Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Sandstorm; getye

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view post Posted on 21/5/2013, 15:57
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Maestro
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C'era Caino, quando tutto cambiò.
C'era il mondo attorno a lui; c'era la guerra, dispiegata tra le fibre delle creature che lo circondavano ed un sentiero irto che si era ormai perduto tra le frange di quell'immenso teatro di morte. La battaglia aveva divorato tutto, finanche quell'unico accolito che si era chiamato a se, come testimone della sua potenza o del suo impietoso e disgraziato smarrimento.
Anche quando tutto cambiò lui era lì. Ancora fermo: immobile. Poche volte nel sua vita era rimasto perplesso, sorpreso dagli eventi al punto tale da non saper come reagirvi.
Quell'attimo fu, in qualche modo, incarnazione suprema di tutti i momenti di stupore che in passato non aveva vissuto. Li scontò tutti, il tetro Caino, nell'attimo in cui vide i Pelleverde impazzire: voltarsi contro i propri compagni umani ed impugnare le asce al suono gutturale di un richiamo silente, che solo il Corvo parve udire come estraneo ed avverso.
Era un battito: l'ennesimo battito. Lo stesso rumore profondo, ritmico, che l'aveva chiuso nei propri sogni qualche attimo prima. Dipartiva dal corpo immobile dell'uomo sul trono e si rifrangeva su quel ghigno che gli era parso di vedere, sussurrato nell'ombra di un riverbero appena accennato. Si diramava dal suo cuore come un reticolo immenso di impercettibili eco ed inondava la sua mente al pari di una gigantesca cassa armonica.
E quello stesso battito lo sentì crescere nei petti di ciascuna di quelle creature: un movimento simultaneo che tese i muscoli dei volti con gesti compìti di stizza ed ira. Una gola si schiarì ed un pelleverde voltò il capo, quasi per udirne la foce. Poi, incrociò lo sguardo di un soldato al suo fianco e decise - in quell'attimo eterno - che non si sarebbe più servito della sua spada, ma della sua anima. Per sacrificarla a qualcuno più potente: per omaggiare qualcuno tanto grande da assorbire in se le speranze di un intero esercito.
E la portata di quell'evento assunse i contorni di una trappola troppo tardi.
Caino se ne accorse; ma era troppo tardi.

« ...siamo... » esitò, afferrandosi la mano sinistra con l'altra, per evitare che tremasse.
« Sono... stato... ingannato ? »

Vide il panico negli occhi dei propri simili. Uomini, coraggiosi e forti, si dipinsero di disperazione in pochi attimi, perdendo la certezza avuta fino a poco tempo prima. L'appoggio di un solidale accordo, che li aveva resi forti, svanì nel preciso istante in cui compresero di esser stati soltanto carne da macello; virtù blasfema di un sacrificio portato da un ordito complotto di cui mai avevano avuto cognizione o consapevolezza. Macchinati e mossi, come pedine al soldo di un vago lenone che ne aveva resi schiavi di una gloria non loro. E non il soldo, né l'onore avrebbe fatto menzione nella storia del loro sacrificio, ma esclusivamente la scevra fantasia di esser ricordati come vittime di una guerra di cui - in qualche modo - erano stati colpevoli.
Menzione di nulla. Nessuna paura, nessun canto ne avrebbe intonato la menzogna intrinseca.
Soltanto la condanna per il disvalore di aver reso quella guerra ciò che era.
Ed il caos avrebbe consumato finanche le loro memorie.

E Caino fissò il suo stesso terrore nei loro occhi vacui; lo coprì di nuovo con la sua maschera, cosicché nessuno avrebbe potuto percepirlo.
Nemmeno lui stesso.

« Aiuto..! » un urlo strozzato, poco distante, attirò lo sguardo del Corvo.
« ...aiutatemi!!! »

Vide un uomo imbevuto di sangue. L'armatura gli era stata strappata dal petto ed ora gli pendeva dalle caviglie come mera zavorra abbandonata al vento. Aveva un braccio tagliato in più punti che scendeva lungo il corpo, immobile e senza vita. I capelli erano umidi, bagnati ed attaccati al volto contorto per la paura, mentre nell'altra mano stringeva uno spadino poco più corto del suo braccio. Strisciava nel terreno, scomparendo a tratti tra i grumi di sabbia e polvere che lo divoravano lentamente. Alle sue spalle si muoveva un orco di ragguardevoli dimensioni: agitava la mazza al ritmo dei suoi passi. Le vibrazioni di quella marcia aumentavano la disperazione del soldato, che scorse la sua morte nell'ombra obliqua del suo aguzzino. L'uomo fissò la maschera di Caino e rimase senza fiato per un secondo, il tanto che gli bastò per soppesare l'opportunità di morire per mano di un mostro dalla pelle verde o di uno dal volto bianco.
Quando decise, indicò il Corvo con decisione e lo chiamò a gran voce.
« Aiuto! » disse, disperato « ...aiutami; ti prego! »

A Caino parve di fissare Salhzar, nuovamente vivo ed ancora in tempo per essere salvato. Dunque si rivoltò contro la sua decisione di poc'anzi e quasi fu risucchiato dal cordoglio, impietoso, per ciò che aveva fatto ed ora poteva riparare. Eppure, mentre rifletteva, altri orchi avanzavano verso la sua posizione. Lo fissò perplesso, a tratti affranto.
Infine, allungò la mano quasi d'istinto, per sollevarsi dal cuore la colpa di non averci provato.
Poi, gli parlò dall'animo con una voce che gli mancava: mi dispiace.
E si dispiaceva nella pelle e nelle mani, tremando ancor di più al pensiero della propria impotenza innanzi alla pietà altrui.
« Non posso » disse piano « Questa... debolezza non può - non deve appartenermi »

La sua mano sfiorò quasi le dita di lui, mentre scompariva dalla luce e dalla guerra.
Un bozzolo di luce ne disegnò i contorni con un tratto patinato di luce, mentre il suo sguardo volgeva in qualunque punto in cui avrebbe potuto districarsi da quella matassa informe di colpe e patimenti. Non una fuga, bensì una presa di posizione tra se e la sua vita.
Sarebbe comparso ovunque fosse stato necessario per la propria sopravvivenza; sarebbe comparso ovunque sarebbe servito a proseguire la sua ricerca.
Ed a dimenticare le sue colpe, nella frustrazione ansante di un grumo di saliva che scompare lungo la sua gola.
Che non lo si chiami codardo: Caino è padrone del proprio destino.
Ed il suo destino non appartiene agli uomini; o al martirio degli stessi.
Il suo destino appartiene solo a lui.
A Caino.



CS: 6 (2 alla Potenza Fisica; 2 alla Velocità; 2 alla Intelligenza)
Energia: 56% - 13 = 43%
Status fisico/mentale: lacerazioni in più parti del corpo (danno totale alto)/illeso

Passive:
Lo Strumento: Passiva razziale umana, non sviene sotto il 10%, ma si stanca comunque sotto il 20%; Passiva di Primo Livello del dominio Vampirismo, le mani contano come armi naturali, essendo la pelle dura come il ferro e le unghie taglienti come lame, al pari di artigli di stessa fattura; Passiva di Secondo Livello del dominio Vampirismo, benché disturbato dalla luce intensa, i suoi occhi gli permettono di vedere attraverso il buio ed attraverso qualunque ostacolo atto ad ostacolargli la visuale; Passiva di Terzo Livello del dominio Vampirismo, Caino può essere ucciso soltanto qualora gli vengano strappati gli occhi, in quanto non avrebbe più modo di nutrirsi.
Il Potere Passiva Personale (1/10), Caino è in grado di assorbire l'anima dei suoi nemici gradualmente, tanto che la sua semplice vicinanza indurrà nella vittima un'afflizione fisica crescente che gli causerà un senso di stanchezza e rallentamento dei riflessi sempre maggiore al prolungarsi della vicinanza stessa; Passiva Personale (2/10), ogni qual volta Caino contrasta una tecnica avversaria di qualunque tipo ed in qualunque modo, parandone una di natura fisica, annullando una magica o evitando una psionica, guadagna 2 CS alla Potenza Fisica temporanei, fino alla fine del turno, non cumulabili; Bracciale dell'Auspex, Auspex passivo che permette a Caino di individuare qualunque creatura intorno a se.
Il Tempio Passiva personale (5/10), Caino è proprietario dell'Abbazia di Acque Perdute e, come tale, si considera a conoscenza di tutti i tomi in essa contenuti, risultando - in gdr - erudito su gran parte della letteratura, della scienza e della storia contemporanea;
Sii solamente una voce e tralascia i tuoi desideri quando indossa la maschera Caino sarà per ogni suo interlocutore un semplice Corvo, non potendo nessuno riconoscerlo come Ludwig Lestat Lucavi, se non lui stesso (Abilità passiva);
Racconta soltanto la verità e rifuggi gli inganni Caino è in grado di riconoscere le bugie quando indossa la maschera, pur senza comprenderne i dettagli ma la sola esistenza;

Attive:

CITAZIONE
Il Controllo. In particolare, al fedele basterà invocare il potere del dio e spendere un consumo Alto per evocarne la luccicante benevolenza: questa si manifesterà sotto forma di una circonferenza ripiena di luce bianca brillante, entro la quale solo il fedele potrà camminare. Nello stesso turno, quindi, egli ricomparirà in un altro punto dello spazio a sua discrezione, apparendo da una circonferenza di pari natura. Tale azione, se usata per difendersi, è da considerarsi una difesa assoluta.

Riassunto
Caino sostanzialmente usa "Balzo dimensionale" per portarsi in un punto esterno al campo di battaglia, lontano dal cuore dove è stato fino ad ora. Indossa nuovamente la maschera, quindi le passive di essa son di nuovo in funzione.
 
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view post Posted on 21/5/2013, 21:19
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morpho
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Sandstorm
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III - IV




L'ennesima rotazione per deviare il colpo, seguita dall'affondo ancora una volta letale. Lo schieramento aveva ormai ritrovato quella motivazione mancata, prima coperta da paura, timore ed egocentrismo. Combattevano indomabili, dopo il boato che successe la fine dei primi Golem, poi inquadrati come semplici nemici, solo di dimensioni maggiori.
Deviò fendenti imprecisi, evitando di fronteggiare qualsiasi scellerato gli venisse in contro, non curante della propria vita, come immateriale per quegli stessi sciamani.

Il passo frettoloso diretto verso il gruppo centrale, dal quale si ritrovò ancora distante tra un colpo di spada ed un altro. La punta dello stivale di scuro cuoio conciato smuoveva piccole onde di sabbia ad ogni alzata, impercettibili però alla tempesta che imperversava costante. Quando il guerriero non recava molta attenzione, la rigida suola annaspava cercando un suolo abbastanza solido per reggere l'andatura a cui era costretta.

Sentì un colpo. tum

Era forte, come lontano però. Sembrò l'unico a sentirlo, nulla mutò realmente sul campo di battaglia, e anch'egli cercò di rimanere concentrato sull'azione, nonostante il timore di quel suono, superiore ad un semplice rumore, era quasi una sensazione reale, un ruggito del suo cuore trasmesso all'esterno, involontariamente.

Avvertì un altro battito. Più potente. t u m

Quasi uno scoordinato fischio gli vibrò nel ventre e nelle orecchie, silenzio. La bufera che avvolgeva i veloci guerrieri volteggianti insieme alla polvere che alzava pareva quasi una finzione, senza il secco e gutturale ululato che faceva risuonare. Come un corno di battaglia, costante, continuo. Concepì che tale boato non potesse provenire dalla sua persona, e nemmeno da altri in quella zona. Uno Shadar-kai si voltò lentamente, con gli occhi a fessura; vide la sua distrazione.

La percepì dal profondo, l'ennesima pulsazione. T U M
Anche se flebile, venne quasi urtato dal penetrante suono che rieccheggiava dentro a sé, muto. Si fermò immobile, non riuscendo più a reagire, sopraffatto da un'ansia sconosciuta, inconcepibile, senza motivo di esistere. Vedeva le tenebre che tornavano ad abbracciare il deserto, il suo sguardo debole, che perdeva forma dentro a quel vuoto. Una scintilla cremisi, velata.

Soffrì. T U M
Forme apparivano sfocate in quel buio, come illuminate da una triste candela, che lentamente diveniva un ardente falò, brillante nel nero della visione, reale, percettibile.
Un usurato trono si costruiva davanti al suo sguardo perso, le assi che andavano a formare antiche decorazioni, visibilmente datate. Ed un uomo, su di esso. Il volto celato in un mantello d'ombra, silenzio. Tremolò per meno di un istante, un singolo attimo impercettibile, e tornò ad essere oscurità.

Un drappo rossastro alla prima vista, sofferente di luce nuova. T U M
E cessò. Tutto parve come prima, come se non fosse cambiato nulla. I suoni gli ridondarono nel cranio, prima che tornò ad essere abituato.
Lo strappo netto al ventre, un abbraccio con le tinte del rosso sangue. Cadde a terra, la destra a contatto con la lacerazione.
Una smorfia invase il suo viso quando levò la mano, cosparsa di linfa vitale. L'appoggiò a terra, i granelli sabbiosi come piccoli aghi sul suo palmo. Lo sciamano, immobile come una statua lo squadrava quasi divertito.

Le pupille sofferenti di Leona osservavano con disprezzo l'altro, pervaso da chissà quali lugubri pensieri. Non privo d'affanno s'alzò con l'ausilio di entrambe le braccia, un colpo di tosse trasportò chiazze rossastre sulla distesa granulosa.

Il respiro affannato del ferito e quello chiuso, quasi lontano, del guerriero desertico si alternavano componendo melodie frastagliate ed inquiete. L'ennesimo sputo ferroso venne poco prima dell'alzata della mancina resa setosa dal tessuto che la rivestiva. Brina eterea prendeva consistenza nell'aria circostante, fino a divenire realmente tangibile formando un'asta cristallina, una lancia dalle decorazioni più strane che facevano riaffiorare differenti ricordi. Impugnata saldamente, la sofferenza che deturpava il giovane volto dello spadaccino mutò in una smorfia di già certa vittoria, come se nella sua mano stesse reggendo l'esito dello scontro stesso. Sabbia rimasta prigioniera della morsa fredda formava piccole scintille dorate, rendendo l'arma ancora più distante dalla realtà.

Scagliò rapidamente, in risposta allo scatto dell'avversario, ritrovatosi trapassato dalla gelida saetta. Annichilì a terra, per poi ritrovarsi decapitato, lo sguardo sempre fisso, e la stessa smorfia compiaciuta, segno del poco legame con la vita. Calciò via quello che rimaneva del capo e cogliendo una striscia della lurida vestaglia si avvolse le ferita nei pressi del ventre, innervosito alzò lo sguardo e rimase confuso, per l'ennesima volta. Leggeva sofferenza in quegli istanti, dietro a quei movimenti. La fatica iniziava a posarglisi sulle già pesanti spalle, uno sbuffo gli invase la gola.

Come gli abitanti della capitale ironizzavano ferocemente, l'esercito di orchi, buona parte dell'esercito sia per quantità che per qualità voltò le spalle ai propri compagni, per ferirli con la potenza massiccia che li contraddistingueva. Forse senza ragione?
Urla di dolore si univano a gemiti di spavento, risate cupe della fazione nemica raggelavano la già triste sinfonia. Il vento trasportava e rimescolava i suoni insieme con i sentimenti, nascosti da polvere e sabbia. Tra gli altri rumori, si distingueva con fatica il secco rumore di fratture, molteplici, consecutive. Fratture di ossa, morivano infrante da quei mostri.

Il lamento del vento accompagnava il movimento fluido dei veli con cui molti erano vestiti, l'ambiente era raggelato, ancora paura e incertezza tornavano ad essere alimentate, come fiamme da quelle stesse folate. Persi nell'ignoto guerrieri sceglievano se ritrovarsi senza scheletro, o se ferire a morte quelli con cui fino a poco prima si erano fatti coraggio. L'ignoto. L'ignoto spaventava. L'ignoto volteggiava come una piuma, agile nella bufera, schivava i fendenti.

Energia: 28% (40 - 12)
Stato fisico: Ferita da taglio alla parte sinistra del bacino [Basso], Ustione da elettricità alla spalla sinistra (frontale) [Basso], Lievi graffi/tagli [Danno fisico], Lacerazione non molto profonda sopra il bacino e in fianco al ventre [Medio].
Stato mentale: Illeso.
Capacità Straordinarie: 1CS Destrezza
Bianca

Abilità Passive:
CITAZIONE
Titanio ♦ Il legame instaurato da Leona con la sua arma principale, Helen, è giunto a livelli tali da riuscire a proteggere la stessa, infatti, essa acquista l'indistruttibilità, segno che il metallo che la compone non è più lo stesso, ma che è cresciuto con il loro rapporto.
[Passiva Dominio Incantaspade I: Passiva]

Mente di ghiaccio ♦ Leona è sicuro di non avere soltanto sangue umano dentro al suo corpo, e di questo riesce a fare una forza, infatti, spesso rinnegato, è riuscito a fare di questo una forza; egli infatti è infatti parzialmente immune ad influenze psicologiche.
[Razziale Mezzodemone: Passiva]

Scheggia di ghiaccio ♦ La tecnica ha natura magica, elemento ghiaccio. Leona è in grado di far materializzare nelle sue mani una lancia, o una scheggia, puramente costituita da rigido ghiaccio, che subito scaglierà a gran velocità contro l'avversario. La tecnica ha potenza media e infligge danni medi alla vittima.
[Pergamena Iniziale Guerriero "Scheggia di ghiaccio": Medio]
[/QUOTE]
Riassunto: Mi muovo nuovamente verso il centro, visto che mi ero allontanato durante gli scontri. Sento i battiti per poi diventare parzialmente sordo e poi cieco, uno sciamano intanto si accorge di me, e come ho cercato di far capire da Una scintilla cremisi, velata. mi viene in contro attaccandomi. Subisco il colpo e lo spiazzo durante la sua avanzata veloce con "Scheggia di ghiaccio" - qui finisce il primo post -. Poi si limita ad osservare - sì, ancora - ciò che gli accade intorno, quasi sconsolato.
Note: Non mi sono dilungato troppo nella seconda parte proprio per l'unificazione del primo post, che chiedo ancora scusa per non aver potuto postare. Spero sia tutto chiaro, e come sempre, di non aver fatto nulla di eccessivamente scorretto/stupido. Forse la seconda parte l'ho tagliata troppo, o forse ho schivato proprio l'idea del post, ma ho descritto abbastanza chiaramente -a mio parere- e mi piace come ho reso l'idea del mio pg, almeno per quello che sono riuscito :sisi:





Edited by Alan ~ - 22/5/2013, 15:05
 
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view post Posted on 21/5/2013, 22:21
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La battaglia infuriava ancora, la morte abbracciava le vite di amici e nemici allo stesso modo, trascinandoli con sé. Poteva sentire le grida, come una marea, infrangersi contro le orecchie che fischiavano facendole girare la testa. Un rumore insistente, capace di stordirla. Sapeva che le spade stavano cozzando, che a terra non c’erano solo pietre ma anche corpi. Che prima o poi avrebbe inciampato su uno di essi. Eppure le pareva di essere in una bolla, sospesa nel vuoto, solo lei e quella creatura che aveva ferito probabilmente a morte. Levava verso di lei il braccio monco quasi volesse richiamarla indietro. C’era sempre meno slancio nel suo gesto, come se fosse rassegnato, mentre i passi di lei erano sempre più rapidi, al ritmo con l’emozione che le serrava lo stomaco.
C’era qualcosa che non andava in tutta quella battaglia, incubo e realtà si erano fusi troppe volte. Avrebbe solo voluto crollare in ginocchio e chiudere gli occhi, lasciando che mani amiche la sorreggessero. Avrebbe voluto essere avvolta dal buio profumato delle sue lenzuola di seta, dal tepore di un bagno caldo, perfino dalla voce sommessa dei suoi incubi.
Ti prego, fallo finire. Ti prego.
Urtò contro qualcuno, un corpo molto più alto di lei. Si girò a fronteggiare il pelleverde con un mezzo sorriso sulle braccia, sentendo le mani forti di lui sulle spalle. Non le avrebbe fatto del male, perché la loro gente la stimava. La chiamavano sposa del fuoco. Ora l’avrebbero portata fuori da quella bolgia, consentendole di riordinare le idee. Un improvviso senso di sollievo le consentì di trarre un respiro più ampio degli altri.
Non si accorse neppure di quanto la presa sul suo corpo fosse salda, di come lui non avesse proferito parola. Solo quando lo guardò negli occhi un brivido gelido le scivolò lungo la schiena. Non c’era uno sguardo, ma solo una pozza nera, profonda quanto la notte, che pareva ingoiare tetra tutta quanta la consapevolezza che mai avrebbe potuto abitare su quel viso. Si scordò del sorriso, delle parole che avrebbe voluto dire, come pietrificata. Aveva già visto occhi come quello eppure non riusciva a spiegarselo. Socchiuse gli occhi, mentre cercava freneticamente una risposta. I suoi pensieri arrancavano, come imprigionati nella melassa di una rinnovata paura. Desiderò diventare piccola, tanto da essere invisibile in quel grande palmo calloso e poter volare via. Invece sentiva le dita premerle contro la carne, feroci quanto una morsa d’acciaio.
Sollevò il braccio armato, decisa a porre fine a qualsiasi indecisione, ma l’altra mano dell’orco la afferrò per il polso, stringendo tanto forte da costringerla ad aprire la mano. Il ventaglio si dissolse, evanescente quanto la voce con cui avrebbe voluto gridare e che si ridusse a un singulto rauco. La sollevò da terra, continuando a guardarla con quel viso privo di espressione. Ad un certo punto una smorfia di compiacimento parve fare capolino, ma solo per pochi secondi. Quelli necessari ad estrarre la pesante spada e prepararsi a colpire.
Non poteva finire così, non veramente, non in quel modo tanto strano da apparire ironico. Come in una tragedia da quattro soldi, ecco la Rosa strappata dal terreno e il bruto pronto a recidere il suo gambo sinuoso. Si contorse, cercando di forzare quella stretta erculea. I suoi movimenti erano sconnessi, privi della consueta grazia, simili a quelli di un burattino maneggiato da un bambino capriccioso. Era spaventata, arrabbiata, sentiva la gola stringersi fin quasi al pianto. Non sarebbe morta così, non lei. Fece appello a tutte le sue energie, esplodendogli tra le mani come una palla di fuoco. I suoi capelli erano una fiamma, la sua pelle era la superficie rovente della cenere, il suo sguardo non aveva più colore. Rovinò a terra, rialzandosi in tempo per batterlo in velocità e scivolargli tra le gambe.



....



Si tenne il fianco con la mano, stringendo i denti e cercando di ignorare il dolore mentre gli sferrava un calcio dietro il ginocchio destro. Scarpette rosse, scarpette maledette, passarono attraverso la carne e i tessuti, chirurgiche, costringendolo a puntellarsi con la spada per non cadere a terra. Grugnì, ma non parve davvero interessarsi del dolore. Girò invece la testa, quel muso animale, indifferente quanto quello dei golem di poco prima. Gli bastava un braccio per muovere la spada a semicerchio verso di lei, nel tentativo di tagliarla in due. Si gettò all’indietro, sentendo la lama scivolarle sotto il ginocchio, rischiando quasi di privarla di un arto. Fece qualche passo indietro, sentendo mancare l’appoggio, finendo seduta per terra, la sabbia che le vorticava attorno. Ora erano pari, ma lui era più grosso, più resistente, più potente. Era armato. E lentamente stava muovendosi verso di lei, con un passo claudicante che lo rendeva ancora più orrendo.
Non avrebbe potuto sorprenderlo ancora. Era inerme davanti a lui, sola. Si strinse le braccia attorno al petto. Non voleva essere sola, voleva che qualcuno la aiutasse. Avrebbe voluto una persona, qualsiasi persona fosse al suo fianco a stringerle la mano mentre tentava di sfuggire all’inevitabile disfatta.
Cercò di strisciare all’indietro. Ma era più lenta di lui, non aveva quasi più fiato, presto l’avrebbe raggiunta. O forse, come stava facendo ora, avrebbe semplicemente levato la spada e l’avrebbe abbattuta da lontano. Fissò la punta della lama, come ipnotizzata, illudendosi che forse avrebbe potuto rotolare di lato, che ce l’avrebbe fatta.
La spada calò. Un’altra spada si frappose. Un lampo d’oro. Lo chiamavano Lancelot, i capelli color dell’oro, quel viso angelico che pareva incapace di mentire. La sua spada era imponente, come quella degli antichi cavalieri, la sua armatura scintillante perfino nella tempesta di sabbia. Deviò il colpo, impedendo che la uccidesse. Nello stesso tempo una lancia si conficcava nel polso ustionato del mostro. Lo aveva colto di sorpresa, trafiggendolo da parte a parte con la propria punta brillante. Mordred, la chioma corvina come un corvo, legata in una morbida coda, impugnava saldamente la propria picca d’argento, un sorriso sarcastico sulle labbra.
Il pelleverde ruggì, questa volta infastidito, mosse un braccio scagliando di lato il cavaliere armato di lancia. Si girò verso il paladino e cercò di ferirlo, di colpirlo, mentre entrambi gli danzavano agili attorno, infliggendogli ripetute ferite. Con un ultimo, imponente sforzo, il nemico infranse la lama d’oro e parte dell’armatura. Tante piccole schegge scintillanti si rovesciarono sul terreno. Ma già era arrivato il colpo di grazia, che gli trapassava l’occhio sano da parte a parte, lasciandolo rantolare solo per qualche secondo prima che tutto tornasse immobile.
Mentre il suo compagno svaniva in una scia di sole e sangue, Mordred la sollevò tra le braccia, portandola con sé. Gli appoggiò la testa su una spalla, cercando di ricordare dove lo avesse già visto, chi le avesse insegnato il suo nome. Si sentiva al sicuro, così stanca, così spossata. Ma durò solo pochi passi, prima che si dissolvesse in una ventata argentea, sempre quel sorriso sulle labbra, ingoiato dal tacco delle scarpette rosse. La lasciò su un piccolo dosso sferzato dal vento, il viso livido, la consapevolezza che non era accaduto solo a lei: quell'incubo, quella degenerazione era ovunque, virulenta. Li poteva vedere: combattevano l'uno contro l'altro, spaventati, chiedendo spiegazioni, gridando nel tentativo di ottenere pietà. Desiderò piangere, ma i suoi occhi erano asciutti. Desiderò urlare per avvertirli, ma la sua gola era arsa come la sabbia. Sulla pelle ferita sentiva la sabbia bollente, la testa le pesava sul collo, ciondolante e come piena di enormi macigni. Desiderò poter sognare, e invece gridò, sperando di avvertire qualcuno.



"Guardatevi le spalle. Attenti! E' successo...qualcosa..."



La sua voce si disperse rauca. Sperò vivamente che qualcuno potesse udirla, o forse potesse vederla e leggere la verità sulle sue labbra.




Equipaggiamento: Bloody Maries,(indossate); Leviatano (evocato)
Consumi: Critico x1; Alto x2
Energia Residua [100% - (29%) - (13% + 13%)] = 45%
*Anello del potere + Risparmio del Dominio
Danni riportati: Qualche leggera contusione per la caduta; Danno Medio al fianco; Danno Basso al viso; Contusioni su tutto il corpo; ferita di una certa entità alla gamba

Azioni: Nel momento in cui accadono gli eventi Dalys si imbatte in un pelleverde che ho considerato di un livello energetico inferiore e che tenta di sopraffarla. Combatte contro di lui utilizzando la propria personale Variabile di fuoco e un'evocazione a livello Alto delle scarpette (che ho riadattato per il nuovo regolamento). Vista la probabile superiorità di CS dell'orco, una delle evocazioni viene distrutta in combattimento e solo l'altra riesce a sopravvivere e ad avere la meglio aggiungendo i danni di questa tecnica a quella castata in precedenza. Dopo di che, abbandonata su un dosso, cerca di avvisare i compagni di quello che accade.

Passive in utilizzo




Autocontrollo ~ Al 10% Dalys non sviene

Ammaliamento ~ Risparmio energetico dall'1% al 5% per le tecniche illusorie e aumento di un livello dei loro effetti

Intimità ~ Abilità passiva che induce fascino nell'osservatore

Dominio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie

Equilibrio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie

Derviscio ~ finchè danza con l'arma in mano non può subire colpi fisici



Attive Utilizzate




Passione_ Praticamente, con una minima concentrazione il corpo di Dalys si coprirà di fiamme che non potranno in alcun modo scottarla e i suoi capelli arderanno come il fuoco, i suoi occhi diventeranno del colore rossastro delle braci. La ragazza potrà controllare le fiamme modificando la loro estensione attorno al proprio corpo e in tal misura il loro calore, in modo da infliggere danni bassi, medi, alti o critici al contatto in base all'energia spesa per evocare le fiamme stesse (l'estensione delle fiamme varia da un livello di pochi centimetri superficiale alla pelle ad uno spessore di due metri attorno al corpo).
Questa tecnica può essere usata solo in attacco. [Variabile --> Usata ad Alto]

Comunque bella; abbracciala, abbracciali, abbracciati; una vita viva ~Spendendo un consumo Alto il possessore del lascito di Viviana potrà attingere al suo lato materno - strano ma vero - ed evocare due cavalieri prestanti, in armatura completa - di piastre e scintillante - che la difenderanno dai nemici e li sconfiggeranno per lei. Tali cavalieri rimarranno sul campo per due turni compreso quello d'evocazione, non andranno trattati autoconclusivamente - sarà Dalys nel suo turno a decidere quanti danni hanno subito e come. I due cavalieri saranno in grado di parlare e avranno un carattere ben distinto (generalmente onorevole, pacato e intelligente) e saranno quasi totalmente soggiati a Dalys - anche se questi sono dettagli che possono essere modificati dall'evocatrice stessa. [Nel regolamento odierno ho trasposto in un'evocazione da 4 CS in forma di due cavalieri, Lancelot e Mordred]

 
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J!mmy
view post Posted on 22/5/2013, 14:32




Lo chiamavano Duevite, ma di vite gliene erano state strappate ben più di due.
La prima volta era accaduto quando aveva appena compiuto sedici anni. Suo padre, che l’inferno l’abbia in gloria, aveva insistito perché venisse istruito alla guerra, e così era stato fatto. Giorno dopo giorno, luna dopo luna, Nicholas aveva versato sangue e sudore sull’acciottolato circondato dalle quattro fatiscenti palizzate della blasonata magione di Kroan, una fortezza attorniata da una fama di gran lunga superiore alla verità di ciò che all’interno si celava.
Aveva odiato quella struttura, così simile a una prigione che aveva desiderato di fuggire lontano ogni secondo della propria infanzia, immaginandosi a cavalcare per lande selvagge, proiettato sul tramonto come il personaggio di un caldo e meraviglioso dipinto. Benché i pasti avessero assunto di lì a breve il sapore dell’olio della tempera e il calore gli si fosse avvinghiato alla collottola come una morsa di soffocante terrore, però, quell’immagine non poté che rimanere per lunghi anni quel che era sempre stata dal principio: un frutto della sua immaginazione.

« Più forte! Colpisci più forte! » gli urlò il maestro d’armi.
Sia lui che Nicholas si trovavano nel bel mezzo del cortile. L’uomo, prestante e nerboruto come i guerrieri di cui si sentiva cantare solamente nelle storie dei bardi, compensava con la propria sapienza ciò che la dea zelena gli aveva impedito di possedere: sul suo volto, scarno e rugoso, indossava ogni sorta di cicatrice possibile, mementi e fonti al contempo della sua impareggiabile abilità di combattimento; le spade che lo avevano ferito, aveva assodato un Nicholas forse troppo acerbo, dovevano averlo penetrato davvero nel profondo, perché si diceva che da allora il suo spirito fosse divenuto solido e indistruttibile come acciaio di Lyor.
Nick non aveva potuto fare a meno di domandarsi se anche lui avrebbe dovuto vantare una simile quantità di sfregi e rinunciare al bell’aspetto prima di potersi ritenere un vero guerriero.
« Per voda, alza quella fottuta guardia! »
« Non vorrai mica dare vita facile al tuo avversario, o si? »
Il maestro aveva mulinato una nodosa spada di legno e, prima che lui avesse anche solo potuto pensare di scansare il colpo, lo aveva già percosso sul polso che impugnava la sua, di arma, che cadde a terra in un tonfo.
« Santo cielo, ragazzo, quante volte ti ho detto di non allentare la presa? » aveva continuato a inveire, sbuffando.
No, vista da quell’angolazione e da quel tempo, la sua esistenza gli era sembrata appena paragonabile agli ammassi di sterco delle vacche delle miriadi di stalle che costellavano ogni anfratto di Kroan. L’odore di merda era sempre stato così intenso che a chiudere le palpebre poteva percepirne l’aroma acre persino adesso, lì, nella polverosa aria del Deserto dei See.
“Fottiti” avrebbe voluto urlare in faccia al padre. Bastardo com’era, meritava ai suoi occhi la più atroce delle torture; ma, evidentemente, il dio usoda aveva deciso che fosse il caso di rinviare un simile piacere, perché solo alcuni giorni dopo un messo fece capolino in città.

« Partirai con il grosso della cavalleria, domattina » gli aveva comunicato il lord suo padre un paio d'ore più tardi « E' deciso. »
Negli occhi di lui, benché piccoli e stretti fino a sembrare fessure intarsiate fra spesse sopracciglia grigie, poté quasi scorgere un debole barlume di compiacimento. A leggere le parole della missiva, infatti, un certo lord Janos intendeva informarli che i barbari – da secoli acerrimi nemici della sua famiglia – avevano già conquistato la quasi totalità delle regioni nord-occidentali dell’Isola dell’Acqua, e che le loro fila s’ingrossavano incessantemente di mercenari e tagliagole del più rancido dei lignaggi. Quelle pochissime righe, vergate con urgenza e imprecisione, avevano avuto nell’animo di suo padre l’effetto di un lampo a ciel sereno. Aveva sottovaluto per troppo a lungo il pericolo, e adesso che proprio quel pericolo era venuto a sbattergli sul muso stava mandando il suo stesso figlio a morire per lui sul guado di un fiume che a malapena riusciva a trattenere un’orda di selvaggi assetati di sangue e gli dei solo sapevano di che altro, come se quella decisione potesse in qualche maniera giovare ad alleviare la gravità del suo tremendo errore.
E, ciò che più aveva spaventato Nicholas, era stato che ne fosse pienamente consapevole.

Le sorti della guerra, come previsto, andarono allo sfacelo. Il giovane lord Varry non era stato sufficientemente preparato per una tale responsabilità. Dopo aver perso il guado, dunque - lo ricordava ancora come se non possedesse altra memoria all’infuori di quella - l’esercito aveva cominciato ad arretrare e a disperdersi, cercando rifugio nella fitta boscaglia che separava il Lungo Corso dai domini di Kroan. Una volta superata quella selva, per la sua famiglia non vi sarebbe stata più alcuna speranza.
Aveva provato ad urlare, quindi, ad incitare gli uomini a ricomporre i ranghi e a resistere, ancora, ancora, ancora, ostacolando la loro fuga anche fisicamente se necessario, ma quelle grida in pieno scontro, con teste ferrate che sciamavano dappertutto sul campo come in preda a un terribile incendio, si confusero al ragliare dei soldati, sortendo l’unico effetto di attirare su di sé l’attenzione dei barbari. Prim’ancora di raggiungere le briglie della sua cavalla, il cuore che pulsava panico e disperazione, quelle bestie gli furono addosso come avvoltoi e lo fecero loro prigioniero in meno di mezza mattinata. Un’umiliazione che, ne era stato certo, suo padre non gli avrebbe mai più potuto perdonare.
Poi fu buio, e quando infine aveva riacquistato i sensi lo aveva fatto tra le note stonate di una bislacca litania. Dinanzi a sé, avvolta dalla penombra, una vecchia megera gli teneva il capo fermo, con un palmo della mano premuto sulla fronte: indossava vesti sdrucite e rattoppate alla men peggio, impugnava una lunga verga rinsecchita almeno quanto la sua pelle ed esibiva due agghiaccianti sclere completamente bianche che guizzavano frenetiche a destra e a manca quasi cercassero in qualche maniera di sfondare il muro della cecità.
Negli anni a venire su di lui erano state narrate storie delle più strambe, come quella che gli affibbiava il merito della orrenda strage compiuta a Kroan, strage di cui avrebbe desiderato davvero essere l’artefice, ma che invece era stata niente di più e niente di meno che il vano tentativo del lord suo padre di opporsi all’avanzata della mandria di barbari. Alla fine, anche l’ultimo baluardo dell’Isola dell’Acqua era caduto, come ogni cosa...
... e da quel giorno non era esistito uomo alcuno in grado di batterlo.

« ... Varry? Che stai facendo? »
Un suono familiare lo ricondusse alla realtà.
Con la mano sinistra che ancora tremava per la foga, Nicholas guardò lo stuolo di cadaveri mutilati tutt’intorno a sé. Erano tumefatti, freddi, poteva percepirne il gelo persino senza toccarli, come se qualcosa avesse preso controllo del suo corpo e lo avesse guidato in quell’atroce carneficina. Ma il gelo che gli fece più male fu senza ombra di dubbio quello che torreggiava sulle iridi color pece della donna che amava. Rekla era immobile di fronte a lui, la daga stretta in pugno e pronta a muoversi per qualunque necessità. Sembrava che avesse paura di lui, o che stesse proteggendovisi. Ma il Primo Consigliere non era una minaccia, né avrebbe mai fatto nulla che potesse nuocerle; quindi perché stava alzando la lama contro di lui?

Lei non ti vuole, ti sta solo usando.
Sei per lei nient’altro che un insignificante insetto.


Quel sussurro s’intrufolò nei suoi pensieri con prepotenza, inducendolo a ricercarne immediatamente la fonte. Fu allora che esaminò con maggiore attenzione i corpi che giacevano ai suoi piedi: alcuni indossavano panni di velluto nero sormontati da pettorine di cuoio lavorato, elmi taurini, spade e randelli lunghi ben oltre la comune misura e scudi sul cui ventre era stato cesellato lo stemma caratteristico della casata Estgardel.
I pensieri divennero più confusi, inestricabili, dolorosi. E più si sforzava di ricordare, più tutto si annebbiava e diveniva contorto, mentre un raccapricciante senso di rimorso affiorava tra le viscere dello stomaco: Tenebre; aveva ucciso delle Tenebre.

Lei non è tua, non ti desidera.
Brama un vero guerriero,
uno di quelli che tu non potrai mai essere.


« Basta... » fu la sola parola che gli uscì di bocca.

« Nicholas... dammi la spada, Nicholas. »
Era al servizio della Nera Regina da quasi tre anni ormai, ed avrebbe giurato che mai – mai – aveva sentito nel suo tono di voce una tanto affabile e dolce screziatura. Lei gli rivolse un sorriso asciutto, dall’incertezza palpabile, ma comunque un sorriso, uno dei pochi di cui Duevite credeva che disponesse... ed era per lui! Tutto per lui! Solo per lui!
« Io so che non mi tradirai. Io ti conosco. »

Mente!
Lei non sa!
Lei non ti conosce!

riprese la voce nella sua testa, talmente aguzza da sembrare il sibilo di uno spettro.
Aveva paura, e per questo non smetteva di tremare. Ma, ciò che era peggio, era indeciso.
Ovunque guardasse, ovunque rivolgesse la propria attenzione non vedeva altro che uomini che combattevano altri uomini, soldati che volgevano le armi contro i loro stessi compagni, fratelli, alleati. D’un tratto, capì che forse qualcosa di buono stava accadendo; capì che quella che aveva davanti non era la vera Rekla, ma solo l’esito di un altro artifizio dell’Ala Rubra.
Stavolta, però, non avrebbe fallito... non di nuovo.
D’un tratto, il tradimento gli sembrò il gesto più naturale che potesse esserci.

« Io non... Tu non mi conosci »
fece eco ai propri pensieri, esitando come se quelle parole lo ferissero lettera dopo lettera
« Tu... non sai. »
Nicholas, spada in pugno, scattò in avanti ruggendo come una fiera traviata dalla fame. Superò uno, due, tre Shadar-kai in ritirata, senza degnare loro del minimo sguardo. Quando giunse a poche falcate dalla finta Nera, il buio della notte era già svanito.

Tu non sei niente.
Sei sempre stato niente.
E adesso che anche lei lo ha capito,
hai perso tutto. Tutto.


« Io non ti combatterò. »
La donna abbassò l’arma, sicura, e spalancò le braccia, forse certa che quel gesto avrebbe arrestato la sua furia o avrebbe suscitato in lui una qualche deviata forma di compassione. Ma la compassione era l’arma dei deboli, questo suo padre glielo aveva insegnato bene.
Allungò la mietitrice sull’interlocutrice e, con una secca torsione del busto, vibrò un colpo che fendette silenziosamente l’aria in due metà. Ma prima che il ferro della lama potesse baciare il morbido collo della fanciulla, l’orecchio si tese per udire un suono quasi impercettibile, ma vivido e pulsante: un sospiro di vento soffiò più violentemente degli altri, e una zaffata di caldo liquido lo raggiunse alle narici, agli zigomi, alla bocca. Si fermò. Guardò.
Laddove prima si ergeva un’austera lady dei territori meridionali, ora non rimaneva che uno spettro di donna, cianotico e scarno in quel suo involucro di magra carne un tempo pallida. Tra i seni di lei, di Rekla, spuntava la punta inconfondibile di una lama; non la sua, però, non quella della mietitrice. E di chi, allora?
Sgranò gli occhi, ripulendosi goffamente il volto, piangendo: sangue, sangue dovunque, nero sangue di essere vivente.
Il retrogusto ferroso fu per le sue labbra un tonico chiarificatore. Nessun artifizio, nessuna illusione; aveva parlato con una creatura in carne ed ossa, la sua creatura in carne ed ossa.
Questo... significava allora che...

« NO! »


CITAZIONE
Rekla Estgardel
la Nera Regina
––––––––––––––––––––––
Stato Umano
{ Intelligenza 4 | Forza 1 | Maestria armi da mischia 1 }

––––
« Energie: 55%
« Stato fisico: ferite da taglio lievi e sparse + lacerazione alta da perforazione alla coscia destra + danno di critica entità al petto.
« Armi: Constantine • riposta; Vesar "Luna dell'inferno" • sguainata

Attive...
Nessuna.

... e passive

La connessione tra l'evocatore e il mostro è molto più potente di quella che potrebbe mai avere con qualsiasi altra delle sue creature. Loro sono la stessa cosa, divisasi solamente con l'obiettivo di distruggere il proprio avversario. Per questo, i loro corpi sono legati insieme non solamente dalle mere catene che fuoriescono dal gauntlet. Nel caso in cui Rekla dovesse subire un danno provocato dal proprio avversario (e non autoinflitto tramite tecniche o atti impulsivi) ella potrebbe decidere di suddividere tale ferita e farne subire la metà esatta al proprio colosso, che griderà, alimentando la propria furia. Esemplificando, se Rekla dovesse subire un danno Medio, ella potrebbe decidere di prenderne solamente uno Basso, facendo sì che il mostro, tuttavia, subisca anch'egli un danno Basso. In poche parole, potrà smezzare qualsiasi danno rivolto alla propria persona, purché l'evocazione sia già presente sul campo. Viceversa, potrà anche decidere di suddividere i danni rivolti all'evocazione, subendone la metà, poiché i due non sono che diverse emanazioni dello stesso corpo [Tecnica passiva].

Nel principio, la Riluttanza
Il primo stadio di violenza contrappone il rifiuto della verità al suo viscerale attaccamento alla propria arma, il quale diverrà indissolubile, tanto intenso e profondo da impedire a chiunque di scinderlo. L’arma diviene un ninnolo, un prezioso memento, un tesoro inestimabile per la fanciulla che potrà impiegarlo per evocare istantaneamente l'ombra sotto forma di lorde creature, potenziate di un punto CS addizionale e a un costo energetico ridotto del 5%.


.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un'irrefrenabilità, un'incapacità di moderarsi nell'assunzione di cibo o, più in generale, nel desiderio incontrollabile di qualcosa che si brama. E' stato proprio per quest'ultima ragione che Rekla ha accresciuto la propria fame nell'ambito della negromanzia, al punto da strappare il sottile velo che separa ciò che è vivo da ciò che è morto. Più precisamente, in termini di gioco, la Nera Regina acquisisce il potere dell'immortalità; questo non significherà che non sentirà la stanchezza o perderà i sensi una volta al di sotto del 10%.

.Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, vera o presunta, per la quale si aspetta un riconoscimento. La superbia affonda le sue radici nel profondo dell'uomo, sempre teso alla ricerca e all'affermazione della propria identità. Quest'ultima non è qualcosa che si elabora al proprio interno, ma che ciascuno negozia nel rapporto con gli altri da cui attende, appunto, il riconoscimento. Tale bisogno nell'essere umano è fortissimo: forte al pari di altri bisogni più esistenziali…
Allo stesso modo Rekla è innamorata di sé, della sua sicurezza, del suo corpo. Così facendo, nonostante le origini ancora sconosciute, la giovane insinua in chi le sta accanto non molta fiducia, oserei dire nessuna piuttosto, ed un timore di non poco conto. Tutto ciò, ovviamente, è efficace laddove chi la affianca non sia un demone né possegga un'energia superiore alla sua.

Vizio dell'Animo • честолюбие
Che sia negativa o positiva, l’ambizione - così come la sua assenza - sottende tutte le azioni umane malvagie o meritevoli che siano. L’ambizione sfrenata può portare all’insoddisfazione perenne, a cambiare schizofrenicamente campo di interesse o obiettivo pur di avere una nuova vetta da scalare, mentre un’accezione positiva di questa attitudine psicologica può coincidere con una sana spinta a migliorarsi e non accontentarsi, a superare i propri limiti. Rekla Estgardel è forse l'essere più ingordo e privo di scrupoli del pianeta, pericoloso e raggelante nell'infinita contaminazione della sua mente. E' proprio grazie a quest'incessante bramosia, però, che la Nera Signora è riuscita a cogliere frutti misteriosi ed unici, rari e preziosi come le più pregiate ricchezze del mondo. In termini pratici, ella è in grado di usufruire delle capacità di una seconda classe: il ladro. A tal modo ciò potrà senz'altro spalancare alla regina dei morti molteplici vie ad un'innumerevole quantità di attacchi e strategie, tutte indubbiamente mirate a stroncare sul nascere l'esistenza del malcapitato avversario. (Tomo furtivo)

An endless guard
In breve, il giovane Shiverata apprese l'orrenda verità su chi fossero i nemici e le prede cui il Magus l'aveva destinato. Non ne fu felice. L'anello gli imponeva di cercare e sconfiggere gli emissari dell'Abraxas: lui era costretto a frapporsi fra il mondo umano e l'Ombra, senza poter abbracciare nessuno dei due. Il dono lo condannava ad una guardia senza fine, perché il fiore di ossidiana, quel cuore del fiato di drago, non conosceva scalfiture. Il Maestro l'aveva definito nero come il peccato e resistente come la roccia. Lo era molto di più. Inoltre lo costringeva ad una percezione impossibile da interrompere, gli donava non la visione esatta ma la totale percezione del nemico, della sua presenza. Era orribile -e per questo maledisse il nome del Maestro.
{ Abilità Passiva: L'anello è indistruttibile. ; Abilità Passiva: Auspex sui non-morti, il portatore sarà sempre a conoscenza della loro presenza nei paraggi. }

Note
Dunque, ho deciso di raccontare gli avvenimenti dall'unico punto di vista del Primo Consigliere di Rekla. Quest'ultima, ormai provata dalla battaglia, cerca di fermare Nicholas che - come larga parte del resto dell'esercito - è dovuto soccombere alla potenza del corpo di Rainier e ha decimato svariate fila alleate. Nel suo caso, però, ho scelto di ravvisare le ragioni di questa influenza in una serie di altri rancori e rimorsi che si succedono nel passato e nel presente dell'uomo, e che gli hanno annebbiato la mente fino a fargli credere addirittura che la donna che vedeva adesso non fosse in realtà la vera Rekla, ma un ennessimo artifizio generato dall'Ala Rubra. Decide quindi di attaccare, ma prima che la lama possa toccarla un'altra affiora dal petto della Nera. Solo a quel punto, Nicholas - vedendone il sangue scuro - comprende che quella era davvero la sua Regina e si abbandona al panico di averla uccisa/fatta uccidere.
Per le motivazioni, l'esito e le conseguenze di questo improvviso colpo di scena vi rimando al prossimo post, benchè la scena free di Rekla sia effettivamente conclusa qui. Questo accadimento avrà un apposito sviluppo a breve, che ovviamente non sto qui a spoilerare. Sappiate comunque che la ferita al petto della Nera è particolarmente grave e le viene inferta dalle spalle (qualora non si fosse capito), cogliendola totalmente impreparata, e che quindi a farlo non sia stato chiaramente Duevite.
Con ciò, se il Qm me lo concederà, ci rivedremo al prossimo turno per ulteriori approfondimenti; altrimenti, è stato un piacere ruolare con tutti voi. :sisi:

edit: corretti alcuni errori di battitura.


Edited by J!mmy - 22/5/2013, 17:09
 
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Xi.lan
view post Posted on 23/5/2013, 11:09




Fourth peek: Betrayal.
Il tradimento dei pelleverde.



Di cose durante quella battaglia ne erano avvenute fin troppe. Avevano salvato la vita dell’elfo come minimo due volte, fra cui una a costo di un’altra. La lancia era stata bagnata dal sangue di molti nemici, e neppure un minimo accenno della stessa ad evolversi verso il tanto desiderato secondo livello. A questo punto niente di tutto ciò lo interessava. Aveva letto da qualche parte che le guerre non si combattevano di notte, a causa della scarsa visibilità, anche se questa regola non pareva essere tanto valida in questa situazione, poiché la loro offensiva era iniziata con il favore delle tenebre e mentre i corni emettevano ancora il loro potente e fastidiosissimo suono.

Illorium poteva dire di essere veramente vicino al suo limite, aveva combattuto per chissà quanto tempo senza che l’esercito di orchi fosse riuscito ad ottenere la supremazia. Aveva bisogno di una pausa, solo che neppure nascondendosi in qualche anfratto era certo che avrebbe avuto pace, per non parlare dell’umiliazione subita se qualcuno lo avesse saputo.

Illorium, sei qui per del sangue e del sangue prenderai!



Disse ad alta voce nel disperato tentativo di alzarsi il morale. Strinse la lancia con una forza superiore al solito e trapassò un cranio intento a dare il colpo di grazia ad un suo alleato orco. Con un calcio spostò il cadavere e porse la mano in modo da permettere all’individuo di rialzarsi più facilmente.

Tuttavia questi non solo non accettò quell’aiuto, ma lo colpì alla gamba sinistra facendolo cadere a terra. Blackfang non seppe se restare stupito per l’accaduto o rispondere alla provocazione, ma il dubbio fece posto alla certezza in pochi istanti. Il pelleverde che lo aveva fatto ruzzolare si mise sopra di lui facendo pressione con gli arti inferiori sui suoi in modo da impedirgli libertà di movimento, oltre al fatto di potersi rimettere in piedi.

Idiota che stai facendo! Non vedi che sono un tuo alleato? Ti ho appena salvato la vita ed è così che mi ringrazi?



La furia negli occhi dell’elfo era chiaramente visibile; durante i suoi duecento e qualcosa anni si era abituato alla maleducazione, alla mancanza di gratitudine e rispetto, spesso provocate dalla vista del suo aspetto, ma mai una volta aveva salvato la vita di una persona e questa lo aveva ringraziato attaccandolo. I pensieri della creatura vennero riportati velocemente alla realtà quando vide che l’energumeno stava per scagliargli un pugno. Il suo volto non sarebbe uscito indenne da tanta forza. I tempi per liberarsi erano stretti e quindi sarebbe ricorso alla sua abilità per difendersi dall’essere. In qualche istante i pori facciali produssero una secrezione che fece scivolare il maglio di carne senza provocare danno, finendo per impattare sulla sabbia.

Approfittando dell’occasione Illorium, preso atto della dichiarata ostilità dell’orco sfruttò i suoi artigli, che gli permettevano una migliore capacità di affrontare gli avversari in un corpo a corpo talmente ravvicinato che avrebbe impedito un uso efficace della propria lancia.

Ancora una volta il cacciatore affondò i propri artigli con un movimento veloce e privo di compassione nella gola del pelleverde, recise la giugulare e in preda ad una copiosa emorragia l’orco allentò la sua presa di ferro, permettendo all’elfo di liberarsi con facilità e rialzarsi.

Per quale motivo avrebbe dovuto aggredirmi? Siamo alleati e gli avevo appena salvato la vita. Non la capisco proprio certa gente.



Guardandosi attorno Illorium vide che non era solo quel pelleverde ad essersi rivoltato contro un alleato, ma pareva un vero e proprio movimento generale; tutti i loro compagni orchi si stavano rivoltando contro di loro. Perché avrebbero dovuto operare questo tradimento proprio adesso? Così vicini alla vittoria? Non aveva senso. Se non avessero voluto pagarli sarebbe stato meglio aspettare la vittoria, per poi durante i festeggiamenti o la notte ammazzare i vecchi alleati.

Tutto questo non ha senso. Dev’esserci dell’altro sotto.



Mentalmente si promise di non uccidere altri pelleverde prima di trovare uno di quei nemici in armatura e chiedergli che cosa stesse succedendo. Tale proposito tuttavia non fu realizzabile in quel momento perché dopo pochi secondi si trovò circondato da orchi.

Fatemi passare o non vedrete il sole di domani.





Disse spietato mostrando la mano artigliata. Ne aveva già ucciso uno e per preservare la propria vita non avrebbe esitato a mandare altri a far compagnia al defunto.


Informazioni tecniche.



- Nome. Illorium Blackfang.
- Energia. Gialla.
- Stato fisico. Ferita alta al braccio, ferita media alla spalla ed al fianco, taglio basso al torace e ferita bassa alla coscia destra..
- Psiche. Stanco.
- Consumi. Basso.
- Energia residua. 60%%.
- Passive. Autosufficienza [Immunità alle influenze psioniche passive] e Indistruttibilità della lancia.
- Attive utilizzate. Slide! usata a livello basso.
- Note. Nessuna.

- Slide. Quando non si è in grado di parare o schivare un attacco, la soluzione più efficace è quella di farlo letteralmente scorrere sulla propria pelle senza che questi sia in grado di provocare un danno. L'uso di questa abilità permette tramite un consumo variabile, la secrezione dai pori presenti nella pelle di una sostanza in grado di far "scivolare" le offensive tangibili sulla pelle dell'elfo del destino senza che questi subisca dei danni. Tale abilità è efficace solamente contro offensive di natura tangibile, come fendenti, proiettili, tecniche magiche legate al ghiaccio, la terra o le piante, ma non contro incantesimi eterei, come il fuoco, il fulmine o altri che non possono essere normalmente toccati.
Il consumo di energia permette la produzione dell'olio in una parte specifica del corpo, come braccio destro, torace, testa ecc.., casomai il caster decidesse di proteggere interamente il suo corpo, questo richiederebbe una spesa di energia di un livello superiore rispetto alla difesa offerta. Tale abilità può essere utilizzata unicamente per fini difensivi.
[Descrizione della prima abilità personale]
 
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view post Posted on 24/5/2013, 15:20
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Raymond deglutì e la saliva che scese lungo la sua gola aveva un sapore amaro; pastoso; era infettata dal muco.
Batté le palpebre e poté sentire delle piccole gocce d'acqua salata imprigionate fra le sue ciglia, troppo piccole per scivolare lungo le sue guance e troppo grandi per poter essere trattenute dagli occhi.
Parlò, e arrancò nel trovare la voce, mentre il collo gli doleva come se avesse appena ingerito una grossa quantità di carboni ardenti.

Era più che certo che la sua vita sarebbe terminata di lì a qualche istante e... e-
-e non si sentiva pronto per morire.
Non aveva mai neppure affrontato quel pensiero fino a quell'istante; neppure quando era sceso sul campo di battaglia. Forse perché non era tanto la sua morte a pesargli, quanto la sconfitta. O forse perché gli era appena stato rivelato che con certezza logica non un singolo rigo della sua fede potesse corrispondere alla verità: nessuna trama ad attenderlo; nessun trono del Sovrano sotto cui poggiare le proprie ginocchia; nessuna eternità da soddisfare nell'infinita obbedienza priva del peso delle proprie scelte; nessun aldilà; niente. Una considerazione con un peso ben superiore a quello che qualsiasi anima può pensare di sopportare senza perdere la propria sanità mentale.

Con le labbra secche e il tono della voce confuso, quindi, decise di farsi coraggio e porre la domanda che lo stava assillando.

« Che... che cosa hai intenzione di fare con me...? »

Razelan Vaash lo guardò con occhi non suoi - con occhi di ferro, ma quando gli rispose poté sentire una certa gentilezza nella sua voce che contrastava del tutto con il suo aspetto.

« Niente... Raymond Lancaster. »

« Io ti conosco, Eroe... »
« Tu eri quel ragazzo che passava più tempo a biasimarsi per quanto fosse miserabile che effettivamente a correggersi. »
« Quel bimbo cresciuto nel Mal di Vivere... che cercava il proprio balsamo nei libri. »
« Quel giovane signore che non era né di cattivo aspetto, né di rozzo intelletto... era l'orrida bruttezza del suo animo ad allontanare da lui tutti quanti. »
« Quell'uomo che ancora oggi ascolta le storie degli altri in un mondo pieno di persone che sanno soltanto parlare di sé. ...Che viene condannato, maledetto ed impiccato da questo stesso eroismo. »

Pareva che ogni parola gli costasse fatica. La mascella di Razelan si piegava in movimenti innaturali ogni volta che proferiva verbo, quasi si potesse staccare da un momento all'altro. Aveva smesso di gesticolare e non si muoveva più per la stanza.

« Io lo so... Raymond Lancaster. Io sono stato... e sono... come sei tu. »
« ...e col tempo anche tu capirai che non c'è cura per il cancro degli sproloqui altrui: puoi soltanto sperare di non restarne contagiato. »
« Noi siamo... Cavalieri... che hanno votato se stessi ad una causa destinata a scomparire... scegliere se seguirla... o tradirla... sta soltanto a te. »

Una gamba del nobile cedette sotto il suo stesso peso, ma quel burattino senza vita che era ormai Razelan riuscì miracolosamente a reggersi in piedi lo stesso.
Fu con un briciolo di speranza che Raymond realizzò che il golem stava lentamente perdendo il controllo sul corpo che usava come mezzo per comunicare con lui. Un barlume di fantasticheria che si spense quando cercò con lo sguardo la figura del gigante di metallo, senza trovarla.
Vagò con gli occhi in lungo e in largo per la stanza alla ricerca del profilo del costrutto, che tuttavia sembrava essersi perso nell'oscurità. Si bloccò, come pietrificato, solamente quando incontrarono un fugace movimento nelle vicinanze del trono. Qualcosa di troppo lento e piccolo perché potesse essere stato causato da Chevalier in persona.
Non poté concentrarvisi troppo, comunque, poiché Razelan riprese immediatamente a parlare, concludendo il proprio monologo.

« Uomini come noi non possono salvare il mondo... Raymond Lancaster. »
« Ma possiamo stare zitti... in silenzio... »

« e osservarlo... morire. »

e su quell'ultimo monito il corpo di Razelan Vaash si spense, spezzandosi e cadendo scompostamente in terra proprio come una marionetta alla quale vengono tranciati i fili.
Raymond lo fissò con orrore, incapace di togliere lo sguardo fino a quando i suoi sensi non vennero attratti da un secondo rumore metallico proveniente dalle vicinanze col trono.
Proprio dove prima aveva scorto quel fugace movimento ora si delineava il profilo di una figura umanoide che poggiava la propria mano destra sulla spalla di Rainier. Non era più alta di lui, né particolarmente robusta, e il suo corpo era completamente avvolto da un drappo di seta rosso, decorato qua e là da alcune finiture dorate.
Quell'abito così ingombrante e festoso le dava l'aria di uno spirito inviato dal Sovrano per prendersi la sua misera vita; le mancavano solamente la falce e il giusto colore. Per quanto fosse coperta, tuttavia, il Lancaster riuscì ad scorgere con chiarezza la mano che teneva poggiata sulla spalla del Profeta, prima che la ritirasse fra le vesti. Una mano scheletrica, dalla quale pendevano diversi brandelli di carne, le cui dita terminavano in affilati artigli e il cui colore ricordava più quello dell'acciaio temprato piuttosto che delle ossa.
Innanzi a lui si ergeva una creatura che non avrebbe potuto descrivere meglio se non come uno scheletro di ferro. Un insieme di lame, lastre e catene che fuse tutte caoticamente insieme assumevano a malapena una figura umanoide, e che tentava appena di nascondere il proprio aspetto al di sotto di una tunica sanguigna ampia ed ingombrante come quella dei sacerdoti, con tanto di cappuccio.
Quando parlò - senza piegare le labbra - Raymond ne riconobbe la voce, e capì di trovarsi di fronte alla nuova forma di Charles Étienne Chevalier. Il Padre di Ferro che avrebbe guidato l'Ala Rubra da lì in avanti. Il suo tono era freddo, metallico, distaccato e contraddistinto ancora da quelle lunghe pause inconcepibili che spezzavano le sue frasi di quando in quando.

« Dovevo incontrarti... Raymond Lancaster. Io e te... siamo uguali. »

E dicendolo carezzò appena il viso di Rainier, con la stessa gentilezza con cui una fanciulla innocente avvicinerebbe un fiore. E nonostante Raymond desiderasse trovarsi in qualsiasi posto tranne che quello, un angolo del suo cervello non poté che trovarsi d'accordo col mostro che stava davanti a lui.
Annullarsi completamente all'obbedienza non era un concetto che gli era estraneo; era ciò che aveva fatto coi Corvi quando gli avevano chiesto di lavorare per loro, poiché obbedire sarebbe stato più semplice che scegliere.
La paura del libero arbitrio lo schiacciava, ma in essa aveva trovato anche l'amore incondizionato verso un ideale; o nel suo caso, una fede. Il Sovrano non gli aveva mai chiesto di compiere scelte al posto suo, né si aspettava che Raymond potesse effettivamente tradirlo. Il Sovrano non andava che servito, e questo aveva fatto Raymond per anni, senza chiedersi mai nulla.

« Ora che mi hai visto... però... sei costretto a compiere una scelta. »

Il Lancaster abbandonò lo sguardo al pavimento, alla ricerca di un'improbabile via d'uscita.

« Scappa... e io non ti inseguirò. »
« Salva gli ultimi brandelli di questa tua vita... e con essa quella dei tuoi uomini... e l'illusione che vi danno i vostri Quattro Regni. »
« Fallo... e non te lo impedirò. Io ho... pazienza... e ti conosco... »

« oppure... »
« Spezza le catene di questa tua orrida vita... cancella la bruttezza del tuo animo ignobile... »
« Abbandonati ai bassi istinti di ciò che hai sempre voluto fare... »
« e diventa il mio più grande araldo. »

Raymond stava ancora guardando in terra quando il suo interlocutore concluse, e passò più di un minuto prima che prendesse la sua decisione.

Fissò gli occhi sul Padre di Ferro; poi sul Vero Re.
Abbassò la mano destra e, senza alcuna esitazione, estrasse la propria spada dal fodero.

8tmxw

La battaglia stava volgendo per il peggio.
Il caos si era impadronito del tutto dell'esercito dei Quattro Regni, ed ora pelleverde e uomini si combattevano fra loro senza più ragione, dimenticandosi completamente dei motivi che li avevano spinti a collaborare fino a quell'istante. Persino quelle persone che non erano state influenzate dalla presenza del corpo di Rainier si gettavano ora le une contro le altre per vendicare le morti dei propri commilitoni, per difenderli dall'attacco di un indottrinato, oppure semplicemente spinti dalla frenesia di quell'ammutinamento. Le fratture nell'esercito che Raymond aveva tentato così disperatamente di nascondere stavano infine emergendo, e ne avrebbero inevitabilmente causato la sconfitta.

La verità era che per quanto il Lancaster avesse potuto impegnarsi e per quanto i suoi intenti fossero stati nobili, l'azione di un solo uomo non sarebbe mai bastata a cancellare completamente i pregiudizi che per secoli avevano diviso due razze così radicalmente diverse come uomini e pelleverde.
Forse a dieci anni da quel momento... forse a cento... forse mai: qualcuno ci sarebbe sempre stato - da una parte o dall'altra - a scagliare la prima pietra e a disotterrare antichi propositi di vendetta, antipatie sopite o semplicemente crudeltà senza senso. Era stato sbagliato volerli unire contro la loro volontà, e soprattutto costringerli ad essere più nobili di quanto in realtà non fossero. Una pantomima che si era rivelata per ciò che era innanzi alla prima difficoltà.
Raymond Lancaster non era riuscito in nulla. E così nemmeno il suo esercito, ancora diviso da ideologie così distanti da non potersi avvicinare neppure di fronte a un nemico come quello che nascondeva l'Ala Rubra: un nemico che una volta liberato non avrebbe esitato a sottomettere né orchi né uomini, come già aveva compiuto in passato.
Paradossalmente, forse solo quella tirannia e crudeltà sarebbero state in grado di appianare tutte quelle diversità una volta per tutte.

L'Ala Rubra non restò tuttavia immobile ad attendere il disfarsi del proprio nemico:
Mentre orchi e uomini affondavano le proprie lame contro i precedenti alleati, il campo di battaglia venne investito dal suono di quelli che parevano tuoni in lontananza. Un rumore al quale erano mischiati gli stridori metallici del ferro e versi persino più inquietanti. Una sorta di canto antico e terribile che pareva provenire da qualsiasi punto del deserto stesso: il risvegliarsi di quelle armi che l'Ala Rubra aveva tenuto nascoste fino a quel momento.

Il sole - che dopo l'incanto di Rekla era appena riapparso - venne oscurato improvvisamente da un'ombra di portata colossale. Una figura alta più di trentacinque piedi che si stagliava imponente su tutto il campo di battaglia, oscurandolo completamente. Le Marre impedivano di scorgerne i dettagli, ma non proibirono ai soldati di guardarsi intorno -
- e vedere una seconda creatura
- e una terza
- e una quarta ancora.

Una serie di mostri colossali che si ergevano su di loro guardandoli come formiche, i cui soli occhi risplendevano fra la polvere mossa dalla tempesta di sabbia.

Uno di quei titani buttò quindi la testa all'indietro e, guardando verso il cielo, iniziò a gridare. La sua voce aveva lo stesso inquietante suono del vagito di un neonato, ma deformato, come se proveniente dal fondo di un profondo abisso e distorto dal riecheggiare contro quelle pareti. Un canto terribile che richiamò le altre creature, spingendole a fare lo stesso.

Colossi.
Creature che fino a quell'istante erano state nascoste sotto la sabbia, nell'attesa di rispondere ai propri ordini.
Ordini che ora li avevano raggiunti.

La sola vista di quelle creature gettò nella disperazione buona parte dell'esercito dei Quattro Regni. Le loro grida e i loro versi erano sufficienti a far perdere il senno ai più deboli di cuore e a gettare in confusione persino i più coraggiosi. Innanzi a quell'orrore si interruppero persino tutte le lotte intestine e gli indottrinati recuperarono il senno, seppur solamente per essere scaraventati in una paura ben più grande.

Quando tutto sembrava perduto, però, una fiamma illuminò il campo di battaglia.
Un getto di fuoco talmente grande da far arretrare persino i pesanti colossi di ferro, che si alzò verso il cielo e scoppiò sopra tutti loro, provocando un boato simile ad un ruggito.
L'Ala Rubra reagì immediatamente a quell'artificio indicandolo e schiamazzando mentre si posizionavano sulla difensiva. Non potevano sapere cosa quel simbolo significasse per l'esercito dei Quattro Regni, invece.

Come concordato prima di scendere sul campo di battaglia:

« Quando vedrete la fiamma ardere nel cielo, significherà che la battaglia si è conclusa. »
« Potrete abbandonare il campo di battaglia e potremo tornare alle nostre vite. »



CITAZIONE
Fate la conoscenza di un ultimo mostro dell'Ala Rubra; il Colosso :v:

CITAZIONE
pericolosità C
Colosso: Come un gigantesco golem, un colosso esiste solo per compiere la volontà del suo padrone. Un colosso è una mostruosa statua animata senziente e alta decine di metri, di forma spesso umanoide e scolpita sulle fattezze del Sovrano o di altre potenti entità, che comunica telepaticamente. Quando sono circondati da diversi nemici, i Colossi possono scatenare potenti attacchi psionici e illusioni tramite boati o stridii; solo successivamente ricorrono ad attacchi in mischia sfruttando le loro inconcepibili dimensioni, eventualmente scagliando manifestazioni di energia non-elementale contro i nemici che non sono alla loro portata. La vita viene infusa in queste statue naturalmente tramite la vicinanza con Chevalier; un tipo di potere alquanto raro, ma incredibilmente spontaneo per il Padre. I colossi sono impiegati come i più potenti difensori delle spoglie del Vero Re e attaccano chiunque profani il suo tempio; occasionalmente vengono anche impiegati all'esterno come guardie di pattuglia e vengono visti con grande timore e allontanati dai viandanti del deserto. Al momento della sua distruzione un colosso esplode, generano una deflagrazione non-elementale di portata catastrofica, in grado di generare un cratere di grandi dimensioni nel terreno sotto di lui.

Come intuirete da questa descrizione, l'apparizione di questi nemici avrebbe decretato la sconfitta dell'esercito dei Quattro Regni, soprattutto per come stavano andando le cose. Tuttavia poco dopo la loro comparsa, Raymond invia da qualche parte un segnale nel cielo sopra il campo di battaglia, una fiammata che esplode come un fuoco d'artificio giunta all'altezza delle teste dei colossi. Nessuno di voi vede Raymond, ma tutti voi sapete che cosa significa quel segno: Abbiamo vinto; lasciate il campo di battaglia.
...che, in questo caso, si traduce più o meno come un "fuggite". :v:
La fiammata mette in allarme gli Shadar-Kai e gli Eidolon, la maggior parte dei quali si avventura con urgenza nei cunicoli sotto la Tomba della Chimera, abbandonando il campo di battaglia. I Colossi tuttavia restano dove sono e il segnale di Raymond non gli impedisce di lanciare un bellissimo attacco psionico su ciascuno di voi per mezzo delle loro grida.

In pratica, dopo aver sentito le grida delle creature ciascuno di voi verrà colpito da un attacco psionico di potenza Alta. Tale si manifesterà come la visione di un orrore incredibile (una delle paure più profonde del vostro personaggio o meno) e se non dissolta con una normale tecnica di difesa psionica, vi provocherà un danno alto alla mente. Una volta svanita questa visione, il caos sul campo di battaglia sarà tale che nessuno vi impedirà di fuggire: gli Shadar-Kai si stanno ritirando per vedere cos'è successo sottoterra, gli orchi continuano a mietere vittime sia nell'esercito nemico che nel proprio e i soldati dei quattro regni fuggono a gambe levate.

Avete cinque giorni per far fronte a questa situazione: questo è il vostro ultimo post obbligato. Nel mio prossimo concluderò la scena del tutto, al quale potrete aggiungere, eventualmente, un post di chiusura.
 
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Stella Alpina
view post Posted on 25/5/2013, 12:04




Sandstorm; getye

-Disfatta-











Deserto dei See, tomba della Chimera



Piccolo. In quel momento Elias si sentiva estremamente piccolo e impotente davanti a tanta maestà. Una formica tra le più minute di fronte alla lente d'ingrandimento tenuta in mano da un uomo, incapace di distogliere lo sguardo da un così affascinante oggetto di morte. Una lente che presto volgerà la sua luce sulla prima formica incenerendola per poi passare alla prossima e alla prossima ancora. Ma a nulla serve la conoscenza del pericolo, perché ci sono momenti in cui persino il tuo corpo annulla il suo istinto di sopravvivenza e ti lascia lì, a guardare uno spettacolo di morte senza far niente.
Tutto era perduto, ogni possibilità che vi era di vincere era stata spazzata via. Quei colossi avrebbero annientato ogni piccola formica. I nemici conoscevano bene il loro potenziale bellico eppure avevano aspettato lì, in quell'accampamento, mostrandosi deboli di fronte all'esercito invasore. Una trappola, meravigliosamente progettata, meravigliosamente messa in atto.
Elias guardava i colossi ergersi sopra al mondo, proiettando la loro ombra sul campo di battaglia, era di nuovo notte. Si teneva al parapetto della palizzata per non cadere dal camminamento. Affianco a lui molti Shadar-Kai erano accorsi a godersi lo spettacolo ed ora incitavano i colossi a dispensare morte, a mostrare la loro rabbia.
Uno dei costrutti tirò indietro il capo e urlò, un suono devastante che avvolse il campo di battaglia nella sofferenza. Poco dopo si aggiunsero tutti gli altri, un canto mostruoso e allo stesso tempo affascinante, un canto quasi ipnotizzante.
Elias si portò le mani alle orecchie tentando inutilmente di attutire quel frastuono, poco più in là anche altri uomini nella mischia stavano facendo lo stesso, alcuni erano persino in ginocchio.
L'esercito invasore, quel che rimaneva almeno, andò in rotta costretto dal terrore dei colossi e dalla follia dei pelleverde. Il caos si impossessò del campo di battaglia.
Elias continuava ad osservare la disfatta senza riuscire a reagire, osservava i colossi a bocca aperta e a malapena riusciva a reggersi sulle gambe.
Al culmine del canto mostruoso, una seconda visione colpì il negromante.
Nella sua mente si formò una spaccatura nel terreno mostrando una luce infernale dalla quale iniziarono ad uscire demoni rossi dalle corna lunghe, come Shasàr, il servitore del negromante.
Molti di loro erano armati con strani arnesi ricurvi e seghettati che agitavano verso di lui, deridendolo. Il numero dei demoni aumentava a dismisura, senza sosta.
Elias sgranò gli occhi quando dietro di loro si fece spazio un enorme altare in legno con delle ruote per trascinarlo. Ma a terrorizzarlo non fu l'altare, quanto quello che vi era sopra. Il negromante vide un uomo bloccato su una tavola messa in verticale. Le mani e i piedi erano bloccate da catene tenute da quattro demoni che si divertivano a tirarle in senso opposto tendendo il corpo fin quasi a spezzarlo. L'uomo urlava e la sua voce arrivava chiara alle orecchie di Elias, una voce che conosceva bene. Era suo fratello.
Elias urlò di rimando con quanto fiato aveva in corpo, lacrime calde gli rigarono il viso mentre il cuore rischiava di uscire dal petto per la foga con cui batteva. I demoni si avvicinavano sempre di più agitando gli arnesi sopra la testa e ridendo.
Due di loro afferrarono le braccia del negromante per tenerlo fermo mentre gli altri si accingevano a torturarlo.
Elias continuò ad urlare, non verso i demoni ma verso il fratello, verso quello sguardo spezzato, verso quell'anima che non sarebbe più stata la stessa.
Da dietro l'altare una fiammata attraversò l'aria esplodendo sopra le loro teste.
Lo schianto fragoroso riportò Elias alla realtà e delle parole risuonarono nella sua testa.

Quando vedrete la fiamma ardere nel cielo, significherà che la battaglia si è conclusa.
Potrete abbandonare il campo di battaglia e potremo tornare alle nostre vite.


Due Shadar-Kai lo stavano tenendo fermo e uno di loro gli diceva di calmarsi.
Non poteva calmarsi, non poteva nemmeno tornare alla sua vita, la sua vita non era più la stessa da quando aveva perso suo fratello. La sua vita non gli apparteneva più.
Con l'immagine del fratello ancora vivida nella sua mente e le lacrime sul viso, si girò di scatto liberandosi dalla presa di uno dei grigi ed estrasse il mannarino dal fodero. I soldati si allontanarono stupiti cercando di levarsi dalla traiettoria dell'arma ma non fecero in tempo. Elias li abbatté uno dopo l'altro mentre il suo aspetto cominciava a tornare normale, mentre la pozione finiva il suo effetto. Le iridi tornarono bianche e lo sguardo del negromante tornò freddo, gelido come la lama che attraversava i corpi degli Shadar-Kai.
Il negromante fermò la sua furia omicida accorgendosi di essere rimasto solo sul camminamento. Tutti i grigi si stavano dirigendo in fretta verso l'interno della tomba ignorando completamente la scena appena svoltasi.
L'uomo spostò lo sguardo verso l'esterno, verso l'esercito in rotta. La sua presenza non era più necessaria, il suo impegno era stato persino superiore a quel che avrebbe immaginato e il tutto ad un guadagno zero. Non era riuscito ad entrare nella tomba e ora come ora non ne aveva più la possibilità. Si soffermò un attimo sul ricordo della visione, lo stomaco stretto per la tensione, chiedendosi cosa stesse realmente passando l'anima del fratello in quell'inferno, poi si forzò a muoversi. Un nuovo viaggio nel deserto lo aspettava.






Riassunto Tecnico

Energia rimasta: 56%
Energia consumata:0%
Stato Fisico: Taglio di entità media al petto.
Stato Mentale: Devastato (danno alto).
CS: 1 CS all'Intelligenza.
Consumi: Basso 6% ~ Medio 11% ~ Alto 22% ~ Critico 44%

Abilità passive

Controllo energetico ~ Raggiunto il 10% delle energie infatti, un uomo non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

Passiva Dominio I ~ All'inizio del percorso negromantico, evocare una creatura può sembrare estremamente complesso e dispendioso in termini di tempo, ma con la pratica si può arrivare ad evocare anche più creature contemporaneamente e lo si può fare istantaneamente, senza neanche troppa concentrazione. Questo a patto che tu abbia raggiunto il livello di pratica adatto allo scopo.

L'arte del sotterfugio ~ Possibilità di utilizzare tecniche della classe Ninja.


Commenti

Niente di particolare da dire. Elias si becca il danno alto alla mente manifestato come la visione del fratello torturato da demoni, ammazza qualche nemico e si allontana dal campo di battaglia. :)

 
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view post Posted on 26/5/2013, 12:28
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Maestro
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Quando vide la fiammata rossa, Caino la scorgeva dal fianco.
Si era rintanato, rifuggito in un angolo il più possibile remoto e defilato rispetto alla massa contorta che moriva nel cuore della battaglia. L'aveva fatto per virtù e potenza del suo ego, che rifiutava il vilipendio ulteriore della fatica della guerra in danno alla sua integrità. Rifiutava di sentirsi schiavo di una inspiegabile umanità che - per la prima volta, da molto tempo - l'aveva fatto sentire impotente ed inutile.

Il suo unico scopo falliva innanzi all'evidenza dei fatti: dove fosse Raymond o cosa fosse accaduto, non era dato sapersi.
Non da lui, che era solito sapere tutto. Non da alcuno dei commilitoni, uomini, pelleverde o bestie con cui aveva diviso il rancio, il tempo e lo spazio in quei giorni. Tutto inutile in virtù di una debolezza crescente e di un dissonante spreco di energia in cui ormai consisteva quella campagna nel deserto.
Aveva spartito se stesso con la manovalanza, inerme e contorta, di quella battaglia senza senso e l'aveva fatto per l'unica ragione di comprendere. Di porre un freno alle sue percezioni, alle sue paure ed alle galoppanti fantasie bieche e contorte su presunti complotti o tortuosi inganni che qualcuno profilava all'orizzonte. Era il suo modo di comandare i Quattro Regni: era il suo modo di addivenire ad un controllo più o meno profondo di quanto sarebbe accaduto nel prossimo futuro. In nome del Sovrano.
Ammettere, però, di aver fallito era quanto di più bruciante potesse fare. Per questo si nascondeva dietro la sua maschera, come un qualunque araldo tornato a mani vuote dalla missione: si sarebbe chiuso nell'ipocrisia di un fallimento altrui. Avrebbe schiamazzato l'indolenza dei suoi sottoposti, senza ammettere mai che - da quel compito - era stato lui a venir sopraffatto.
Eppure, non si sarebbe arreso mai: tramando nell'ombra, come è proprio del Sovrano, un giorno l'avrebbe compreso.

Avrebbe compreso Raymond.
Avrebbe compreso anche quella battaglia e quella fiammata che ora scorgeva nel cielo, sopra le teste di chi l'aveva creduta uno spunto di speranza.
« Abbiamo... vinto? » fissò con aria perplessa la figura che volteggiava nel vuoto. La squadrò come si analizza un incomprensibile dipinto; non se ne spiegava l'esistenza ed a più riprese scrutò le nuvole per assicurarsi che non fosse solo un audace scherzo del cielo.
Eppure, il segnale parve attendibile, benché non potesse dirsi altrettanto delle sue intenzioni. L'esercito nemico si ritirava per precauzione, ma i volontari dei Quattro Regni non potevano dirsi affatto vincitori di nulla. Torturati, schierati contro i loro stessi alleati e traditi da una potenza tanto grande da non poter essere affrontata da nessuna spada, apparivano sconfitti - vittime del loro stesso coraggio - e non certo vincitori.
Infine, dalla sabbia apparvero montagne ancor più alte. Picchi ancor più aguzzi della paura che tediava ormai i cuori dei presenti. Giganteschi golem, costrutti ammassati di ferro, roccia e dura pietra che si ergevano come infami colonne sulle speranze dei soldati, ammainando qualunque pavida bandiera di presunzione che potesse rispondere a quell'immagine tanto eloquente.
Avanzando come divinità, non si mischiarono alla pavida reticenza degli altri soldati; non si rintanarono nei cunicoli sottostanti, bensì si levarono per il fine esattamente inverso.
Porre fine alla battaglia.

« Come possiamo aver vinto... Raymond? »
Caino poneva a se stesso domande retoriche. Comprendeva, infatti, lo scopo dell'immagine nel momento stesso in cui si avvedeva della dimensione d'insieme. I pelleverde si rivoltavano contro gli uomini; infami colossi si ergevano sul campo di battaglia; il nemico si rintanava in segrete ove nessuno di loro avrebbe potuto raggiungerli. Il segnale di Raymond era un ultimo tentativo di segnalare ai propri araldi che non c'era più nulla che potesse trattenerli lì, se non la voglia di morire.
Un segnale di fuga, per il cui scopo se ne utilizzava, però, uno di vittoria. In mancanza di alternative valide.
« E' dunque la tua resa, Raymond? » si disse ancora il Priore, incalzando la sua stessa coscienza con tono inspiegabilmente irato
« E' così che servi il Sovrano? »

Quando pronunciò quella parola, qualcosa lo scosse.
Un frastuono languido, inizialmente, che si discostava in più note stonate. Rapidamente, poi, le note assunsero tonalità alte e sempre più vibranti, aumentando di intensità fino a divenire insopportabili. Bieche urla, strozzate tra acuti sibilanti e fastidiosi come i riverberi indomiti di mille cornacchie. Le urla si dispiegarono sul campo di battaglia e Caino stesso dovette portarsi le mani alle orecchie, premendo i palmi contro i lati del suo volto fino a provocarsi dolore.
Il frastuono gli penetrò le orecchie come punte di spillo, fino a cingergli il capo con la violenza di un rimbombo. E di quell'attimo eterno non ricordò molto altro, se non il desiderio folle di staccarsi la testa dal capo.
Socchiuse gli occhi per distinguere ed isolare il dolore, ma dentro di se fu colto dall'ennesima visione. Il frastuono, infatti, parve suggerirgli un'ennesima immagine distorta delle sue paure e quel tono strozzato ed acuto, si tradusse, rapidamente, in una risata sibilata tra i denti.
L'uomo ammantato di rosso, che aveva scrutato poco prima, lo fissava nuovamente, sornione, coprendosi ancor di più il petto con un vello rosso spesso.
Si levò dal trono, avvicinandosi piano alla sua persona. Aveva una maschera velata di nero, con occhi accennati e tratti indecifrabili. Soltanto la bocca era ben visibile: bianca e senza tratti. Sorrideva ancora, con un ghigno arrogante, giovandosi della sofferenza del Priore.

« E tu, Caino? » disse l'uomo, con tono di sfida « ...è cosi che servi me? »
Caino lo fissò con aria perplessa. Che la sua coscienza gli stesse riflettendo l'immagine dell'unica cosa che temeva di più, era evidente.
« Tu-tu... sei il Sovrano? » Un nome dietro il quale giustificarsi: una verità dietro la quale celare mille ragioni. Ecco cos'era, quell'uomo: una parola con la quale autorizzare crimini e scempi. La disgrazia di avere un'idea in nome della quale compiere qualunque delitto per i propri personali fini o accusare gli altri di indecifrabili mali. Forse soltanto al fine di distogliere l'attenzione dalle proprie mancanze; dalle proprie fobie.
E se un giorno quell'idea dovesse render conto di tanti atroci peccati?
« Insegui la verità dietro ad un muro di sabbia, in nome mio ed in nome della dottrina che difendi » chiese l'uomo, senza togliergli gli occhi di dosso « ...ma non è forse vero che insegui il soldato per tuo personale tornaconto? »
Parlando, indugiò sui suoi occhi dorati - apparentemente avulso da qualunque intenzione di venir catturato da essi.
« Tiri le fila di un destino in nome mio, ma con modi e tempi che decidi autonomamente; ti schermi dietro un velo di dottrina, come soltanto io posso fare. »
Infine, si portò a pochi passi dai suoi occhi, ponendosi una mano alla maschera che anch'egli portava in volto e sfilandosela dal capo.
« Eppure... non è forse vero che hai solo paura di perdere il tuo Regno? »
Il volto dietro quell'uomo era il suo stesso volto, ma con qualche anno in meno: Ludwig Lestat Lucavi, prima che diventasse Caino.

« No...! »
Caino riaprì gli occhi. Era ancora lì, dinanzi all'apocalisse che divorava i suoi simili, con colossi alti come montagne che urlavano al vento chiose di terrore.
Non c'era alcun uomo ammantato, trono o paura a fargli da eco nella testa. Aveva stretto i pugni, fino a ferirsi quasi con i suoi stessi artigli. E, dentro di se, aveva ricercato quella potenza che gli era stata indottrinata fino al midollo. Una potenza languida, trasmessa da una verità più antica del tempo - più antica del Regno e del mondo stesso. Una verità che lui aveva trasformato in dottrina del Sovrano, intonato in suo nome ed insegnato in questa forma. Ma che sapeva bene essere tutt'altro.
Che quell'immagine fosse reale o solo una paura inconscia indotta da quel suono, poco importava. Il Sovrano chiedeva conto dei suoi misfatti compiuti dietro il suo nome, ma Caino mai avrebbe voluto - o dovuto - rispondere davvero di ciò. Egli era il Priore cui tutto è concesso. Tutto tranne una cosa: avere paura.
« Noi agiamo in nome del Sovrano a qualunque costo... » ripeté a se stesso, ponendosi una mano sul petto « ...nessuno può discutere il nostro operato »
« Nemmeno il Sovrano stesso »

Infine, sorvolò il campo di battaglia con un'ultima occhiata.
« Ci sarà il tempo in cui Raymond risponderà di quanto accaduto oggi » disse ancora, allontanandosi piano
« in nome del Sovrano »



CS: 6 (2 alla Potenza Fisica; 2 alla Velocità; 2 alla Intelligenza)
Energia: 43% - 13 = 30%
Status fisico/mentale: lacerazioni in più parti del corpo (danno totale alto)/illeso

Passive:
Lo Strumento: Passiva razziale umana, non sviene sotto il 10%, ma si stanca comunque sotto il 20%; Passiva di Primo Livello del dominio Vampirismo, le mani contano come armi naturali, essendo la pelle dura come il ferro e le unghie taglienti come lame, al pari di artigli di stessa fattura; Passiva di Secondo Livello del dominio Vampirismo, benché disturbato dalla luce intensa, i suoi occhi gli permettono di vedere attraverso il buio ed attraverso qualunque ostacolo atto ad ostacolargli la visuale; Passiva di Terzo Livello del dominio Vampirismo, Caino può essere ucciso soltanto qualora gli vengano strappati gli occhi, in quanto non avrebbe più modo di nutrirsi.
Il Potere Passiva Personale (1/10), Caino è in grado di assorbire l'anima dei suoi nemici gradualmente, tanto che la sua semplice vicinanza indurrà nella vittima un'afflizione fisica crescente che gli causerà un senso di stanchezza e rallentamento dei riflessi sempre maggiore al prolungarsi della vicinanza stessa; Passiva Personale (2/10), ogni qual volta Caino contrasta una tecnica avversaria di qualunque tipo ed in qualunque modo, parandone una di natura fisica, annullando una magica o evitando una psionica, guadagna 2 CS alla Potenza Fisica temporanei, fino alla fine del turno, non cumulabili; Bracciale dell'Auspex, Auspex passivo che permette a Caino di individuare qualunque creatura intorno a se.
Il Tempio Passiva personale (5/10), Caino è proprietario dell'Abbazia di Acque Perdute e, come tale, si considera a conoscenza di tutti i tomi in essa contenuti, risultando - in gdr - erudito su gran parte della letteratura, della scienza e della storia contemporanea;
Sii solamente una voce e tralascia i tuoi desideri quando indossa la maschera Caino sarà per ogni suo interlocutore un semplice Corvo, non potendo nessuno riconoscerlo come Ludwig Lestat Lucavi, se non lui stesso (Abilità passiva);
Racconta soltanto la verità e rifuggi gli inganni Caino è in grado di riconoscere le bugie quando indossa la maschera, pur senza comprenderne i dettagli ma la sola esistenza;

Attive:

CITAZIONE
La Perseveranza. La guarigione del dio, però, non riguarderà solo il fisico: infatti, il messaggio del Sovrano canta e risuona nella mente del suo figlio come un mantra infinito che talvolta lo affligge come un male misterioso, come una voce invalidante ed una malattia prossima alla follia più acuta. E' il suo messaggio oscuro ed ingannatore che, però, ha il vantaggio di renderlo immune da qualunque trama avversa che influenzi la mente del figlio del Sovrano in modo simile, benché per scopo diverso. Ed al figlio basterà invocare il canto del Sovrano, ripeterlo nella sua mente, perché, spendendo un quantitativo di energia Variabile (Alto) egli evada influenze psioniche di pari potenza. Infine, il figlio del Sovrano potrà benedire il proprio corpo della potenza del dio, implorando che questi lo renda più resistente a determinate offensive, piuttosto che ad altre.

Riassunto
La visione colpisce Caino come la sua più grande paura (interpretate liberamente l'immagine che subisce), cui - però - si difende con disarmante usata a consumo Alto.
Il resto credo sia chiaro.
 
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view post Posted on 26/5/2013, 17:25

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Non ricordo con esattezza quello che accadde dopo. Lo sguardo spento della giovane Shadar-Kai rimbombava nella mia testa come un'ossessiva campana a morto, mentre la battaglia impazziva attorno a me, fuori da qualunque controllo, da qualunque schema. Nessuna razionalità guidava la brutale furia omicida che muoveva le spade e le braccia di uomini e orchi ridotti a marionette nelle mani di una forza sconosciuta e insensata.

Guardavo, e non vedevo. Il mio sguardo trapassava i caduti, il sangue e gli scontri come se non fossero reali, e urla e clangore giungevano alle mie orecchie come da un'enorme distanza.

Ma poi, qualcosa sfiorò la mia caviglia, e l'orrore esplose.


Zaide gridò.

Lo stato di trance in cui si era rinchiusa più o meno volontariamente le impedì di comprendere immediatamente cosa stesse accadendo. Ma un brivido di panico le percorse la schiena quando, stretta alla sua caviglia, vide la mano insanguinata del cadavere che giaceva nella sabbia a pochi passi da lei.

- Mi hai...Mi hai uccisa...- mormorò con voce sepolcrale la ragazza morta. Spalancò gli occhi, fissando Zaide con odio. - Tante belle parole...sfuggire al dominio del Re di Ferro...erano solo parole, non è così?

Mentre parlava, con immenso sforzo si puntellò sui gomiti e strinse più forte le gambe della strega, paralizzata dalla sorpresa. Non riusciva a ragionare lucidamente, era come se la morta le stesse stritolando tra le dita fredde anche la mente insieme alla carne.

- Non è possibile...- voleva sussurrare, ma la voce le morì in gola.

La pelle olivastra e spigolosa della Shadar-Kai stava ora diventando più liscia e levigata, chiara come madreperla.
Gli occhi azzurri da tempo confinati in un angolo del suo cuore la scrutavano con rimprovero e astio, mentre le mani candide della fanciulla graffiavano la sua pelle fino a farla sanguinare.

- Mi hai uccisa, e mi hai dimenticata...

- Caelian? - questa volta Zaide parlò, nonostante il senso di oppressione che le schiacciava il cuore. - Ma tu...tu non sei morta...Tu sei a Grauenhal...

- Sono morta per mano tua...Sono morta il giorno in cui mi hai voltato le spalle per venire a combattere una guerra che non ti appartiene. Avevi tutto, Strega di Taanach. Amore, ricchezza e potere. Ora hai perso ogni cosa, assieme a me...

- NO!

Zaide si liberò dalla stretta del cadavere calciandolo via.
Alzò gli occhi e vide le enormi sagome avanzare inesorabili sulla piana: dunque non era ancora finita. Si chinò sul corpo inerte di Caelian, ma la fanciulla non era altro che la giovane Shadar-Kai che lei stessa aveva condannato; giaceva riversa nella polvere, inoffensiva e misera come un fantoccio rotto, indifferente al rumore della battaglia, alle sorti degli uomini, al tormento di Zaide.

Era troppo, per lei.

La sua testa aveva ripreso a funzionare, e un pensiero impellente sovrastava tutti gli altri: Caelian, o chiunque avesse parlato per bocca di quel cadavere, aveva ragione. Aveva gettato al vento una vita, una persona amata, il suo futuro: ma forse era ancora in tempo per rimediare.

Un istante dopo, al posto della donna dai capelli rossi si ergeva il mostruoso corvo scheletrico che tutti avevano ormai imparato ad associare alla Strega di Taanach. Incurante del clamore attorno a lei, gettò uno spaventoso grido da far accapponare la pelle, e si levò in volo nell'aria rovente del deserto.

Addio, diceva con quel grido animale. Addio al deserto e ai suoi insegnamenti, addio alla complice amicizia dei pelleverde e degli sciamani, addio a Rekla, preziosa alleata.
E addio a Raymond, alla Shadar-Kai uccisa e a tutti coloro che erano e sarebbero stati schiacciati dalla micidiale volontà di un Re di Ferro abietto e senz'anima. Taanach la aspettava, con le sue strade buie e sporche, i suoi intrighi di potere e le rocce nere del suo castello.

- Vaarwel! - gridò il corvo un'ultima volta. E sparì nel cielo infuocato da un nuovo sole che ardeva sopra il deserto.




Zaide

°concentrazione [+2]
°intuito [+2]

[c. 29%; a. 13%; m. 5%; b. 1%]



Poco da aggiungere: Zaide subisce l'attacco psionico: già turbata dal post precedente non è nelle condizioni di reagire; un'illusione le mostra il cadavere della Shadar-Kai rianimarsi e trasformarsi in Caelian, la sua donna. Ripresasi dalla visione, decide di abbandonare tutto prima ancora di vedere il marchio nel cielo (il "nuovo sole" dell'ultima riga), assume le sembianze di corvo e vola via, lontano da tutto.

Energia:
48% - 13 = 35%

Danni:
Danno alto alla mente.

Passive:
[Passiva di ammaliamento psionico; a seconda dei comportamenti di Zaide e ad interpretazione del personaggio che subisce la tecnica, può istillare in lui lussuria nei confronti della strega o terrore - sta alla vittima decidere quale delle due, coerentemente ai comportamenti e all'aspetto assunto da Zaide]
[Disciplina ferrea e dedizione, ma anche un’innata predisposizione nei confronti di tutto ciò che riguarda la sfera delle conoscenze arcane, sono alla base della capacità di Zaide di percepire istintivamente ciò che è magico attorno a lei, permettendole di svelare illusioni ambientali e avvertire attacchi magici anche alle proprie spalle]
[La portata del suo sapere magico è tale che ogni sua tecnica di natura magica provocherà danni di un livello superiore rispetto al consumo utilizzato, a fronte di una diminuzione delle tecniche fisiche di pari natura]

Attive:
Strega [Alto]

CITAZIONE
[Tecnica di trasformazione a consumo Alto. Zaide assumerà l'aspetto di un corvo gigantesco e deforme, con il teschio snudato e scheletrico, avvolto da continue spire di tenebra che parranno nasconderla e suggerire la sua natura più primordiale. In tale forma i suoi soli artigli saranno grandi come pugnali e, col becco, potranno essere usati come vere e proprie armi. La strega sarà in grado di parlare, ma la sua voce suonerà stridente e mostruosa, di difficile comprensione; potrà volare liberamente nei cieli e, infine, utilizzare le spire di tenebra che circondano il suo corpo come vere e proprie armi naturali: potrà allungarle e darle qualsiasi forma, facendo sì che attacchino il nemico, proprio come se dominasse le ombre - tuttavia gli attacchi delle spire andranno considerati semplici attacchi fisici. In tale forma, Zaide otterrà un potenziamento di 4 CS compensato da un danno basso. La trasformazione dura due turni, compreso quello d'attivazione [Artefatto Strega]




 
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view post Posted on 27/5/2013, 16:33
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Like a paper airplane


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Stavano perdendo, ovviamente. Si stavano decimando da soli, con i grossi orchi che staccavano a mani nude la testa dei soldati dal collo e le corte spade che spezzavano le rosse armature dei pelleverde. Li guardava e non riusciva in alcun modo a fermarli. Si era alzata, compiendo uno sforzo contro se stessa, e zoppicava senza una direzione precisa, cercando di appellarsi a coloro che erano ancora in sé, di motivarli a trovare una soluzione. Ma tutti parevano ignorarla, alcuni addirittura l’avevano guardata come se non la riconoscessero. Poteva dare loro torto? Quella figura, sporca di sangue e di sabbia, il trucco colato miseramente dagli occhi, le lacrime a trascinarlo lungo le guance, poteva veramente essere la Signora d’Oriente?
Non sapeva più che ora fosse tra le Maree, contava solo i propri passi. Uno, e poi un altro, e poi un altro ancora, accompagnati ogni volta da una fitta di dolore. Fino a quando la terra non tremò, facendola barcollare. Si girarono tutti insieme questa volta, amici e nemici, sconvolti da quel tremore immane. Videro il sole oscurarsi nuovamente, ma questa volta una città pareva sorta da sotto i loro piedi. Una città fatta di corpi forti, imbattibili. Solo guardarli la fece tremare. Non avrebbe mai potuto sconfiggerli, questo diceva la superficie delle loro enormi spalle, lo scintillio dei loro sguardi.
Questo gridò la loro voce. A nulla servì turarsi le orecchie con tutta la propria forza. Rimasero tutti impalati a quel suono, che la artigliò nelle viscere, spingendola nuovamente in ginocchio. Non lasciò cadere le mani, come un nuovo Ulisse di fronte alle sirene, eppure il suono era passato, violento, era riuscito ad insinuarsi.
Sbattè le palpebre e una mano le si parò davanti. La riconobbe subito, anche senza bisogno di risalire lungo il braccio magro, lungo il corpo vestito di blu e d’argento, fino al viso coperto a metà da una maschera ghignante. La reggeva con l’altra mano, giocando a proiettare ombre su metà della propria figura, ma era lui non c’era alcun dubbio. Sgranò gli occhi a tal punto che temette le fossero usciti dalle orbite. Lui le sorrideva, come se si ricordasse di lei, come se fosse venuto fin lì apposta per incontrarla.
Non poteva essere. Lui era morto, lui non c’era più. Eppure non era un sogno: sentiva la sabbia contro la pelle, il dolore, il sangue, il calore del proprio terrore stritolarla.



Lui sa cosa hai fatto. Glielo ho detto io”.



L’altro uomo era rimasto pochi passi indietro e si fece avanti solo ora, inginocchiandosi di fronte a lei. Non pareva affatto invecchiato, né consumato dal mondo degli inferi. La sua pelle era sempre la stessa, liscia, senza nemmeno un accenno di barba. Il suo sorriso beffardo si proiettava scintillante negli occhi scuri.
Anche lui era morto, nemmeno troppo tempo prima, se ne era così assicurata, eppure era lì, poteva sentire il calore del suo fiato contro il viso. Poteva sentire le sue mani scostare con dolcezza quelle di lei dalle orecchie. Sapevano cosa aveva fatto. Provò il desiderio di vomitare. E dire che una volta lo aveva amato. E dire che una volta li avrebbe seguiti in capo al mondo.



Gli ho detto che sei una sgualdrina superba. Ti sei presa il suo oriente e la mia vita e ora fai i tuoi luridi banchetti nelle stanze che avrebbero dovuto essere mie. Ci abbiamo lavorato tanto. Ho ucciso tanto per arrivarci”.



Le carezzò una guancia e il suo tocco pareva scottarla. Iniziò a tremare. Il suo sovrano, l’unico sovrano a cui avrebbe mai obbedito, l’unico che avesse mai stimato, era in piedi di fronte a lei e continuava a sorridere. Ma questo non la rassicurava: sapeva bene di cosa fosse capace quel sorriso. Sollevo la mano che prima le aveva porto, puntando il dito indice verso di lei. Si sentì piccola, un atomo infinitesimale della sua considerazione. Lo aveva tradito. Prima con un uomo, poi con una fuga e poi perdendo la sua guerra. Si era arroccata nel suo territorio ignorando quello che accadeva nella capitale, quello che altri stavano architettando. E sapeva che non avrebbe accettato scuse. La stava indicando, la stava condannando.
L’uomo che aveva amato rise. Le sue mani la toccarono di nuovo ma questa volta le immobilizzarono il volto, poggiando le labbra sulle sue. Erano labbra gelide, dal sapore speziato. Le si premette addosso con il proprio corpo vigoroso, privo di ferite, pronto a combattere. Si chiese se fosse quella la sua punizione, l’ultima umiliazione. Continuava a tremare ricoperta da un velo sottile di sudore, mentre l'uomo che mai aveva conosciuto sconfitta continuava a ridere sommessamente. Non poteva vederlo, ma riusciva a sentirlo. Riusciva a diventare folle per il suono di quella voce.
Cercò di parlare, di promettergli che avrebbe fatto qualcosa, che sarebbe tornata nella capitale e avrebbe recuperato il tempo perduto. Di assicurargli che lei gli era fedele. Di non lasciarla morire così.


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La premette a terra, la schiena contro il suolo, mentre cercava di costringerla. Cercò di ribellarsi, scuotendo rabbiosamente il capo. Lei glielo avrebbe potuto giurare. Non sarebbe più rimasta in Oriente, avrebbe sistemato tutto quanto, da sola se anche gli altri non le avessero più creduto.
Improvvisamente l’uomo sopra di lei svanì. Rimase solo l’altro, quello più terribile. Le si era accostato, accovacciato sui talloni in modo da poterla guardare in volto. Le fece scivolare una mano sotto la nuca, puntandole un dito in fronte. Sentì la sua voce sebbene non avesse mosso le labbra.
Hai promesso.
Il suo tocco era terribile, pareva scavarle nella carne più di una lama. Ma non osò distogliere lo sguardo, non osò domandargli nulla, per paura che cambiasse nuovamente idea e riportasse qualcosa d’altro dal mondo dei morti. Lui invece si alzò, e indicò qualcosa alle loro spalle. Si puntellò su un gomito giusto in tempo per vedere passare attraverso tutto il campo un’onda di fuoco.
Quando girò la testa lui non c’era più. In compenso era scappato il parapiglia, con più di una voce che gridava di scappare. Sentiva ancora il contatto con la loro pelle, con le loro parole. Sentiva ancora la paura. Eppure sapeva di essere scampata, per questa volta. Ne era certa. L’avevano lasciata andare via sebbene lei appartenesse già da tempo al mondo di coloro che erano già morti. Se solo avessero voluto se la sarebbero portata via, avrebbero trascinato il suo corpo senz’anima là dove nessuno lo avrebbe trovato.
Pianse lacrime di gratitudine, mentre si alzava, una gamba tremante e l’altra appena in grado di sostenerla, un braccio a reggere il fianco. Continuò a piangere senza potersi fermare, guardando verso l’orizzonte monco dove avrebbe dovuto trovarsi il loro campo.
Un soldato la urtò. Era giovane, troppo per reggere una spada, e i suoi capelli avevano lo stesso colore della cenere. Aveva il viso sporco di sabbia e sangue. Si chiese come fosse sopravvissuto. Quando la guardo, improvvisamente arrossì, colpito dalla bellezza di lei, dal suo fascino innaturale.



Signora, che ci fai in mezzo a questa battaglia? Ti hanno ferita!



Non la conosceva, il suo accento della capitale faceva pensare fosse stato appena una recluta quando lei vi viveva. Sorrise, dolcemente, senza contraddirlo. Gli poggiò una mano sulla spalla, accettando con gratitudine il suo aiuto.



Mi sono persa, soldato. Ma hai ragione: questo non è luogo per noi. Andiamocene”.
Si stupì del suono strozzato della propria voce




Equipaggiamento: Bloody Maries,(indossate); Leviatano (evocato)
Consumi: Critico x1; Alto x2
Energia Residua [100% - (29%) - (13% + 13%)] = 45%
*Anello del potere + Risparmio del Dominio
Danni riportati: Qualche leggera contusione per la caduta; Danno Medio al fianco; Danno Basso al viso; Contusioni su tutto il corpo; ferita di una certa entità alla gamba;
Danno Alto alla psiche

Azioni: La paura più terribile di Dalys si materializza: il suo antico sovrano, Ray, insieme all'uomo che l'ha tradita e ha trucidato la sua famiglia. E' solo un'illusione ovviamente, ma lei si convince i due siano tornati dagli inferi per punirla di aver abbandonato la capitale ed essersi arroccata in oriente. Sconvolta promette loro di tornare indietro a sistemare le cose (mi ricollego così anche alle altre mie quest, come Wakare no Tegami, dove Dalys fa di tutto per tornare in occidente e indagare sui Corvi).
Mi spiace se ho sfruttato la figura di Ray ma, oltre ad essere un obbligo di background e psicologia del personaggio (Dalys è da sempre letteralmente terrorizzata da Ray), mi fa piacere collegarmi anche all'idea dell'indottrinamento (che potrebbe avere il suo peso in questa apparizione) per giustificare le future giocate di Dalys.
Quando viene annunciata la ritirata Dalys si limita ad aggregarsi a un soldato nel mezzo del parapiglia (non si sogna nemmeno di affrontare uno dei mostri enormi e cattivissimi che sono apparsi O:)

Passive in utilizzo




Autocontrollo ~ Al 10% Dalys non sviene

Ammaliamento ~ Risparmio energetico dall'1% al 5% per le tecniche illusorie e aumento di un livello dei loro effetti

Intimità ~ Abilità passiva che induce fascino nell'osservatore

Dominio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie

Equilibrio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie

Derviscio ~ finchè danza con l'arma in mano non può subire colpi fisici



Attive Utilizzate




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Xi.lan
view post Posted on 27/5/2013, 17:49




First peek: Arrival.
L'arrivo alla cattedrale.



La mano elfica aumentò la stretta sulla lancia indistruttibile; il movente di tale azione potrebbe essere la rabbia, la frustrazione, l’odio oppure la paura. Diverse emozioni turbinavano nell’ego e super ego di Illorium, ciascuna nel tentativo di vincere contro le sorelle ed emergere, facendo assumere una posizione definitiva al cacciatore. Si trovava in quel momento circondato da un gruppetto di quattro pelleverde, inutile riflettere sulle loro intenzioni, non ci sarebbe voluto un accademico per capire che avrebbero voluto il suo teschio per berci qualche alcolico di terza categoria.

Quei pensieri gli fecero aumentare ancora la morsa sulla propria arma, facendolo dubitare per una frazione di istante della resistenza dell’arma, la paura di romperla venne sostituita in breve dal ricordo che mai un oggetto forgiato per un elfo del destino si fosse mai rotto e di certo la sua compagna bi centenaria non gli avrebbe giocato uno scherzo di così cattivo gusto. Non in quel momento che avrebbe avuto un bisogno a dir poco disperato di qualcosa che gli permettesse di farsi strada fra gli energumeni.

Rimanere sulla difensiva non gli avrebbe permesso di andarsene da quel posto, si, andarsene perché dubitava di ricevere qualche tipo di premio. L’esercito aveva perso la sua unica chance di conquistare la tomba perché secondo quell’ammasso di muscoli e pochissima materia grigia era più importante far fuori gli alleati mentre i nemici si trovavano ancora in salute, di sterminare prima il nemico comune e poi ricorrere al tradimento. Neppure nell’inganno quegli esseri potevano superare la soglia di demenza.

L’odio lo convinse a non avere il minimo dubbio. La guerra era persa e adesso avrebbe dovuto ricavarsi una via di fuga. Due del quartetto lo attaccarono da due fronti, uno mirando alla testa e l’altro con un’ascia, mentre l’altro al busto con la spada. Il primo fu evitato abbassandosi, mentre per il secondo ricorse alla sua capacità di rendere la propria pelle estremamente scivolosa, evitando il danno.

Sfruttando la posizione in cui si trovava in quel momento usò gli artigli per colpire al piede il pelleverde più vicino, facendolo rovinare a terra in preda al dolore, quel piccolo momento lo fece rallegrare. L’altro aggressore lo liquidò con un affondo, ma dalla parte contundente della lancia e sfruttò il varco offerto dalla confusione per scappare.

Dopo aver utilizzato saggiamente la confusione offertagli tanto gentilmente da uno Shadar-Kai e si nascose in un anfratto. La stanchezza era ormai padrona del suo corpo e le ferite gli facevano tanto male da aver quasi perso la sensibilità al dolore. Quello era un pessimo segnale e quando vide degli esseri talmente grandi da rivaleggiare i giganti che gli avevano permesso di sfondare il portone.

Nella sua situazione affrontare qualcosa del genere era totalmente fuori discussione, non aveva la minima idea di puntare la propria arma verso quel coso. Molti lo avrebbero definito vigliacco, perfino la stessa Illain, ma l’elfo del destino aveva un obbiettivo, e non sarebbe stato li a morire solo per un esercito che non era stato in grado di mantenersi unito fino alla fine.

Il cielo improvvisamente prese fuoco, quello era il segnale prestabilito. Adesso era autorizzato dal comandante, generale o chiunque lo avesse lanciato a scappare. Sarebbe tornato a Basiledra per aspettare Illain. In quel campo di battaglia forse aveva incontrato una sola persona degna di incrociare qualche fendete, una donna con una spada enorme, la cui tecnica o forza avevano permesso di tagliare in due il gigante di ferro che con tanta volontà Blackfang a malapena era riuscito a scalfire il piede. Forse un giorno avrebbe avuto l’onore di incontrarla nuovamente.

Molti dei vecchi nemici erano intenti a ritirarsi nella tomba ed Illorium approfittò della confusione per lasciare il campo di battaglia. Mai più si sarebbe intromesso in una guerra. Per un istante ebbe l’impressione di aver buttato via quel tempo, di non essere cresciuto in nessun aspetto e di aver solo guadagnato delle nuove cicatrici. Si sentiva profondamente deluso ed amareggiato, forse uno dei momenti peggiori della sua vita.

Mai più parteciperò ad un guerra, sono solo morti insensate. E mai mi fiderò ancora di un orco. Una volta sola mi è bastato.





Informazioni tecniche.



- Nome. Illorium Blackfang.
- Energia. Gialla.
- Stato fisico. Ferita alta al braccio, ferita media alla spalla ed al fianco, taglio basso al torace e ferita bassa alla coscia destra.
- Psiche. Deluso.
- Consumi. Basso [6%].
- Energia residua. 54%.
- Passive. Autosufficienza [Immunità alle influenze psioniche passive] e Indistruttibilità della lancia.
- Attive utilizzate. Nessuna.


- Slide.Quando non si è in grado di parare o schivare un attacco, la soluzione più efficace è quella di farlo letteralmente scorrere sulla propria pelle senza che questi sia in grado di provocare un danno. L'uso di questa abilità permette tramite un consumo variabile, la secrezione dai pori presenti nella pelle di una sostanza in grado di far "scivolare" le offensive tangibili sulla pelle dell'elfo del destino senza che questi subisca dei danni. Tale abilità è efficace solamente contro offensive di natura tangibile, come fendenti, proiettili, tecniche magiche legate al ghiaccio, la terra o le piante, ma non contro incantesimi eterei, come il fuoco, il fulmine o altri che non possono essere normalmente toccati.
Il consumo di energia permette la produzione dell'olio in una parte specifica del corpo, come braccio destro, torace, testa ecc.., casomai il caster decidesse di proteggere interamente il suo corpo, questo richiederebbe una spesa di energia di un livello superiore rispetto alla difesa offerta. Tale abilità può essere utilizzata unicamente per fini difensivi.
[Descrizione della prima abilità personale]
 
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view post Posted on 28/5/2013, 20:49
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morpho
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V




Perdevano. Perdevano con onore, con orgoglio, pochi fuggirono, pochi misero in maggior rilievo la propria vita, rispetto alla speranza di vittoria, al giuramento di battaglia. Alla guerra.

Non si coglieva più, ormai, di chi fosse amico o di non lo fosse. Quello stesso onore macchiato dalla stupidità del voler vendicare compagni caduti, di voler combattere a tutti i costi. Di mettere, appunto, in rilievo vite che non meritavano tale trattamento. Perdevano con disonore. Perdevano con volontà, volontà di non arrendersi, di non aprire gli occhi e di porsi un limite. La sabbia inghiottiva ormai gli innumerevoli cadaveri, impossibile stimare una quantità precisa.

La maggior parte degli urli soffocavano muti, senza la possibilità di essere notati. E continuavano a morire, quasi come non potessero fare altro. Perdevano senza volontà, incatenati e costretti a uccidere o essere uccisi. Perdevano senza nemmeno più speranza. L'idea iniziale si era ormai dissipata, lasciando spazio a qualcosa di opposto, di crudele, di scorretto.

Cupi rombi creavano litanie agghiaccianti, precedendo la venuta di ciò che giunse a coprire pure il sole, quasi timido a puntare sulla sabbia fiammeggiante. Quelle urla, si sentivano, invece. Non riuscirono a rimanere bloccate, tante erano le emozioni implacabili. Mostri di pietra e ferro, o per lo meno quello parevano. Pensavano enormi i Golem precedenti, pensavano, scoraggiati, impossibili da battere. Topi, formiche in confronto a questi. E come topi spaventati i guerrieri senza orgoglio correvano, poi si fermavano. Serviva davvero a qualcosa tutto ciò? Confusi, la parola esatta.

Una fiammata solcò il cielo scuro, una fiammata anch'essa confusa. Un segnale chiaro, era stato stabilito. Vittoria. Assurdo, loro perdevano. Fuga. E così gli sciamani fecero, nella loro città, nel loro accampamento. E così i guerrieri fecero, insieme a qualche orco.

Quegli esseri granitici volsero il capo all'alto, e intonarono un canto indefinibile. Causava troppi sentimenti, troppe sensazioni. La testa bruciava e il corpo intorpidiva. Leona guardava tutto ciò, e non capiva. Nessuno capiva, in verità. Perdeva il controllo degli occhi, come forse altri, e sagome mosse comparivano dentro ad essi. Sussurri nella nebbia scavavano nella mente, in tutto il suo corpo. Qualcosa brillò rosseggiante, in fiamme. Buio.

Avevano perso.

Danzava nella nebbia, senza materia, lo sguardo in fuoco. Arti famelici, parole estranee, sbagliate. Non doveva sentirle. Non doveva vedere ciò. Non aveva mai visto nulla del genere. Era morto, senza aver fatto abbastanza. Senza aver fatto niente. Aveva perso.








Energia: 28% (40 - 12)
Stato fisico: Ferita da taglio alla parte sinistra del bacino [Basso], Ustione da elettricità alla spalla sinistra (frontale) [Basso], Lievi graffi/tagli [Danno fisico], Lacerazione non molto profonda sopra il bacino e in fianco al ventre [Medio].
Stato mentale: Dolore e visioni dovute agli urli assordanti e penetranti dei Colossi [Alto].
Capacità Straordinarie: 1CS Destrezza
Bianca

Abilità Passive:
CITAZIONE
Titanio ♦ Il legame instaurato da Leona con la sua arma principale, Helen, è giunto a livelli tali da riuscire a proteggere la stessa, infatti, essa acquista l'indistruttibilità, segno che il metallo che la compone non è più lo stesso, ma che è cresciuto con il loro rapporto.
[Passiva Dominio Incantaspade I: Passiva]

Mente di ghiaccio ♦ Leona è sicuro di non avere soltanto sangue umano dentro al suo corpo, e di questo riesce a fare una forza, infatti, spesso rinnegato, è riuscito a fare di questo una forza; egli infatti è infatti parzialmente immune ad influenze psicologiche.
[Razziale Mezzodemone: Passiva]

Riassunto: Visione generale del campo di battaglia, comparsa dei Golem. Poi il mio pg, anche se ho descritto poco e sinteticamente, vive la comparsa di queste strane figure -non so se nel prossimo post spiegherò- che scrivo come sconfitta, come morte. ovviamente è l'effetto della psiconica.
Note: Breve e un po' conclusivo, nonché vago. Subisco la psiconica. Forse spiegherò in un ultimo post, ma non ne sono certo.



 
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view post Posted on 29/5/2013, 16:13
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Raymond non poté che osservare sbalordito la sua trasformazione allo specchio e ciò in cui il tempo passato nel Deserto dei See l'aveva reso, ora che l'incontro avuto con Chevalier faceva splendere il suo corpo sotto una luce differente, più soffusa, come quella di centinaia di candele.
In quei mesi era diventato più alto ed atletico, recuperando la bella corporatura che aveva perso fra le poltrone di Basiledra; al fianco dei nerboruti pelleverde potevaaddirittura essere scambiato per un loro pari, seppur più gracile. Il suo viso, dall'espressione e dai lineamenti marcati, appariva molto più maturo di quello che aveva quando non era ancora stato sporcato di verde, ed esprimeva una sorta di rassegnata intelligenza; non c'era più traccia dell'abbrutimento di cieca fede e disperazione di un tempo. Uno zelo non del tutto ponderato si nascondeva però ancora in quelle sopracciglia arcuate, e in quegli occhi pieni di un fuoco oscuro; seppur dominato. E le sue maniere avevano una loro rozzezza: troppo rigide per essere aggraziate, e sporcate dall'antica dignità.
In tutta risposta a quello sgradevole messaggio di sé, Raymond colpì lo specchio con la mano aperta, mandandolo in frantumi e sfogando in quel patetico gesto di debolezza tutta la frustrazione per ciò che successo fino a quel momento.

La battaglia si era conclusa qualche ora prima, al segnale di fuoco che aveva lanciato nel cielo. Uscito dai sotterranei della Tomba della Chimera il Lancaster si era immediatamente ridiretto all'accampamento del suo esercito, convinto di trovare una massa di persone in attesa di una sua spiegazione, comprensibilmente necessaria a comprendere la natura di quel segnale così dibattuto. Aveva immaginato che non molti fra i suoi seguaci sarebbero stati soddisfatti della battaglia, ma la scena che gli si parò innanzi lo lasciò comunque stupito ed inviperito: di tutti gli uomini che era riuscito a reclutare meno di un centinaio erano tornati all'accampamento, e non per le esagerati morti sul campo di battaglia - affatto! - ma bensì per una falsata - o forse incredibilmente esatta - percezione del risultato di quella battaglia. I più avevano interpretato il suo segnale di fuoco come una tromba che suona la ritirata, ed erano scappati ridirigendosi alle proprie case senza neppure questionarsi su ciò che avesse compiuto Raymond nelle oscurità del sottosuolo, mentre loro erano impegnati a combattere. I pelleverde poi si erano sentiti comprensibilmente traditi da tutto ciò che era successo in superficie - fatti dei quali Raymond venne messo al corrente solamente in quell'occasione - e avevano abbandonato l'esercito rinnovando le loro ostilità: mai più si sarebbero alleati con gli esseri umani e mai più avrebbero tentato di comprendere i loro piani. Il Lancaster si era dimostrato per l'ennesima volta solamente un portatore di sventura; un matto dalle incomprensibili mire; uno stratega stupido ed inesperto.

Prima di incontrare i pochi uomini rimasti in attesa di una risposta, era andato a lavarsi via dal corpo lo sporco della sabbia e del sangue, trascinandosi dietro un fagotto intirizzito e pesante, che aveva abbandonato in un angolo della stanza. La sfiducia dei suoi uomini poteva anche essere comprensibile, ma questo non gli impedì di provare un senso di profonda rabbia che decise di tenere per sé, seppellendolo sotto una lunga serie di respiri misurati e sfogandolo con il proprio pugno contro lo specchio.

Doveva essere stato quel rumore ad attirare il soldato, perché quando si voltò vide un ragazzo indugiare sulla soglia della sua tenda, indeciso se rimanere o tornare più tardi.
« Sir, di là stanno ancora attendendo una spiegazione... »
Gli disse con tono ballonzolante, stropicciando le dita contro una gamba dei propri pantaloni per l'imbarazzo. Raymond in tutta risposta gli lanciò uno sguardo di puro odio prima di afferrare il fagotto e dirigersi verso la mensa.

Ed eccoli lì: cento uomini al più tutti seduti ad attendere chissà quale rivelazione, perso qualsiasi barlume di speranza. Questo era ciò che gli rimaneva di tutti gli sforzi che aveva compiuto e di tutti i soldati che aveva raccolto: una tragedia di disperati che erano tornati all'accampamento più per stringere le loro dita sui boccali di vino piuttosto che per concedersi un sano grido di speranza. In accordo con il disagio che percepì appena si presentò nella sala, Raymond decise di impostare il suo discorso più come un rimprovero che come una felicitazione. Sbatté il fagotto sporco e impregnato di sangue su uno dei banchi della mensa e, una volta certo di avere l'attenzione di tutti quelli presenti in sala, cominciò:

« So che pensate di aver perso questa battaglia; so che credete che il vostro sangue non sia valso nulla; so anche che molti di voi vorrebbero andarsene tanto rapidamente quanto hanno fatto i nostri alleati pelleverde, e tornare alla vostra vita di sempre; e non preoccupatevi, questo vi sarà concesso. »
« So come vi sentite. »

Lo disse con tono severo, con la stessa lingua di cui gli aveva fatto dono suo padre. Non un briciolo di compassione traspariva dal suo sguardo, che dardeggiava per la sala come alla ricerca di un capro espiatorio da incolpare di tutta quella indolenza, invano.

« Ciò che abbiamo fatto oggi ha richiesto immensi sacrifici: nessuno tranne voi ricorderà i vostri compagni caduti in battaglia, né aspettatevi che al vostro ritorno a casa i vicini vi accolgano come eroi. Nessuno crederà alla vostra storia, poiché non è storia che vada raccontata. Sarete pagati per ciò che avete fatto, e l'oro dovrà bastarvi, seppur con esso potrete godere in silenzio anche della certezza di aver contribuito alla salvezza dei Quattro Regni. Dicono che basti tagliare la testa ad un serpente perché muoia anche il corpo, e così io ho fatto. »

Con un gesto di stizza Raymond svuotò il fagotto sanguinolento sul tavolo della mensa, e da esso rotolò fuori quella che - nell'orrore generale - non poteva che essere una testa. Apparteneva ad un uomo dalla pelle scura, coi capelli rasati e il viso ornato da innumerevoli accessori di metallo: Razelan Vaash.

« Era intento dei nostri nemici sfruttare il nome di Razelan Vaash per piegare l'intero meridione alla loro causa. Avrebbero fatto di quella famiglia nemici di Basiledra, incrinato i rapporti con l'impero e infine diviso i Quattro Regni interi. Senza più quel legame, tuttavia, l'Ala Rubra non è altro che una massa di eretici sepolta nel deserto. I loro costrutti non saranno mai abbastanza per abbattere l'impero, né le loro illusioni così estese da toccare la capitale - avevano bisogno di un appoggio ben più grande per riuscirci, ed è questo appoggio ciò che noi oggi abbiamo abbattuto. »

Non menzionò il fatto che Chevalier avrebbe potuto impossessarsi di un secondo Vaash con moderata semplicità, poiché non lo credeva plausibile neppure lui. Come lo stesso costrutto aveva affermato, loro due erano incredibilmente simili; il Golem non si sarebbe arrischiato a compiere una seconda volta la stessa mossa ben sapendo che poteva invece limitarsi ad attendere pazientemente una nuova opportunità. Aveva tutta l'eternità davanti a sé, e la protezione delle spoglie di suo figlio era la sua unica priorità, non l'abbattimento dei Quattro Regni.
Erano i Corvi Eretici - seppur sotto la sua influenza - a desiderare la caduta di Sennar Sigvhat, questo l'aveva compreso. Senza l'appoggio di Razelan Vaash - o del suo corpo usato come un burattino - e della sua famiglia, il loro piano non restava tuttavia che un sogno irrealizzabile.

« E se i nostri amici pelleverde fossero qui con noi, oggi, saprebbero anche loro che l'uomo che li considerava dei mostri senz'anima e che ha ordinato che venissero epurati è stato eliminato lui stesso. Saprebbero che anche loro non rischiano più nulla, fintanto che non attacchino di propria volontà la Tomba della Chimera. »

Pronunciò queste parole con rabbia, non senza nascondere un certo astio. I chierici dei pelleverde non avevano mai avuto alcuna fiducia in lui, e alla fine avevano persino perso la speranza che potesse concludere qualcosa di buono, non presentandosi a quella riunione. Ciò nonostante Raymond aveva compiuto per loro ben più di quanto qualsiasi umano avesse mai fatto nei confronti di un orco, e questa sensazione avvampò la sensazione di tradimento che già bruciava da qualche minuto nel suo petto, alzando la sua voce di qualche tacca e inasprendo ancor di più il suo sguardo.

« Oggi abbiamo visto nascere un nuovo, potente, nemico; certo. Ma gli abbiamo anche impedito di avviluppare in silenzio le proprie spire contro il regno. Questo è il segreto che potrete portarvi nell'anima da oggi in poi, e la frase che ripeterete guardandovi allo specchio ogni mattina: io ho salvato la pace. E non c'è uomo che possa sottrarvi questa gratificazione, né contraddire ciò che avete compiuto. »

Ebbe un attimo di esitazione prima di pronunciare la frase seguente, indeciso sulla sua veridicità. Voleva che gli uomini sapessero quanto grandiosa fosse la vera opera, e l'odio che aveva iniziato a provare nei confronti della sua chiesa già da qualche tempo era ormai un incendio che gli bruciava in tutti gli arti, incontrollabile ed inestinguibile. Le parole di Chevalier non avevano fatto altro che alimentarlo, ma benché Raymond sapesse ora che le parole dei Corvi non fossero altro che menzogne, ancora non riusciva ad abbandonare l'idea che da qualche parte, lontanissimo da lui, dall'Ala Rubra e da quel deserto, il Sovrano esistesse. E in quel momento lo sguardo del Dio era poggiato su di lui e lo osservava mentre pronunciava parole che la sua chiesa avrebbe dichiarato bestemmie, ed era orgoglioso di lui.

« I Corvi faranno di tutto per oscurare con le loro ali scure ciò che avete fatto oggi, ma non avete nulla da temere: »
« il Sovrano è dalla nostra parte; non protegge né loro, né i nostri nemici. »

E sull'onda di quell'ultima blasfema affermazione, tacque. I soldati alzarono i calici di vino con aria abbattuta al suo discorso, per nulla incoraggiati, e lui voltò loro le spalle con severità.
Il discorso avuto con Chevalier l'aveva come svegliato da un antico torpore, seppur chiudendo il suo cuore in una gabbia di ferro. Le molte rivelazioni alle quali aveva assistito faticavano ancora a trovare uno spazio all'interno della sua mente, figurarsi a fuoriuscire sensatamente dalle sue labbra. Su molte cose, poi, il Golem aveva avuto ragione, seppur indottrinato lui stesso dai suoi piani diabolici.

Era vero, loro due erano molto simili. Ma non in quel tempo Raymond Lancaster avrebbe ceduto così semplicemente all'influenza del proprio nemico, né forse mai. Centinaia di anni di patimento li dividevano, e benché vivessero il dolore allo stesso modo, un abisso di lamenti lo separava dal costrutto, che aveva sofferto in vita e in morte mille volte più di lui.
E tuttavia, anche un'altra cosa era vera:

Come Raymond non poteva mancare di sentire, sentendosi profondamente insignificante, non esisteva davvero alcuna trama: nessun disegno, né grande macchinazione.
Lui, e come lui tutti gli altri, non erano che granelli di sabbia trasportati dal vento.



CITAZIONE
E così si conclude Sandstorm; quantomeno la parte giocata :v: userò poi il topic in confronto per ringraziarvi adeguatamente e commentare; qui voglio soltanto dissetare la vostra sete di ricompense:

Ray~: 200G
Zaide: 300G
J!mmy: 300G e un punto promozione. (questo punto può essere interpretato come la somma di tutti i progressi che ti ho visto fare nel corso di Sandstorm, e che hanno raggiunto il loro culmine negli ultimi post di questa scena.)
Janz: 300G
Majo_Anna: 275G
Stella Alpina: 275G e un punto promozione. (partecipativo, puntuale, bello da leggere e volenteroso; mi sono sorpreso nello scoprirti gialla.)
Alan~: 225G
Xi.lan: 225G
Yomi: 225G
Capitan_Kuro: 50G

Spero che la scena vi sia piaciuta, davvero.
 
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J!mmy
view post Posted on 29/5/2013, 20:27




Stronzi e carogne: il mondo ne era pieno, ma Davos Pogwish si sentiva decisamente parte di entrambi.
Qualcosa, nell’atmosfera stantia e satura del fetore del legno marcito, si schiantò a mezz’aria. Una panca, ampia un metro scarso, era appena stata scaraventata contro una delle pareti della taverna, deflagrando in un’infinità di minuscole schegge acuminate. Poco dopo, un ubriacone si era scagliato furibondo su quello che fino a qualche istante prima era stato il proprio compagno di bevuta, accusandolo di essersi scopato una moglie che probabilmente – data la sbronza – neppure esisteva. C’erano voluti solo pochi secondi prima che lo scontro si estendesse alla quasi totalità della clientela di quella lurida e reprimente bettola, tra imprecazioni, bestemmie e il tonfo sordo di pugni che impattavano sulla carne. Perché continuasse a venirci, in quella locanda, rimaneva ancora un mistero.
Forse perché era l’unico buco di sterco che sentiva davvero familiare, in qualche perversa maniera. O forse perché non aveva semplicemente nessun altro posto in cui rintanarsi quando il sole tramontava. "Palla d’argento", si chiamava; ma di argento, là dentro, non ve n’era neppure l’ombra.

« Metà ora, metà a lavoro compiuto. »
Davos era accomodato ai bordi di un piccolo tavolo rettangolare, osservando accuratamente la ressa farsi sempre più folta, i corpi madidi degl’uomini strofinarsi gli uni sugli altri e rovinare goffi e panciuti sul pavimento zuppo d’alcol. Uno spettacolo raccapricciante, senza dubbio, ma che non poté esimersi dal seguire con estrema attenzione. Sperava che qualcuno ci lasciasse le penne, sperava che un cadavere affiorasse nella calca come un macabro fiore su aride terre d’inverno. Dopotutto, erano tempi duri, quelli.
Al contrario suo, la figura all’altro capo della tavolata non sembrava smettere di fissarlo. Portava una strana maschera in porcellana, semicoperta da un manto di colore nero come la pece, più nero del sangue stesso. L’intera immagine dell’interlocutore, in verità, era un nero che si sovrapponeva ad altro nero, cosa che gli arrecò un certo senso di assoluto disagio. Nero come un avvoltoio: una prerogativa che apparteneva a Davos e a nessun altro.
« E spero che abbiate pronta la mia ricompensa, perché non sono uno a cui piace aspettare » riprese, emettendo un suono quasi gutturale nel tentativo di soverchiare le urla della sala.
Il contrabbandiere di cadaveri vestiva panni semplici, per gran parte anche improvvisati. Slavate ciocche di capelli spessi come paglia ricadevano molli su un pettorale in cuoio grezzo lavorato alla men peggio, il quale sovrastava una tunica in lana bianca usurata e stracciata in davvero troppi punti. Le guance, incavate e aspre come rocce, erano tempestate a chiazze da ispido pelo bianco che gli conferiva un aspetto degno del peggior mendicante di strada di Basiledra.
Al termine delle sue parole, l’interlocutore non aveva mosso un muscolo.
Lo guardava, piuttosto, come faceva da quando aveva posato le natiche sullo sgabello, un atteggiamento che lo irritava e inquietava al contempo. Tra tutte le creature del continente, mai si sarebbe atteso una qualsivoglia richiesta da parte loro, né tantomeno avrebbe potuto immaginare che l’avrebbe accolta con una tale sveltezza.
D’altronde, però, il sonante bacio del denaro aveva sempre avuto nei suoi confronti un certo, impellente influsso. Tremila monete d’oro erano più di quanto avrebbe potuto fruttargli quel suo impiego in un intero anno di attività, e l’idea di poterle guadagnare tutte in una quantità di tempo pari soltanto a quella che serviva per calare un affondo su un corpo debole lo aveva allettato immediatamente. Perché quei tipi pagassero tanto per liberarsi di una donna che essi stessi avevano investito, poi, non gli era dato saperlo.
Vero era che fossero gente alquanto strana, quei corvi, benché gl’importasse in fondo meno che niente. “Devi eliminare Rekla Estgardel” gli avevano detto “Ma devi impedire che chiunque colleghi a noi la sua dipartita”.
Discrezione, insomma: un’arma che Davos conosceva assai bene.
La mano sinistra, calma e ponderata, scivolò su per il petto e raggiunse un piccolo sacchetto che il contrabbandiere portava allacciato al collo. Solo lui ne conosceva il contenuto, e non eruppe alcun suono dall’interno neppure quando le dita presero a giocherellarci nervosamente, sbatacchiandolo.
Dal moncherino all’estremità dell’arto opposto, invece, si protendeva una mano che non esisteva e che proiettava nella sua mente formicolii altrettanto inesistenti. Per un attimo, ebbe quasi l’impressione di poter agguantare la pinta di birra che gli stava davanti e rovesciarne il contenuto sul tavolo già fradicio, ma di farlo con la mano monca, con quella che i dannati dei gli avevano ingiustamente portato via.
“Guarda come mi ha ridotto il tuo fottutissimo Sovrano” avrebbe voluto berciare in faccia all’interlocutore “Ammira l’immensità della sua compassione”.

« Fa' il tuo dovere e avrai quello che chiedi » rispose d’un tratto il prelato, impassibile.
Quella frase colse Davos alla sprovvista, eppure lo divertì parecchio scoprire che quei maledetti uccellacci avevano ancora una voce da poter far sentire, e che sapessero pronunciare anche parole che non contenessero un’implicita supplica nei confronti del loro insulso dio-del-niente. Gli apparivano così deboli, in fondo, che quasi provò pena per loro. Persino per abbattere un nemico avevano dovuto assoldare un cacciatore di teste che lo facesse al posto loro. Era quella la forza che il Sovrano conferiva a chi sceglieva di servirlo? Era quella la blasonata prontezza di spirito del Clan Toryu?
Davos non era uno sprovveduto. Amava sporcarsi le mani, strappare via dai polmoni l’ultimo alito di vita di un uomo, ma detestava farlo a sproposito. Una parte di sé credeva che, se mai avesse abusato della morte altrui, uccidere non gli avrebbe più procurato il medesimo piacere, un giorno; e a quel punto, fare ciò che andava fatto sarebbe stato solo un peso di troppo sulla coscienza di un dannato assassino.
Annuì, lentamente, mentre barbagli di torce scosse dal vento illuminavano quel che rimaneva di una taverna già devastata dalla trascuratezza. Vide seggiole ribaltate, boccali di birra frantumati sulle tavole del pavimento, uomini vecchi e giovani riversi al suolo privi di sensi. "Nessuno si prenderà cura di loro, questa notte" pensò.
Non poteva dirsi lo stesso per Davos, invece; del resto, aveva pagato per questo.
Una donna gli si avvicinò cautamente. Aveva la pelle del colore dell’ebano, sottili palpebre affusolate, labbra carnose, fianchi snelli e lunghi capelli neri che ricadevano morbidi su uno dei due prosperi seni lasciati scoperti.

« Ecco il mio miglior cliente » canticchiò come una bimba « Davos lo Spezzacarne. »
Davos sentì la virilità indurirsi al solo udirla aprir bocca. Non era il meraviglioso corpo esibito dalla fanciulla, però, ma il modo in cui l’aveva chiamato a fargli quell’effetto. Nei suoi lunghi anni di vita, compresi quelli trascorsi alle sporadiche dipendenze del Leviatano, il volgo gli aveva cucito addosso i più disparati e riprovevoli dei soprannomi, soprannomi che raramente era riuscito ad accettare: "Davos il Mutilato", "Davos Mano-di-burro", "Davos il Ladro di cadaveri"; aveva addirittura ucciso per depennare quei nomignoli, benché invano. Lo seguivano come ombre, incollate ai talloni e atte solo a squarciargli l’ego ogniqualvolta gliele sputassero indosso.
Ma “Davos lo Spezzacarne”... quello gli piaceva davvero.
La sua bocca si piegò, abbozzando qualcosa di agghiacciante, lontanamente simile a un ghigno eccitato e costellato da un’alternanza cacofonica di denti marci e altri placcati in oro.
La fanciulla rispose ammiccando e si appollaiò con delicatezza sulle ginocchia di lui, che solo allora parve notare i seni nudi e turgidi. Allontanò la mano buona dal sacchetto, quindi, e gliel’appoggiò dritta sul petto, godendosi il mero piacere del tatto: Lysandra, inenarrabile splendore delle Isole del Fuoco, sarebbe sempre stata lì, pronta a compiacerlo, pronta per lui.
Si alzarono. Prima di dileguarsi con la donna, Davos volse un’ultima volta il capo in direzione del prete, immobile persino adesso come lo era stato fin dal principio. Gli parve di sentire le ossa della sua mandibola sfrigolare per lo sforzo di sorridere, probabilmente, da qualche parte sotto quella maschera.

« Spero che ora mi scuserai, corvo, ma ho una puttana da accontentare... »
... e una di cui liberarmi.
Ma questo, Davos lo Spezzacarne, ebbe il buonsenso di non dirlo.

aWo12

Crack!
Fu quell’unico suono ad annunciarlo. Rochelle - la lunga spada dentata - sibilò mentre penetrava con fatalità il petto magro della donna. Rekla Estgardel non poté neppure guardare in volto il proprio assassino, stramazzando esanime come se quel singolo affondo le avesse tolto d’improvviso ogni energia.
Semplice, anche troppo. L’aveva colta con la guardia bassa, le braccia spalancate mentre si rivolgeva all’uomo che adesso lo fissava esterrefatto, sconvolto. Con passo felpato, Davos era sgusciato tra i corpi vivi e morti dei soldati di entrambe le fazioni, snudando la spada nello stesso istante in cui aveva ritenuto opportuno colpire, preciso, letale, prim’ancora che chiunque, in quel campo, potesse rendersi conto di chi fosse o di cosa stesse facendo. Era stato così facile che quasi non provò alcun piacere nel farlo. Quasi.

« C-Cosa... h-hai fatto?! » biascicò il soldato, serrando la mano sull’impugnatura dell’acciaio.
In passato, aveva sentito parlare spesso di Nicholas Varry, l’Immortale, il Lord Assassino, ma solo ora che lo aveva davanti capiva effettivamente chi fosse. Il Primo Consigliere gli appariva meno terrificante di quanto aveva udito blaterare nei quartieri malfamati di Basiledra. Si diceva che avesse corna lunghe e ricurve, artigli inzaccherati del sangue dei nemici, canini aguzzi come la più feroce delle bestie. Ma la verità era che era un uomo come tanti altri, con orecchie, naso, bocca, mani... e debolezze.
La sua si chiamava Rekla Estgardel.

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« FIGLIO DI PUTTANAAAA!!!!! »
Accadde tutto in una manciata di secondi: il soldato scattò verso di lui, la lama che spandeva vividi riflessi purpurei che si issava e sferzava con prepotenza. Per Davos, segaligno e rapido come una serpe, evitare un colpo del genere – potente, ma per questo estremamente lento – fu quanto di più facile potesse esserci. Scartò di lato, rinfoderando Rochelle e afferrando il sacchetto scuro che pendeva dal colletto della casacca.

« Sei un bastardo fortunato, tu » abbaiò, mentre quello che sembrava un dito indice decomposto e mutilato affiorava dai bordi sbrindellati della sacca « Non fai parte dell’accordo, quindi non posso ucciderti. »
Mosse il pezzo di carne putrefatta fino alle labbra, quindi lo spinse dentro con disinvoltura.
Duevite ebbe come l’impressione che le viscere gli si attorcigliassero ed esplodessero nel ventre, iniettando nello stomaco un lauto senso di ribrezzo alla vista di ciò che gli si stava parando dinanzi. Si chinò su stesso, tentando disperatamente di resistere al vomito. Fallì.
« Necrophagia » sussurrò l’altro tra sè.
Nicholas poté scorgere piccoli arti decomposti spuntare dalla sabbia e ghermire le caviglie dell’avversario, il cui corpo iniziava ad assumere pose grottesche e inverosimili. Lo vide sorridergli, schernirlo, mentre svestiva il turbante e mostrava il proprio volto al Consigliere, cosicché potesse conoscere le fattezze di chi gli aveva tolto tutto. Il sorriso divenne subito una ragliante risata, mentre poco a poco il terreno lo inghiottiva, risucchiandolo in un turbinio frenetico di braccia prive di pelle, muscoli e dignità che graffiavano, dilaniavano, strappavano affamate. Denso sangue sgorgò dalle ferite ancora fresche di alcune di esse, frammenti d’osso si spezzarono e caddero da altre. Benché fosse un essere ormai abituato alla morte, Nicholas percepì qualcosa di chiaramente orrendo e disgustoso farsi strada in quell’immagine.
Alla fine, la crepa nella sabbia si richiuse, e Davos Pogwish si dileguò

trascinandosi dietro ogni speranza di vendicare la Nera Regina.



Edited by J!mmy - 10/9/2013, 12:34
 
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