« e l'unico che in questo fottuto deserto si mette a fornicare nella sabbia, non sa parlare la lingua degli uomini, brucia le case altrui e accoltella i propri fratelli... »

« ...sei tu. »

"il Sovrano mente, illude e predispone per i propri scopi. Mezzi potenti per chi sa come utilizzarli; armi terribili nelle mani degli incoscienti. Gli uomini sono più biechi, poiché utilizzano i doni del Sovrano per i propri scopi, incapaci di comprendere le sue istruzioni." Una delle prediche preferite dei Corvi, che in quel momento gli pareva quantomai vera.
Strattonò nuovamente Nazir per il collo, che si era finalmente fatto zitto. Superata la duna sarebbero giunti all'accampamento, e lì avrebbe dovuto fronteggiare il grosso degli uomini capitanati dal suo ostaggio.
Lo risollevava un pensiero, però. Al termine di tutta quella battaglia sarebbe andato da Alexei, l'avrebbe guardato con orgoglio e gli avrebbe detto:

« Hai visto, amico mio? Sono o non sono stato... »
« ...un drago...? »

Ormai era notte, ma la sagoma era inconfondibile.
Al centro dell'accampamento, stagliato in controluce sui fuochi che lo devastavano, si ergeva quella forma familiare che Raymond conosceva dagli stendardi della propria famiglia.
Un drago rosso, indorato dalle fiamme che danzavano dietro di lui; rampante e in movimento, mentre si liberava dai numerosi assalitori che lo circondavano con la stessa semplicità con cui una vacca allontana le mosche con la coda.
Sentiva i boati del suo ruggito raggiungerlo fin lì e scuoterlo fin nelle ossa; un suono primordiale e feroce, che risvegliava paure sopite nelle carni degli uomini dai tempi in cui vivevano in case di paglia.
Un vero drago. Un drago puro.
Come trovarsi in bilico su una scogliera; come assistere ad una valanga prendere piede su una montagna all'orizzonte.
Mai aveva visto qualcosa di così sublime e terrificante al tempo stesso.

« ...A-Alexei...? »

Sentiva altre grida provenire dall'accampamento, poi. Quelle che erano indiscutibilmente le voci dei pelleverde.
Come una marcia, incoronavano il drago che stava eliminando gli ultimi Rooi Valke rimasti.
Dicevano:

« OORBLYFSEL...! »
« OORBLYFSEL...! »
« OORBLYFSEL...! »

« Reliquia. »

8tmxw

giorni dopo

« Venatir Verbre de Valte Ingi... »
« Venatrix Vertre da Balte Igni... »
« Venatrix Verber ta Balve Igni... »

Alexei fece un cenno di diniego, con un sorriso.
« Venatrix Verber de Valde Igni et Ferre Aer von Draconis. »

Raymond sbuffò sonoramente.
« Ma non lo ricorderò mai! Non posso chiamarti solamente Venatrix? »
« Per noi è irrispettoso; è come se mancasse il tempo per ricordare e pronunciare il nostro nome per intero. »
tempo che a voi non manca.
« E allora come dovrei chiamarti? »

Si sorrisero.
« Alexei dov Yuvon è perfetto. »
Alexei drago d'oro, nella sua lingua.

Era passato qualche giorno dall'attacco dei Rooi Valke al die res van die reisiger. Giorni passati nell'accostumarsi alla nuova realtà che li circondava.

Nazir era stato rinchiuso in cella: i pelleverde non utilizzavano prigioni, ma per lui si era convenuto che avrebbero potuto fare un'eccezione. L'uomo aveva lentamente iniziato a confessare i suoi peccati, dimostrando il codardo che si nascondeva sotto la sua pelle nera: era stato Razelan Vaash a volere tutti loro morti, e aveva ordinato anche quel secondo attacco nell'intento di procurarsi la testa di Alexei una volta per tutte, visto che Nazir aveva fallito la prima volta. Nessuno era riuscito a spiegarsi tuttavia perché Lord Vaash volesse con così tanto zelo la morte di uno sconosciuto, e Venatrix... no, Alexei, aveva confermato di non aver mai incontrato Razelan, né di aver mai combattuto contro i suoi uomini in passato. Nazir, ovviamente, non era a conoscenza delle motivazioni del suo datore di lavoro.

I Rooi Valke erano riusciti a trovare l'accampamento degli orchi grazie alla daga di vetro lunare che Nazir aveva donato a Raymond il giorno del combattimento contro i pelleverde. A quanto sembrava, quel materiale fungeva da vera e propria antenna: i Falchi Rossi avevano dunque capito immediatamente che alcuni uomini erano sopravvissuti, considerando che il kukri si era allontanato ma del cadavere di Raymond, sul campo di battaglia, non c'era nemmeno l'ombra. A quella notizia il Lancaster spezzò immediatamente il pugnale e lo nascose a chilometri di distanza dall'accampamento, per evitare qualsiasi altra ritorsione.

Alexei si era scoperto essere un drago, e non un drago qualsiasi. Venatrix Verber de Valde Igni et Ferre Aer von Draconis, che aveva combattuto contro Rainier nella battaglia del Crepuscolo e si era successivamente rifugiato nel deserto per fuggire alla sua famiglia - lauth - che ancora lo braccava. Alla vista della sua vera forma i chierici l'avevano immediatamente identificato come la reliquia che i pelleverde stavano cercando nel deserto dei see, e la nuova guida dell'intero popolo orchesco. Alexei non si oppose a queste supposizioni, sorridendo dell'incredibile venerazione che improvvisamente ciascun pelleverde aveva iniziato a dimostrare nei suoi confronti.

I pelleverde si erano ripresi velocemente. Avevano bruciato i loro morti e con l'inestinguibile voglia di vivere che li contraddistingueva avevano iniziato immediatamente a ricostruire l'accampamento, facendosi aiutare da chiunque fosse abbastanza in forze da dare una mano. Nonostante le perdite subite e i cari appena spirati, l'aver trovato la reliquia che stavano cercando sembrava aver dato a ciascuno di loro nuova linfa vitale. Non passava un singolo secondo senza che intonassero inni di gioia, e spesso appiccavano piccoli incendi per onorare il drago, facendosi maledire da chi ne rimaneva indirettamente danneggiato.

« e tu, Raymond, cosa farai? »

Il Lancaster si fermò a riflettere per qualche istante.
« Resterò qui ancora per un po'. Razelan Vaash è un uomo del regno, ed è mio dovere scoprire quali siano le sue brame. Con Nazir come ostaggio, finalmente ho un'arma da poter utilizzare contro di lui. »

Alexei gli sorrise compiacente.
« La tua fiamma si erge ora molto più in alto della mia, amico mio. Sono felice di vedere che ti sei ripreso. »
« L'hai detto tu, Alexei. » rispose allegro « Ciò che dipingiamo sopra ai nostri nomi serve a darci coraggio. »

« a farci sentire come Draghi. »



CITAZIONE
Esatto, quest terminata; spero che il colpo di scena finale vi sia piaciuto :asd:
Detto questo, le vostre ricompense: 1000G a ciascuno di voi, senza distinzioni. Per me, invece, solamente 500G secondo le nuove norme.
Poi, una proposta: non aprirò la prossima quest di sandstorm prima di almeno due settimane (giacché ho un esame il 19); tuttavia la campagna andrà avanti con il proseguo. Per ragioni puramente narrative mi piacerebbe chiedere a ciascuno di voi se volete proseguire nella storia: in questo modo vi garantirete la partecipazione ai capitoli successivi, in ogni caso. Naturalmente questo significa che sarete ingabbiati dal progetto per un bel po' di tempo (ci sono almeno altre due quest lunghe come questa) e se accettate vorrei che mi garantiste presenza assidua; sentitevi pure liberi di rifiutare, comunque.
Potete ovviamente scrivere un post conclusivo per la quest, da svolgersi "giorni dopo" la battaglia. Per qualsiasi azione particolare che vogliate compiere sul finale, possiamo accordarci in confronto.

Spero che la quest vi sia piaciuta :))

 
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J!mmy
view post Posted on 11/12/2012, 16:26




La pietra ruvida scivolò tra le dita, lasciando piccoli solchi sanguigni sui polpastrelli.
Quando all’inizio Raymond Lancaster aveva varcato la soglia della Sala dei Teschi con in mano la missiva della spedizione nel Deserto dei See, l’idea di poterne approfittare per stipulare un accordo coi pelleverde le era sembrata una mossa quanto mai furba. Aveva creduto che, finalmente, qualcuno dal sottosuolo avesse calato l’ascia di guerra per facilitarle l’esistenza, spianarle la strada nell’attuazione dei suoi piani. Per una volta, si era trovata di fronte a un’opportunità unica. Tramutare la peggiore minaccia del regno nella più valida risorsa dello stesso: al solo ripeterlo suonava ancora così eccitante...
E in parte, dopotutto, ci era anche riuscita.
I chierici avevano concesso lei il beneficio del dubbio e, consci della carica ricoperta dalla donna, avevano deciso di accettare la proposta in cambio del suo supporto nella ricerca della fantomatica reliquia. In quei giorni, però, quando il segnale tanto atteso si tramutò in carne color del bronzo e capelli scarlatti, Rekla non poté fare a meno di domandarsi cosa ne sarebbe stato di quel patto... o di lei. Sarebbe tornata a Fortescuro? Avrebbe rinunciato all’alleanza, infine?
Qualcosa di ben più subdolo e mendace si celava infatti in quel villaggio, qualcosa dalla potenza immane che aveva avuto l’audacia di colpire la Nera laddove niente e nessuno era mai riuscito a sopraggiungere: il cuore.
Mai avrebbe potuto prevederlo, mai avrebbe anche solo potuto immaginare che un giorno avrebbe scorto in quel popolo tanto rozzo e ignorante un tesoro dalle forme inestimabili, un’immensa creatura composta di molteplici minuscole anime che andava preservata e rispettata. No, Rekla Estgardel non poteva – non doveva – abbassarsi a provare simili emozioni. No!
Non era l’altruismo, in effetti, a sconvolgere il suo stomaco, né la pietà o la compassione, quanto l’amara consapevolezza che vi era qualcuno morto invano per salvarla, per difendere l’unico essere del pianeta che – probabilmente – vedeva nella morte l’unico mezzo per fuggire da una realtà oltremodo deforme e perversa.
Skjor era caduto, lo aveva fatto per lei, e ciò che più le doleva era che non avesse oramai modo alcuno per vomitargli in faccia la stupidità e l’inettitudine che aveva dimostrato nel farlo. Doveva lasciarla morire, doveva lasciare che Lucifero la prendesse e che Constantine abusasse di lei.
E invece era ancora lì, ancora in piedi, con un nuovo e più incombente peso sulla coscienza.

« Maar jou sal nie vergiet het tevergeefs » ruggì al vento, quasi stesse continuando i suoi pensieri.
Ignorava ancora perché proprio quell’orco avesse un effetto tanto disarmante nei suoi confronti, al punto da scompaginare il suo stesso istinto e farne lo scudo di una sciocca. Chi meglio della Regina dei Morti, d’altronde, poteva essere più abituata alla morte in sé?
Eppure si trovava lì, china su quella che doveva essere una tomba, un cumulo di rocce bianche con un bastone a cui era stato assicurato uno straccio con su dipinta un’immagine vagamente simile a un occhio. Neppure guardare e riguardare quel pezzo di stoffa sudicio poté servire a ricordarle da che parte avrebbe dovuto schierarsi.
Con dolcezza, quindi, mentre poco distante risa sguaiate di alcuni cuccioli esplodevano e si allontanavano in tutta fretta, Rekla fece scorrere la pietra sul palmo della mano collocandola esattamente sulla cima del tumulo. I suoi occhi, ora, trasmettevano nient’altro che amarezza e incommensurabile collera.
Razelan Vaash: sua era la colpa di tutto.
« Perché la Nera Regina paga sempre i propri debiti. »


CITAZIONE
Brevissimo post, giusto per dar senso alla conclusione della quest per Rekla.

 
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37 replies since 8/10/2012, 15:45   1402 views
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