| Ki'ayl Mahyneer |
| | Honor thy Father “They're leashed till the very end.” -
« Forse non della stessa carne, ma certamente dello stesso spirito, se i figli dell'Inquisitrice si nutrono al vostro seno. » Altrove, in quello stesso momento ~
Il verde era verde e basta, privo di fronzoli, scevro da qualsiasi velleità. Non poteva essere paragonato a nient'altro che a sé stesso. Era ovunque, lì intorno: negli steli d'erba che si piegavano al leggero soffio del vento, sulle foglie che al quello stesso vento rispondevano sussurrando, nelle acque melmose del laghetto; perfino i suoni sembravano colorati di un verde brillante, meno cupo di quello a cui si era abituati nell'Eden -e forse per questo tanto straordinario. Verdi erano anche gli occhi di quella creatura: enormi sclere prive di pupilla, picchettate d'oro. L'essere, che un occhio poco attento ai particolari avrebbe battezzato come un umano (offendendolo non poco), sedeva tranquillamente ai piedi di un albero enorme e molto antico, mostrando una tale imperturbabile serenità che sarebbe stato lecito supporre che si trovasse lì da sempre, forse anche da prima di quello stesso albero secolare che gli faceva ombra con le sue fronde. Quella quiete, più apparente che reale, cessò d'esistere nel momento stesso in cui era stata raggiunta: riverberi azzurri, come di un fuoco fatuo danzante, partivano da sotto le pieghe dell'ampio mantello che copriva interamente la creatura. Questa mosse lentamente le labbra esangui, che aveva contornate di una strana barba grigio-verdastra simile a muschio, sussurrando una nenia in una lingua incomprensibile. Le opalescenze crebbero d'intensità, quasi che ora il suo stesso corpo venisse consumato da un terribile fuoco blu. Le labbra si aprirono nuovamente, ma per parlare in un tono di voce normale -quasi seccato.
« Tàrlaidh dè, Valeni? » Per tutta risposta, i bagliori parvero calmarsi, concentrandosi poi in un unico raggio che fuoriusciva dalle pieghe del mantello, andando a infrangersi sulla ruvida corteccia dell'albero, proprio dove due piccoli globi di zaffiro s'erano accesi improvvisamente. Più stupito che preoccupato, l'essere tolse il cappuccio che gli nascondeva il capo, rivelando una massa intricata di capelli castano scuro, circondati da un serto di rami e foglie che non era stato semplicemente posato su quella testa, ma proprio da quella nasceva. « Shaogal Crann seòlta tha » disse ancora, e stavolta nella sua voce si riusciva a sentire un misto di piacere, curiosità e preoccupazione. Amdir, questo il nome dell'essere, sapeva bene che stava assistendo ad un evento tanto più preoccupante proprio perché così raro. Gli occhi-zaffiro dell'Albero Padre a cui stava facendo visita si erano accesi, e in quella luce azzurra ci sarebbe di certo stato qualcosa. Per un istante ebbe timore d'affacciarsi e scrutare l'ignoto, perché nessuno poteva sapere cosa avrebbe mostrato Shaogal Crann. A privarlo dei suoi dubbi fu una voce, argentina e fioca, quasi soffocata, proveniente dal suo stesso corpo. « Non provarci nemmeno, Ki'ayl! » lo rimproverò. « Voglio guardare anche io. » Le sopracciglia cespugliose, dello stesso colore della barba, si incresparono, arrivando quasi ad unirsi sopra gli occhi pensosi. Un altro avrebbe potuto scambiare per rabbia quella reazione, ma chiunque conoscesse il Pastore di Alberi sapeva bene che si trattava semplicemente di un'espressione che assumeva spesso quando si rendeva conto di aver dimenticato qualcosa. Si chinò, armeggiando con il mantello verde scuro, incrostato di musco, fango e fogliame, accompagnato da un rumore sferragliante. Quando ebbe finito, dalle pieghe della pesante stoffa, retta dalla sua mano sinistra, venne fuori una strana lanterna, simile a quella di una vecchia lampada ad olio, contenente quello che sembrava un piccolo fuoco azzurro con sembianze umane in miniatura. Sorrise, sollevando la lanterna all'altezza degli occhi-zaffiro. « In silenzio, Valeni. Guardiamo. »
[...]
Così Amdir, il Guardiano, dopo aver visto negli occhi-zaffiro il dialogo fra il capo villaggio e Lady Alexandra, tornò a sedersi, assumendo un'aria ancor più corrucciata mentre poggiava a terra la lanterna. Il Sorya si era nuovamente spinto fino ad incontrare il suo popolo, e benché la Regina Senza Regno professasse di non avere alcun legame con la Dama Bianca, l'eremita non era particolarmente convinto. Non biasimava il capo villaggio, stava solo cercando di proteggere il suo popolo -combattevano la stesa battaglia, sebbene in maniere assai differenti. Lui non desiderava alcuna vendetta, aveva perduto troppi amici ed il suo corpo, dopo il risveglio, non si era ancora ripreso dalle ferite patite ai tempi della guerra con le creature dell'Inquisitrice. Se si era svegliato, era perché un nuovo male -differente dalle Ombre- aveva attraversato l'Erydlyss. Restava pur vero che se Shaogal Crann aveva aperto i suoi occhi di zaffiro, il motivo doveva essere grave, né poteva essere un caso che fosse accaduto proprio mentre lui era lì ad osservare. Lentamente, il Pastore di Alberi si rimise in piedi, accompagnato dal solito rumore di foglie e rami spostati. Raccolse la lanterna da terra, guardandosi intorno e accarezzando con un certo affetto la corteccia dell'Albero Padre. « E' arrivato il momento di andare » mormorò, dispiaciuto ma determinato. « Lungo è il cammino per giungere ai confini del nostro mondo. »
| | |
| |
|