Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Contrapunctus; Ode ai Redivivi

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view post Posted on 12/11/2013, 22:46

Esperto
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Curioso come il destino si divertisse a distruggere ogni vanto, ogni simbolo, del suo passato. Come l'arroganza del Nuovo Impero era stata pagata con la sua dissoluzione, le certezze di Sepsaris erano di giorno in giorno minori, più fragili. Magre, smunte, impaurite: una dopo l'altra venivano trascinate in piazza e umiliate. Una volta aveva creduto di essere una guerriera onorevole, prima che l'onore perdesse ogni significato; quella notte, persino considerazione che aveva di sé come semplice soldato avrebbe ricevuto dei colpi. Quale compito, infatti, c'era di più semplice e basilare per un soldato del non addormentarsi durante la guardia? Eppure le palpebre le si facevano pesanti. Sentiva il torpore aggrapparsi sempre di più alla sua mente, e non poteva nulla per evitarlo. Forse era per via del clima - forse non era ancora abituata a quella giungla umida, all'acqua invisibile che cercava di insinuarsi nelle ossa. Buffo, l'acqua doveva essere un sinonimo di vita - al contrario della secca e sterile vastità del suo mondo di origine - ma nell'Eden, i concetti di vita e morte spesso si interscambiavano e si sovrapponevano tra loro. Quando si era alzata la nebbia nella silenziosità del campo addormentato, non aveva pensato fosse qualcosa di strano: per lei non era più strana, ad esempio, della vegetazione lussureggiante.

Pensando a quella coltre grigio argentea, si addormentò, venendo meno ai suoi doveri.

Vegetazione. Ancora.

Anche se era, in qualche modo, più gentile di quella della giungla. Sepsaris si trovò a vagare per campi pieni di una corta pianta verde, che si piegava sotto i suoi passi e le solleticava le piante dei piedi. Non avrebbe saputo come chiamarla nella sua lingua natale - gli umani l'avrebbero definita erba - eppure, per quanto fosse estranea, aveva la sensazione di essere a casa. Il che era abbastanza peculiare. Non ce l'avevano, i prati, nel Nuovo Impero, e non c'era motivo per andare in giro scalzi. Non aveva l'armatura, ma la sua assenza, in quel momento, non la preoccupava.
Adraste era in ginocchio sul manto verde, tra le dita un grosso fiore della steppa. I petali bianchi erano lunghi quasi quanto le dita affusolate di sua sorella.


« Dove siamo? »

Non rispose. Attorno a loro grandi alberi sussurravano al vento, facendo ondeggiare le fronde.

« Cosa stai facendo, Sep? »

« La guardia, » rispose lei senza pensare. « Sto facendo la guardia. »

L'altra la fissò, gli occhi limpidi sotto la frangia blu scuro dei capelli. Poi scosse la testa, sospirò, e tornò a rivolgere la sua attenzione al fiore sotto di sé, facendolo girare attorno al suo stelo.

« Ma non c'é niente a cui fare la guardia, qui, Sepsaris »


Era vero. Non c'era niente. Camminò per qualche tempo nell'erba, senza nessuna meta in particolare. All'estremità della sua schiena, la coda della sua forma demoniaca sferzava l'aria, anche se non avvertiva il desiderio di combattere e uccidere che generalmente accompagnava la sua trasformazione. Qualcosa la tranquillizzava in quel panorama, arrivando a farle ignorare anche il fatto che doveva trattarsi per forza di un sogno.

In lontananza, occhi di zaffiro la scrutavano, calmi e consapevoli della sua natura, e non la giudicavano. Insieme a loro - lo sapeva - c'erano altri suoi simili, altri Castanics, senza armi e senza metallo, senza odio e disperazione negli occhi; come non li aveva mai visti, insomma, in cento venti anni di vita. Avrebbe voluto continuare nella loro direzione, quando un oggetto in movimento catturò la sua attenzione.

Un rapace la puntava. A differenza dell'ambiente attorno a sé, l'animale irradiava odio, o perlomeno, un aggressività enorme.
A differenza di tutto il resto ... sembrava reale. Sepsaris tese la mano, offrendogli un posto dove atterrare. Ma la civetta non voleva appoggiarsi; voleva ferirla. Perché? Il becco del rapace si conficcò nel palmo della sua mano, e per una volta, nel sogno, il dolore tornò a farle visita. Con esso, l'indignazione. Come osava quell'essere così piccolo, così miserabile, eppure così pieno di odio. Non lo sopportava, forse perché era così simile a lei.

Con l'altra mano libera, quindi, cercò di afferrare il volatile - per un'ala, o una zampa - e stringerlo tra le sue grinfie.

CITAZIONE

Nonostante la passiva di insensibilità, ho deciso di far sentire il dolore della ferita alla mano a Sepsaris lo stesso, per interpretazione. Per il resto, tutto chiaro.

2 CS alla Maestria con le Armi

Sepsaris ha un danno basso alle mano sinistra.

Abilità

Duellante I - Qualsiasi oggetto con cui Sepsaris attacca è considerato come un'arma.
Duellante II - Estrazione istantanea delle armi.
Hybris Castanicis - Razziale demoniaca di timore.
Vitam Superare - Insensibilità al dolore.
Sepsaris Sanguis - Danni fisici sopportabili aumentati a doppio mortale.
 
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.Neve
view post Posted on 24/11/2013, 21:19







Il volatile dispiega ancora le sue ali striate ed il suo volo frulla nell'aria in dieci e cento riverberi. Il sole si fa rosso mentre placido l'inghiotte la terra. La figura della civetta diventa dipinto e poi disegno, contorni d'inchiostro, colori sfumati alla placida brezza. Va via, lontano. Lontano dalle anime in preghiera e da chi è riuscita a ferire con il suo puntuto becco.

Una sola direzione.
Un solo grido che si sperde in un canto ancestrale.

Si inabissa nel sole e lì scompare.
E voi lo sapete.
E tutti lo sanno.


pup9

Gli occhi appesantiti dei viandanti si schiusero, come smossi da una nuova e brillante luce. Si guardarono tra loro e già sapevano. Sapevano di aver fatto lo stesso sogno, di aver udito lo stesso intramontabile grido. Le parole erano ormai superflue quando, smontate tende ed imbrigliati i cavalli, iniziarono a procedere con passo spedito e trottante. La memoria guidava i loro passi, ed il clima favorevole di quelle lande addolciva il viaggio degli stanchi compagni. Nero era il palafreno della beduina, lustro il suo manto, svelto il suo trottare. Eppure non era abituata a tale cavalcatura. Afrah sussultava ad ogni pietra, ad ogni fosso che i solidi zoccoli della bestia calpestavano, e le sue membra fremevano indisposte. Certamente non erano i deserti celati del sahrakbàr e l'animale non possedeva forse l'eterna pazienza dei dromedari. Il loro passo cadenzato e morbido. Le mancava quella arida sensazione di pace, quell'eterno sussurro del kamshin che aspro mulinava per le insenature rocciose.

« Non più. »
Si disse mesta la banshee.

Ora il vento era un gelido amante disinteressato. Una voce distante e remota. Ora il paesaggio era sempre più verde. Coverto come un manto da una fitta e oscura vegetazione. Alberi maestosi e secolari nascevano dal basso e si innalzavano potenti sopra la creazione. Sfidavano Dio ed i suoi prodigi, coprivano con i loro rami robusti tutto l'azzurro cielo che, appesantito, pareva un tesoro celato agli occhi dei visitatori. E le piante ricoprivano il terriccio marrone bruciato. Una dopo l'altra come fossero sorelle, polmoni della terra e della vita stessa. Da esse nascevano ancora fiori colorati e dall'infinita bellezza. Petali ampi ed armonici dalle mille sfumature diverse, lunghi pistilli impollinati ed insetti che di quando in quando svolazzavano ora su uno ora su un altro. Da lontano non si udiva suono fuorché il canto delle cicale e dei piccoli animali della selva. Certo adesso erano lontane le lande tristi che ivi si erano lasciati alle spalle, erano solo dei meri ricordi velati da manti di verde e vitalità. Ma man mano che andavano avanti sempre più irta era la selva, come se non volesse far loro vedere cosa vi era all'interno del suo cuore. E più i fossi e le pietre aumentavano di pari passo, più i cavalli si spazientivano e si rifiutavano di procedere oltre.

Ed allora, lasciate indietro le bestie, il gruppo così composto procedette a piedi.
Non pochi ostacoli incontrarono invero.

Liane grosse come bracci e lunghe quanto interi alberi. E poi foglie dalle dimensioni spropositate, edere rampicanti, ortiche e spine ed ogni sorta di impedimento. Non vi era pace per gli intrepidi leoni, non vi era ancora ricetto. Se non da lontano, in quel buio di piante ed alberi una luce più distante li colse. Ed allungato il passo ancora per un piccolo tratto, una radura si stagliava di fronte a loro. Come se la stessa foresta volesse respirare aria nuova e buona. Una fonte d'acqua sorgiva brillava al sole, celeste e trasparente come un brillante in un mare di nero.

"Fermiamoci qui."
Ordinò la Regina,
sotto la chiara e visibile approvazione di tutti.

Ed i viandanti, posate le stanche membra al suolo erbicoperto, poterono saziarsi di un meritato riposo.

pup9

Alcuni minuti passarono da quella piacevole scoperta, forse troppo troppo pochi. E già una voce, forse due o più distanti li colse.
Alti e filiformi, sagome nel giorno che risplendevano ai chiarori di quella polla. Dieci figure longeve avanzavano adesso.
Il passo calmo e deciso, gli arti lunghi ma forti.
I volti ovali e gentili.

"Benvenuti."

f0qhoz

"Vi aspettavamo."



Co-QM's PointCome si evince dal post, Il gruppo di Alexandra si rimette in cammino arrivando fino ad una fitta e rigogliosa foresta che li costringe a continuare a piedi. Dopo una lunga camminata ricca di ostacoli riescono a vedere un punto di ristoro con una fonte sorgiva al centro. Fermandosi a riposare vengono circondati da una decina di figure che però sembrano gentili e dalle buone intenzioni. Aspettate il post di Yu prima di postare!
 
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view post Posted on 24/11/2013, 21:19
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La pioggia cadeva violenta sul corpo dei due viandanti e su quello delle loro cavalcature. Dopo l'incontro con quel manipolo di ladri, i due erano semplicemente più motivati a spingersi nella regione dell'Erynbaran. Avevano parlato di leggende, storie spesso inventate per spaventare i bambini; lo stesso Donovan stentava a credere alle parole di quell'uomo, lo considerava quasi un pazzo che aveva avuto una brutta esperienza con il vino. Allucinazioni. Le aveva giustificate così, il Primo Uomo di Lady Alexandra, che da quando era al suo servizio non era mai venuto a conoscenza di simili storie in quelle terre. Come aveva già detto, gli unici nemici che si aspettava di vedere erano Neiru o Aneliti, le ombre generate dallo stesso miasma che aveva avvolto il Clan Sorya nel mistero per moltissimo tempo, quelli e nessun altro. Quasi fosse una forzatura che il guerriero esercitava sulla sua stessa mente. In fondo, se anche fosse venuto a conoscenza di creature ben peggiori, il suo scopo - e quello del suo compagno di viaggio - rimaneva lo stesso: ottenere informazioni sulla regione. Lo doveva ad Alexandra quanto a sé stesso, al suo onore di cavaliere.
Donovan avanti, Rogozin subito dietro di lui; il loro respiro creava piccole nuvolette di vapore nel freddo rigido di quelle terre. Rogozin doveva essere sicuramente stanco. Se per Donovan quel viaggio non era che un altro pezzo di routine da aggiungere al suo bagaglio di esperienze, infatti, Rogozin avrebbe di certo accusato maggiormente l'inesperienza di domare un cavallo e la difficoltà nel farlo sotto la pioggia. Lo stesso Von Bozeck aveva provato a decellerare la corsa per agevolare il Leone di Alexandra.
Donovan fermò il suo animale all'improvviso, poi allungò la mano aperta verso Rogozin, per farlo fermare a sua volta. Scostò i capelli dal viso, dunque cercò di scrutare all'interno della nebbia la strada da percorrere. Lo scenario che si intravedeva dava spazio ad una fervida immaginazione, rivelando un'enorme foresta la cui vegetazione sembrava infittirsi sempre di più.

« Dovremmo essere arrivati. » Sentenziò Donovan, cercando di apparire estremamente controllato. « Quella foresta conduce al cuore dell'Erynbaran. »
In realtà il guerriero voleva apparire come non era realmente. Per quanto fosse dotato di una vastissima esperienza, dietro ogni leggenda - lo sapeva bene - si cela un pizzico di verità. Qualche brivido era riuscito a distruggere la barriera di anni ed anni di battaglia.
« Raggiungiamo quell'altura. »
Spostò la mano, indicando uno spazio verde dal quale avrebbe avuto una visione ben più facilitata.
« Riusciremo ad orientarci meglio, da lì sopra. »

Raggiunsero l'altura in poco più di qualche minuto, grazie alle doti orientative di Donovan.
Non appena riuscirono ad abituarsi alla coltre di nebbia, gli occhi di entrambi sarebbero stati in grado di esplorare lungo tutta la piana, dal luogo in cui avevano incontrato i briganti, fino all'infinità della foresta, rappresentata da intersecazioni di rami e barriere di rovi pronti a scoraggiare il più stupido degli esploratori, colui che, senza alcuna consapevolezza, si addentra all'interno della regione dell'Erynbaran.
Il Von Bozeck scese da cavallo, tirando un sospiro di sollievo.

« Prendiamoci una pausa di qualche minuto. »
Fece segno a Rogozin di smontare a sua volta, dunque si allontanò di qualche passo dal cavallo.
« Non allontanarti troppo, non vorrei ch- »
Un leggerissimo spostamento d'aria all'altezza del collo rese consapevole Donovan che una lama gli fosse così vicina da poterlo sgozzare in una manciata di secondi, forse anche meno.
« Non muoverti.. »
Intimò al suo compagno di viaggio, che probabilmente doveva essere nella stessa situazione.

Deglutì appena, avvertendo il freddo del metallo.
Il rumore del vento fu sostituito immediatamente da passi veloci e furtivi, di chi è abituato ad agire nell'ombra, nel silenzio e nella più totale segretezza. Forse ladri, eppure Donovan riuscì a scorgere qualcosa di molto più. La conformazione del loro viso sembrava suggerire tratti nordici, eppure la dimensione delle loro orecchie non lasciava spazio a dubbi: Elfi.
Uno di questi rivelò la propria presenza, cessando di essere un tutt'uno con la nebbia.

« cuir airm gu talamh »
Elfico. La lingua dei rinnegati, di chi è stato bandito dalle Terre dell'Inquisitrice.
Indicò la spada di Donovan ed il resto del suo equipaggiamento, poi indicò il terreno. Stava suggerendo loro di posare le armi.
Donovan obbedì immediatamente, facendo cenno a Rogozin di fare lo stesso.
« beir duine air clachan »
Uno degli elfi raccolse l'equipaggiamento dei due, dunque vennero legati loro i polsi con strani rovi dal colore ambrato.
Poi il loro volto fu coperto da un casco di radici ed iniziarono a camminare. Anche se Donovan non riusciva a vedere dove li stessero portando, era quasi certo della direzione che avevano imboccato.
Erano diretti verso la foresta.

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Quando Donovan riprese a vedere, tutto attorno a lui sembrava emanare uno strano bagliore verde. Si guardò attorno continuando a camminare, scorgendo piccoli edifici rurali costruiti con quello che la natura poteva offrire loro, strutture e costruzioni in grado di connettere al meglio le varie zone del villaggio e tanti, tantissimi elfi che scrutavano il guerriero e il suo compagno. Altri, invece, sembravano essere riuniti attorno ad un albero dai tratti antropomorfi, quasi vi fosse un uomo al loro interno. Attraversarono un piccolo ponte naturale, fino a raggiungere una tenda leggermente diversa dalle altre. Sempre di fattura modesta, presentava degli strani simboli al suo esterno, ma soprattutto risultava essere isolata rispetto a tutte le altre. Il cavaliere sentì pronunciare delle strane frasi ad uno degli elfi che li stava accompagnando, senza però riuscire a distinguere neanche una parola di ciò che avesse detto. Il tragitto lo aveva stordito non poco. L'elfo che sembrava essere il capogruppo, entrò nella capanna, facendo pazientare gli altri - e quindi anche i due uomini -. Ne uscì qualche minuto dopo, facendo cenno ai due di entrare. Donovan non ebbe nemmeno il tempo di guardarsi attorno, che già era stato spinto all'interno.

« tha am duine »
L'elfo che li aveva sorpresi in mezzo alla nebbia si rivolse all'unica figura presente in quella stanza.
Un elfo dai lineamenti più vecchi, con un abbigliamento ben diverso da quello di coloro che aveva già visto Donovan. Quasi rassomigliava a quello di un sacerdote umano, ma il tutto era ornato da strani strati di tessuto colorati.
Questi non disse una parola, limitandosi a guardare negli occhi prima Donovan, poi Rogozin, per secondi interminabili, secondi nei quali il Capovillaggio riuscì a recuperare dalla loro memoria i segreti più importanti, le loro paure più recondite. E lo scopo per il quale si erano spinti fin lì, certamente.
Fin nel loro territorio.
« tarraing cuibhreach gu duine »
Uno degli elfi entrò nella capanna e liberò i polsi di entrambi gli uomini.
« Siete liberi, ma non uscite da questo villaggio per nessuna ragione.
Conosco il vostro scopo, eppure non mi farò scrupoli ad ordinare la vostra morte se procurerete anche solo un problema al nostro villaggio.
Sarete nostri ospiti, per ora. Verrete chiamati quanto prima.
»

FBxhE


Quando entrarono nel villaggio degli Elfi Kermis si sentì come scrutato nel profondo del suo animo. Tra tutti, sembrava essere l'unico in gradi di comprendere la loro lingua - l'elfico - e non sapeva se ritenerlo un dono o una maledizione. I lunghi viaggio gli avevano permesso di imparare molte, forse tutte le lingue esistenti all'interno del continente; perlopiù in termini economici e contrattuali, riusciva a destreggiarsi nella lingua elfica anche in situazioni ben più colloquiali come quella. Per tutto il viaggio, non aveva fatto altro che parlare con uno degli Elfi, chiedendogli dove li avrebbero portati, ma soprattutto per quale ragione non li avessero attaccati. Dopo qualche mezza parola e minuti di silenzio, il Mercante aveva capito che forse avrebbe dovuto semplicemente aspettare e nel frattempo rassicurare Lady Alexandra, che sembrava essere molto stanca a causa del viaggio. Attraversarono la parte bassa del villaggio, che si apriva a semicerchio, quasi a formare delle mura naturali per non lasciar avvicinare alcun ospite indesiderato. Nel passaggio verso la parte alta del villaggio, Kermis non riuscì a distogliere la sua attenzione da una piazza in marmo bianco il cui centro era occupato da un imponente albero. Decine e decine di elfi volteggiavano interno ad esso, altri si inginocchiavano, pregando. Scrutando più a fondo, l'Invisibile notò come il tronco dell'albero sembrasse il corpo di un uomo e di come la corteccia apparisse identica ad un volto umano nelle spire di Morfeo.

« seo bothan bho ar ceannard »
« E' la capanna del capovillaggio. Ci invita ad entrare. »
Si sentiva quasi debole, nella sua funzione di intermediario. Come incapace di prendere decisioni da solo.
Lady Alexandra annuì e tutto il gruppo entrò, Kermis a chiudere la fila.
« latha math ceannard!
sinn bi ridire a Lady Alexandra, an bainrìgh run rìoghachd
»
Introdusse il Mercante, indicando con semplicità la figura di Alexandra.
« So fin troppo bene chi siete, duine.
Conosco voi ed i vostri amici.
»
Nella tenda fecero la loro apparsa Donovan e Rogozin.
Il cavaliere si diresse immediatamente verso la sua Regina, accertandosi delle sue condizioni di salute.
Prese un respiro di sollievo nel vederla incolume.
« Ma soprattutto, conosco il vostro scopo.
Ecco perché devo avvertirvi di quanto la vostra presenza qui sia cosa sgradita.
Il Sorya qui non deve entrare.
»
Tutti riuscirono a notare l'astio con il quale aveva pronunciato la parola Sorya.
« Troppa è la corruzione che l'Inquisitrice ha seminato in queste terre.
Noi non apparteniamo ad ella. Noi siamo saor.
»
Liberi.
Eppure Kermis non riusciva a scorgere libertà, nell'occlusione sulla quale si fondava tutta la loro civiltà.
« Parlare di Sorya equivale a rivangare il passato.
Il Sorya non esiste più. Noi siamo Leoni.
Leoni dell'Eden.
»
« Non c'è differenza, tra voi e lei. Entrambi siete il frutto di un veleno immortale.
L'Inquisitrice stessa è sparita nelle ombre che ella stessa ricercava, rompendo le antiche leggi del Silenzio.
Il Sorya è stato sconfitto, ma non il male che è in esso.
»
Ci furono minuti di silenzio, poi Alexandra prese la parola.
« Lasciateci soli.
Ho bisogno di parlare con il capovillaggio.
»
Donovan fu il primo a congedarsi dopo un breve inchino, seguito da Sepsaris, Rogozin, Afrah e Kermis. Solo Anglide restò all'interno della capanna, con loro il capovillaggio.
« Fate un giro nel villaggio, se volete, ma non vi allontanate troppo.
Non siamo prigionieri, ma nemmeno gli avventurieri più voluti in queste terre.
»

CITAZIONE
Qm Point.

Rogozin: Una volta superati i briganti, arrivate su un altura dove venite circondati da una decina di Elfi che vi puntano delle lame alla gola e vi intimano - in elfico, ma mimano il gesto per farvi comprendere - di deporre le armi. Vi legheranno i polsi, dunque vi benderanno, fino a condurvi al loro villaggio, all'interno della foresta. Per la descrizione del villaggio puoi rifarti alle brevi descrizioni che ti ho fornito, aiutandoti anche con l'immagine - ho lasciato la cosa abbastanza libera, ma cerca di non abusarne -. Vi conducono dal capovillaggio, che solo guardandovi riuscirà a scoprire le vostre intenzioni ed il vostro passato. Vi libererà, lasciandovi girare per il villaggio per qualche ora, poi vi unirete al gruppo di Alexandra.

Tutti: Una volta all'interno della tenda, potrete assistere al dialogo descritto, dunque Alexandra vi chiederà di lasciarla parlare con il capovillaggio. Fuori dalla tenda, avrete a disposizione del tempo per esplorare il villaggio, interagire con gli altri membri del gruppo o anche parlare con gli stessi elfi abitanti del villaggio. Questo turno si svolgerà in confronto, nella modalità che ormai tutti noi conosciamo. Avete quattro giorni a partire da quando vi diremo che potete postare.
 
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view post Posted on 13/12/2013, 17:47
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Pioggia. Cadeva fitta come un muro martellando i due e gelando le ossa; le loro cavalcature andavano sempre più lente e Rogozin, con un cappuccio tirato sul viso, si chiedeva da dove diamine provenisse tutta quell’acqua. Cadeva giù a secchiate intere ed era più martellante e più faticoso che continuare a cavalcare per tutte quelle leghe: non vi era abituato a lunghe cavalcate – preferiva camminare – e faceva una fatica immensa anche solo a restare su quel cavallo. Sentiva male alle ossa, la schiena sembrava essere presa a martellate ad ogni movimento, ad ogni passo del suo destriero. Eppure continuava ancora.
Anzi continuavano imperterriti sia lui che quel pezzo d’acciaio che era Donovan: una scorza dura sotto la pelel rugosa, un corpo da bestia e una volontà d’acciaio: più gli si piegavano le ossa e più quella volontà ruggiva. Profondo rispetto per un uomo di simile tempra…rispetto si ma non aveva la sua fiducia, così come per la maggior parte del Sorya eppure continuavano. Continuavano anche se di quella storia era chiaro di come avesse segreti profondi e che il nemico fosse altro: Neiru o Aneliti poco importava ma qui vi erano ombre antiche. Forse ancor più pericolose di quelle che infestavano l’Eden e la sua mente andò a quel drappello di soldati, disertori e tagliagole, che avevano provato un orrore di cui ancora non riusciva a mettere a fuoco l’entità e la pericolosità. Oppure era solo suggestione…ma l’istinto era come un grido acuto che gli lacerava i timpani e sapeva – solamente a livello istintivo – che molto doveva ancora essere detto e scoperto. Quella ricerca forse gli stava portando sempre più addentro agli orrori di un Caln avvolto da mistero e morte. Ma il perché ancora restava celato. Era per dare la risposta che Rogozin ancora avanzava: se non altro avrebbe capito di più ma solo questo lo spingeva ad andare avanti. In un'altra situazione avrebbe già spinto la sua cavalcatura a Sud dimentico di queste e altre faccende inerenti al Sorya…ma aveva i suoi personali obbiettivi e stavolta, raro ma era successo, combaciavano con quelli del Clan. Per cui avanzava cercando di scacciare freddo e dolori. Il fango veniva schizzato dappertutto imbrattando le zampe dell’animale che continuava, imperterrito come se fosse in simbiosi col suo cavaliere, ad avanzare; come se pioggia, freddo o fango non fossero null’altro che piacevoli brezze primaverili.
Nuvole di vapore rendevano manifesta la loro presenza sotto lo scrosciare della pioggia; sembravano inermi e immobili e solo le cavalcature che continuavano, indefesse, ad avanzare erano segnali di vita. Poi il braccio sollevato di Donovan fu accolto con uno scintillio negli occhi di Rogozin.

Dovremmo essere arrivati. » Sentenziò Donovan, indicando una fitta foresta la cui vegetazione sembrava infittirsi sempre di più. « Quella foresta conduce al cuore dell'Erynbaran. »
Ma in ogni caso non gli piacque minimamente: oramai per la Rosa tutto poteva essere un pericolo anche un innocua, all’apparenza, foresta.
« Raggiungiamo quell'altura. »
Spostò la mano, indicando uno spazio verde dal quale avrebbe avuto una visione ben più facilitata.
« Riusciremo ad orientarci meglio, da lì sopra. »
Grazie alle doti di Donovan furono in cima in poche minuti: ora erano in grado di vedere ed esplorare lungo tutta la piana, dal luogo in cui avevano incontrato i briganti, fino all'infinità della foresta, rappresentata da intersecazioni di rami e barriere di rovi pronti a scoraggiare il più stupido degli esploratori, colui che, senza alcuna consapevolezza, si addentra all'interno della regione dell'Erynbaran. Così come era successo a quei poveri disgraziati…eppure non potè fare a meno di coprirsi ancora di più e scacciare quel freddo e quel brivido innaturale che lo avevano fatto raggelare in un istante. Istinto? Scacciò freddo e cattivi pensieri e l’unica cosa che voleva in quel momento era smontare da cavallo, scrocchiarsi le ossa e massaggiarsi il deretano.

Odio montare cavalli! Sono scomodissimi!
« Prendiamoci una pausa di qualche minuto. »
Fece segno a Rogozin di smontare a sua volta, dunque si allontanò di qualche passo dal cavallo.
« Non allontanarti troppo, non vorrei ch- »

I guai non vengono mai da soli; il postino bussa sempre due volte e non vi è due senza tre. Ed eccoli di nuovo in una situazione di letame con un freddo acciaio, più freddo della temperatura, che brillava lesto e ferale sotto la sua gola. Veloci, mortali; elfi erano attorno a loro e stavolta non da alleati.
« cuir airm gu talamh » Uno di loro esordì.
E se pensava che i suoi occhi lo ingannassero le parole scacciarono ogni dubbio.
Indicò la spada di Donovan ed il resto del suo equipaggiamento, poi indicò il terreno. Stava suggerendo loro di posare le armi.
Donovan obbedì immediatamente, facendo cenno a Rogozin di fare lo stesso.
« beir duine air clachan »
Uno degli elfi raccolse l'equipaggiamento dei due, dunque vennero legati loro i polsi con strani rovi dal colore ambrato.
Poi il loro volto fu coperto da un casco di radici ed iniziarono a camminare. Non disse nulla e non fece nulla ma, prima che il buio calasse sui suoi occhi e prima dell’incertezza, incrociò lo sguardo di Donovan: doveva fidarsi del vecchio cavaliere visto che erano nella stessa situazione ma i perché – ancora altri perché – non erano chiari.
Ma i nodi sarebbero venuti al pettine. Nodi che al momento sentiva forti e tesi legare i suoi polsi ed essere condotto chissà dove.



Dovette darsi tempo per riprendere a mettere a fuoco e quello che vide lo lasciò perplesso: era sicuramente il loro villaggio – una buona notizia – e forse avrebbero avuto le risposte. Qualcuno poteva avergli cercati e se non erano in prigione ma avanzavano verso un punto preciso forse non era una situazione così disperata. Anche se avere a che fare con gli elfi per l’ennesima volta, nell’eden ancora, non lo lasciava tranquillo.
Sembrava che cè l’ avessero sempre con il Sorya. Un odio antico, viscerale, morboso e stavolta non sembravano alleati. Li stavano trattando come prigionieri, invasori, lerciume ma non sembrava avessero cattive intenzioni…al momento. Oppure era solo la sua fantasia di mantenere la calma e vedere una luce salvifica…

Ogni volta che c’è il Sorya questi sembrano imbufaliti…ma in ogni caso perché catturarci?! E siamo sicuri c’entri il Sorya e non che siamo entrati nelle loro terre? In ogni caso è tutto molto…ma molto strano…come quell’albero…

Già l’albero e quel loro “villaggio” erano particolari: il primo aveva tratti antropomorfi, quasi vi fosse un uomo al suo interno e sembrava avere un quid; un qualcosa che calamitava l’attenzione di un gran numero di elfi che si accalcavano nelle sue vicinanze. Era un albero ma aveva un che di mistico e il tronco sembrava quello di uomo e la corteccia fosse - all’apparenza? – simile ad un volto umano. Misteri ancora…Il villaggio invece era modesto, costruito con quello che la natura concedeva loro ed era immerso in uno strano bagliore verde. Non sembrava naturale ma con gli elfi tutto era possibile ed erano a conoscenza di cose antiche e ormai dimenticate dai più…e tornò con i suoi occhi al capogruppo e a soddisfare la sua curiosità di sapere che cosa volevano da loro.
Attraversarono un piccolo ponte naturale, fino a raggiungere una tenda leggermente diversa dalle altre. Sempre di fattura modesta, presentava degli strani simboli al suo esterno, ma soprattutto risultava essere isolata rispetto a tutte le altre. L'elfo che sembrava essere il capogruppo, entrò nella capanna, facendo pazientare tutti – compresi loro due : ne uscì qualche minuto dopo, facendo cenno ai due di entrare. Ed entrarono spinti in malo modo e in maniera rapida e concisa.
« tha am duine »
L'elfo che li aveva sorpresi in mezzo alla nebbia si rivolse all'unica figura presente in quella stanza.
Un elfo dai lineamenti più vecchi, con un abbigliamento ben diverso da tutti gli altri – forse perché era la figura più importante: rassomigliava a quello di un sacerdote umano, ma il tutto era ornato da strani strati di tessuto colorati.
Questi non disse una parola, limitandosi a guardare negli occhi prima Donovan, poi Rogozin, per secondi interminabili; secondi nei quali riuscì a recuperare – in che modo neanche Rogozin non lo seppe dire ma si sentì strano come se qualcuno scavava a fondo dentro la sua anima e psiche - dalla loro memoria i segreti più importanti, le loro paure più recondite. E lo scopo per il quale si erano spinti fin lì, certamente.
Fin nel loro territorio.
« tarraing cuibhreach gu duine »
Uno degli elfi entrò nella capanna e liberò i polsi di entrambi gli uomini.
« Siete liberi, ma non uscite da questo villaggio per nessuna ragione.
Conosco il vostro scopo, eppure non mi farò scrupoli ad ordinare la vostra morte se procurerete anche solo un problema al nostro villaggio.
Sarete nostri ospiti, per ora. Verrete chiamati quanto prima.
»

Conosceva i loro scopi ma per quale motivo allora li avevano catturati? Cosa interessava agli elfi della loro missione e ricerca? Che tutto fosse collegato?



Alcune ore più tardi vennero ricondotti nella tenda: che ora era occupata non solo da loro due ma anche da Alexandra, Kermis e tutta la compagnia: che li stavano aspettando? Che fossero stati seguiti? Non era una coincidenza allora: qui vi era in gioco altro e aguzzò occhi e orecchie al discorso del capo villaggio e di Alexandra.

« Ma soprattutto, conosco il vostro scopo.
Ecco perché devo avvertirvi di quanto la vostra presenza qui sia cosa sgradita.
Il Sorya qui non deve entrare.
»
Tutti riuscirono a notare l'astio con il quale aveva pronunciato la parola Sorya.
« Troppa è la corruzione che l'Inquisitrice ha seminato in queste terre.
Noi non apparteniamo ad ella. Noi siamo saor.
»
Liberi.
« Parlare di Sorya equivale a rivangare il passato.
Il Sorya non esiste più. Noi siamo Leoni.
Leoni dell'Eden.
» Disse Kermis intromettendosi, con le sue ragioni personali, nel discorso.
« Non c'è differenza, tra voi e lei. Entrambi siete il frutto di un veleno immortale.
L'Inquisitrice stessa è sparita nelle ombre che ella stessa ricercava, rompendo le antiche leggi del Silenzio.
Il Sorya è stato sconfitto, ma non il male che è in esso.
»
Ci furono minuti di silenzio, poi Alexandra prese la parola.
« Lasciateci soli.
Ho bisogno di parlare con il capovillaggio.
»
Non sembrava in gran forma la Regina Senza Regno: che il male del Sorya, quel veleno, ormai la stava conducendo alla morte? Oppure era il viaggio? Ma la preoccupazione di Donovan era palese e forse non del tutto motivata dal viaggio.
« Fate un giro nel villaggio, se volete, ma non vi allontanate troppo.
Non siamo prigionieri, ma nemmeno gli avventurieri più voluti in queste terre.
» Disse Donovan

Rogozin prese da una parte Donovan parlandogli con un tono secco e deciso

Credo che sia il momento di dirmi bene cosa stà accadendo. Perchè Alexandra sembra che stia con un piede nella fossa e perchè questi Elfi ci hanno portato qui? Credo che ci aspettassero e che sapessero cosa e chi siamo...non credi sia il momento di giocare a carte scoperte?

Lo guardava dritto negli occhi con tranquillità e decisione: voleva capire cosa succedeva e quali erano ancora i misteri che avvolgevano questa storia. Infatti non credeva che fossero stati del tutto sinceri e se doveva rischiare la vita, almeno, che sapesse per che cosa lo faceva. Poi avrebbe scelto se proseguire o meno.
« Non alzare la voce, Rogozin.
Siamo in un territorio estraneo alle normali leggi degli uomini.
»
Portò una mano alla spalla di Rogozin, dunque si avvicinò ad egli.
« La nostra Regina non è nel pieno della sua salute, al momento. Nostro è il dovere di proteggerla dalle insidie di questa ricerca.
Ci hanno portato qui perché siamo entrati nel loro territorio, dobbiamo ringraziare il cielo se non ci hanno già ucciso.
Cerchiamo di ottenere informazioni con discrezione.
»
Concluse, allargando il discorso agli altri membri della spedizione.
« Sir Kermis vi aiuterà con le traduzioni, in caso ne abbiate bisogno. »
Cosa ha Alexandra da fiaccarla in questa maniera? Che il veleno del Sorya inizi a fare effetto su di lei? disse, incalzando il vecchio, guardando Donovan con quegli occhi cristallini: occhi negli occhi, dentro quegli del vecchio guerriero.

Che questo malessere sia legato a questa ricerca?! Avanti Donovan vuota il sacco: se devo rischiare la mia vita almeno fammi scegliere e capire... Non avrebbe mollato: rispettava Donovan, rispettava quel vecchio - benchè fosse del Sorya - e voleva le risposte da un guerriero abituato alla spada piuttosto che da altri abituati ai pugnali sotto vesti di seta.
« La Regina sta facendo del vecchio Sorya qualcosa di nuovo, cercando di estirpare ciò che di malvagio ancora risiede in esso.
Non conosco le sue reali condizioni di salute, ma non è una donna che molla, questo è certo.
»
Alzò gli occhi al cielo, sentendosi fiero di servire una leonessa quale era Alexandra.
« Non dubitare del Sorya, Rogozin, ma vivine i valori. »
Non dubito del Sorya, Donovan, ma del veleno che ancora alberga in esso e dei misteri e del terrore che la sua ombra ancora genera. Disse distogliendo e guardando un punto indefinito davanti a lui. Un respiro profondo e la mancanza delle sue wakizashi lo rendevano nervoso; insieme a tutta quella situazione.

Forse un giro per il villaggio ingannerà l'attesa...quell'albero dove si affollano tutti mi sembra strano...che ne pensi mi accompagni o resti qui?!
« Resterò qui.
La nostra Regina potrebbe aver bisogno di me da un momento all'altro.
Farò in modo che siate a conoscenza di eventuali imprevisti, in caso dovessero essercene.
»
Asserì, serio.
« Verrò io con te. »
Kermis si avvicinò a Rogozin, e si diressero con discrezione verso l'albero gigante. E più si avvicinava più ne voleva sapere come se non esistesse nient’altro. Era come se il suo mondo fosse, ruotasse, intorno a lui. L’interesse aumentava ad ogni passo e crebbe quando fu di fronte ad esso come una marea.

è possibile sapere cosa rappresenta tale albero? Che cos'è per la loro cultura?!

« Conosco la loro lingua, non la loro cultura. »
Sentenziò, con astio. Forse timore verso la loro cultura? Oppure altro?
Conoscere un popolo significa poterlo capire. Se non lo conosci allora come potresti trovare una soluzione o, meglio, come potresti mercanteggiare?! Disse riflettendo per poi far scivolare i suoi occhi sull'albero e sulle persone che vi erano radunate.

Può essere importante per loro e io voglio sapere con chi ho a che fare...perchè non glielo chiedi per favore?! Disse domandando a Kermis con tranquillità. Di solito non era molto curioso ma voleva saperne di più su quel popolo e se vi erano connessioni tra loro e quella ricerca così strana.
Spazientito, il Mercante si avvicinò ad uno degli elfi che contemplava l'albero.
« rud tha seo craobh? »
L'elfo rimase qualche secondo in silenzio, dubbioso. Abbassò la testa, mugugnando appena.
« sinn iarr dùisg »
« dùisg? oir? »
Ma l'Elfo non rispose, anzi si allontanò dai due. Aveva detto fin troppo ed il Mercante non voleva di certo insistere.
Si trovavano, in fondo, in un territorio ben lontano dalle regole del Sorya.
« Come hai visto, non vedono di buon occhio gli stranieri.
Ha accennato qualcosa riguardo ad un risveglio.. nient'altro.
»

Riflettè in silenzio socchiudendo gli occhi. Da una parte la loro venuta era vista come il fumo negli occhi, dall'altro c’era qualcosa di particolare e che ancora non riusciva a capire. Che le risposte erano in quella tenda dove Alexandra e il Capo Villaggio stavano discutendo di argomenti particolari?

Strano...è tutto così strano... disse più interrogando se stesso. E riguardò quell'albero così particolare.

Te Kermis che idea ti sei fatto di tutto questo? interrogò il mercante: almeno voleva capire anche chi fossero i suoi compagni.
« Ciò che mi interessa realmente è l'incolumità di Lady Alexandra.
Ritengo che sia oltremodo superfluo restare in questo villaggio a lungo, ma se è ella stessa a desiderarlo, allora..
»
Sospirò.
« Allora vedremo di rimanere qui ancora per un po', cercando di ottenere le nostre informazioni.
Potrei provare ad ottenere altre informazioni, ma non devono vedermi con te, che nemmeno riesci a comprendere la loro lingua. Cerca di ottenere informazioni in altro modo, ci rivediamo al segnale di Donovan.
»
E si allontanò, inoltrandosi tra la folla danzante. Era meglio agire da soli: forse poteva trovare qualcosa d’insolito, notare qualcosa; le domande erano superflue visto il loro comportamento, ma questo non significava non poter avere informazioni particolari anche solo osservando le loro abitudini. Non sapeva nulla di loro e poteva essere un serio rischio. Lento si incamminò per il villaggio; nulla d’interessante balzò ai suoi occhi o alle sue orecchie in quel tragitto che lo vide girovagare senza una meta precisa, se non lo sguardo curioso degli Elfi. Poi un elfo – forse un bambino – tirò i vestiti della rosa. Un comportamento inusuale che lo lasciò perplesso ma non per questo indifferente e gli sorrise come a cercare un contatto.
« uisge »
Un secchio di legno vuoto venne avvicinato, e indicò una piccola sorgente naturale. Il piccolo non può arrivare all'acqua perché c'è un muro troppo alto a fare da protezione. Sempre con quel lieve sorriso distensivo, prese il secchio.
Vuoi che io prenda l'acqua?! domandò e gesticolò in modo da capire e farsi capire indicando il secchio e il pozzo. Non avrebbe mai voluto trovarsi nella situazione, spiacevole, di un qui pro quo . ma come aveva supposto il bambino sembrava non capire: semplicemente continuò a tirargli i vestiti come a sollecitarlo. Titubante era la Rosa. Gli sembrava strano che un bambino di un popolo che, vista la situazione, li odia si avvicini in maniera così tranquilla invitandolo a prendere acqua da un pozzo. Per cui seppur riluttante si trovava tra due fuochi e nessuno di essi gli garbava particolarmente. Si guardò intorno, come a sincerarsi che non vi fosse nessuno, per poi avvicinarsi al pozzo e, prima di prendere l'acqua, dette un occhiata intorno e controllò che non lo vide nessuno. Poteva anche darsi, ed era questo che voleva evitare, che potevano fraintendere quell'aiuto dato, innocentemente, e ritrovarsi con una spada alla gola.
Ma tutto andò per il meglio e l’acqua fu presa e il secchio dato al bambino con un sorriso tenue come i colori di una Rosa.
Almeno un grazie sarebbe stato ben accetto...comunque... scostò i capelli dall'occhio destro mormorando quelle parole tra sé e sé. Ma non si aspettava null’altro e andò bene così.

Non c'è di che è stato un vero piacere. Prego... disse al bambino e si incamminò per tornare dagli altri. Il bambino prese il secchio e gli tirò nuovamente i vestiti e gli consegnò un pezzo di stoffa verde che sembrò, però, emettere la stessa luce che emettevano le piante del villaggio.
Sorrise e fece segno di non dirlo a nessuno, poi andò via, felice. Cosa era quella stoffa? Cosa stava succedendo in realtà? Tutti pezzi dello stesso mosaico? Oppure altro?
Lo nascose in una tasca e andò a controllare queste piante con scarsissimi risultati.

Devo tornare dagli altri…e mettere insieme i vari tasselli di questo mosaico. Vi è qualcosa di strano che si agita in questo posto. Spero che non debba ritrovarmi come nella Somnus nemoris! disse scostandosi una ciocca dal viso e inspirando forte. Sentiva il cuore accelerare senza un perché. Una sensazione strana, un freddo particolare mentre vedeva davanti alla tenda del Capovillaggio Donovan ed Afrah












Rogozin
Energia: Bianca Pericolosità: F CS: +1 Maestria armi
Status fisico:
Status Psichico: Consumi energetici in questo turno:
Riserva energetica residua: 100%

_ ___ _____ ___ _

Abilità Passive:
Presenza angelica:
Allo stesso modo dei demoni, gli Avatar di stampo angelico non possono nascondere totalmente la loro presenza, pur mischiandosi con gli esseri umani e viaggiando tra loro e per le stesse vie. Le altre razze, infatti, percepiranno sempre qualcosa di sbagliato in loro, qualcosa di differente, ed è per questo che gli angeli incutono negli esseri innanzi a loro un innato timore reverenziale, purché questi non siano angeli stessi, e che siano di energie pari o inferiori all'agente.
Non è importante l'allineamento dell'Avatar. Quest'abilità funzionerà sempre e comunque, indipendentemente dal sopracitato fattore.. [Passiva Razziale].

Duellante: il possessore del dominio ha sviluppato una capacità innata di sfruttare ogni oggetto riesca ad impugnare come una letale arma. Non solo, quindi, l'arma cui è legato e con la quale ha vissuto gran parte della propria vita, o della propria esperienza. Qualunque mezzo, per strano, informe o artificioso che sia, potrà asservire allo scopo designato di ledere il proprio nemico, sempre che la logica e la razionalità lo consentano. Pertanto, potrà sfruttare bottiglie, funi, cinte, sedie, falli, semplici assi di legno o pezzi di metallo, come armi letali che, nelle proprie mani, taglieranno il nemico al pari di una lama affilata o di una poderosa ascia.[Passiva Dominio]

Velenrancore Non è una casta vera e propria, si potrebbe dire - ma è solo parte dell'abominio generato dalla trasformazione della foresta nel Gwàthlaiss a causa dell'essenza del Gorgo scioltasi nel suolo - andando ad intaccare il profondo rapporto fra le fate e la natura. L'indole generalmente pacifica delle fate divenne distorta per alcuni in una paranoia, in altri per un desiderio impulsivo di uccidere coloro che minacciavano la propria tribù. Qualcosa che superava ben più la voglia di difendere i propri compagni che guidava i Frémalis, come se il rancore del Gorgo fosse divenuto insito all'anima delle Fate. Un furore che si manifesta nel loro stesso sudore, si dice, rendendo le loro lame portatrici di morte e pestilenza. Loro sono il cancro per curare il cancro.
[Ogni attacco fisico portato con le proprie armi può avvelenare l'avversario. Il veleno è quantificato come danno Basso al corpo, che sarà progressivamente debilitato da nausea e febbri ad ogni colpo andato a segno.][Passiva]

_ ___ _____ ___ _



Abilità Attivate:



_ ___ _____ ___ _

Riassunto e Note:

Ecco a voi sul filo di lana proprio. Ma il periodo è pieno davvero.

 
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view post Posted on 13/12/2013, 19:13

Esperto
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Il gruppo si era risvegliato e in qualche modo la sua inadempienza durante il turno di guardia era finita impunita, se non inosservata almeno al suo senso dell'onore. Peggio ancora, qualcosa negli occhi della spedizione suggeriva che quel sogno assurdo eppure stranamente realistico aveva coinvolto non solo lei, ma tutti; un evento irrazionale e mistico che minacciava di farle venire un'emicrania colossale. Quanto meno non ne parlarono, scongiurando il rischio in qualche maniera.

Delle ore dopo arrivarono in quello che sembrava un villaggio, articolato nelle architetture verdi e intricate dell'Eden. Il gruppo rallentò. Sepsaris si mise in guardia, visto che il posto sembrava pieno di semi umani dallo sguardo ostile. Di li a poco avrebbe imparato che quegli esseri si chiamavano elfi e che la dama di compagnia della regina, Anglide, era quindi una mezzelfa. Lungi da lei in quel momento però erano gli interessi accademici e antropologici, per così dire, visto che la situazione non era esattamente tranquilla. Vennero riuniti con Donovan e Rogozin, e scortati nella capanna di quello che doveva essere il capo degli indigeni. Nel breve colloquio che Alexandra tenne con lui, Sepsaris ebbe più di un motivo per digrignare i denti; ma mai quando dovette lasciare la "regina" da sola in quella capanna.

« La nostra Regina non è nel pieno della sua salute, al momento. Nostro è il dovere di proteggerla dalle insidie di questa ricerca.Ci hanno portato qui perché siamo entrati nel loro territorio, dobbiamo ringraziare il cielo se non ci hanno già ucciso. Cerchiamo di ottenere informazioni con discrezione. Sir Kermis vi aiuterà con le traduzioni, in caso ne abbiate bisogno. »

Come potevano essere così ciechi? Lasciare da solo l'unico pilastro di quella malconcia organizzazione insieme a un vecchio elfo probabilmente mezzo pazzo? Per uscire dalla capanna Sepsaris dovette far ricorso a tutta la disciplina che riusciva a trovare, mente la sua mente lavorava di rabbia e stupore a un ritmo tale che non sarebbe stato strano se le fosse uscito del fumo dalle orecchie. La noncuranza di Donovan, inoltre, era ancora più irritante: e pensare che a prima vista quell'umano le era sembrato l'equivalente di un vecchio guerriero, almeno per il suo portamento. Ma le cose dovevano stare altrimenti, se lasciava che degli sconosciuti lo trattassero come un prigioniero così di buon cuore.

« Siamo in un territorio estraneo, si, ma non siamo dei viandanti.
Sono qui per scortare Lady Alexandra. Non mi interessa se questi ... elfi ... credono che qualche maledizione oscura penda sul Sorya ... o su di me. Come pensi che possa proteggere la regina, se sto qua fuori mentre lei è dentro da sola?
»

« Anglide è con lei.
Se il suo volere è quello di rimanere insieme al capovillaggio, allora non possiamo fare altro che aspettarla.
Possiamo però proteggerla da malevoli intenti, ottenendo informazioni.
»
Il vecchio le rispose con una severità e un disprezzo tali che, in alte situazioni, gli sarebbero valsi ben più che aspre parole di risposta.
«Oh, Anglide!» Sepsaris roteò gli occhi «devo essere stata cieca per non capire che si trattava di una valente e fortissima guerriera! Se è così, evidentemente devo essere io la dama di compagnia.»
Il suo buonsenso di soldato però era destinato a venire ignorato. Tanto peggio; non poteva sentirsi più distaccata dalle sorti del Sorya, e dei suoi governanti, come in quel momento: che lo fosse davvero o meno.

« Ho individuato molteplici punti di interesse, venendo qui.
C'è uno strano pozzo che emette una luce ben più forte delle altre, nella parte bassa del villaggio. Inoltre, anche l'entrata del villaggio mi è sembrata alquanto .. strana. Perché costruire delle mura? Da cosa vogliono difendersi?
E poi c'è l'albero, quello verso il quale si sono diretti Sir Kermis e Rogozin.
Potremmo iniziare da questi.
»

«Partirei dalle mura, invece. Se proprio dobbiamo stare qui, tanto vale capire cosa temono così tanto questi elfi ... mura significa soldati, soldati significa armi, e quello con cui si combatte dice molto su chi è il nemico. »



Chissà perché delle persone avrebbero dovuto costruire delle mura, se non per difendersi. Era un ragionamento piuttosto elementare: vista la natura selvaggia dell'Eden, Sepsaris, con mentalità forse chiusa ma pragmatica, si sarebbe molto stupita di non vederle, le mura, in un villaggio di quelle dimensioni. Camminò un po' sotto gli sguardi dei popolani elfi, ora ancora ostili, talvolta semplicemente curiosi. L'impossibilità di capire la loro lingua la riportava un po' indietro, ai tempi in cui era più giovane e parlava solamente la lingua nobile Castanics. Si era scordata di com'era la sensazione di camminare in un posto dove ogni parola estranea poteva esprimere una minaccia velata.

Arrivata alla cinta muraria, la necessità degli elfi di difendersi le sembrò ancora più confermata, visto il grosso squarcio nella costruzione che era stato creato nella struttura. Tutt'attorno giravano individui armati - soldati, se doveva indovinare - ma altrove la vita procedeva normalmente, con un via vai di gente senza spade al fianco, segno che gli elfi erano lì per svolgere mansioni quotidiane, magari di guardia, e che non c'era un'allerta imminente.
Alcuni dei soldati l'avevano già ovviamente squadrata da cima a fondo, per capire le sue intenzioni. I più guardavano con preoccupazione le sue corna e la portata della sua lancia. Sepsaris fece un cenno al più vicino, indicando subito dopo le mura di fronte a loro.
« Cos'ha fatto questo? » Il suo indice tracciò un cerchio immaginario attorno al pezzo in cui le mura erano crollate. L'essere non le diede risposta, ma si limitò a indicarle con un cenno del capo una capanna lì vicino. Doveva trattarsi di un deposito di armi. All'interno, c'era un individuo che le ricordò i tratti di Anglide: doveva essere anche lui l'incrocio di una discendenza elfa-umana. Non sarebbe stato troppo presupporre che magari egli potesse parlare la lingua comune.
« Cos'ha fatto ... quello? » ripeté la lanciera, accennando con la testa al muro dietro di sé.

« Ombre .. maledizione.
Albero deve svegliare.
»

Il semiumano iniziò a ridere nervosamente, sfregandosi le mani, per poi iniziare a tremare come scosso dalle vibrazioni di un terremoto. Si fece più piccolo, rannicchiandosi nella sua figura, e iniziò a piangere sommessamente e con vigore. La guerriera lo guardò quasi ipnotizzata da quelle reazioni incomprensibili, e forse per quello non si accorse dei soldati di poco prima che attorniavano l'edificio. Quando si girò, uno di loro scuotendo il capo le fece segno di andarsene.
Col cuore pesante si allontanò dalla capanna a grandi falcate, diretta verso l'albero che era a centro del complesso. La cultura Castanics non era particolarmente attenta alle malattie mentali, ma chiunque avesse vissuto come lei le disgrazie del crollo del Nuovo Impero aveva dovuto per forza rimediare da solo - avendo a che fare quotidianamente con quel genere di problemi. Per quel motivo le reazioni del mezzelfo l'avevano in qualche modo scossa o intristita.

Sulla strada per il centro, incrociò di nuovo il mercante proprio mentre un gruppetto di locali si stava allontanando da lui.

« Non sembrano voler collaborare. »
Il tono della sua voce lasciava presagire che nonostante la sua padronanza della lingua, gli elfi non gli si fossero dimostrati più d'aiuto.
« Hai raccolto qualche informazione?
Mi hanno parlato solo di un suono, un suono incessante che viene da questo albero..
»

«Uno di loro ha accennato all'albero.» rispose Sepsaris, cogliendo al volo l'occasione per ricollegare quei brandelli di informazioni che avevano «Pare si debba svegliare, qualunque cosa significhi. Ha accennato anche a delle ombre... Non sembrava decisamente a posto, però.»

« Uhm.. dovremmo tornare ad avvertire gli altri.
Non penso riceveremo altre informazioni, ad ogni modo..
»



Per quanto ineffabile e misterioso, Kermis sembrava esattamente nella sua stessa situazione, il che in un certo senso era un bene. Sepsaris annuì e si ridiresse verso la casa del capovillaggio. Se dovevano capire cosa ricavare da quella situazione, era comunque bene farlo stando uniti.

CITAZIONE


2 CS alla Maestria con le Armi

Sepsaris ha un danno basso alle mano sinistra.

Abilità

Duellante I - Qualsiasi oggetto con cui Sepsaris attacca è considerato come un'arma.
Duellante II - Estrazione istantanea delle armi.
Hybris Castanicis - Razziale demoniaca di timore.
Vitam Superare - Insensibilità al dolore.
Sepsaris Sanguis - Danni fisici sopportabili aumentati a doppio mortale.
 
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view post Posted on 14/12/2013, 19:23
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« Siamo tutti. »
Annunciò solenne Donovan.
« La nostra Regina ha bisogno di altro tempo.
Nel frattempo il capovillaggio ci ha assegnato una delle capanne migliori per riposare stanotte. Sarete stanchi, immagino; si sta facendo tardi.
Lord Kermis, potrebbe chiedere agli elfi di accompagnarci alla capanna?
»
Il Mercante rispose affermativamente, poi raggiunse uno degli elfi a guardia della capanna del capovillaggio.
Non si sentiva affatto sicuro di lasciare Alexandra da sola, ma in fondo era una Regina che aveva conquistato il suo titolo, anziché ereditarlo.
Se la sarebbe cavata.
« Venite, ci scorteranno fino alla capanna. »
Non tanto per la loro sicurezza, piuttosto per tenerli d'occhio meglio, pensava Kermis.

La capanna era, effettivamente, una tra le più grandi che il Mercante avesse visto in quel villaggio, dove gli abitanti sembravano preferire delle piccole caverne scavate nel legno di alberi secolari. A differenza di quelle costruzioni improvvisate, la capanna destinata al gruppo di Alexandra sembrava poter ospitare anche dieci persone. Lontana dal resto delle costruzioni, era dotata di tutti i comfort che un villaggio come quello poteva offrire: letti in legno, un piccolo pozzo e delle torce per illuminare l'interno. Non doveva essere stata utilizzata spesso, infatti tutto sembrava essere di nuovissima fattura e costruzione; in fondo quegli Elfi non sembravano essere esattamente inclini ed ospitali nei confronti degli stranieri.
Era la loro casa, l'avrebbero dovuta difendere da chiunque si fosse anche solo avvicinato.

« shiu feith anns taigh bean duine »
Accennò ad un inchino, l'elfo, prima di congedarsi e lasciare il gruppo da solo. Almeno apparentemente.
Un occhio ben allenato avrebbe potuto scorgere gli elfi nascosti nell'ambiente attorno alla capanna.
Ne contò circa otto, il Mercante, rassegnato al fatto che quelle creature non li avrebbero mai visti come alleati.
« Aspetteremo qui Lady Alexandra.
Sarebbe meglio riposare. Uscire non è una grande idea.
»
Guardò i membri del gruppo uno ad uno, poi comunicò tramite gesti che erano osservati.
Il volto di Donovan faceva trasparire una certa consapevolezza, così come quello di Afrah. Anche loro se ne erano accorti.

Quando Alexandra mise piede nella capanna era ormai notte fonda.
Kermis non aveva chiuso occhio, proprio come Donovan, che gli si era avvicinato per chiedere delle informazioni ottenute nella giornata. Il Mercante aveva spiegato con poche parole che gli Elfi non volevano collaborare, anzi, continuando di quel passo avrebbero solamente infastidito ancor più il loro umore, riducendoli ad una mancanza totale di fiducia. Se proprio volevano delle informazioni, avrebbero dovuto ottenerle in altro modo. Aveva raccontato al guerriero dell'albero, quell'ammasso di legno secolare e foglie ormai rinsecchite che gli abitanti del villaggio sembravano adorare come una sorta di divinità. Ancora li ricordava, quegli incavi splendenti, simili a pietre preziose.
Donovan scattò in piedi, spingendosi veloce verso la sua Regina per assicurarsi delle sue condizioni.
Non era ferita - segno che gli Elfi non avevano tramato alle loro spalle -, eppure il suo volto comunicava una sofferenza interna che la stava stremando. Quanto poteva essere debilitante una gravidanza? Kermis proprio non riusciva ad immaginarlo. Salutò Alexandra, poi uscì dalla capanna per un'occhiata veloce nei dintorni. Le guardie erano diminuite.
Tornò all'interno della capanna, dove la Regina aveva svegliato tutti.

« Leoni.
Cosa avete scoperto?
»
Quasi bisbigliando, la Regina, conscia del fatto che vi fossero orecchie pronte a captare qualsiasi informazione.
Donovan fu il primo a parlare, seguito dal Mercante.
« Non molto, mia Regina.
Gli Elfi.. non si fidano molto di noi.
»
« Affatto.
Sembrano considerarci dei nemici.
Allo stato attuale, abbiamo solo qualche informazione relativa all'albero gigante nel centro del villaggio. Hanno parlato di un risveglio.
»
« Lo immaginavo.
Al contrario, parlare con il capovillaggio mi è stato molto utile.
Egli sa, come tutti in questo villaggio, dove si trova Raphael. La civetta aveva ragione.
»
Guardò Kermis ed Afrah, che avevano ricevuto la loro stessa visione.
« Stando a quello che ha detto il capovillaggio, hanno trovato il portatore del marchio morente sul limitare del villaggio e che malgrado i tentativi di curarlo, egli è ugualmente morto di stenti. Ha detto che domani potremmo visitare il sepolcro nel quale lo hanno sepolto.
Eppure..
»
La voce della Regina si affievolì lentamente, fino a sparire.
« Eppure, mia Regina? »
« Scrutare attraverso gli intenti e le parole del capovillaggio mi riesce estremamente difficile.
Non mi fido molto di lui, né del suo popolo.
Dobbiamo stare attenti.

Dormite, ora.
Domani sarà una giornata molto lunga.
»


CITAZIONE
Qm Point.

Quando tornate alla capanna del capovillaggio, un elfo vi scorta verso una capanna che è stata allestita appositamente per voi. Qualche ora dopo, nella notte, tornano Alexandra ed Anglide, svegliandovi e raccontandovi cosa è stato detto loro.
Aspettate il post di Neve per postare.
 
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.Neve
view post Posted on 14/12/2013, 19:27







Rischiara l'erba la luna con i suoi fasci argentati. I corpi dei viandanti riposano in una notte senza stelle. Morfeo dirige le danze acquietando i loro cuori, abbassando loro le palpebre, soffiando la sacra sabbia dei sogni sui loro occhi stanchi. Non si muove la selva attorno a loro, benché trista e secolare. Non un refolo si erge dalle profondità del cielo di cobalto. Il continente si muove ma loro restano immobili su giacigli di paglia. L'aria è lieve, frizzante, concilia il sonno e la pace. Ed Afrah rimane distesa alla luce della notte. Ed il suo cuore sussulta, le sue mani stringono mani di tenebra e di aria. Il calore non la avvolge, vorrebbe braccia su di sé, mani premurose a scostare i capelli dalla fronte. Ma ora vi è solo il canto delle cicale notturne, la fredda foresta tremante. Si rigira nel suo gelido giaciglio, Afrah dal candido viso. Non riesce a chetarsi, non riesce a dormire. E la vecchia la guarda e ride. La guerriera la scruta e le carezza i pensieri. Le sue membra sono fredde ma il suo cuore è caldo e pulsa di trepido ardore. Vorrebbe dimenticare, vorrebbe scacciare l'immagine della sua luce dalla testa, ma non oppone alcuna resistenza. Pensa e ripensa ai giorni passati, allo scontro nel mercato del Parwane, ad un profumo che acceca la vista ed ottenebra la mente. Si sente svuotarsi ed insieme gioire. Ma ora la notte cade anche sulle sue palpebre sottili.

Ora il tempo si acquieta ed i sogni parlano, e loro sognano. Sognano ancora foglie ed alberi e tralicci. Sono ancora loro, i fratelli della selva. Gli elfi più puri che non toccano la terra con le loro nude estremità, figli del chiaro giorno. Baciati dalla creazione. Un ticchettio diffuso aleggia nell'aere e gli alberi si scuotono, come smossi da altra volontà. Sentite le piante muoversi, l'equilibrio vacillare, i rami sotto di voi creparsi e rompersi. Spuntano da tutte le parti, aracnidi dalle dimensioni spropositate.

s6kshx

Otto zampe puntute che avanzano nella vostra direzione. I loro corpi sono grandi e compatti, la loro corazza è purpurea e resistente, sembra rilucere in quel giorno ormai incupito. Otto occhi per ciascuno vi scrutano attenti, viola come i cieli più in alto, grossi come bubboni sulle loro teste. E bava e sangue masticano con le loro bocche urlanti. Avanzano, si affrettano, e voi correte e correte. Saltate rami, vi appendete a liane e sporgenze. Il vostro cuore palpita, freme, gemete e piangete. Non potete far nulla, non potete combatterli. Fuggite allora finché le gambe vi saranno d'ausilio, finché il tempo non vi è da cruccio. Vi accalcate, vi ammassate, insieme ed uniti. Le vostre mani si congiungono, ed ora sapete che solo il padre potrebbe aiutarvi. Ed allora guizzate più che potete da un ramo all'altro, vi affannate. Scorgete infine i suoi noduli grossi in mezzo al buio del terrore. È lì vostro padre, la vostra salvezza. I suoi zaffiri rilucono e si illuminano di una nuova luce, fortissima. I vostri passi si fanno concitati, lo toccate, lo abbracciate, vi lasciate cullare dal suo eterno corpo ruvido. Sotto di lui sembra che le creature arretrino ed i vostri cuori paiono placarsi per un istante. Il tempo sembra fermarsi e la luce che vi avvolge è calda, magnetica.

Volgetevi allora, figli della foresta. Volgetevi verso i loro occhi brillanti. Ne siete attratti, li guardate assenti e stupefatti. Una malia vi accarezza la mente e vi ottenebra la vista. Qualcosa però si spezza. Qualcuno scende ancora dall'alto. La civetta. Figlia del fato e del tempo, fautrice di sventure. Urla. Ed il suo grido vi atterra. Piomba rapida e senza freni, i suoi artigli puntuti si stringono su un occhio del padre, lo afferra e lo strappa con forza. E quando questo accade, i vostri sensi ritornano, vi sentite liberi dalle catene della mente. Questa vola, va via. Si disperde nel cielo non lasciando traccia di sé. E voi non potete far altro che attendere.

Attendere il fato e nuove minacce. Li vedete, ancora una volta. Sono fantasmi e bracconieri, incubi di un passato e di un futuro ancora lontani. Avanzano verso di voi e voi date forma ai loro corpi. Sono le vostre paure più grandi, i vostri limiti da superare. Non hanno una parvenza se non quella che gli attribuirà in vostro inconscio. Sono lì, vi scrutano e voi sapete di doverli combattere per poter sopravvivere ancora.

Per poter rivedere la luce.


Co-QM's PointÈ notte e durante il sonno i vostri personaggi avranno un altro incubo. Saranno inseguiti da creature infide e orripilanti simili a ragni. Ogni reazione parrà inutile, e si troveranno alle strette, spalle al muro contro un albero rinsecchito del tutto simile a quello al centro del villaggio e sognato la volta precedente dal gruppo di Alexandra; sotto la sua aura però, le creature acquieteranno i loro istinti fino ad andarsene, e gli occhi zaffiro brilleranno ipnotizzando i personaggi. D'un tratto però calerà la civetta che strapperà uno dei due zaffiri con gli artigli spezzando la malia, e poi volare via col prezioso carico; in questa ripresa, in sogno, compariranno alcuni membri della fazione mostruosa degli Aneliti sotto forma dell'incubo peggiore che i vostri personaggi possano nutrire - a vostra discrezione e personalizzazione - , e sempre in sogno dovrete affrontarli. Consideratelo come un combattimento autoconclusivo.
Contro Sepsaris ci saranno loro:
CITAZIONE
pericolosità E
Fantasmi:
Le storie dei fantasmi che hanno tenuto i bambini più riottosi nei loro letti sono niente, rispetto a ciò che presto i sopravvissuti scampati a loro potranno raccontare nelle bettole. Perché i fantasmi non sono favole. I fantasmi sono incubi; incubi che prendono la forma degli umani di cui hanno assorbito ricordi e sensazioni nell'attimo di maggior concentrazione possibile: la morte. Prima di morire, infatti, nell'accenante scintilla di vana ostinazione, l'impulso vitale generato è come un richiamo per le ombre nei paraggi, che accorrono in massa per suggerne la potenza. Si materializzano così creature semipalpabili, congelate nell'istante in cui la morte ha posto fine ai loro istanti. Morti giuste, morti errate, poco ha significato per colui che abbandona il mondo in maniera violenta, e una volta che un'ombra si impossessa dell'anima, si viene a generare il Fantasma. Questi sono soliti aggirarsi nei punti in cui è avvenuto il trapasso, mantenendo le ultime sembianze, proteggendo il sacrario dove hanno trasceso ad un eterna vita di rimpianti, ma spesso si accaniscono contro i loro stessi aguzzini o chiunque violi impudentemente il luogo. Essendo colmi solo del ricordo della morte, i Fantasmi anelano un proseguo delle loro emozioni, costantemente in caccia di nuove memorie, energie, e infine delle vite di coloro che osano interrompere il lro eterno errare. Le magie tendono a colpire direttamente l'anima e la mente, piuttosto che la carne, ma la loro ossessione verso la causa della propria morte è sia una maledizione che la fonte del loro potere e delle loro armi: gli strumenti o le stregonerie con i quali sono stati uccisi sono tanto impressi nei loro ricordi che spesso questi appariranno nelle loro mani, pronti ad essere usati su un'altro bersaglio. Non è raro che i Fantasmi, nella loro ossessione, perdano la cognizione del tempo e dello spazio, oltre che la perdita di uno o più sensi, ma mai e poi mai perderanno il loro rancore e la brama di nuove emozioni: una morte che, per tornare a vivere, genera altra morte.

Rogozin invece dovrà affrontare loro:
CITAZIONE
Pericolosità E
Bracconieri:
I Bracconieri sono le creature, fra le ombre, che più si sono adattate alla loro condizione di fame perpetua. Hanno sviluppato un fiuto incredibile, che permette loro di seguire abilmente le tracce lasciate dal lezzo dei corpi oltre che quello delle loro emozioni, e percepiscono ogni rumore o presenza in maniera perfetta, tanto da rendere inutile, per loro, la vista: la calotta cranica di queste creature ha coperto gli occhi, sopprimendo un punto che negli umani era troppo molle e vulnerabile. Il loro paziente ed efficace metodo di caccia consiste nel cogliere le prede nel momento in cui più sono vigili, per poi svanire nell'ombra e accrescere il panico e la tensione. I Bracconieri, ombre che riflettono la perversione di un cacciatore verso la sua preda, sono spesso dotati di armi composte dello stesso materiale del carapace chitinoso e mimetico che li ricopre. A volte pungoli, pugnali o coltelli, a volte possiedono persino una protuberanza appuntita simile ad una coda, chele, pungiglioni e braccia ulteriori. Spesso queste armi sono cosparse di un veleno, che sopperisce alla scarsa potenza fisica del Bracconiere inducendo la vittima in uno stato continuo di panico e agitazione, influenzandone la mente. Inoltre è capace di generare illusioni ambientali per confondere ulteriormente la preda e di correre a quattro zampe per aumentare fino all'incredibile la sua velocità, mutando in una forma ancora più animalesca. E' peculiare la sua riluttanza a uccidere i suoi bersagli, in quanto preferisce mandarli allo stremo delle forze fisiche e mentali per nutrirsi il più possibile, prolungando l'emanazione. Se ne hanno la possibilità, inoltre, adibiscono un'intera zona per contenere i propri trofei, e fanno di quel luogo un santuario. Le prede, se vive, possono fornire infatti una scorta abbondante e duratura di emozioni come paura e disperazione. Ci sono persino casi in cui i loro santuari divengono una stalla in cui umani su umani vengono lasciati nudi in compagnia di altri con pochissimo cibo da litigarsi, così da sostentarli mentre i loro sentimenti e risentimenti diventano un flusso continuo che nutre il Bracconiere, ma nessuno può veramente confermare la presenza di qualcosa di simile.

5 giorni di tempo, buon lavoro! ^^
 
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view post Posted on 19/12/2013, 17:03

Esperto
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Che sogno stupido.


Aveva già affrontato una di quelle creature - e l'aveva massacrata. Perché stavano fuggendo? Da delle stupide Aranee - degli stupidi ragni? Nel mezzo della sua coscienza addormentata, Sepsaris si ricordava vagamente di star sognando: cio non di meno, non poteva sottrarsi ai meccanismi per lei assurdi che guidavano quel sogno. Mai, coscientemente, si sarebbe messa a fuggire di fronte a un nemico che sapeva di poter sopraffare; per lei quella fuga, quella gente, quegli alberi, non significavano nulla. Che cosa doveva rappresentare un albero con occhi di zaffiro per chi era cresciuto in una terra in cui nessuna pianta si ergeva oltre il suolo, brullo e coperto di cenere? Le altre presenze del suo sogno erano rassicurate, si abbracciavano, si stringevano a quella che per lei era un'immagine solo poco meno inquietante degli stessi mostri.
La sua anima, quindi, non poteva che dissociarsi da quella visione, pur essendo costretta a viverla - nell'impossibilità oltretutto di potersi svegliare o agire come sarebbe stato consono alla sua natura. Quando le Aranee si ritirarono, non si sentì nemmeno sollevata: era solo un'assurdità in meno a cui pensare tra le tante altre. Quando la civetta cavò un occhio all'abominevole albero, però, dovette ammettere di essere un po' perlomeno stupita. Il volatile si dileguò senza risposte, comunque, come tutti sembravano fare in quella dannatissima giungla.



«Qual'é il problema?
Stanca di questa inutile missione?
»

Il tono di voce le era troppo familiare per non riconoscerlo.

«Si, lo sono. »

Di fronte a lei c'era un'immagine demoniaca: una castanics alta, le lunghe corna rivolte verso il cielo e la sfumatura della pelle grigia come i resti di una brace. La coda affusolata frustava l'aria, indomita, mentre Sepsaris sentiva il suo corpo cambiare e istintivamente dotarsi anch'esso di una coda simile, nella trasformazione.
Di fronte a lei c'era una copia esatta di sé stessa: un riflesso, un clone, un'immagine residua di lei nella sua forma arcaica. La forma della bestia potente e feroce che era in grado di sopprimere ogni suo pari. La cosa che al mondo temeva di più.
Tuttavia, tra di lei e la sconosciuta c'era una sottile differenza di aspetto: solo lei impugnava l'Hasta Imperii, la lancia dell'imperatore.

Non c'era bisogno di parlare: Sepsaris si lanciò contro il doppio, mirando ad affondare la lancia più in basso rispetto a dove si sarebbe trovato un cuore umano, mirando a uno dei tre centri del muscolo tricardio che corrispondeva all'equivalente Castanics. La creatura schivò e ridusse la distanza tra loro, avvolgendosi con lei in una lotta che era una furia di artigli e denti. L'altra le morse la gola; Sepsaris le piantò una ginocchiata nello stomaco e con le conficcò la coda nelle costole; l'altra creò una spada di ferro vivo, Sepsaris la spezzò con un colpo mirato della lancia; Sepsaris afferrò con una mano guantata la gola della bestia, l'altra cercò di cavarle un occhio con la coda.

In breve tempo si trovarono entrambe provate e ferite, con una differenza, ancora: l'altra non aveva nulla della sua insensibilità al dolore né della sua resistenza ad esso.

«Perché servi questi umani? » sputò l'immagine. Le sue parole le rimbombavano nella sua testa, come i colpi di un cannone.
«Non vedi come sono deboli e patetici?»

«Infatti.»

La guerriera si distanziò, mentre sul suo corpo la trasformazione retrocedeva e il suo aspetto tornava quello normale. A quella mossa l'altra la squadrò, incredula che stesse rinunciando alla forza sovrumana che quella forma garantiva.

«Proprio non lo so.»



In un unico gesto fluido, Sepsaris affondò la lancia nel suo clone, lo trapassò come se fosse fatto d'aria, e lo sollevò in alto verso il cielo, la pioggia del suo sangue nero che le bagnava i capelli. Il cadavere iniziò a disfarsi sotto i suoi occhi, ghignando.
CITAZIONE


2 CS alla Maestria con le Armi
Energie: 70%
Sepsaris ha un danno basso alle mano sinistra + un alto di ferite varie dopo il combattimento. Risente inoltre di un medio psionico.
Abilità

Duellante I - Qualsiasi oggetto con cui Sepsaris attacca è considerato come un'arma.
Duellante II - Estrazione istantanea delle armi.
Hybris Castanicis - Razziale demoniaca di timore.
Vitam Superare - Insensibilità al dolore.
Sepsaris Sanguis - Danni fisici sopportabili aumentati a doppio mortale.
 
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view post Posted on 20/12/2013, 20:08
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Cos’erano quei misteri che aleggiavano? Cosa nascondeva il capovillaggio e cosa cercava Alexandra con così tanta insistenza da rischiare la sua salute cagionevole? E poi era davvero un problema di salute e non del Veleno del Sorya? Difficile dirlo ma non poteva scordarsi di quel Torneo; della chiamata di Velta e del sangue corso affinché si aprissero dei cancelli su segreti ancora celati.
Il Sorya non esisteva ma avvelenava con la sua sola presenza; con il suo lieve tocco e un sussurro. Non esisteva perché era al confine tra il sogno e la realtà e tutto di lui era solo ombra. Un ombra dai contorni sfuocati e che molto si era perso in quei neri pozzi. Una luce però, fioca, vi era ancora ed era per quella che Alexandra cercava e combatteva? E Rogozin per cosa era lì? Per i suoi demoni, chiaro, ma anche per addentrarsi in quel potere che gli avrebbe dato il Sorya: un potere che avrebbe schiacciato i suoi nemici e reso Furikami il vero Dio Libero che tanto auspicava. Portare una luce; portare un scintilla in un mondo di tenebra. Più la luce è forte più l’ombra si allunga…sarebbe rimasto, benché se ne volesse andare, benché non fosse la sua ricerca ma se voleva sfruttare il Sorya allora doveva continuare: non per lui, non per un potere fino a se stesso ma per Furikami. Ma per il momento era meglio tenere occhi e mente sul momento e su quello che aveva da dire Alexandra; ma soprattutto guardarsi la schiena. Non erano graditi ed erano spiati da più parti: ma cosa attendevano? Perché non gli avevano ancora uccisi? Che temessero così tanto Alexandra? Regina di un regno fittizio? Oppure la loro ricerca era legata a doppio filo con le loro esistenze? Troncare una significava troncare l’altra?
Quanto mal di testa! Quanti dubbi rodevano i suoi pensieri: erano come centinaia di formiche che camminavano nella sua testa scuotendo i suoi pensieri, non lasciandolo libero di riflettere. Di riposare. Di dormire. Ripensava all’albero, al Capovillaggio, ad Alexandra e al suo male; ma anche a quel popolo e a tutta questa storia che era sempre più un rimestare nel fango torbido: sembrava un cavia usata affinchè si addentrasse in un pozzo di tenebra ed odio a cercare un qualcosa…ma se neanche sapeva cosa cercare! Si morse un labbro dalla rabbia: odiava essere un burattino in mano di burattinai e benché si auto convincesse, a torto o a ragione, che lo faceva per i suoi scopi non poteva non pensare che non era libero. Libero di essere e di fare secondo le sue inclinazioni. Aveva catene gravi su di sé: catene che erano i suoi scopi. Buffo pensare che proprio l’ideale, lo scopo, della libertà, di Furikami, era un pretesto per rendere lui schiavo. Contraddizione a cui non riusciva a darsi una spiegazione; ma doveva continuare ad andare avanti: qualcuno il cappio, la gogna la doveva sopportare affinché altri non la subissero più. Non era possibile dimenticare quello che aveva visto nel Mare d’Oro; come era impossibile dimenticare le lotte con Furikami e la loro sconfitta. Ma non dell’ideale ma la sconfitta di chi ne aveva fatto parte traviato, proprio loro, da quelle stesse cose che volevano vedere distrutte. Da liberatori a tiranni…semantica? Erano davvero tiranni travestiti da liberatori?
Anche l’Ala Rubra era così? Come poteva andare avanti con questi dubbi? E pensare che era proprio lui, era stato lui, a distruggerli tutti per evitare che si trasformassero in quello che lui aveva sempre odiato…che loro odiavano. Eppure erano stati traviati, corrotti dal potere…e adesso lui era alla ricerca di uno scomparso. Di un potere antico che faceva parte delle fondamenta del Sorya. Lui lo avrebbe sfruttato per i suoi scopi o era solo una favola che si raccontava per coprire, come una masschera, la vera realtà delel cose che, guarda caso, non voleva vedere, lui che si era sforzato sempre di guardare oltre le verità degli occhi. E questa volta, volontariamente, non guardava perché avrebbe visto qualcosa che non gli sarebbe piaciuto: lui uguale agli altri!
Assetato di potere e volontà di conquista dimentico di tutto e tutti, nascondendosi dietro futili ideali di libertà quando voleva solo potere! Era così davvero? Lui era così? Allora non doveva far cadere Furikami e gli altri ma anche lui doveva essere distrutto: anche se stesso.

Il sonno tardò ad arrivare, con simili pensieri, ma Morfeo chiuse i suoi occhi e non trovò resistenza alcuna: troppa la stanchezza, la mente che voleva chiudersi nel dolce e caldo abbraccio del sonno e ritrovare nuova linfa, il corpo che reclamava il suo giusto compenso per le fatiche del viaggio. Resistette ma le palpebre erano macigni e la mente faceva male: sentiva i muscoli dolere e reclamare il riposo e poi tutto si fece buio. Ogni luce si spense e il respiro si fece regolare e profondo e la Luna e le stelle solo facevano, pigramente, capolino tra nubi che correvano ad oscurare la loro argentata luce.
Simbolo e presagio della loro ricerca? I suoni si fecero ovattati e nella grande tenda solo i respiri e i cigolii dei letti la facevano da padrone. Tutto era silenzio e le ombre si allungarono sotto la tenue luce lunare.


Notte. Rami che si muovevano, sferzavano aria, tagliavano e ferite sul volto procuravano; respiro corto e affannato; gambe mobilie veloci, figlie del vento, che lontano portavano; il cuore che batteva all’impazzata. Ma non per la fatica no…non era per quello: era per l’incubo che stava dietro di lui. Ragni giganteschi e putridi che, famelici, lo cercavano, lo bramavano, lo cacciavano. Lui proprio lui che era uno dei migliori cacciatori dell’eden, protettore di antiche e oscure foreste ora era una preda. Nulal di più nulla di meno e le sue gambe correvano; il sudore imperlava la fronte, scendeva dietro la schiena – un brivido la percorse insieme ad esso – e gli occhi che scrutavano le tenebre: ansia, paura, terrore e il fiato sempre più corto e il cuore sempre più veloce. “La salvezza dov’è?!” urla l’anima della Rosa che, come saetta, corre senza pensare a null’altro se non all’autoconservazione. Correre e cercare qualcosa…la salvezza? Un luogo dove nascondersi? Ma poi perché? Perché correva? Lui non aveva mai voltato le spalle al nemico…mai. Non avrebbe iniziato ora e li attese…combattè e le sue armi cozzarono sulle loro zampe di ferro e occhi furono in quegli dell’ignobile aracnide: due stelle lucenti in otto pozzi neri e tenebrosi. Lame cozzarono e una volontà fu manifesta ma poco o nulla poteva fare: per la prima volta era inutile, nulla di quello che faceva serviva. Stanchezza, sudore, ferite e sangue ma in quegli occhi non vi era disperazione ma brillavano ardenti come fuoco azzurro. Mentre gli altri rilucevano mortali e funesti e tra il cozzar di lame e il sangue e le spalle contro un albero: la morte era lì ma non era il suo tempo. Nell’incubo vi era speranza e sembrava che quell’albero emanasse tranquillità e calma. Le sue radici, i suoi rami, la sua essenza dava forza alla Rosa come se quelle radici e quei rami la proteggessero: con lui non vi era più l’incubo e anche quei famelici incubi sotto forma di Ragni erano domi e non fecero un passo avanti. Il cuore batteva sempre di più e una speranza si accese nel suo cuore mentre le ombre venivano spazzate. Respirò profondamente finalmente in salvo, appoggiandosi al tronco dell’albero e perdendosi nella sua luce la Rosa trova quiete e speranza. Zaffiri brillano di luce magnetica attirando il suo sguardo: lucenti brillano prendendo il posto delle stelle; si specchiano dentro i suoi e tutto è quiete. Lui vuole solo rimanere lì per sempre…con quella luce calda a cullarlo. Poi una civetta sbuca dalle nubi; le sue zampe strappano uno di quei zaffiri. Il suo strido è acuto e le orecchie e i suoni vengono oscurati; a terra – in ginocchio – Rogozin cade mentre vede la Civetta malevola che porta via uno di quei brillanti. Ma qualcosa si è rotto: perché voleva rimanere lì? Perché voleva lasciare tutto? Cos’era esattamente tutto questo? Aveva una missione; uno scopo non poteva rimanere lì. E mentre la luce si perdeva nella coltre di nubi e nel manto della notte di nuovo le ombre si allungarono e strisciarono non più fermate, non più paurose.
E tra esse qualcuno si muoveva. Incubo nell’incubo: capelli argento; risata malefica che assomigliava più ad un ghigno che ad un sorriso. Movenze aristocratiche ma che nascondevano una follia omicida; mani da pianista e armatura chiazzata di sangue. Il sangue…il sangue…scendeva dalla sua guancia sinistra mentre la lingua, turpe, lo leccava da una sua daga nera come l’anima di chi la impugnava. Come dimenticare quella voce…come dimenticare Christoph Lautrec!

Ragazzina è un piacere rivederti! Come stai? E dire che le mie lame avevano voglia di te… sadismo e pazzia.

Perché?! Tu non eri morto? Ti ha ucciso! cercava un appiglio. Uno solo per la sua anima e la sua mente che stavano sempre più sprofondando nella pazzia.

Mi hai visto forse trapassato con una lama?! Mi hai visto sgozzato? NO! Mi hai visto solo ed esclusivamente che uccidevo il tuo maestro e lui che cercava di proteggere un inutile, schifoso fallito come te! voce melliflua e che scostavano un velo su ricordi che voleva, ardentemente, seppellire e basta. Ma lui era lì e veloce scattò per fermare la sua vita e veloce fu la Rosa per difenderla. Lame cozzarono: wakizashi contro le daghe; occhi negli occhi, affondi e parate. Quelle movenze da felino contro movenze aggraziate, senza sbavatura alcuna che erano sempre più incalzanti portandolo in difficoltà: già le prime ferite si aprivano sui suoi fianchi e dovette ricorrere a tutto se stesso per evitare un fendente dall’altro in basso – incrociato con quello che veniva portato dall’altra mano – per non soccombere ed essere tagliato in quattro parti.

Vedo che sai ancora scappare con quelle gambe da due soldi vero ragazzina?! Sei scappato allora e scappi anche adesso. E la lama fu diretta contro di lui alla spalla. Veloce era la Rosa; ancor di più quel figlio di cagna che aveva previsto il suo movimento seguendolo e colpendolo appena si era rigirato, per mostragli il filo delle sue spade. Il dolore e il sangue che ticchettava per terra: chiazze rosse nella tenebra e una risata accompagnava quel ticchettio e una lingua vogliosa fu passata sul filo delle Daghe. La pazzia era davanti a lui. Era rotolato per terra: sangue e terra nella sua bocca, dolore e la risata riecheggiò ancora.
Ma a tutto questo rispose il silenzio e occhi carichi di odio. Però le sue armi erano strette nelle sue mani e calmo era il suo cuore. Ora sapeva che, forse, poteva rimediare agli errori fatti…ora poteva affrontare uno dei suoi demone vincerlo. Certo non gli avrebbe ridato il suo adorato maestro, il suo villaggio e tutte le persone che credevano in lui e che lo avevano accolto come un figlio – per quello non si poteva fare nulla – ma almeno avrebbe riscattato, in parte se stesso. Non sarebbe scappato e, conscio degli errori e degli insegnamenti, guardava il suo nemico negli occhi. L’incubo era tornato e lui lo avrebbe affrontato…con tutto se stesso stavolta.

Non parli?!

Parleranno le mie lame feccia! Dovresti ricordartele…vero… eccole lì il lascito, il testamento del suo maestro di Fuyuki Kazama. Non poteva averle scordate; così come quello che avevano fatto ai suoi compagni. E mentre un profumo strano aleggiava nell’aria.

Ragazzina mi hai chiamato…sai che ogni ragazzina ha il suo profumo preferito?! Un profumo invitante a cui vi è affezionata e che si mette sempre per le occasioni speciali…

Non gradisco gli uomini lo sai…ma ti violenterei allegramente piccola bastarda. Così come mi sono sollazzato con il tuo villaggio così oggi completerò l’opera. Quelle lame non hanno avuto effetto allora non lo avr… un colpo di tosse. Il sangue che usciva; ferite che si aprivano e un fiotto di sangue rosso sgorgò dalla sua bocca: le mani si tenevano il petto e non capiva quello che stava succedendo.

C..cosa mi…mi…

HAI FATTO?!

Esplose nella rabbia: la sua compostezza se ne andò facendo vedere il marciume e la pazzia che albergavano dietro quella maschera di cortesia e modi affabili. Era caduta la sua maschera ed ora due fulmini rosso cremisi e nero si stavano abbattendo su di lui: miravano al suo fianco sinistro e al ventre. Lo voleva sbudellare ma lentamente in modo tale da godersi lo spettacolo della sua morte; così come lui aveva fatto con il suo villaggio e il suo maestro così sarebbe stato ripagato con ugual moneta. Il dolore, questo sconosciuto, per Lautrec lo colse ma la sua forza e abilità erano ancora ad un livello che Rogozin non poteva ancora ambire. E di nuovo le lame cozzarono; di nuovo i due, furenti e senza pietà, combatterono l’uno di fronte all’altro non arretrando mai.

vedo che quelle armi sono importanti e allora…

Non capì quel ghigno finchè non lo ebbe sotto: finta di affondo, un calcio alla milza, una gomitata in viso e con un rapido movimento delle sue armi ecco che le spade schizzarono via dalle sue mani. Ma non era finita e colpì forte in affondo. Come riuscì a seguire i suoi movimenti o almeno a prevenirli neanche lui lo avrebbe saputo dire. Forse tutte le guerre, le battaglie, i bocconi amari ingoiati in quegli anni, oppure l’odio che gli bruciava le viscere fatto stà con il gomito impattò sulla lama deviandola e ancora il dolore di un ennesima ferita. Ma era ancora lì. Ancora non si arrendeva. E vide l’albero e le sue radici e rami. Ricordò le sue foreste e il canto degli uccelli insieme al rumore dell’acqua limpida che scorre; all’abbraccio di quelle foreste e al loro canto che lo cullava e controllò quei rami. Chiese l’aiuto di quell’albero che prima lo aveva protetto di infondergli un po’ di energia, di dargli un aiuto in quella battaglia e lui raccolse il richiamo: i suoi rami si fiondarono su Lautrec che ne abbatteva, ne tagliava, ne schivava eppure erano come teste di idra arboree che più ne si tagliava e più altre ne crescevano e non si accorse di quel pugno carico di odio e rabbia che si abbatté rompendo il naso e facendo schizzando sangue dappertutto. Un rantolo di dolore unito a quella di rabbia ed odio: era diverso dal ragazzino che impaurito, affamato, piagnucolante era lì ad assistere a quei roghi, alla morte e alla depravazione. Era come se fosse una pantera che ruggiva, che aveva artigli, che aveva rabbia e coraggio…no non era quel ragazzino era un uomo. Un uomo che aveva un odio bruciante, un ardore e volontà ruggenti come il magma con occhi diamantini che fulgevano carichi di ardore e rabbiosi lo guardavano. Non erano più impauriti. Non era più un ragazzino!
E si sentì lui impaurito; si sentì lui in dubbio e senza darsi spiegazioni: perché la rabbia che sentiva provenire dal suo corpo, da quegli occhi lo bruciava. Era troppa e lui era così cambiato…

AVANTI BASTARDO! FACCIAMOLA FINITA!

E si gettò su di lui: doveva aprirgli la guardia e così fece. Un affondo e si fece colpire apposta dandogli l’impressione che ormai era a corto di energie, dolore e sangue troppi per lui, e la frusta schioccò parando e smorzando i suoi colpi che si infransero sul suo corpo che ora riluceva. I suoi tatuaggi pulsavano di una luce opaca e bianca ed era come se si fosse coperto da un armatura. Un armatura che lo proteggeva e veloce alzò la sua mano: veloce l’acqua si formò, primigenia forza naturale, che era lì ora per aiutarlo e veloce su ali del vento fermò la sua corsa su una spada che la tagliò a metà.
Ma Lautrec tutto poteva pensare tranne che in lui si nascondesse un simile potere e demone: quel giorno non aveva combattuto per paura di se stesso non verso di loro. La paura di ferire e far morire anche un nemico così infame; di creare danno a chi era ancora vivo. Nel sangue si bagnò la Rosa; i suoi petali erano intinti di una sostanza mortale, il suo sangue era questo. E milioni di aghi si lanciarono su Lautrec avvelenandolo: il suo sangue era la sua chiave. Il sangue era la sua essenza a lunga sfuggita, a lungo rinchiusa in una gabbia, a lungo non accettata: solo dopo un mondo bianco, in una foresta nera capì se stesso e finalmente si accettò.
Solo allora Rogozin la Rosa di Fatal Bellezza nacque e lanciandosi su di lui lo finì strozzandolo.
Debilitato dalle ferite e dal veleno lautrec lentamente moriva: prima si dimenò come non mai ma mani fredde e ferme lo strozzavano con la frusta. Occhi diamantini lo guardarono morire…

Le vostre immagini hanno da sempre mi hanno tormentato…MUORI!












Rogozin
Energia: Bianca Pericolosità: F CS: +1 Maestria armi
Status fisico: Basso al fianco destro; Basso al fianco Sinistro; medio su spalla. Basso su addome;Basso su braccia(per tre attacchi fisici) Basso su addome;
Status Psichico: Consumi energetici in questo turno: 20%; 20%; 5%; 20%; 20%;10%
Riserva energetica residua: 5%

_ ___ _____ ___ _

Abilità Passive:
Presenza angelica:
Allo stesso modo dei demoni, gli Avatar di stampo angelico non possono nascondere totalmente la loro presenza, pur mischiandosi con gli esseri umani e viaggiando tra loro e per le stesse vie. Le altre razze, infatti, percepiranno sempre qualcosa di sbagliato in loro, qualcosa di differente, ed è per questo che gli angeli incutono negli esseri innanzi a loro un innato timore reverenziale, purché questi non siano angeli stessi, e che siano di energie pari o inferiori all'agente.
Non è importante l'allineamento dell'Avatar. Quest'abilità funzionerà sempre e comunque, indipendentemente dal sopracitato fattore.. [Passiva Razziale].

Duellante: il possessore del dominio ha sviluppato una capacità innata di sfruttare ogni oggetto riesca ad impugnare come una letale arma. Non solo, quindi, l'arma cui è legato e con la quale ha vissuto gran parte della propria vita, o della propria esperienza. Qualunque mezzo, per strano, informe o artificioso che sia, potrà asservire allo scopo designato di ledere il proprio nemico, sempre che la logica e la razionalità lo consentano. Pertanto, potrà sfruttare bottiglie, funi, cinte, sedie, falli, semplici assi di legno o pezzi di metallo, come armi letali che, nelle proprie mani, taglieranno il nemico al pari di una lama affilata o di una poderosa ascia.[Passiva Dominio]

Velenrancore Non è una casta vera e propria, si potrebbe dire - ma è solo parte dell'abominio generato dalla trasformazione della foresta nel Gwàthlaiss a causa dell'essenza del Gorgo scioltasi nel suolo - andando ad intaccare il profondo rapporto fra le fate e la natura. L'indole generalmente pacifica delle fate divenne distorta per alcuni in una paranoia, in altri per un desiderio impulsivo di uccidere coloro che minacciavano la propria tribù. Qualcosa che superava ben più la voglia di difendere i propri compagni che guidava i Frémalis, come se il rancore del Gorgo fosse divenuto insito all'anima delle Fate. Un furore che si manifesta nel loro stesso sudore, si dice, rendendo le loro lame portatrici di morte e pestilenza. Loro sono il cancro per curare il cancro.
[Ogni attacco fisico portato con le proprie armi può avvelenare l'avversario. Il veleno è quantificato come danno Basso al corpo, che sarà progressivamente debilitato da nausea e febbri ad ogni colpo andato a segno.][Passiva]

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Abilità Attivate:



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Riassunto e Note:
1° turno: incasso I due attacchi fisici smorzandoli e ricevendo un basso ciascuno; paro la variabile con Scatto del Lupo ma non posso fare niente per parare Attacco Furtivo.
2° Passo all’attacco con Pergamena Necrosi Mentale(Alto) seguito da due violenti spadate portate con al sinistra al fianco e al ventre in affondo con la destra.
3°: mi disarma e oppongo l’Attiva di Dominio per smorzare l’attacco riducendolo ad un basso all’addome. Parto al contrattacco con Abbraccio della Natura alto.
4°: Incasso la variabile Bassa; oppongo la mia frusta a mò di scudo riducendo i danni e smorzandoli ancora con la mia armatura naturale. Attivo Proiettile d’acqua sul viso; casto la mia personale sangue della Demon Rose e concluso lanciandomi su di lui cercando di soffocarlo





Bracconiere - Christoph Loutrec
Energia: VerdePericolosità: E CS: +2 Destrezza
Status fisico: Alto su tutto il corpo; Medio( più basso da veleno) al braccio destro; Medio in viso.
Status Psichico: Alto Consumi energetici in questo turno: 20%; 10%;10%;10%;20%; 5%; 10%
Riserva energetica residua: 15%

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Abilità Passive:
Controllo energetico:
Gli uomini sono famosi per non possedere né una gran forza né un'eccellente velocità, quindi la maggior parte di loro hanno puntato tutto sulla magia, l'unica branca a loro disposizione. Grandi maghi e stregoni, il loro corpo porta una dote innata a favore di queste arti, come se fosse stato forgiato apposta. Raggiunto il 10% delle energie infatti, un uomo non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%. [Passiva Razziale Umano].

Assassino: il possessore del talento ha sviluppato una capacità innata di annullare gran parte delle emanazioni fisiche del proprio corpo. Grazie a questa peculiarità, infatti, egli sarà in grado di vincolare qualunque rumore produca al fine ultimo della propria esistenza: ovvero il nulla. Qualunque movimento, spostamento o azione egli compia, dunque, non produrrà rumore o, comunque, produrrà un suono talmente lieve da risultare impercettibile a qualunque orecchio, umano e non. Allo stesso modo, però, finanche ogni odore sarà vincolato al patto innato di vuoto che caratterizza il proprio spirito. Il fisico non emanerà odori, né effluvi tali da poterne evidenziare la presenza ad alcuno. In questo modo, la sua presenza sarà quasi del tutto impercettibile, risultando esistente al pari di una qualsiasi ombra del terreno. Visibile soltanto se visto, ma impossibile da individuare attraverso i suoni o gli odori. [Passiva Dominio 1°]

Al secondo livello i possessori di questo talento vedranno ampliarsi le proprie capacità, estendendo l'effetto annullante anche all'ambiente circostante. Il corpo del possessore, dunque, non produrrà alcuna conseguenza sul terreno o, in generale, sull'ambiente di gioco. Il suo passaggio non provocherà la vibrazione del terreno, in alcun modo; inoltre, le piante, la vegetazione o un qualunque elemento della natura, che interessi una determinata area, non si sposterà o non subirà mutamenti dal suo passaggio. Finanche il suo incedere non calcherà il segno sul sentiero percorso, non lasciando il suo passo alcuna traccia di esso. Scomparirà per tutti, finanche per la realtà che lo circonda, rimanendo impressa su di essa come un raggio di buio che scorre rapido, ingannando lo spazio come fosse suo servo. In termini tecnici la passiva annulla le vibrazioni prodotte sul suolo, o sull'ambiente, dal passaggio del possessore ed impedisce che il suo cammino produca tracce sul terreno. [Passiva Dominio 2°]


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Abilità:

Marchio dell’Assassino: Colpire; dileguarsi; afferrare; sgozzare. Sempre nell’ombra; sempre sapendo dove andare a colpire, il punto preciso con quale forza, intensità e sopratutto quando. Non i colpi agitando le proprie armi a caso ma attendendo il momento propizio per poi colpire senza dare scampo. Un singolo colpo, o più colpi, poco importa: importa solo l’annientamento il prima possibile e senza, possibilmente, fatica. Senza farsi toccare da chicchessia: disarmarlo e sgozzarlo in fretta…nessuna fatica e nessun dispendio di energie.
Perché faticando si suda e a Christoph Loutrec non piace sudare.[Variabile di Difesa 1° Personale/ Variabile d’Attacco 2° Personale]

Disfare: Il ladro intuisce il punto di rottura dell'equipaggiamento nemico, sferrando un abile attacco capace di spezzare due differenti armi o oggetti dell'avversario.
La tecnica è un danno all'equipaggiamento di natura fisica. Il personaggio si scaglia contro l'avversario un duplice attacco o uno singolo ben mirato, capace di colpire due pezzi di equipaggiamento appartenenti al bersaglio della tecnica cagionando un danno basso ciascuno. Si potrà personalizzare l'attacco, ad esempio conferendo all'arma un'aura/forma diversa durante l'attivazione o una particolare acrobazia che preceda l'attacco, purché tali modifiche non rendano l'attacco meno distinguibile a chi lo deve affrontare o ne modifichino lo scopo - ossia esclusivamente distruggere due elementi d'equipaggiamento del bersaglio designato, lasciando suddetto incolume. La tecnica può bypassare passive di indistruttibilità e a prescindere dall'attuazione andrà affrontata come una tecnica fisica di potenza media. È attuabile sia utilizzando una propria arma da mischia che a mani nude, ma non potranno essere utilizzate armi a distanza, da tiro o da lancio. A livello scenico può essere utilizzata per disfare e smontare qualsiasi oggetto, o per scassinare una serratura.
Consumo di energia: Medio

Attacco furtivo: Il ladro approfitta di un momento di distrazione per affondare la propria arma nel corpo del nemico, causandogli una ferita sanguinolenta.
La tecnica ha natura fisica. Il caster compie un unico, rapido movimento per affondare la propria mano, un proprio dito o una propria arma da mischia nel corpo del nemico, nel tentativo di provocargli una ferita molto profonda, ma estremamente localizzata alla zona colpita - a seconda della personalizzazione è possibile utilizzare qualsiasi parte del corpo e qualsiasi arma, purché queste ultime siano da mischia. La tecnica ha potenza Media e provoca un danno Medio; la sua efficacia si basa sulla rapidità con la quale viene eseguita il gesto, tramite la quale è possibile penetrare più o meno in profondità.
Consumo di energia: Medio

Aggressione: Il ladro affonda la propria arma nel corpo del nemico, danneggiandolo gravemente e lasciandolo sanguinante.
La tecnica ha natura fisica. Il caster compie un unico, rapido movimento per affondare la propria mano, un proprio dito o una propria arma da mischia nel corpo del nemico, nel tentativo di provocargli una ferita particolarmente profonda, ma estremamente localizzata alla zona colpita - a seconda della personalizzazione è possibile utilizzare qualsiasi parte del corpo e qualsiasi arma, purché queste ultime siano da mischia. La tecnica ha potenza Alta e provoca un danno Alto; la sua efficacia si basa sulla rapidità con la quale viene eseguita il gesto, tramite la quale è possibile penetrare più o meno in profondità.
Consumo di energia: Alto

Sostegno: Il ladro diviene capace di camminare ovunque, dalle pareti e ai soffitti all'acqua, persino usando l'aria come appoggio.
La tecnica ha natura magica. L'abilità non ha potenza e concede i propri benefici passivamente, sempre funzionanti nel corso di una giocata. Il personaggio diviene in grado di camminare e reggersi su qualsiasi superficie, sia essa avversa a lui e alla gravità (come una parete o un soffitto), sia essa liquida (acqua, ad esempio) o aeriforme (camminare sull'aria). Non sarà affetto in alcuna maniera da correnti d'aria o sbilanciato da onde nell'acqua, e potrà camminare tanto agilmente nell'aria quanto lo farebbe sulla terraferma, il tutto non alterando in alcuna maniera la sua agilità o la velocità con la quale si muove normalmente - rendendolo di fatto né più veloce né più lento del solito.
Consumo di energia: Passiva


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Armi:
Daghe: una coppia di Daghe, entrambe, nere.
Pistola: 5/5 colpi



Riassunto e Note:
1° turno: due semplici attacchi. Attacco a consumo ALTO con la variabile d’attacco, seguito da Attacco Furtivo alla spalla.
2°: non para necrosi mentale incassa il primo attacco fisico il secondo para con i Cs. Passa all’attacco con Disfare e un Medio della variabile.
3° Oppone la Variabile difensiva per Abbraccio della natura ma il pugno lo raggiunge in pieno viso(Un Medio) . Variabile offensiva Bassa seguita da tre attacchi fisici.
4°: Variabile di difesa contro Proiettile d’acqua; non può nulla contro la personale e il seguente attacco di frusta che lo soffoca.

 
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view post Posted on 22/12/2013, 14:42
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Quando si svegliò, Kermis notò di essere sudato come non mai, il suo corpo tremava ed il cuore palpitante rifletteva ogni singolo battito direttamente nei suoi pensieri.
Si guardò attorno, capendo di non essere stato il solo; Afrah e Donovan erano già svegli, mentre qualche secondo dopo anche Sepsaris, Rogozin ed Anglide si sarebbero svegliati, mettendo in allarme l'intera capanna. Il Mercante tentò di alzarsi, facendo perno sulle gambe tremolanti e raggiunse il pozzo, dove bevve un sorso d'acqua e si sciacquò il volto. Prese qualche respiro profondo, prima di rientrare nella costruzione, dove era calato un silenzio tombale. Tutti avevano sognato la stessa cosa - di essere attaccati da creature informi e maledette, strane aberrazioni che volevano divorare il loro corpo - eppure nessuno sembrava volerne parlare. L'Invisibile si avvicinò all'amica beduina per assicurarsi che anche lei avesse avuto quella visione, la quale confermò senza alcuna esitazione.
Nel tornare verso il proprio sacco a pelo, il Mercante non riuscì a fare a meno di notare che la tasca di Rogozin, il guerriero che era giunto fin lì sotto la guida esperta di Donovan, stava brillando di una strana luce azzurra.

« Cos'è? »
Rompendo la monotonia del silenzio, Kermis catturò l'attenzione di Rogozin indicando la sua tasca.
« Che hai in quella tasca? »
Il ragazzo frugò nel taschino della sua veste, tirando fuori quello che per lui doveva essere la piccola pietra luccicante che gli era stata donata dal bambino del pozzo.
La pietra aveva assunto una conformazione ben più precisa, rintagliata nei minimi particolari.
Nella concentrazione e nello stupore generale, il Mercante riuscì a collegare il colore del mare più profondo a ciò che aveva visto quel giorno: gli occhi dell'Albero.
« Zaffiro.
Un elfo mi ha parlato di occhi zaffiro, questa mattina. Quella pietra.. è uguale a quelle che luccicavano sul grande albero nel centro del villaggio.
Dove.. dove l'hai presa?
»

Ma non ci fu il tempo per rispondere.
Il corpo di Alexandra iniziò a muoversi in maniera incontrollata. Di tutti, era l'unica che ancora non si era svegliata; di comune accordo, avevano pensato di lasciarla riposare, nonostante ciò che era accaduto nel mondo onirico della notte, eppure sembrava volersi risvegliare, proprio in quel momento. Movimenti spasmodici e veloci che misero in estrema allerta Donovan. Anglide si precipitò verso il corpo della sua Regina, poi fece segno a tutti di uscire.
Stava succedendo qualcosa.

« Tutti fuori, ADESSO! »
Il corpo di difesa della Regina non perse tempo.
Anche il capitano Donovan von Bozeck uscì dalla capanna, lasciando ad Anglide il compito di ristabilire la pace.
« Cosa le sta succedendo? »
« Non lo so. »
Il volto di Donovan era estremamente preoccupato, come mai il Mercante era riuscito a vederlo.
« Speriamo solo che Anglide riesca a risolvere questa situazione. »

Quando l'elfa uscì dalla tenda era ormai l'alba e un manipolo di Elfi stava raggiungendo il gruppo.
Alexandra uscì a fatica dalla costruzione, il volto distrutto dalla stanchezza e da una lotta interna che doveva averla straziata. Anche Anglide appariva molto stanca. Il Mercante - ed il gruppo intero - si chiedeva cosa fosse successo, ma non vi era tempo per le domande.

« Siete pronti, duine? »
La voce del capovillaggio entrò nella mente di tutti. Stanchi com'erano, non sarebbero riusciti a fare molto, ma il dovere li chiamava.
« Siamo pronti.
Andiamo.
»
Lo sei davvero, Alexandra?


CITAZIONE
Qm Point.

Quando ci svegliamo tutti - tranne Alexandra - passano alcuni minuti di silenzio, dopo i quali Kermis indica la tasca di Rogozin, dalla quale sta uscendo una forte luce blu. Il ragazzo prende la pietra e tutti la riconoscono come uno degli occhi zaffiro dell'albero al centro del villaggio. Improvvisamente, però, il corpo di Alexandra inizia a tremare, e Anglide invita tutti ad uscire. Quando è l'alba, l'elfa e la Regina escono dalla tenda, stanche ambedue. Arriva il capovillaggio: è tempo di andare.
Attendete il post di Neve.
 
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.Neve
view post Posted on 22/12/2013, 14:43






Un altro viaggio, un'altra meta ancora incerta solcava i pensieri dei viandanti. Il gruppo si mosse verso lidi sconosciuti, posti dall'inguaribile fascino e dall'antico terrore. Il capotribù guidava adesso quel manipolo di genti animose, come se lui stesso fosse adesso fulcro e sostegno di elfi e viaggiatori. La sua scorta armata avanzò veloce posizionandosi ai lati e di dietro e d'avanti alla figura del loro signore. Passi lenti e cadenzati, una marcia sulle reliquie della memoria. Tetra e soffocante. Afrah scrutò ogni movimento, ogni fremito della persona avanti a sé. Andò incontro ad un viaggio incerto, insicura se quella fosse o meno la cosa giusta da fare. Una rapida occhiata al suo alleato Kermis le bastò per capire che non era la sola a nutrire certi sospetti. D'altronde della sua Saìdda, dall'incontro con il capotribù, era rimasto poco. Troppo poco. Gli occhi assenti, l'andatura meccanica. Il suo viso prima radioso ora così spento e smorto. Forse il tenero peso sul suo ventre aggravava le sue condizioni già precarie. Forse la sua mente non poteva più sopportare di accollarsi un altro rischio di violenta portata. E così la beduina, per quei secondi di concitata follia, aveva perso già la sua Regina. Senza di lei si sentiva vuota ed inutile. Un incerto alfiere non ancora in grado di spostarsi in avanti.

Il viaggio proseguì senza alcun intoppo.
Troppo facile, pensò la beduina. Mentre il paesaggio innanzi a loro si rinfoltiva di morti seppelliti e tombe senza nome.

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La visione di quelle esequie l'aveva però ferita nel profondo più di quanto non immaginasse. Lapidi alte e svettanti si susseguivano adesso innanzi ai loro occhi. Una dietro l'altra. Una successione quasi infinita di anime e ricordi, amari ricordi. Le vittime della bianca dama. Rabbrividì a quell'antico e tetro affresco, fremette appena. Ed il capo si abbassò in segno di rispetto. Continuarono a camminare per altri lunghi ed interminabili minuti, forse ore avrebbe detto. Non seppe in verità, ma di certo in quel momento la sua codardia ricominciava a farsi strada tra le sue bianche membra. Arrivarono infine di fronte ad un vecchio mausoleo. Una cappella per racchiudere le esequie di personalità importanti. La sua Saìdda, ora più conscia e consapevole sembrò guizzare la vista. Una delle tombe si trovava perpendicolarmente all'asse del terreno.

"Raphael Soren."
Indicò la mano del vecchio capo.

La regina non si mosse, non fiatò. Le bastò un solo cenno del capo per ordinare ai suoi attendenti di aprire il sarcofago. Donovan e Yu Kermis si prodigarono a sollevare, non con poca fatica, il gravoso coperchio di pietra che ricopriva la tomba del fu campione del Sorya. Un tonfo sordo si elevò sino alle loro orecchie allorché il sigillo di pietra cadde rovinosamente in terra. La polvere si innalzò prepotente ottundendo la loro vista ed i loro occhi. E quando essa si diradò al di là del cielo, la salma di Raphael si mostrò in tutta la sua piccolezza. Così rinsecchita ed irriconoscibile, priva di qualsiasi forma dell'uomo che un tempo era. D'altronde, anche i più onorabili guerrieri sono uguali di fronte alla morte. La figura era intera tranne per un piccolo particolare: la mano destra mancante. Sbottò, furiosa allora la Regina.

"Cosa... cosa significa?!?"

Nessuna risposta.
Gli occhi del capovillaggio si fecero cupi e grami.
La mancina armata del vecchio cercò allora di pugnalare Alexandra al morbido ventre. Donovan lo intercedette e con un balzo rapido si portò innanzi alla sua Regina, scostandola in direzione di Anglide e accusando per lei la stilettata alla spalla sinistra. Sangue cremisi e copioso sgorgò dal braccio del coraggioso scudiero. La vista di Afrah si annebbiò per un istante.

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"Saìdda!!"

Veloci Afrah e Kermis, gli alfieri di Alexandra, partirono in diagonale contro il capovillaggio. L'una con voce imperante lo ferì da dentro, accompagnando l'urlo con una veloce sferzata del suo pugnale ricurvo alla mano sinistra del vecchio, il quale fece ricadere il ferro in terra. L'altro agì più in silenzio con chiodi e pergamene, da dietro lo fermò trattenendone gli arti. Donovan si mosse ancora dolorante contro alcune guardie, e con rapidi affondi li fece capitolare abilmente. Ma ne rimanevano due in piedi a guardare i due giovani con aria di sfida. La beduina ed il mercante intanto avrebbero costretto il vecchio a parlare e difeso la Regina a qualunque costo.


Co-QM's PointInizia il viaggio e dopo un un'oretta circa di cammino - dopo aver attraversato per lungo il cimitero delle vittime cadute per mano di Eitinel prima ancora della costituzione del Sorya - il gruppo di Alexandra giungerà di fronte ad un mausoleo. Le guardie ne aprono l'ingresso e Alexandra è la prima ad entrare e notare l'unica tomba posta perpendicolarmente all'asse del terreno. Il capotribù la presenta come la tomba di Raphael; Donovan e Yu , dopo un cenno della regina, aprono il sarcofago. Il coperchio cade rovinosamente in terra, ed è chiaro che al cadavere - irriconoscibile - manchi una mano. La Regina, furiosa, chiede spiegazioni, ma di tutta risposta il capotribù tenta di pugnalarla - tentativo fallito però grazie all'intervento di Donovan, che spintonando Alexandra su Anglide funge da scudo incassando per lei la stilettata. Afrah e Yu si avventano sul vecchio, disarmandolo e costringendolo alla resa. Donovan uccide alcuni uomini della sua scorta. Due di loro, feriti, si avventano uno su Sepsaris e l'altro su Rogozin che dovranno affrontarli in duello. Hanno entrambi 1 Cs in Maestria a testa, non siate autoconclusivi. 5 giorni di tempo, Buon lavoro!


Edited by .Neve - 22/12/2013, 15:05
 
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view post Posted on 27/12/2013, 19:30

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Si svegliarono con ancora le facce di chi aveva sognato - per l'ennesima volta - la stessa cosa. Nessuno disse nulla. Solo Alexandra sembrava imprigionata in un torpore malsano - Sepsaris non poteva che alzare un sopracciglio, notandolo. Cosa stava succedendo a quella donna che le era sembrata così ferma e autoritaria, se nemmeno riusciva ad alzarsi all'ora stabilita? Vero era che non avevano, in effetti, stabilito un'ora: l'incubo notturno l'aveva fatto per loro. Poco tempo dopo comunque il corpo della regina iniziò ad essere scosso da tremiti, e sotto un grido disperato della dama di compagnia mezz'elfa il corpo di guardia lasciò sola la sovrana nella tenda.

L'aria della mattina era fresca e meno carica di umidità. Sepsaris si riempì i polmoni, ignorando i mormorii preoccupati dei suoi compagni. Se avevano intenzione di aspettare senza far nient'altro per quella sovrana che era più la loro che la sua, lei non si sarebbe fatta trascinare in inutile congetture. Dopotutto, volevano solo che fosse una spada, e una spada sarebbe stata. Niente di più, niente di meno.
Alla fine Alexandra emerse dalla tenda con un'espressione provata. Fuori, il capo degli elfi aspettava. Qualunque cosa si fossero detti la sera prima, sembrava avessero concordato un altro viaggio. Scortati da un piccolo gruppo di locali, si incamminarono alla volta di un obbiettivo abbastanza ignoto.





La faccia raggrinzita di un uomo morto li fissava dal suo cubicolo di legno e terra, vuota in una domanda eterna. Perché? Il gruppo sembrava sconvolto a quella vista - la regina in primis. Non era troppo spaventoso, però, mettendolo a confronto con le facce distorte dalla Grande Fame dei Castanics che aveva sterminato.

«Cosa... cosa significa?!?»



Nulla, avrebbe detto Sepsaris: un uomo morto non significa nulla. Gli mancava la mano della spada, però. Non ci fu tempo di chiedere spiegazioni, comunque: in un raptus di follia, gli elfi diventarono ostili, cercando di pugnalare la regina al ventre. L'intervento di Donovan, Kermis e Afrah fu troppo tempestivo che un'eventuale azione della lanciera non vi avrebbe trovato spazio: rimaneva però una coppia di nemici, i loro volti ancora intenzionati ad attaccare.
Sepsaris non aspettò che uno di loro attaccasse, o che qualcuno le dicesse cosa fare, e si lanciò contro il più vicino, portando mano alla lancia. Prima di sfoderare l'arma con la velocità che la caratterizzava, però, Sepsaris avrebbe provato a disorientare il suo nemico, sferrandogli un pugno in faccia con la sinistra - ricoperta dal guanto dell'armatura. Ovviamente un simile colpo non avrebbe potuto fare gran danno, ma se fosse andato a segno avrebbe reso il nemico impreparato a difendersi dall'attacco successivo: estratta la lancia in maniera fulminea, la guerriera l'avrebbe fatta calare come una ghigliottina sulla testa del nemico, tagliandolo in due anche se per farlo avesse dovuto sforzare il braccio destro più del dovuto.
CITAZIONE


2 CS alla Maestria con le Armi
Energie: 95%
Sepsaris ha un danno basso alle mano sinistra + un alto di ferite varie dopo il combattimento. Risente inoltre di un medio psionico. Al tutto si aggiungerà un basso al braccio destro per sforzo muscolare dalla pergamena "martirio".
Abilità

Martirio: Il paladino costringe il corpo a potenziare il colpo seguente pagando uno scotto sul suo stesso fisico.
La tecnica ha natura fisica. Permette al paladino di imprimere una forza maggiore nel colpo successivo pagandone lo scotto sul suo stesso fisico. Il colpo potrà essere eseguito impugnando un’arma o con un arto disarmato, potrà essere coinvolto in un’azione offensiva o difensiva in stretta relazione alle circostanze del caso, e avrà potenza Media infliggendo un danno del medesimo livello. Tuttavia, l'arto del paladino col quale avrà portato il colpo, risentirà di un danno pari a Basso, riequilibrando la forza impressa con il quantitativo di energie speso. E' possibile personalizzare la tecnica subendo, al momento dell'attivazione, leggere mutazioni che non compromettano la riconoscibilità del paladino come leggeri tratti demoniaci o angelici, in base alla personalizzazione che si intende attribuirgli.
Consumo di energia: Basso


Duellante I - Qualsiasi oggetto con cui Sepsaris attacca è considerato come un'arma.
Duellante II - Estrazione istantanea delle armi.
Hybris Castanicis - Razziale demoniaca di timore.
Vitam Superare - Insensibilità al dolore.
Sepsaris Sanguis - Danni fisici sopportabili aumentati a doppio mortale.
 
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view post Posted on 27/12/2013, 20:59
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Era un incubo? Si svegliò sudato, dolorante, spaesato e senza energie: svuotato fisicamente e mentalmente da tutto. Un raggio tiepido toccò il suo viso e fu come una carezza lieve che lo scosse da un qualcosa – legacci ? – che era come un sudario sulla sua anima. Domande si accavvalorono nella sua testa ma ancor più fu la domanda di Kermis a scuoterlo: una mano dentro la sua tasca; luce pulsante; una gemma in una mano così simile, così uguale a quella del suo sogno e un brivido lo percorse. Brivido freddo, brivido di paura e cercò una risposta in uno sguardo, quello del mercante, che non ebbe. Il mistero era intorno a loro e forse da predatori erano loro stessi le prede. Voleva parlare, voleva dire qualcosa e togliersi di dosso quella sensazione angosciante e angosciosa che era intorno al ui eppure non vi fu il tempo. Eppure qualcosa era nell’ombra silente e malevola che gli osservava…ma era amica o nemica? Non potè fare a meno di guardare quella pietra luminescente e chiedersi chi stava dando la caccia a chi?



Non si fidava di quegli elfi men che meno che fossero accondiscendi verso di loro la loro cerca e il loro obbiettivo: sapevano ed erano riluttanti a concedere il loro aiuto ora. Sapevano, lo leggeva nei loro occhi e chiara fu la sensazione che ebbe con il Capovillaggio: penetranti occhi che scrutavano in cerca di qualcosa nella sua anima e che la trovarono. La trovarono e sapeva che non erano lì per nulla…ma loro sapevano molto di più di quello che le loro bocche non proferivano. Alexandra era sempre più provata e attorno a loro si stava chiudendo una gabbia: occhi diamantini non perdettero nessun movimento di quegli elfi ma da dove sarebbero arrivato il pugnale nascosto? Chela civetta era un presagio? Cos’era l’albero? Chi era davvero e perché stavano cercando Raphael Soren? Un mistero rinchiuso in una tomba ora davanti a loro: in una terra tetra e nera si schiudeva di fronte ai cercatori il mistero, il primo mistero, del sorya. Ma perché un morto? Cosa voleva dai morti Alexandra? Perché il capo villaggio era così titubante a concedere il suo aiuto e perché sapeva della loro ricerca? L’albero e la civetta? I zaffiri?
Tutto era collegato da un filo invisibile che, ancora e purtroppo, veniva celato di fronte ai suoi occhi ma non il tradimento, la voglia di sangue e morte degli elfi. Sapeva che mai avrebbero lasciato vivi chi odiavano: l’aveva scorto negli occhi del Capovillaggio che amore non vi era e che c’era qualcosa di ancora più terribile in ballo, ma ormai il dado era tratto. Primo sangue versato e dietro non si poteva più tornare. Ma se mai gli Dei avessero concesso a Rogozin di vivere ora più che mai, furente e ombroso, avrebbe richiesto spiegazioni vere. A costo di aprire qualche cranio e versare sangue…anche di Alexandra se era necessario. Burattino non lo era mai stato non avrebbe iniziato adesso in un gioco di tenebra e sangue.
Veloce chiamò a sé i poteri della natura con occhi fulgenti di fuoco cobalto: veloce fu la sua wakizashi che fulgeva di luce bianca e il suo attacco. Rami e corteccia, radici e foglie si mossero dalla nera terra per cercare di ghermire, in u freddo abbraccio, l ‘elfo mentre la wakizashi andava a mirare al collo. Recidere la gola e terminare quello scontro. Risposte voleva e non era ancora al pieno delle sue forze: quale maleficio gravava su di loro?

Non morirò qui senza sapere a quale intrigo da vermi sono stato chiamato ad assistere!












Rogozin
Energia: Bianca Pericolosità: F CS: +1 Maestria armi
Status fisico:
Status Psichico: Consumi energetici in questo turno:20%
Riserva energetica residua: 30%

_ ___ _____ ___ _

Abilità Passive:
Presenza angelica:
Allo stesso modo dei demoni, gli Avatar di stampo angelico non possono nascondere totalmente la loro presenza, pur mischiandosi con gli esseri umani e viaggiando tra loro e per le stesse vie. Le altre razze, infatti, percepiranno sempre qualcosa di sbagliato in loro, qualcosa di differente, ed è per questo che gli angeli incutono negli esseri innanzi a loro un innato timore reverenziale, purché questi non siano angeli stessi, e che siano di energie pari o inferiori all'agente.
Non è importante l'allineamento dell'Avatar. Quest'abilità funzionerà sempre e comunque, indipendentemente dal sopracitato fattore.. [Passiva Razziale].

Duellante: il possessore del dominio ha sviluppato una capacità innata di sfruttare ogni oggetto riesca ad impugnare come una letale arma. Non solo, quindi, l'arma cui è legato e con la quale ha vissuto gran parte della propria vita, o della propria esperienza. Qualunque mezzo, per strano, informe o artificioso che sia, potrà asservire allo scopo designato di ledere il proprio nemico, sempre che la logica e la razionalità lo consentano. Pertanto, potrà sfruttare bottiglie, funi, cinte, sedie, falli, semplici assi di legno o pezzi di metallo, come armi letali che, nelle proprie mani, taglieranno il nemico al pari di una lama affilata o di una poderosa ascia.[Passiva Dominio]

Velenrancore Non è una casta vera e propria, si potrebbe dire - ma è solo parte dell'abominio generato dalla trasformazione della foresta nel Gwàthlaiss a causa dell'essenza del Gorgo scioltasi nel suolo - andando ad intaccare il profondo rapporto fra le fate e la natura. L'indole generalmente pacifica delle fate divenne distorta per alcuni in una paranoia, in altri per un desiderio impulsivo di uccidere coloro che minacciavano la propria tribù. Qualcosa che superava ben più la voglia di difendere i propri compagni che guidava i Frémalis, come se il rancore del Gorgo fosse divenuto insito all'anima delle Fate. Un furore che si manifesta nel loro stesso sudore, si dice, rendendo le loro lame portatrici di morte e pestilenza. Loro sono il cancro per curare il cancro.
[Ogni attacco fisico portato con le proprie armi può avvelenare l'avversario. Il veleno è quantificato come danno Basso al corpo, che sarà progressivamente debilitato da nausea e febbri ad ogni colpo andato a segno.][Passiva]

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Abilità Attivate:
Abbraccio della natura: Lo sciamano richiama a sé il potere della natura per stringere il nemico in un letale abbraccio.
La tecnica ha natura fisica. Dopo una breve concentrazione, il caster richiama a se il potere della natura, sfruttandolo per cingere il corpo dell'avversario in un letale abbraccio. La tecnica potrà essere sfruttata o attraverso le braccia stesse del caster, che sembreranno solide e robuste come la corteccia di un albero, oppure attraverso lacci, fruste o qualunque arma con parti mobili in grado di cingere il corpo del nemico in qualunque modo. In ogni caso, l'effetto generato sarà quello di stringere l'avversario in una morsa letale, immobilizzandolo per tutto il turno di attacco e cagionandogli un danno Alto. La tecnica è personalizzabile a piacimento, attraverso effetti particolari che interessino le braccia del caster o le parti mobili utilizzate per stringere il nemico, purché la robustezza delle stesse non ne venga alterata e rimanga facilmente intuibile.
Consumo di energia: Alto


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Riassunto e Note:
Cerco di immobilizzare l'elfo per poi finirlo rapidamente con un fendente verso la gola. Nulla di più o di meno. A voi.

 
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view post Posted on 27/12/2013, 23:13
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« Fermi! »
Il tono del capovillaggio era visibilmente mutato. Sembrava essere una supplica, più che un ordine.
Costretto in quelle condizioni - Yu aveva legato i suoi polsi con la frusta, Afrah lo controllava frontalmente - egli sembrava aver rivelato la sua vera natura. Aveva ordito una congiura contro Alexandra ed il suo gruppo, eppure il Mercante non ne comprendeva le ragioni. Così tante volte avrebbe potuto attaccarli, trovandoli anche meno difesi, invece aveva scelto quel preciso momento. Perché?
Le lame pronte ad uccidere di Sepsaris e quella di Rogozin si fermarono qualche secondo prima di compiere il gesto fatale.
« Non uccideteli, vi prego.
Non meritano questo destino, non sono loro ad aver organizzato tutto questo.
»
Per quanto vile traditore, il capovillaggio sembrava tenere a cuore le sorti del suo popolo.
Onorava il suo titolo, o almeno ci provava.
« Lei.. lei ci ha maledetti.
Ha corrotto tutto ciò che eravamo; la nostra terra, il nostro popolo, la nostra fede. L'Inquisitrice ha portato via tutto, lasciando al suo posto solo le tenebre di un mostro ancor più grande. Io volevo solo vendetta.
Volevo ottenere ciò che ci spetta di diritto.
»
La morte di Eitinel e del suo clan, il Sorya.
« Ma ancora una volta quella strega è riuscita ad anticiparci, dissolvendosi nell'antico miasma e lasciando voi come erede. »
Mosse la testa in direzione di Alexandra.
« Vi ho già detto che non ci sono connessioni tra noi due.
Siamo persone diverse.
»
Ribadì la donna, caricando ogni singola parola con astio ed aggressività.
« Eppure i figli del suo operato sono sul vostro corpo, lo stanno consumando lentamente.
In sua assenza, ho deciso di rivendicare le sorti del mio popolo eliminando qualsiasi sua creazione. Suela.
Sigilli.
Voi siete i suoi eredi, fruitori del suo potere, e per questo motivo volevo eliminarvi, uno ad uno. Volevo farlo, in nome mio e dello Shaogal Crann, l'albero padre che da tempo protegge il nostro popolo dalle ombre generate dall'antico miasma. Come gli altri, anch'egli ha resistito alla maledizione della dannata Inquisitrice attingendo i suoi poteri dalla natura vergine, divenendo un tutt'uno con essa. L'albero padre sta perdendo i suoi poteri.
E' ormai qualche settimana che corpi di elfi inermi vengono ritrovati ai confini del villaggio. Egli non è più in grado di esercitare il suo potere, non è più in grado di difenderci. Spezzare i sigilli avrebbe donato lui forza, eppure ho fallito..
Rimane solo un'ultima possibilità.
»
Alexandra fece un passo avanti.
« Parla, elfo. »
« Quella pietra.. »
Spostò lo sguardo verso Rogozin; la pietra zaffiro ancora emetteva un leggero bagliore.
« Gli alberi padre avvertono il popolo di un eventuale pericolo quando aprono i loro occhi zaffiro. E' da molto tempo che siamo alla ricerca di uno dei due occhi del nostro Shaogal Crann, abbiamo inserito un semplice zaffiro per non allarmare la popolazione.
Con quello, forse potremmo.. forse potremmo salvare il villaggio.
Vi propongo uno scambio. Il sigillo dell'umano Raphal Soren per quella pietra. Voi avrete ciò che desideravate, noi riusciremo a salvare il villaggio. Solo io so dove si trova il sigillo.
A te la scelta, donna.
»
Alexandra digrignò i denti. Se ciò che diceva il vecchio era vero, allora egli rappresentava davvero la loro unica speranza. Si voltò verso Rogozin.
« Consegnami quella pietra, ragazzo. »


CITAZIONE
QM Point.

Afrah e Yu bloccano il capovillaggio, mentre le vostre offensive riescono ad atterrare entrambi gli elfi. Vi fermate poco prima di infliggere loro l'ultimo colpo, quindi assistete alla confessione del capovillaggio.
Questa volta dovrà postare solo Rogozin, con un post semplicissimo - devi solamente consegnare la pietra ad Alexandra (o fare altro, ma data la situazione non so quanto possa essere conveniente uscirsene di testa) -. Data la natura stessa del post, avrai tempo a disposizione fino al 30 Dicembre alle ore 10:00. Non sono concesse proroghe; nel caso in cui non riuscissi a postare, procederemo a pngizzare Rogozin consegnando la pietra ad Alexandra come da richiesta.
In questo turno ci sarà anche l'intervento di un altro partecipante - una guest star 8D - che però non influirà minimamente con la normale storyline.
A te, Wrigel!
 
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view post Posted on 28/12/2013, 12:41
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Si fermò su quella supplica: guardò gli occhi dell’elfo e poi quelli del Capovillaggio e si domandò se anche lui, nella stessa e identica situazione, non avesse fatto lo stesso. Quanto male l’Inquisitrice aveva dato a quella terra con la sua dipartita? Quanto odio si era generato e insieme paura e male con la sua scomparsa? Il Sorya era il male? Per loro si e come dargli torto: non era semantica, non erano ideali, non erano opposte vedute ma era una realtà granitica e orrenda che avevano di fronte ai loro occhi…da sempre. Da sempre il Sorya appestava l’aria, inquinava la terra e il male si sprigionava da antichi pozzi di odio e neri come se nessuna luce vi fosse. L’Inquisitrice aveva lasciato dietro di sé un miasma che ancora appestava l’aria e i cuori delle persone: un veleno corrosivo che scioglieva l’anima e disperdeva ogni luce. Alexandra era alla ricerca di qualcosa: la Regina senza regno la chiamavano ed era vero. Ma non perché il Sorya non esiste ma perché l’eden e il Sorya ormai erano troppo corrotti ed erano animali che distruggevano qualsiasi cosa. Un regno che non si poteva governare. Un regno di morte e desolazione così come il Sorya…benché la Torre si destasse e Velta e la sua voce ancora riecheggiavano tra le sponde dei fiumi e il gorgoglio dell’acqua…ma qualcosa doveva cambiare. Alexandra lo stava facendo? Oppure sarebbe stata un ennesima Bianca Inquisitrice?! Poteva dirgli che erano pazzi e assassini se odiavano il Sorya e quello che aveva generato? Poteva fargliene una colpa? No. Era lui il colpevole che si era lasciato guidare da loro: pedina in una scacchiere più ampio…dimentico del suo orgoglio e della sua volontà era uno schiavo. Un pedone e basta che Alexandra stava manovrando a suo piacimento: ma manovrava il corpo non l’anima; quella sarebbe rimasta sua per sempre. Ed ora, rinfoderando la wakizashi, guardava con odio la regina e cosa rappresentava. Così come i suo vassalli: alfieri e cavalli da manovrare anch’essi…ma non era il momento, non ancora, di mostrarsi; di manifestare il suo disappunto e il suo odio ma era il momento di capire: anche lui era lì per un “qualcosa” e non doveva dimenticarlo.
Chiuse gli occhi respirando a fondo, per ritrovare serenità e lucidità, mettere insieme i pezzi di quel mosaico e capire finalmente la vera natura delle cose. Oltre le verità degli occhi. Oltre il velo e capire e vedere cosa celava quella storia; aveva anche una merce di scambio a quanto pare, così sembrava, importanti per entrambe le parti. Troppo importante e capì come tutto era collegato, come tutto era legato da un invisibile filo che partiva dal Sorya, passando per quella bara, finendo ad Alexandra. Ma questo filo legava, stringeva, soffocava però altri: facendoli sanguinare e soffrire ma seguendolo forse…forse poteva capire di più quali segreti nascondeva il Clan che non esiste!

Ed ora lui aveva una pietra – gioco interessante di parole – di scambio: poteva avere il suo quadrigildo e una parte importante e con quello che ne sarebbe venuto, con i segreti condivisi – semmai Alexandra avesse tenuto fede, e non lo credeva, alla sua parola – Furikami riprendere vigoria e le tenebre che ancora offuscavano il suo passato diramarsi completamente. Ma doveva stare attento; doveva ponderare parole e intenti; celare e offuscare. Il momento non era ancora giunto ma un opportunità da cogliere, da sfruttare, quella si. Prese la pietra e guardò i presenti. Occhi negli occhi, dentro gli occhi.

Non avete detto la parola magica Alexandra! un silenzio studiato e ponderato.
Voi avrete la pietra se voi, finalmente siate sincera fino in fondo. Ho rischiato la mia vita e ancora non so il perché: incubi e ombre ho solo ricevuto. Che questo sia il vostro regno è chiaro ma potete manovrare un uomo ma l’anima rimane solo sua.
Per cui ditemi cosa cercate…cos’è che vi affligge…cos’è che state tentando di fare. Parlate e la pietra sarà vostra…
la mostrò. Allungando la mano verso tutti e tenendo i suoi zaffiri negli occhi della Regina Senza Regno. Le parole uscivano calme ma erano come rintocchi di campani: erano scandite una per una; soppesando ogni parola e ogni gesto. Poi ritrasse la mano: chiudendola e facendo scomparire quella luce azzurrina.

Ma la verità! Non menzogne…giochi di parole e ombre a cui siete abituata! Voi siate sincera e io vi consegnerò la pietra. Sapeva che potevano prenderla in un momento. Sapeva che la sua forza non sarebbe stata sufficiente eppure l’avrebbe distrutta. Non era la sua ricerca; non era la sua guerra ma l’avrebbe distrutta semmai si fosse accorto di cose strane.
Lo avrebbe fatto e attese. Ritto davanti a loro: calmo e silente, in attesa di risposte, di poter manovrare, sperava, questa opportunità secondo le sue esigenze.

Alexandra le si avvicinò, lenta e mastodontica nella sua figura di reale guerriera. Il tono era strano...una mano sulla sua testa.

La verità. Ciò che sto cercando anche io.
Tutto il mio Regno è alla ricerca della verità. Aiutami a contribuire, Rogozin. Aiutami a scoprire la verità che si cela dietro il Sorya.


Ancora strane sensazioni: la sua mente era annebbiata come la prima volta che la vide. Perché? Perché?! Le sue orecchie captavano qualcosa ma la sua anima urlava a squarciagola altro eppure...eppure sembrava tutto così reale. Così vero...così sincero...strinse il pugno cercando di scacciare quel velo ingannevole eppure...eppure così reale e sincero. Cos'era Alexandra? Perché sentiva di crederle? Perché le sue parole erano sincere quando, una parte della sua anima, sapeva che non era così?! Scosse la testa scacciando la mano sulla sua testa.

Non sono un pupo! Non trattarmi come un cucciolo... Quale verità cela il Sorya e chi è veramente Alexandra la Regina Senza Regno?!

Non lo so, è proprio ciò che voglio scoprire.
Consegnami quella pietra, non vorrei passare alle maniere forti. Non con un Leone dell'Eden, quanto meno.

Il tono. Quel tono lugubre, veritiero(?), ma perché sentiva che c'era qualcosa di sbagliato?!
Rogozin consegnò la pietra...la consegnò ma non era quello che voleva. Non lo era ma sembrava che quelle parole fossero imposizioni; legacci; catene di fuoco che imbrigliavano, tagliavano, squarciavano la sua anima. E ruggì qualcosa dentro di lui...il suo animale Totem stava esplodendo di rabbia rinchiuso in una gabbia di parole mendace. Eppure la mano si mosse e gliela consegnò. Ma Alexandra si era fatto un nemico...un nemico subdolo e che avrebbe atteso. Perché ora sapeva che niente di quello che poteva dire, che poteva promettere la regina sarebbe stato più ascoltato dalla Rosa. Ma gli consegnò la pietra per poi, cercare di afferrarle un braccio, e guardarla negli occhi.

A lei... Regina cadenzò l'ultima parola.












Rogozin
Energia: Bianca Pericolosità: F CS: +1 Maestria armi
Status fisico:
Status Psichico: Consumi energetici in questo turno:
Riserva energetica residua: 30%

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Abilità Passive:
Presenza angelica:
Allo stesso modo dei demoni, gli Avatar di stampo angelico non possono nascondere totalmente la loro presenza, pur mischiandosi con gli esseri umani e viaggiando tra loro e per le stesse vie. Le altre razze, infatti, percepiranno sempre qualcosa di sbagliato in loro, qualcosa di differente, ed è per questo che gli angeli incutono negli esseri innanzi a loro un innato timore reverenziale, purché questi non siano angeli stessi, e che siano di energie pari o inferiori all'agente.
Non è importante l'allineamento dell'Avatar. Quest'abilità funzionerà sempre e comunque, indipendentemente dal sopracitato fattore.. [Passiva Razziale].

Duellante: il possessore del dominio ha sviluppato una capacità innata di sfruttare ogni oggetto riesca ad impugnare come una letale arma. Non solo, quindi, l'arma cui è legato e con la quale ha vissuto gran parte della propria vita, o della propria esperienza. Qualunque mezzo, per strano, informe o artificioso che sia, potrà asservire allo scopo designato di ledere il proprio nemico, sempre che la logica e la razionalità lo consentano. Pertanto, potrà sfruttare bottiglie, funi, cinte, sedie, falli, semplici assi di legno o pezzi di metallo, come armi letali che, nelle proprie mani, taglieranno il nemico al pari di una lama affilata o di una poderosa ascia.[Passiva Dominio]

Velenrancore Non è una casta vera e propria, si potrebbe dire - ma è solo parte dell'abominio generato dalla trasformazione della foresta nel Gwàthlaiss a causa dell'essenza del Gorgo scioltasi nel suolo - andando ad intaccare il profondo rapporto fra le fate e la natura. L'indole generalmente pacifica delle fate divenne distorta per alcuni in una paranoia, in altri per un desiderio impulsivo di uccidere coloro che minacciavano la propria tribù. Qualcosa che superava ben più la voglia di difendere i propri compagni che guidava i Frémalis, come se il rancore del Gorgo fosse divenuto insito all'anima delle Fate. Un furore che si manifesta nel loro stesso sudore, si dice, rendendo le loro lame portatrici di morte e pestilenza. Loro sono il cancro per curare il cancro.
[Ogni attacco fisico portato con le proprie armi può avvelenare l'avversario. Il veleno è quantificato come danno Basso al corpo, che sarà progressivamente debilitato da nausea e febbri ad ogni colpo andato a segno.][Passiva]

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Abilità Attivate:



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Riassunto e Note:




Edited by Wrigel - 28/12/2013, 15:06
 
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