Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

I Primogeniti » Onde di Fumo

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view post Posted on 29/12/2013, 17:50
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Esempio
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Sentì il tocco gelido dell’aria sul viso e la soffice umidità della neve attraversargli le caviglie, e scrutò verso l’orizzonte. Una coltre di nebbia grigiastra invadeva avidamente la sua visuale ad ogni passo, come se lo seguisse. I raggi del sole, attraversandola, tingevano ogni cosa di un colore smorto, grigiastro: la neve, che aveva l’aspetto rancido e maleodorante del fango di palude, i muri inceneriti delle case, il sangue dei cadaveri divelti sparsi per le strade deserte della città. In fondo all’orizzonte, a sfiorare il cielo plumbeo con le sue torri si levava un palazzo dalle pareti cineree, simile alla carcassa di un gigantesco dragone. Non ricordava da quanto tempo stesse vagando nervosamente per i vicoli di quella città, non sapeva dove stesse andando o da chi stesse fuggendo, ma sentiva l’urgenza incontrastabile di affrettarsi e aveva la sensazione che il tempo gli sfuggisse come ghiaccio tra le dita: ma non importava dove andasse, in che direzione si spostasse né quanto cercasse di nascondersi, perché quell’edificio era sempre lì, a seguirlo immobile, stagliandosi al centro del suo orizzonte.
Giunse ai piedi del palazzo reale di Noteborg in pochi istanti. Il paesaggio era cambiato, ma non ricordava di aver realmente percorso tutta quella distanza. Il castello era diverso da come lo aveva lasciato: gran parte della sua architettura era stata spazzata via da una mano misteriosa, che aveva lasciato un terribile squarcio nella fiancata. Non ne erano rimaste che poche torri, tenute in piedi dalla forza collante del ghiaccio.
Lomerin si avvicinò a passo lento, lottando con il suo corpo. Sentiva un forte bisogno di avvicinarsi al palazzo, ma sapeva che non avrebbe dovuto e temeva una terribile catastrofe. Si fermò nelle vicinanze dello squarcio, sul limitare delle mura, il cuore che si dimenava vorticosamente all’interno del corpo. Gettò uno sguardo nelle viscere del palazzo e notò che lo sguardo proseguiva persino nelle viscere della terra, attraversando le segrete. A quelle profondità la luce non riusciva ad arrivare, ma Lomerin scrutava nelle tenebre come se sapesse che avrebbe trovato qualcosa. A quel punto realizzò di non riuscire più a controllare il suo corpo, e una lotta si scatenò all’interno della sua mente, devastando la sua psiche. La sensazione dello scorrere del tempo divenne il timore dello scadere di un conto alla rovescia.
E due occhi gialli privi di palpebre si schiusero nell’oscurità, scrutandolo dal basso. L’uomo del sogno lanciò un urlo straziante e fu trascinato giù nel baratro.

—◊◊—

La caduta si arrestò improvvisamente. Lentamente ebbe di nuovo percezione del suo corpo: il suo petto recava le tracce del passaggio di un’ombra tetra e pesante. Le tenebre iniziarono ad abbandonare la sua vista, lasciando che le luci delle torce illuminassero nuovamente la piazza. Confuso e sgomento, ancora tremante, Lomerin sentì voci di orrore e sofferenza raggiungere la sua mente. Con la vista debole, le gambe pesanti si voltò, e con orrore mise a fuoco una terrificante serie di cadaveri sparsi intorno a loro. Con orrore, raccapriccio e rabbia realizzò che i Danzatori d’Ambra erano svaniti, lasciando alle loro spalle la conturbante immagine di una strage di elfi e uomini.

Perché i Danzatori li hanno uccisi? Non stavano facendo nulla di male…
Hanno preso le due Janhas.” L’udito si faceva più chiaro, e Lomerin riconobbe il parlare grave di Ka Shanzi. “E già che c'erano hanno pensato bene di falciare tutti coloro che si trovavano nei paraggi. Portateli via, Anhm li attende.
Il Volkov tornò a scrutare il vecchio, il volto consumato dall’ira e dalla frustrazione. L’elfo sembrò notarlo, e gli tese la mano a consolidare la strana intesa che era nata tra i due. Lomerin rispose con lo stesso gesto in un impulso che non aveva spiegazione, e in quella piazza nacque una pericolosa alleanza.

Molto bene, ragazzo” gli disse lui, e gli regalò un sottile sorriso che non fece altro che palesare tutto il suo dolore. “Vedo che le brache e tutto il resto hanno tenuto. Sono pochi quelli che sopravvivono indenni alla loro prima incursione dei Danzatori. Direi che a questo punto sei pronto per fare la conoscenza del secondo vero Potere di Neirusiens. Ci farebbe comodo un arciere come te.
Le domande gli si intrecciavano nella testa, ma nessuna spiegazione giungeva a lenire il dolore di tutte le incertezze: in quel terribile naufragio si aggrappò disperato all’unica certezza che gli era rimasta. Quei Danzatori avevano abusato del loro potere, e quella strage non sarebbe rimasta impunita. Non doveva essere un caso che Neirusiens lo avesse chiamato, né che lui fosse giunto in quello spiazzo in quel momento. Ma sino ad allora si era schierato dalla parte sbagliata, ed era evidente che il destino lo voleva lì in un senso diverso da quello che immaginava. Nelle profondità del suo cuore sentì un rumore secco, lo scattare di un ingranaggio difettoso: aveva preso la decisione di schierarsi con coloro che aveva sempre considerato il male di Neirusiens, i Predatori.

"Il vostro dolore è anche il mio” sibilò Lomerin, abbassando lo sguardo manifestare il proprio rispetto. “Combatterò insieme a voi, se queste sono le vostre intenzioni, finché gli spiriti dei caduti non troveranno pace... e questa volta non sbaglierò bersaglio."
Ka Shanzi si sollevò lentamente. Il dolore appena subito gli restituiva gli acciacchi dell’anzianità che non aveva mai dimostrato. Intorno a loro, sotto lo sguardo sorpreso di Lomerin, molti Predatori iniziavano a raccogliere i caduti, costituendo un lugubre e silenzioso corteo funebre. Senza che lo avesse realizzato un tetro silenzio era piombato nella piazza, e un senso di terribile lutto dilagava in ogni sguardo che riusciva a incontrare, permeando persino gli oggetti, il suolo, l’aria. Uniti da un solo sentimento tutti gli elfi si allontanarono dalla piazza a passo lento, cadenzato, e lentamente Lomerin iniziò a sentire un canto. Note tristi, lugubri, basse, silenziose, che gli raccontavano storie di sofferenza, lutto, rabbia e vendetta. Nel suo spirito piovve un gelido senso di mestizia per quello che non era riuscito ad impedire, pur consapevole che non avrebbe potuto fare nulla. Raggiunse Ka Shanzi a lunghe falcate e si unì al corteo.

Il serpente di elfi si immise in una lunga strada, con in testa i corpi dei morti. Passando per le vie di Neirusiens essi, come a testimonianza del loro passaggio e del loro furente dolore, accendevano delle piccole luci bianche, simili a lucciole disperse nel buio.
Affinchè le anime dei nostri fratelli non si perdano nell'oscurità di Neirusiens, tramutandosi nelle mostruosità che un tempo ci cacciarono da questa città” gli disse Ka Shanzi, indicandole e interrompendo il canto che pure lui stava intonando. Per un istante era stato parte di un’unica voce, come se l’intera melodia cantata dal coro di elfi spirasse dal suo petto come da quello di ogni altro elfo allo stesso modo. Era una cerimonia solenne, ma priva della grottesca grandezza dei popoli del meridione. Quella che vedeva era la pura e semplice manifestazione di una sofferenza incalcolabile.
"Non so cosa ti abbia portato gui, ragazzo, ma Neirusiens non è una città come le altre. Qui i ricordi vivono e camminano con le proprie gambe ogni giorno in mezzo a noi" la voce si distaccò nuovamente dal canto, rivelandosi nella sua solita gravezza.

Voi e il vostro popolo conoscete questa città più di chiunque altro, e più di chi la governa, eppure voi soltanto sembrate essere le vittime del suo male” osservò Lomerin. Le storie che avevano udito non sembravano rendere giustizia a ciò che stava vedendo dei Predatori. “Questi mostri, questi ricordi...perché non colpiscono chi perpetua questa carneficina?
Forse perchè furono i Neiru, e non i Danzatori d'Ambra - o gli esseri umani - a venire maledetti dal destino.” Lomerin sapeva bene quanto poteva essere crudele il fato, ma tacque. “Forse il Nord e le sue genti non ricordano, ma si narra che prima di divenire una vera e propria stirpe, i Predatori non fossero altro che una piccola setta di adoratori di Neiru. Non un popolo. Solo una piccola comunità di fedeli all'interno della razza elfica. Venne però un giorno Eitinel ed il suo esercito immortale, e con lei la chiamata alle armi, la necessità di combattere e resistere in difesa del nostro mondo, delle nostre tradizioni.
Ma i Predatori tradirono. Pensando che fosse cosa vana combattere, preferirono fuggire dinnanzi al pericolo rintanandosi nelle profondità della terra e lì attendere, al sicuro, che la marea passasse. "
"Ma la marea non passò. Inarrestabile ed invincibile, ella sommerse invece prima gli elfi che avevano osato resisterle per poi passare a tutti gli altri, Neiru compresi. Fu la fine di ogni cosa e l'inizio dell'Oblio. La stirpe elfica fu cancellata e noi Predatori maledetti dalla nostra stessa colpa"
Il volto di Ka Shanzi si adombrò, come se stesse ricordando un precedente lutto. A differenza del suo popolo, quegli elfi erano consapevoli dei propri sbagli ed era ingiusto che il fato continuasse a punirli per la loro colpa. Era tempo che il vento della disgrazia cambiasse direzione, e presto i Danzatori lo avrebbero attirato su di essi: bisognava attendere quell’istante per colpire. Ka Shanzi levò lo sguardo verso Lomerin, sorridendo. "Oppure, più semplicemente, il mondo ed i suoi orrori non rispondono alla legge della ragione quanto più a quella del più forte....Edwin ed i suoi Danzatori, dunque. Conosci la sua storia?"
Ho sentito alcuni racconti, ma da nessuno di più affidabile di un cantastorie di piazza” gli rispose, ironico. Forse dello spirito lo avrebbe potuto sollevare. "Adesso gradirei sentirlo dalla vostra voce... anche se non c'è storia che possa spiegarmi il motivo di quelle stragi, o la ragione per cui questa città sembra tollerarle ancora".

Il corteo intanto aveva raggiunto il limitare di un lago, spargendosi intorno alla riva. Vagando con lo sguardo Lomerin notò che il corteo si era spiegato in due ali, circondando la base di un immenso pilastro che si levava proprio sopra le acque scure del lago. I morti furono delicatamente posti a pelo d’acqua, la superficie dove avrebbero comodamente dormito il loro sonno più lungo. In un momento di massima solennità il coro si levò ben sopra il silenzio e nella melodia si poté udire l’ergersi di una voce sopra le altre: commosso e meravigliato, Lomerin vide che tutti i caratteri tribali impressi nel pilastro si stavano lentamente illuminando di una luce purpurea, rischiarando quasi a giorno tutta la riva. Era la luce più intensa che avesse mai visto a Neirusiens: le acque torbide del lago assunsero per un’istante i riflessi trasparenti delle acque che aveva sempre trovato in superficie.
All’improvviso ogni voce si spense, le luci del pilastro tacquero e le lucciole disperse per le strade di Neirusiens morirono.
I corpi regalati alla corrente erano svaniti.

Dopo qualche istante, la voce di Ka Shanzi ruppe timidamente il silenzio. “Mi spiace informarti che tutte le storie che hai sentito sul conto di Edwin e dei suoi non sono altro che bugie.” L’elfo si avviò attraverso una strada secondaria, facendo cenno all’uomo di seguirlo. "Nessuno ricorda davvero quando e come egli si insediò a Neirusiens. Quando noi elfi arrivammo a Neirusiens egli era già al comando, alquanto intenzionato a rimanervi il più a lungo possibile insieme ai suoi criminalotti da quattro soldi tanto spavaldi da farsi anche chiamare Lord.
Dopo qualche istante giunsero in un’area portuaria. Ancora una volta Lomerin era in balia delle ambiguità di Ka Shanzi: non sapeva cosa stesse facendo, ma aveva l’impressione che stesse cercando qualcosa. Il vecchio si avviò lungo una banchina quando, dinanzi ad una minuscola barca di legno a remi, si arrestò di colpo.
Doveva esserci qualcuno qui” sibilò, la voce rotta dalla scoperta. In quello stesso istante, una figura nera e incappucciata abbandonò la stiva dell’imbarcazione.
Lomerin, sorpreso, fece per estrarre la daga; ma Ka Shanzi si voltò verso di lui, guardandolo con aria di sfida. “Sei stato tu?” lo accusò, ma estrasse il pugnale senza attendere risposta. Il Volkov, battuto sul tempo, generò sulla sua mano un’asta di ghiaccio lunga e sottile per parare l’affondo del vecchio, che cadde rovinosamente a terra. Dunque la lanciò contro la figura ammantata, tentando di trafiggerla all’addome per lasciarlo vivo e interrogarlo. Doveva impedire che fuggisse.
L’altro però parò il colpo generando uno schermo nero a proteggerlo e, scavalcando Lomerin, si avventò sull’elfo con un pugnale sguainato. Fu allora che realizzò che quell’uomo non era lì per rubare qualcosa, ma per uccidere proprio Ka Shanzi. Doveva impedirlo prima che fosse troppo tardi: difese il vecchio con una barriera di ghiaccio e, nello stesso istante, generò nell’altra mano una gigantesca mazza di massa gelida, inglobando il suo intero avambraccio e tentando di spaccargli l’intero cranio. La figura però evitò il colpo con una velocità sovrumana ma, prima che potesse colpire con un fendente verso l’alto, Ka Shanzi si levò in piedi e lo afferrò per le spalle, scagliandolo sull’imbarcazione lignea come un giocattolo. Armato di un lungo coltello, il vecchio si avventò sul nemico.
Raggiungi il lato opposto del Ràn, ragazzo” gli disse mentre l’avversario schivava un suo colpo. “Cammina fino a quando non trovi tre alte stalattiti che si ergono dalle acque. Lì vicino ci sarà una grotta nascosta poco sotto il pelo dell'acqua. Dì che ti manda Ka Shanzi”.
E con queste ultime parole il vecchio, con un balzo sovrumano, si allontanò da Lomerin e disparve per i vicoli della città, inseguito dal suo aggressore.
Il Volkov osservò lo scafo con un fortissimo senso d’urgenza, malgrado la confusione che gli affliggeva la mente. Nonostante le non piccole dimensioni, non sembrava difficile da manovrare. Doveva agire in fretta; ne andava della vita di quel vecchio che, malgrado tutto, gli aveva dimostrato soltanto fiducia. Chi poteva voler uccidere un vecchio cantastorie? Chi era in realtà Ka Shanzi? Slegò le vele e partì, mesto e silenzioso, in attesa di risposte.

—◊◊—



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lomerin volkoff
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CITAZIONE
La forza del freddo succhiava via la vita lentamente, in lunghi e disperati spasmi, seppellendo ogni esistenza in una tomba di nevi eterne: il ghiaccio si plasmava dal nudo nulla, come etere, in forme crudelmente letali che offrivano alle prede lunghi ed estenuanti calvari di tremori, abrasioni, scorticamenti prima dell'assideramento. E quando quei mezzi s'offrivano ad un'intelligenza umana rivelavano la loro capacità di realizzare una tortura straziante, crudele, mirata, oppure violenta e bestiale.
[doppia abilità personale, difensiva e offensiva, consumo variabile, elemento ghiaccio] -> Usata due volte a consumo Basso. Una volta per creare un'arma bianca dalla durata di due turni, una volta per creare una barriera di potenza Bassa.

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Alicia.
view post Posted on 29/12/2013, 21:05




THE HOUSE OF WOLVES
..my skin’s smothering me, help me find a way to breathe.
I’m at the edge of the world, where do I go from here ?

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L'oscurità cinse l'intero quartiere, forse l'intero paese; era impossibile scorgere qualsiasi figura, benché in quegli attimi si poterono udire distintamente dei suoi difficilmente equivocabili. Vi era stata una battaglia, la cui entità e natura non era per niente semplice da decifrare. Una volta che le tenebre si furono diradate, Alicia si ritrovò di fronte ancora l'elfo con il quale stava conversando poco prima. Intorno a loro però qualcosa era mutato, qualcosa era stato inghiottito e giustiziato da quell'oscurità. La piazza infatti ora non conteneva più una folla in tumulto, bensì dei corpi distesi senza vita. « Non correremo rischi ? » Disse con un filo di voce la Regina, in risposta all'offerta di Heresh. « Se avessi voluto starmene al sicuro non avrei lasciato il mio palazzo. » Fissava quei cadaveri venir compianti e spostati da altri elfi; non poteva tollerare un tale indiscriminato massacro. « Dimmi chi è stato ed il motivo. » Fissò il predatore con uno sguardo quasi malinconico, senza però muoversi dalla propria posizione.
« Sono stati i Danzatori d'Ambra » spiegò scuotendo il capo, esitante. « Il motivo di questo massacro mi è purtroppo sconosciuto, ma posso dirle una cosa: da qualche tempo Edwin ed i suoi scagnozzi sembrano aver deciso di liberarsi di noi tutti Neiru in questo modo, facendoci fuori uno dopo l'altro, piuttosto che restituirci ciò che ci spetta di diritto. »
La ragazza sospirò, chiudendo gli occhi in segno di rassegnazione. « Sono dispiaciuta per quello che vi sta accadendo. » Esclamò con un filo di voce, appena udibile. « Proprio per questo motivo non posso lasciare impunito un gesto simile. » Indicò gli ultimi corpi rimasti nella piazza venir trasportati via in spalla. « Dove posso trovare questo Edwin ? » I suoi occhi non lasciarono quelli del suo interlocutore, cercando in qualche modo di cogliere ogni suo piccolo ed impercettibile movimento. « Visto che voi non ne siete a conoscenza, ho bisogno di sentire da lui i motivi di questo massacro. » E se le ragioni dietro a quella carneficina si fossero rivelate giuste e fondate, lei non avrebbe in alcun modo interferito. Ma questo non lo disse, lo tenne per sé. La sua morale, purtroppo, non ammetteva eccezioni.
Sorrise Heresh, forse curioso o divertito dai possibili sviluppi di quella situazione. « Il nostro amato Edwin si trova all'interno del palazzo della Cerchia » Disse evidenziando con l'indice una delle tante vie del tutto simili di Neiru. « Ma è mio dovere avvertirla che ultimamente non è stato molto incline alle visite, elfi o umani che fossero » Fece un passo indietro, quasi a volersi tirar indietro. « Le consiglio di fare molta attenzione e, soprattutto, di non pensare minimamente ad imbracciare un'arma o sussurrare un incantesimo in quelle zone. Se le voci parlano di quanto sia pericoloso il quartiere Neiru è solo perché non hanno il coraggio di dire quanto sia letale quello della Cerchia. » Concluse poi. Un monito sincero e premuroso, che non poté non compiacere Alicia. Ella fece un mezzo inchino, molto formale e breve all'indirizzo dell'elfo. « Vi ringrazio per le vostre informazioni e per le premure nei miei confronti. » Abbozzò poi un assai raro sorriso. « Devo riferire qualcosa da parte vostra a questo Edwin ? » Era un metodo freddo quanto contorto per sdebitarsi, tanto da lasciare interdetto e stupito l'elfo. « Riferisca di andare al diavolo, e se possibile di restarci il più a lungo possibile. » Disse quasi distrattamente. « Per quando tornerà, signorina... » Sorrise nuovamente, sembrava ancora più divertito. « Le consiglio di passare per il quartiere Neiru e chiedere immediatamente di Heresh, prima che qualche altro Predatore si accorga di quanto lei sia affascinante e decida di invitarla a cena. » Esclamò allontanandosi dalla Regina, sparendo tra la pietra nera di Neirusiens.
« Non credo che ci rivedremo... » Disse con un filo di voce, quando ormai l'elfo era distante. La gentilezza e la disponibilità dell'elfo l'avevano stupita, ma ciò che maggiormente le dava soddisfazione era la fiducia che aveva riposto in lei. Nonostante questo, le sue parole corrispondevano alla realtà; non sarebbe tornata, né in caso di successo e né in caso di sconfitta. Almeno quello era il suo piano.



La via indicatale dal capo dei predatori non si discostava molto dalle precedenti, se non per la totale assenza di qualsiasi individuo. Le ombre danzavano, sospinte dal leggero vento che scuoteva le torce poste in ogni vicolo. L'atmosfera opprimente e corrotta era la medesima. La Regina camminava con passo deciso nel mezzo del percorso di pietra e muschio, il suo abito candido risaltava ancora maggiormente in quei momenti, diventando a tutti gli effetti un'altra fonte luminosa. Continuò a procedere fino a quando, alle spalle di alcune costruzioni, intravide un palazzo che per imponenza nulla aveva a che vedere con le altre abitazioni. Intorno ad esso si ramificavano strade e strutture sempre più sfarzose e raffinate; senza però tradire la "vena" oscura di Neiru. Si fermò proprio di fronte al grande palazzo, scostandosi i capelli rosei dal viso. Con l'indice seguì delicatamente le venature del legno di quell'entrata, prima di bussare con due colpi in rapida successione. Tale gesto fu stranamente sufficiente per spalancare le grandi ante del portone, lasciando quindi via libera ad Alicia. I suoi passi risuonarono tra le navate e le colonne dell'edificio, mentre il suo sguardo veniva catturato da una grottesca -quanto inquietante- statua. Essa raffigurava un insetto che con le sue infinite zampe possedeva la pietra ed il marmo di quei luoghi. Pochi fasci di luce penetravano all'interno, ma le erano stati sufficienti per vedere quella scultura di dubbio gusto. Oltre a ciò un'altra figura attirò la sua attenzione, quasi celato dalle ombre danzanti del palazzo vi era un uomo dalla chioma dorata, che si rivolse proprio alla Regina. « Desidera ? » Poi senza attendere la risposta, disse frettolosamente: « Lord Edwin non riceve nessuno. » Alicia lo osservò dubbiosa, quasi sorpresa. « Come sapete che desidero parlare con lui ? » Affermò. « Potrei essere una semplice ragazza, smarrita tra i vicoli ben poco illuminati di questa cittadina. » Si passò una mano tra i capelli rosei, fissando lo sconosciuto interlocutore. « Dalle vostre parole devo dedurre che questo Edwin non sia per nulla incline al dialogo. Nemmeno con una donna smarritasi nel suo palazzo. » L'ultima frase la sussurrò appena, quanto bastasse per farsi sentire solo dall'uomo che le stava di fronte.
« Eppure a guardarla... » Sorrise, celando malamente la propria falsa cortesia. « Lei non sembrerebbe una di quelle fanciulle che hanno l'abitudine di perdersi nei palazzi quanto più di infilarvisi di proposito. » Incrociò le braccia sul petto, erigendosi quasi come vero e proprio guardiano. « Edwin non la riceverà. C'è altro ? » Sentenziò pacatamente.
« Mi rattristisce la scarsa considerazione che avete di me. » Disse con finta malinconia, facendo un passo verso l'uomo. « Sono certa che il vostro sia un giudizio affrettato e parziale. » Sorrise, illuminata da un raro fascio di luce proveniente dalla sommità del palazzo. « Le prime impressioni spesso si rivelano sbagliate. » Sentenziò apatica, con lo sguardo quasi perso nel vuoto. « Con il vostro continuo nominarlo mi avete incuriosita. Per questo avrei da farvi una piccola richiesta... » Le iridi azzurre si soffermarono nuovamente sull'uomo che le stava di fronte. « ...Convocate questo Edwin, ho un messaggio per lui. » Finalmente si espose, anche se mantenne un certo distacco. Sospirò, abbozzando un inchino. « In verità vi ho mentito poco fa e vi chiedo perdono. » Continuò, forse alludendo al discorso del suo presunto smarrimento. « Vi ho mentito...perché questa non è affatto è una richiesta. » Lasciò intendere che fosse un ordine o comunque il suo preciso -e forte- volere.
« Non penso che lei si trovi nella condizione di pretendere alcunché, signorina. Si guardi intorno, da qualunque parte voi proveniate, ora non è a casa e farebbe meglio a badare ai suoi modi se non desidera che sia IO ad ordinarle di fare qualcosa che potrebbe non piacere. » Rispose indifferente l'uomo, per nulla toccato dalle parole di Alicia. « Mi dia il messaggio, dunque. » Riprese. « E io lo riferirò ad Edwin non appena egli sarà intenzionato ad ascoltarlo. » La Regina in tutta risposta sbuffò, conscia di dover ricorrere alla propria manipolazione mentale; quando possibile ne faceva a meno, preferendo ad essa la propria arte oratoria. « Sono desolata, talune volte le mie parole possono risultare poco chiare. » Esclamò quasi seccata. « Ve lo richiederò una seconda -e ultima- volta. » Deglutì, senza staccare gli occhi dal suo interlocutore. « Mettete al corrente Edwin del mio desiderio di incontrarlo. » Disse con voce ferma ed incredibilmente forte, tanto da riecheggiare tra le numerose colonne del palazzo. Suonò quasi come un ordine divino, un'imposizione proveniente dalla cima di quell'edificio.
« Come desidera. » Ammise l'ometto senza nome, costretto dalle parole della ragazza.
« Edwin la riceverà. Mi segua, prego. » Esclamò, prima di addentrarsi in un susseguirsi quasi infinito di corridoi del tutto identici. L'oscurità ne nascondeva la maggior parte della loro conformazione, così come nella grande sala in cui confluiva praticamente ogni andito. Pareva un'estesa libreria, senza apparente fine e stranamente popolosa. Alcuni dei presenti osservavano delle persone poste al centro di quel grande spazio, fermi. I loro volti erano parzialmente celati, ma Alicia poté scorgere distintamente una ragazzina ed un uomo di mezz'età, dai capelli grigi e dagli occhi talmente azzurri da essere quasi bianchi. Gelidi.
Proprio quest'ultimo fece un segno in direzione della Regina, avvicinandosi a lei ed indicando una porta alle loro spalle.
« Mi è stato riferito che intende parlarmi, signorina. » Le sorrise distrattamente. « Prego, dunque, sono ansioso di ascoltarla. » Una figura di nero vestita emerse dal nulla, seguendo i due. Non disse nulla e non interferì in alcun modo; proprio per questo la Regina ne era particolarmente inquietata.
Il piccolo studio nel quale entrarono, altro non era che una versione in miniatura del salone precedente. Anche lì vi erano pareti ricolme di libri e altrettante scrivanie, anch'esse traboccanti di pergamene e fogli ingialliti. Giunta davanti ad Edwin, Alicia ebbe finalmente modo di spiegarsi. Tralasciò qualsiasi formalità e andò dritta al punto. « Non sono a conoscenza delle usanze o della tradizioni di questa cittadina; nonostante questa mia lacuna trovo incomprensibile ciò che ho visto oggi al mio arrivo. » Con un tono calmo e distaccato disse quelle parole, mentre nella sua testa riviveva quegli istanti bui. « Mi è stato riferito che siete stato voi ad ordinare quello scempio. Corrisponde alla verità ? » Congiunse le mani ed osservò Edwin, dentro di sé sperava che quell'uomo avesse delle valide ragioni per giustificare le sue azioni. « L'avete ben detto, signorina. » Rispose, gelido nello sguardo e nelle parole. « Voi non siete di qui, le nostre usanze vi sono sconosciute e a fatica riuscite ad arrabattarvi con quel poco che sapete di queste terre. Dunque io vi chiedo: con quale diritto osate venire qui, non solo nella mia città ma perfino nella mia casa a chiedere spiegazioni circa qualcosa che non dovrebbe affatto riguardarvi ? » Fu particolarmente duro, nonostante il suo tono di voce lasciasse intendere ben altro. « Chi siete ? Da dove provenite ? » Domandò infine, curioso o molto più semplicemente seccato dalla presenza di Alicia.
« Il mio nome e la mia provenienza non hanno rilevanza in questo istante. » Sospirò, quasi esasperata da quel continuo suo parlare. « Voglio soltanto sapere il perché di quelle uccisioni di poco fa. E gradirei la verità. » Aggiunse con severità; sapeva benissimo di star forse tirando un po' troppo la corda, ma quello era il solo modo di raggiungere in fretta il proprio scopo. « Se pensate che tutti quanti rimangano impassibili di fronte a massacri come questi, avete una visione del mondo davvero ridotta. » Esclamò poi con un filo di voce: « Se questa è davvero la vostra città, dovreste avere più considerazione dei propri abitanti. »

« E' proprio perchè ho considerazione degli abitanti di Neirusiens che fatti come questi devono accadere, signorina, ma veniamo a noi. » Ribattè Edwin « Se mi sta chiedendo se ho ordinato io il massacro a cui lei ha assistito, le risponderò di No. Se mi sta chiedendo se è colpa mia quanto è successo, allora le risponderò Si. Se mi sta chiedendo il perchè di tutto ciò, allora le dirò questa cosa: quando dovrà scegliere un sentimento per assicurarsi la lealtà di coloro che la circondano, scelga la Paura, le assicuro che è di gran lunga la più facile e meno dispendiosa forma di rispetto a cui si possa ambire. » Sorrise infine, ricercando nella Regina qualsiasi segno di soddisfazione per le risposte datele. « La paura non ha nulla a che vedere con la lealtà. Il terrore spinge soltanto le persone verso il caos, tutt'al più fa loro percorrere la strada più semplice. Questo non è rispetto, è semplice convenienza. » Lo ammonì con voce pacata. « Se si vuole ottenere la fiducia da parte di qualcuno vi è un solo modo: attraverso i propri ideali. » Sorrise e continuò « Persone prive di morale, di scopi e di fede sono inadatte a capire i propri bisogni, figuriamoci quelli di un'intera comunità. » Incrociò le braccia e guardò Edwin con aria malinconica. « Per questo non posso essere soddisfatta dalle vostre parole; non mi avete dato nessun valido motivo per risparmiarvi. » Prima che potesse aggiungere altro venne istantaneamente interrotta dall'uomo. « Risparmiarmi ? E cosa avreste intenzione di farmi, signorina ? Uccidermi ? Torturarmi ? » No, lei non ricercava niente di tutto questo.
« Cosa state dicendo ? Mi era parso di essere stata abbastanza chiara in precedenza. » Sospirò. « Per portare un cambiamento in questo paese non posso seguire la medesima strada di violenza e paura intrapresa da voi. » Abbozzò un sorriso abbassando lo sguardo. « Per questo, prima di tutto, vi chiedo i veri motivi dietro il massacro di oggi. » Si schiarì poi la voce. « E come seconda cosa, vi propongo il mio aiuto... »
L'ultima frase destò dall'apatia Edwin, che alzò lo sguardo verso le iridi azzurre della Regina.
« Se è il vostro aiuto che mi offrite, sarò ben lieto di accettarlo, ma ad una condizione: dovete giurare che non parlerete ad anima viva di quanto accade all'interno di questo palazzo. » Appena ebbe terminato di parlare, l'individuo in nero che aveva accompagnato fino allo studio Alicia, si fece avanti verso di lei. Estese verso di lei il proprio braccio, offrendole la propria stretta di mano.
« Non dovete temere, non sono avvezza a svelare segreti ed informazioni altrui. » Osservò le strane venature nere presenti su quella pelle biancastra; non era difficile capire di cosa si trattasse. « Ho deciso di fidarmi di voi, non fatemene pentire. » Lo ammonì, prima di porgergli la sua mano.

Al solo tocco, Alicia venne percorsa da un gelo acuto, tanto da provocarle per un'istante un fitto dolore in tutto il corpo. Chiuse gli occhi istintivamente, stringendosi il petto con le proprie braccia. Proprio quest'ultime iniziarono a sembrarle strane, così come il resto del corpo. Il gelo che l'aveva avvolta in precedenza aveva lasciato spazio ad un'insensibilità totale, come se quelle carni le fossero ormai estranee.
Riaprì gli occhi, rimanendo scioccata nel vedere i mutamenti subiti; dove una volta vi era posto solo per la sua candida pelle, ora vi erano scritte e simboli incomprensibili, impressi in eterno con inchiostro nero.

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Si portò una mano alla bocca, come per soffocare un prossimo malore. Ebbe così anche l'opportunità di vedere da vicino quei segni, senza però riuscire a comprenderli. Era proprio questo che la scosse, essi si sottraevano alla sua vista, illeggibili e fugaci. Ogni volta che i suoi occhi tentavano di scorgere meglio qualche lettera, essa si deformava e si muoveva. Più che parole infatti, parevano tante piccole note musicali, "vive" a tal punto da suonare loro stesse. Non riuscì distintamente ad udirne il suono, ma ebbe comunque l'impressione di essere all'interno di una melodia che non avrebbe lasciato presto.

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essential information.

{ Basso: 5% | Medio: 10% | Alto: 20% | Immenso: 40% }
cs: 3 { 2 Freddezza - 1 Agilità }

condizioni fisiche: Illesa
condizioni mentali: Illesa
consumi: 5 %
energia: 80 %

armi & artefatti:
• Justice: L'unica arma in dotazione alla Regina Onnisciente, si tratta di una spada leggera ed elegante, con un'impugnatura in oro, di pregevole fattura. È assai maneggevole e veloce, adatta per affondi o fendenti rapidi. Nonostante la tenga legata alla vita, non l'ha mai sfoderata nemmeno una volta.

• Crown Of Justice: Corona di Alicia - Artefatto Epico


passive in use.

harmony: Passiva di difesa contro le tecniche psioniche
god shape: Immortalità
liar game: Passive 1° e 2° livello informatore - Alicia sa sempre se qualcuno le sta mentendo o se le sta nascondendo un segreto

active in use.

fear - "Conoscere le nostre paure è il miglior metodo per occuparsi delle paure degli altri"
Nessun sovrano può governare secondo giustizia se non gode del timore dei sudditi. Nessuna legge può essere efficace se non si paventa la sanzione. Per questo motivo anche Alicia deve riuscire ad incutere il reverenziale rispetto che la sua figura regale merita nei propri interlocutori. Con un consumo pari a basso, chi la guardasse proverebbe immediatamente una sensazione di sottomissione nei suoi confronti. Questo si ripercuoterà come un danno basso alla psiche del nemico. Perché lei è Sovrana e Giudice. Davanti a una donna del genere non si può che chinare il capo e sperare che essa passi in silenzio, senza posare i propri occhi severi su di noi. [Attacco Psionico di potenza bassa contrastabile come tale]

 
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Lill'
view post Posted on 30/12/2013, 01:21






...


…la danza delle Ombre…
…la danza delle Ombre…

…pare più di uno sia rimasto a terra. Ma non mi guarderei solo dagli Elfi, sai:
accettano gente di ogni tipo alla Torre del Fato, adesso!

Fissò di sfuggita il vecchio dietro al bancone, il muso corrucciato in un’espressione insondabile, sempre uguale. Bruta. Come fosse lì, presente – e chi poteva essere addentro ai fatti e alle sozzerie più di Rick, in effetti – ma allo stesso tempo preoccupato. L’uomo davanti a lui controllava il mucchio di gingilli e ciarpame appena scambiati dalla cesta, altri articoli improbabili tra scaffali e mensole in un negozietto ammuffito del centro. Ah, Pre-occupato. Quasi ci fossero rogne dopo e non ora – ma no, il cenciume in cui capitava per strada era un’unica linea, per lui, un’occupazione purtroppo costante. Solo, ogni tanto voleva ingannarti: ti fregava e faceva credere fosse tutto a posto per un attimo, il mondo, niente strisciare e schiumare continuo per campare, giù per le vie della città. I facciabianca avrebbero cominciato i riti a breve, in processione fino alle rive del Ràn.
Era meglio sbrigarsi.

Rituffandosi nelle brume scure di Neirusiens, il nano non rispose. Fece un cenno con la testaccia, uno dei tanti, e uscì dall’emporio spalle al vecchio. Infilati nei vicoli che verminavano dalla strada principale, chiusi dietro al pallore e all’umidità di vetri opachi: di avventori non se ne vedevano. Solo facce smorte, guizzi di sguardi pescati tra una porta, di sguincio. Gli elfi dovevano proprio avercela di brutto, stavolta.
Gente in giro o meno, Rick si premurò di buttare il malloppo in una saccoccia: le rogne facevano gli sguardi più lunghi, a che ne sapeva – e lì ti spogliavano pure della pelle e della carne, se per questo. Pattò il bozzetto di stoffa interno alla palandrana, un mucchio compatto e insonoro sotto l’armatura; di spiccioli ne aveva, specie dopo l’incarico a Siassi – l’argenteria gli aveva fruttato persino indumenti nuovi, e dunque ora poco puzzolenti – e poteva tranquillamente sfidare l’umidità penetrante della città Neiru.

Per quel che gli cambiava, alla fine.

Tanto, bofonchiò dentro, avrebbe rigirato tutto al Sorya – dopo dovuti e modici prelievi per il viaggio, s’intende. Trottando tra i coppi slavati della piazza principale, si diresse senza troppi giri verso il lago. Le geometrie più composte del centro lasciarono presto spazio a spezzoni più colorati, palazzi disordinati e balconi sguerci; si fece avanti tra i rigagnoli di liquidume verso il Ràn, panni e sfilze di sardine stesi ad asciugare nei cortili. Sulla costa, però, solo le barche rompevano la piattezza smorta del lago, gondolette e pescherecci lasciati di fretta sulla rena: voci e canti funebri arrivavano già dall’interno. Sforzandosi di ricordare la traversa giusta, Rick si piantò una mano tra la chioma lurida, i solchi del suo passo di mulo sulla sabbia scura. La bagascia,la venere nera, doveva stare a gorgogliare birra e improperi tra uno di quegli incroci arrangiati tra case e banchetti. Solo, non gli tornava in mente quale.
La vista delle candele Neiru gli diede lumi sulla questione.

Dah! Grugnando e spalando rena con gli stivali, passò al volo l’incrocio illuminato. Poteva già scorgere qualche figura venire da lì verso la costa, smilzi e frignoni anticipare il vero corteo: i riti mortuari degli elfi. Lontano dal figurarseli pericolosi in sé, nella testa del vagabondo avevano sempre avuto un che di insensato; piagnistei neri, lumini inutili e salme sprofondate nel buio del Ràn: Rick ne diffidava. Che senso aveva tutta quella storia, dopo che eri crepato? Barcamenandosi tra scafi e reti, il nano preferì comunque allontanarsi, volgendo verso un ennesimo vicolo interno.
La locanda doveva essere in quei pressi.
Pestando pietre già pestate, i contorni slabbrati e roridi dall’aria del lago, evitando tombini e insenature già usati per nascondersi, il nano non fu preso da pensieri. Altri piagnistei, lagne inutili – e perché? Nel cenciume di tizi che giravano in quel quartiere ci era cresciuto, pizzi e posti di scambio per merci illegali li conosceva a naso: non c’era niente di bello da rivangare; di roba da fare ne aveva già, tra l’altro. Oggi come allora, il tozzo vagabondo era preso tra affari necessari a guadagnarsi il pane, inghippi e stranezze utili a farlo stare in piedi pure il giorno dopo. Solo, in un senso un po’ più allargato ora – avvelenato da canti tra i cunicoli – ricoperto dagli intrighi del Sorya.
Beh, una birra se la meritava comunque.


76ts


Tra tavolacci impregnati di alcol e sedie sgambate, il bere pareva essere l’unica cosa rimasta uguale nella locanda. Birra agli avventori, sorsate a ogni tavolo e sul bancone: il resto pareva più spento delle lagne dei Neiru. Impiastrando di rena l’ingresso Rick entrò col solito passo pesante; il panzone d’oste era ancora lì, il bastardo dell’Akerat incontrato poco prima a consumarsi le preoccupazioni seduto al bancone. No, per la nostalgia non c’era decisamente spazio: di umori e liquidi strani quella città ne era già piena, dalle fogne strabordanti verso il Ràn alla lacrime da pantomima dei Neiru. Indicò con un cenno il bagno al suo uomo, quindi attraversò la stanza. Il freddo riempiva la vescica.
Di umori lui avrebbe aggiunto quelli provenienti da lì, al massimo.
Passando dallo scricchiolio delle assi alla terra impolverata, il nano rievocò un costume di rito: ogni tre giri giù verso il cesso, a sfogare l’alcol e le turpitudini in corpo –mai svuotato davvero- sotto il chiaro di luna. Lo rispettava sempre, quel costume. Da una fogna che era lui verso una più in basso, unico modo che sapeva per arrivare non traballante all’uscita – alla baracca della sua casa, al domani.

Nel cortiletto l’aria fredda lo accarezzava.
Il canale scoperchiato portava verso il lago, dove tutti riversavano le proprie schifezze in città – i clienti di un baccanale, le processioni dei Neiru – e Rick non si soprese a trovarlo colmo. Era quasi confortante. Certo ci si liberava come si poteva: sbatté borbottando lo stivale, il lordume in quell’angolo recintato familiare, al contrario dell’atmosfera all’interno. Aggiustandosi il calzone si ritrovò la mano sul fagotto, rimasto più o meno intonso dalle sue peripezie. Lo estrasse, strappando la carta alla buona.


R I C O R D I,
Neirusiens
Ricordi, nostalgia, familiare.
Bah, si stava proprio rammollendo via dai campi di battaglia - sputava fandonie e inganni.

Nessuna di quelle parole il contenuto era.
Buttato l’involucro se la rigirò tra le mani, la pietra appiattita che doveva tutelare l’esistenza del clan, la sua. Un disco rigido, bucato al centro per qualche ragione: armeggiando con il vestiario, Rick tentò gli inserimenti più improbabili. Dita, uccello e lingua; constatato che anche la punta del naso però, quel carciofone, non c’entrava nulla con il gingillo, si risolse a mettersi a posto i calzoni. Strappò un lembo di veste per farne un pendaglio, l’ex-tessuto nuovo, e si mise il disco al collo, ben coperto dal cuoio bollito dell’armatura. Poi rientrò.

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Attraversando la sala trovò solo silenzio. Denso, carico di dubbi.
Si piazzò affianco al suo bastardo al bancone, scucendo con cautela un unico soldo per le loro pinte. Prendendo a trangugiare il liquido guardava il conoscente, taciturno: solo la pietra al collo, però, aveva davanti. Storie e atmosfere puzzolenti, antiche gli evocava, grumi di facce e immagini e parole nere, ma sempre vere: non c’era nessun distacco nella sua testa –non circa il tempo, non circa la realtà. Rotture e fame ieri come ora, incarichi e mazzate; tizi morti senza un nome e cose che non ne avevano nemmeno uno, e forse non ce n’era manco bisogno. Cosa cambiava, alla fine? Cosa doveva spingerlo a fermarsi e pensare al passato – a sentirlo diverso dal solito, continuo schifo?

La birra non lo era.
L’allungavano ancora con l’acqua.

Mh. Come gira?
Borbottò al suo vicino. Con dita piene delle stesse cicatrici – pelle o testa, ne aveva da sempre – sbatté il boccale vuoto sul legno. Di curioso lì c’erano solo quei fatti, le rotture coi Neiru: una caciara di coltelli per una pietra, delle facce da funerale per qualche smilzo accoppato da delle guardie. E quelle guardie stesse…
Gira che mi hai fatto venire tu qui” il piglio secco del bastardo Ora parla, e in fretta. Se non ricordi, hai lasciato un autentico casino giù al quartiere dei Neiru” le parole non da meno. Casino? Il nano si grattò il mento irsuto, come sorpreso sotto le sopracciglia color carbone. Ah. I facciadimorto volevano fregarmi un affare. Già…

in quel…posto, hai visto venirci qualche guardia – quei danzacornacchia, dico?
Che razza di giri hanno, lì?


L’altro lo scrutò per un po’: pareva tutta la dannata locanda se la facesse nelle braghe a sentir di quei tizi, bravacci o ballerini che fossero. Attese ancora, per poi sospirare. “Qualche tempo fa ho visto si, un Danzatore, entrare lì dentro. Solo uno. Non ho idea di che cosa abbia fatto o detto, non si è fermato per molto. Perchè ti interessa? Non sarai nei guai con loro, spero, tutti sanno che i Danzatori sono roba da evitare come la peste.

Rick rimuginò, come per –tentare- di richiamare una lista ormai troppo lunga, e probabilmente priva di significato. Se mai ne avesse potuto avere uno, quell’accozzaglia di pernacchie e rumori – parole. No. Con quelli no. Decretò, non troppo sicuro. Ordinò da mangiare, vecchio luccio al sugo di cui non si era mai chiesto gli ingredienti – finché non si strozzava – e propose al bastardo di prendere un po’ d’aria. Qua è un mortorio, tanto. L'uomo del sud gli sembrò ponderare un poco la cosa sotto le sopracciglia corvine, così sottili, pungenti come i suoi tratti scavati; preferì restare al caldo. Poco male: badando a non mostrare troppo si scostò la veste all’altezza del collo, cerchi di poltiglia incrostata a sostituire collane, e sotto…sotto penzolò la pietra. Gliela mostrò solo per poco, invero, ma parve abbastanza; non riuscì a trovare intenti malandrini negli occhi dell’uomo ambrato, non evidenti almeno. Sopiti, impastati nella stessa essenza di budella e arrangiamenti quotidiani, dovevano esserci sicuramente -pure contro di lui, perché no.

Che ne dici?
Istinti infami e basilari, giusti. Mica s’ingannava.
Il luccio era arrivato, e prese a mangiare.

Mi spiace, non ho idea di cosa possa essere. Sono solo un semplice buttafuori”. Ma non pareva il caso di un pericolo ora, non di uno immediato; il bastardo del Sud esitò un attimo, un gesto semplice di diniego. Quindi la pelle della sua fronte si accartocciò, tante crepe come la terra da cui veniva – quell’altro inferno – e rispose.

Hai qualche informazione a riguardo?

Il nano strappò un ennesimo boccone fumante, masticando sempre più lento mentre parlava. L'ha portato lì la tua guardia nera, e quel facciabianca che ho steso lo voleva neanche fosse vino ambrato con questo freddo.
Era vero: il clima dell’Eden non era in generale piacevole, per di più in quel periodo, e quella cloaca nera non dava proprio il meglio della regione. Come un boccone masticato fuori da delle gallerie putride, la città sotterranea pareva ammantata da un’umidità perenne, come di un’alba in cui non hai proprio voglia di metterti in piedi. C’è quella bruma fuori, quasi la saliva di un’altra bestiaccia che sbava e ti attende –il mondo- e tu preferiresti davvero startene in caserma, letto tra paglia e bestie della quinta compagnia o meno.

Ingoiò l’ultimo boccone, tornando a squadrare l'interlocutore, la sua corta barba scura.
Ma devi andare.

Non era mica niente, al confronto col Midgard. Perché tra alzarsi e non avere la paga per mangiare, non c’è una scelta.
Mi ricorda qualche fanfaluca che si diceva per strada. Dovrebbe...tener fuori i mostri - non so quali; fargli male, roba del genere. E andando a zonzo tra i ruderi che trovi in giro, ti succede anche quello. Gli occhi dilatati di un vecchio conoscente, il silenzio in una locanda che non era stata simile ad un cimitero – non sempre. Rick non si era trovato che tra faccende vaghe, da quando aveva rimesso piede a Neirusiens. Fanfaronate dette attorno ad un piatto caldo, solo per un gingillo strano o per guardie un po’ cazzone; piagnistei e agguati mica troppo sensati, e pattumi di storie e ricordi –non ricordi no, le parole-inganno. Cicatrici, fatti impressi addosso.
Infilò la mano sotto la veste, a tastare il suo improvvisato monile.
C'era finito un po' di sugo.

Anche nello sguardo dell’altro, non poteva vedere un bicchiere pieno – e quando gli era mai toccato?
Un breve istante d’esitazione, che pure aveva scorto; quelle stranezze in giro che gli facevano la vista alticcia più della birra, più incerta della fottuta nebbia. Scolò un ultimo sorso, deciso.
Tempo prima non c’avrebbe nemmeno pensato, a lavorarsi il culo più del dovuto per qualcosa; per una sciocchezza del genere, qualche bigiotteria da cartomante.

Mostrò di nuovo la pietra all’altro, questa volta tendendola chiaramente esposta sopra la testa. La massaggiò tra pollice e indice, riversando i suoi timori -le sue sciocchezze- tra la forma circolare e le iridi d’ambra del bastardo.
Un’altra voce lo guidava, ora; la stessa, forse: solo più profonda, dagli abissi vermigli delle sue budella.

Non mi piace dare cattivi consigli” un altro silenzio vago l’attese. Non era mai stata un posto per cose dirette, la cloaca nera, c’erano sempre ritorni e giri di sguincio per fregarsi o arrabattare. Il nano socchiuse gli occhi, dei guizzi densi e di pece diretti all’altro dietro le due feritoie. No, non lo era mai stata: ma così pregna di bruma, di faccende contro il naturale lotta-e-mangia dell’esistenza, Rick non la vedeva da tanto, tanto tempo – e forse era meglio così.
Ma queste volta farò un'eccezione. Se quell'oggetto c'entra in qualche modo con i Danzatori D'ambra...allora è da loro che devi andare e per per poter scoprire qualcosa. Altrimenti ti dovrai accontentare di avere un monile nè particolarmente bello né particolarmente utile”. E come se quella pozza di bile si fosse alzata di nuovo, vomitando i suoi –anche di Rick- sogni infranti sulla rena sporca, altri dubbi arrivarono: sciocchezze, cose mica dirette; il bastardo dell’Akerat si schiarì la voce, altre storie labili come un pasto ogni sera per un mercenario.
Ho un amico all'interno della Torre del Fato. Con un po' di fortuna potrei riuscire a farti entrare senza essere visto..a meno che tu non preferisca il metodo più classico:
Il Ràn si era rialzato, strabordando di nuovo le sue cancrene sulla rena e sui pescherecci.

arruolarti e iniziare a cercare indisturbato dall'interno”.
Il Ràn si era alzato,
e sputava fuori Onde di Fumo.

Mh. Arruolato, allora. Ma se organizzi, il tuo uomo lo incontro lo stesso.
Ma no. Alla fine era sempre lo stesso, un qualche lavoro e spaccare teste in giro, per seguire la voce della sua panza - della torre, del suo istinto. Scrostò accanito le ultime macchiette di sugo appiccicate al piatto, per poi riconsegnarlo limpido come neve nell’Erydlyss. Eppure..E cosa diavolo hanno queste guardie - che si vocifera in giro?
Cos'hanno?” Sorrise l’altro. “Faresti meglio a chiedermi cosa non hanno, caro mio. La risposta è: l'umanità. Sono mostri, fidati di me” Disse guardandosi intorno, quasi ci fosse qualcosa a spiarlo da sotto chiappe e bancone. Per quanto fosse certo si trattasse della solita mansione, del solito lavoro, Rick non poté non sentire qualcosa; il gemito del luccio nel suo stomaco, certamente, ma a dirla tutta anche un fremito. Lì, dal fondo delle sue viscere – dal canto e dalla torre e da un marmocchio che si nascondeva tra i ruderi di una città abbandonata – qualcosa. “E' meglio andare” Già, c’era un che di troppo simile. E quanto ricordò del suo vecchio conoscente, la pelle d’oliva rancida e gli occhi d’ambra, si confuse anch’esso tra altre parole e immagini – danzatori, mostri – mentre questi usciva come brezza notturna dall’edificio. “Se la tua idea è entrare nei Danzatori, và alla Torre del Fato e, quando te lo chiederanno, offriti volontario. Io farò in modo che abbiano un occhio di riguardo per te. Per il resto..

..che Neiru sia con te

si fotta il cieco!

Il bicchiere rotolò lungamente in su e in giù per il bancone, mentre l’avventore si strapazzava la toppa di capelli scuri. La sua criniera di mulo non pareva celare troppi misteri, qualche zecca e polvere a parte, e non vedeva cosa c’era da temere ora nella notte.
Dopotutto erano dello stesso nero, lui e quelle storie. Vero, sbiadito – perenne, come una cicatrice.
Schiodò il culo dallo sgabello, e riprese la sua strada.


76ts

2k98

Quando fuoriuscì dalla bruma davanti alla torre, il vagabondo era infastidito.
Non che ci volesse molto, in fin dei conti; ma quel dito di pietra che si contorceva verso l’alto, i due guardiani in armatura fermi come spaventapasseri – l’intera storia – non lo mettevano di buon umore. Al contrario: piantandosi burbero contro l’ingresso, non badò troppo a fronzoli. Alla fine non gli ci era neanche voluto molto per arrivare, poche pedate irruente per quel letamaio umido; nel tragitto aveva anche incontrato un ragazzino, scucitogli due soldi per un diversivo: avesse voluto vedere altri ori, il moccioso, le guardie in quella baracca sarebbero state allertate di nuovi macelli – mazzate nel quartiere Neiru, tanto per contar balle credibili.

Controllò che tutto fosse al suo posto, martello, scudo e averi; poi si schiarì la voce.
Mi arruolo, berciò e spero che paghiate bene

D’altra parte i due beccamorti non parevano in vena di chiacchiere.
Altrettanto muta, un’ennesima oscurità si spalancò dietro i cancelli, ora aperti. Lugubre, vaga e pomposa: tutta quella dannata situazione se la sarebbe proprio evitata. Ma i marchi impressi nella carne della sua testa – i ricordi – e il ruminare del suo stomaco non erano causali – andavi sul sicuro. O forse no. Alla fine ciccavano come tutto, quella giostra sgangherata e sbilanciata, e seguivano al pari le spinte del caso – che altro modo c’era?

Contava il risultato, la pappa al di sotto.
Il mollume nella testa ancora integro, più o meno, e nelle budella qualcosa a riempirle.

Si fece avanti, baldante come un ciuco; che le due cose, voci di testa e viscera coincidessero, era in realtà solo un motivo in più – un segno di miglior fiuto. Se davvero incidevano insieme, viscere e memorie della stessa sostanza, non aveva ragione di aver più paura: sarebbe giunto oltre il fumo, arraffando il necessario per sé e per il Sorya.

...
Varcò la soglia, maledicendo sé stesso e quelle torre meretrice invischiata tra le grotte.
La sostanza dietro al fumo di Neirusiens gli adombrava ancora le meningi.

In silenzio, la figura del vagabondo scivolò nel buio dell'edificio.

danza scappa di nuovo, ora






Rick Gultermann
Basso 5%, Medio 10%, Alto 20, Critico 40%


CS: 0 Resistenza
ENERGIE: 50%
Status Fisico: Danno Basso da taglio alla gamba sinistra, Danno Basso autoinflitto.
Status Mentale: Danno Basso autoinflitto.
EQUIPAGGIAMENTO: Scudo tondo (avambraccio destro), Mazza (mano sinistra), Armatura di cuoio (tutto il corpo eccetto testa e mani)


PASSIVE

~Abilità razziale. Il tozzo ancora in piedi.
[Controllo Energetico, Umano]

~Abilità personale. Sopporta!
[Possibilità di resistere a 2 Mortali nel Fisico]

~Abilità da dominio. Io speriamo che me la cavo.
[Possibilità di difesa istantanea – passiva dominio Guardiano liv. I]


ATTIVE



CITAZIONE
EDIT: un errore di battitura.


Edited by Lill' - 30/12/2013, 02:03
 
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view post Posted on 6/1/2014, 00:40
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And...bla..Bla..BLA
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"Aiuto!"
Furono queste le parole di Adam una volta uscito dalla porta entro la quale Kel, il suo presunto compagno di disavventure, era appena stato ferito da una belva tutt'altro che reale.
Il silenzio rispose al suo richiamo. Il silenzio gocciolante dei sotterranei, fosco di torce consumate, nero di quella pece che altri non è che la più fitta oscurità della paura. Deglutì, ansante, compiendo qualche passo a destra per poi fermarsi.
Si guardò indietro. Titubante.
Meglio a sinistra?
Un brivido lo colse, ricordandogli di essere vestito solo di qualche straccio e veste logora, frutto dei modi maneschi delle guardie della prigione.
Meglio destra?
In lontananza, eco sbiadita, udì qualcuno gridare, una voce remota che presto si esaurì nel nulla.
La fiera era giunta da sinistra, facendo scappare tutti quanti nella direzione opposta. Direzione da cui ora non proveniva alcun suono, rassicurante o meno.
Adam si volse dunque a sinistra, procedendo ingobbito in parte per il freddo, in parte per la paura che qualcosa si nascondesse nelle porte spalancate delle celle in attesa del suo arrivo per ghermirlo e...
Si leccò le labbra una volta, per poi fermarsi un attimo in ascolto. Nessun rumore.
Eppure gli era parso...
Scosse il capo, riprendendo a camminare, ritmo di passi con ritmo di gocciole dal soffitto, con il fiato appena corto.
Con il senso di oppressione che ogni preda, probabilmente, sa di avere per volere naturale.
E poi eccolo, improvvisamente, il segnale che, forse, la via che aveva deciso di intraprendere, non era stata quella sbagliata.
Una scala in fondo al corridoio, appena rischiarata da torce, livide nell'appiccicoso ristagnare di sangue sui gradini in pietra. Probabilmente la belva era giunta da li, meditò Adam.
Probabilmente...la belva era a difesa di qualcosa...
Quasi trattenendo il fiato, il ragazzo cominciò a salire, uno dopo l'altro, quei nudi tasselli di ossidiana per poi lasciare che solo il capo, timido, si affacciasse oltre l'ultimo gradino e li scovare, piccola gioia.
Un magazzino.
Il magazzino dove, evidentemente, le guardie stipavano tutti gli averi dei prigionieri.
Ad un lato della stanza, una catena spezzata giaceva a terra come serpe a cui fosse stata schiacciata la testa. Evidentemente la fiera era di guardia.
Quatto, Adam mosse i primi passi verso la rastrelliera dove stavano poggiate, intatte, una serie variegata di armi piccole e grandi, utili o del tutto inefficaci. Cercava la sua, ovviamente. Quei maledetti l'avevano privato dei suoi averi senza nemmeno dargli il tempo di ribellarsi. E cercava qualcosa di decente per il suo amico -sempre che fosse vissuto abbastanza da poter imbracciare una qualsiasi arma-.
In breve trovò il suo prezioso compagno di battaglia.
E trovò qualcosa di molto pregiato, poco distante. Evidentemente anche i carcerieri dovevano aver provato il suo medesimo senso di "rispetto" verso quell'arma perchè, a differenza delle altre, giaceva un po' distante, poggiata con cura al muro di modo che non cadesse a terra.
Poteva essere quella di Kel?
Adam sperò di non essersi sbagliato. Con un movimento rapido la tirò a sé, voltandosi questa volta alla ricerca di erbe, pozioni, qualunque cosa che avrebbe potuto servire da medicazione alla ferita che l'altro aveva riportato. Trovò qualcosa, non molto in realtà, ma abbastanza da improvvisare un impacco ed una fasciatura che stesse senza problemi nel risvolto delle sue vesti. Ed infine....
Si bloccò.
Qualcuno stava salendo le scale.
In un attimo Adam scomparve dietro alcuni scaffali di libri e ornamenti vari dall'aria tanto misera quanto inutile. Ansimò, cercando di intravedere l'apertura a metà di due tomi puzzolenti di muffa.
E finalmente lo vide.
Un essere sottile, etereo, tanto alieno all'umana sembianza quanto lo erano quelle strane creature del mare, sospinte dalla corrente nei giorni di burrasca e immote nel ristagno nei giorni di calma.
Non era umana.
Avvertì ogni pelo del suo corpo rizzarsi dolorosamente, l'istinto a gridargli di fuggire al più presto e ricongiungersi a Kel prima che...
Prima che?
L'attimo dopo, quando l'essere parve girarsi (anche se sarebbe stato alquanto difficile definire un volto...), Adam si catapultò giù dalle scale con tutta la velocità che gli fu possibile. Balzi di tre o quattro scalini a precipitarlo giù, fino al pavimento delle celle e poi a perdifiato lungo il corridoio, camera dopo camera, fino a quella in cui Kel giaceva moribondo e, scoprì, delirante.
In un attimo fu al suo fianco. In un attimo, si liberò di armi e ammennicoli e scoprì la ferita del giovane, ora nera e infetta più che mai. La pelle bruciava di febbre.
"Tieni duro, amico" gli sussurrò tremante di paura "Sono certo che questo NON è un buon momento per morire...non per me"
Uno scricchiolio della porta colse allora la sua già fragile attenzione costringendolo a voltarsi. Se possibile, il volto di Adam sbiancò ancora di più.
Quella cosa stava entrando.
Lentamente.
Perchè la porta era evidentemente troppo piccola per ospitare la sua intera mole.

-O-

"Nessun pentimento, mia cara"
fu il commento di Edwin nel notare la reazione di Alicia. La fissò a lungo, intensamente, con la distaccata intensità di chi sia abituato a fare esattamente ciò che desidera quando lo desidera. Senza paura. Senza timore.
E poi arricciò le labbra in un sorriso.
"I ripensamenti sono per i deboli, e lei davvero non mi sembra corrispondere in alcun modo a questa fattispecie"
con un cenno, fece segno all'uomo in nero di allontanarsi dalla ragazza.
"Con l'ostinazione lei è entrata in questo palazzo, ha ordinato al mio sottoposto di organizzare un incontro ed infine ha accettato un patto del quale ignora i termini e le conseguenze" una pausa "Nessuno le ha mai raccontato una certa storia di un Gatto e della curiosità?"
Certo che si.
"Ma poiché voi siete tanto decisa ad offrirmi il vostro aiuto, è con vero piacere che vi metterò a parte di una piccola verità, una delle molteplici oscurità che Neirusiens mi ha donato da che ho avuto l'onore di inoltrarmi nel suo ventre colmo di tesori"
Con un cenno, fece segno all'uomo di aprire la porta alle sue spalle, invitando poi Alicia ad attraversarla prima di lui.
"Perchè attaccare genti inermi senza alcuna ragione o motivo?" sorrise piano, facendo un nuovo cenno alla figura in nero al suo fianco "Talvolta, la realtà è di gran lunga più complessa di come appare"
Ed in quella, fu con un brivido che la penombra circostante parve per un istante tremare, vibrare. In un attimo, una nuova oscurità calò in quella immensa sala colma di silenzi, di eco infinite. L'aere si torse, e con lui i contorni delle fiaccole che brillavano flebili alle pareti lontane virando dal semplice riardere al compatto distendersi, allungarsi, flettersi come spiriti veri e propri, anime il cui vociare crepitò per un attimo ovunque, nervoso ghiacciarsi dell'aria.
E poi, cupa, una nuova melodia prese vita attorno ai presenti, nodosa creatura di spire i cui vertici altri non erano che figure in nero rimaste fino a quell'istante immobili nell'ombra.
Danzatori.
E la loro Danza delle Ombre.

-O-

Aveva poco tempo.
Troppo poco per respirare. Troppo poco per imprecare.
Ma forse
forse,
abbastanza per fuggire.
Così, lesto dei suoi troppi anni, Ka Shanzi guardò per un istante la figura sconvolta e attonita del ragazzo, alla deriva nel bel mezzo del Ràn. Lo scrutò con quei suoi occhi che troppo poco potevano vedere ma molto intendere, riuscendo malgrado la distanza ad intuire lo stordimento e la confusione dell'altro.
La sua impossibilità a capire, a decifrare ed intuire la semplicità del destino e delle coincidenze.
Cosa avrebbe potuto fare un arciere nel bel mezzo del Ràn e di una frangiflutti alla deriva nella vastità di quelle acque nero pece? Nulla. Forse.
Se non seguire la corrente.
Se non lasciare che fosse il vento stesso, e non la volontà, a condurlo laddove le cose giuste -o quelle più sbagliate- vanno a finire.
Forse il giovane Saighdeas non avrebbe trovato la strada. Forse si sarebbe incagliato, o ancora peggio una secca avrebbe aperto in due lo scafo precipitandolo in quella pozza gelida. Forse sarebbe fuggito, intuendo il modo migliore per scampare alla follia di Neirusiens.
Ma forse,
forse.
Chi ha occhio fino per colpire un bersaglio, ha anche uno sguardo abbastanza attento per intravedere i sottili legami del proprio futuro.
E la forza di seguirlo.
Alzò una mano, pur sapendo che forse il ragazzo non avrebbe visto il suo saluto speranzoso, e poi indietreggiò con uno scatto, l'istante esatto nel quale il fendente del suo nemico si abbatteva su di lui, silenzioso come la morte. Avvertì il gelo dell'attacco sfiorarlo con dita sottili, sottili.
E poi scartò di lato, due pugnali a colpire l'aria in una mossa diversiva.
Arretrò ancora, un sibilo di serpente a lambire il suo volto. E poi si slanciò in alto.
L'altro lo seguì, ovviamente, chiamandolo con quella voce armoniosa e cupa come un baratro senza fondo. Strinse i denti, fece presa su una grondaia. Si issò.
Brivido alla base del collo
Torna qui...Ka Shanzi...
"Zah ighs n'uhm
Razza di babbeo"

E con un balzo finale, si lasciò cadere in un canale di scolo poco distante, l'odore di feci e urina ad accoglierlo come l'abbraccio dell'amante più graziosa, deliziosa, e gradita di tutte.

-O-

"Fermi! Fermi! Non spingete! Vi prego, non spingete, ho detto!!"
in piedi su un piccolo rialzo, l'uomo dai lunghi capelli color carota non pareva altro che un buffo pappagallo appollaiato sul proprio trespolo. Aveva pelle chiara picchiettata di lentiggini e occhi chiari e piccoli, ora contratti in una smorfia tesa, insofferente.
Il vestito non poco superiore al comune agghindarsi popolano risplendeva di verdi acido e rossi pomodoro, un accostamento che, pur non donandogli autorità, di certo lo metteva bene in vista nella marmaglia generale.
Chiaramente, starsene in quella posizione non destava le sue gioie ed il fatto che, malgrado i pacati tentativi, la folla non lo degnasse del benchè minimo riguardo, non migliorava in alcun modo il suo umore.
Dannati bifolchi.
Nemmeno tutte insieme quelle capre vestite a festa avrebbero fatto anche solo l'alluce del titolo che avrebbero voluto conquistare standosene urlanti dinnanzi alle porte della Torre del Fato.
Volevano fare i Danzatori.
Dicevano.
"State buoni! Calmi, calmi!"
Se fosse dipeso da lui, avrebbe sedutastante rispedito tutta quella marmaglia a casa a calci nel sedere. E invece no.
Edwin aveva bisogno di nuove reclute e lui...lui non poteva far altro che fare spazio.
Sgomberare un po' le sale.
Far controllare una per una quelle teste pulciose e infine assentire, suo malgrado

"Avanti il prossimo!!"

si sbracciò l'ennesima volta, invitando il suddetto aspirante Danzatore a fare un passo avanti, aprire la bocca e cavare la lingua, alitare in faccia al povero medico di turno ed infine mostrare il petto.
Un po' magro, ma poteva andare.
Sbuffò
"Ti chiami?"
urlò nella baraonda generale.
Qualunque cosa rispose il beota poco distante, Oliver colse un grugnito a metà fra Loren e Piter
Ci pensò un attimo.
Loter
decretò soddisfatto.
Tanto non aveva alcuna importanza, se non fosse passato alla fase successiva.
Loter o Poren che fosse, lo sventurato si riabbassò la maglia e trotterellò tutto felice oltre le pesanti porte di pietra che separavano l'esterno della Torre del Fato dal cortile interno, una gradevole area completamente piastrellata in marmo bianco ed ora per metà affollata dagli aspiranti Danzatori.
"NO! No!"
Oliver si sporse appena in avanti, afferrando per una spalla un tipo diretto verso l'interno.
"Niente armi proprie! E' la regola! Dentro ve ne daremo di nuove, ma per la vostra sicurezza vi consiglio di lasciare tutto ciò che avete all'esterno tranne vestiti e coraggio"



Eccoci qui di nuovo ^__^ La storia riprende, più fosca che mai!
Come avete potuto vedere, Albtraum sta seguendo un percorso che, per molteplici ragioni, ho preferito mantenere in parte "segreto".
Detto questo.

Rick: L'ultima parte del mio post riguarda la scena che, giungendo, il tuo personaggio si troverà dinnanzi. Una vera e propria folla di gente si raduna attorno alla torre del Fato, speranzosa di entrare nella fila dei Danzatori. Le ragioni sono ovvie: con i recenti sviluppi da parte di elfi e Danzatori, pochi umani si sentono realmente sicuri in città quindi, secondo una logica di opportunismo, tentano rifugio "nell'esercito". Per regolare l'affluenza un ometto e delle guardie -non Danzatori- sono stati posti alla porta d'ingresso per operare una minima selezione preliminare. Parlando con chiunque, si potrà facilmente scoprire che la vera e propria selezione avverrà nel cortile ma nessuno sa esattamente COME. A te la scelta su come procedere e approcciarti alla situazione. Le guardie sono una ventina, non particolarmente forti. Oliver non è altro che un burocrate.

Lomerin Abbandonato sull'imbarcazione originariamente destinata a Ka Shanzi, Lomerin non può far altro che osservare la riva allontanarsi più o meno rapidamente. Il Danzatore non sembra interessato a lui. La barca è del tutto simile ad una barca a vela non più lunga di sette metri, dotata di vela (non spiegata) e timone a barra. Sotto, una piccola cuccetta ospita una branda e qualche scorta di cibo. Non c'è nessun'altra imbarcazione nelle immediate vicinanze, ma aguzzando la vista, Lomerin può notare alcune luci in lontananza riverberare sullo specchio d'acqua. A te le manovre. Attenzione che se sbagli...la barca si rovescerà X''D

Alicia, Maria Per voi, la medesima situazione. Tornato nella sala principale, Edwin ordina ai Danzatori di "attivarsi". Immediatamente la sala viene avvolta dall'oscurità, e dal "canto" che precedentemente aveva avvolto la piazza durante la loro apparizione. Aguzzando la vista, è possibile notare che i Danzatori sono in tutto 3, posti a triangolo ai limiti della stanza. Come prima azione, essi intonano la medesima nota comune, che varrà come un attacco Psionico ad area di potenza critica per Maria, Jeanne, Hua, Leanne ed Aris.
Per Alicia, l'attacco varrà solo come potenza Media.
Oltre ai personaggi di Albtraum, quello di Alicia, Aris e Leanne, nella stanza vi sono ovviamente i 3 danzatori, Edwin e il suo vice.

Kel Rimasto quasi illeso dall'attacco, Adam si precipita alla ricerca di cure e armi per Kel. Qualcosa fortunatamente trova: la belva da cui tutti scappavano era infatti stata messa di guardia al deposito delle prigioni per impedire a chiunque di rubare o appropriarsi degli oggetti li stipati. Frugando, Adam trova sia qualche erba medicinale che armi e, sfortunatamente, un nuovo "Guardiano" decisamente inquietante. Per semplificare, immaginati una medusa completamente nera ma alta tre metri. La creatura, avvertendo la presenza di Adam lo segue fino alla cella dove egli, in fretta, riesce alla bell'e meglio a curare Kel. Il risveglio di Kel è causato sia dalle grida di Adam che, arco in pugno, tenta di respingere i tentacoli della bestia sia da una voce di sottofondo, bassa e gelida. Le parole sono indistinguibili, ma quasi certamente provengono dal mostro.

Per le energie, so che alcuni di voi sono un po' a "secco", ma non temete, l'esaurimento in questo turno è previsto quindi dateci sotto senza remore ^___^/
Come nel turno precedente, si gestirà questo turno in zona Confronto con il solito botta e risposta fino allo stop finale. Lontani dalle vacanze...direi una settimana sia per confronto che per postare.


Edited by Eitinel - 6/1/2014, 12:46
 
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.Azazel
view post Posted on 16/1/2014, 15:10




I Primogeniti
Onde di Fumo, Atto IV
___ _ ___


~


Tutto appariva distorto, anomalo, quasi alieno.
Le forme delle cose, del mondo stesso, erano mutate e parevano essere in preda ai fumi dell'alcol: tutto barcollava e vibrava vistosamente e niente era chiaro e definito.
Un viaggio onirico fin troppo reale.
Percepì appena la voce di Adam riferirgli parole di conforto mentre si chinava sulla ferita nel tentativo di placare l'immondo bruciore e i temibili effetti che affliggevano la mente di Kel. Ma furono le grida improvvise a risvegliarlo, quasi del tutto, dal suo torpore.
Gli incubi potevano prendere vita?
Riuscivano a modellarsi prendendo forma fisica?
La cosa che cercava di penetrare nella stanza era sgorgata da chissà quale mondo, una realtà che nulla aveva a che fare con quella degli uomini. Era una specie di medusa gigante, nera come una notte priva di luna e stelle, viscida e all'apparenza oleosa e i lunghi tentacoli parevano non avere mai fine.
Adam, terrorizzato, tentava con tutte le sue forze di respingere gli arti oscuri dell'immonda creatura sparandole addosso continuamente frecce su frecce. Kel, assistette per qualche istante all'intero spettacolo che aveva dinanzi, incerto se definirsi stupito o inorridito, forse entrambe le cose.
Si rialzò, a fatica, stava decisamente meglio rispetto a prima e se non altro non delirava più ed era in grado di reggersi in piedi autonomamente.

« Adam, non muoverti. »
La voce fredda e debole raggiunse il ragazzo, intimandogli di fermarsi.
Un istante dopo una cupola energetica avvolge sia Kel che Adam, tale azione fece desistere il ragazzo dal continuare a scagliare frecce contro la creatura.
Forse era impazzito, ma avrebbe giurato di aver udito una voce, o comunque sia suoni simili e accostabili a quelli di una voce, provenire dalla bestia nera e putrida.

I steinbrudd av ufattelig sorg
hvor Fate han har allerede rykket ned,
der stadig går ray lyse og homofile,
bare hvor den besøkende uhøflig som er the Night,

Jeg er som en maler fordømt
en tentamen Gud å male over mørket,
der, koker begravelse lyster,
Jeg koke og spise dette hjertet,

noen ganger skinner, forlenger og slapper
et spekter laget av nåde og ære.
Men når det forutsetter sin maksimale utstrekning,

qullìorientale med drømmende tempo,
da at jeg kjenner som kommer opp til meg:
Hun er, min vakre, men alltid svart lys


Mai e poi mai nella sua vita aveva udito tali parole, inoltre la voce era calma e dal tono basso con assonanze e modulazioni tipiche di una preghiera o un canto.
Si ritrovò completamente spiazzato dalla situazione e cosa che lo turbava ancor di più era il fatto di non intuire le intenzioni dell'ignoto essere.

« Kel, cosa stai aspettando? »
Adam dava evidenti segni di uno che non capiva cosa stesse succedendo: come dargli torto. Probabile che la voce appena udita fosse stata emessa tramite telepatia poiché il ragazzo al suo fianco non sembrava proprio non aver sentito nulla se non il silenzio assordante che regnava da qualche secondo nella stanza.

« Non capisco la tua lingua, sei in grado di capire la mia? »
Mosso da uno stimolo di curiosità cercò un contatto con la strana creatura.
Doveva essere impazzito, pure Adam cercò conferme chiedendogli se stesse veramente cercando di parlare alla creatura; quando mai una persona sana di mente si sarebbe soffermata a cercare di instaurare un dialogo con un'entità che pareva essere vomitata dalla mente diabolica di un pazzo visionario?
Fortunatamente il suo istinto rimase in all'erta e non abbassò le sue difese, poteva rivelarsi un tragico, e fatale, errore. La medusa apparì confusa e disorientata per un breve istante dopo che Kel le rivolse la parola, dopodiché continuò a forzare l'ingresso tentando di entrare nella camera, ora più che mai era certo di sapere quali fossero le reali intenzioni dell'essere abissale.

« Adam, devo ritrovare la mia spada a tutti i costi o posso anche morire qua. »
Per la prima volta la sua voce era incrinata dal dubbio e dalla paura. Nel momento esatto in cui finì la frase anche la cupola protettiva svanì nel nulla e partì all'attacco nonostante la stanchezza: si buttò sulla disgustosa creatura. Tentò una violenta spallata nel tentativo di sbilanciarla per poi attaccarla con un pugno infuocato ma il dolore fu l'unica via che trovò.
Passò attraverso l'essere e la sensazione fu quella di oltrepassare un denso e vischioso portale nero che, purtroppo, oltre che disgustoso, si rivelò pure acido al contatto.
Strinse con veemenza i denti e si levò nuovamente in piedi cercando di ignorare il dolore alla spalla sinistra e... meraviglia delle meraviglie!
Adam stringeva goffamente l'impugnatura di una lunga spada d'acciaio e si gettò all'attacco per contrastare la creatura. Il Mezzanima sgranò gli occhi, violentato da una miriadi di emozioni contrastanti: la gioia nell'aver ritrovato Neracciaio, lo stupore nel vedere che Adam l'aveva trovata e la paura di vederla nelle mani sbagliate.

« Adam! La spada! »
Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo mentre partì di corsa nella sua direzione. Adam, confuso dalla reazione del compagno, fu colto alla sprovvista da un tentacolo che lo colpì in pieno facendolo sbattere violentemente contro il muro. Abbandonò la presa su Neracciaio che cadde a terra e finalmente Kel poté tornare a stringerne l'impugnatura: spada alla mano menò un fendente a vuoto e dalla lama scaturì una fiammata che investì in pieno la medusa.
Quest'ultima, con rinnovato stupore da parte di Kel, si allontanò con lentezza volontariamente quasi avesse ignorato completamente l'attacco elementale del goryano. Ipotizzò che il pericolo era, momentaneamente, svanito così poté voltarsi e osservare lo stato di Adam.

« Ragazzo, ragazzo! »
Rinfoderò Neracciaio e si chinò in avanti su Adam, tentò di risvegliarlo agitandolo come una bambola di pezza ma la ferita riportata era proprio come quella di Kel: nera e dall'aspetto terribile.
L'unica via era di trasportarlo fuori da quella maledetta stanza e cercare aiuto o medicinali utili per rimetterlo in sesto. Uscì dalla stanza e si voltò a destra, con Adam che iniziò a delirare e a parlare in lingue sconosciute, durante il percorso i vaneggiamenti del ragazzo ferito suonarono familiari a Kel che, in un secondo momento, riuscì a collegarli ai vocaboli che aveva percepito dalla medusa.
Altri interminabili minuti e alla fine si ritrovò dinanzi un bivio: una scala che scende e una che sale.
Senza star troppo a pensarci intraprese le scale in grado di portarlo verso l'alto. Durante il tragitto l'aria divenne più calda e alla fine della scalinata sbucò in una stanza in pietra con arazzi di scarso valore e attaccato ad una parete uno scaffale con boccette contenenti chissà quali sostanze. S'avvicinò al cancello di ferro battuto fatto di sbarre, poté intravedere oltre un corridoio in salita con al termine una fioca luce filtrare. Si trovavano, teoricamente, nella stanza prima delle prigioni, quella nella quale sostavano le guardie ed unica via d'uscita.
In quel momento Adam parve tornare in sé: l'avvertì agitarsi piano.

« Dove siamo? »
I miglioramenti furono decisamente insoliti ma trascurò per un momento i dubbi e lo depose delicatamente a terra.

« Non ne ho la minima idea, so solo che voglio andarmene da qui. »
Si voltò e iniziò ad osservare minuziosamente il cancello e la parete affianco nel tentativo di scovare qualche pannello o leva in grado di aprire il passaggio. Dopo qualche secondo individuò vicino al muro una zona dove il ferro era arrugginito e in pessimo stato, i cardini erosi dalle infiltrazioni continue.
Bastava una lieve pressione e li avrebbe buttati giù.
Adam si alzò, nonostante fosse pallido in volto sembrava aver riacquistato le energie.

« Ti aiuto. In due ce la faremo sicuramente. »

« Dovresti riposare.
E obbiettivamente non riesco a capire come hai fatto a riprenderti così velocemente.
»
Inarcò un sopracciglio e si voltò ad osservare Adam, snudando completamente pensieri e dubbi. Infine tornò a concentrarsi sul cancello e iniziò a fare pressione nel punto più deteriorato, quello vicino al muro.
Anche Adam rifilò il medesimo sguardo diffidente mentre si affiancava a Kel e lo aiutava a spingere.

« Perché la tua guarigione ha forse qualcosa di meno miracoloso? »
Non aveva tutti i torti.
Decise di non indagare oltre sulle loro inaspettate e rapide guarigioni.
Riuscirono a buttar giù la cancellata e percorsero il corridoio umido e sgombro; dalla sua fine iniziarono a giungere suoni concitati, tipici di uno o più combattimenti, tali rumori di battaglia turbarono nuovamente Adam.

« Non è ancora finita? »
Kel non rispose.
Obbiettivamente non sapeva darsi, e dare, una risposta adeguata.
Giunsero infine in quella che doveva essere la costruzione centrale di una torre. Davanti a loro un ragazzo combatteva con un folto numero di uomini in nero, pericolosi Danzatori.
Una note fortissima e acutissima attraversò l'intera struttura ponendo fine a tutti i combattimenti: tutte le figure in nero rinfoderarono le armi e indietreggiarono. Un Danzatore si fece avanti, non differiva dagli altri, erano tutti uguali ed esteriormente non vi era modo di differenziarli gli uni dagli altri.
Istintivamente portò la mano su Neracciaio ma si bloccò nell'avvertire la voce priva di emozioni del Danzatore.

« La selezione termina qui. Voi siete i soli ad aver superato la prova. »

« E ciò cosa comporta? »
Chiese con fare minaccioso. Non tolse la stretta sulla spada, ancora riposta nel fodero.

« Che da oggi in poi, verrete addestrati per essere dei Danzatori. La Nera magia è già in voi. » Con sommo stupore di Kel, il Danzatore si scoprì il capo che, fino a quel momento, era rimasto celato « Il mio nome è Rakshin. Lasciate che vi mostri la vostra casa. »

Non tolse lo sguardo nemmeno per un istante da Rakshin per tutto il tragitto verso le camere: era un uomo di mezza età dagli occhi di un azzurro chiarissimo e i capelli tendenti al grigio, nonostante tutto manteneva una rigida e fiera postura e gli anni non sembravano averne scalfito il fisico.
Prima di giungere alle stanze dovettero percorrere un paio di corridoi e salire diversi scalini; Kel sapeva di non essere proprio un chiacchierone o un logorroico ma il Danzatore sembrava essere sprovvisto della lingua e al goryano parve di seguire una sorta di simulacro solenne animato da chissà quale magia.
Dopo diversi metri raggiunsero una stanza e Rakshin si bloccò.

« Qui potrai riposare. »
Disse con tono inespressivo. Infine tornò indietro e scomparve dietro l'angolo.
Stanco e affaticato come non mai, Kel non aveva nemmeno le forze di fare altre domande e si sentì sollevato nel sapere che il Danzatore era oramai lontano. Entrò e chiuse la porta dietro di sé, slegò rapidamente la cintura e poggiò Neracciaio ai piedi del letto, dopodiché s'abbandonò completamente al sonno, speranzoso di non fare incubi.
Per quel che gli riguardava ne aveva visti fin troppi quel giorno.


Kel'Thuzak
il Mezzanima

CS 4 ~ Destrezza 2 - Intelligenza 2

~ Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~

Energia: 15%
Status Fisico: danno Basso braccio dx. Danno Medio braccio sx. Danno Medio da ustione spalla sx.
Status Psicologico: Indenne.

Equipaggiamento in uso

Neracciaio__Inutilizzata.
Silentium__Inutilizzata. [º º º º º]


Abilità in uso

arcanus__L'anima corrotta di Kel, scissa in due tra spada e corpo, ha fatto sì che Neracciaio acquisisse un potere in grado di distinguerla dal resto delle armi comuni: il potere della sua anima racchiusa in questa spada è in grado bruciare e ustionare. L'arma infliggerà danno come il riflesso della propria anima tant'è che oltre al danno fisico arrecherà un danno legato all'elemento Fuoco, non pregiudicherà in alcun modo la regolamentazione sugli attacchi fisici e le Capacità Straordinarie; il danno totale inflitto dagli attacchi fisici non cambierà in alcun modo, ne verrà solo caratterizzata l'entità aggiungendovi proprietà elementali. L’arma, come una creatura viva e senziente, si plasmerà sulla figura del possessore assecondando la sua indole, vettore della sua anima. Da questo momento in poi essa vibrerà di energia propria, liberando una malia psionica di tipo passivo, sottoforma di terrore e paura, che influenzerà chiunque sarà abbastanza vicino da percepirla. Inoltre Kel, raggiunto il 10% delle energie, non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.
{Passiva Lvl.1 e 2 Artigiano + Razziale Umana}

tutum iter__La tecnica ha natura magica. L'abilità non ha potenza e concede i propri benefici passivamente, sempre funzionanti nel corso di una giocata. Il personaggio diviene in grado di camminare e reggersi su qualsiasi superficie, sia essa avversa a lui e alla gravità (come una parete o un soffitto), sia essa liquida (acqua, ad esempio) o aeriforme (camminare sull'aria). Non sarà affetto in alcuna maniera da correnti d'aria o sbilanciato da onde nell'acqua, e potrà camminare tanto agilmente nell'aria quanto lo farebbe sulla terraferma, il tutto non alterando in alcuna maniera la sua agilità o la velocità con la quale si muove normalmente - rendendolo di fatto né più veloce né più lento del solito. {Pergamena Sostegno - Ladro}

mysticus__Il prescelto dei guerrieri stregoni di Kolozar Dum è stato dotato inconsapevolmente, da quest'ultimi, del dono della magia, ma non magia comune bensì qualcosa di molto più potente e in grado di far impallidire i migliori maghi esistenti. Poter contare ogniqualvolta su una fonte di potere sempre maggiore rispetto a chi si ha di fronte è una capacità che molti vorrebbero e che Kel possiede dopo essere tornato alla vita. In termini di gioco la tecnica ha natura Magica e avrà sempre effetto. Ogni volta che il proprio avversario utilizza una tecnica di natura magica, per la durata di quel turno Kel guadagna 2 CS in Intelligenza.
{Pergamena Discendenza Arcana - Mago}

Attive Utilizzate

aversor__La tecnica ha natura Psionica e consumo Medio. La tecnica si presenta come una costrizione che l'avversario, se non si difende, non può disattendere: egli non potrà superare il limite creato dallo stregone e se si trova al suo interno si vedrà costretto ad uscirne senza poter in alcun modo controllare il proprio corpo. Sarà quindi impossibile ingaggiare il mago in corpo a corpo, mentre questa difesa nulla potrà contro gli attacchi a distanza. La tecnica ha potenza Bassa per due turni e sarà visibile ad occhio nudo poichè il corpo del caster sarà circondato da una sorta di cupola composta da scariche elettriche nere in continuo movimento. Questa area di difesa si sposta insieme con il mago se questi si muove.
{Pergamena Terrorizzare - Mago}

vetus flammas__ La tecnica ha natura Magica, consumo Medio. Lo stregone sarà in grado di circondare una parte del proprio corpo, l'intero corpo o il proprio equipaggiamento e le proprie armi con l'elemento che controlla, il fuoco, nonchè manifestazione elementale della sua anima corrotta. Questa tecnica non può essere castata nel momento della difesa per danneggiare il nemico che attacca. In compenso, nel momento in cui Kel sferra un attacco con un'arma o una parte del proprio corpo ricoperta dall'elemento, questo conterà come una tecnica di potenza Bassa che infligge un danno Alto compatibile con l'elemento del fuoco.
{Pergamena Fusione Elementale - Mago}

unda flammas__ Spendendo un quantitativo Basso o Medio di energie, sarà possibile sprigionare da Neracciaio una bordata costituita da fiamme, nonchè manifestazione dell'anima racchiusa nell'arma in grado di arrecare un danno pari al consumo speso sottoforma di bruciature e ustioni.
{Attiva Lvl.1/Lvl.2 Artigiano}



 
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Alb†raum
view post Posted on 19/1/2014, 21:20






Maria



La luce della stanza sfarfallò all'improvviso. Le ombre sul soffitto e sulle libreria, prima immobili, divennero una calca di sagome nere che si avventavano l'una sull'altra come bestie affamate. Maria si voltò verso le fiaccole alle sue spalle aggrottando la fronte, perplessa. Le fiamme crepitanti si contorcevano e lottavano per sopravvivere a una brezza che la Strega non percepiva minimamente. Il fuoco all'improvviso si allungò, tentando di fuggire dal supporto che lo imprigionava come se fosse dotato di vita propria, le lingue tese in avanti per afferrare qualcosa. Maria strinse le labbra con un senso di inquietudine nel petto.

«Jeanne? Hua? Statemi vicine. Anche tu A...»

Un basso mugolare coprì le sue parole riecheggiando fra le pareti della stanza. Era come uno di quei canti lamentosi intonati dai monaci durante le sepolture. Un brivido corse lungo la schiena della Strega. Il suono dalle orecchie le raggiungeva il cuore, le viscere, le gambe. Un freddo intenso le penetrò nella carne come una lama affilata e i suoi denti cominciarono a battere, incontrollati. Attorno a lei l'ambiente si fece scuro come se un drappo nero le fosse stato calato sugli occhi. Indietreggiò istintivamente, urtando con un piede un leggio addossato alla parete. Il legno pesante cadde a terra con un tonfo sordo. La Strega ebbe un sussulto. Vicino a lei anche Jeanne, Hua, Aris e sua figlia parevano sconvolte da quella cacofonia. Doveva fare qualcosa, non poteva permettere che succedesse loro qualcosa di male, ma pensare era faticoso, troppo faticoso. Sollevò il braccio sinistro con lentezza per il torpore. Una fessura nera si spalancò dove il suo indice aveva tracciato un taglio e da questa fuoriuscì un'aura di colore violaceo che investì le cinque ragazze. Il freddo si attenuò un poco, l'oscurità si fece meno densa. Poco a poco i contorni degli scaffali della biblioteca si fecero più distinti, e con loro le persone al suo interno. Attorno a loro vi erano tre figure vestite di nero, identiche a quelle che dalla piazza le avevano trasportate in cella. Probabilmente erano al servizio di Edwin, ma allora perché le stavano attaccando?
“Vuole farci capire che non scherza” pensò Maria, stringendo i denti. “Oppure vuole capire se valiamo veramente qualcosa”. Gettò un'occhiata di scorcio ad Aris, la madre di Leanne, la donna del sogno. E comprese.

«Solitamente agli ospiti si offre tè, non un'imboscata.»

Si sforzò di sorridere per quanto il gelo la facesse ancora tremare. Portò una mano all'ombrellino appeso al braccio mentre i bordi del varco creato prima si allargavano frammentandosi come pezzi di vetro finché la fessura non divenne grande quanto lei. Con un rumore di risucchio, l'aria venne aspirata al suo interno. Il vortice raggiunse uno dei tre Danzatori scaraventandolo verso di lei. La Strega girò il manico del parasole per sparargli un colpo, ma il proiettile attraversò il corpo dell'uomo come fosse stato una nube di fumo. Una lunga lama nera gli baluginò in mano. Prima che Maria potesse realizzarlo un lungo taglio rossastro si disegnò all'altezza della sua vita squarciando vestito, pelle e muscolo. Lo sforzo di un rantolo le salì alla bocca, ma lei si morse il labbro senza emettere un suono. Non provava un dolore così intenso da quando l'ombra le aveva piantato gli artigli nell'osso della spalla. Si portò una mano alla ferita stringendo il tessuto insanguinato fra le dita per tamponarla. Il sangue, bollente sulla pelle fredda, le filtrò attraverso le dita e gocciolò a terra.

«Mi... lady...»

Al suo fianco Jeanne venne inghiottita all'interno di un ammasso di fumo, sparendo mangiata dalle volute nere che la avvolsero completamente. Maria ebbe un tremito, il cuore stretto in petto. Jeanne, doveva... si sforzò di reprimere l'impulso e si volse di nuovo verso il Danzatore di fronte a lei.

«Non preoccuparti, adesso.»

Sollevò una mano tremando per il freddo e il dolore. Un minuscolo foro si aprì al centro del palmo, succhiando via ogni luce dagli occhi dell'assassino.

«Presto sarà tutto finito.»

Sollevò l'ombrello e lo calò sul collo dell'assalitore con tutta la forza delle sue braccia. Alle spalle di lui, Hua spalancò un altro varco da cui fuoriuscirono tanti piccoli pugnali di un nero fumoso e scagliò assieme a questi due dei suoi coltelli da lancio. Il Danzatore inarcò la schiena per il colpo inaspettato e barcollò all'indietro. Per un istante Maria sorrise soddisfatta, poi un'improvvisa onda d'urto la mandò a schiantarsi contro il pavimento. Attorno a lei libri, leggii e tavoli vennero gettati a contro i muri alla rinfusa. Maria si sollevò su un gomito con un gemito, la testa che le girava. La ferita al fianco le bruciava e spingere per rialzarsi le provocava dolore. Hua di fronte a lei era andata a sbattere contro una libreria e giaceva a terra lanciando alla rinfusa i tomi che l'avevano seppellita per liberarsi. La Strega afferrò stretto il parasole e lo puntellò sul pavimento per rialzarsi. Poco distante da lei il Danzatore che aveva imprigionato Jeanne si scagliò contro Aris a lama tratta. Maria strinse le labbra. Un cenno della mano e dal terreno spuntò un muro in rovina, i bordi spezzati da cui spuntavano tubi arrugginiti. La lama sprizzò scintille nello scontrarsi contro il cemento.

«Aris... attenta...»

La Strega fece fuoco sull'aggressore, ma questi si scansò all'indietro e il proiettile andò a conficcarsi in una parete. L'uomo si voltò verso di lei, gli occhi stretti in due fessure nere. Maria ansimava. Le gambe le tremavano, aveva a malapena le forze per tenersi in piedi. Sollevò istintivamente l'ombrello per proteggersi, ma non fu necessario: le pareti e il pavimento cominciarono a tremare, scosse da un canto ancora più grave del precendente, e la barriera che aveva eretto venne sgretolata. Una creatura nera dalle sembianze feline ruggì saltando addosso all'aggressore. Era nera come la pece, i suoi contorni crepitavano e si dissolvevano nell'aria come fumo. Le sue fauci si chiusero sul braccio dell'uomo, strappandoglielo con una torsione del capo. Sangue sprizzò dal moncherino da cui pendevano frammenti di pelle e muscolo. Prima che l'altro potesse urlare gli artigli della bestia lo avevano già premuto a terra. L'aria si riempì di strilli e dell'odore metallico della morte.
Maria si schiacciò contro una parete, gli occhi spalancati e il cuore che le strepitava in petto. Guardò mentre l'Ombra squarciava il ventre dell'uomo a unghiate e vi spingeva dentro il muso per strapparne fuori le budella, guardò mentre dilaniava la carne e le ossa delle gambe riducendole in poltiglia. In pochi istanti del Danzatore non rimase che il liquido rossastro che colava dalle labbra del mostro.

«L'ombra...»

Puntò gli occhi su Aris con un brivido, senza trovarla. La ragazza della visione, la ragazza con gli occhi fatti di fumo...

«Fermi.»

Ansimò una voce in un angolo della stanza. Edwin era steso a terra, le braccia alzate a proteggere il volto mentre Leanne, la bambina con le corna, ringhiava sopra di lui minacciandolo con i lunghi artigli delle proprie mani.

«Che nessuno attacchi quella creatura. Rinfoderate le armi.»

I Danzatori rimasti in vita riposero nei foderi i propri pugnali. La bambina fissò l'uomo a terra a denti stretti, gli occhi tremanti. La bestia al centro della stanza serrò le fauci e indietreggiò lentamente.

«E tu, fanciulla, dì a tua madre di calmarsi prima che qualcuno si faccia seriamente male: voi ne vedete tre, ma vi assicuro che in questa stanza ci sono ben più Danzatori di quanti ne abbiate visti.»

Le volute di fumo che componevano l'Ombra si dispersero nell'aria scomparendo. Al suo posto apparve Aris, il viso pallido come uno spettro. Due danzatori subito la affiancarono puntandole le proprie spade alla gola. Lei non reagì. Rimase immobile e tremante a fissare la mano che Edwin aveva posato sulla spalla di Leanne.

«Spero che tutti voi accetterete di buon grado il mio invito a rimanere come miei ospiti, ho già fatto preparare delle camere.»



Jeanne




La nube lentamente svanì e la volpe si ritrovò a terra accanto, sdraiata su un cumulo disordinato di libri sfasciati. Dentro quella prigione aveva fatto fatica a respirare, e quando l'aria le raggiunse nuovamente i polmoni si mise a tossire. La testa le faceva male e il taglio alla caviglia le bruciava. Ringraziò solamente che nessuno avesse tentato di piantarle un pugnale nella gola mentre era paralizzata.

«Stai bene, Jeanne?»

Hua le porse una mano per rialzarsi e la volpe si aggrappò a lei.

«Nulla di grave.»

Rispose, roca. Non poté fare a meno di aggrottare le sopracciglia quando vide la biblioteca completamente in subbuglio con gli scaffali rovesciati e i leggii ridotti a schegge. Un lago di sangue bagnava il pavimento in mezzo alla stanza. Strinse le labbra, orripilata. Dentro la nube ciò che era accaduto le era parso sfocato e confuso, eppure ringraziò di non essere rimasta ad assistere a quella strage.

«Cosa è...»

«Ti spiegherò dopo.»

Maria, dietro di lei, le posò una mano sulla spalla. La volpe si voltò. La Strega sorrideva, ma i suoi occhi erano socchiusi per la stanchezza e il suo viso era pallido. Un taglio sanguinante le segnava il fianco imbrattandole di rosso il vestito. Ai suoi lati, due dei guerrieri vestiti di nero le stavano aspettando con le braccia incrociate.

«Adesso dobbiamo andare.»

Furono condotte all'interno di un corridoio. Aris e Leanne camminavano assieme a loro, il volto della ragazza ridotto a un cencio senza vita. Quegli occhi che Edwin aveva ammirato parevano ora solo due baratri di mestizia.

«Tu stai bene, Jeanne?»

Domandò Maria, spezzando il silenzio. La volpe annuì. A parte la vista sfocata e il torpore nelle braccia e le gambe non aveva alcuna altra ferita.

«È di sé stessa che dovrebbe preoccuparsi. Quel taglio potrebbe infettarsi.»

Maria scosse la testa chiudendo gli occhi, ma in realtà zoppicava a ogni passo.

«Aris, Leanne? Voi state bene?»

Si voltò verso le altre due ragazze, apprensiva.

«Credevo che quella creatura ci avrebbe uccisi. Cos'era? Un mostro di Edwin?»

Aris sollevò per un istante lo sguardo sulla Strega. Impossibile comprendere cosa stesse pensando dietro quei suoi due occhi stanchi. Socchiuse le palpebre, forse in segno di rassegnazione.

«Qualunque cosa accada, prendetevi cura di Leanne. E' solo una bambina.»

Uno dei danzatori si separò con lei in un cunicolo, sparendo fra le file di torce. Maria sospirò.
Vennero condotti attraverso altre file di corridoi e cunicoli uguali. Roccia, muffe e torce crepitanti per l'umidità parvero ripetersi all'infinito di fronte agli occhi della volpe. La Strega si era portata una mano alla ferita e stringeva il tessuto con forza. A camminare il taglio doveva bruciarle.

«Dove ci stanno portando, signora?»

«Edwin non lo ha detto.»

Rispose in un sussurro.

«Se non abbiamo fallito a impressionarlo immagino ci manderà dove potremmo essere utili.»

Jeanne la guardò in viso corrugando la fronte, preoccupata.

«E questo è un bene o un male?»

La Strega non rispose.




Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti

Priscillaspecchietto

4 - Astuzia





Risorse

Energia
70% - 20% - 10% -10% -10% - 5% = 15%
Status psicologico

Alto+basso alla mente da torpore, gelo e appannamento della vista (Jeanne, Hua e Maria)

Status fisico
Jeanne: ferita bassa a una caviglia

Hua: ferita bassa sui palmi delle mani

Maria: ferita media al fianco


rchBJ

Equipaggiamento

Parasole (Fucile, arma contundente e da affondo; mano destra) [1/5]
Eros e Thanatos (Katane; impugnate da Jeanne)
Comete (x20) (Kunai; possedute da Hua)


rchBJ
Passive

An eternal being can hear voices the mortals will never know ~ Pass through the centuries
Immortalità, Auspex passivo, Immunità psionica passiva

Summon of an unspeakable secret ~ Possession
Evocazioni istantanee, Condivisione dei sensi con le evocazioni, +1 CS alla forza delle evocazioni

Communion between demons and mankind ~ Spiritual bond
I compagni animali possono partecipare ai combattimenti e usare tecniche attingendo dalla riserva energetica del padrone

Attive

The enlightenment of the Great Buddha ~ Recall of an ancient power
[Pergamena comune "Messa nera"][Consumo Alto][Difesa psionica singola o a 360°]


Un'illuminazione che colpisce nel profondo, la coscienza che il mondo è in realtà illusione. Una conoscenza potente, la cui estrema consapevolezza porta a poter varcare confini altrimenti inaccessibili. Con uno sforzo considerevole e un consumo Alto di energie, Maria può rendersi immune da una tecnica psionica di consumo Alto o inferiore semplicemente concentrandosi sulla sua non esistenza nel mondo reale. Alternativamente può risvegliare brevemente questa coscienza nelle persone attorno a lei, proteggendo anch'esse dall'attacco al prezzo della potenza della difesa, che sarà dimezzata per lo sforzo della Strega di dover accedere a menti esterne alla sua.

Tearing out from the fake happiness of life ~ Spirited away
[Abilità personale variabile (2/10)][Consumo variabile, vortice magico che attira in direzione del caster][Danno magico pari al consumo]


Narrano leggende che demoni e dei scesi in terra a volte rapiscano persone, spesso donne vergini o fanciulli. Di loro non viene più trovata traccia. A volte si pensa che le vittime vengano costrette a vivere presso i palazzi degli dei come servitori o concubine, altre si racconta di come siano state divorate completamente da creature orrende. Non è sicura la verità, certo è solamente che esiste qualcosa che può strappare via le persone dalla propria vita in qualsiasi momento.
Con un consumo Variabile, Maria può aprire di fronte a sé un varco che genererà una potente corrente attrattiva. Il nemico verrà letteralmente scagliato contro la strega a meno che non si difenda, subendo un danno pari al consumo per la forza con cui è stato spinto. Il portale si richiuderà prima che il nemico ci possa finire dentro, facendo atterrare la vittima ai piedi dell'incantatrice.


Blind to everything but the truth ~ Horrid disclosure
[Abilità personale Media (7/10)][Consumo medio; tecnica psionica][Cecità e soppressione degli auspex per un turno]


Gli uomini sono ciechi al mondo reale. Troppo orrore si nasconde dietro al Velo perché loro possano desiderare di vedere oltre. Nel mondo ogni cosa nasce, vive, si riproduce e muore ignara che tutto ciò che la circonda è solo un costrutto che la mente crea per rendere loro felice la vita. Con un consumo Medio di energie, Maria apre per un momento gli occhi a un qualsiasi bersaglio, costringendolo a gettare il proprio sguardo nell'Abisso, una voragine buia in cui di tanto in tanto affiorano silhouette colorate, i veri corpi di coloro che vivono nel mondo. La visione assorbirà non solo la vista, ma anche la percezione interiore del bersaglio, che cesserà di funzionare sia per Maria che per i suoi Shikigami.


An evening star that shines in the past ~ Darkness falls
[Pergamena ultima Dominio del male][Consumo variabile, manipolazione magica dell'elemento oscuro][Danno variabile magico]


Con un singolo gesto e un consumo Variabile di energie, Maria aprirà vicino a sé uno o più squarci neri nell'aria. Essi non appariranno come oggetti tangibili, bensì come vere e proprie fratture della realtà, rotture del Velo di Maya. Occhi bianchi dall'iride rossa spunteranno dall'oscurità muovendo frenetici la pupilla. Occhi appartenenti a esseri orrendi, creature inimmaginabili nascoste dietro il velo delle apparenze.
Le creature attaccheranno l'avversario con vampate di energia oscura dalle molteplici forme: tentacoli, arti, mani, raggi, zanne, ma anche oggetti sconosciuti che, ridotti a una silhoutte nera, si scaglieranno contro il nemico senza rivelare la propria vera forma.


Ruins of a world destroyed by mankind ~ Wailing wall
[Pergamena ultima Dominio delle ossa][Consumo Variabile; tecnica difensiva][Difesa pari al consumo]


In altri mondi l'uomo è stato capace di distruggere ogni cosa esistente, trasformando in macerie e calcinacci le proprie stesse costruzioni e i propri stessi oggetti. Mondi fatti di immondizia e ferraglie, di telai di ferro divelti e strade squagliate in masse nerastre e indistinguibili. Con un consumo Variabile, Maria sarà capace di evocare rovine da quel mondo in modo che la difendano dagli attacchi che le vengono rivolti contro. La difesa richiamata sarà dello stesso livello del consumo e apparirà tramite un portale aperto sul terreno, per poi scomparire attraverso di questo dopo pochi istanti. Assieme alle rovine possono giungere altri oggetti dei mondi devastati, brevi visioni di realtà che non esistono più, ma per Maria e qualsiasi altro abitante di Asgradel non avranno alcun significato.


rchBJ

Note



Rush estremo nel fine settimana. So che questo non è uno dei miei migliori post, ma sono sufficientemente soddisfatto con la qualità constatando che a causa degli esami erano due settimane che non scrivevo. Per il resto, tutto avviene come concordato in confronto.

Enjoy it :8):


 
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Lill'
view post Posted on 20/1/2014, 00:07








{continua da qui }


E in effetti un’oscurità si trovò davanti.
Un’oscurità di folla e rimbotti, caciara di poveracci accalcatisi per una speranza sporca, gente comune – pasciuta nel buio. L’ingresso esterno dava su un cortile gremito, oltre il quale svettava la costruzione vera e propria, quello scarabocchio d’inchiostro pieno di presunti mostriah, forse non ne avevano mai visti, quei tipi.
Non aveva mai capito la differenza, poi.

O forse no.

Gambate irruente verso l’edificio, il nano non pareva starsi a cincischiare. Neanche a dirlo, una mano gli si poggiò sulla spalla: l’istinto fu di girarsi e spaccare il muso all'omino che si trovò davanti. Agghindato come un saltimbanco da piazza, il tizio dai capelli color carota indicò la grossa mazza del nano: "Niente armi proprie! E' la regola!”; Rick lo squadrò per un po', truce, col dubbio di una presa in giro e i gangheri già fuori posto.
Poi lasciò mazza e scudo a terra, indicando i legacci dell’armatura all’altro – troppo impaccio toglierla. Seguì il buffone da un altro compare, richieste strane una dopo l’altra: voleva sentire il suo fiato d’osteria, questo, assicurarsi di non avere appetito per colazione. D’altra parte tutta la marmaglia intorno a lui pareva senz’armi.
Bah, quello che era.
Scrollatosi di dosso quegli impicci, Rick prese ad aggirarsi per il piazzale; se davvero credevano facesse una qualche differenza avere un martello o meno, proprio non avevano visto niente: di nemici ne aveva impalati pure con dei ceppi, quando faceva il mercenario. Agl’orchi per il midgard e ai contadini ribelli da scacciare aveva fracassato la testa con dei sassi – figuriamoci se c’era un problema.
Ciò che contava era il pane che ti davano, dopo o ora, quello che ti serviva.
Adesso era un angolo dove poggiare il culo, ad esempio.

Camminando tra la folla ascoltava in silenzio.
Tra tutti i disgraziati finiti in quella balordata tanto pomposa, Rick trovò gente di varie età; giovani e più anziani, fuoco in un occhio e timore nell’altro. Eppure la presenza di quell’affare ciclopico, che non ricordava così rimesso a nuovo, incombeva comunque su tutti loro: e lì di differenze ce ne vedeva poche. Giusto un gruppetto pareva più animato, quattro tizi in una fila al lato di quella piazzata, per il resto solita storia – solito schifo. Rughe di fatiche e sudore freddo, toghe sbiadite e cuoio rorido dall’umidità di quella fottuta grotta: sempre di poveri diavoli si trattava. Solo, con quella fanfaronata dei mostri e le altre storie che gli schiacciavano le spalle – più dell’ombra della torre nera di fronte a lui, che in effetti un’ombra non aveva, dato il buio perenne della città – parevano pure messi peggio.
Parlavano piano; avevano paura.
Ah. Ci si fosse dormito bene almeno, in quel buco umido.
Si avvicinò al gruppo che faceva casino, giusto per vedere. "Come sarebbe a dire, niente armi?" Sbraitava uno di loro – la solita cloaca di pescivendoli e risse. Ciondolando torvo tra i quattro muri neri e le facce spente, le cose gli tornavano in mente: un lettone di paglia sempre fracassato, il ferro che tremava; il freddo del lago putrido che ti stritolava giorno dopo giorno le ossa, non importava quante coperte raccattavi in giro.
"Mi hanno detto che si sarebbe combattuto, ma come posso combattere senza un'arma?"
Continuava un altro del gruppetto a cui Rick si era avvicinato, un piglio di scontro. In effetti non s’era neanche immischiato troppo lui, fermatosi a qualche passo di distanza; non era l’unico tra una folla di curiosi, e i tizi parevano davvero essere il solo punto di interesse in quel mortorio.
Oh, sempre che ne avesse uno.
"A me hanno detto che ci sarebbe stato un Danzatore" un altro impaurito fattosi sotto, il muso più pallido di formaggio di capra appena fatto. "Ci massacrerà tutti senza armi", diceva. Bah. Continuando il suo giro vero la torre, Rick non sembrava prendere la cosa troppo sul serio: un roito nero gli si agitava nella pancia, vero, una bile troppo simile a quella che ricordava in altre situazioni – sua madre che gli diceva di star nascosto tra i ruderi, versi cupi nella notte. Ma in definitiva non aveva ancora visto niente lì – non come intendeva lui, almeno.

Sputare sangue per vedere, ferite addosso per capire.
Nondimeno, rizzò le orecchie.

Percorrendo tutto il cortile si piazzò affianco al nuovo ingresso, le spalle indolenzite al muro. Quel fantasma d’ossidiana gli gravava effettivamente addosso da molti piedi sopra la testa – non ci voleva neanche tanto -, e pareva meno abbandonata di un tempo, la pila di ruderi.
Seduto, si grattò la barbaccia incolta, l’altra mano a serrarsi a vuoto. Era abitata, adesso? E da chi?
Scosse il capo, lentamente. No; non gli avrebbe dato alcuna certezza uno stupido martello, in quel caso.

Forse per le fesserie che gli diceva la testa, quel farsela addosso per qualcosa che non ci poteva essere – e se c’era, tanto meglio: era rimasto in quella cloaca per quello, e mica era più lo stesso moccioso impaurito.
O forse un presentimento.
Ma, occhio stretto e sornione, piantò la sua attenzione ancora sul gruppo. Uno di loro era rimasto immobile: le armi ancora indosso e l’aria di chi cerca guai, quel tipo non aveva fatto un fiato da diverso tempo.
Rick aveva continuato ad osservarlo, più muto di una piana di cadaveri dopo una battaglia.
Che il vagabondo fosse curioso o avesse dei vezzi da contessina da soddisfare, ecco non era proprio possibile; pure, tra tutto quel tempo con le chiappe sui ciottoli e la roba che gli ronzava per la testa, c’era motivo di stare all’erta.

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Ne fu più sicuro allo spalancarsi delle porte.

Con un cigolio che sapeva di grane e altre messinscena, i grossi portoni lasciarono spazio alla nuova ombra di cui l’edificio era colmo. Rick squadrò la scena, spulciandosi ancora il pizzetto; tra tutta la marmaglia che, bene o male, aveva dopo un po’ deciso di muoversi, solo uno restava ancora imbambolato come uno spaventapasseri:
quel bellimbusto armato.
Qualcosa lì puzzava, e non era solo il suo fiato.
Cedendo al primo istinto di rimettersi in piedi, il culo abbastanza riposato, il vagabondo aggrottò la fronte: che si trattasse davvero di uno di quei danzatizi mischiato tra la folla? La posizione era simile. Immobile come i tipi all’entrata, quello gli aveva cominciato quasi a dar sui nervi: la folla era defluita già tutta oltre il portone in un silenzio da funerale, ora, e lui non pareva accennare a schiodarsi.
Già, in silenzio: come le maledette guardie all’ingresso. E avevano chiuso pure le porte, adesso.

"Entusiasta dell'invito?" Gli disse con una smorfia il tipo, finalmente smosso dal suo imbambolamento. "…O forse non è di tuo gradimento QUELLA entrata?" e alle sue parole un’altra diavoleria prese luogo.
Già, perché sfibrandosi sotto lo stesso sguardo di Rick, un buco si aprì nella superficie scura della torre: un buco su altre rogne, contornato da architravi neri similmente all’ingresso al suo fianco. Una porta.

CAZZ-
...Mh.

Dopo l’iniziale stordimento, il nano ne venne a capo. Anche lui era in grado di strappare trucchi da prestigiatore, e in un certo senso lo capiva – o forse era più una cosa inconscia, un altro dei miracoli che la sua brama sanguigna di vita era in grado di caracollare sul mondo.
Fece qualche passo.
Pochi sanno quale sia l'origine del potere dei Danzatori". Il nano inspirò, lento. "Meglio così, rende tutto più semplice per noi”. Si avvicinò al nuovo ingresso e al tipo, che incredibilmente aveva anch’esso cambiato forma: un ragazzetto dall’aria guascona, che stringeva le spalle quasi indifferente; senza mai passargli davanti, il vagabondo si fermò con lui sulla soglia: l’interno della Torre del Fato, ex torre di qualcos’altro, lo spiava torbido.
Che vuoi?
L’unica domanda che, proprio a dover sciupare fiato, poteva aver senso. “Solo averti come compagno. Quegli altri imbecilli non hanno alcuna possibilità di uscire interi da questa torre ma forse tu...
Compagni – hah; il nano soppesò la cosa in silenzio, per poi acconsentire grave col capo: esitò un altro istante, come a prestare orecchio a voci e ragli che adesso però non c’erano. Il corridoio davanti ai due giaceva fosco e immobile.

No, non era più lo stesso moccioso – mostri o meno, non importava.
Come sua madre, se c’era ancora, e se stava ancora attufata in un buco fradicio vicino al lago. Non importava.
Entrò.


dnhIoDn


Le volte d’ossidiana s’intrecciavano all’insù, sinuose ma potenti: l’intero, enorme spazio attendeva in una nota cupa, che penetrava i volumi austeri dell’edificio.
Poco rompeva il duro silenzio della pietra. I passi dei due intrusi, quello grave e indolente di Rick e quello più cadenzato del ragazzo; i palpiti del suo respiro, grossi sbuffi d’aria pompati su e giù dai polmoni di bue, però piano.
Rick avanzava, cauto.
Nella lunga camminata per il corridoio che li aveva condotti al centro della struttura non una voce li aveva disturbati, non un battito. Neppure qualche cornacchia a fargli prendere degli spaventi, ferite e spade che si era aspettato. Ora, scivolando per il vasto centro vuoto della torre, i due non se ne davano una ragione: la penombra soffocante che era il cielo di Neirusiens s'indovinava al culmine dell’edifico, e non c’era neanche uno straccio di tetto a coprirli.
Oh, meglio così: la prova che erano più fandonie che ciccia, quei diamine di danzatori, se alla fine non avevano neppure la grana per coprirsi la testa. Ma rimase cauto.
Seguendo il ragazzo per gli spazi semilluminati, la cosa pareva effettivamente strana: quell’affare era fatto di due grossi cerchi concentrici, su per l’inferno sapeva quanti piani, e nel mezzo il niente. Vuoto. “E' un trucco. So per certo che questa torre non può essere vuota” Gli comunicò il ragazzo perplesso; dal canto suo, Rick si faceva anche meno problemi: camminava per il grosso anello esterno ora, tra fiaccole e gallerie smorte, e nelle stanze aperte non aveva trovato alcunché. Non c’erano manco le porte. Mh. Un trucco... Non che non si aspettasse uno di quei tipi in nero – o molto peggio – sbucargli da sotto le chiappe.
Beh, fuori come l’hai trovato?

All'udire la voce roca di Rick, il tipo sbatacchiò le spalle in una smorfia vaga “Farai meglio a trovarti un’arma. Ho paura che presto capiremo il funzionamento di questo gioco”. Rick assentì in silenzio, adocchiando una grossa rampa di scaloni davanti a sé; era bella alta, e data la larghezza ridotta la salita non sembrava troppo invitante.
Di armi, poi, lì non se ne vedevano proprio: magari un qualche ceppo o una mazza gli avrebbe fatto comodo adesso, se lì dentro c’era quello che c’era… o no.
Andiamo, doveva piantarla.
Prese a salire le scale con un cenno stizzito della testa, quasi a voler dimostrare agli stessi gradini quant’era caparbio. Si voltò giusto un’ultima volta per controllare il ragazzo, preso a palpeggiare l’aria con le sue capacità strane – ma non a tirargli un coltello alle spalle, almeno.
Non fare rumore
Ah, quello che era.
Neanche stesse toccando le cosce di una grassa cortigiana alla fine, tutte quelle storie: l’avrebbe risolta con molto meno. Arrampicandosi mani e piedi, non troppo sicuro circa la propria leggiadria, il nano si portò pian piano verso piani più alti. Dalle altre stanze che riusciva a scorgere guadagnando altezza a poco a poco nulla riusciva a dargli un po’ di chiarezza. L’intera faccenda rimaneva vaga, così come la natura di quelle tanto decantate guardie, e di certo c’era sempre lo stesso: le sue tozze manacce a reggerlo in piedi.
Salì qualche altro gradino così accucciato, l’umore – al solito – guasto, quando gli arrivarono le sue prime risposte: delle figure presero ad addensarsi attorno a lui.
Fosse stato qualcun’altro, avrebbe pensato a mere ombre, pezzi di buio aggettati qua e là dai grandi volumi di pietra, le geometrie confuse. Ma non lo erano. Sfaldandosi allo stesso modo della porta all’esterno, la realtà crepitò un istante in maniera convulsa, fino a lasciare una scalinata ricolma di facce nere e, da sotto, un urlo.

E' un'illusione!

Ma ormai l’aveva intuito.
Contraendo di getto gambe e braccia, Rick non ci pensò neanche due volte: piantò meglio gli stivalacci sulla pietra, pressò ancor di più le dita tra la polvere. Poi scattò.
Ricoperto da un’aura di fumo nero, il vagabondo non si diede neanche noia di capire bene la situazione: ad occhio – o meglio a stomaco, quel sesto senso che ruminava più veloce e meglio di qualsiasi chincaglieria ragionata – s’era già fatto un’idea sui nemici, compreso lo svantaggio della sua posizione. Erano troppi.
E lui si spostò sulla sommità delle scale, rapido; invischiato nel suo fumo scuro individuò al volo due avversari seguirlo con qualc’altra diavoleria, roba non dissimile dal suo scatto da accattone. Oh, bene.
Serrò i pugni, portandoseli davanti al viso: non aveva aspettato altro da tutto il pomeriggio, voleva capirci qualcosa. E di solito la conoscenza, le velleità o qualsiasi ghiribizzo diverso da mangia e sta’ zitto lo pagavi con mazzate e digiuno, nel mondo di guerre da cui lui proveniva.

Mazzate e digiuno, già.
Poco male – era lì per quello.
E chi al mondo non lo era?

Facendo un passo avanti verso i gradini – voleva scorgere come buttava la situazione di sotto – non si curò dei due al suo fianco: la coppia di becchini gli fu addosso con lame e punte, ma la tozza figura del nano ne uscì comunque indenne, i fumi oscuri resistenti. Scrutò al volo nel basso della scalinata, lo spazio pieno di quelle cornacchie – neanche fosse un funerale di quartiere, tipo le bislaccherie dei Neiru o altro.
Poi si ritirò all’indietro, la bocca una linea acre.
Sepolture, usi civili – pff, l’insensato di rischiare la pelle e la paga per raccattare qualche grumo di carne flaccida, questo era per lui, mercenario nel midollo. Per quanto gli riguardava, lui lo potevano lasciare a marcire ai venti battenti del Midgard, quando gli sarebbe toccato – e così avrebbe fatto con quei tizi.
Piantati di nuovo gli occhi sui nemici, era già pronto a farsi strada con nocche e morsi, solo non fece in tempo: quelli avevano cambiato tattica. Raggrumandosi tra le mani guantate dei Danzatori, armi di pece gli furono addosso; non dissimili dal suo fumo maligno, bituminose, spada e frusta impattarono contro il corpo del vagabondo.

Arghh!

Si lasciò sfuggire a denti stretti, la lama che l’aveva sferzato all’altezza della panza.
Il secondo danzatore, deciso a scudisciargli un piede con la frusta, non riuscì però nel suo intento: uno scudo d’energia si frappose tra la gamba del nano e l’arma, solido. Digrignò di nuovo i denti, e con essi tutta la baracca dei suoi muscoli. Una gabbia di ossa sbilenche, questo lo teneva su, fradicia di gelo e fango: caricando il pugno, scariche di immagini vuote e vento freddo gli imbrattarono la vista, e andando più indietro solo buio e sussurri in un buco umido, quella grossa fossa comune in cui era di nuovo capitato.
Ma ne era cosciente, Rick.
Mica s’ingannava.
Scattò avanti, piantando il piede sinistro come una colonna sulla pietra. Quei tizi non avevano idea di cosa era stato il Midgard, due anni in un gelo sconfinato dopo una vita di rotture; le nocche che gli scricchiolavano ogni volta che stringeva un po’ troppo, usurate da lotte e vento, la sua testa marcita tra incubi di carne e non.
Si lasciò i due Danzatori alle spalle, il corpo torto nello sferrare il colpo.
Quindi, pressando con quanto aveva sul piede più avanti, scaricò tutto a terra: con un pugno Rick sfracellò la mano destra contro le scale, tutto il peso dietro.
Tutte le sue rotture, la sua baldanza.
Le rughe in fronte e dentro.

Anche la scalinata parve sentirlo.

Neanch’essa immune dagli acciacchi –e cosa lo era, al mondo?-, la grossa struttura di pietra rispose con un fremito, un tremore in principio atono. Quindi crollò in un boato, frammenti che sfrecciavano a destra a manca.
E Rick e i suoi nemici giù con essa.

NO!

Fiondandosi da blocco a blocco, però, il nano pareva non volerci stare: saliva su ogni frammento di gradino ancora semi-integro, si appigliava a qualsiasi calcinaccio che ci metteva un po’ di più a franare. In qualche modo, la panza che pulsava di un bruciore freddo e la mano uno straccio, si accasciò su un pianerottolo. Traendo grossi respiri – anche un po’ troppo, in effetti – non si fermavano motivi o storie nella sua testa: la vicinanza alla cima che l’aveva salvato, cosa poteva esserne stato del ragazzetto di sotto. In quel momento, accasciato a terra e bava nel pizzetto, Rick vedeva solo la certezza che aveva sempre avuto:
Che lui c’era, se la cavava – poco altro.

maz4

Ansimava, sfiancato.
Da sotto avvertiva qualcuno parlare, e tutti i movimenti parevano essere cessati; ma non voleva dire niente.

Strisciando via con gli occhi lucidi, non era roba del genere a contare. Si piantò un mano sulla pancia dolorante, mettendosi in ginocchio: se niente scoppiettava in quel paiolo da campo rancido che era il mondo, c’era solo da stare più in guardia in genere. E così fece. Menando il braccio sano a destra e a manca, il vagabondo non c’affilava mica più di tanto: ringhiava sommesso al pietrisco che si staccava ogni tanto dietro di lui, mulinava il pugno alle ombre.
Una grossa nuvola di fumo risalì dal piano inferiore, avvolgendolo.
Polvere, fumo; ombre e nemici attorno a te.
Un paiolo rancido, sì, e già era tanto se il tuo pastone ti toccava, tra i bulli della compagnia: i ragazzini che volevano fare i mercenari mica li trattavano con riguardo – non avevano niente di particolarmente interessante tra le gambe.

Sponde nere, ruderi vuoti,
staizitto i mostrisonosullaspiaggia dobbiamocambiareposto presto
poteva sempre andarti peggio.


dnhIoDn


Quando si risvegliò la sensazione allo stomaco era passata, più o meno.
Non doveva essere trascorso molto tempo, perché la bava appiccicata tra la barba puzzava ancora di fresco. Ogni tanto qualche pietra seguitava a staccarsi dalle scale monche, giù verso il suolo.
Strabuzzò gli occhi.
Non era nessuna delle figure troppo lontane –eppure così vicina- di cui aveva farneticato giusto prima; non era un grosso nano dai baffi scuri o una donna dalla pelle gentile.
Un danzatore si stagliava davanti a Rick.
Non che fosse un’impresa.

Facendo per rimettersi in piedi, il vagabondo pareva già all’erta: solo, quel tipo sembrava diverso. Il volto scoperto, nessuno sguardo bastardo o pulsazione nel suo stomaco – ancora. “La selezione termina qui” soffiò fuori il danzatore un po’ vecchiotto, Rick ancora poco convinto. “Voi siete i soli ad aver superato la prova.
Il mio nome è Rakshin…
” – ah, quello che era, non erano mica a una di quelle giostre dove i cavalieri dichiaravano nomi e colore di bandiere e brache prima di spolparsi a dovere.
La prova – poi ci pensò un attimo, incerto.

…lasciate che vi mostri la vostra casa.

Oh, forse era così. Forse non voleva fregarlo.
Rick lo fissò qualche attimo immobile, le spalle contro il muro più vicino che doveva aver trovato per sottrarsi al crollo. Solo un altro putiferio, dopotutto.
E, a parte la mano e i languori strani nella pancia, non era neanche messo tanto male.

Hmh.
Acconsentì cupo alla volta dell’uomo, per poi rimettersi su.
Magari aveva solo fame.







Rick Gultermann
Basso 5%, Medio 10%, Alto 20, Critico 40%


CS: 0 Resistenza
ENERGIE: 50% - 0% - 10% - 5% - 10% = 25%
Status Fisico: Danno Basso da taglio alla gamba sinistra, Danno Basso autoinflitto. Danno Basso da taglio al ventre, Danno Medio da frattura alla mano destra [5/32]
Status Mentale: Danno Basso autoinflitto [1/16]
EQUIPAGGIAMENTO: Armatura di cuoio (tutto il corpo eccetto testa e mani)


PASSIVE

~Abilità razziale. Il tozzo ancora in piedi.
[Controllo Energetico, Umano]

~Abilità personale. Sopporta!
[Possibilità di resistere a 2 Mortali nel Fisico]

~Abilità da dominio. Io speriamo che me la cavo.
[Possibilità di difesa istantanea – passiva dominio Guardiano liv. I]



ATTIVE

~Batosta V. Lo scatto di chi ha fame.
No, Rick non è un velocista: non lo è mai stato. Non corre, lui e la sua panza un po' rilassata, non si da' da fare per muoversi più di tanto. A meno che non c'è di mezzo la vita, o una scorza di cacio: allora è capace di prodigi.
Tramite un consumo Nullo, Rick è in grado di spostarsi sul campo di battaglia ad una velocità pressochè istantanea. Si tratta di un unico scatto che, se le condizioni dell'ambiente circostante o tecniche già attive non lo impediscono, agisce come un teletrasporto a corto raggio. In accordo al consumo Nullo, comunque, la tecnica non potrà mai essere impiegata a fini difensivi, ma bensì puramente di spostamento.
[Personale; Consumo Nullo, teletrasporto a corto raggio][Natura Magica]

~Batosta II. Lui se ne fotte!
III. Infine, ricorrendo ai fumi oscuri, il vagabondo potrà schermarsi con un Consumo Medio; un'Immunità da Attacchi Fisici per la durata di 2 turni dall'attivazione. Le energie della Conservazione si riverseranno allora sul suo tozzo corpo, grette e ruvide, formando una patina nera dai contorni color sangue: i colpi più banali si infrangeranno contro questa cinica difesa, come la volontà di un pover'uomo davanti alle porte di un signore.
Il tutto senza che lui si accorga di niente il più delle volte - concentrato com'è sul presente.
III. [Pergamena Scudo D'aria, Druido, Iniziale + Perg. Vuota; Immunità attacchi fisici, 2 turni][Natura Magica]

~Batosta IV. Braccia toste.
Il nano è un duro. I suoi avambracci hanno linee d’acciaio che corrono dritte, le sue spalle curve dure e inamovibili. Queste braccia possono prendere senza problemi graffi e botte.
Tanto dure che, se portate avanti, le braccia del nanaccio arriveranno a concretizzare l’impossibile: un addensamento di energia nera, fumosa, si concretizzerà davanti a Rick, un grumo scuro percorso da macchie color sangue. Tale sorta di scudo potrà assorbire colpi di potenza bassa e le sue forme e dimensioni varieranno, arrivando al più alla – scarsa – altezza del nano. Il tutto con un consumo Basso.
[Dominio, Attiva liv. I; Consumo Basso, Difesa Bassa][Natura Magica]

~Batosta VII. La fame che ti tormenta.
II. O c'è un'altra via, per riversare la propria rabbia: sempre una via di sangue e pugni, comunque. Tramite un consumo Medio e un autodanno Medio al corpo, Rick caricherà un colpo fisico dalla particolare pericolosità. Esso causerà se colpisce un Danno Critico, ma potrà essere contrastato come una tecnica di Potenza Media. Ciò è dovuto alla particolare enfasi posta nel colpo, che risulterà più impreciso del solito.
II. [Personale, Consumo Medio e Auto-danno Fisico Medio, Potenza Alta e Danno Critico, difendibile con Potenze Medie][Natura Fisica]




CITAZIONE
Una distrazione nel calcolo delle energie in confronto: 40% - 5% - 10% = 25%, non 35% :nahnah:
EDIT: diversi errori di battitura.


Edited by Lill' - 20/1/2014, 13:43
 
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view post Posted on 20/1/2014, 02:04
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Esempio
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Trasse un respiro profondo, ma l’aria sembrava sfuggirgli dalle labbra lontano quanto più profondamente tentava di inspirare. Era stato naufrago ancor prima di salpare: gli eventi lo sorprendevano immensi come gonfie onde di un mare furioso, percuotendogli con violenza il volto e insinuandosi amare giù nella gola ogni volta che tentava di prendere aria. Ma da solitario capitano, nostromo, e marinaio di un veliero vuoto non si era mai sentito così lontano dalla terraferma, mentre l’ultimo appiglio a cui si era disperatamente aggrappato veniva trascinato via nelle profondità di Neirusiens. Se qualcuno voleva ucciderlo, Ka Shanzi non sarebbe sopravvissuto. Ma i Danzatori non intendevano concedergli una tale grazia, non se non l’avevano già fatto quando ne avevano avuto la possibilità. Il vecchio elfo avrebbe sentito gli ultimi istanti della sua vita lunghi come mille ancora da vivere.

Lomerin scosse il capo, confuso e sconvolto. Non sapeva se sarebbe mai giunto a destinazione, e il dubbio gli lacerava l’animo. Si strappò un lembo della camicia e lo issò sull’albero, candido vessillo di un uomo solo contro un turbinare caotico di eventi: il vento era debole, ma favorevole. La vela si gonfiò come l’ala di un gabbiano e la barca scura scivolò tra le onde lenta, leggiadra, lugubre. La superficie nera del Ràn si estendeva nera tutt’intorno, scura come una voragine che non aspettava altro che schiudersi ed inghiottirlo nelle sue viscere. Solo le fioche torce dei pescherecci osavano spezzarne le tenebre, illuminando acque calme e cristalline. Alcune volte, tuttavia, alcune creature misteriose sorgevano dalle profondità del lago, illuminando la chiglia simili a piccole lucciole di mare, radiose e immense. Inoltrandosi nel sublime panorama della Kavresh Ni Va e lasciandosi l’errore della civiltà alle proprie spalle, la mente veniva sospinta su dalle acque torbide attraverso una corrente segreta e affascinante, attraversando pensieri immensi e arcani, sempre più in salita verso l’ignoto man mano che la barca scivolava verso la sponda opposta del Ràn come avvicinandosi all’orizzonte estremo del mondo.
Ma presto le acque del nero lago s’infransero contro le nude viscere della montagna. Dinanzi a Lomerin si estese una lunga parete di roccia, alta e invalicabile, serpeggiando in un’unica direzione verso l’orizzonte. Alla sua sinistra, tuttavia, alcune rocce erano franate giù dalla montagna e si levavano al disopra delle acque come insegne di allerta. Nella solitudine del silenzio i suoi pensieri risuonarono nelle tenebre, e mille voci si levarono ad orchestra indicandogli quel sentiero. Tra di esse si levava il rauco ciarlare di Ka Shanzi, echeggiandogli nei timpani e nella memoria. Lomerin si spinse tra le rocce lento e cauto, il cuore così pesante che sembrava scivolare giù attraverso il torace, il tempo che scivolava via come acqua fresca tra le mani. All’improvviso una fioca luce si accese nelle profondità delle acque, come in risposta al suo arrivo: come le splendide e meravigliose torce degli elfi, decine di nuove fiaccole subacquee presero vita nelle tenebre del lago, rischiarandone pian piano le profondità. Si trattava di pesci straordinariamente capaci di risplendere simili a stelle, rischiarando il buio della notte come le stelle che spiegavano la loro volta al viaggiatore disperso. Le piccole luci dispersero pian piano l’oscurità intorno a loro, rivelando nelle loro vicinanze una triade di affilate, sottili, alte stalagmiti sommerse. Dietro di esse le luci illuminarono l’entrata di una grotta. Lomerin emise un sospiro di gioia.
La barca varcò la soglia della grotta. Le luci si disposero intorno allo scafo, come a voler disegnare sotto di esso una traccia fosforescente del suo passaggio attraverso le acque. La fenditura s’apriva attraverso la montagna lungo un percorso sottile e incerto: all’improvviso, tuttavia, l’antro si espanse in uno spazio circolare, preciso e definito, quasi artificiale. Nell’aria dominava un silenzio lugubre, solenne. Quasi fosse loro proibito, i pesci luminosi erano rimasti fuori da quel piccolo tempo immerso nella quiete e nell’oscurità. Una sola barca guidata da un uomo solitario osava increspare la superficie nera di quelle acque.
Il Volkov mosse con forza il timone, lasciandolo girare nel vuoto. La corrente in quel punto stava lentamente scemando in un’estenuante e asfissiante stasi, e la barca si muoveva seguendo il ritmo leggero e impercettibile delle onde rimaste. L’uomo scrutò crucciato i pesci, le pareti, il fondale oscuro. Era giunto dove nessuno era mai arrivato, sulle ali del destino che lo aveva voluto in quel luogo. Centinaia di voci gli ponevano migliaia di domande a cui non riusciva a rispondere. Doveva essere nel posto giusto, ma non aveva idea del da farsi. All’improvviso una voce risuonò nell’aria per davvero.

Mi chiamo Lomerin, o Saighdeas, nella seconda lingua di Neirusiens” il suo era un tono freddo e secco, volitivo, severo. L’eco gli restituiva le sue parole così come le aveva pronunciate cupe e gravi, lasciandogli udire una conversazione che sfociava nell’assurdo. Ma se qualcuno lo stava ascoltando, doveva spingerlo a manifestarsi. “Vengo dal Sud, e sono qui per un viaggio spirituale; partecipo soltanto per me stesso.
La sua menzogna vagò per l’antro a lungo, risuonando con sé stessa e dibattendosi furiosamente per trovare un orecchio che la udisse e la credesse. Non doveva scoprire le sue carte, non da solo contro i possibili mille occhi che lo stavano guardando. Chiunque lo stesse ascoltando doveva avere un motivo per credergli, uno per ascoltarlo e uno per lasciarlo in vita.

"Ma Ka Shanzi l'elfo mi ha salvato dalla giustizia dei Danzatori d'Ambra, e questo mi impedisce di lasciare la città. Giungo qui da solo, su sue indicazioni, per salvare la sua vita” sibilò tutto d’un fiato, dopo aver scelto con cura le parole giuste. “Egli è in pericolo, e io intendo riscattare il mio debito e andare via per la mia strada."
Nessuno gli rispose. L’eco del suo parlare echeggiò lontano, finché il silenzio non ritornò padrone dell’antro. Anche il rumore delle acque piano piano disparve, fino a quando la superficie dell’acqua non divenne così sottile da sembrare pietrificata. La corrente cessò e la porzione di lago visibile si trasformò in una lastra scura, oltre la quale il riflesso era così preciso che lo faceva sentire sospeso su uno specchio sottile e fragile oltre il quale dominava il vuoto. L’uomo non attese ancora: si allontanò di corsa dal timone, tagliò una cima e la legò intorno all’albero. Dunque legò l’altro capo intorno al suo bacino. Corse attraverso il ponte, sporgendosi dalla chiglia. Deglutì, trasse due respiri profondi, guardando nel Buio. Si tuffò verso il fondale.

Raggiunse la superficie nel più breve degli istanti, ma emerse dall’acqua ansimando per la tensione. Il suo sguardo si mosse errando febbricitante, levandosi immediatamente al cielo. Il fondale dello specchio d’acqua in cui si era tuffato era ancora sopra di lui, ma non riusciva a raggiungerlo: e all’improvviso realizzò che quello che aveva sempre creduto il fondale era in realtà la volta di un secondo antro, sistemato specularmente al primo. Le stalagmiti che emergevano dal fondale, alcuni anche sfiorando per pochi metri la chiglia erano ora disposti a rosa sopra la sua testa. Per un lungo istante credette di stare vivendo una visione.
L’uomo si mosse nuotando attraverso le acque nere. La corda era completamente immersa nell’acqua, collegata alla barca che Ka Shanzi gli aveva dato: l’imbarcazione si trovava capovolta, con la vela che si gonfiava e sgonfiava al passaggio delle correnti marine. Il Volkov sollevò incredulo lo sguardo, cercando di non credere alle immagini che gli occhi gli presentavano dinanzi. La chiglia della barca emergeva di poco dall’acqua. Una figura torreggiava dinanzi a lui sedendo su di essa, immersa in un mistico sonno.
Lomerin lo osservò a lungo, come tratto a forza in una religiosa contemplazione. Era un elfo, un Predatore, il più splendido che avesse mai visto. Aveva una pelle pallida, candida e liscia come porcellana, sulla quale scendeva leggera una lunga chioma di capelli del colore della neve, simili a bianchi tralci d’albero che scendevano lungo un albero di marmo e s’immergevano nelle acque scure, spargendosi lungo la loro superficie. Solo una sottile veste di cuoio proteggeva la delicatezza leggiadra di quell’essere, ornata da filigrana dorata come grano e pietre preziose che proiettavano luci variopinte sulle acque. L’uomo spalancò le labbra, colto da puro stupore dinanzi ad una così sublime bellezza, che gli riportava alla memoria le cime candide delle montagne del Nord, le cascate ghiacciate cadere dalle vette più elevate, la neve cadere candida e lenta così tanto che il tempo non aveva bisogno di esistere. E all’improvviso fu come se una mano sottile ed invisibile giungesse a rubargli la facoltà di parlare e muto, per un fugace istante, poté cogliere un canto leggiadro e armonioso levarsi intorno alle due figure, risuonando senza eco da ogni parte come se non avesse origine. Era un canto di tristezza e malinconia che si scrisse nella sua pelle, scavando nel suo petto e disegnando nella sua mente attimi di nostalgia e rimpianti che non aveva mai vissuto.

Sá sem kemur
sá sem kemur
sá sem dönsum og aldrei hefur aftur
sígrátandi
ástvinur hjarta
sætur löngun hins látna ást
að einn daginn
því miður
hann reyndi að taka fyrir sig
og mistókst, ömurlega ardor
tapa öllum
einnig hjarta hans


Poi, all’improvviso, tutto tacque.
Lomerin sentì in quel momento tutto il peso del suo corpo trascinarlo verso il fondo. Un sottile terrore iniziò a trafiggergli il petto da parte a parte: non capiva cosa stesse succedendo. “Dove mi trovo?” si chiese. Il rumore della sua mente echeggiò nell’antro, come se non vi fosse alcuna barriera a contenerne i pensieri.
La figura dischiuse le palpebre lentamente. Lomerin si sentì nudo, debole ed inerme. I suoi pensieri abbandonavano la sua testa come se non gli appartenessero. Lo guardò a lungo, fissando le iridi vitree sul suo volto abbastanza a lungo perché riuscisse a distinguerle dal resto dell’occhio.

Tá mé ag fanacht
Lomerin
Mé le feiceáil ag teacht air ó bhruacha loch

cantò l’elfo, e le parole risuonarono ancora una volta in una melodia segreta che non poteva comprendere. E invece le parole entrarono nella sua testa, disponendosi come tasselli di un puzzle capace di creare due immagini diverse che raccontavano lo stesso significato. Le parole acquisirono un senso che poteva finalmente afferrare: gli stava chiedendo perché si trovava lì. Lomerin, ormai privato delle barriere che aveva eretto sino a pochi istanti prima, cercò a lungo la verità nelle profondità del suo spirito, raccogliendo i pensieri come pesanti massi e issandoseli sulle spalle per portarli sino alle labbra. Lo sforzo fu grande.

Sono venuto in questa città credendo che avrei potuto scoprire come salvare il mio popolo dalla disgrazia: a lungo ho avuto il terrore che esso condividesse il suo destino di rovina con i Predatori, che consideravo il male di Neirusiens” confessò pieno di timore, come strappandosi il cuore dal petto e consegnandoglielo, pulsante, insieme ad un pugnale. “Adesso mi ritrovo a combattere per loro una battaglia contro coloro che dovrebbero essere dalla parte del giusto. Non so cosa mi spinge a farlo, e non so cosa gli dei vogliano dirmi. Ma la mia decisione è irrevocabile: se gli elfi combatteranno, io sarò dalla loro parte”. Più le parole abbandonavano il suo corpo, più acquisiva coraggio nel proferirle. Il destino lo aveva condotto in quel luogo. “E per fare ciò, devo salvare Ka Shanzi prima che sia troppo tardi.

Dunque combatti una guerra che non ti riguarda per ragioni a te sconosciute, Lomerin Volkoff” gli rispose l’altro, socchiudendo gli occhi come per ascoltare meglio i suoi pensieri. “Difficile credere nella menzogna quando la verità si presenta ai nostri occhi tanto semplice quanto disarmante.” Lentamente qualcosa si mosse nel suo volto. Finalmente si schiuse, leggero e impercettibile, un sorriso. Sollevandosi, gli angoli delle sue labbra sembrarono tirare via gli ultimi strati di pelle che gli erano rimasti addosso. Era come se l’elfo potesse contemplare la sua mente ancora prima che i pensieri potessero venir tradotti in parole. Quella figura assurse in un istante a dimensioni sovrumane, titaniche.

Il mio nome è Ashlon, e se potrò, ti aiuterò a salvare Ka Shanzi per quanto è nelle mie possibilità ma non solo” gli promise. La sua mano si allontano lentamente dal suo corpo, e per un’istante il Volkov temette che potesse rompersi. Nel palmo impugnava con delicatezza un anello sulla cui circonferenza emergeva un sottile ago macchiato d’inchiostro. “Se tu lo vorrai, disegnerò su di te il Fato che ancora non riesci a vedere.
L’uomo rimase un’istante silenzioso, tacito, impegnando ogni energia che gli era rimasta in corpo per riordinare i pensieri e dimenticando quasi di galleggiare. Il suo volto si contrasse in un’espressione di incertezza, che subito si dissolse in una smorfia di vergogna. Ashlon poteva contemplarlo a profondità a cui non aveva mai avuto il coraggio di giungere, fino a luoghi del suo spirito che non avrebbe mai potuto visitare. Non aveva mai pensato di vivere un’esperienza di quel tipo. Fidarsi o non fidarsi non aveva più senso. Che Ashlon avesse voluto il suo male o il suo bene, Lomerin avrebbe dovuto soltanto scegliere cosa voleva, senza pensare a motivi o conseguenze. A lungo si domandò se conoscere il peso che il fato gli aveva riservato potesse essere un peso maggiore del peso in sé.

E’ ciò che desidero di più” disse infine. L’ombra dell’esitazione e la smorfia della vergogna abbandonarono il suo viso e la sua mente.
Ashlon non smise di scrutarlo a fondo. Dunque gli fece cenno di avvicinarsi, tendendo la mano verso di lui. Lomerin come stregato attraversò la distanza che li separava, e la strinse. La mancina dell’elfo dunque scorse sino alle sue spalle. Il cuore del Volkov smise di battere. L’ago s’immise nella sua nuca come la zanna di un serpente. Un immenso fiume di magma scaturì dalla ferita e prese a scorrere incandescente attraverso le vene. Il calore raggiunse il cuore, bruciandolo fino a quando sentì di non possederne più uno. Dall’interno del suo corpo sentì una forza immensa premere per abbandonarlo, e sentì miliardi di fiamme attraversare i suoi pori per sfogarsi fuori dalla pelle, alla ricerca di aria per bruciare. Mani artigliate tentarono di strappare il suo volto dalla testa, spingendolo via dall’interno. Spade, lance, coltelli gli scorticarono con violenza la cornea dall’interno del cranio. All’improvviso tutte le fiamme si spensero all’unisono.

—◊◊—

La barca di Ka Shanzi scivolava lungo le acque dal Ràn come un albatros che scorrazzava nei cieli. Al timone Ashlon dominava l’orizzonte, sovrastando con la sua figura il panorama lontano, sempre più vicino del porto di Neirusiens. Lomerin sollevò le braccia, ancora incredulo di essere tutto intero. In quel momento vide che sulle sue braccia erano stati disegnati due complessi e simmetrici arabeschi che si intrecciavano nelle forme di un’aquila e una freccia, la cui punta indicava il suo palmo.
"Tieni duro, Ka Shanzi... Saighdeas sta venendo a salvarti."





player point
lomerin volkoff
( specchietto )



energia: 70% <- (80-5-5)%
status fisico: Illeso
status psicologico: Illeso

capacità straordinarie: 2 (Int) 1 (Maestria nell'uso delle armi :8D: )
passive rilevanti: Timore passivo (abilità di razza, Avatar)

tecniche utilizzate: //

note: cfr. topic in confronto XD
 
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view post Posted on 25/1/2014, 21:59
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UGMLP7J

"Lo sente, Marlow?"
Edwin stava curvo sulla propria scrivania, una marea di carte a sommergere lo scuro mogano intagliato come una vera e propria valanga dalle proporzioni inquietanti. Fra le mani stringeva una penna d'oca per metà sbeccata, per metà macchiata di nero inchiostro che rudemente grattava la carta di una pergamena ora già fittamente ricoperta di scritture.
Marlow detestava il disordine, sia fisico che mentale.
La sporco, sia casuale che recidivo.
E la vaghezza di frasi come quella, sospese a metà fra la percezione e la sensazione.
Si concesse qualche attimo per riflettere.
Avrebbe voluto chiedere
Cosa, esattamente, signore?
Ma sospettava che simili domande non avrebbero fatto altro che incrementare la vena metafisica di cui Edwin sembrava nutrirsi da qualche tempo a quella parte.
Così Marlow decise di rimanere impassibile e semplicemente, con la cortesia marziale a cui egli stesso si era addestrato nel corso degli anni, dissentire.
"Temo di no, signore"
La piuma di Edwin non smise nemmeno per un attimo di rosicchiare la carta ingiallita, mentre questi terminava una frase andando a capo.
"Non tema, Marlow, non è di timorosi che desidero si compongano le mie fila" e prima che l'altro potesse ribattere "Che mi dice delle nostre ospiti?"
Il Capitano sbattè una volta le palpebre, notando solo allora una nota più grigia nei capelli di Edwin.
"E' presto per dirlo" si limitò a rispondere "Ma con ogni probabilità abbiamo fra le mani qualcosa di molto più prezioso e potente di quanto avevamo previsto"
"Molto bene"
L'uomo abbandonò la piuma al lato del foglio per poi cominciare a rovistare fra le carte alla ricerca di qualcosa. Lo sguardo di Marlow cadde immediatamente sulla ceralacca abbandonata a margine della scrivania, per metà nascosta da una pila di appunti sgualciti, ma si guardò bene dal dire alcunché. Non era pagato per questo.
"Che mi dice della donna?"
Continuò l'altro senza sollevare lo sguardo. Il Capitano avvertì qualcosa nella sua mascella irrigidirsi improvvisamente.
"Sembra che le sue previsioni fossero esatte, signore" sillabò allora gelido "Tenendo in ostaggio la bambina, si è rivelata del tutto inoffensiva e disposta a collaborare. Il medesimo stratagemma si è rivelato efficace anche all'inverso"
Per la prima volta, lo sguardo di Edwin incontrò quello dell'altro uomo fermo a poca distanza dalla scrivania.
"Inverso?"
chiese monocorde
"La bambina, signore"
Ed eccola, una vena di sorpresa comparire negli occhi slavati del vecchio
"La bambina sembra essere dotata di alcuni..." esitò "Poteri alquanto singolari"
"Poteri?"
la parola suonò alquanto strana sulle labbra dell'ex Crostascura, quasi una nota stonata nella solita modulazione della sua voce
Il Capitano annuì una volta, rigido
"Prima che ce ne accorgessimo aveva già attraversato per intero la Torre del Fato e raggiunto sua madre blindata in una cella di segregazione"
E come diavolo sarebbe riuscita a fare questo?
Questa la palese domanda che avvampo' negli occhi di Edwin prima che questi, in modo del tutto imprevisto, non scaraventasse in un sol colpo tutti i fogli presenti sulla scrivania per terra. Fu con un sorriso che, allora, raccolse la ceralacca dal bordo.
"Quanto tempo abbiamo, Marlow?"
Il Capitano sbattè una volta le palpebre, chiaramente preso in contropiede dalla domanda e dalla reazione del suo superiore.
"Un giorno, al massimo, due. Dopo di che verranno a reclamare i loro ostaggi e la loro città"
"Molto bene"
Mentre bruciava al calore di una candela, la cera fra le dita di Edwin profumò per un attimo l'aria dello stanzino.
"Mi porti subito da lei, voglio vedere di quali poteri stiamo parlando, Capitano"

-O-

Loro già attendevano. Loro sapevano chi stava giungendo dalle acque senza che alcuno dovesse dir loro alcunchè. Non serviva, fra i Predatori, poiché ogni cosa in loro, mente, anima, corpo, era collegata dal Fato, dall'unica essenza di un potere antico come la Storia stessa.
Pochi metri dalla riva, la nera imbarcazione a solcare lenta gli ultimi flutti, e già dalla riva si levò un canto basso e melodioso, poco meno che il riverbero di un vento invisibile fra le strade di Neirusiens, eppure vita e cuore di un mondo intero.
Benvenuto.
Dicevano.
Bentornato.
Cantavano.
Ashlon, Unica Voce, sorrise ai suoi figli e alle sue figlie, sussurrando per ognuno di loro il proprio dolore e la propria gioia al contempo di ritrovarli così, riuniti, stirpe Neiru in lutto, in terra straniera -oramai- raminghi nelle loro case e nelle loro grotte.
Perduti erano ormai i tempi dove la sua progenie regnava sul Nord. Dove il nome Neiru terrorizzava le menti e i pensieri di tutto il continente. Eppure non vi era solo morte in quegli sguardi, in quegli occhi ciechi.
Fu una mano femminile a stringere per prima il bordo della nera barca a vela, afferrando il parapetto e guidandolo al molo con presa ferma e sicura che si sciolse solo quando altre mani, altre dita, si unirono alla prima onde legare funi, assestare parabordi ed infine, avvicinare una piccola passerella.
E fu sempre quella mano a cercare quella di Ashlon quando questi, leggero, mise il primo piede sul suolo di Neirusiens, aspirando la sua vecchia fragranza come ricordo che ritorni, per qualche ragione, presente.

"Niu marh, Ashlon"

chinò il capo l'elfa, pallida come luna, sottile come stelo d'erba
"Uimh rian de Ka Shanzi.
Táimid tar éis iarracht i ngach slí chun é a fháil ach bhí sé dodhéanta."

Parve scusarsi mentre, leggera, si inchinava a terra insieme a tutti gli altri elfi li presenti.
Non era giovane, eppure vi era qualcosa di ancora avvenente nel suo volto altero, nobile. Ashlon posò una mano sulla nuca di lei dove, sanguigno, il Fiume del Fato scorreva lungo tutta la schiena in un Delta di fiamme.
"Ka Shanzi ar ais nuair is iomchuí leis.
Tá mé cinnte nach mbeidh a dhéanamh dúinn fanacht."

Replicò Ashlon dopo un istante per poi voltarsi in direzione di Lomerin.
"Vieni, Saighdeas, è giunto per me il momento di mantenere la mia promessa."
Non pochi si voltarono allora all'unisono a squadrare quel ragazzo affatto elfo, affatto Predatore, che il loro Padre chiamava però nell'antica Lingua di Neiru invitandolo a seguirlo come se si trattasse di un vecchio amico, di un caro conoscente. E non servirono che pochi attimi perchè tutti quanti si rendessero conto che anch'egli, come loro, portava i segni del Fato su di sé, dono indelebile concesso ai soli figli del Destino.
Ma Ashlon sorrise al nuovo venuto, e con quel gesto fu come se ordinasse all'unisono a tutti gli altri di fare altrettanto. No. Non ordinasse. Semplicemente sorridendo, fu come se in quell'esatto istante ogni altro Predatore prendesse a desiderare di replicare quella movenza, quella dimostrazione.
Non per imposizione.
Non per costrizione.

Semplicemente perché vi sono molti cuori fra i Predatori, molti animi nei Neiru. Eppure una sola volontà.
Una sola vita, intrecciata nelle loro vene come pensiero unanime, come sospiro sincrono.
Ashlon sorrise.
E dunque sorrisero anche tutti gli altri Predatori.
Tutti, nessuno escluso.

"Egli è Saighdeas" spiegò però Ashlon con quel suo tono dolce, modulato, soave "La Voce e la Speranza di Ka Shanzi. Sia in sua vece la guida che ci serve per riprenderci ciò che ci spetta"

-O-

Vi era un grande silenzio all'interno del Palazzo della Cerchia. Vuote, le sedie solitamente occupate dai Consiglieri, ora giacevano spoglie nella penombra desolata, sguardi invisibili fissi sull'enorme statua di un millepiedi attorcigliato su se stesso, simbolo del potente Neiru, signore di Neirusiens.
Ampi fasci di luce provenienti dal tetto scoperto facevano come tralucere quella mostruosa creatura di un pallore innaturale, surreale, le spire avvolte in una simmetria quasi armonica malgrado la loro grottesca raffigurazione. Molti consiglieri, all'insediarsi della Cerchia, avevano fatto pressione affinchè si provvedesse ad abbattere quella bestia per erigere al suo posto un'effige umana o, meglio, una rappresentazione simbolica della conquista di Neirusiens ma, per qualche ragione, ogni volta i progetti per l'abbattimento o ristrutturazione venivano rubati, andavano perduti, o, più semplicemente, sparivano. Alla fine, tutti quanti si erano rassegnati a quella gargantuesca statua abominevole, consolandosi pensando che, se non per loro, almeno essa sarebbe stata fonte di paura e timore per qualunque visitatore che fosse finito ad entrare all'interno del palazzo.
Ora, sola distrazione nella struttura silente -una volta tempio-, la statua catturava lo sguardo distaccato di Edwin stante seduto, un braccio poggiato al bracciolo del proprio scranno e l'altro a circondare l'esile vita di una bambina poggiata su un suo ginocchio, anch'ella immobile. La fanciulla pareva non avere più di cinque anni.
Ad un tratto lui le si accostò sussurrandole qualcosa all'orecchio per poi sorriderle gentilmente. Lei ricambiò il sorriso, ma non distolse lo sguardo dalla statua posta molti metri innanzi a lei, come se, come l'uomo che la avvinceva a sé, anche per la piccola quella grottesca rappresentazione di Neiru fosse dotata di una atavica forma di fascino. Poco dietro ai due sostava una ragazza di bell'aspetto, capelli rosati e volto altero.
Un recente "acquisto" di Edwin, sobillavano le malelingue.
Eppure a guardarla, alcuno l'avrebbe definita una donna comprabile con qualsivoglia somma di denaro. Il Capitano Marlow sostava al suo fianco, immobile ed altero, una mano serrata attorno all'elsa della sua sciabola come se si aspettasse di dover attaccare qualcuno o qualcosa da un momento all'altro.

Finalmente, nel roco scricchiolio di cardini e giunture, Edwin alzò lo sguardo, fissandolo lentamente sulle figure esili e longilinee, passi di seta sulla nera ossidiana che meste giungevano da Neirusiens all'interno del Palazzo. Nulla più che un piccolo gruppetto, in realtà, ma nient'affatto un contingente di poco conto.
Ashlon, le lunghe chiome di neve, procedeva in testa seguito a breve distanza da Aileen, la sua Custode, ed un ragazzo a cui nessuno seppe dare un nome.
Fu oltrepassando la grande statua che il capo dei Predatori di Neiru si fermò, cauto, e con eleganza chinò appena il capo in un muto segno di rispetto.
"Hail til deg,
Edwin Svartmhir"

asserì in un sospiro, densa modulazione che echeggiò come note vibranti per le pareti ombrose del tempio
"Sono state le lacrime dei miei figli a condurmi qui, oggi, nella dimora di Neiru Diestor. Voci piangenti e dolenti, tutte esalanti il medesimo pensiero, la medesima accusa"
alzò lo sguardo sull'uomo, e sbattè una volta le palpebre

"Tu siedi al mio posto, Crostascura"

Edwin si limitò a fissare l'elfo con gelido contegno
"Neirusiens ha smesso di appartenerti molto tempo prima che io nascessi, Ashlon" rispose asciutto "Il destino l'ha sottratta a voi Predatori per consegnarla a noi, che ora ne siamo i legittimi padroni"
Al fianco di Ashlon, l'elfa dai tratti sottili abbassò una mano al pugnale che teneva legato alla cintola.
"Voi possedete Neirusiens come i bambini possiedono castelli e Regni.
Come una formica possiede le terre in cui costruisce le proprie dimore."

una pausa
"Voi vi siete nascosti entro Neirusiens, ma ignorate le fondamenta della sua grandezza, il segreto della sua costruzione.
Non conoscete nulla delle case in cui abitate, dei cunicoli in cui temete di avventurarvi per paura di perdervi..."

Edwin lo zittì alzando una mano
"Non importa quali siano le tue ragioni, Ashlon. Reclamare ciò che non è tuo non ti rende affatto diverso da un ladro o da un impostore qualunque"
Per la prima volta, la bambina dai capelli rossi che egli stringeva a sé ebbe come un sussulto, gli occhi ambrati che per un attimo scattavano alla sua destra come percependo qualcosa che Edwin ignorò

"E di solito è mio uso mettere ai ferri simili personalità, non parlamentarci"

Questa volta, fu il volto di Ashlon ad indurirsi di una nuova espressione affatto simile alla calma e alla cordialità

"Libera Ka Shanzi, Edwin. Ed insieme a lui la bambina e sua madre. Tutti e tre appartengono a Neiru, non a te."
sillabò.
Con un cenno della mano libera, Edwin richiamò allora l'attenzione di Marlow a cui sussurrò qualcosa all'orecchio.
"Per quanto riguarda il vecchio Predatore a cui ti riferisci, non ho alcun problema a restituirtelo. Nel suo breve soggiorno entro la Torre del Fato non ha fatto altro che far venire il mal di testa a guardie e detenuti con i suoi improperi senza senso.
Per quanto riguarda invece la bambina e sua madre, non credo che nessuna delle due abbia il desiderio di allontanarsi da me. Sono sotto la mia protezione, ora."

una pausa, la stretta sulla piccola che si faceva di poco più serrata
"Dico bene, Leanne?"
La giovane Lyzari aveva occhi calmi, sereni, e fu con la medesima espressione che annuì una volta, anche quando, poco dopo, due Novizi trasportarono di peso un Ka Shanzi proprio dinnanzi ad Ashlon. Il vecchio, pesto e sanguinante, pareva l'ombra di ciò che era stato.
Pareva in fin di vita, prossimo ad un trapasso tanto misero quanto doloroso.
"Ed ora vi ordino di andarvene" concluse l'ex Crostascura monocorde "Neirusiens ha già il sovrano che si merita senza che fantasmi del passato vengano a pretendere il contrario"
Prima che il Cantore avesse il tempo di fermarla, Aileen aveva già estratto il pugnale dal fodero, il corpo affusolato teso nella prossima espressione di un salto alla gola di Edwin.

"Du er forbeth, Edwin!"

gridò mostrando i denti

"Come osi parlare così ad Ashlon facendoti scudo di una bambina?
Come osi accanirti su un vecchio per dimostrarci la tua forza?"



Ed eccoci qui ^__^
Piccolo balzo in avanti nella storia (non così in avanti, tranquilli).
Una volta giunto alla volta di Neirusiens, Ashlon si affretta a raggiungere Edwin all'interno del Palazzo della Cerchia per negoziare sia il rilascio degli "ostaggi" (Leanne e Aris, principalmente, ma nel pacchetto sono anche compresi Ka Shanzi, Maria, Jeanne e Hua) che le pretese dei Predatori su Neirusiens.
Come facilmente prevedibile, Edwin è disposto a rilasciare solo Ka Shanzi, che ora si scopre essere effettivamente stato catturato dai Danzatori e interrogato. Per quanto riguarda tutti gli altri, l'ex Crostascura si mostra irremovibile. Anche l'idea di cedere il posto ad Ashlon non sembra affatto di suo gradimento. La situazione è però sul filo del rasoio: Aileen, membro di spicco fra i Predatori, nonché Custode, sembra sul punto di perdere la calma e aggredire li, in quell'esatto momento, Edwin e coloro che si trovano al suo fianco.

Questo turno si presenta, fondamentalmente, come una sequenza di scelte che ognuno di voi sarà chiamato a fare in modo da determinare l'esito e l'evolversi di questa situazione di per sé molto delicata e complicata. Fate attenzione, perchè questo è uno svincolo importante della trama.
Fazioni:
Edwin: Leanne, Marlow, Alicia
Ashlon: Lomerin, Aileen

La situazione che qui vedete è il frutto delle scelte compiute nei turni precedenti. I nomi mancanti (Kel, Rick, Adam, ragazzo psionico, Maria, Hua, Jeanne) non sono il frutto di una dimenticanza^__^

Ad ognuno di voi invierò un mp contenente istruzioni e possibili scelte da effettuare. Lo scenario che si conformerà sarà interamente determinato dalle risposte che voi mi darete via mp. Finita questa breve fase "oscura", ci sarà la possibilità di interagire brevemente in confronto, in un più aperto botta e risposta comune.
Quattro giorni di tempo per gli mp.


Edited by Eitinel - 25/1/2014, 22:17
 
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Alb†raum
view post Posted on 5/2/2014, 12:55






Jeanne





«La ferita al fianco è quasi del tutto guarita, signora.»

L'ultima fasciatura che aveva applicato a lady Maria non era sporca nemmeno di una goccia di sangue. Appoggiò sul comodino di legno accanto a sé le forbici con cui l'aveva tagliata e la mise dentro il vaso da notte sotto al letto. Del taglio che la spada del danzatore aveva aperto nella carne della Strega non rimaneva che un sorriso lattiginoso, una cicatrice che sarebbe scomparsa nel giro di un giorno o due. Maria la carezzò con la punta delle dita sorridendo soddisfatta, si sollevò a sedere sulla sponda del letto e accavallò le gambe.

«Portami i vestiti, allora. Quelli nuovi.»

«Come desidera.»

La stanza che Edwin aveva assegnato loro all'interno della torre a spirale era incredibilmente spaziosa e comoda, arredata con tre letti, altrettanti comodini e un grande armadio in noce. Una finestra da cui si potevano dall'alto vedere le cupe abitazioni di Neirusiens con le loro torce era la loro fonte di aria fresca. Era permesso loro leggere, decidere i pasti e parlare liberamente, ma era stato loro caldamente sconsigliato di uscire dalla porta di ciliegio intarsiata. “Una prigione accogliente rimane pur sempre una prigione” pensò Jeanne, spalancando le ante del guardaroba. Un forte odore di legno e tessuto la travolse.

«Da quanti giorni siamo qui, se posso chiederlo?»

Domandò a Maria cercando il vestito rosa e viola fra quelli piegati dentro l'armadio. La Strega rise.

«Perché, Jeanne? Ti stai annoiando?»

La volpe sospirò. Era da quando i Danzatori le avevano chiuse lì dentro che era in costante ansia. Maria e Hua avevano trascorso le loro giornate giocando a carte, a scacchi o semplicemente parlando fra loro. Lei invece era rimasta silenziosa, lo stomaco che le faceva male. La notte aveva fatto fatica a chiudere occhio temendo di sentire di nuovo il canto dissonante degli uomini vestiti di nero venuti per ucciderle.

«Mi stavo solo chiedendo per quanto altro tempo vogliono tenerci chiuse qui dentro.»

Prese i vestiti fra le braccia, chiuse le ante dell'armadio e li portò a Maria. Li dispose sul letto ordinatamente in maniera che non si piegassero.

«Lord Edwin mi è sembrato una persona ragionevole. Non credo voglia trattenerci ancora a lungo.»

Maria si rannicchiò e fece scivolare le gambe nei mutandoni. Jeanne la aiutò a legarsi sulla schiena i lacci del reggiseno.

«Presto potrebbe venirci a chiedere se desideriamo unirci a lui.»

Jeanne guardò la padrona aggrottando la fronte, ricevendo come unica risposta un sorriso imperscrutabile.

«Lei ne sa qualcosa, dunque.»

«Assolutamente no.»

La volpe rivolse gli occhi al soffitto. Non riusciva mai a capire se Maria fosse veramente a conoscenza di qualcosa o facesse solo finta. Quando parlava per indovinelli o evitava di dirle ciò che sapeva a Jeanne veniva sempre il nervoso. Perché si ostinava a tenerla all'oscuro di ciò che pensava? Prima o poi sarebbero finite nei guai per questo.
Lanciò un'occhiata preoccupata a Hua. La gatta stava ancora sonnecchiando, imbacuccata nelle coperte candide del suo letto. Aveva la stessa espressione di pace di quando Jeanne l'aveva stretta in mano per la prima volta, quando era ancora un animale. Maria non avrebbe mai permesso che a loro succedesse qualcosa, ma Jeanne aveva troppa paura per la nekomata e ogni volta che la padrona non rispondeva alle domande la volpe veniva assalita dall'apprensione.
Maria le sfiorò una spalla.

«Aiutami con l'abito, per favore. Non ce la faccio da sola.»

Jeanne la aiutò a infilarsi il vestito viola e rosa dalle ampie maniche. Era pressoché identico a quello con cui era giunta a Neirusiens, solo senza il lungo taglio che il Danzatore aveva inferto all'altro, rendendolo inutilizzabile.

«Lord Edwin... è una persona molto interessante. Questi elfi, questi selvaggi... riesce a tenerli tutti a bada con pochi uomini e minacce.»

«La manica è qui, signora.»

«Grazie. Dicevo, è una persona interessante. E anche terribilmente pericolosa. Una di quelle che ti stringe la mano solo per impedirti di evitare una pugnalata.»

Jeanne aveva avuto la stessa impressione quando il lord di Neirusiens le aveva chiesto di mostrargli i suoi poteri e quando aveva costretto Aris a farsi guardare negli occhi davanti a una Leanne con una lama puntata alla gola. Impressione che era stata ampiamente confermata quando aveva scagliato contro di loro i tre Danzatori. Era stato un miracolo che Hua non fosse rimasta ferita nello scontro
La cascata di capelli dorati di Maria emerse dal colletto aperto seguita da tutta la testa. La Strega posò una mano su quella della volpe.

«Tu non preoccuparti per Hua. È in grado di cavarsela. A te ho dato le spade perché sono sicura che potrai difendermi usandole, a lei ho dato i pugnali per lo stesso motivo. Mi fido di voi.»

Jeanne la fissò. Le iridi di Maria erano di un rosso intenso, quello del sangue rappreso. La ragazzina che l'aveva nutrita con striscie di carne salata nel giardino della Fortezza Oriente mentre lei stava morendo di fame aveva avuto gli occhi di un altro colore, azzurro o verde, Jeanne non lo ricordava. Cosa li aveva trasformati?
“Il mio nome adesso è Maria”. Un brivido attraversò la schiena della volpe nel ricordare quelle parole pronunciate al crepitare del rogo della “strega”. Ma a lei Jeanne doveva tutto, dal nome all'essere ancora viva. Ed era sua amica.

«Anch'io mi fido di lei, signora.»

Mormorò, abbassando il capo. Maria le sorrise, poi si allacciò colletto.

«Dovresti vestire anche Hua, ora.»

«Gnnnnnnnnnnnn!»

Jeanne si voltò con un sobbalzo. La gatta nascose la testa sotto il cuscino. Probabilmente le chiacchiere l'avevano svegliata. La volpe sospirò.

«Non fare i capricci. Non puoi restare in vestaglia tutto il giorno.»

Scostò le coperte da Hua con uno strattone, scoprendola. Le code due cominciarono a sferzarle in faccia e dovette ripararsi il viso con un braccio.

«No, no, fa freddo! Rimettile!»

Strillò Hua, la voce attutita dal materasso. Jeanne si portò una mano alla fronte, esasperata.

«Comportati bene, su.»

Costrinse Hua a sedersi prendendola per le spalle. La gatta grugnì incrociando le braccia. Era tutta spettinata e i suoi occhietti arrossati continuavano ad ammiccare per il sonno.

«Ancora un po', dai. Voglio dormire.»

«Tra poco arriva la colazione. Non puoi farti trovare in questo stato dai servitori.»

Afferrò la spazzola dal comodino e le mise a posto i capelli. Prese poi i suoi vestiti dall'armadio, piegati in uno scompartimento in alto.

«Tanto non c'è da fare nulla.»

Brontolò la nekomata, sollevando le braccia per farsi sfilare la vestaglia. Jeanne le fece indossare il suo solito vestito a scacchi e la giacca rossa.

«Non è un comportamento da signorina educata rimanere in vestaglia.»

La ammonì Jeanne. Alle sue spalle, Maria ridacchiò.

«Ti manca Leanne con cui giocare, vero piccola?»

Hua strinse le spalle mentre Jeanne le faceva alzare un braccio per farle indossare la giacca.

«Non era molto simpatica.»

Jeanne sospirò. La bambina con le corna era sparita dopo nemmeno una giornata da quando erano state rinchiuse e non aveva più fatto ritorno. Prima Hua aveva cercato di convincerla di giocare con lei a shoji, ma la piccola era sempre rimasta silenziosa e immobile, lo sguardo rivolto verso il pavimento.

«Le mancava sua madre. Saresti triste anche tu se io e Jeanne sparissimo.»

Hua soffiò dalle narici guardandosi le punte dei piedi. Jeanne le porse gli stivali e lei li prese per indossarli.

«Aris era il motivo per cui siamo venute a Neirusiens, non è così?»

Domandò Jeanne, strofinandosi le mani. Maria si pose un dito sulle labbra.

«È il motivo per cui siamo ancora chiuse qui dentro.»

Jeanne aggrottò la fronte. In quel momento qualcuno bussò alla porta. Maria si alzò dal letto e indossò in fretta le scarpette viola.

«Devono essere i servi con la colazione. Venite avanti.»

Quando la soglia si aprì, però, non entrarono i camerieri con il vassoio, bensì uno dei Danzatori, tutto vestito di nero e con quella maschera d imperscrutabile da corvo. Jeanne spalancò la bocca, sorpresa. Si calmò solo quando vide che l'uomo non portava con sé armi.

«Il mio nome è Rakshin, signora.»

Si presentò l'assassino senza accennare a un inchino o a un segno di saluto. Nemmeno di fronte a una lady quei rapaci si lasciavano intimorire.

«Lord Edwin, il mio signore, avrebbe interesse ad avere lei e le sue serve fra i Danzatori d'Ambra a condizione che voi giuriate fedeltà a lui e alla Cerchia di Cristallo. In cambio, avrete la vostra stanza personale nella torre del fato e verrete addestrate a combattere dai migliori guerrieri del nord. Tendo inoltre a precisare che si tratta di un grande onore servire il mio Lord.»

La voce dell'uomo suonava attutita dalla maschera di ossidiana e nel parlare si mantenne rigido, senza un gesto o un movimento che potesse tradire qualcosa di lui. Jeanne si morse un labbro. Quella persona era a malapena un essere umano e ogni singola parola che pronunciava suonava come una minaccia. “Siete con me o contro di me?” era come se stesse domandando loro Edwin affilando un pugnale. Nessun dubbio dove sarebbe finito quel pugnale se la risposta non fosse stata quella che si aspettava.

«Mi dia solamente un istante per riflettere.»

Maria si sedette sul letto e si prese la testa fra le mani. Jeanne la guardò dubbiosa mentre scuoteva la testa, malinconica. Il suo atteggiamento era improvvisamente cambiato. Il Danzatore le stava facendo qualcosa? Rakshin tuttavia non sembrava avere intenzioni ostili.

«Come sta la mia Aris? Non le avete fatto del male, vero?»

Mormorò sollevando la testa. I suoi occhi rossi erano umidi e luccicavano della luce riflessa delle candele.

«Vorrei vederla. Vorrei vedere come sta, parlarle. La prego, non me lo neghi. Mi porti da lei per cinque minuti e poi io accetterò, accetterò qualsiasi cosa.»

Jeanne comprese. Era rimasta ad attendere tutto quel tempo solo per questo, solo per la speranza di vedere Aris e parlarle.
Il Danzatore, tuttavia, non si lasciò blandire e scosse il capo.

«Aris sta bene. Nessuno qui ha intenzione di farle del male. Ha però chiesto di non vedere nessuno, l'ultimo scontro avvenuto all'interno del Palazzo della Cerchia l'ha molto provata.»

Maria si mise in ginocchio e congiunse le mani. Jeanne non l'aveva mai vista prostrarsi di fronte a qualcuno, e vederla così sottomessa le diede una strana sensazione alle viscere. Era davvero disposta a calpestare la propria dignità pur di parlare con quella ragazza?

«Spiacente, questo è il desiderio di Aris.»

Ripeté Rakshin congiungendo le braccia. Maria abbassò lo sguardo a terra, gli occhi persi e tremanti.

«Se... se questa è la sua volontà... allora...»

Si rialzò da terra lentamente appoggiandosi a un comodino. Tirò fuori un fazzoletto da una manica e si ripulì le lacrime dalle guance.

«Lord Edwin lui è... una persona ragionevole. Se accetto, mi sarà permesso di vederlo?»

Mormorò stringendo fra le dita il tessuto bianco. Fu strano vedere il Danzatore annuire per la prima volta.

«Se accetta di collaborare con lui, certamente.»

La Strega strinse le labbra e prese un respiro profondo.

«Allora giurerò, se questo è quello che mi si chiede.»

Jeanne la fissò perplessa. Lei non le fece né un cenno né un segnale, si limitò ad annuire quando il Danzatore le disse che avrebbe fatto loro strada.



Maria




Rakshin condusse loro per le stanze del Palazzo della Cerchia verso lo studio di Edwin. Hua tenne stretta per mano Jeanne, un broncio sul viso per essere costretta a muoversi di prima mattina. Quando arrivarono, il Danzatore fece cenno con la mano di attendere, bussò alla porta di legno scuro ed entrò. Dopo qualche istante ne emerse col capo dicendo loro di entrare. Maria si fece avanti a piccoli passi, con cautela. Per quanto fosse sicura delle intenzioni di Edwin, la premura non era mai troppa.
Lo studio del signore di Neirusiens era spazioso e accogliente, ma buio quasi quanto la biblioteca in cui erano state condotte dopo la prigionia nei sotterranei. L'unica luce era una singola candela posta sulla grande scrivania coperta di carte in fondo alla stanza. Dietro di essa, il volto di Edwin era piegato su alcune carte su cui faceva scricchiolare una penna d'oca grigia. Alzò gli occhi su di loro solo quando dovette immergere la punta nell'inchiostro.

«Lady Maria, giusto? Si accomodi, si accomodi. Non badi a quello che sto facendo, sono solo scartoffie.»

L'uomo sorrise cordialmente facendo loro cenno di sedersi sulle tre sedie preparate di fronte alla sua scrivania. Le rughe che solcavano il suo volto e i suoi occhietti vivaci gli davano un'apparenza innocua, quasi simpatica. Il nonnino preferito, quello che prende i bambini sulle ginocchia per raccontargli storie di lupi e maghi.
Solo che, in quel caso, era lui a essere il lupo.

«È un piacere per me incontrarla, mio Lord.»

Si inchinò Maria prima di prendere posto sulla sedia. A quella distanza la luce della candela la abbagliò e dovette stringere gli occhi. Jeanne e Hua la imitarono, sedendosi in silenzio accanto a lei.

«Rakshin mi ha riferito che lei ha accettato di entrare nei Danzatori d'Ambra. Lei non sa quanto mi renda felice questa notizia.»

Edwin sgocciolò la penna nel calamaio e la posò a fianco del foglio. Prese poi la pergamena e vi soffiò sopra piano per far asciugare i caratteri. Dal suo tono di voce pareva avere molta più cura per il suo scritto che per l'argomento del discorso.

«Sono onorata.»

Rispose Maria, abbozzando un sorriso. Il lord ridacchiò prendendo un altro altro foglio di pergamena bianco e tornando a scrivere. Alla Strega quella noncuranza iniziava a dare il nervoso.

«Lei di sicuro sa, mia signora, che lo scopo dei Danzatori è quello di assicurare la pace a Neirusiens.»

Cominciò Edwin senza alzare lo sguardo.

«Questi elfi che si fanno chiamare Neiru sono una minaccia per la tranquillità della mia cittadina. Rubano, uccidono. È a causa loro che nessuno ama soggiornare qui.»

«Dei veri bruti.»

«Dei bruti, sì. Ho visto che anche lei è stata vittima della loro ferocia. Avrà ben capito che con loro non si può trattare.»

Maria si posò le mani in grembo. Dove voleva arrivare quell'uomo? Con la coda dell'occhio vide che anche Jeanne lo fissava dubbioso.

«Assolutamente.»

Edwin sollevò la testa dal suo scritto. Sorrideva come prima, ma i suoi occhi luccicavano di una luce diversa. Come faceva quella fiaba? “È per guardarti meglio, piccina mia”. Maria trattenne un riso a quel pensiero.

«Si da il caso che i Neiru credano che tra un'ora avverrà uno scambio di prigionieri qui al palazzo della Cerchia. I loro ambasciatori stanno arrivando, tra loro c'è il capo degli elfi, Ashlon, e la sua vice Aileen, entrambi molto potenti.»

«Cosa vuole che io faccia?»

«Ho bisogno di Ashlon e dei suoi aiutanti. Vorrei che lei mi aiutasse a catturarli, se è vero che appoggia la mia causa.»

Maria si pose una mano sul mento. Quando era arrivata a Neirusiens mai si sarebbe aspettata di trovarsi in mezzo a una guerra. Era venuta per incontrare Aris, parlarle, scoprire cosa fossero le Ombre.
Sorrise.
Le cose stavano andando meglio del previsto.

«Mi occuperò di Ashlon come lei comanda, mio lord.»

Lord Edwin annuì soddisfatto.

«Con loro potrebbe esserci un certo Lomerin... i miei informatori mi dicono che è arrivato a Neirusiens il suo stesso giorno. Lo conosce?»

Maria scosse il capo. Il nome le era completamente nuovo.

«Ad ogni modo, gli elfi arriveranno fra circa un'ora. Nel frattempo si tenga pronta.»



Hua




«Tenetevi in fondo alla sala e fate silenzio.»

Aveva comandato loro Edwin prima di entrare nel salone.

«Capirete quando sarà il momento di agire.»

La nekomata sbuffò. Quell'uomo non le piaceva per niente. Le ricordava quel grassone di Milorca che aveva fatto chiudere lei e Jeanne nei sotterranei dopo aver fatto finta di dare loro alloggio. Maria, invece, non dimostrava alcuna diffidenza nei confronti del vecchio, eppure era lei a essere rimasta ferita da quei Danzatori a cui si era appena unita.

«Non... non capisco. Cosa dobbiamo fare, Jeanne?»

Domandò prendendo posto assieme alla volpe e alla padrona in un angolo della stanza. Il salone della Cerchia d'Argento era immenso, molto più della sala da pranzo della Fortezza Oriente. Ls grande statua di un millepiedi torreggiava sulla moltitudine di sedie vuote, la pietra che brillava della luce bianca che la colpiva dal tetto scoperto. A Hua quella figura metteva i brividi. Di solito le piaceva andare a caccia di millepiedi fra le foglie morte delle rose per poi divertirsi a guardarli mangiare oppure per schiacciarli sotto gli stivali, ma quel grasso mostro non aveva nulla in comune con gli insettini. Lo sguardo della creatura era famelico, puntato su di loro come se non attendesse altro che piantare i rostri della sua bocca nella loro carne.

«Combattere, immagino.»

Rispose lapidariamente Jeanne. I suoi occhi vagavano per la sala confusi, guardando le figure di Edwin, Leanne e la ragazza con i capelli rosa in prima fila. Era stato buffo ritrovare lì la bambina con le corna, tranquilla e sorridente come se nulla fosse successo. Quando erano passati loro a fianco il vecchio la stava tenendo su un ginocchio sorreggendola per la vita.

«Potrò usare i pugnali, Jeanne?»

La nekomata sferzò le code. Dopotutto era contenta che finalmente succedesse qualcosa. Due giorni a non far nulla nelle stanze della Torre del Fato l'avevano lasciata tutta intorpidita e annoiata e la prospettiva di poter combattere rendeva più piacevole dover ubbidire agli ordini di quel vecchio decrepito.
Jeanne non sembrava altrettanto entusiasta.

«Solo se Lady Maria ne avrà bisogno.»

Rispose la volpe, lanciandole un'occhiata storta.

«Ora stai buona. Gli elfi stanno arrivando.»

Un piccolo gruppo di Neiru varcò le soglie della sala. Hua rimase sorpresa: erano diversi da quelli che avevano visto lungo la strada, la maggior parte magri e stentati nei movimenti. Coloro che entrarono, invece, camminavano sul pavimento d'ossidiana come una libellula solcava l'aria sopra le acque di uno stagno. Anche da quella distanza riuscì ad apprezzare la grazia dei loro movimenti. Un elfo dai lunghi capelli bianchi si fece avanti per parlare.

«Hail til deg, Edwin Svartmir.»

Affermò in una lingua incomprensibile. Le sue parole riecheggiarono per la sala come un grave monito. Hua strofinò le dita fra loro, irrequieta.

«Sono state le lacrime dei miei figli a condurmi qui, oggi, nella dimora di Neiru Diestor. Voci piangenti e dolenti, tutte esalanti il medesimo pensiero, la medesima accusa.»

L'elfo scrutò Edwin con uno sguardo severo.

«Tu siedi al mio posto, Crostascura.»

«Neirusiens ha smesso di appartenerti molto tempo prima che io nascessi, Ashlon. Il destino l'ha sottratta a voi Predatori per consegnarla a noi, che ora ne siamo i legittimi padroni.»

Rispose Edwin, asciutto. Hua aggrottò la fronte. Afferrò la gonna di Maria e la tirò appena. La donna si abbassò su di lei.

«Milady, cosa sta succedendo?»

Sussurrò piano perché la sua voce non echeggiasse. La Strega sorrise appena.

«Una pagliacciata, immagino. Pensala come uno di quegli spettacoli di burattini dove il briccone e la guardia si picchiano in testa a vicenda con delle mazze.»

A volte nel villaggio vicino alla Fortezza carrozzoni di guitti arrivati dall'occidente mettevano in scena deliziosi teatrini con pupazzi colorati. Hua non riuscì tuttavia a comprendere cosa c'entrassero in quel momento. Spalancò la bocca per domandarlo, ma Maria le fece cenno di stare zitta.

«Sta per arrivare il bello, piccola. Guarda con attenzione.»

«Libera Ka Shanzi, Edwin. Ed insieme a lui la bambina e sua madre. Tutti e tre appartengono a Neiru, non a te.»

Continuò Ashlon. Il nome Ka Shanzi non era nuovo alla nekomata. Non era forse quell'elfo pazzo che aveva cominciato a sbraitare in piazza? E com'era finito lì?

«Per quanto riguarda il vecchio Predatore a cui ti riferisci, non ho alcun problema a restituirtelo. Nel suo breve soggiorno entro la Torre del Fato non ha fatto altro che far venire il mal di testa a guardie e detenuti con i suoi improperi senza senso.
Per quanto riguarda invece la bambina e sua madre, non credo che nessuna delle due abbia il desiderio di allontanarsi da me. Sono sotto la mia protezione, ora.
»

Edwin strinse a sé più forte la bambina che teneva in braccio.

«Dico bene, Leanne?»

Due Danzatori portarono avanti il vecchio Ka Shanzi. La carnagione pallida dell'anziano elfo era butterata di grossi ematomi violacei che gli segnavano tutto il corpo. Incapace di tenersi in piedi, i due uomini dovevano sorreggerlo per le braccia.

«Ed ora vi ordino di andarvene. Neirusiens ha già il sovrano che si merita senza che fantasmi del passato vengano a pretendere il contrario.»

Maria accennò a un applauso silenzioso.

«Guarda l'elfa accanto ad Ashlon, Hua. Lei è il segnale che stiamo attendendo.»

Hua le rivolse un'occhiata confusa. Un istante dopo, Aileen farneticò qualcosa nella dura lingua dei Neiru e si scagliò su Edwin dopo aver estratto un lungo pugnale.

Ciò che accadde dopo fu questione di un istante.


La Strega







Der Mensch ist böse.
L'uomo è malvagio.




Uno dei due danzatori che trasportavano Ka Shanzi parò la lama di Aileen con la propria spada. Scintille sprizzarono fra il filo delle due armi. Edwin rimase ad osservare la scena senza muoversi dal suo scranno, gli occhi puntati dove l'acciaio incontrava l'acciaio come se la cosa non lo tangesse minimamente. Un altro uomo della scorta si unì allo scontro sguainando la propria lama e vibrandola verso il collo dell'elfa. Lei schivò abbassandosi, ma facendo ciò lasciò libera l'arma del suo primo avversario e si trovò completamente scoperta. Quello non dovette neppure valutare il colpo. Abbassò l'arma sul ventre della vice di Ashlon e tutto ciò che rimase della rabbia di Aileen fu lo sprizzare rubicondo del suo sangue sul pavimento.

«Andiamo, mie care. Questo è il momento.»

Attraversarono la sala correndo. Nel mentre, la ragazza coi capelli rosa si scagliò su Ka Shanzi barcollando. Per un istante lo sguardo della Strega fu catturato dai riflessi scuri della sua pelle, poi un uomo dai capelli castani si frappose fra la sconosciuta e il vecchio elfo scagliandola a terra con un calcio. A quanto pareva Edwin le aveva taciuto su ben più di un segreto. Dopotutto, se gli interessava Aris, doveva per forza avere qualcosa a che fare con le Ombre. Quello, oppure lei iniziava a vedere Ombre dappertutto.

Ashlon era ancora a qualche metro di distanza dal lord di Neirusiens, circondato da due dei Danzatori della scorta. Visto da vicino il capo dei Neiru era semplicemente affascinante: la corporatura scolpita eppure agile dell'elfo rendeva il suo corpo simile a quei serpenti albini dalla carnagione d'avorio che alcuni nobili esponevano con fierezza nei loro terrari. Maria avrebbe esposto con molta più gioia lui in un terrario. Avrebbe dovuto solo imparare a tacere un po' di più.

«Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti.»

Si presentò ad Ashlon ponendosi una mano sul petto. L'elfo non accennò a voltarsi verso di lei, si limitò a scrutare il pavimento con le proprie pupille bianche e cieche. Un arciere si avvicinò ad Ashlon a passi misurati puntando il suo arco contro Maria. La Strega gli rivolse un'occhiata di disprezzo. Non aveva intenzione di perdere tempo con i sottoposti. Non era sicura del potere di Ashlon, quello di cui era certa è che sarebbero tutti morti se non lo avessero fermato.
Per mano sua, o quella di Edwin.


Der Mensch muss besser und böser werden.
L'uomo deve diventare migliore e più malvagio.




Indicò il capo dei Neiru con la mano sinistra. Un lampo nero scaturì dal palmo e colpì gli occhi dell'elfo. Con un cenno della destra, la Strega ordinò a Hua e Jeanne di muoversi e accerchiarlo.

«Per servirla.»


So lehre ich
Questo è il mio insegnamento.




La volpe, arrivata alle spalle di Ashlon, tese le braccia in avanti. Di fronte a lei l'aria si distorse come se attraversata da vapore bollente, poi un lungo taglio trasversale si aprì verso un nero vuoto.
Una gigantesca massa scura fuoriuscì dall'apertura e si scagliò contro il nemico. A contatto con lui, tuttavia, evaporò in una crepitante nebbia che si dissolse in un attimo, senza dare segno di averlo scalfito. Uno dei due Danzatori si scagliò contro Edwin a spada tratta, colpendolo sul fianco. Maria sorrise soddisfatta nel vedere Ashlon barcollare all'indietro, un profondo taglio sanguinante appena sopra il bacino. Si ritraeva come un boa ferito alla ricerca di un'apertura per contrattaccare. Attorno a lui i suoi uomini stavano venendo macellati, la sua vice era morta senza che lui potesse fare nulla, ma lui ancora manteneva la freddezza per combattere.
Temerarietà o idiozia? Maria non seppe dirlo.

Una spirale circondò il braccio teso di Ashlon tingendolo di luce verde. La gigantesca statua del millepiedi alle sue spalle tremò. Dal supporto in pietra caddero calcinacci, le zampette della bestia cominciarono a muoversi prima lentamente, poi con frenesia. La creatura si staccò dal supporto strisciando e si sollevò a torreggiare sopra Maria e le sue serve.
La Strega sollevò un sopracciglio. Nel mentre, l'uomo con i capelli castani scagliò sul terreno sotto i suoi piedi una scossa azzurrina. Cristalli di ghiaccio risalirono le gambe della ragazza, perforandole la carne e gelandole le ossa. Bruciava, bruciava come fuoco e le ossa le facevano tanto male da sembrare che si fossero spezzate, ma lei si morse un labbro per non lasciarsi sfuggire cenni di dolore.

«È inutile.»

Mormorò al ragazzo sforzandosi di sorridere. Gli avrebbe staccato le palle e gliele avrebbe fatte ingoiare. Gli avrebbe fatto colare cera bollente nel naso, poi piombo fuso. Gli avrebbe cavato i denti e ci avrebbe fatto una collana da mettergli al collo e infine gli avrebbe dato uno specchio dove rimirarsi dopo avergli tagliato le palpebre. Quelli erano gli unici pensieri che lenivano la sensazione del ghiaccio che scavava sempre più in profondità nei suoi polpacci. Si portò una mano alla bocca trattenendo una risata.


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«Inutile, inutile, inutile, inutile.»




Il verme si abbattè su di lei. Dal terreno attorno alla Strega spuntò un muro bianco costellato di tubi metallici. La bestia vi si abbatté sopra sgretolandolo ma si dovette fermare, incastrata fra i frammenti di cemento. Maria guardò con pietà l'animale mentre quello agitava le zanne, famelico.

«Sa qual è il problema, Ashlon? Lei si fa ancora troppi scrupoli.»

Lui avrebbe potuto uccidere tutti gli uomini di Neirusiens nel sonno facendoli accoltellare, infiltrare elfi in ogni casa e rendere un incubo ogni notte degli abitanti della Città Nera. Nel giro di una settimana tutti se ne sarebbero andati. Invece era venuto lì per trattare. Doveva sfuggirgli che solo due specie di uomini trattano: i deboli e coloro che tendono una trappola.
La punta dell'ombrello fendette l'aria. Un nuovo squarcio si spalancò e l'aria venne risucchiata dai suoi lembi. Maria prese la mira e sparò verso Ashlon girando il manico del parasole. Uno dei Danzatori si scagliò verso di lui tendendo la spada per un secondo colpo, ma il corpo del capo dei Neiru si ricoprì di una patina taslucida e la sua carne rimase intonsa.
Un secondo millepiedi grosso quanto un cane di grossa taglia strisciò dalle sue spalle a tutta velocità contro Edwin. L'altro, liberatosi dalla cupola, si gettò contro Jeanne tendendo le fauci. La volpe non si mosse. La bestia si limitò a sprofondare all'interno di un varco nero senza tangerla minimamente.
“Brava la mia volpe” pensò Maria scostandosi una ciocca di capelli sudati dalla fronte.

«Uomini buoni non servono a nulla in questo mondo.»

Disse infine ad Ashlon, chiudendo una mano a pugno. Un filo di sangue le colò dalle labbra mentre il suo corpo pagava lo scotto per aver violato il confine fra essere e non essere.
Le parole “buono” e “cattivo” erano qualcosa che si insegnava ai bambini per fare loro adottare una condotta riguardevole. “Buono” è colui che aiuta gli altri, colui che usa le proprie forze per difendere i deboli. Quello che è sempre d'impiccio.
Colui che va tolto di mezzo in qualunque modo.

Un cerchio magico violaceo si disegnò attorno ad Ashlon. Maria sorrise compiaciuta, le dita della mano destra contratte sempre più forte, più forte...
Leanne apparve accanto all'elfo e un istante più tardi l'incantesimo si dissolse in una nube violacea, tranciato di netto dal taglio di una piccola, lucente spada. Maria aggrottò la fronte, allibita.

«Lo voglio vivo.»

Alle spalle della donna Edwin si era alzato, un'espressione compiaciuta in volto. Maria accennò a muovere un poco le gambe per girarsi. Il ghiaccio nelle ferite si sgretolò dandole fitte, ma infine riuscì a rivolgersi verso il signore di Neirusiens.

«Anche se in fin di vita, si tratta sempre del primo fra i Neiru.»

“Il primo dei nessuno” pensò Maria annuendo lentamente. Jeanne e Hua la raggiunsero. Il millepiedi gigante che aveva attaccato la volpe era ritornato a essere la statua grottesca di una volta e ora giaceva a terra, immobile.
L'uomo con i capelli castani era tuttavia ancora là, in vita. Maria gli rivolse un'occhiata carica di sott'intesi mentre Edwin ordinava di catturarlo.
Un'occhiata che rimase puntata verso il vuoto, perché il ragazzo sparì nel nulla assieme al vecchio elfo ferito che aveva protetto.


Auch den Guten steht ein Edler im Wege: und selbst wenn sie ihn einen Guten nennen, so wollen sie ihn damit bei Seite bringen.
Anche ai buoni l'uomo nobile è d'inciampo: ed anche proclamandolo buono vogliono toglierlo di mezzo.

~Friedrich Nietzsche, Also Sprach Zarathustra







Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti

Priscillaspecchietto

4 - Astuzia





Risorse

Energia
100% - 10% -20% -10% -20% -10% -10% = 20%
Status psicologico

Illesa

Status fisico
Maria: Danno alto alle gambe, Danno medio all'organismo.


rchBJ

Equipaggiamento

Parasole (Fucile, arma contundente e da affondo; mano destra) [0/5]
Eros e Thanatos (Katane; impugnate da Jeanne)
Comete (x20) (Kunai; possedute da Hua)


rchBJ
Passive

An eternal being can hear voices the mortals will never know ~ Pass through the centuries
Immortalità, Auspex passivo, Immunità psionica passiva

Summon of an unspeakable secret ~ Possession
Evocazioni istantanee, Condivisione dei sensi con le evocazioni, +1 CS alla forza delle evocazioni

Communion between demons and mankind ~ Spiritual bond
I compagni animali possono partecipare ai combattimenti e usare tecniche attingendo dalla riserva energetica del padrone

Attive

Tearing out from the fake happiness of life ~ Spirited away
[Abilità personale variabile (2/10)][Consumo variabile, vortice magico che attira in direzione del caster][Danno magico pari al consumo]


Narrano leggende che demoni e dei scesi in terra a volte rapiscano persone, spesso donne vergini o fanciulli. Di loro non viene più trovata traccia. A volte si pensa che le vittime vengano costrette a vivere presso i palazzi degli dei come servitori o concubine, altre si racconta di come siano state divorate completamente da creature orrende. Non è sicura la verità, certo è solamente che esiste qualcosa che può strappare via le persone dalla propria vita in qualsiasi momento.
Con un consumo Variabile, Maria può aprire di fronte a sé un varco che genererà una potente corrente attrattiva. Il nemico verrà letteralmente scagliato contro la strega a meno che non si difenda, subendo un danno pari al consumo per la forza con cui è stato spinto. Il portale si richiuderà prima che il nemico ci possa finire dentro, facendo atterrare la vittima ai piedi dell'incantatrice.

[Usata a consumo alto]

Blind to everything but the truth ~ Horrid disclosure
[Abilità personale Media (7/10)][Consumo medio; tecnica psionica][Cecità e soppressione degli auspex per un turno]


Gli uomini sono ciechi al mondo reale. Troppo orrore si nasconde dietro al Velo perché loro possano desiderare di vedere oltre. Nel mondo ogni cosa nasce, vive, si riproduce e muore ignara che tutto ciò che la circonda è solo un costrutto che la mente crea per rendere loro felice la vita. Con un consumo Medio di energie, Maria apre per un momento gli occhi a un qualsiasi bersaglio, costringendolo a gettare il proprio sguardo nell'Abisso, una voragine buia in cui di tanto in tanto affiorano silhouette colorate, i veri corpi di coloro che vivono nel mondo. La visione assorbirà non solo la vista, ma anche la percezione interiore del bersaglio, che cesserà di funzionare sia per Maria che per i suoi Shikigami.


An evening star that shines in the past ~ Darkness falls
[Pergamena ultima Dominio del male][Consumo variabile, manipolazione magica dell'elemento oscuro][Danno variabile magico]


Con un singolo gesto e un consumo Variabile di energie, Maria aprirà vicino a sé uno o più squarci neri nell'aria. Essi non appariranno come oggetti tangibili, bensì come vere e proprie fratture della realtà, rotture del Velo di Maya. Occhi bianchi dall'iride rossa spunteranno dall'oscurità muovendo frenetici la pupilla. Occhi appartenenti a esseri orrendi, creature inimmaginabili nascoste dietro il velo delle apparenze.
Le creature attaccheranno l'avversario con vampate di energia oscura dalle molteplici forme: tentacoli, arti, mani, raggi, zanne, ma anche oggetti sconosciuti che, ridotti a una silhoutte nera, si scaglieranno contro il nemico senza rivelare la propria vera forma.

[Usata a consumo Alto]


Ruins of a world destroyed by mankind ~ Wailing wall
[Pergamena ultima Dominio delle ossa][Consumo Variabile; tecnica difensiva][Difesa pari al consumo]


In altri mondi l'uomo è stato capace di distruggere ogni cosa esistente, trasformando in macerie e calcinacci le proprie stesse costruzioni e i propri stessi oggetti. Mondi fatti di immondizia e ferraglie, di telai di ferro divelti e strade squagliate in masse nerastre e indistinguibili. Con un consumo Variabile, Maria sarà capace di evocare rovine da quel mondo in modo che la difendano dagli attacchi che le vengono rivolti contro. La difesa richiamata sarà dello stesso livello del consumo e apparirà tramite un portale aperto sul terreno, per poi scomparire attraverso di questo dopo pochi istanti. Assieme alle rovine possono giungere altri oggetti dei mondi devastati, brevi visioni di realtà che non esistono più, ma per Maria e qualsiasi altro abitante di Asgradel non avranno alcun significato.

[Usata a consumo medio, 360°]

Don't dare to touch the sinner, don't dare to touch the saint ~ Holiness of the Shrine
[Pergamena iniziale Corpo d'ombra][Consumo medio, difesa della durata di due turni][Difesa contro attacchi fisici]


Con un consumo medio di energie, Maria sconvolge il limite fra apparenza e realtà attorno a sé, avvolgendosi di un'aura sfasata. In questo stato, ogni colpo diretto verso la Strega verrà inghiottito all'interno di un varco che si aprirà istantaneamente di fronte a lei e spedito in un'altra dimensione. Se il colpo è in mischia, il varco si richiuderà solo una volta che l'arma si sarà allontanata sufficientemente da Maria. La tecnica dura due turni e protegge dagli attacchi fisici.

rchBJ

Note



Post colossale, ma le scene di dialogo mi piacciono troppo per non dilungarmi.

Tutto ciò che c'è da dire è stato detto in confronto. Giusto un piccolo riassunto per non creare confusione:

-Maria usa Horrid Disclosure (personale di cecità e soppressione auspex) e Dominio del male su Ashlon.

-Subisce un alto alle gambe, difende se stessa, Jeanne e Hua dal millepiedi con una tecnica a 360° media (che diventa bassa), poi usa Spirited Away (personale variabile di risucchio del nemico) e spara in testa ad Ashlon.

-Jeanne si difende con Corpo d'ombra, Maria usa Parable su Ashlon (personale di dispersione del 20% delle energie) che tuttavia viene difeso da Leanne.


Enjoy it. :8):

 
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.Azazel
view post Posted on 5/2/2014, 15:11




I Primogeniti
Onde di Fumo, Atto V
___ _ ___


~


Ci vollero un paio di giorni per riprendersi dalle ferite ricevute durante le prove per divenire Danzatore.
Giorni nei quali Kel passò più a tempo a dormire che a perlustrare l'enorme torre alla ricerca di chissà quali segreti e per sfamare una curiosità insaziabile.
La torre non era affatto un rifugio per persone ferite, tutt'altro: c'era del lavoro da fare. Tornato nelle sue stanze dopo una doccia calda trovò sul proprio letto l'uniforme dei Danzatori, completamente nera e lugubre, obbiettivamente l'adorava e se la mise immediatamente. Sotto l'uniforme vi era un biglietto con il quale erano stati scritti precisi e perentori ordini: sia lui che Adam dovevano recarsi alle prigioni per prelevare e scortare un prigioniero e portarlo al cospetto di Edwin.
Indossò la nuova armatura e prese tutto il suo armamentario dopodiché uscì dalla porta e si ritrovò davanti Adam, pronto e sveglio, non disse una parola, era evidente che anche lui era stato incaricato nel trasporto del prigioniero.
Raggiunte le prigioni Adam si fermò rimanendo di supporto mentre Kel si recava dal prigioniero. Vicino alla cella incontrò un nano, anch'egli era un novizio Danzatore, indi per cui scelse di presentarsi e non poté fare a meno di nascondere i propri dubbi riguardante la natura della torre e più precisamente sui Danzatori stessi.
Ma, purtroppo, anche Rick il nano navigava nell'oceano dell'incertezza e non riuscì a far luce su ciò che incuriosiva maggiormente Kel.
Aprirono la cella e prelevarono l'elfo senza dire una parola.

Il Palazzo della Cerchia era il luogo prescelto per l'incontro con i principali esponenti Neiru.
L'aura di un soggetto piuttosto pericoloso e potente fece vibrare i muscoli di Kel: vennero bloccati da un Danzatore completamente avvolto nella sua armatura e dai lineamenti del viso celati dall'elmo che non faceva intravedere alcun particolare significante.

« Gli ordini di Edwin sono di catturare l'elfo che si fa chiamare Ashlon. Attendete il momento migliore e fate ciò che è nelle vostre possibilità per renderlo inoffensivo. Non uccidetelo. La priorità rimane, comunque, proteggere Edwin da qualunque aggressione. Siete autorizzati ad uccidere chiunque osi avvicinarglisi. »
Leggermente intimoriti dalla potente aura del soggetto Kel e Adam si limitarono a confermare con la testa di aver compreso gli ordini infine proseguirono verso Edwin.

L'arrivo del gruppo di Neiru era imminente e poteva avvertire la tensione nell'aria ma non ci fece caso, iniziò invece ad osservare l'imponente statua di un millepiedi: era enorme e alquanto minacciosa.
Il rumore di passi calcolati precedettero l'ingresso di Ashlon e il suo piccolo gruppo. L'elfo s'inchinò con eleganza verso Edwin dopodiché ci fu uno scambio di battute fra i due esponenti politici riguardante chi aveva il diritto o meno di sedere sul trono ma poi il discorso sfociò sul motivo per il quale era stato organizzato l'incontro.

« Libera Ka Shanzi, Edwin. Ed insieme a lui la bambina e sua madre. Tutti e tre appartengono a Neiru, non a te. »
Edwin si rivelò accomodante per quanto riguardava la liberazione del vecchio elfo mentre rifiutò l'idea di lasciar andare la bambina e la madre.
Questo atteggiamento, in aggiunta al fatto che in seguito ordinò ai Neiru di levare le tende, non fu altro che la scintilla in grado di far esplodere una vera e propria lotta.
L'elfa che affiancava Ashlon non riuscì a contenere la propria ira e si scagliò contro Edwin, pugnale alla mano.
Non calcolò minimamente Kel e Adam, gli unici ostacoli lungo la sua folle corsa per tagliare la gola ad Edwin: questo fu l'errore che la portò alla morte.
Adam tentò di farle uno sgambetto ma la furiosa Neiru evitò il piccolo intralcio ma nulla poté contro il devastante gancio destro che le piombò addosso e la colpì in pieno viso facendola cadere schiena a terra.
Kel le mise il piede destro sul polso e fece pressione per farle perdere la presa sul pugnale ma la furia elfica sembrava rinvigorita dopo tale attacco inaspettato e cercò di divincolarsi. Il Mezzanima afferrò il pugnale e glielo piantò con violenza nel cuore, decretando così la morte di colei che voleva attentare alla vita di Edwin.
Iniziò quindi una lunga e dura battaglia.
Il tempo della diplomazia e del dialogo aveva raggiunto il suo epilogo dando iniziò al regno dell'acciaio e del sangue.
Molti si scagliarono contro Ashlon ma quest'ultimo si rivelò un avversario degno di nota e difficilmente sarebbero riusciti nell'intento di renderlo inoffensivo.
Il caos che si generò a palazzo fu devastante, creature vennero evocate e attacchi magici e fisici non si risparmiavano. Ashlon diede vita all'imponente scultura del millepiedi e Kel di risposta alzò la mano sinistra e schioccò le dita: il suo tentativo era quello di danneggiare tramite la magia sia la mente che il corpo del combattente Neiru, con scarsi risultati, purtroppo.
La battaglia era concitata e dal nulla vennero evocati diversi lupi, due dei quali si diressero verso Kel e Adam. Sfoderò Neracciaio e con una capriola evitò la carica della fiera pronta ad azzannarlo alle gambe, con un fendente preciso e potente troncò di netto la testa della creatura; si gettò immediatamente verso il ragazzo che l'aveva aiutato durante le prove per divenire Danzatore ed eliminò con un affondo diretto al muso il lupo che cercava di mordere Adam. Nulla poté fare per difenderlo da una freccia scoccata alle loro spalle che ferì al volto il ragazzo che, sanguinante, cadde a terra.

« Adam, tutto bene? »
Si chinò sul ragazzo e lo trascinò di peso il più lontano possibile dallo scontro. Lo portò quasi al fianco di Edwin.
Abbassare la guardia in un momento come quello non era contemplato e difatti fu la scelta più azzeccata viste le offensive dirette a colpire il sovrano di Neirusiens.
Ashlon generò un secondo millepiedi, più piccolo rispetto al precedente ma non per questo meno pericoloso, che si scagliò verso l'ex Crostascura.
Rapidamente anche il goryano si affidò al campo delle evocazioni per contrastare la creatura generata dal Neiru e diede vita ad un drago nero di medie dimensioni e in grado di frenare l'avanzata del millepiedi, oltre che essere utilizzato come scudo nei confronti di una lancia di ghiaccio lanciata da un sostenitore di Ashlon.
Nel frattempo si gettò lungo la traiettoria dell'ennesimo colpo diretto ad Edwin e, incrociando le braccia in avanti, incassò una temibile bordata di vento incapace di ferirlo solo grazie all'energia che fece scorrere agli arti superiori divenuti solidi e inscalfibili come il marmo più solido e resistente.
Proprio quando sembrava che Ashlon stesse per soccombere sotto gli attacchi degli altri componenti del gruppo a favore di Edwin, quest'ultimo si alzò in piedi e con voce decisa fece ben intendere che voleva catturare l'esponente Neiru vivo. La bambina che pochi istanti prima aveva in braccio scomparve e si materializzò al fianco di Ashlon, con grande stupore da parte di Kel questa ragazzina dissolse nel nulla uno degli attacchi, probabilmente fatali, diretti verso Ashlon.
Nonostante il sangue versato e la calma che piano piano stendeva un velo sulla rapida ma violenta battaglia, non riusciva a tranquillizzarsi: Ka Shanzi e l'altro soggetto che aveva evocato i lupo, la lancia di ghiaccio e la bordata elementale, erano spariti nel nulla, senza lasciar alcuna traccia.
Il futuro prometteva altre battaglie.


Kel'Thuzak
il Mezzanima

CS 4 ~ Destrezza 2 - Intelligenza 2

~ Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~

Energia: 100% - 20% - 20% - 20% = 40%
Status Fisico: Indenne.
Status Psicologico: Indenne.

Equipaggiamento in uso

Neracciaio__In uso.
Silentium__Inutilizzata. [º º º º º]


Abilità in uso

arcanus__L'anima corrotta di Kel, scissa in due tra spada e corpo, ha fatto sì che Neracciaio acquisisse un potere in grado di distinguerla dal resto delle armi comuni: il potere della sua anima racchiusa in questa spada è in grado bruciare e ustionare. L'arma infliggerà danno come il riflesso della propria anima tant'è che oltre al danno fisico arrecherà un danno legato all'elemento Fuoco, non pregiudicherà in alcun modo la regolamentazione sugli attacchi fisici e le Capacità Straordinarie; il danno totale inflitto dagli attacchi fisici non cambierà in alcun modo, ne verrà solo caratterizzata l'entità aggiungendovi proprietà elementali. L’arma, come una creatura viva e senziente, si plasmerà sulla figura del possessore assecondando la sua indole, vettore della sua anima. Da questo momento in poi essa vibrerà di energia propria, liberando una malia psionica di tipo passivo, sottoforma di terrore e paura, che influenzerà chiunque sarà abbastanza vicino da percepirla. Inoltre Kel, raggiunto il 10% delle energie, non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.
{Passiva Lvl.1 e 2 Artigiano + Razziale Umana}

tutum iter__La tecnica ha natura magica. L'abilità non ha potenza e concede i propri benefici passivamente, sempre funzionanti nel corso di una giocata. Il personaggio diviene in grado di camminare e reggersi su qualsiasi superficie, sia essa avversa a lui e alla gravità (come una parete o un soffitto), sia essa liquida (acqua, ad esempio) o aeriforme (camminare sull'aria). Non sarà affetto in alcuna maniera da correnti d'aria o sbilanciato da onde nell'acqua, e potrà camminare tanto agilmente nell'aria quanto lo farebbe sulla terraferma, il tutto non alterando in alcuna maniera la sua agilità o la velocità con la quale si muove normalmente - rendendolo di fatto né più veloce né più lento del solito. {Pergamena Sostegno - Ladro}

mysticus__Il prescelto dei guerrieri stregoni di Kolozar Dum è stato dotato inconsapevolmente, da quest'ultimi, del dono della magia, ma non magia comune bensì qualcosa di molto più potente e in grado di far impallidire i migliori maghi esistenti. Poter contare ogniqualvolta su una fonte di potere sempre maggiore rispetto a chi si ha di fronte è una capacità che molti vorrebbero e che Kel possiede dopo essere tornato alla vita. In termini di gioco la tecnica ha natura Magica e avrà sempre effetto. Ogni volta che il proprio avversario utilizza una tecnica di natura magica, per la durata di quel turno Kel guadagna 2 CS in Intelligenza.
{Pergamena Discendenza Arcana - Mago}

Attive Utilizzate

viribus deficio__La tecnica ha natura Magica, consumo Alto. Kel è in grado di lanciare la tecnica con l'intenzione di danneggiare e corrompere la parte interna del corpo del proprio nemico. Il corpo è lo specchio dell'anima e cercare di danneggiare il fisico nemico equivale a deperirgli lo spirito. La corruzione magica, qualora non ci si difendesse, sarà in grado di mutare il colore e la consistenza del sangue dell'avversario trasformandolo in un liquido molto denso e putrescente, scuro e oltre a questi danni è in grado di infliggere anche una forte sensazione di confusione e debolezza alla mente del proprio nemico. Il danno risulta suddiviso in un Medio alla mente e un Medio al corpo del bersaglio.
{Pergamena Corruzione Magica - Mago}

draco__ La tecnica ha natura di Evocazione, consumo Alto. Lo stregone evoca un drago, delle dimensioni massime di un elefante, totalmente asservito a lui, dalle scaglie nere come la notte e profondi occhi rossi, fiammeggianti. La creatura sarà dotato di artigli, zanne e soffio infuocato con cui compiere attacchi fisici e potrà volare. Andrà considerata come un'evocazione di potenza Media e potrà incassare un totale di danno pari ad Medio, prima di scomparire. Se non distrutta resterà sul campo di battaglia per due turni, compresa l'attivazione, se non sconfitto prima. L'evocazione sarà di potenza pari a 4 CS.
{Pergamena Draco - Mago}

corpore marmoris__ Per riuscire a manipolare la magia ed utilizzarla come strumento fisico per difendersi ha richiesto molti anni di duro allenamento: a volte non hai la fortuna di possedere facoltà innate di tale rilievo e la soluzione è solamente la pratica costante. Proprio per questo Kel, tramite un consumo energetico Variabile, potrà difendersi dagli attacchi nemici incanalando la magia in una zona del corpo, o in tutto se necessario. Facendo ciò l'epidermide dello stregone, stimolata dalla magia, assumerà un colorito grigio scuro, evidenziando così le parti soggette a tale azione magica, rendendo il corpo dell'uomo inscalfibile come fosse composto da solido marmo. Tale abilità avrà effetto immediato, incassato il colpo la pelle tornerà allo stato originario. Non si potrà usare in fase offensiva, tecnica di natura magica. {Abilità Personale 1/10} [Consumo impiegato: Alto]




 
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view post Posted on 6/2/2014, 23:48
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Raggiunsero l’altra sponda del Ràn veloci come sulle note di un canto. Le acque scure e minacciose del lago si spiegavano docili e silenziose al passaggio della vela, increspandosi simili a lembi di una tenda come a porgere un umile e tacito ossequio al loro solo padrone, padre, amico. La riva iniziava a dipingersi poco lontano, quando una foresta di figure scure iniziò ad emergere dalle tenebre della città, riversandosi sul limitare delle acque. Il canto dei Predatori correva lento sulla superficie del lago, danzando soave sulle pareti cave della montagna e sfiorando i loro volti come una leggera e silenziosa brezza di primavera. Le ali della piccola schiera di elfi si distesero intorno alla prua con la delicatezza di un volatile ferito, ma si poteva sentire la determinazione scaturire timida dalla speranza. Ashlon fu accolto dai suoi figli con un canto di mestizia e felicità insieme, dove parole di benvenuto e di gioia sorgevano timide come il bocciolo di un fiore che fioriva ancora una volta abbandonando i suoi ultimi, stropicciati petali al suolo. Eppure in quel timido e umile ritorno, nel pallido soffrire del loro canto Lomerin fiutava lontano quasi il sentore di una profezia che prendeva carne, osservando in disparte una forza esplosiva pervadere l’esangue incarnato del Predatore emergere dallo sfondo della sottile trama di fili d’oro che gli scendevano lungo la schiena. Il Volkov ristette in disparte in fondo alla barca, consapevole che quella stessa forza scorreva attraverso le sue vene, sentendone il fuoco eterno infiammargli le braccia.

All’improvviso le parole di Ashlon smisero di incrociare i loro orli melodiosi con quelle degli altri elfi, cadendo nel vuoto come pesanti liane lasciate andare, nude, nel silenzio.
Vieni, Saighdeas, è giunto il momento per me di mantenere la mia promessa”.
Senza abbandonare lo sguardo profondo come gli oceani cantati nei racconti della sua infanzia, l’uomo sentì decine di sguardi elfici posarsi su di lui con il peso di mille chiodi piantati sulla sua pelle. Ashlon gli sorrise e, per un istante, Lomerin osò abbandonare il suo sguardo: la volontà del Predatore si sparse tra i suoi come la gioia innata del canto di un usignolo al sorgere del sole. Uno per uno tanti sorrisi si schiusero sui volti scuri degli elfi intorno a lui, contagiati dall’arcana, misteriosa, solenne allegria di Ashlon che lo accoglieva tacitamente tra i Predatori di Neiru. La cerimonia si svolse tutta in quell’istante. Lomerin sentì il loro calore bussare alle porte chiuse del suo gelido spirito, e da quel piccolo spiraglio che riuscirono ad aprire si liberò una sincera espressione di stupore, trascinando il suo mento verso il basso.

"Egli è Saighdeas" disse allora Ashlon, scrivendo con le sue sottili labbra ciò che tutti già avevano sentito. "La Voce e la Speranza di Ka Shanzi. Sia in sua vece la guida che ci serve per riprenderci ciò che ci spetta."
Lomerin chiuse le labbra e la determinazione scolpì il suo volto nel marmo. Rivide ancora una volta la sagoma di Ka Shanzi svanire tra i vicoli di Neirusiens: il momento era finalmente arrivato. Loro erano arrivati.
Nel cuore del Palazzo della Cerchia, lì dove il senato degli uomini si era stabilito, le ante del portone si schiusero sferragliando lente ai lati di Ashlon e di Aileen, la sua Custode, come due immense e nere ali metalliche spiegatesi dai loro fianchi lisci e marmorei. La maestosità del Predatore all’interno di quelle pareti sembrava riportare quell’edificio ad antichi fasti mai conosciuti dalla civiltà presente, quando ancora quel luogo era il grande templio dedicato a Neiru. Soltanto l’elfa aveva un cuore così nobile da poterlo accompagnare nell’impresa: non era più giovane nell’aspetto, ma il suo spirito lo era ancora. Lomerin tallonava i due elfi a passo serrato: li aveva seguiti per aiutare per aiutare Ashlon a mantenere la sua promessa, gli aveva detto. Non poteva lasciare che l’elfo andasse a contrattare da solo le condizioni di una resa pacifica che non poteva ottenere, non dal signore dei Danzatori d’Ambra. Di fronte ad una simile richiesta i Danzatori non avrebbero esitato nel danneggiare gli elfi tutti ancora una volta uccidendo, se non l’avevano già fatto, Ka Shanzi. Non poteva permettere che accadesse, anche a costo di partecipare ad una missione suicida dove probabilmente era l’unico a rischiare la vita. Quando aveva detto che doveva la vita a Ka Shanzi si era dimenticato di mentire: avrebbe restituito il favore.

—◊◊—

La luce proveniente dal tetto aperto investì subito il piccolo contingente elfico, come una proiezione della loro immensa mole spirituale. Le sagome di Ashlon e Aileen giganteggiarono in uno spazio che sembrava dilatarsi sempre di più ad ogni passo che li avvicinava alla parete opposta al portone. Lì li attendeva il mostruoso simbolo di Neiru, un gargantuesco millepiedi di pietra che avvolgeva le sue spaventose membra su loro stesse, attorcigliandosi in direzione del cielo nero della Kavresh ni Va e assumendo, in uno strano e sformante gioco di prospettiva dato dalla sola tensione, le stesse dimensioni dei Predatori che gli si avvicinavano. Lomerin spinse lo sguardo oltre i suoi compagni, notando oltre la statua uno scranno dall’aspetto severo. Seduto Edwin, il signore di Neirusiens, levò lo sguardo a scrutare gli stranieri che invadevano il suo territorio. Alle sue spalle, nella penombra si levavano le due figure di un uomo e di una donna, il volto della quale non gli sembrava nuovo alla vista. Ashlon ed Aileen scivolarono verso di loro in un silenzio spettrale, le ombre sottili che si assottigliavano in direzione di Edwin e dei suoi sgherri come scuri pugnali. Lomerin avanzava dolorosamente deciso, mentre la minacciosa e mostruosa scultura sembrava pendere su di lui a ricordargli la crudele realtà di un fato inesorabile. I suoi passi lenti e pesanti vibravano lungo il suo corpo come echi di percussioni inflitte nel suo petto, sul suo cuore. In quel lento procedere sentiva la coltre di tensione attraversargli il volto, tirargli giù le gambe ad ogni passo, scivolare tra le dita come spire di un miasma mortale. Ma per quanto disapprovasse le pacifiche intenzioni del suo signore, per quanto fosse consapevole che quella missione metteva a rischio tutto quello per cui stavano combattendo, per quanto la sua speranza lentamente languisse in un territorio spoglio e infertile, sentiva un sussurro segreto che quando stava al fianco di Ashlon gli vietava di sentire la gelida morsa della paura.

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Infine Ashlon si fermò, inchinandosi come un arbusto che fieramente resisteva alla forza sferzante dei venti delle montagne. Lomerin cercò di distogliere lo sguardo: era come se quel gesto cancellasse dalle pagine della memoria ogni efferata strage che era stata compiuta ai danni degli elfi. Il rispetto che nutriva per il Predatore sottraeva ogni nutrimento ai pensieri negativi che infestavano la sua mente, e così una sola domanda echeggiava nella sua mente senza risposta: come poteva lasciare che Edwin avesse la possibilità di arrendersi senza pagare per quello che aveva fatto, beneficiando di un privilegio che non meritava?
"Hail til deg, Edwin Svartmhir" cantò finalmente in segno di rispetto.
"Sono state le lacrime dei miei figli a condurmi qui, oggi, nella dimora di Neiru Diestor. Voci piangenti e dolenti, tutte esalanti il medesimo pensiero, la medesima accusa." Il signore dei Predatori proferiva dalle labbra le parole di un intero popolo sofferente e desideroso di giustizia. Infine la sua personale voce si levò sopra tutte le altre, di cui pur rappresentava la volontà.
"Tu siedi al mio posto, Crostascura."

"Neirusiens ha smesso di appartenerti molto tempo prima che io nascessi, Ashlon" rispose Edwin, le parole cariche di una velenosa sfacciatezza pur inumidite in un tono pacato e mellifluo. "Il destino l'ha sottratta a voi Predatori per consegnarla a noi, che ora ne siamo i legittimi padroni."
"Voi possedete Neirusiens come i bambini possiedono castelli e Regni. Come una formica possiede le terre in cui costruisce le proprie dimore." Ashlon si quietò un attimo, lasciando che le sue parole sferzanti echeggiassero nello spazio intorno. “Voi vi siete nascosti entro Neirusiens, ma ignorate le fondamenta della sua grandezza, il segreto della sua costruzione. Non conoscete nulla delle case in cui abitate, dei cunicoli in cui temete di avventurarvi per paura di perdervi..."
L’indice del Crostascura si levò a zittire l’elfo, e attraverso la distanza che li separava a Lomerin parve di vederlo posarsi sulle labbra di Ashlon. La mano dell’uomo dunque scese lungo l’addome scivolando sino alla cintola, così come notò che aveva già fatto Aileen.

"Non importa quali siano le tue ragioni, Ashlon. Reclamare ciò che non è tuo non ti rende affatto diverso da un ladro o da un impostore qualunque." Scrutandolo con l’ira che gli graffiava le pareti dello stomaco, Lomerin per la prima volta notò che al fianco di Edwin, esile tanto che era difficile a vedersi, stava la piccola Lyzari. L’uomo la teneva serrata a sé cingendola con il braccio, come fosse una propria conquista e per questo bersaglio di una sinistra gelosia. La bimba teneva un’espressione assente, come se nulla di quella discussione la tangesse. Soltanto un piccolo barlume di intelligenza tradì il suo volto pietrificato.
"E di solito è mio uso mettere ai ferri simili personalità, non parlamentarci" continuò Edwin, ignorando la reazione di Lyzari.
Di fronte al nuovo fendente, l’espressione sinora pacata di Ashlon scivolò via dal suo volto come una maschera di foglie secche d’autunno. La sua espressione si indurì, rivelando sentimenti lontani dal sereno contegno che aveva riservato al suo interlocutore. "Libera Ka Shanzi, Edwin. Ed insieme a lui la bambina e sua madre. Tutti e tre appartengono a Neiru, non a te."
Il sovrano di Neirusiens sussurrò qualcosa all’uomo che lo affiancava. "Per quanto riguarda il vecchio Predatore a cui ti riferisci, non ho alcun problema a restituirtelo. Nel suo breve soggiorno entro la Torre del Fato non ha fatto altro che far venire il mal di testa a guardie e detenuti con i suoi improperi senza senso. Per quanto riguarda invece la bambina e sua madre, non credo che nessuna delle due abbia il desiderio di allontanarsi da me. Sono sotto la mia protezione, ora."
Lomerin notò i muscoli di Edwin serrarsi più stretti al candido e fragile collo della bambina. "Dico bene, Leanne?"
Lyzari rispose soltanto con un tacito cenno del capo. Dopo qualche istante, due dei suoi sgherri sgusciarono fuori dalla penombra, reggendo sulle spalle l’ingombrante peso di un elfo. Il cuore smise di battere e Lomerin ne avvertì tutto il peso sopra lo stomaco.

Le lorde mani dei due Danzatori deposero Ka Shanzi ai piedi di Ashlon. Lomerin aggirò i due elfi e si chinò rapidamente sull’elfo: era interamente ricoperto di ferite sanguinanti e tumefazioni. I suoi vestiti erano ricoperti di sangue incrostato, polvere e sporcizia. Il suo volto era ridotto ad un esile involucro di pelle cucito sopra ad un teschio d’ossa sottili, quasi fragile come vetro, così come tutto il suo corpo. E come una fredda stilettata attraverso le viscere, Lomerin sentì il suo fetido respiro investirgli il volto, spirando attraverso i denti sporchi e le gengive nere scoperti dalle ferite alle labbra: il vecchio era forse privo di coscienza, forse così malridotto da potersi muovere, ma era ancora vivo, e soffriva pene inimmaginabili. Comunque fosse finito lo scontro che Edwin aveva voluto cominciare, tenerlo in vita sarebbe stato una crudeltà. Ma Lomerin allontanò quei neri pensieri come fossero neri corvi che si avvicinavano furtivi ad una preda prossima al trapasso.
Tenete duro” sussurrò al vecchio, sperando che qualcosa in lui potesse udirlo. Ma in cuor suo sapeva e temeva che quell’incoraggiamento fosse più per sé stesso che per Ka Shanzi. “Ashlon è qui, e intende riprendersi ciò che appartiene agli elfi di diritto. Tenete duro.

Ed ora vi ordino di andarvene" disse infine Edwin, il tono secco della sua voce che sovrastava la debole eco dei sussurri di Lomerin. "Neirusiens ha già il sovrano che si merita senza che fantasmi del passato vengano a pretendere il contrario."
Il Volkov rivolse un’occhiata piena di attese ad Ashlon, ma poi abbassò lo sguardo. Aileen, come leggendogli nel pensiero, estrasse finalmente il suo coltello dalla cintola.
"Du er forbeth, Edwin!" urlò l’elfa contro l’uomo al di là dello scranno. La sua voce si librò nel silenzio come una bestia liberata dalle sue catene, sferzando con violenza il fragile silenzio. "Come osi parlare così ad Ashlon facendoti scudo di una bambina? Come osi accanirti su un vecchio per dimostrarci la tua forza?"
E si lanciò contro Edwin, scoprendo i denti, la lama argentea che riluceva alla debole luce del sottosuolo. Due danzatori emersero dall’ombra e si scagliarono contro di lei. La donna alle spalle di lei li seguì, superando i due compagni e avventandosi verso Lomerin e Ka Shanzi. L’uomo non attese che potesse fare la sua mossa: subitaneamente estrasse la daga dalla cintola, agitandola convulsamente come un serpente in direzione della preda. La donna non sembrava padrona delle sue azioni, ma non gli interessava minimamente. L’uomo si avventò su di lei in una carica impetuosa, senza permetterle di reagire. I due piombarono a terra e il Volkov, sovrastandola con la sua mole, impugnò la daga con entrambe le mani e si lanciò in un affondo verso il suo collo. La donna ebbe la forza di liberare le mani e con grande forza afferrò la lama di Splidolk, ferendosi i palmi per impedire l’avanzata del filo. Ma l’arma si faceva strada grazie ad un diverso fine: Lomerin vide i suoi occhi riguadagnare coscienza un istante, e allora infuse ancor più pressione nell’elsa. Il metallo scivolò attraverso le mani insanguinate e affondò nella pelle candida come un remo sull’acqua, recidendo le vene e spezzando la colonna vertebrale. Il lampo di coscienza della giovane donna morì nello stesso istante in cui s’era illuminato.

Furioso come non si era mai sentito, Lomerin sentì l’aria riscaldata dal sangue sfiorargli le mani serrate sulla lama. Splidolk abbandonò con violenza il collo del cadavere e l’uomo sollevò lo sguardo mentre uno dei Danzatori affondava il suo pugnale nel cuore di Aileen. La rabbia lo colse come un fiume infuocato scaturito dal suo cuore. Non poteva permettere che tutti coloro che gli stavano intorno morissero dinanzi al suo sguardo, non un’altra volta. Doveva essere lui a morire. All’improvviso non fu più in sé.
Dal portone di metallo ancora spalancato fecero la loro entrata quattro sagome grigiastre, rapide come saette, accompagnate da un’orchestra di atoni ringhi. A fauci squarciate quattro lupi rabbiosi attraversarono la sala e superarono Lomerin, ancora chino sulla donna, per scagliarsi contro i quattro Danzatori ancora vivi nella stanza. Saighdeas trovò la forza di rialzarsi e rinfoderata la daga impugnò l’arco, scagliando una foresta frecce contro i suoi avversari. Intendeva lasciare che Ashlon attaccasse Edwin, per vendicare Aileen e Ka Shanzi e gli elfi tutti. Ma l’elfo non si mosse e dalla penombra tre figure femminili si mossero a circondarlo, pronte a sferrare un’offensiva. Lomerin riconobbe una di loro come la dama vittima del furto da parte della piccola Lyzari.
Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti” esordì serenamente la donna, rivolta al capo dei Predatori. “Per servirla.

Lomerin puntò l’arco contro di lei, travolto dalla sorpresa: la donna gli rivolse uno sguardo carico di disprezzo e l’uomo scagliò un dardo verso di lei, mancandola. Maria e i due demoni si disposero intorno ad Ashlon e all’improvviso un portale magico si schiuse in cielo, lasciando che un gigantesco nero meteorite, simile ad un astro di energia oscura, si abbattesse sull’elfo. Questi si lasciò attraversare dall’attacco come fosse uno spettro, una mera immagine: ma subitaneamente uno dei Danzatori si avventò su di lui.
"Avanti, faccia di bambola! Sarai il terzo cieco che accoppo oggi!" gridò il Nano, sferrando una violenta gomitata lungo il femore dell’avversario. Lesto come una delle sue frecce Saighdeas si lanciò verso il Danzatore, ferito alla gamba dai suoi lupi, consapevole che le cose stavano lentamente precipitando a loro sfavore. Ma non avrebbe permesso che Ashlon morisse, non avrebbe permesso al fato di costringerlo a combattere ancora una volta da solo. La vendetta di Aileen sarebbe stata consumata in tempi più maturi; ma il Predatore non sembrava intento ad attaccare.

E proprio quando tutto sembrava prossimo alla disfatta, Lomerin si fermò a prendere fiato vide qualcosa che non avrebbe mai potuto prevedere. Nel lasso di tempo di un battito di ciglia la scultura del millepiedi iniziò rapidamente a muoversi come al risveglio dopo un lungo sonno. La creatura, benché tinta dei colori spenti del marmo, sembrava piena di vita come un reale mostro di pietra, le viscere vibranti come se vi scorressero sangue e linfa. In una caotica baraonda di rumori la creatura si scagliò contro la donna e i suoi demoni come un’inesorabile tempesta, pronta a travolgerli. Lomerin colse l’istante fatidico e continuò la sua corsa verso il Danzatore nano: il suo braccio nero iniziò a ricoprirsi di una leggera patina di ghiaccio, fino a trasformarsi in una pesante mazza cerulea che si abbatté, frantumandosi, sulla testa dell’avversario. I lupi intanto si lanciarono insieme al millepiedi verso le fanciulle che aveva preso di mira. Dalla distanza il Volkov evocò una patina di ghiaccio sulle gambe della nobildonna, cercando di ancorarla al terreno per impedirle di fuggire.
E' inutile” sibilò la donna, evocando intorno a sé e alle sue alleate un mastodontico muro di pietra, contro il quale il mostruoso millepiedi e i lupi cozzarono miseramente. “Inutile, inutile, inutile, inutile” ripeté ancora, trattenendo le risa. Un proiettile schizzò via da uno strano fucile e il nano scagliò, quasi contemporaneamente, una sfera di energia sacrilega contro Ashlon. Lomerin si lanciò contro la sfera, cercando di fermarla, ma le energie lentamente lo stavano abbandonando. L’uomo cadde rovinosamente al suolo, la sfera che lo superava immune al suo tentativo. Ma il Predatore si trasformò ancora una volta in uno spettro etereo si lasciò attraversare dai colpi, riemergendo nelle sue normali fattezze fresco come una rosa. Il millepiedi riuscì invece a frantumare la parete, riprendendo la carica verso la donna. A quel punto, mentre tutta l’attenzione dei Danzatori era concentrata su di lui, un nuovo millepiedi emerse dal terreno all’improvviso, più piccolo e più veloce, dirigendosi verso Edwin.

Lomerin, improvvisamente rincuorato, lanciò uno sguardo di sottecchi ad Ashlon: la tattica difensiva era dunque una strategia per catturare l’attenzione degli avversari su di lui. Ma Aileen era morta, e Ka Shanzi sarebbe presto trapassato: durante l’infuriare dello scontro Lomerin aveva avuto più volte modo di assimilare la realtà dei fatti, domandandosi più volte se l’ingenua moralità di Ashlon avesse valso le perdite subìte. Osservò la sagoma del vecchio: dopo qualche istante la cassa toracica, come sollevando un immenso peso, si levò lentamente. Dunque da sola si ribassò in un movimento secco e rapido, come rilassandosi dopo un immenso sforzo. Ka Shanzi stava lottando furiosamente per sopravvivere, ma il Volkov intanto sentiva le sue energie lentamente scemare via proprio nel fatidico istante in cui Ashlon aveva deciso di concludere il viaggio che li aveva portati in quel luogo. All’improvviso il suo punto di vista si capovolse: se l’attacco del mostruoso millepiedi fosse fallito, il sacrificio di Aileen sarebbe stato inutile. Un nuovo bagliore illuminò le iridi cerulee di Lomerin, riflettendo sé stesso dagli abissi del suo spirito.
Una nuova forza trascinò Saighdeas verso Edwin. Mentre la stanchezza dei muscoli sembrava porre una pesantissima armatura di ferro intorno ad ogni centimetro libero della sua pelle, una misteriosa forza spirituale riuscì a sollevare tutto quel peso: l’uomo generò nel palmo una luccicante lancia di ghiaccio, e la lanciò contro le ginocchia del Crostascura per fermare i suoi movimenti e distrarlo. In un ultimo, sfibrante scatto, l’uomo divorò la distanza che li separava e si pose alle sue spalle. Il corpo gli supplicava di fermarsi. Il peso della stanchezza era così intenso che a lungo gli sembrò strappargli via le membra madide di sudore dalle ossa.
Il Volkov tese le mani contro Edwin e lanciò un urlo straziante. Raccolse a sé tutte le forze che gli erano rimaste e dalle sue braccia si librò un’immensa forza che mosse una gigantesca massa d’aria in direzione del suo mortale nemico come un travolgente vento delle montagne, accompagnata dall’eco della sua voce roca. Infine il mondo si rovesciò su un lato mentre il Volkov piombava a terra, incapace di reggersi in piedi. Ogni sensazione prese a turbinare nella sua mente come una violenta tempesta. Gettò un ultimo sguardo a Ka Shanzi consapevole che, per una volta, non avrebbe guardato i suoi compagni soccombere… aiutandoli a trionfare. Con serenità l’ultimo spiro di coscienza abbandonò il suo petto, e il Saighdeas perse i sensi.





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lomerin volkoff
( specchietto )



energia: 5%
status fisico: Illeso (!) - Svenuto
status psicologico: Illeso (!) - Svenuto

capacità straordinarie: 2 (Int) 1 (MUA)
equipaggiamento: Splidolk (daga), Arco di Hodr (12/15)
passive rilevanti: Timore passivo (abilità di razza, Avatar)

tecniche utilizzate:
CITAZIONE
il canto dell'inverno: Infine quel morbo apprese come poteva diffondere la sua malattia e spargerla nel mondo sano degli uomini. Quella seppur splendida aberrazione si diffondeva come un cancro, come un parassita, raggiungendo i luoghi più remoti e nascosti che gli uomini maledetti ancora abitavano, realizzando così il grande inverno, il Fimbulvetr. Raccontato e temuto nelle leggende dei popoli dei ghiacci, il Fimbulvetr era un inverno lungo tanti inverni, e tanti primavere e tante estati, dominato dal buio e dal gelo e dalla violenza. Con le loro città invase dalla notte, dai lupi e dalle neve eterne che avevano visto soltanto nelle montagne, gli uomini avrebbero conosciuto il loro lato violento e bestiale in una cruenta lotta per la vita. Avvicinandosi inesorabilmente all'avverarsi della fine del mondo: del Ragnarök.

Era dal loro stesso sangue, dal sangue degli ulfhednar, che i lupi potevano generarsi. Mostri forti, robusti e affamati molto più dei lupi delle montagne, nati per il solo scopo di versare altro sangue ancora. Bastava che soltanto una goccia di liquido cremisi si versasse al suolo che essa iniziava a gonfiarsi come un tumore, divenendo in breve una massa pulsante e famelica, ansiosa di ritornare sangue a mescersi nel sangue altrui: il loro nascere e morire diveniva così una spirale eterna di violenza con tutta la fisionomia di un incubo. Una volta esaurito il loro fine, il loro scopo, essi si accasciavano a terra e si decomponevano rapidamente in una brodaglia fetente cremisi di interiora e sangue imputriditi.
[talento evocatore, razza lupo, livello II; per ogni tecnica di evocazione, nell'istante di evocazione è disponibile +1 cs per una sola creatura; le creature sono evocate istantaneamente; tipologie di evocazioni: -lupo medio, alto 1,5m con 2CS: consumo medio (1), consumo alto (2) (usato due volte); -lupo grande, alto 2m con 4CS: consumo alto (1)]

tramonto sinistro: Improvvisamente il suolo viene invaso dallo stesso gelo che ha succhiato via la vita dalle montagne del nord. La terra famelica di calore sottrarrà lentamente le energie delle sue creature, congelando gli arti inferiori di un bersaglio fino al ginocchio e coprendoli con una sottile patina ghiacciata. Se non distrutto, il ghiaccio causerà gravi danni, in una morsa dolorosa e tenace, immobilizzando il malcapitato per impedirgli di fuggire da quel dolore.
[pergamena iniziale "rovi incatenanti" dello sciamano, consumo alto, potenza media; il ghiaccio causa immobilità per un turno, a meno che non sia distrutto con una tecnica di potenza media].

destati: La forza del freddo succhiava via la vita lentamente, in lunghi e disperati spasmi, seppellendo ogni esistenza in una tomba di nevi eterne: il ghiaccio si plasmava dal nudo nulla, come etere, in forme crudelmente letali che offrivano alle prede lunghi ed estenuanti calvari di tremori, abrasioni, scorticamenti prima dell'assideramento. E quando quei mezzi s'offrivano ad un'intelligenza umana rivelavano la loro capacità di realizzare una tortura straziante, crudele, mirata, oppure violenta e bestiale.
[doppia abilità personale, difensiva e offensiva, consumo variabile (medio, poi basso), elemento ghiaccio]

destati: Protendendo un palmo verso una direzione preferita, lo sciamano scatena in pochi brevi, letali istanti la stessa forza sferzante dei venti del settentrione. Dal nulla infatti si solleverà una bufera di vento impetuosa e gelida, tempestata di frammenti di ghiaccio luminosi e vitrei: la forza della folata è in grado di sollevare in aria oggetti e uomini per brevi ma interminabili istanti di terrore, esaurendosi poco dopo e svanendo così come si è generata.
[pergamena iniziale "vento violento" dello sciamano, consumo alto]

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Lill'
view post Posted on 7/2/2014, 17:22








Lento, nel chiarore lunare della notte lenta,
il vento là fuori muove cose che fanno ombra nel muoversi.


[...]
Riposare.
Dormicchiare, spaparanzarsi. A tutto questo aveva pensato Rick, dopo la faccenda ai piani bassi della torre – in realtà a poco, quindi. Andando a zonzo per i piani bui dell’edificio, il nano faceva quanto più gli era naturale: cercava avanzi succulenti nella mensa, bottiglie forti dalla dispensa. Si sbracava, insomma. Rimirando il prodigio di quell’acqua sempre pronta a pelarti le chiappe, si inzuppò per diverso tempo nei vasconi da basso; diavolerie dietro ogni angolo lì, e nel senso più stretto: forse gliene era presa una anche a lui, con quel lavarsi – ma principalmente voleva solo il caldo. Grattava la scorza dura di sugna, sangume e moscerini impiastrati da troppo tempo, per troppi anni: ma ora non guardava a dove andare, al tempo.
Anche perché ne ebbe poco.

Quando i pezzi grossi arrivarono, cornacchie più impettite, era intento a frugare tra le botti; si intascò una fiaschetta di vino, già fiutata la rogna in arrivo: portare un prigioniero al palazzo dei ricchi, questo gli toccava. Almeno avrebbe bagnato la gola nel viaggio, rimbottò.
Poco dopo, aspettando davanti alla cella tra quelle volte anguste, fece per ricredersi: quel vino forse non ci sarebbe arrivato, al viaggio, tanto quel posto era una rottura. Il corridoio era più una budella di seppia del Ràn, e l’altro incaricato non arrivava; certo, storie pesanti per le sue budella a parte, le voci nella sua capoccia fattesi più grame e precise tra quella pozza di ombre, non andava male. Catino caldo e alcol – non andava male per niente.
Il meglio che arrivava nello scorrazzare di tramonti e facce.
Di sicuro meglio del tizio che arrivò d’un tratto.
Il mio nome è Kel'Thuzak
Macilento e ingrigito, quell’altro ceffo non era certo da meno nel fargli torcere lo stomaco: malgrado il piglio gentile – gentilezza da mercenario, chiaro – un’ennesima inquietudine sembrava galoppare di pari passo ai suoi stivali scuri. “Che ne pensi di questi Danzatori?” Gli fece subito, facendogli tornare in mente come anche lui fosse tra i pochi scampati a quell’ennesimo linciaggio chiamato selezione. Il vagabondo attese: lo squadrò ombroso, le strisce irregolari di pece ch’erano le sue sopracciglia avvicinatesi l’un l’altra. Almeno andava al sodo, il tipo.
Questo Proruppe allargando lo sguardo, dai muri plumbei alle volte sulla sua testa.
…Tutto questo.
C’è qualcosa dietro.

Esalò tornando a scrutare nei tizzoni smorti di Kel, quasi più un sospiro – duro – pesante di acciacchi sulla sua fronte. L’altro cadetto lo invitò a raccattare l’elfo, il loro prigioniero – non suo, no, delle guardie. Armeggiò con le chiavi dategli da uno di quei fantasmi, a cui alla fine aveva visto il culo dolere come tutti senza il fango, un gradino sotto i piedi.

Rick disse soltanto.
E aprì la porta.


dnhIoDn


I mozziconi di torcia incontrati ogni tanto non aiutavano un granché: le insenature della galleria si ritiravano in ombre antiche, e le tre figure, i due barellieri e il vecchio steso, sfumavano tra spezzoni monchi di luce. Scorciatoia tra la torre e il palazzo, gli avevano detto – a non inciampare e rompersi il collo.
Quello del prigioniero era a rischio, tanto delirava.
Mormorio cupo e costante, il vegliardo compensava in rimbotti nella sua lingua gutturale quello che i suoi occhi di cieco non gli davano: Rick aveva poco da dire – che crepasse nel trasporto o dopo, era sempre un peso morto. Certo, condannare uno per aver fatto il santone per strada…
Ma davvero, che c’era da dire?
Di nuovi verbi e imbrogli ne giunsero, tanto; sempre. Accorpato allo stesso grumo buio ch’era il muro, un'altro danzatore li aspettava nell’ombra: “Nuovi ordini”, sputò fuori nel suo rintocco da funerale; qualcosa a che fare con proteggere il nuovo uomo tosto della città, Edwin o quel che poteva valere un nome, e catturare...
“Ashlon”
Come quelle per le scale ore prima, la cornacchia sparì nel buio.
I lamenti oltre il lago,
dall’acqua nera stessa
fatti gli affari tuoi – ombre più antiche.


I due proseguirono. Scrutando dove metteva i piedi, alla fine era solo da ombre che doveva guardarsi: le spalle spettrali di Kel’Tuzack che sbiadivano nell’oscurità del corridoio, giusto fiammelle o aspirazioni a fargli strada per il domani – magari la stessa sua strada.
Il vecchio borbottò ancora.
Fiammelle; eppure come quei suoni gutturali, che mal illuminavano rogne cattive e passate dentro – catarro insanguato, e forze antiche.
Eitinel e i suoi mostri, Ashlon.
Lui non fece un fiato.
Cavò la fiaschetta di vino dalla saccoccia, poggiandola tra capo e collo del predatore: tzè, manco ora stava zitto, il cieco. Fuori da una maledetta carica di prima linea, da una razzia al confine, alla gente prendeva la mania di riempire di parole quello spazio già segnato – perdere tempo verso vie che non finivano. Le parole che contavano erano state già dette, per il vecchio: uno dei pochi arrivi che anche chi frullava panzane lontano dalla mischia doveva ammettere.
Come tutto, era solo da vedere se ci volevi arrivare sobrio.


dnhIoDn


Arrivarono nella sala grande del palazzo della cerchia, nuovo titolo per un rudere rinfrescato di marmi e vernice. Lui notò lo scranno di pietra, lì dove sedeva il vecchio Edwin, e la grossa statua a forma di insetto che risaltava; doveva aver visto più tramonti del vecchio, lì, comunque – la larva di pietra non gli era nuova. C’erano anche altri Danzatori, tra cui il ragazzo con cui era entrato nella torre, che li aveva seguiti – non era una male. Guardingo, scaricò con Kel quell’altro rudere dalla barella, la statua ancora in testa: doveva trattarsi del vecchio Dio dei predatori, già, di cui qualcuno gli aveva raccontato – i suoi vecchi, o forse disegni in manoscritti ammuffiti o la paura stessa; e lui l’aveva sempre associato a un qualche essere cieco, come gli elfi, senza stare troppo a pesare dettagli o contraddizioni.
Si portò verso il gruppo davanti a Edwin, martello e scudo imbraccio.
D’altra parte di quei ciechi parevano essercene come insetti, appunto: tre individui erano venuti a riprendersi il vecchio predatore, prigioniero.
Il lamento del lago, le sue vere ombre.
Se qualcuno aveva pensato di risolvere la faccenda a parole, Rick non s'era proprio illuso: in breve il discorso si fece teso, tra gli elfi e le guardie. Piantò i piedi lontano dal gruppo dei predatori, che poi tutti predatori non erano: due ciechi e un uomo, per qualche motivo ad alzare le armi in quella sala – non che importasse, c’è n’era sempre uno valido.
Inspirò, in un primo istante fermo nel seguire la scena: uno degli elfi, una ragazza, scattò coltello in mano, solo per incontrare la difesa di Kel'Thuzack. Al contempo un altro gruppo di figure, donne o mostri che fossero, pareva dare addosso ai restanti due, elfo e umano -un’ennesima caciara, insomma.
Gli occhi piccoli di Rick non batterono ciglio.
Un fumo nero e scarlatto prese a vorticargli intorno, della stessa sostanza di quelle lotte. Di quegli sforzi.

all'inferno proteggere il vecchio

Perché, davvero, non finivano mai: con un tamburellare di passi pesanti, ferini, delle bestie irruppero dalla porta nella sala, al richiamo dell’uomo davanti a lui. Nonostante la sorpresa generale Rick non ci pensò due volte, non si chiese perché. Come nel pieno di una battaglia infinita avanzò verso le due figure, l’elfo smagrito e l’uomo dei lupi; incontrò una delle bestie a mezzastrada, ruzzolando in un breve tafferuglio
Sangue per sangue,
carne cruda l’unico fatto del mondo, marmocchio

Frapponendo lo scudo si liberò dell’animale, spingendolo di lato, e proseguì verso il suo obiettivo senza troppi ripensamenti. I denti della bestia gli avevano sferzato la coscia, sentiva qualche rigagnolo caldo scorrere nello squarcio aperto nel cuoio – bestemmiò dei senza nome tra i denti; facce confuse di statue di quella o l’altra cittadina in cui aveva prestato servizio da mercenario.
Ma non cercò certezze e vie infinite, per alzare lo scudo.

Un motivo, sì, uno solo, c’era sempre per lottare e crepare: e con lo stesso senso viscerale capì chi si trovasse davanti, anche senza collegare gli ultimi ordini della galleria. Le ciocche linee sottili e cerulee, pallido come la falsa luna lurida che scherniva i combattenti di una sortita notturna, per uno straccio di paga.
Serrò la presa sullo scudo, avvicinandoglisi di gran carriera.
Il fumo si addensò in una sfera davanti a lui, cruenta e bisbigliante cose che già sapeva – da sempre.
Come la luna che ghignava a chi era coperto di roccia e bitume, sangue nero di battaglie infime, o sotto il cielo di pietra di quelle volte sotterranee.

Avanti, faccia di bambola! Sarai il terzo cieco che accoppo oggi!

Poi
scattò, menando il gomito contro le gambe di Ashlon.
Avvertì la mano dietro l’arma irrompere contro qualcosa, pelle od osso e viscere di luna poco importava, e le sue di falangi crepitare; serrò le labbra in una morsa, quei due riporti di cuoio venati di freddo e cicatrici, e trattenne il dolore.
Anche l’elfo parve resistere.
Indirizzando le sue attenzioni alle spalle di Rick che gl’era di fronte, il capo dei ciechi parve comunicare con qualcosa. Sbilanciato dal colpo, il vagabondo riprese stabilità piantando un piede a terra, caparbio. Ma non era il solo. Sbucandogli dal fianco, l’uomo dei lupi gli piantò addosso un buon colpo: preso dalle cincischiaglie di Ashlon, Rick non fece in tempo a scostarsi, e la mazza azzurrina del tipo lo beccò in pieno capo. Argh! esalò, puntando il palmo a terra per frenare la caduta. La testa gli rimbombava di parole e facce gelate – o erano dei? – ancor di più, e la sfera di fumo crepitava al suo fianco, smaniosa di liberare la propria energia. Anzi, era proprio infreddolita, la testa – quasi l’avesse beccato con del ghiaccio il tipo, o l’inverno del Midgard lo braccasse ancora. Che idee balorde.
E aveva pure bevuto poco, dando il vino al vecchio.

Ma, rialzando la testa, non furono le nebbie dell’alcol che si trovò davanti.

Prendendo vita dalla pietra stessa, il dio cieco dai mille occhi e zampe si fletté, sgusciando fuori dal suo piedistallo. Nemmeno il tempo di controllare se era proprio vino quello nella fiaschetta, e il mostro si erse sopra di lui: enorme, quella che non era più una statua stava per piombargli addosso. Svelto, il vagabondo tentò di difendersi, interporre il suo fumo nero per stracciare quell’ennesimo trucco come aveva fatto il ragazzo nel cortile – già, dov’era adesso?
Lui o quelle donne, o gl'altri danzatori, quando i problemi grossi incombevano c'eri solo tu, alla fine.
Percepì appena l'ombra enorme ricoprilo, teso com'era; gli occhi stretti sulla carne verde e viscida, il tentativo di fracassare e ributtarlo al suo posto, quel rudere.
Ah, ma mica li disprezzava Rick, i ruderi: potevi sempre raccattarci qualcosa, specie se non li seppellivi in un lago.
Con uno schianto fu il millepiedi a seppellire lui, la sua difesa vana.

Urlò. Niente di nuovo.
In realtà non perse coscienza, se non per un attimo.
Avvertì parte del corpo del millepiedi spingerlo giù, acquattarlo sulla pietra dura del pavimento; la sfera nera non c’era più, il fumo involontariamente liberato durante lo scontro. Aveva dato la schiena per meglio ricevere l’urto, e dentro s’era sentito qualcosa girare, e spezzarsi.
Dentro.
Che voleva dire poi, spezzarsi – esser coscienti.
Lo era mai stato?
Sano?

Sputò sangue, ma non il bruciore vivo che gli aveva invaso il torace; grondante saliva e odio –primo e puro- si raccattò in ginocchio, volgendosi. Prese a strisciare di nuovo verso i nemici
(c’è ne erano, come la pietra sotto dentro di lui e la luna)
- da sempre
Come la luna che ghignava a chi era coperto di roccia e bitume, sangue nero di battaglie, o sotto il cielo di pietra di quelle volte sotterranee; la luna che era un sogno o un incubo, a gravarti addosso come il peso di storie di paura e una vita di paura e raia, e tu sopporti.

HAH!

Carponi, poi curvo, infine sui suoi piedi, Rick tornò a fronteggiare Ashlon. La mano destra non reggeva più, e lasciò il martello a terra: ma, alzando la sinistra e lo scudo, si avventò ancora una volta sul predatore. Percepiva i movimenti della lotta, mesciati con suoni e spillare di sangue da qualche parte
forse da dietro la sua nuca pulsante,
però non contava mica tanto. O meglio, forse sapeva, quella gozzoviglia di scene violente e rigurgiti alcolici che in lui aveva il posto della coscienza, e un luccio al sugo marcio il posto del cuore; intuiva cos’era e cosa no, dov’era il pericolo e l’alleato e qual’era l’obiettivo più utile a farlo campare.
Stura le orecchie al discorso del capitano, ragazzo
il cantore che dorme coi morti, sta’ lontano dal lago

Gli fu di nuovo addosso, strascicando i piedi. Con il destro, mollò un pestone sulla gamba già ferita di Ashlon, e un brivido sottile gli arrivò fino al ginocchio. Dolore. Fece un altro passo, sfruttando lo slancio del colpo: piantando il sinistro a terra cercò di tagliare la strada all’elfo, ma la gamba gli cedette.
Fino alla fine –l’unica, la più falsa- tutte le strade portano lì
stanne solo lontano.

GAAH!!
Rovinando a terra, il nano menò comunque il suo scudo di taglio sulla coscia del predatore.
E cascò giù.

Frappose una mano alla caduta, ancora, poi l’altra.
Palme sudicie alla fandonia di più vie tra cui scegliere, magari comode,
un ginocchio sulla pietra al conforto che fosse abbastanza
che era tutto a posto sulla sua strada
-da sempre-
Come la luna che non c’era in fondo al cielo

Sputò. Respirando a fatica, sentiva entrambe le braccia bruciare; tentò una prima volta di rimettersi in piedi, ma la schiena scricchiolava: poteva avvertire il cuoio ruvido della sua nuova veste da cornacchia appiccicato alle pelle del torso, l’armatura deformata. Poteva sentire ogni insenatura, il taglio antico delle pietre nel pavimento, e un’altra figura – minuta – al fianco di Ashlon.
E parole.
Non sapeva se il facciadimorto avesse ceduto – non ci sperava; non si augurava che fosse crepato.
non lui, può darti(ci) tanto,
Rick-marmocchio-soldato-straccione.

Sapeva però delle voci nere nella sua pancia, quelle che non avevano mai sbagliato e che pure era inquieto a seguire. Le voci che erano lo sbuffo rauco del suo respiro, la tensione dei muscoli usurati e
il midollo che vomitava fuori dal suo corpo, ora.
Ciò che una torre e dei vecchi visi morti –dei- e delle ombre gli sussurravano –ma non era da loro che scappava?- e che urlò tra i denti nell’inarcare la schiena.
Si sentì uno scrocchio.

unsnvagabond28016
Muso bianco, sibilò tra sangue e vomito.
Gli serviva per il clan e per sé, per tutti i segreti di quella fogna che li avrebbero aiutati a campar di più. Così voleva il grumo di sensazioni alacri che era la sua, di coscienza, rattoppata di voci di gente morta e che ancora doveva crepare.
Rialzò la testa.


(ma il biancore falso del chiardiluna è di molti colori.)






Rick Gultermann
Basso 5%, Medio 10%, Alto 20, Critico 40%


CS: 0 Resistenza
ENERGIE: 100% - 5% - 10% - 20% - 5% - 10% = 50%
Status Fisico: Danno Basso da morso alla gamba sinistra, Danno Basso Autoinflitto, Danno Medio autoinflitto da impatto al braccio destro, Danno Medio da percussione alla Testa, Danno Critico al busto, Danno Basso autoinflitto alla gamba destra, Danno Medio autoinflitto al braccio sinistro [17/32]
Status Mentale: Danno Basso autoinflitto [1/16]
EQUIPAGGIAMENTO: Mazza (mano destra, poi lasciata), scudo di legno e ferro (mano sinistra), Armatura di cuoio (tutto il corpo eccetto mani e testa).


PASSIVE

~Abilità razziale. Il tozzo ancora in piedi.
[Controllo Energetico, Umano]

~Abilità personale. Sopporta!
[Possibilità di resistere a 2 Mortali nel Fisico]

~Abilità da dominio. Io speriamo che me la cavo.
[Possibilità di difesa istantanea – passiva dominio Guardiano liv. I]



ATTIVE

~Batosta III. Questa sedia è la mia sedia!
O questo sasso è il mio sasso!, o questa brocca di birra è la mia brocca!ce ne sono tanti come lui ma questo è il mio!
II. E d'altra parte non si ferma a quello che tocca, la cocciutaggine del nano - non sparisce nel tempo.
Persevera, anzi, riverberandosi nel futuro con tutte le sue sozzate, il cenciume di voglia bastarda che ha: colpisce anche dopo. Il vagabondo sarà infatti in grado, tramite un consumo Basso, la rinuncia ad 1 CS e un danno Basso sia al Fisico che alla Mente, di attaccare con la sua energia oscura senza che gli effetti siano immediatamente visibili: una sfera nerastra si creerà allora, pronta a colpire a suo comando. L'energia, continuando a roteare attorno alla sua panza, si staccherà in un turno successivo a quello in cui la tecnica è stata attivata, a scelta di Rick, colpendo il bersaglio con una potenza Alta.
Senza poter dire che il nano fa cilecca, quindi.
II.[Personale; Consumo Basso, riduzione di 1 CS, Danno Basso a Mente e Fisico, Attacco Alto ritardato][Natura Magica]

~Batosta VII. Larabbia di chi ha fame
II. O c'è un'altra via, per riversare la propria rabbia: sempre una via di sangue e pugni, comunque. Tramite un consumo Medio e un autodanno Medio al corpo, Rick caricherà un colpo fisico dalla particolare pericolosità. Esso causerà se colpisce un Danno Critico, ma potrà essere contrastato come una tecnica di Potenza Media. Ciò è dovuto alla particolare enfasi posta nel colpo, che risulterà più impreciso del solito.
II. [Personale, Consumo Medio e Auto-danno Fisico Medio, Potenza Alta e Danno Critico, difendibile con Potenze Medie][Natura Fisica]

~Batosta VII. Larabbia di chi ha fame
I. Quando si ha lo stomaco vuoto è dura non essere nervosi - è dura pensare, muoversi piano. Si sarà incazzati, come Rick, con tutti ma invero con nessuno. Si ricorrerà a quanto si ha, tutto. E il nano ha dalla sua delle potenze carnali e antiche, vortici scuri e lampi scarlatti: li userà per rendere i suoi prodigi più forti quand'è disperato, più insidiosi. D'altra parte egli ricorre a forze oscure, risvegliate da chi brama anche sole briciole: e dunque pagherà lo scotto di tale potere, indebolendosi nel fisico.
Come un affamato - come chiunque prima o poi.
Tramite un consumo Nullo, Rick è in grado di rendere per 1 turno (quello in cui casta la tecnica) le proprie tecniche magiche di un grado di potenza superiore rispetto alla norma. Come contreffetto, però, egli sarà più vulnerabile a quelle fisiche, da cui dovrà difendersi come se avessero un grado di potenza superiore rispetto al normale: a prescindere dal momento di cast, infatti, nel turno in cui la tecnica viene impiegata le difese da colpi fisici del nano si vedranno indebolite.
I. [Personale; Consumo Nullo, potenziamento/depotenziamento Magiche/Fisiche, 1 turno][Natura Magica]


~Batosta II. Lui se ne fotte!
II. In maniera simile egli si comporterà con incanti magici, buffonate da saltimbanchi.
Tramite un consumo Alto, Rick sarà in grado di dissolvere completamente una tecnica di natura Magica, purchè questa abbia potenza pari od inferiore ad Alta.
II. [Personale; Consumo Alto, Dissolvenza Magiche, Potenza Alta][Natura Magica]

~Batosta I. Il colpo del disperato
Grande risultato, minimo sforzo. Poco importa se con un acciacco in più, qualche graffio: l’importante è risparmiare le forze.
Rick l’ha capito bene nei suoi vagabondaggi per terre brulle e inospitali, e per questo ha imparato a centellinare al meglio le forze nei suoi colpi: sia in difesa che in attacco, il nano sarà in grado di azioni per potenza equiparabili a tecniche dal consumo [medio], ma con un dispendio di energie che è invece [basso].
Di sicuro niente viene fatto per niente al mondo, insomma, e per questo a risentire del colpo scagliato è l’arto che il nano ha impiegato, con una ferita [leggera].
Ma ne vale la pena!
[Pergamena Martirio, Iniziale; Consumo Basso, attacco/difesa di potenza media][Natura Fisica]




Riassunto e note: In accordo con Confronto, Rick nel primo turno casta "Questa sedia è la mia sedia!" accusando un basso al fisico e uno alla mente, oltre che la perdita di un cs; subisce un danno Basso dall'attacco del lupo e usa "La rabbia di chi ha fame II" per colpire con una gomitata Ashlon, con autodanno Medio al braccio Destro. L'attacco è rivolto ad una gamba dell'elfo.
Nel secondo turno subisce un danno Medio alla testa da Lomerin, quindi prova a usare senza successo "Lui se ne fotte! II" contro il millepiedi, avendo prima attivato "La rabbia di chi ha fame I": subisce allora un Critico dall'attacco fisico dell'evocazione al busto. Nel contempo rilascia "Questa sedia è la mia sedia!", attaccando genericamente Ashlon.
Nell'ultimo turno, non senza grandi difficoltà Rick si rialza forte della passiva di sopportazione dei 2 mortali, quindi attacca Ashlon con "Il colpo del disperato" con la gamba sinistra, subendo lì il relativo autodanno Basso. Mentre crolla a terra con qualche costola rotta, infine, colpisce (o prova, almeno) ancora con "La rabbia di chi ha fame II", con il braccio sinistro, subendo il relativo autodanno Medio lì. Il primo attacco è inteso a colpire la gamba già ferita del predatore, il secondo l'altra gamba.


Edited by Lill' - 7/2/2014, 21:00
 
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view post Posted on 15/2/2014, 15:54
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La lama della spada era sottile, scintillante, argentea come il filo di un capello di donna ed allo stesso modo seducente, mordace, ammaliante. Per un attimo quel sorriso verace scintillò negli occhi di Edwin mentre l'uomo, immobile, fissava senza in realtà vederla la perfezione di quell'arma tanto bella da apparire quasi grottesca.
Tanto surreale da avere un che di demoniaco.
Di diabolico.
"Questa è l'anima di mia madre"
aveva ribattuto senza battere ciglio Leanne quando lui, curioso, non aveva potuto fare a meno di domandarle la provenienza dell'oggetto.
"Temprata nel sangue di coloro che ha spezzato"
La piccola non doveva avere più di quattro o cinque anni, per cui era stato con un mezzo sorriso che Edwin aveva ribattuto, sogghignando
"Davvero Aris ha fatto tutto ciò? Eppure mi sembra così buona e cara"
E con semplicità, tanto disarmante quanto grottesca, la piccola aveva allora a sua volta sorriso con la medesima indolenza e ironia da lui mostrate, quasi che, per un attimo, fosse stato lui il bambino e lei l'adulta.
"Aris non è mia madre"

Ed allora, piccolo mostriciattolo,
chi diavolo è tua madre?


"Torna qui, Leanne"
disse dopo un attimo, facendo poi segno a due Danzatori di raccogliere da terra il Primo fra i Predatori, ora svenuto a terra. I capelli dell'elfo rivolavano a terra come delta di fiumi argentei, tanto belli da far dolere la vista.
Edwin socchiuse una volta le palpebre.
"Portatelo nelle segrete e provvedete affinché venga curato. Morto non mi sarebbe di alcun aiuto"
Con un lieve inchino, i due sollevarono l'elfo senza sforzo, quasi egli fosse stato privo di peso, avendo cura in ultimo di aggirare -e non calpestare- la figura di una donna ancora riversa a terra poco distante. Un fiore di ragazza, aveva pensato Edwin scorrendo la prima volta lo sguardo su di lei.
Un fiore già appassito, suo malgrado.
Che avesse dovuto coglierla prima senza fare tanto il cerimonioso?
Alicia, questo il suo nome, ora non era altro che un corpo statuario a ridosso del nero abisso di Neirusiens.
Con un semplice gesto Edwin fece segno ad altri -non importava chi fossero- di provvedere a lei e all'elfa di nome Aileen.
Liberata la vista, l'uomo si concesse un lungo sospiro.
"Per il servizio reso a Neirusiens"
esalò ponendo allora una mano sulla spalla di Leanne ora fattasi più vicina
"Provvederò affinchè tutti voi riceviate la ricompensa che vi spetta. Spero che quanto accaduto oggi mini l'animo dei Predatori quel tanto che basti per concederci, anche solo per un giorno, di dormire sonni tranquilli"

Ma, nel momento stesso in cui tali parole uscivano dalle sua labbra, Edwin capì di avere torto.

-O-

Gulf làtar
Gulf avgrunden
drömmar
för mig att jag nu har den lilla drömmen
den dag då natt och dag
vakenhet och sömn
kommer sà smàningom att förenas för att ge mig frid


"Conosci l'elfico?"
Alger era un giovanotto basso e tarchiato, piccolo di statura ma forte di braccia. Un tempo garzone alla bottega del falegname di Neirusiens e ora null'altro che un prigioniero della Torre del Fato.
Stava con la fronte poggiata alle sbarre della cella, uno sguardo svilito a rendere ancora più goffi e pesanti i suoi tratti grossolani.
Poco distante, sdraiato su una panca per metà muffita, un uomo sulla trentina, media corporatura ora smagrita in una figura snella e indolente, staccò un morso dal tozzo di pane che egli aveva conservato dal rancio giornaliero. Sapeva di muffa anche lui, ma dopo un po' nei sotterranei di Neirusiens ogni cosa pareva trasudare acqua e fradiciume.
Con una smorfia l'uomo fece spallucce
"Qualcosina"
Alger sospirò
"Qualcosina da capire cosa diavolo sta blaterando quell'elfo pazzo da una settimana a questa parte" sibilò "O qualcosina da farti desiderare che lo decapitino a breve -il più dolorosamente possibile- come me?"
L'altro sogghignò piano, infilandosi con malagrazia l'ultimo boccone di pane in bocca e mugugnando tutto il suo disgusto.
"Abbastanza da dirti che non c'è nulla di allegro o interessante in ciò che quel pazzoide sta cantilenando"
disse quando ebbe deglutito l'amaro boccone
"Fra tutte le loro qualità i Predatori non godono certo di uno spiccato senso dell'umorismo"
Fu il turno di Alger di sogghignare.
Sacrosante parole.
"Ma se io volessi comunque sapere che ha da lamentarsi quel tipo laggiù?"
Il compagno di cella fece spallucce.
Poi però, proprio quando Alger iniziò a credere che egli non avrebbe tradotto un fico secco lasciandolo a brancolare fra il dubbio e l'esasperazione, iniziò a salmodiare

"Abisso che canti
Abisso che sogni
sogna
per me che poco ho ormai di che sognare
il giorno dove notte e giorno
veglia e sonno
saranno infine uniti per darmi pace"


Per un attimo Alger non trovò nulla da ribattere.
Poi, pacatamente, sospirò con fare derisorio -in parte deluso, in realtà-

"Si sta cantando il funerale, dunque.
Bel senso dell'umorismo"

con sua sorpresa, l'uomo alle sue spalle scoppiò allora in una risata fragorosa, il volto solitamente scontroso a stemperarsi di una sara e genuina ilarità
"E' un'invocazione, imbecille"
Suo malgrado, la rivelazione non suonò affatto tale alle orecchie di Alger che rimase basito al proprio posto, incerto sul sentirsi offeso o preso in giro dalla reazione del compagno di cella.
Cogliendo l'antifona, l'uomo si mise allora a sedere
"Una preghiera. Un qualcosa a metà fra i canti celebrativi e le salmodie religiose. Entrambe sono solitamente utilizzate per ispirare gioia e speranza in coloro che le recitano"
Lo sguardo di Alger si arricciò appena prima che questi, imbarazzato dall'improvvisa lezione cavata dal nulla dal suo -apparentemente- scontroso compagno, non si toccasse goffamente la nuca con una mano grassoccia.
"Sarà"
esalò
"Ma a sentirla, a me quella nenia non ispira nè forza nè speranza"
Con uno scatto, l'altro si tirò in piedi
"Perchè non è quello il suo scopo"
La sensazione di essere inciampato fu grande per Alger
"Cosa intendi? Tu hai appena detto..."
"Mai sentito parlare di canti di guerra?"
lo interruppe l'altro affacciandosi a sua volta alla cella
Il ragazzo annuì, stentando però a seguire il filo del discorso
"Chiunque egli sia, fossi in te farei ben attenzione a quel soggetto che tu hai definito -elfo pazzo-. Forse ora la sua voce è sola in questo lerciume di prigione, ma temo che presto ve ne saranno molte altre ad unirsi a lei.

Nessuna dotata del benché minimo senso dell'umorismo"


-O-

"Quanto tempo abbiamo?"
la voce di Edwin era ora slavata come i suoi occhi. Ferma, eppure sottile, quasi che per qualche ragione la sua anima galleggiasse di sillaba in sillaba.
Marlow si schiarì la voce, rigido nella propria posizione marziale
"Un mese, forse due. La liberazione di Ashlon sembra qualcosa che nessun Predatore intende rimandare a lungo"
L' ex Crostascura ammiccò stizzito
"Troppo poco"
Come suo solito, egli sostava dinnanzi alla finestra del suo studio, un uomo in grigio in uno spicchio di vetro
"Non so se saremo pronti in così poco tempo. Gli elfi conoscono meglio di noi tanto Neirusiens quanto la montagna che la racchiude"
Poco dietro, Marlow sbattè una volta le palpebre
"Le nostre forze in campo sono però superiori"
replicò asciutto
"E abbiamo i Danzatori"
Edwin annuì piano
"Ma i Danzatori soli non possono vincere una guerriglia. Sai bene quanto me che il loro potere è un'arma a doppio taglio che potrebbe esserci fatale"
"Ma allo stesso modo potrebbe condurci alla vittoria"
obiettò asciutto l'altro
"Specie ora che abbiamo la donna..."
Edwin lo zittì con un gesto nervoso
"E' troppo presto."
Troppo presto?
L'uomo sull'attenti non poté evitare di accigliarsi.
Eppure gli esperimenti su Aris erano già cominciati. Quanto tempo sarebbe occorso per ottenere i risultati?
Ciononostante non osò contraddire il proprio superiore. Si limitò, gelido, ad annuire lentamente.
"Dunque"
riprese dopo un attimo
"Quali sono gli ordini?"
I fuochi di Neirusiens, quelli accesi dagli elfi durante l'ultimo rituale, non si erano ancora spenti ed ora, vacui, tralucevano distanti sul volto grave di Edwin.
L'uomo portò entrambe le braccia al petto.
"Date ordine di addestrare le truppe e prepararle al combattimento.
Radunate il consiglio di guerra e fate intendere che al prossimo incontro esigerò una strategia chiara e definita con la quale affrontare l'immanente aggressione Neiru.
Trovate quei novellini e promuoveteli a qualcosa, gradirei che elementi del genere non fossero usati come carne da macello"

esitò un attimo
"Tenetemi inoltre informato di ogni sviluppo riguardante la donna"
Nell'ultima frase il suo viso parve tradire una lieve emozione, un lieve barlume di calore che l'attimo dopo egli si diede cura di annichilire con un movimento affettato
"Potere andare"



Ed eccoci qui ^^
Scusate per il ritardo, impegni mi hanno tenuto lontana da Asgradel. Inizia qui l'ultima fase (2 turni) di questa prima quest che, unitariamente ad una scena ed un'altra quest molto simile a questa ome durata, segnerà la conclusione della saga Primogeniti.
Lo scontro fra Elfi e Umani è oramai immanente. Edwin parla di un mese, forse due, ma quel che è certo è che i Predatori sono alquanto desiderosi di liberare Ashlon e riprendersi una volta per tutte ciò che spetta loro. E' solo questione di tempo. Entrambe le parti si preparano dunque al fatale giorno, cercando come possibile di addestrare le nuove reclute, mettere a punto piani di guerra e tentare insomma di assicurarsi la probabilità di vincere.
Come citato nel post, tutti gli appartenenti alla fazione Edwin avranno rapidamente accesso a promozioni e ruoli di comando grazie alle ottime qualità strategiche dimostrare nel catturare Ashlon (e difendere Edwin) che presto verranno testate "nel concreto". Per quanto riguarda la fazione Ashlon, nel post tutto tace, ma assicuro che anche li vi sono piani in atto.
Questo turno sarà fondamentalmente consacrato alla preparazione della battaglia imminente. La guerra, insomma, sarà per intero decisa da voi attraverso una affatto semplice fase pianificatrice da svolgersi interamente via mp (essendo, per definizione, segreta). I vostri pg hanno un mese. Voi una settimana
A breve invierò a tutti voi un mp con il quale inizierà questo "confronto segreto" dove i vostri pg avranno, appunto l'opportunità di esprimersi come meglio credono secondo le proprie inclinazioni, abilità, desideri etc.
Per intentanto, vi consiglio di leggere attentamente la descrizione che posterò di seguito. Si tratta dei luoghi in cui per certo si concentrerà la battaglia e sul quale ogni scelta strategica potrà vertere per influenzare gli esiti del conflitto. In ognuna di queste descrizioni ho inserito degli "hot spots", degli snodi cioè dove è opportuno che il vostro occhio cada nella fase di pianificazione. Inutile dire che più snodi troverete (e vi occuperete), più è probabile che l'esito del conflitto volga a vostro favore.
Detto ciò, a breve l'mp!


Palazzo della Cerchia
Il Palazzo della Cerchia è l’antico Tempio di Neiru. Si tratta di una struttura esagonale al cui centro sorge la statua di Neiru (un millepiedi). In quel punto, la struttura è priva di soffitto, essendo il tetto progettato per lasciar trapelare luce direttamente dai fori della montagna sovrastante Neirusiens. La struttura si compone di quattro piani, tutti egualmente accessibili e percorribili nella parte più esterna dell’edificio (il perimetro, in sostanza). Il primo piano ospita biblioteche e uffici. Il secondo piano le stanze di scribi, notai, segretari ed in genere tutti coloro che si occupano dell’amministrazione cittadina di Neirusiens. Il terzo piano ospita le stanze delle guardie della struttura e dei membri della Cerchia di Diamante. All’ultimo piano vi sono le stanze di Edwin e dei membri della Cerchia il cui potere si concretizza in ogni azione politica all’interno di Neirusiens. A tutti questi piani si accede mediante scale a muro sfarzose ed eleganti.
Nel seminterrato del Palazzo si collocano le cucine.
Il Palazzo è costruito con mura solide e antiche, difficilmente sfondabili. Le finestre che danno sull’esterno sono alte e svettanti (stile gotico, per intenderci), famose per proiettare all’interno giochi di luce di rara bellezza.

Torre del Fato
La Torre del Fato è l’edificio più imponente di Neirusiens. Essa si innalza per un numero imprecisato di piani (10 o 20) in una struttura uniforme e compatta, dalla forma spiraleggiante. Di forma cilindrica, la torre si presenta cava all’interno, una sorta di pozzo scoperto nella parte superiore. Malgrado la sua altezza, la torre non presenta alcuna finestra all’esterno, poiché tutta la luce viene convogliata dal tetto mancante. Le stanze si trovano nella parte più esterna la circonferenza della Torre, raggiungibili attraverso scale a muro che si inerpicano sulla dura pietra in un percorso instabile e sdrucciolevole. I più saggi si servono dei collegamenti interni alle stanze per giungere in cima alla torre.
Lungo la torre si trovano dormitori, stanze d’addestramento, biblioteche, armerie, laboratori e tutto ciò che possa ricordare una vera e propria “scuola” –sebbene marziale-. (…)
Nel piano inferiore si trovano invece le cucine e i bagni, famosi per le vasche termali.
Più sotto, collegate attraverso una lunga ed imponente scala a chiocciola, si trovano le prigioni, completamente sviluppate nelle profondità della terra, scavate nella roccia e sottratte a fatica dall’infiltrarsi continuo del Lago. Grandi argani e dighe mantengono le prigioni all’asciutto e, opzionalmente, possono essere utilizzati per allagare i sotterranei in caso di pericolo.


Quartiere Neiru
Situato nella zona periferica di Neirusiens, il quartiere Neiru si presenta come un labirinto di case e casupole di antica costruzione il cui cardine si trova nella lunga via principale che lo attraversa per intero. La via e le case sono completamente costruite in nera pietra, legate fra di loro da ponti sospesi, carrucole e scale in comune. Ogni casa dà ad una parte sotterranea Neirusiens, il punto in cui si trova il “vero” quartiere Neiru. E’ questo il centro nevralgico della vita Neiru, un mosaico che dalle profondità si snoda sotto tutta la città arrivando a connettere ogni edificio di Neirusiens, perfino i più sicuri. Pochi sanno dove si trovi il quartiere generale dei Predatori, sebbene gli elfi non temano di renderlo noto: chiunque si addentri nel dedalo sotterraneo sotto Neirusiens senza sapere dove andare, è irrimediabilmente destinato a perdersi.

Gallerie Neiru
Tutt’attorno Neirusiens si snodano le gallerie anticamente costruite dai Predatori per “depistare” chiunque desiderasse giungere a Neirusiens senza “invito”. Si tratta di un’opera incredibile, per lo più ancora inesplorata per gli umani della città sia per la loro complessità che per la loro pericolosità: uomini e animali non sono infatti gli unici esseri a smarrirsi entro queste gallerie.
Noti attraverso le leggende, le gallerie sono interrotte a tratti da imponenti cancelli –sbarrabili o apribili solo a prezzo di grandi energie e potenze- e vere e proprie avamposti, dai quali anticamente i Predatori pattugliavano costantemente le gallerie antistanti la città.

 
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view post Posted on 27/2/2014, 01:10
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Come tante sottili mani dentro le narici, mille profumi di erbe medicinali gli solleticarono delicatamente l’olfatto. Il caldo abbraccio dell’acqua termale e dell’acqua densa nella seducente morsa del godimento, privandolo momentaneamente di ogni altro bisogno. Piano intuì di essere sveglio, ma non sapeva dire da quando: il suo sguardo abbandonò il cielo buio, piegandosi su sé stesso e inoltrandosi tra i vapori. Lomerin era interamente immerso in una vasca termale, e il suo corpo era sorretto nel vuoto da filamenti di piante che lo sorreggevano delicatamente, poco sotto la superficie dell’acqua e appena stretti perché potesse sentirli, come dei rampicanti che si erano avviluppati intorno alle sue membra. Il piacere gli ottenebrava la mente, simile ad un potentissimo veleno. I suoi occhi vagavano per la stanza senza meta, nulla cercando, mossi dal puro istinto: un vecchio elfo sedeva al suo fianco, il volto contratto nella meditazione.
Nel riconoscere Ka Shanzi, il dolore del passato giunse a restituirgli tutto il suo peso. Le ultime immagini che ricordava di Aileen piovvero su di lui nella nuova veste di ricordi passati, e realizzando che quell’elfa, quella donna non era più sentì un’indescrivibile pressione nel cuore, leggera e inconsistente eppure così forte da mozzare il respiro. Quel caldo liquido opaco divenne un nemico mortale intento a trascinarlo sul fondo. Lomerin si trascinò in avanti in uno scatto fulminio e violento, strappando gli insopportabili filamenti che lo incatenavano. Il suo volto cercò lo sguardo dell’elfo, segnato da una sofferenza impronunciabile.

Sono lieto di rivedervi in salute, Ka Shanzi” gli confessò, flemmatico. Lasciò che quelle parole risuonassero nella veste di gelida e ipocrita cortesia, ma una parte di lui era davvero lieta di avere qualcuno a cui poterlo dire. “Cosa sapete dirmi della sorte di Ashlon?”
La gioia di vederti in salute è mia, Saighdeas” rispose. “Senza di te ora la mia anima starebbe fluttuando nell’Ahm”. L’anziano elfo aveva lasciato che il dolore del corpo coprisse quelle del suo cuore. Sopportando dignitosamente le ferite incurate, l’elfo gli porse una camicia e dei calzoni puliti. “Non che il desiderio non solletichi la mia mente, ma solo gli stolti abbandonano la vita prima del tempo.” Sorrise, levandosi lentamente in piedi. Sembrava che non avesse potuto beneficiare della sua stessa cura, ma l’intuito gli suggeriva che l’aveva rifiutata.
Lomerin non disse nulla, incapace di ammettere a sé stesso che la gratitudine di Ka Shanzi era ben riposta: era stato un debito ad imporgli quella condotta, null’altro, e non avrebbe accettato meriti non suoi. Rifiutò i suoi ringraziamenti nel modo più rispettoso possibile, restando in un silenzio debolmente polemico.
Ka Shanzi non reagì. “Purtroppo Ashlon è stato preso dai Danzatori ed ora, ahimè, voci ci riferiscono essere rinchiuso nelle segrete della Torre del Fato in attesa che Edwin decida cosa fare di lui. I più temono che egli desideri giustiziarlo come monito a tutti i Predatori.

Saighdeas si tuffò nei suoi pensieri, cercando di evitare la sofferenza e la rabbia che albergavano nel suo cuore. Ma quell’impresa sembrava una strada cosparsa di affilati frammenti di cristallo, ed era dannatamente vicina al liscio sentiero della disperazione. La malvagità di Edwin era pregna della sua saggezza, e del tutto priva dell’impulsività elfica: il monarca non avrebbe ucciso Ashlon, non con la consapevolezza del potere del suo ruolo. Gli elfi si sarebbero gettati nella più terribile delle trappole pur di salvarlo, pur consapevoli di tutti i rischi. I nemici avrebbero atteso la mossa dei Predatori prima di reagire: nell’immenso panorama degli ostacoli alla loro vittoria, quello poteva essere il loro unico vantaggio. Ad un certo punto, tuttavia, l’ultimo barlume di lucidità nella sua mente si ruppe e la rabbia, il senso di colpa, il rimorso assediarono il suo spirito.
Avrei dovuto fermarlo, Ka Shanzi?” si sfogò all’improvviso, levando la voce roca nella piccola stanza “avrei dovuto oppormi alle sue parole? forse usare la violenza contro di lui?” Guardò Ka Shanzi dritto negli occhi, quasi cercando una risposta nel colore vacuo delle sue iridi prima che l’elfo potesse proferire parola. “E’ colpa mia. Se non lo avessi fermato... forse non ci sarei riuscito, ma non lo sapremo mai. Ma Ashlon potrebbe essere libero, e lei potrebbe essere viva.
Si voltò, come nell’intento di nascondersi per la vergogna del suo fallimento. “Non mi restano altre scelte” disse, camminando piano nello spazio intorno alla vasca. “Andremo. Saremo furtivi e veloci, com’è necessario che siamo per uscire da un luogo in cui non dovremmo entrare. Nello stesso momento, tutti i Predatori marceranno per tornare finalmente dove il grande Neiru li attende, da molti inverni ormai.” Le mani di Lomerin si levarono contro una parete della stanza, e i pugni urtarono con forza la nuda roccia. Il dolore ne attraversò capillare le dita, come a sottolineargli la veridica fatalità delle sue parole, come a suggellare un patto di morte dal quale non sarebbe mai tirato indietro. Con la coda degli occhi l’uomo fissò Ka Shanzi. “Ma voi conoscete questa città. Voi pensate già chi può aiutarci in quest’impresa. Voi sapete come convogliare l’ira degli elfi in qualcosa di giusto.

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Io ho bisogno della vostra guida
si costrinse a dire, realizzando in un istante il delicatissimo equilibrio della sua posizione. Da quel momento non gli era concesso un solo errore, altrimenti si sarebbe condotto da solo a macellarsi nelle oscurità di un precipizio senza fondo.

L’elfo salutò la sua determinazione con un largo sorriso. Nel sentimento che gli mosse il viso Lomerin riconobbe le tracce di una gloria e di una bellezza perdute. “Aileen era la mente dei Predatori. Ashlon la forza. Ma io sono la memoria” dichiarò. “Sono uno dei più vecchi qui e puoi stare certo che non esiste angolo di Neirusiens che io non conosca; vieni con me." Nell’iride spenta del vecchio ancora una volta qualcosa s’illuminò. Per la prima volta il Volkov notò che Ka Shanzi lo stava vedendo con gli occhi. Lomerin lo seguì attraverso un arco di pietra e si inoltrò nelle tenebre insieme a lui. Non fu difficile seguirlo, ma ben presto la strada fu troppo lunga perché potesse ricordarla. Sentì in quell’istante l’abissale differire della sua vista con la loro: gli elfi avevano avuto molti inverni in più per abituarsi al buio della Kavresh Ni Va. Ka Shanzi seguiva una traiettoria così precisa che sembrava poterla percorrere anche ad occhi chiusi: all’improvviso, dopo un tempo che non riuscì a contare, una debole luce si proiettò in fondo alla strada.

Lomerin e Ka Shanzi attraversarono un altro arco senza porta. Le deboli torce illuminavano un ambiente circolare ampio, nel cui pavimento di roccia si levavano meravigliose pareti di ossidiana, lisce come lastre di vetro limpido, come specchi d’acqua posti sopra la pietra nera di sfondo. Non sapeva dire se il tetto fosse anch’esso scolpito nell’ossidiana, oppure così alto da svanire nel buio. Al centro della stanza svettava un’altra statua del millepiedi Neiru, simile a quella che aveva tentato di mangiare Edwin. Dalla sua immensa mole si dipartivano altri percorsi che conducevano in altri posti dell’immensa città di Neirusiens, scavando numerosi fori nella roccia lavica. Tutt’intorno si riuniva la rimanente popolazione dei Predatori: Lomerin da lontano si tuffò tra di loro, leggendo lo sconforto nei loro volti, la disperazione nelle loro voci, la frustrazione nei loro occhi. Il sangue del Volkov si raggelò insieme alla speranza di quelle persone: sembravano troppo pochi per poter sferrare un’offensiva. Ka Shanzi si avvicinò a lui, notando che il malumore del suo popolo stava inumidendo il suo cuore come fetente fango di palude.
Sfortunatamente molti di noi sono stati catturati dai Danzatori” gli rivelò, lo sguardo adombrato da una muta sofferenza. Le sue parole echeggiarono nel silenzio di Lomerin, deluso dalle circostanze. “Da questo punto si può raggiungere qualsiasi luogo di Neirusiens, Saighdeas” aggiunse poi l’elfo, all’improvviso. Le sue braccia si stesero a coprire orgogliosamente il grande perimetro della stanza. “Negli anni oscuri gli elfi si rifugiarono qui nella speranza di sfuggire alle armate immortali di Eitinel... Invano.

D’un tratto il nero estendersi della stanza parve rivoltarsi su sé stesso, assumendo una nuova, improbabile veste. Le parole di Ka Shanzi penetrarono il suo spirito, simili a spade alla ricerca dei suoi organi, andando a fendere l’ombra del suo sconforto come un foglio di pergamena. Che Edwin conoscesse o non conoscesse quella loro arma segreta, l’unica cosa che poteva fare era temerla. Forse sarebbe stato più cauto, ma conoscere soltanto l’atteggiamento del nemico poteva essere per i Predatori un vantaggio immenso.
Lomerin si volta verso di lui pieno di compiacimento, guardandolo con fiducia rinnovata. “Edwin attende il nostro attacco, e se conosce questo luogo avrà già schierato le sue forze” sottolineò con tono grave. “Ma lui non è Dama Eitinel, e i suoi Danzatori sono uomini. Combatteranno una battaglia persa in partenza.” Si voltò un attimo a guardare nel buio, poi ritornò a rivolgersi a lui. “Inoltre questa non è l’unica arma di cui disponiamo: gli uomini di un tempo temevano gli spiriti del cielo, il fuoco ed il buio. Gli stolti uomini di quest’era non temono più gli spiriti del cielo, ma conservano l’antico timore per il buio e le fiamme.
Il vecchio elfo assentì. “Di chi dovremo avvalerci?

Per un attimo, l’ombra dell’incertezza gli attraversò il cuore rapida come una gelida folgore. L’ampiezza della domanda lo spiazzava: quell’anziano gli stava mettendo in mano lo scettro e la corona. Le sue parole avrebbero guidato un popolo alla conquista del suo regno. Quella consapevolezza giunse velenosa a ricordargli quanto non fosse tagliato per quel ruolo, quanto fosse un perfetto estraneo per tutti coloro che stava aiutando, quanto lui stesso si sentisse diverso nei loro confronti. La sua stessa mente gli propose pensieri che possibilmente già viaggiavano velenosi nella mente di ogni elfo in quel luogo: Lomerin scrutò i loro volti, i loro visi segnati dalla disperazione come dalle cicatrici di vecchie battaglie. Uno di loro, spaventosamente simile ad Ashlon, ricambiò il suo sguardo, fissandolo in lontananza con due languidi occhi privi d’iridi. Poco lontano, Aileen si voltò all’improvviso e si unì a lui. D’un tratto Lomerin realizzò quanto quella questione fosse diventata personale, per lui. Che gli elfi volessero seguirlo o meno, lui avrebbe tentato di percorrere ogni sentiero, di contemplare ogni possibilità.
Finalmente anche lui riuscì a sorridere al vecchio. “Chiunque sappia combattere. Desidero uomini veloci, abili con le armi, resistenti al dolore e alla fatica. Desidero numero: non possiamo giocare, non al cospetto di Neiru.” Il Volkov iniziò a muoversi avanti ed indietro, guardando oltre i suoi passi. Una strategia lentamente prendeva concretezza dentro il suo cranio, nota solo a lui ed a lui soltanto. “Il fuoco farà il resto.
Tirò un lungo respiro. “Con me desidero cacciatori e assassini. In mezzo al caos ed alle tenebre, i Danzatori potranno godere di una morte veloce ed indolore, come Ashlon desidererebbe. Questo compenso ricevono quei luridi servi del nemico per le loro sanguinose colpe.
Non servivano ulteriori parole: Ka Shanzi aveva afferrato ogni punto della sua strategia e non aveva senso che fosse ulteriormente chiaro. Il suo volto però era segnato dallo stupore.

Se solo la metà di ciò che hai progettato si verificherà per davvero, allora la vittoria sarà nostra” gli disse, dando voce ai suoi timori. “E' però mio dovere ricordarti che, a differenza nostra, i Danzatori brulicano letteralmente di comandanti ai quali saranno destinate altrettante truppe e per esperienza so che soldati guidati sono decisamente più forti ed efficienti di quelli lasciati soli. Medita bene su quali Predatori portare con me e...destinare a me.
Purtroppo ne sono consapevole” ribatté lui. “Spero soltanto che la voce della disperazione sia tanto forte quanto quella di un comandante.” L’uomo sollevò la mano e le dita indice e pollice si andarono ad intrecciare lungo i sottili, neri fili di barba. La cautela dell’elfo aveva acceso la scintilla che gli serviva per concludere la sua tattica in bellezza. Le languide iridi blu di Lomerin sembrarono trasformarsi in fiamme incandescenti, bruciando forti come la sua ostinatezza. La mano sollevata all’improvviso si tuffò nel vuoto e, chiudendosi a pugno, batté sul palmo dell’altra. “E’ su questo che faremo leva. Il caos che creeremo spezzerà le loro fila. La sorpresa ed il terrore segneranno la loro fine.
D’un tratto numerose immagini si disegnarono nella sua mente, sovrapponendosi confuse tra di loro. In tutto il tempo che aveva passato a Neirusiens, Ka Shanzi si era inaspettatamente dimostrato indispensabile in tre diverse occasioni: fermandolo da un attacco suicida contro i Danzatori, conducendolo da Ashlon e portandolo via dal Tempio di Neiru prima che Edwin catturasse anche lui. Lomerin strinse lo sguardo, sicuro di quello che stava per dire come non lo era mai stato. I suoi occhi mostrarono soltanto la parte forte del suo spirito.

Desidero che siate voi a sferrare i nemici il colpo di grazia” gli disse, tutto d’un fiato.
Molto bene, Saighdeas, farò così...
Che Neiru sia con noi, perché nessun altro lo sarà
.”

◊◊

Giorno dopo giorno, quella conversazione si era progressivamente allontanata nel tempo. Ma la Mente dei Predatori mantenne ancora una volta la sua parola. Mai come prima Saighdeas si sentì parte di un gruppo, di qualcosa. Il popolo dei Predatori era un popolo lugubre, silenzioso, affine all’ombra e al buio, ma ogni elfo era leale e sincero con l’altro: ognuno di loro era sensibilmente differente dagli uomini, capaci di pugnalarsi alle spalle e dalle lingue velenose, pur essendo forti creature del dì. Mai come in quelle occasioni critiche Lomerin avrebbe potuto conoscere veramente l’animo di quelle persone, con la triste consapevolezza che tanto più li conosceva, tanto meglio li conosceva, tanto prima li avrebbe persi, uno per uno. Lentamente scoprì di allenarsi a combattere sé stesso, più che il nemico. L’impegno non gli avrebbe forse dato speranza, ma lo avrebbe distratto dalla disperazione che dilagava nel suo spirito. Che gli altri elfi stessero facendo lo stesso?


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