Il ragazzino irruppe nella stanza come un lampo nel cielo sereno. L’atmosfera di sogno, il sottile filo che si era teso tra i presenti, si frantumò come un cristallo troppo fragile. La Rosa spalancò gli occhi, girandosi di scatto verso di lui. Pensò che fosse un nemico, un sicario mandato fin lì da qualche avversario, ma si rese conto ben presto di come fosse innocuo. Era fragile, su di lui c’era l’odore del terrore. Pareva temere che da un momento all’altro la fine si abbattesse sui quei muri fragili e sul regno del riso e del sole color dell’oro. Sebbene fosse solo una sciocchezza, probabilmente un delirio, la giovane sentì comunque un senso di freddo avvolgerle le tempie, un’ansia strisciante.
Più il locandiere, irritato, cercava di liberarsi dell’intruso, più lei ne era incuriosita. Le piaceva il suo aspetto delicato, i suoi capelli sottili, il fisico che pareva quello di un ragazzino inadatto alla guerra, la sua pelle diafana. Le piaceva il colore dei suoi occhi. Sollevò una mano, intimando all’uomo di fermarsi.
Nonostante non avesse alcuna autorità su di loro, nonostante non avesse nemmeno pagato, tutti si immobilizzarono. Chi voleva urlare brutalmente tacque, chi stava per unirsi al padrone nel gettare l’intruso fuori dalla porta interruppe il proprio gesto a mezz’aria. Come in un quadro, tutti furono colti impreparati dal suo gesto. Lei socchiuse gli occhi, prendendo tempo, soppesando quelle parole che non capiva, quei nomi che ignorava. Ascoltò il canto dei grilli e la voce senza suono dei propri incubi.
Sorrise, fingendo una sfrontatezza che non provava.
“Lord Falkemberg è più attivo che mai…”
Si picchiettò il mento con il dito indice, ritmicamente. Ad ogni movimento il suo sorriso diventava sempre più malizioso.
“Mi voglio augurare che questa notte qualcuno saprà eguagliarne le prodezze”.
Non rise, lo fecero gli altri al suo posto. Immediatamente l’atmosfera si distese, come se tutta la stanza fosse stata riscaldata. Si sentì nuovamente nel proprio elemento, come calata nell’acqua tiepida delle terme. Il padrone allentò la presa sul braccio del giovane, tornando al proprio posto. Lei però non abbassò la guardia: era ancora incuriosita da lui, ancora più di quanto non lo fosse dal suo messaggio.
Gli tese una mano, il polso e l’avambraccio scoperti, seducenti. Gli rivolse uno sguardo invitante, ricacciando indietro le domande che avrebbe voluto porgli.
“Siediti al mio fianco, ragazzo. Qual è il tuo nome?”
Tese il calice vuoto all’uomo alle proprie spalle, senza mai perdere il contatto visivo con il nuovo arrivato. Credeva sarebbe stata una notte come tutte le altre, con piccoli uomini uguali a tutti gli altri. E invece ora aveva trovato una preda nuova, esotica, mai vista prima. Sentiva l’aspettativa stuzzicarle la gola, invitarla a parlare ancora, a stringerlo contro di sé e chiuderlo nella trappola. Avrebbe fatto con calma, gesto dopo gesto. Si sarebbe goduta ogni singola parola che lui avesse detto, ogni singola espressione del suo viso, ogni suo minimo gesto.
Gli sorrise, dolcemente, sperando che lui si fidasse di lei abbastanza a lungo.