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Perchè quella perfetta non esiste., Contest Agosto - Cura

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Fanie Elberim
view post Posted on 26/8/2013, 22:31





Quella perfetta non esiste.


Cosa significa cura, per un popolo il cui unico nemico è il tempo? Cosa è una cura in una razza che non contrae nemmeno l'influenza od il raffreddore? Cura è una parola che possiede un significato molto profondo e che gli umani usano impropriamente per ogni genere di guarigione a cui sia associato un benessere successivo. Non mi fa più male la testa, quella cura ha funzionato benissimo! Ho bisogno di curare la mia schiena dopo quella brutta caduta! Ed esiste sempre una cura per la malattia degli esseri umani. Perché gli esseri umani stessi sono, a detta di molti elfi, una malattia della terra stessa. Ma per gli elfi il discorso è molto più lungo e più articolato, ed una mente umana non può capirlo nemmeno sforzandosi da qui all'infinito.


Con una gamba a penzoloni nel vuoto sotto di me, restavo come immobile ad osservare il cielo notturno illuminato quasi a giorno da una splendida luna piena. Mi piaceva starmene su quel ramo, poco distante dalla finestra della mia casa-albero nei boschi poco fuori Basiledra, ad ascoltare il sussurrare del vento e il cantare degli animali notturni, intenti nella loro vita. Avevo con me solo una piccola lanterna ad olio per illuminare i rami durante i movimenti, illuminava poco e niente, ma a me bastava per non sentirmi inutilmente sola e perduta nella vastità dei miei pensieri. La mia più grande paura era quella di scomparire senza lasciare traccia, di passare come un semplice colpo di spugna su una lavagna d'ardesia già pulita, un semplice alone di contorno in un mondo costellato di macchie d'odio ed incrostazioni di rabbia. Ed il mio unico conforto, in momenti solitari come quelli, era osservare la luna e contare le stelle dell'infinito cielo. Ricordando.

La prima volta che ho scoperto cosa volesse dire scomparire fu poco dopo la morte di Fal. La mia esistenza era già triste e solitaria e con la perdita del mio grande maestro la mia vita si era sempre di più ridotta ad una fessura da cui spirava poca luce. Iniziai a cercare una risposta per conto mio, leggendo e studiando, molto spesso persino sognando quale avrebbe potuto essere la soluzione al mio dolore, ma non mi ponevo le domande giuste e continuavo a girare attorno al problema, a soffrire e soffrire all'infinito per una mancanza che nessuno e niente riusciva a colmare. Migliorando sempre di più nelle mie arti di guaritrice non riuscivo a capire come mai non vi fosse alcun rimedio per la mia situazione, per la mia tristezza. Eppure mia madre diceva che per tutto v'era un rimedio, dalla tosse alle gambe rotte, dal mal di testa a quello di denti. Ed io sorridevo, come ipnotizzata, quasi per sbaglio, da quelle dolci parole pronunciate da una madre amorevole per non spaventare la figlia. Ma sbagliava, doveva insegnarmi da subito quale era la verità sulla mia situazione, ciò che avrei dovuto affrontare vita natural durante finché la natura non mi avesse richiamato a se.



Un gufo fece capolino da dentro il tronco di un albero e parve sorridermi. Solo gli animali riuscivano a comprendermi. Non era così raro per un'elfa avere amici animali, questo no, ma il mio era un rapporto quasi simbiotico senza il quale qualcosa si sarebbe rotto per sempre nella mia vita. Ed anche ora, dopo anni, per quanto mi sforzassi di vivere una vita piena, fusa con la società umana ed assolutamente priva di rimpianti, qualcosa tornava a bussare al mio cuore nelle notti di luna piena, ululando come un licantropo affamato, sempre più forte. Accarezzai la testa del rapace, quello emise un verso di soddisfazione lasciandosi coccolare prima di volare verso la città, a caccia.

Avevo imparato a fare molte cose nel periodo immediatamente successivo alla morte di Fal, molte delle quali non avrei nemmeno voluto davvero apprendere, ma piuttosto che restare a commiserarmi chiusa nella mia piccola e buia camera, avevo scelto di tenere la mente occupata. Quale che fosse l'occupazione mi era indifferente: pulire, cacciare, cucinare, studiare. Bastava che non fosse ricordare. Il ricordo era la mia malattia più dolorosa, il mio punto più vulnerabile in assoluto ed anche l'unico che non riuscivo a sanare in alcuna maniera. Un giorno, stanca e infelice, andai a parlare con mia madre di questo mio problema chiedendo se almeno lei conosceva il migliore rimedio per sopportare quel dolore che mi dilaniava come un taglio sempre aperto nel profondo del cuore. Ma lei non rispose, si limitò a scuotere la testa e cambiare discorso per giorni, settimane, mesi. Era come se la mia vita avesse perso totalmente significato, nessuno voleva aiutarmi ad elaborare il lutto, nessuno mi spiegava cosa fosse successo alla mia anima quando avevo dovuto privarmi di Fal. Alla fine, presa più dalla disperazione che dal dolore vero e proprio, decisi di cancellarmi la memoria con un incantesimo trovato nei libri del consiglio dei saggi. Volevo semplicemente dimenticare, passare oltre, fare come se nulla fosse successo e cercare di ignorare per sempre quella sensazione così opprimente ed insostenibile di mancanza. Ero stupida e sciocca, credevo che dimenticare avesse una valenza, credevo che per stare bene bisognasse lasciarsi alle spalle tutto quanto e vedere con occhi diversi il mondo. Ma non mi sentivo capace di farlo, ero una disgrazia per la mia razza poiché mentre tutti sembravano aver superato la morte di uno di noi, io vi restavo impigliata come in una ragnatela appiccicosa e continuavo a muovermi e scalciare, come un animale impazzito, facendomi risucchiare sempre più giù, Nell'oblio.

Ricorderò per sempre il dolore dello schiaffo ricevuto da mia madre quando mi scoprì ad armeggiare con poteri ben oltre la mia comprensione. Non era un dolore solo fisico, ma anche interiore, perché non ero riuscita nemmeno in quel caso a fare qualcosa che rendesse qualcuno orgoglioso di me. « Sei una ragazzina stupida! Come ti è saltato in mente di fare un'idiozia del genere? Cosa pensavi di fare? Ti rendi conto di quello che penserebbe Fal? E di quello che penserebbero tutti gli altri se facessi qualcosa di così... così stupido! Io non capisco davvero... » e le parole continuavano a susseguirsi in un turbinio distorto e confuso che non riuscivo a seguire. Mi sentivo a pezzi, non riuscivo a riposare, mi mancava un pezzo di anima e non ricordavo minimamente dove l'avevo lasciato. Prendevo tisane, mangiavo cibo solido solo per sentire il sapore nel palato, come se fosse uno sfizio quasi inutile fatto per passare il tempo. E la luce nei miei occhi s'affievoliva ogni giorno di più.



Quale poteva essere la verità sul mio stare male? Guardai distrattamente la Cattedrale in lontananza. Quella era stata la loro cura, una religione che sopperisse al loro dolore, allo smarrimento. Ma per me non c'era stato niente del genere, non avevo nessuno disposto ad indorarmi la pillola. Non per cattiveria, no, vedevo la tristezza ed il rimorso negli occhi di mia madre nel vedermi giocare con il cucchiaio da minestra a tavola, ma non poteva fare nulla per aiutarmi. Ciò che avevo dentro doveva ancora maturare un poco, doveva crescere e diventare abbastanza comprensibile da essere assimilato dalla mia fragile psicologia, molto diversa rispetto a quella degli altri elfi. Lei lo aveva capito che non avrei sopportato la verità sul mio dolore, lei lo sapeva che avevo bisogno di più tempo. Ed alla fine, quando avevo perso praticamente le speranze, mi venne a trovare in camera mia durante un giorno di pioggia. L'aria era fresca e l'odore di bagnato ed umido pungente permeava la stanza. « Fanie... » si sedette accanto a me accarezzandomi i capelli con un gesto così meraviglioso che a pensarci adesso il cuore mi freme un poco. « ...So che tu non sei come le altre ragazze del villaggio, avevi bisogno del tuo tempo ma adesso credo che sia il momento di aiutarti a capire ciò che ti sfugge. » non la guardai nemmeno negli occhi, restai immobile a fissare il nulla fuori dalla finestra come un'anima in pena che fissa lo scopo, irraggiungibile, della sua passata esistenza. « Tu hai imparato molto come guaritrice e mi chiedi sempre perché non riesci a guarire il dolore che ti fa male dentro. La verità è che non si può guarire un dolore del genere... lo si può solo sopportare fino a che non diventa sempre più piccolo, ma qualcosa rimarrà per sempre nei tuoi ricordi perché è questo che siamo, creature che vivono delle proprie emozioni, belle o brutte che siano, e dobbiamo accettarle ed imparare a convivere con esse nel migliore modo che ci sia possibile. » Mi abbracciò dolcemente, rimanendo in silenzio mentre il suo cuore sopportava a sentendo il sentirmi singhiozzare in quella maniera senza potermi aiutare. « Lascialo andare, amore mio, lascialo andare. » E mentre la consapevolezza di dover vivere in eterno con il ricordo di una persona scomparsa nel cuore si faceva largo nella mia mente, i miei singhiozzi aumentavano sempre di più, così come le mie lacrime che sembravano voler sfidare la pioggia a continuare il suo corso, quasi il tempo avesse compreso il mio umore.

La verità è che gli elfi conoscono molto bene il dolore, convivono con esso per gran parte della loro infinita esistenza, e ancora di più io, praticamente immortale, sentivo il peso dei ricordi sfondare la mia anima come un fiume in piena in quelle notti in cui, per qualche motivo, mi sentivo più sola. La lampada si stava per spegnere, mi rimanevano pochi minuti di luce, giusto il necessario per tornare dentro casa. Quando misi piede all'interno la fiamma si spense definitivamente in uno sbuffo silenzioso di fumo nero. Chiusi la finestra e continuai a fissare per un poco la luna.

La verità? La verità è che la cura per tutti i mali non esiste. C'è sempre qualcosa che non si potrà curare: la morte, la solitudine, la pazzia. Io l'ho imparato a mie spese e se potessi tornare indietro farei le stesse scelte... perché? Perché ho imparato che la vera cura è capire che una cura per tutti i mali non esiste. Capito questo ogni cosa inizia a diventare migliore.
Ogni cosa, alla fine, trova sempre la sua soluzione, la sua cura, ed a volte l'unica speranza e proprio lasciare andare, ed accettare ciò che viene senza mai guardarsi indietro.



Seconda parte dell'infanzia di Fanie, che riguarda la sua difficoltà di elaborare il dolore del lutto dei suo precedente maestro, descritto nel contest del mese scorso. Fanie si trova poco fuori dalla sua abitazione, che è in mezzo ai boschi vicino a Basiledra, su un ramo, ed osservando la luna si sente sola ed inizia a ricordare che non esiste una cura per tutto ciò che sente e che solo la consapevolezza di vivere in eterno con i propri dolori può "guarirla" dalla sofferenza. Spero sia stata una piacevole lettura ^_^
 
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