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I Primogeniti » Onde di Fumo

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.Azazel
view post Posted on 2/3/2014, 12:41




I Primogeniti
Onde di Fumo, Atto VI
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Lo scontro si era concluso in loro favore, avevano vinto solo una battaglia. Non la guerra. Tutti sapevano che il giorno in cui i Predatori sarebbero giunti a liberare il loro capo - e a reclamare il potere che affermavano di loro diritto sulla città - sarebbe stato un giorno di sangue, morte e combattimenti. Certamente la schiera dei Danzatori era assai temibile e agguerrita ma anche la controparte Neiru era tutt'altro che sprovveduta e disorganizzata. Ripulito il luogo dell'incontro, apparentemente diplomatico ma poi trasformatosi in un'arena di combattimento, Kel e Adam vennero accompagnati nella Torre del Fato dove vennero curati e rifocillati a dovere, terminata la fase medica vennero scortati alle loro camere.
Non vedeva l'ora di sprofondare in un letto caldo e dormire fino al giorno seguente: lanciò uno sguardo ad Adam e la sua espressione indebolita e stanca parve dello stesso avviso.
Chiuse la porta alle sue spalle e depose corazza e armi, s'infilò a letto e crollò immediatamente fra le braccia di Morfeo. Fece una sequenza di sogni che mai fece in passato: ripercorse a ritroso l'esperienza che fino ad ora aveva vissuto a Neirusiens. Il combattimento con Ashlon, la difficoltosa fuga fuori dalla cella nonché prova per guadagnarsi nuova libertà, la prima volta che vide in azione le figure nere ed enigmatiche che altro non erano che i Danzatori, l'arrivo in città dal porto. Tutto era talmente vivido, concreto e tangibile attraverso i sensi che gli parve di riviverlo per una seconda volta, solo quando si svegliò capì che era tutto frutto della sua mente e della memoria, nonostante tutto rimase per diverse ore dubbioso sul sogno. Non tanto per ciò che aveva visto nuovamente, piuttosto il modo con cui vide il tutto: troppo reale, percepibile, corporeo. Molto raramente i sogni avevano caratteristiche simili, perlomeno per quel che gli riguardava. I pensieri vennero rapidamente rimpiazzati dal giorno che seguì: Rakshin prelevò sia lui che Adam e in silenzio li accompagnò in armeria.

« Lord Edwin desidera ricompensarvi per il servizio reso. Vi chiede di scegliere l'arma che più vi aggrada e prenderla con voi. »
Esclamò in modo piatto e indicando i vari raggruppamenti di armi presenti nella stanza. Kel rimase fermo mentre gli occhi viaggiavano da destra verso sinistra alla ricerca di un'arma particolare, diversa fra le altre, ma nulla: dinanzi a lui non vide altro che armi comuni, per lui prive di valore. Nonostante tutto non abbandonò l'idea di poter trovare qualcosa di valore in mezzo a tutte quelle cianfrusaglie metalliche: socchiuse gli occhi per un paio di secondi e li riaprì, il mondo intorno a lui parve mutare ed essere percepito tramite un nuovo e strepitoso senso in grado di captare tutte le emanazioni energetiche e vitali della zona. Subito focalizzò la propria attenzione su una fonte di energia, l'unico oggetto e unica arma che possedeva qualche genere di potere. Si avvicinò alla teca nella quale era racchiuso un pugnale dall'acciaio nero, Rakshin intuì immediatamente che il fiuto del goryano andò a scovare il gingillo di maggior valore nella stanza e non poté fare a meno di sorridere.

« Hai fiuto per le cose belle, ragazzo. Ma attenzione: tutte le cose belle hanno un prezzo. »
Kel ignorò completamente il - non più di tanto - velato avvertimento del vecchio Danzatore e si avvicinò alla teca per afferrare il pugnale.
Non appena sfiora il pugnale e lo impugna nella mano destra inizia ad avvertire una fitta dolorosa salirgli lungo le dita e dilagare lungo tutto il corpo: cadde a terra, sulle ginocchia ed in preda agli spasmi, il tocco con l'acciaio del pugnale sembrò avergli troncato di netto il respiro e reso impossibile il compito di immagazzinare aria nei polmoni. Dopo pochi istanti di puro dolore e vero terrore alzò gli occhi verso il pugnale, quest'ultimo brillava di una luce rossastra, color sangue. Nascose il pugnale sotto il mantello e tornò verso Rakshin, anche Adam fece dietrofront mentre impugnava una nuova spada, lunga e affusolata; entrambe le scelte sembrarono compiacere il Danzatore che con un mezzo sorriso riprese a parlare.

« Molto bene. Ora, se volete seguirmi, vi mostrerò quali saranno le vostre principali occupazioni all'interno della Torre del Fato. »
Furono le ultime parole che sentì da Rakshin prima di intraprendere un lungo e duro periodo di allenamenti e ritualità. Per diversi giorni sia Kel che Adam si trovarono immersi negli addestramenti riguardanti il corretto uso di varie tipologie di armi e nei vari stili di combattimento da impiegare con esse, studiarono diverse varietà di arti magiche, eseguirono esperimenti alchemici ma soprattutto si dedicarono alle pulizie della Torre del Fato.
Il lavoro più duro e spossante era sicuramente quello di risaltare lo splendore della Torre, ripulendola.
Dopo diversi giorni un altro Danzatore fece loro visita e ordinò di seguirlo.
Vennero portati nuovamente nel Palazzo della Cerchia: si fermarono dinanzi a una porta, la guardia la aprì e se ne andò, i due entrarono in quello che doveva essere lo studio del braccio destro di Edwin.
Mossero diversi passi in avanti addentrandosi in quella spoglia stanza composta solo da una libreria, una discreta quantità di armi appese alle pareti e una scrivania dietro la quale Marlow era intento a studiare una mappa raffigurante Neirusiens.

« Per ordine di Edwin, vi nomino ora Custodi. Questa carica vi permetterà di avere al vostro comando truppe di reclute appartenenti ai Danzatori. Siate degni del ruolo che vi è stato assegnato. Immagino sappiate cosa sta accadendo a Neirusiens di questi tempi. »
Il volto era dei più cupi e la voce delle più serie ed autoritarie: Marlow era il degno assistente di Edwin.
Il Mezzanima non aprì bocca si limitò a fare un cenno col capo. Le parole erano inutili in quel contesto, oramai tutti erano a conoscenza dell'imminente e fatidico scontro e lo si poteva denotare dall'incremento degli addestramenti che avvenivano nella Torre del Fato.

« Abbiamo ragione di credere che i Predatori si stiano preparando a combattere per il dominio di Neirusiens e la liberazione di Ashlon. In base alle informazioni in nostro possesso è probabile che gli attacchi si concentreranno nella zona della Torre, del quartiere Neiru, delle Gallerie e del Palazzo. Quali sono le vostre opinioni? Avete dei suggerimenti? »

« Ritengo opportuno sorvegliare a vista il prigioniero. Io, Adam e altre guardie saremo l'ultimo ostacolo qualora i Neiru fossero in grado di penetrare fino alle prigioni. »
Era la più semplice strategia che chiunque sarebbe stato in grado di mettere in atto ma a volte sono proprio le strategie più semplici a divenire le più efficaci e pericolose per i nemici.
Il Diavolo s'annida nei dettagli.
Aveva già in mente un piano per chiunque avesse osato tentare di liberare Ashlon, non vedeva l'ora di provarlo.
Marlow approvò le parole del goryano e annuì lentamente.

« Molto bene. Potrete scegliere una truppa a vostro piacimento per l'impresa. Quale pensate possa essere la più adatta allo scopo? »

« Ho già un piano in mente, signore. Lasci fare a me. »
Sorrise in maniera sinistra e guardò Marlow dritto negli occhi cercando di comunicargli la sua sicurezza e la sua brama di sangue Neiru. Il consigliere di Edwin non mosse ciglio mentre Adam parve leggermente intimorito dal ghigno diabolico del compagno ma nonostante tutto non si scompose.
Kel'Thuzak girò i tacchi e Adam lo seguì come la sua ombra.
Si diresse verso le prigioni dove Ashlon era rinchiuso e dopo diversi minuti nei quali tentava di organizzare al meglio la propria strategia comunicando ordini a destra e a manca avvertì la sua voce risuonare fra le pareti e nell'aria in modo anomalo, innaturale. Inizialmente fu difficile concepirne l'origine ma dopo pochi secondi la direzione fu chiara: la cella di Ashlon.

« Sei forse in cerca di una triste storia da raccontare, giovane Danzatore, oppure è solo il mio sangue che desideri? »
Sorrise nella direzione di Kel; nella sua voce non vi era astio e rancore.

« Desidero solo una cosa: che chi detiene il potere in questa città continui a mantenerlo. »
Esclamò serio e deciso. Non si sarebbe fatto abbindolare dal fascino del Neiru e dal suo stile, la sua affabile pacatezza e bontà d'animo non avrebbe fatto breccia nel cuore nero e roccioso del goryano.

« Chiunque cercherà di liberarti andrà incontro ad una dolorosa morte. Per mano mia e grazia al bacio letale della mia spada. »
Tagliò corto stringendo con veemenza l'impugnatura di Neracciaio.
Aveva già fatto la sua scelta da tempo, oramai era un Danzatore, una guardia di Neirusiens. Inutile dire che il Neiru parve aspettarsi una risposta del genere da parte di Kel, difatti si limitò a sorridere.

« Che le nostre strade non debbano incrociarsi mai, allora. Perché quando i miei figli verranno a liberarmi, sarà con la vendetta nel cuore che reclamerò il sangue di coloro che Edwin chiama amici e alleati. »
Il tono era dei più tranquilli e pacati ma solo uno sciocco non poteva raccogliere la velata minaccia insita nelle parole del Neiru che, terminato il breve dialogo, si rimise a cantare riempiendo la lugubre prigione con la sua voce cristallina e pura.
Quando i tuoi figli arriveranno troveranno solo la loro tomba.
Sorrise in risposta al prigioniero e senza proferir verbo se ne andò organizzando gli ultimi preparativi per l'arrivo dei Predatori.
La battaglia era alle porte mentre i preparativi per accogliere gli sgraditi invasori s'accingevano a terminare: si sentiva fiero del piano messo in atto ed era pronto ad agire non appena il clima giù nelle prigioni fosse diventato incandescente.

 
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Lill'
view post Posted on 2/3/2014, 17:01








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Il vapore si alzava con una forza segreta, vibrante di fumi e risvolti invisibili nonostante la sua lentezza. Si alzava torcendosi e spillando verso il soffitto, goccia dopo goccia; quasi acquavite a colare dalla barba di un tizio al bancone, solo al contrario, dal basso in alto. Quasi lo sfrigolare dell’aria sopra un uccelletto alla griglia in osteria, con le sue spezie piccanti; o il fumo per una piana, su da una pila di corpi dopo la battaglia, il suo afrore.
Rick rimaneva a mollo.
Buttatosi in uno dei grossi vasconi di metallo come tutte le sere, l’acqua lo ricopriva fino al collo, mentre lo sguardo barcollava verso il soffitto. Lo stanzone era vuoto, data l’ora, annebbiato dal vapore in tutta la sua altezza. Pietre dal taglio ricco, piastrelle da cattedrale là su: l’occhio si perdeva tra i dettagli più insignificanti, lo spazio tra le mattonelle e le arcate.
Hah, cosa lo aveva, invece?
I musi della gente?


Il nano boccheggiava come un gonzo alle vampate di calore, fermo. Un braccio appeso fuori dalla vasca, si baloccava ogni tanto con l’altra mano, intrecciando i peli in alto e in basso sulla pancia. La schiena gli pizzicava un po’, ancora, tra la caciara di qualche giorno prima e gli allenamenti quotidiani: niente di irreparabile, però era solo fuori. Lo stagno rovente dei tubi che sputavano l’acqua, i contorni delle colonne sgrigite dall’umidità: non aveva bisogno mica di sognarlo alla fine di qualcosa che?, lo svacco che cercava.
Perché che qualcuno lo considerasse il fine, quello spaccarsi la schiena che faceva dalla mattina, per lui non era proprio concepibile.
Un altro ordine di idee – no, di sbroccate e bicchieri; e quelli non li contava manco in ordine, se per questo.
Si grattò la coscia con un'unghia rotta, facendo sfrigolare un po’ del pus della ferita tra le bolle d’acqua in superfice. Ah, cagnacci e bruchi, per non parlare del bernoccolo: se lo beccava gli avrebbe restituito il favore, a quell’altro umano mercenario.

Ma così, senza incazzarsi.
Da una parte dovevi anche capitare di starci, alla fine.

Strabuzzò un occhio vitreo giù dal soffitto, piantandolo da un'altra parte. Lo sgabelletto di noce e paglia
arrivato come lì, poi, il legno? Doveva essere una qualche barattaccio tipo quelli della sua vecchia, i commercianti delle foreste
reggeva a malapena tutti i suoi indumenti, pesanti come non mai. Sempre logori. Si concentrò un attimo sulle due accette scure, quei ferri in miniatura che gl’avevano mollato quel giorno: se andava come per la veste da cornacchia o la vecchia roba, pensò, il filo delle lame non sarebbe durato per tanti lanci. Ma poco male - finché non si spezzavano.
Aveva ancora in mente gli occhiacci di quel tipo, la cornacchia ingrigita – Rakshin si chiamava, il vecchio. Scegliere l’arma che più vi aggrada, gli aveva detto. Ricompense da Lord Edwin, aveva suggerito, con lui e il moccioso dell’entrata che si grattavano la testa davanti a una schiera di aste granlavorate e acciai puntuti.

Ma a parte quello s’era contenuta con le cerimonie, la vecchia cornacchia.

Tornò a grattarsi più in basso, grugnando qualcosa tra le labbra. I capelli sciolti e la barba si spandevano in su e in giù, appiccicandosi una volta alla punta dell’acqua e l’altra alla faccia, e coprendogli il viso. Dei passi si dileguarono oltre la porta, fumosi, qualche tardivo della caserma che si affrettava a tornare in camera.
Tra il pagliericcio nero della sua chioma qualche altro muso inutile si delineava, misto al vapore, altre cornacchie e donne e mazzate; e un figura slanciata, dalla pellaccia dura e infame come lo sguardo insensibile della luna, ora riflessa nell’acqua. Altri passi risuonarono.
Cagnacci e bruchi, e

demoni
che si fottessero.


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Quando si svegliò aveva la bocca impastata.
La lingua non voleva muoversi – per quel che serviva -, macerata nel vapore bollente per tutta la notte. I rumori della caserma gli arrivavano sferraglianti e confusi dal corridoio, questa o una diavolo di altra qualche anno prima. Si alzò.
I colpi ai manichini erano il passatempo di quella cricca di guardie seriose in prima mattina. Una legnata all’altezza del collo, il manico di ferro freddo e rorido dalla brina dell’Eden; una botta dritta al petto, quella fottuta umidità che Rick si portava nelle ossa – o più dentro – dal Midgard. Da lontano le cornacchie più nel giro li valutavano, vedendo come mollavano questo o l’altro colpo.
Poi era ora di pranzo.
Non disse di no ad un bicchieruccio di vino, malgrado la botta della sera prima. Consumò quelle quattro radici e il pesce che gli toccava, le lische appiccicate sul pizzetto; poi tornò nel cortile, a marciare. Il pomeriggio volgeva in una sera riluttante di stelle, tipo uno stomaco un po’ contrariato – troppa roba ingurgitata, troppe grane
Il ventre della montagna, Kavresh ni Va
Quello che era, con i nomi – purché non attendesse di andare in una latrina, il gigante, e scaricare tutte quelle moschette punzecchianti che erano loro nell’oblio. La melma che c’è in fondo ti toglieva tutta la voglia di svolazzare, d’altra parte, ingalluzzirti con allenamenti e guerre per il potere, chiacchiere roboanti. Finì di pestare il fango del cortile, per adesso, e si preparò alla cena. Fango gelato, già, avrebbe dovuto dirlo a tutti quei tizi: qualcuno pareva osservarlo ancora mentre rimetteva a posto i manichini e le aste, tutte le chincaglierie di cui facevano uso durante il giorno
o la notte, mica c'era differenza.
Con pazienza, i primi giorni passarono così. Poi si stufò.

La mensa era gremita. Le fragranze di spezie ed aglio si mescolavano all’odore del sale, secco e forte, grattato via dalle viscere delle caverne. Nonostante la grigia disciplina della torre – una cricca di beccamorti, a dire di Rick – qualche voce pareva levarsi lì, un principio di casino. Il nano si aggirava per i tavolacci con una scodella in mano, brodo di funghi fumante di erbe. Non pareva dar troppo preso allo sferragliare di piatti e posate, rumore di metallo costante, e agli schiamazzi: in un guizzò trovò la sua panca.
Con un cenno salutò il vecchio davanti a lui, preparandosi al pasto. Soffiando quanto bastava per non pelarsi – non troppo, almeno – si ficcò la prima cucchiaiata in gola; spezzò un pezzo di focaccia rinsecchita, e masticò piano.

Che?

Esalò con un tono di voce basso, reso ruaco dalla brodaglia di traverso e dall’umidità costante. Di fronte a lui Rakshin, che era stato a spiargli il culo da quando aveva messo piede nel cortile degli allenamenti – forse per vedere se rompeva subito le accette che gl'aveva donato, già, o per le fiaschette che si imboscava in cantina; o forse perché non aveva proprio voglia di spremersi più di tanto e si notava, Rick, a menare manichini e marciare – lo guardò piano. Si prese il suo tempo, e con un enfasi lenta, quasi uno stiracchiarsi delle membra, replicò al nano: “L’hai ancora con te?
Mh?! il vagabondo inarcò un sopracciglio, scrutando torbido il danzatore lì davanti. Le figure di reclute che sgusciavano tra i tavoli dietro il vecchio passarono come scie sulle sue iridi scure, lo spazio freddo e le volte in su nel salone si spezzarono-riapparvero in uno sbattere di ciglia. Di getto annuì. Il nano si portò una mano ruvida e ingiallita dai calli al petto, e guardò di nuovo l’altro; attese.
Sono qua per…questo
Rakshin sorrise appena. Accucciandosi verso il vagabondo, lui e la sua zuppa, scandì cauto le parole. “Dunque sei tu colui che gli elfi stanno cercando come dei pazzi giù al quartiere Neiru. Stentavo a crederci quando mi hanno parlato di un nano...al Nord non ci sono nani”. Rick poteva scorgere le venature scure dei suoi occhi, adesso, quell’altro disgraziato perso in un lavoro pomposo e infame – forse. Per qualche motivo il vecchio pareva quasi divertito, e lo capiva.
Dovevi pure procurati il pane alla fine, età o meno – e spassartela quel che potevi.
Hai idea di cosa porti con te?
Rick scosse la testa, indolente. Piegò in un arco d'indifferenza le labbra, per poi ficcarsi un’ennesima mestolata in bocca, e mugugnare qualcosa. Mhhidea - no. Ma per quei facciadimorto serviva a scacciare le... abbassò ancora la voce -i mostri; e lo vedremo presto chi scaccia cosa, per quello che si dice in giro...

..Si diceva anche che pagavate bene, per questo genere di incarichi!

Accompagnò l’ultima frase battendosi il petto poco sotto il collo, vagamente, e stiracchiando con un chiaro scricchiolio la schiena. Rakshin abbozzò un sorriso, di nuovo – quella sola cosa lo faceva un po’ diverso da tutti gli altri manichini imbellettati di nero, là dentro. “Non ti pagherò per quell'oggetto, nano”, soffiò; “Poiché esso apparteneva a me
ed è per una ragione ben precisa che era mia intenzione inviarlo ai Sorya

Poi si interruppe, in un lento sospiro; l’occhio del vecchio era fermo su di lui, e le iridi pece del nano contraccambiarono ancora lo sguardo, gravi. “Pensavo che loro avrebbero capito, vedendolo, quale diavoleria sta accadendo qui, a Neirusiens.

Se Edwin e i Danzatori sapessero ciò che ho fatto, probabilmente mi taglierebbero la testa sedutastante, eppure è giusto che i Sorya sappiano, che voi tutti sappiate
un altro battito; olio ferroso nelle vene e palpebre che si toccano – stanza e buio che si mischiano-dividono, generando per un secondo figure vaghe e tremule, quando le ciglia indugiano a staccarsi le une dalle altre.

Prima che sia troppo tardi
oh, in qua e in là – cosa conta, quando hai vagato in un deserto di bianco e nulla - sangue -
E per cosa?

Le due figure si avvicinarono, gomiti sul tavolaccio di legno crepato dall’umidità, e attesero un altro istante. Uno solo. Rakshin si guardò un’ultima volta intorno, Rick buttò giù la sua mestolata di zuppa e scansò la ciotola. “Ora ascoltami bene…
Dopo qualche bisbiglio l’anziano danzatore si alzò, andando via senza una mossa o un fiato. Rick rigirò per un istante il cucchiaio nella scodella vuota, concentrato sul nulla. Poi buttò lo sguardo verso il tavolo, per vedere se il vecchio aveva lasciato qualche manicaretto in avanzo.


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Con un tonfo e alzando una nuvola di polvere, la gabbia di metallo cigolante si fermò, avendo toccato il fondo. Dopo qualche secondo si avvertì un pugno battere, e la porta si aprì. Rick emerse dalla carrucola con una torcia in mano, le palpebre socchiuse nel tentativo di focalizzare i volti nel buio dell’androne: la folla di persone davanti a lui fece un gesto che richiamava vagamente un saluto militare, smettendo di far caciara d’un tratto. D’altronde che poteva aspettarsi, da degli avanzi di galera.
Il nano si assicurò meglio gli stivalacci di cuoio, prese un respiro. Quindi si avviò alla volta del ragazzo davanti agli altri, un gesto stizzito della mano a dire di farla finita con tutte quelle cerimonie.

E’ tutto pronto”, lo approcciò il moccioso dell’ingresso, quello con cui si era invischiato nell'ennesima serie di rogne – sperava almeno valesse davvero qualcosa, quel ciottolo maldecorato che si portava al collo.

Scrutò rapidamente le facce degli altri, uomini vecchi e giovani assembrati in quella specie di campo-base sotto le fondamenta della Torre. Avevano piantato poche fiaccole in cerchio, tutt’attorno, per delimitare la zona di partenza da quell’inferno di buchi e cunicoli che si diramava fino al diavolo sapeva dove abbastanza lontano, sperava. Denti neri e segni sulla faccia, questo vedeva – niente di nuovo: gli rinvenne del momento in cui lui e il ragazzo li avevano scelti, sottraendoli alla galera. Lui stesso era apparso contento, il moccioso, quando Rick aveva proposto di fargli da spalla: “Come no”, gli aveva detto. Ed era stato scambiando quattro chiacchiere con Tias, proprio con lui, che gli era venuto in mente: gli stava chiedendo se sapeva qualcosa della vita “femminile” della città, qual’era la donna più in voga – se aveva sentito di una ballerina un po’ attempata. Stavano scaldandosi le mani in una sala da basso, di fronte a una stufetta – e gli era tornato in mente come si erano conosciuti.
Trucchi e baldraccatte, appunto, il moccioso aveva fatto il resto.
le cose che si fanno per due soldi, insomma

Mh
Acconsentì con un breve cenno della testa, ripulendosi la barba dalla fuliggine della torcia – ce ne aveva messo a scendere, quella scatola di ferro. Avanti, allora berciò, e, lui e Tias in testa, si inoltrarono per le gallerie.

Avanzando cauti, in gruppo, i cunicoli Neiru li aspettavano come una bestia assopita. Rick aveva fatto preparare bene i suoi uomini, con zaini colmi di rampini e funi e provviste, eppure non riusciva a scacciare un languore nella pancia che gli diceva di guardarsi le spalle, di cercare cose che scappavano dietro ogni angolo. Rimase in testa al gruppo, martello in mano. Le infiltrazioni antiche del lago avevano dato forma ai cunicoli, plasmando colonne e buche nella dura roccia; più di una volta il nano si trovò a far correre la mano verso le accette, certo di aver visto qualcosa dietro a uno spuntone di calcare o ad una svolta – ce n’erano tante.
Ricordi, era in cunicoli tipo questo che lui ci ha portato un volta, per nasconderci. Mentre cercava un posto adatto in superficie – prima di andarsene.
Ricordi, piccolo, Neirusiens?

I mille budelli di roccia si divincolavano al loro fianco, rendendo difficile capire quale fosse la via principale, quale la secondaria, le prospettive – cosa illuminava la luce delle torce, e cosa era l’ombra di cosa. Seguendo le indicazioni su quanto le cornacchie avevano esplorato fin ora, però, riuscirono in qualche modo a ritrovarsi: uno scribacchino dietro Tias si dava da fare a interpretare svolte e passaggi, illuminando degli appunti incartapecoriti con una lampada. La luce soffusa dell’attrezzo, più forte della torcia in mano al vagabondo, mostrava un mondo distante ere e leghe, fatto di maestose sale che si aprivano all’improvviso nella roccia, colonne calcaree a sostenerle – il piscio del lago sulle loro teste. Un mondo fatto di intrecci di rocce bucherellate e puntute, trame e braccia sottili scolpite dal gocciolare dell’acqua che si buttavano nell’abisso; di piante iridescenti, piccoli mostri che lui aveva già visto nel Midgard contorti e avidi di luce, funghi stregati e mica commestibili – ci aveva provato.
E fatto anche di due mucchi d’ossa gettati ad una svolta, quel mondo, cadaveri ammucchiati contro una parete. La testa fracassata di uno, chissà da quanto, aveva fornito un nido a vermicelli sfrigolanti e al muschio, che si era intrecciato fin sotto alle costole. Uno dei tizi dietro di lui urlò all'orrore, la mammoletta, ma lui lo zittì con un calcio: evidentemente non s’era mai ritrovato a dover mangiare un (ex)camerata, il tizio. Mai disperso in un deserto gelato, con i cadaveri di ciò che restava della tua compagnia intorno.
Lasciò i due scheletri addossati al muro, strappando un fungo violetto da un orbita fracassata. In silenzio.
Ordinò
lui stesso che avevano buttato a far le mansioni più infime, heh
a qualche uomo di pattugliare le gallerie in cui erano passati, giusto per rendere sicuri i dintorni.


Presto giunsero al primo cancello.
Simile a quelli visti sul Ràn quando era arrivato giorni prima, un muschio iridescente lo irradiava; il metallo arrugginito nell’aria rorida rifletteva una luce malevola, e scure striature di ruggine lo percorrevano. Si fermò a guardarlo, cupo.
Ricordi, tipo quello che devi aver visto quando hai lasciato la città per la prima volta, cercando fortuna – come ho fatto io!
Ricordi, peste, Neirusiens?

Ah, ma quello che era: dopo aver accettato l’incarico alla torre, gliel’avevano segnalato come uno dei punti più lontani ad essere stati esplorati, appena scorto da un gruppo di guardie alle strette col cibo. Fece montare gli arieti agli uomini, e avvertì il crepitare del legno, stringendo il manico del martello.
Lui aveva in mente di restare di più.

A lavoro finito il ragazzo gli si parò davanti.
Aspetta a passare, voglio dare un occhio”. Lui era seduto su una roccia. Fasciandosi la mano scorticata a forza di menare, alzò sbrigativo lo sguardo, e acconsentì. Tias si inoltrò per qualche passo oltre il metallo divelto, portando con sé uno dei tizi di fiducia – doveva cavarsela come lui con quei trucchi, evidentemente.
Come pensavamo. E dovrebbe esserci un accampamento poco più avanti” tornò poco dopo dalla galleria oltre il cancello, la fronte un po’ sudata “Beh, ora è tutto a posto. Dovrebbe andare…” sospirò, porgendogli il pacco di fogli sudici che aveva requisito allo scribacchino. Rick squadrò con calma i segni e la mappa, increspando soddisfatto le labbra sotto i baffoni – un segno era quanto capiva lui, al massimo. Andiamo, allora.
L’accampamento Neiru era abbandonato, e Rick lasciò ai suoi uomini spazio per accendere un fuoco e cenare. Mandò Tias a riposarsi, mettendo qualcuno di vedetta; quindi si inoltrò verso una capannetta mezza crollata, una mano sul petto. Nell’androne scavato nella roccia, tutt’attorno, nelle piccole costruzioni decadute e tra le fitte colonne di calcare ora fiammeggiavano piccoli punti gialli. Nessuna stramberia mortuaria, però: fuochi per mangiare, non bislaccherie da facciadimorto.
Senza cambiare espressione il nano si girò, dando le spalle alle luci – scrutando il buio della capanna e dei ruderi lasciati dagli elfi.
Dentro se stesso.
Quindi cacciò fuori il ciondolo trovato al mercato dei Neiru, guardando attraverso il suo occhiello.
come gli aveva bisbigliato Rakshin

Ricordi, tra tutte quelle figure tremule di fantasmi e straccioni che mi chiedevano un posto, quando la compagnia passò per le montagne – ricordi chi scelsi? E i fantasmi che ti portai a vedere dopo, per i campi di battaglia – la sua tomba?
Ricordi, moccioso, Neirusiens?


Ciò che vide non lo sconvolse troppo.
Guardando attraverso il buco in quella pietruzza altre cose si aggiravano tra i fuochi, più ombre del dovuto nell’accampamento abbandonato. In principio Rick sussultò, è vero; sbatté più volte le palpebre sotto le sopracciglia di mulo, e ne seguì i movimenti fumosi: profili di ombre incerte vagavano per l’androne, come creature sfuggenti a sparire e riapparire tra i cunicoli.
Ma lo sapeva, in qualche modo.
Gli spettri dei facciadimorto, i mostri di un tempo passato, con cui dovevano essere in combutta i danzatori –
tutto, tutto quello.
E' mia intenzione affidarvi una truppa di Danzatori”, gli aveva detto; e “scegliete bene anche il luogo ove collocarvi”, aveva proseguito il tale Edwin, signore a questo giro di quel buco infestato ch'era Neirusiens e impettito nei suoi giochi di guerra. E lui, Rick, avrebbe anche scelto di star nelle prigioni – tra tutte quelle voci che gli balzavano in testa, e che ora parevano sdoppiarsi in due tonalità distinte, spesso ancora sentiva del Cantore; e voleva cacciarci qualcosa, da tutta la fatica per catturarlo –
dai ricordi delle melodie e le lagne oltre il lago.
Poco importava contravvenire ai consigli di Rakshin – quell’altro bacucco -, le gallerie non erano state la sua prima scelta. Ma non per paura, o perché preferisse davvero una via rispetto ad un’altra: sempre melma c'era, nel fondo delle cose.
Era più un languore della pancia, solo quello, lo stesso che non l’aveva fatto trovare impreparato alla vista di quelle scie nere, usando la pietra del vecchio.
Ma adesso, in ogni caso, i suoi demoni erano stati richiamati.

Quando tornò il campo era in subbuglio.
Gli uomini andavano di qua e di là per le gallerie inesplorate, minacciando sibili e bestemmie ad animali e mostri senza nome. Il ragazzo lo raggiunse alla svelta, destato dal suo riposo, e lo informò al volo: “pare che Gretile il guercio e un altro tizio manchino, Rick. Stavano facendo la guardia da quella parte” indicò una serie di gallerie dove i suoi uomini si erano raggruppati maggiormente.
Il nano ritirò un po’ su col naso, portando la torcia in quella direzione, quasi che la corta leva del suo braccio potesse aiutarlo a vedere meglio. Ma già sapeva, in qualche modo – non c’era bisogno di altro. Slegò il martello dalla cintola e guardò Tias, solo un breve cambiamento tra le rughe di quella faccia cupa. Andiamo a vedere.


Quando tornarono al campo base sotto la torre, qualche giorno dopo, quasi una decina di uomini erano arrivati a sparire nel nulla. Un altro paio erano impazziti, suonati da voci di mostri o ombre o dal desiderio di uscire e respirare un po’ d’aria che non fosse tanfo di gattabuia o di caverna. In ogni caso, non era riuscito a trovare una spiegazione.
Fermi come stoccafissi del Ràn, due danzatori aspettavano il suo rientro davanti all’ascensore.
Come prima spedizione non era andata male, tutto sommato, e i suoi uomini avevano scovato lo scovabile in giro e fatto quanto detto: ora li aveva mandati a riposare su nella torre, e solo lui e Tias erano rimasti. Seduti in un baracchino non lontano dall’ascensore, il ragazzo annotava tutti i punti d’interesse e le svolte giuste sui fogli ingialliti, e Rick giochicchiava con una borraccia di liquore. Alla vista dei due danzatori ad attenderli, non troppi passi in là, aveva ficcato la mano sotto la veste e gl’era balzata in testa una cosa.
Con calma, facendo finta di buttare giù l’ennesimo sorso, avvicinò la pietra di Rakshin alla borraccia, curandosi di non essere visto.
Poi ci guardò dentro.

Nuove ombre erano ad attenderlo.

Non si trattava solo dei contorni foschi e indefiniti delle tante figure, quelle che vagavano come sospinte da un vento invisibile per i cunicoli; nei giorni prima ne aveva viste spesso, per le gallerie, e anche ora - inconsistenti e quasi irreali, gabole di un qualche fattucchiere – lo attorniavano. No: quegli stessi danzatori parevano diversi, a guardarli attraverso quell’affare – più neri, se possibile, quasi che i loro contorni vibrassero nella medesima aria di tenebra che agitava le ombre. Neri, sì, ma a parte gli occhi: fari di luce bianca che lo puntavano impietosi, e -forse solo nella sua testaccia di mulo- gli bisbligiavano

Ricordi, Neirusiens?

Possiamo andare, ho fatto.” Fu la voce del ragazzo a richiamarlo,
come per i demoni, anche lui; ma da quale inferno del passato a quale?
i pacchi di fogli in mano. Con un cenno nervoso Rick scattò in piedi, rimettendo il pendaglio al suo posto, e prese a camminare verso l’ascensore e i danzatori.
Avevo pensato…” il ragazzo si fermò d’improvviso nel cammino, tenendo gli occhi chiusi e serrandosi la radice del naso tra pollice e indice. Si mise spalle ai Danzatori giù in fondo e, massaggiandosi la fronte, riaprì gli occhi. “Dovremmo mandare qualcuno a studiare sui libri, lì nella torre. Ci sarebbe tanto da sapere sulle gallerie, e un uomo a darci supporto dalla libreria…beh, potrebbe farci comodo” lasciò la frase in sospeso, rigirandosi per controllare la posizione dei due Danzatori.
Ah, fece Rick, aggrottando la fronte, e sostenendo il suo sguardo furbo. Sì. Scegli tu quelli giusti, e poi fammici parlare disse in un bisbiglio concitato, ripulendosi con la lingua i denti dal sapore del liquore.
Si riavviarono verso l’ascensore, e risalirono.


dnhIoDn


...E questo è tutto
troncò cauto Tias, avvicinandosi allo sgabello dove la roba di Rick era ammassata. “Ti lascio la mappa e le note qui – tranquillo, niente scritte. E' passato circa un mese dalla prima uscita. C’è tutto quello che abbiamo fatto finora…” confusa tra il vapore, il vagabondo non riusciva a scorgere la figura del ragazzo nella grossa sala da bagno. Immobile nel suo vascone, però, sentiva chiaramente la sua voce. “…Anche perché, stando a quello che si sente, non credo avremo altro tempo.”
Bff! Scorticandosi la fronte con le unghia scheggiate, Rick mugugnò qualcosa di incomprensibile. L’acqua calda gli addolciava la scarpinata dei giorni precedenti, i cancelloni da abbattere e le ombre e bestie per le gallerie. Buttato nel calore di quel bagno, ecco, poteva quasi pensare di sciacquar via storie e seccature per un po’ – ma non di più. Tempo per far altro -che?-, una vita al caldo e trovarsi nel giusto ad accalcarsi con elfi o umani:
Balle.
I polpastrelli induriti dai calli incontrarono un grumo di carne sulla fronte, vecchio lascito di un Ogre nel Midgard. Non doveva averli sentiti nessuno lì, e, anche in quel caso, il discorso di Tias era rimasto sul vago.
Lentamente, ma non senza energia, portò le mani sui bordi della vasca.

Beh, ragazzo
Si mise in piedi emergendo dal vapore, acqua e sozzume a colargli dal petto alle ginocchia.
Quello non ce l’ha nessuno
Ma tu camperai un giorno in più, Rick, anche oggi
E TORNERAI DA ME







Rick Gultermann
Basso 5%, Medio 10%, Alto 20, Critico 40%


CS: 1 Resistenza
ENERGIE: 100%
Status Fisico:
Status Mentale:
EQUIPAGGIAMENTO: Mazza, scudo di legno e ferro, Armatura di cuoio (tutto il corpo eccetto mani e testa), asce da lancio [2/2].


PASSIVE

~Abilità razziale. Il tozzo ancora in piedi.
[Controllo Energetico, Umano]

~Abilità personale. Sopporta!
[Possibilità di resistere a 2 Mortali nel Fisico]

~Abilità da dominio. Io speriamo che me la cavo.
[Possibilità di difesa istantanea – passiva dominio Guardiano liv. I]



ATTIVE



Edited by Lill' - 2/3/2014, 17:58
 
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Alb†raum
view post Posted on 5/3/2014, 21:28






Maria






Era buio nella Fortezza Oriente. L'unica luce al suo interno era quella pallida della luna che, filtrando attraverso gli interstizi delle imposte socchiuse, delineava i contorni di porte e quadri. Nei paesaggi in essi ritratti Maria non vedeva altro che tanti piccoli occhi ostili che la scrutavano ferocemente. La ragazza distolse lo sguardo scuotendo la testa. Era solo stanca, tutto qui. Le palpebre le bruciavano e barcollava nello stare in piedi. Sarebbe dovuta tornare a letto, lo sapeva, il calore delle coperte la richiamava in maniera insistente. Eppure fuori dal castello c'era qualcosa di bizzarro: una musica arrivava dall'esterno, una melodia dalle note dissonanti e stonate. Avanzò tenendo una mano appoggiata contro il muro e ammiccando per il torpore tentò di ricordare la strada per l'uscita. Non sarebbe riuscita a riaddormentarsi con quel suono nelle orecchie. Era un lamento insistente, quasi un canto funebre che l'aveva svegliata di soprassalto. Un brivido le era corso lungo la schiena quando si era resa conto delle parole di quel requiem.
Il suo nome.

«Maria...»

Raggiunse la scalinata che portava all'ingresso. Camminò piano, attenta a non inciampare. Il legno era freddo sotto i piedi nudi e le fece venire la pelle d'oca. All'improvviso scivolò. Con il fiato che le mancava nei polmoni strinse forte fra le mani la ringhiera per non cadere giù. Ritrovò l'equilibrio a fatica. Il cuore le batteva all'impazzata e per qualche strano motivo sentì il bisogno di chiedere aiuto, ma si morse un labbro. Non era niente, era solo scivolata, ne era sicura. Probabilmente si stava immaginando tutto.
Eppure tremava tutta quando raggiunse il portone d'ingresso della Fortezza. Lo spinse con entrambe le mani e quello si spalancò con un cigolio sommesso. Una luce bianca e intensa le trafisse gli occhi costringendola a stringere le palpebre. Quando le sue pupille si abituarono al chiarore, vide che un'immensa luna tingeva l'intero cielo di una luce lattiginosa. Non vi erano nubi o stelle, solo bianco e quell'astro enorme con le sue macchie grigiastre al centro del cielo. Maria spalancò la bocca, sorpresa, abbassando poi lo sguardo sul giardino. Di fronte a lei si ergeva il grande ciliegio che, invece di trovarsi al centro del prato, era lì, in mezzo al viale. Una decina di persone nude, uomini e donne, stavano in piedi guardando la base del tronco, le mani raccolte sui genitali. Maria si avvicinò a passi lenti sussultando per la ghiaia del sentiero che le pungeva le piante dei piedi. Ma quel dolore non fu niente in confronto a quello che provò al petto quando si rese conto di chi si trattava. Da vicino riconobbe le spalle larghe di suo padre, i capelli d'oro di sua madre, il corpo rinsecchito della vecchia che aveva fatto bruciare sul rogo.

«No. Io... io vi ho uccisi. Io vi ho uccisi tutti.»

Balbettò correndo di fronte a loro. Li ricordava tutti nel bagno di sangue di quella notte, i loro corpi dilaniati dall'incantesimo orrendo che aveva scatenato. Ora erano tutti lì, chiusi a cerchio intorno al sakura. Maria non ricevette né uno sguardo né una parola di risposta. Le espressioni su quei volti marmorei erano impenetrabili, con occhi e labbra socchiusi come se fossero assorti in una preghiera silenziosa. Le pupille erano tutte puntate alle spalle di Maria. La ragazza si voltò. La musica si fece violenta tanto da farle male alle orecchie, ma lei non se le coprì. Si chiuse invece la bocca con entrambe le mani per non urlare.

«Maria...»

Una ragazzina con i capelli rosa giaceva ai piedi del ciliegio galleggiando in una pozza scarlatta. Sul collo pallido aveva un lungo taglio da cui ormai non sgorgava più niente; in mano stringeva il coltello che aveva aperto la ferita, tutto imbrattato di sangue. Il kimono bianco che indossava era intonso, come se il rosso non fosse riuscito a impregnarlo. Il corpo era rigido, immobile nella morte, solo le sue labbra si muovevano appena. E cantava.

«Maria...»

La ragazza cadde in ginocchio, gli occhi che traboccavano lacrime. “No, lei... lei è stata cremata. Non può essere...”. Aveva sparso lei stessa le sue ceneri alla base del sakura, lo ricordava, ricordava la polvere grigiastra scorrerle fra le dita e il proprio pianto impastarla in una melma maleodorante. Ricordava di essersi imbrattata in quelle spoglie trascorrendoci accanto le notti insonni, ricordava di aver desiderato morire e diventare polvere come lei. Ma ciò non era accaduto.

«Ti sbagli, Murasaki.»

La ragazzina morta sollevò il capo. Maria lasciò scivolare le braccia a terra fissandola con occhi sbarrati mentre l'altra si appoggiava per rialzarsi. Il sangue le scivolò sulla pelle senza sporcarla.

«Tu sei morta.»

Le sorrise la ragazza socchiudendo gli occhi. Un fascio di tentacoli neri scaturirono dalle sue spalle. Prima che Maria potesse strillare uno di essi saettò verso di lei e le trafisse lo stomaco. Per un istante il mondo si fece rosso e la bocca le si riempì di un sapore metallico e disgustosamente caldo. Si portò le mani alla ferita mentre la vestaglia le si infradiciava. Accanto a lei, tutte le persone che circondavano il ciliegio caddero a terra una a una, ridotte a indistinguibili pezzi di carne scorticata che si mischiarono con la ghiaia colorandola di rosso.
Solo suo padre rimase in piedi, illeso.

«Maria era il mio di nome, non lo ricordi questo?»

Lord Ichiro si avvicinò alla ragazzina a passi rigidi. Le afferrò il kimono bianco con una mano e con un gesto secco glielo strappò dal corpo. Lei sotto era nuda, la pelle trasparente che luccicava sotto la luce della luna. La sua espressione si era fatta perduta, con gli occhi che fissavano l'uomo tremando di paura. Maria cercò di serrare le palpebre, ma queste semplicemente non le ubbidirono.

«No...»

Tossì dalla bocca assieme a un bolo di sangue. Cercò di rimettersi in piedi ma riuscì solamente a cadere a terra battendo la faccia nel fango rossastro. Lo stomaco le bruciava come fuoco, ma ancora più le faceva male dover rivedere quella mostruosità.

«No, ti prego...»

Biascicò strisciando sul terreno trascinandosi coi piedi. Suo padre spinse a terra la ragazzina. Il suo membro si era fatto duro, un pezzo di carne scuro e rigido.

«Maria... Maria...»

Aprì la bocca per strillare, ma nulla ne uscì.
Suo padre premette le labbra su quelle della ragazzina con i capelli rosa.

«Maria!»

Urlò. Tutto fu di nuovo buio. Era seduta sul suo letto nella Torre del Fato, la camicia da notte appiccicata alla pelle per il sudore. Si portò ansimando una mano alla fronte per scostarsi una ciocca di capelli fradicia. Le dita tremavano e aveva le budella attorcigliate, ma non nessuna ferita le attraversava lo stomaco né aveva sangue nei polmoni. “Era un sogno...” realizzò dopo qualche istante. “Solo un sogno...”. Non provò alcun sollievo a quel pensiero.

«Sta... sta bene signora?»

Mormorò una voce stanca nell'oscurità. Gli occhi gialli della volpe scintillarono riflettendo la luce che entrava dalla finestra. La Strega scostò da sé le coperte madide e si alzò a spalancare le imposte.

«Va tutto bene, Jeanne.»

L'aria fredda della caverna le investì il viso. Fuori, Neirusiens luccicava delle sue luci di lanterna. Da là sopra riusciva a vedere le dimore in rovina degli elfi e quelle nuove di muratura degli uomini, le imposte serrate delle stanze di coloro che dormivano e le luci accese in quelle degli insonni. Quella città era nera, maledetta, e allo stesso tempo bellissima.
In ogni luogo rivedeva il volto sorridente della ragazzina con i capelli rosa.

«Maria è il mio di nome, questo non lo ricordi?»

La Strega si portò una mano al cuore come se servisse a scacciare il peso che sentiva al petto. Cosa aveva fatto? Cosa aveva scelto di fare della propria vita? Gli occhi le pizzicarono mentre la musica dei danzatori le tornava alla mente facendola tremare. Aveva dimenticato per troppo a lungo che Maria non era il nome con cui era nata, e usando quel nome aveva osato troppo, se ne rendeva conto.
Ma ancora di più avrebbe dovuto osare.

«Va tutto bene.»

Sussurrò coprendosi il volto e mettendosi a piangere.


Jeanne




La volpe venne svegliata da qualcuno che le scrollava le spalle. Spalancò gli occhi cisposi a fatica solo per sentirseli bruciare dalla luce della lampada accesa. Se li strofinò con le mani storcendo la bocca con un brontolio mentre continuava a venire scossa.

«Sì, Hua, adesso mi alzo, dammi un istant...»

La persona che la stava svegliando, tuttavia, non era la gatta. La sagoma sfocata di due lunghe corna spinse Jeanne a schiacciarsi contro il muro. “Un... oni?” pensò, spaventata. Quando le pupille si abituarono alla luce, tuttavia, riuscì a distinguere il volto sorridente di Leanne in quello che aveva scambiato per un demone armato di mazza ferrata.

«Lord Edwin vuole premiare la vostra lealtà, mi ha chiesto di farvi scegliere l'arma che volete dall'armeria.»

Disse la bambina dondolandosi sui talloni. Alle sue spalle, Maria tirava fuori da un portale l'ennesimo vestito. Le schegge di ghiaccio che l'arciere le aveva stretto alle gambe avevano ridotto la gonna del precedente a un colabrodo. Sotto la vestaglia Jeanne poteva intravedere le garze che la padrona si era stretta attorno ai polpacci feriti. Perlomeno non avevano subito altre ferite gravi.

Jeanne aiutò Hua a vestirsi, poi indossò la propria tunica bianca. Milady riuscì a infilarsi sotto la spropositata gonna del suo abito da sola senza troppi problemi.

«È un piacere rivederti, Leanne. Mi hai fatto preoccupare, lo sai?»

Sorrise la Strega alla bambina quando furono pronte per partire. Jeanne lanciò invece uno sguardo a Hua. L'espressione sul volto della nekomata era tutto un broncio, ma perlomeno non si era lamentata ad alta voce per non aver fatto colazione.
Discesero gli scalini a chiocciola della torre a passi stanchi. Anche Lady Maria, per quanto tentasse di tenersi al passo svelto della bambina con le corna, aveva qualcosa di fiacco nei propri movimenti. I suoi occhi erano gonfi e arrossati, e spesso li strizzava. La volpe si ricordò l'urlo di quella notte.
“Solo un incubo, probabilmente”. Anche a lei era capitato di fare sogni per cui poi non era riuscita a riaddormentarsi. Trovava tuttavia curioso che la Strega avesse urlato il proprio nome.

Arrivarono in un'ampia sala pervasa dall'odore pungente del metallo e del chiuso. La lanterna a olio appesa al soffitto illuminava file di rastrelliere piene di armi di ogni foggia tra fucili, spade lunghe e bastarde, pugnali, archi... ovunque Jeanne posasse lo sguardo vi erano strumenti per uccidere. Si soffermò su una spingarda sul cui calcio era stata incisa in oro una volpe che fuggiva. Ebbe istintivamente un brivido. “Che cattivo gusto” pensò a disagio. Maria aveva rivolto la sua attenzione verso una collezione di ventagli da combattimento appesi al muro. Ne afferrò uno con rami di ciliegio dipinti sulla tela.

«Non è bello?»

Rise mostrandolo a Jeanne. La volpe annuì. In effetti aveva un certo fascino. Quelle armi le aveva viste usare da certe spie in addestramento presso altri castelli, ma non ne aveva mai vista una così da vicino. Nell'aspetto era perfettamente identico a un ventaglio normale. La Strega se lo agitò sul viso per farsi aria.

«È solo un tantino pesante. Dovrò abituarmici.»

Mormorò richiudendolo e facendolo sparire in una delle tasche nelle sue maniche. Dopodiché si chino su Leanne.

«Lord Edwin ti tratta bene, piccola? Dove alloggi?»

La bambina con le corna alzò lo sguardo su di lei. Non sembrò reagire quando la Strega le passò una mano fra i capelli castani per accarezzarla, eppure una luce inquieta le baluginò nelle pupille.

«Io alloggio vicino a Lord Edwin, nella stanza accanto alla sua. È molto gentile con me.»

Si strinse le spalle come se la cosa fosse di poco conto. Jeanne si chiese se fosse cosciente di essere controllata o se stesse fingendo con loro per non correre rischi.

«Con voi?»

Maria rise.

«Una persona squisita.»

Rispose facendole l'occhiolino. Edwin era stato l'esatto opposto di un gentiluomo relegandole in una stanza della Torre del Fato per chiamarle solamente nel momento in cui fossero state utili. Perlomeno aveva avuto la decenza di non mandare un altro dei suoi inquietanti danzatori a disturbare.
Con Leanne doveva avere tutt'altri progetti, tuttavia.

«Sai per caso dove si trovi Aris? Mi piacerebbe parlarle. È importante, molto importante.»

Leanne annuì con un sospiro. Vi era una malinconia profonda nella sua espressione, qualcosa che nelle sue coetanee la volpe non aveva mai visto. In qualche maniera le ricordò Priscilla, la bambina triste e muta con i capelli corvini che avevano portato nell'Akerat. “Ma Priscilla era un mostro. Cosa sei tu, invece?”.

«Aris si trova qui, nella Torre del Fato, nei sotterranei. Non permettono a nessuno di vederla, però. Dicono che è... indisposta.»

La bambina non sembrava sicura di aver capito cosa volesse dire quella parola. Era comunque chiaro che il caro Lord di Neirusiens non avrebbe corso rischi di perdere quelle due preziose pedine. Perché fossero così preziose, però, Jeanne non avrebbe saputo dirlo.

«Non preoccuparti per lei, piccola. Sono sicura che stia bene. Lord Edwin non le farebbe mai del male. Proverò a fare in modo che possiate vedervi.»

Tentò di rassicurarla Maria. Rimase un istante in silenzio, come per riflettere. La volpe si chiese a cosa stesse pensando. Non le erano ancora chiari i piani della Strega. Lei non le aveva fatto sapere ancora nulla a riguardo. “Se non riesci ingannare i tuoi alleati, non sarai mai in grado di ingannare i tuoi nemici” si era limitata a dirle ridendo. Quello che alla volpe sfuggiva era chi fossero veramente i nemici in quella storia.

«Ashlon, invece? È sempre nei sotterranei? Mi chiedevo cosa intendesse quando ha detto che tu e Aris appartenete ai Neiru.»

«Da che è arrivato nessuno ha spostato Ashlon. Ho sentito però voci dire che presto potrebbe essere giustiziato.»

La piccola sembrava dispiaciuta della sentenza. Il capo degli elfi era sembrato un selvaggio agli occhi della volpe, ma doveva essere stato di grande aiuto a Leanne e Aris perché rimanessero nascoste da Edwin.

«Io e Aris non l'avevamo mai visto prima, ma so che è stato per merito suo che entrambe siamo state accolte nella comunità Neiru. Non so bene perché. Forse dipende dal fatto che io sono per metà elfa.»

La bambina con le corna guardò ai propri piedi, insicura. Probabilmente nemmeno lei sapeva la verità su tutta la faccenda. Alzò poi gli occhi all'improvviso, lo sguardo vispo.

«Ti va di vederlo?»

Maria annuì con un sorriso.

«Sarebbe un vero piacere. Fai strada tu? Non ho visto molto altro della Torre del Fato a parte l'infermeria e le mie stanze.»

Ridacchiò alzandosi in piedi. Le porse una mano perché la prendesse.

«Ricordati, Leanne, io ci sarò sempre per aiutarvi se tu e tua madre ne avrete bisogno. Non avere paura a chiamarmi.»

La bambina la fissò per qualche istante in silenzio, gli occhioni puntati sul viso della Strega, poi sorrise dolcemente.

«Grazie.»

Mormorò, afferrandole la mano. Jeanne lanciò un'occhiata dubbiosa alla padrona, ma lei parve ignorarla. Era per sua madre, non era vero? Era da quando erano arrivate che andava alla ricerca di Aris.
Sospirò scuotendo la testa nell'avviarsi dietro alla Strega. Doveva fidarsi. A quanto pareva l'unica cosa che le separava da una morte ignobile per mano dei danzatori era ciò che la Strega sapeva e ciò che aveva progettato.


La Strega





Edwin ce l'aveva messa tutta per rendere la cella del capo degli elfi la più insignificante e indistinguibile possibile: non era altro che uno sgabuzzino con un portone metallico posto nel fondo dei sotterranei della Torre. La stessa strada per raggiungerla era un labirinto che la Strega avrebbe faticato a percorrere senza l'aiuto di Leanne. La piccola aveva attraversato senza alcuna fatica quei cunicoli bui, camminando fra lo sporco e le ragnatele senza mostrare alcun segno di schifo per gli afrori pungenti che fuoriuscivano dalle celle né per le occhiate ostili che i volti scavati dei miserabili dietro le sbarre avevano lanciato loro. Maria si chiese quante volte avesse tentato di raggiungere Aris per sapere con quella precisione tutti i percorsi.
Quando arrivarono di fronte alla prigione, Leanne fece loro cenno di aspettare e scomparve. Prima che Maria se ne potesse rendere conto, la porta si spalancò. Il viso della bambinetta vi fece capolino con un sorriso sulle labbra. Alla Strega si coprì la bocca per ridere: Leanne era simile a un gattino ribelle nel suo infilarsi in ogni dove solo volendolo. Eppure rimaneva il fatto che non si fidava di lei: quanto erano veramente ingenui quei suoi occhietti furbi?
“Tu e tua madre mi avete già usata una volta. Provateci una seconda e vedrete cosa succede”.
Ashlon era dietro a Leanne, steso sul terreno con il capo chino . Quando la Strega si abituò all'oscurità, distinse le macchie di sporco che gli imbrattavano la pelle chiara. Pesanti catene erano state legate ai polsi e alle caviglie per tenerlo costretto al muro e i suoi polsi ne erano segnati. Una figura ben miserabile agli occhi di Maria, eppure quel suo corpo asciutto manteneva una certa imponenza anche nella disgrazia.

«Lunga vita al re.»

Sussurrò con ironia la Strega avvicinandosi. La decisione di quanto in realtà sarebbe stata lunga quella vita era tutt'ora nelle mani di Edwin, anche se sperava caldamente che passasse presto nelle proprie.

«Io sono lady Maria. Si ricorda di me, vero?»

Si presentò portandosi una mano al petto.

«Spero che non provi rancore nei miei confronti, Ashlon. Non posso tuttavia biasimarla se ne ha.»

Dopo aver scatenato contro di lui quasi tutte le proprie forze e persino costringendo Leanne a intervenire perché non venisse ucciso, la lady della Fortezza Oriente non era per niente certa di ciò che Ashlon provasse per lei. Il capo degli elfi sollevò i suoi occhi ciechi su di lei abbozzando un gesto di sorpresa.

«Suth tjej.»

Pronunciò nel suo duro linguaggio. Dal tono, tuttavia, sembrava la stesse salutando.

«Ricordo il tuo profumo, giovane Thornaìs. Ricordo la tua voce acuta, fanciulla di spine.»

La voce era profonda, calma persino in quella situazione. Nonostante la frecciata, non sembrava mal disposto. Maria ne fu sollevata.

«Vorrei porle delle domande. Non lo prenda come un interrogatorio: niente di ciò che verrà detto qui arriverà alle orecchie di Edwin... vero Leanne? È sola mia curiosità personale.»

L'elfo annuì facendo tintinnare le catene.

«Chiedi pure ciò che più ti aggrada. Finché non sarà la morte a tacciarmi, sarò felice di conversare con te.»

La donna sorrise dentro di sé. Non aveva sperato di potergli parlare così facilmente.

«Perché hai accolto Leanne e Aris nella tua comunità così facilmente? Meglio: che importanza hanno loro due per voi Neiru?»

Ashlon socchiuse piano le palpebre, diffidente.

«Tutti sono importanti, per i Predatori, soprattutto donne e fanciulle dall'oscuro passato.»

Disse con un sorriso ambiguo.

«Eppure credo che il punto qui sia un altro: perchè Aris e Leanne sono importanti per te?»

“Perché mi stanno nascondendo qualcosa” avrebbe detto se fosse stata più ingenua. “Perché loro sono la risposta a ciò che sto cercando”. Ma il capo degli elfi non l'avrebbe colta in fallo così facilmente. Strinse i pugni e corrugò la fronte in un'espressione di irritazione.

«Tu e Lord Edwin sembrate usarle come corda per uno strano tiro alla fune. Lui ha messo in isolamento sua madre per costringerla ubbidirgli, la tua vice è arrivata a sfoderare le armi quando ha sentito che non ve le avrebbero restituite... voi le avete messe in mezzo alle vostre faccende e state facendo loro del male. Per questo sono importanti per me.»

Sibilò fra i denti. Assottigliò le labbra e si ricompose.

«Le chiedo scusa ma... trovo profondamente ingiusto quello che state facendo.»

Si passò una mano sul viso sospirando.

«Ho aiutato Lord Edwin a catturarla per avere risposte che lui non vuole darmi, non altre domande. Se lei tiene veramente a queste due fanciulle, la prego di dirmi quello che sa.»

Ashlon fissò Maria per qualche istante con quei suoi occhi che facevano impressione. Lei aveva lanciato l'amo, ora non doveva fare altro che sperare che quel pesce albino abboccasse.
Dopo qualche istante, il capo dei Neiru socchiuse le palpebre.

«Aris occhi di luna non è colei che sembra. Il suo aspetto, il suo volto, il suo nome... ogni cosa che le riguarda non è altro che una menzogna e non credo che servano le mie parole perchè tu lo capisca. Voci mi hanno riferito cosa è accaduto di recente nel palazzo della Cerchia.»

Il mostro d'ombra che aveva ridotto il danzatore a un cumulo di budella e brani di carne sanguinanti era un'immagine vivida nella mente della Strega. Gli occhi dell'elfo scintillarono.

«Per ciò che riguarda Leanne...noi Predatori la proteggiamo poiché nelle sue vene scorre sangue elfico.»

Si interruppe un istante, come per cercare le parole giuste.

«Seppure questo non è il solo motivo che ci spinge ad avere estrema cura di lei. Hai già visto di cosa è capace?»

Maria annuì. Non solo era capace di girare liberamente per le segrete e aprire portoni blindati senza difficoltà, ma era stata anche in grado di dissolvere l'incantesimo che aveva lanciato contro Ashlon.

«È una bambina estremamente dotata.»

Si voltò a sorriderle, ma dentro al petto aveva un senso di inquietudine. “È una bambina dannatamente pericolosa”.

«Ma da come ne parla mi fa capire che non è solo questo, o sbaglio?»

Ashlon annuì.

«Qualcosa di davvero speciale: Leanne non è capace di dormire. Per chiarezza, da che è giunta a noi, non ha mai dormito.»

La Strega corrugò la fronte, sorpresa. “Mai dormito...?” ripeté mentalmente. Cosa poteva significare? Il sogno di quella notte le tornò alla memoria, facendole correre un brivido lungo la schiena. Che anche lei fosse tormentata da quel canto?
Lo sguardo del primo fra i Neiru si fece sfocato nel rivolgersi a Leanne.

«Questa notte, quando tutta la Torre del Fato cadrà in un sonno profondo, lascia che questa dolce fanciulla veda i tuoi ricordi.»

Mormorò, sibillino. Prima che Maria possa chiedere spiegazioni, però, una guardia fece il suo ingresso nella cella. Era un giovane grassoccio compresso nella propria divisa, con la cotta di maglia che gli schiacciava le guance piene in un'espressione da pesce lesso. E fu con la faccia di un pesce lesso colto di sorpresa che le fissò boccheggiando. Solo dopo qualche istante riuscì a prendere un profondo respiro per parlare.

«Non dovreste essere qui.»

Balbettò. L'arguzia di quell'individuo era ammirevole. Fece loro cenno di seguirlo. Mentre richiudeva la cella di Ashlon a chiave, Maria accennò all'elfo un saluto. Quel breve dialogo le sarebbe stato utile, incredibilmente utile. Ora doveva solo capire cosa stessero nascondendo la bambina ed Edwin. Ancora poco e avrebbe avuto in mano tutto ciò che le serviva.
Con il grassone risalirono i cunicoli con molta più difficoltà. Tra loro e l'uscita c'erano molti più cancelli chiusi di quanti la Strega ricordasse. All'inizio della chiocciola che riportava alla Torre del Fato un'altra guardia venne loro incontro.

«Edwin desidera parlare con voi al più presto.»

Disse rivolgendosi alla Strega. Maria annuì.

«La seguo.»

Non era il caso di questionare gli ordini, non in quel momento, o qualcuno si sarebbe potuto interessare riguardo ciò che lei e Ashlon si erano detti. Si voltò poi verso le proprie serve e la bambina con le corna.

«Voi restate assieme a Leanne. Ti piacerebbe imparare a giocare a shogi, piccola? Hua ti può fare da maestra. La scacchiera dovrebbe essere in camera, se avete voglia.»

Le propose con un sorriso. L'ultima cosa che voleva era che la bambina si intrufolasse nello studio per ascoltare il suo discorso con Edwin.
La guardia la guidò fino allo studio al palazzo della cerchia. Quando spalancò la porta, a Maria parve che non fosse passato un solo giorno da quando il lord di Neirusiens l'aveva convocata per chiederle di aiutarlo a sottomettere Ashlon.

«Bentrovata.»

La salutò l'uomo senza alzare gli occhi da quelle sue dannatissime carte. Doveva essere un'abitudine. Indossava un farsetto grigio che ben si abbinava alla tristezza del suo volto anziano e ai suoi occhi severi. L'uomo le fece cenno di accomodarsi sulla sedia di fronte alla sua scrivania.

«Perdona la convocazione alquanto scortese, ma in tempo di guerra è difficile conservare le buone maniere.»

«Non si preoccupi.»

Gli rispose, asciutta, prendendo posto di fronte a lui. Edwin ripose la sua penna d'oca nel calamaio e intrecciò le mani.

«Credo che anche tu sappia quanto ormai prossima sia la battaglia contro i Predatori. Oramai -se potessero- anche i muri parlerebbero dell'imminente guerra che essi si preparano a scatenare contro di noi per riprendersi la loro adorata Neirusiens. Questo è il momento dove più che mai ho bisogno di persone capaci al comando. Persone in grado di guidare i miei uomini verso la vittoria e tu»

Fece una pausa come per dar rilievo alle proprie parole.

«Credo che tu sia proprio la persona che fa al caso mio.»

Maria trattenne un sorriso. Ovviamente lo era. Si era impegnata così tanto perché la considerasse tale. Non poteva tuttavia sapere se quello fosse il discorso che si era preparato a fare a tutte le reclute che considerava minimamente utili.

«La ringrazio, mio Lord.»

Edwin srotolò di fronte a loro una mappa di Neirusiens. Era ben particolareggiata, con vie e case disegnate in maniera chiara. La Torre del Fato appariva come una gigantesca chiocciola al suo centro.

«Ciò che ti sto chiedendo è di combattere al fianco dei Danzatori, di guidarli, e di essere per me fonte di consiglio.»

Edwin indicò un punto sulla carta.

«Questo è il quartiere dei Neiru. Questo il palazzo della cerchia. Questa la Torre del Fato e queste le gallerie antistanti Neirusiens.»

Passò da un punto all'altro con l'indice.

«Dove credi sia più importante colpire o difendersi?»

Maria si passò una mano sul mento. Qualcosa le disse che gli elfi avrebbero mirato direttamente ad Ashlon senza importarsene molto del resto, ma era probabile che avrebbero rivolto le loro forze anche al palazzo. Per quello che gliene importava, avrebbero potuto radere al suolo tutto. Doveva tuttavia sembrare sensata nelle proprie parole, o Edwin l'avrebbe semplicemente cacciata via.

«I Neiru tengono molto al loro Dio millepiedi. Vorranno riprendersi il palazzo. Porrei una guarnigione di difesa qui e...»

Spostò il dito dal palazzo alle gallerie.

«Posizionerei danzatori nei pressi delle gallerie per farle crollare nel caso vengano usate. Potrebbero provare ad arrivare alle carceri scavando. Riguardo il quartiere Neiru, sarebbe possibile invece guidare una sortita composta di tre o quattro danzatori al momento di un eventuale attacco degli elfi. Colpire i civili, bruciare magazzini e case. In questa maniera saranno costretti a tornare indietro per difendersi. Anche se dovesse andare male ci saremmo accertati quanti rinforzi hanno a disposizione. Di quanti danzatori disponiamo al momento?»

L'anziano Lord di Neirusiens si passò una mano sul mento.

«Tu ne avrai abbastanza da formare un plotone al tuo comando. Per ora, le gallerie antistanti Neirusiens sono già state occupate da un altro plotone di Danzatori, ma per quanto riguarda il quartiere Neiru, effettivamente non c'è ancora nessuno che si sia arrischiato a formulare una strategia definibile come tale. Dunque sarà lì che ti manderò, mia dolce fanciulla, sono certo che darai del filo da torcere ai Predatori.»

Maria annuì sorridendo. “Esattamente” pensò carezzandosi l'abito con le mani. Era quello che sperava.

«Desidererei uomini ben addestrati nel combattimento armati di spade, pistole e pochi scrupoli. Desidererei poi altri uomini esperti in arti più subdole. Dovranno strisciare non visti alle spalle dei Neiru. Infine, le chiedo di non far parola con nessuno del mio intervento, nemmeno con le truppe interessate. Dovrà essere una... sorpresa.»

Sorrise la Strega. Odio, di quello aveva bisogno, e se davvero Edwin le avesse messo a disposizione ciò che cercava, lo avrebbe ottenuto.
Ma in quel momento aveva anche un'altra questione per la mente.

«Mi dispiace rubarle altro tempo, mio Lord, ma mi permetterebbe di farle una domanda?»

Edwin annuì tornando a far scricchiolare la penna d'oca sulle sue pergamene.

«Chiedi pure.»

«Durante lo scontro con Ashlon non ho potuto fare a meno di notare la ragazza con i capelli rosa che si è scagliata contro quell'arciere, Lomerin, se non sbaglio. Sulla sua pelle ho notato disegni neri di strana fattura. Anche le mie serve li hanno visti. Avendola incontrata già una volta sono sicura che prima quella donna non li avesse. Lei me ne sa dire qualcosa?»

Le macchie su quella giovane donna le erano rimaste impresse nella memoria. Aveva aspettato con pazienza il momento per chiarire i propri dubbi.
Edwin, tuttavia, scosse la testa.

«Quella donna era un mistero anche per me. Non ho idea di cosa tu abbia visto, ma qualunque cosa fosse, credo fosse legata alle sue arti magiche. Era una fanciulla molto potente.»

Il suo tono era dubbioso, ma la Strega non si lasciò trarre in inganno. Quel vecchiaccio non l'avrebbe presa in giro un'altra volta. “Ti farò ingoiare fino al pomo la spada che mi ha tagliato al fianco” nascose dietro un sorriso.

«Ne è sicuro, mio lord? Perché si da il caso che io sia particolarmente interessata a una creatura peculiare che vive qui al nord. Ombre, così le ho sentite chiamare. Ne sa qualcosa?»

Edwin si lasciò scivolare la penna dalle dita con un sussulto. Maria strinse i pugni, vittoriosa. L'anziano Lord tentò di ricomporsi prendendo una pezza per pulirsi le mani dall'inchiostro, ma ormai si era scoperto.

«Ombre?»

Ripeté, incerto, facendo seguire un istante di silenzio.

«Qui al Nord è facile sentire parlare di strane creature appartenenti ad ere antiche, a passati dimenticati. Purtroppo che io sappia le Ombre non sono nulla più che una di quelle storie del passato, una delle tante leggende che si tramandano nei secoli in attesa di essere dimenticate definitivamente. Perché ti interessi di simili fantasie?»

Ormai non faceva nemmeno più finta di stare dicendo la verità. La Strega si sollevò in piedi.

«Si da il caso, mio lord, che io abbia avuto l'immenso piacere di incontrare una di queste... leggende. Una leggenda molto tangibile, a dire la verità, visto che è quasi riuscita a uccidere le mie servitrici, oltre che far impazzire decine di altre persone. Quindi, le volevo domandare, quale tipo di fantasia è così aggressiva da attaccare gli uomini che l'hanno creata pur di non essere dimenticata? Quale storia del passato ha denti e artigli fatti di pura oscurità?»

Ricordava il giorno in cui aveva combattuto la creatura nei sotterranei di Milorca come se fosse stato quello precedente. Ricordava anche le folli parole d'amore che il grasso nobile le aveva sussurrato e l'ultimo rantolo di lui quando gli aveva conficcato l'ombrello nello stomaco.
Si avvicinò a Edwin di qualche passo, ma non osò sfiorarlo. La sua pelle secca e avvizzita le dava ribrezzo e la maniera con cui aveva tenuto Leanne fra le braccia prima dello scontro nel palazzo della cerchia le aveva tanto ricordato suo padre.

«Lei ha una risposta, mio Lord, non è vero? Sarebbe di così grande aiuto se potesse darmela. Potrei piegare il potere delle Ombre al suo servizio. Neirusiens diverrebbe una città di placidi agnelli, e lei, mio signore, sarebbe l'unico pastore. Gli elfi diverrebbero un ricordo o, se preferisce, docili cagnolini pronti a ubbidire a ogni ordine. E se non sarà sazio di questo io le prometto di più. Molto, molto di più.»

Lord Edwin vacillò visibilmente a quelle parole. Sul suo volto si irrigidì, combattuto dal dilemma: scoprire definitivamente le sue carte o dubitare della Strega? Ma lei ormai aveva ben capito la natura umana.
Ciò a cui avrebbe ubbidito sarebbe stata l'avidità.

«Vieni con me. C'è qualcosa che vorrei mostrarti.»

Disse infine, asciutto, ponendo il suo Re nero in mezzo a una schiera di pedoni di cui non sapeva il colore. Maria gli venne dietro in silenzio, limitandosi ad estrarre il ventaglio per scacciare dalle narici l'odore di polvere del vecchio.


QoxpNAY




Nelle notti seguenti gli incubi non fecero che peggiorare. Al sorriso della ragazzina con i capelli rosa si unì quello selvaggio di Kaoriaki, poi quello triste di Priscilla. Alle loro spalle, coloro che la Strega aveva ucciso la scrutavano con occhi vuoti. C'era Milorca con un buco al centro del ventre, la sua amante, ser Jeral con l'inguine che gocciolava sangue, il figlio di Lord Hideshi che non era altro che una testa cullata fra le braccia della madre. Tutto sembrava reale. Il peso dei loro sguardi opprimeva il petto di Maria impedendole di respirare. Solo suo padre era intatto, e ogni volta alla fine dell'incubo si chinava sulla ragazzina per violentarla. Poi le ombre divoravano ogni cosa.
La musica dissonante dei danzatori le entrò nell'anima man mano che si addestrava per diventare una di loro, e ogni volta che scendeva nei sotterranei assieme a Edwin la nenia si faceva più intensa nella sua mente.
Una notte sognò una donna dai capelli biondi in mezzo alla schiera delle vittime. Maria la notò perché indossava un lungo abito bordeau con decorazioni dorate mentre tutti gli altri erano nudi. Aveva capelli d'oro raccolti in una capigliatura modesta sul capo. Non l'aveva mai vista prima. La dama le si avvicinò e la carezzò sotto il mento con guanti di seta.

«Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti.»

Annunciò con un sorriso.

«Distruttrice di felicità. Strega dei confini.»

Poi, come era apparsa, scomparve. Maria si svegliò per l'ennesima volta, ancora al buio, ancora senza più desiderio di riaddormentarsi. Prese il ventaglio appoggiato sul comodino per farsi aria. Ora non le sembrava più così pesante.

“Non diverrò come loro” pensò, tamponandosi il sudore dalla fronte con un fazzoletto. “Non indosserò una maschera, non mi vestirò di nero. Non mi lascerò piegare dai sogni”. Sarebbe rimasta pura, pura di fronte a loro. Non si sarebbe lasciata toccare dalle mani raggrinzite e viscide di Edwin, non si sarebbe lasciata ingannare da Ashlon. Lei non era una loro pedina, lei era fedele solo a se stessa.
Gli altri avrebbero dovuto essere schiacciati.




Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti

Priscillaspecchietto

4 - Astuzia





Risorse

Energia
100%
Status psicologico

Illesa

Status fisico


rchBJ

Equipaggiamento

Parasole (Fucile, arma contundente e da affondo; mano destra) [0/5]
Eros e Thanatos (Katane; impugnate da Jeanne)
Comete (x20) (Kunai; possedute da Hua)


rchBJ
Passive

An eternal being can hear voices the mortals will never know ~ Pass through the centuries
Immortalità, Auspex passivo, Immunità psionica passiva

Summon of an unspeakable secret ~ Possession
Evocazioni istantanee, Condivisione dei sensi con le evocazioni, +1 CS alla forza delle evocazioni

Communion between demons and mankind ~ Spiritual bond
I compagni animali possono partecipare ai combattimenti e usare tecniche attingendo dalla riserva energetica del padrone

Attive


rchBJ

Note



That's all, folks.

A Eitinel, è vero che il sogno non sarebbe dovuto essere un incubo, ma ho preferito fare qualcosa di più caratterizzante di Maria mantenendo l'indicazione base (la sensazione di essere andata "troppo oltre"). Spero che vada bene.

Enjoy it. :8):

 
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view post Posted on 9/3/2014, 13:22
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And...bla..Bla..BLA
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DWXIDHz
Tace il Palazzo della Cerchia.
Nero come cuore d'uomo.
Bianco come vesti di donna, come sete preziose su un corpo diafano, spettrale.
Tacciono le gallerie di Neirusiens.
Bocche sgomente spalancate nel buio.
Occhi vigili, guardinghi, guizzanti nell'oscurità come piedi ticchettanti, come pelli multicolori.
Tace il quartiere Neiru.
Brulichio di sussurri, di silenzi.
Di attimi perduti nel vago, perpetuo, scorrere del tempo, anima balbettante.
Tace
infine
la Torre del Fato.
Seducente donna torta su se medesima. Bella da impazzire, brutta da morire.
Ghigno arrendevole e gesto mostruoso, teso alla volta del Gigante che attende come bramosa mano schiusa.
Eterna lusinga.
Prendimi
Sussurra alla notte
Prendimi, ed io sarò tua per sempre, dono nascosto di cuore spezzato,
di anima corrotta.

Prendimi.
Oscurità che attende
Che riposa
Che ghermisce e tutto distrugge fino all'ultimo singhiozzo e balbettio,
mormorio
infame.

Scalpiccio invisibile.
Sospiro vellutato.
Leanne avanza, velluto sugli scalini, di piano in piano.
Sfuggente.
Armoniosa.
Corpo d'ombra nel freddo grigiore della notte.
"Dove stai andando?"
La torre ammutolisce attorno a lei, trattiene il fiato, socchiude un paio di volte le palpebre, forse stanca, e poi la lascia andare.
"Quella bambina è strana"
commenta poi
"Non mi piace averla in giro"
Ma perchè diavolo Edwin non la manda via? Ho sempre la sensazione di averla attorno. Mi sembra sempre che se ne stia da qualche parte, invisibile, a spiarci. A fissarci.
Forse è per questo che Edwin la vuole. Vuole che lei ci osservi, che veda tutto e gli riferisca tutto.
Ma figurati...Edwin non lo farebbe mai.
Oh...si invece. Eccome se lo farebbe.
Puoi scommetterci quella pellaccia puzzolente che ti ritrovi.
"Dove te ne vai, a quest'ora?"
"Sicura che Edwin ti abbia permesso di portare anche quella tua amica li?"
Le voci la rincorrono, rumorose, invadenti, oziose parentesi arricciate sul viso di quelle persone sempre troppo distanti, troppo lontane per raggiungerla.
Per un pelo.
Per un secondo.

-O-

"E' tutto pronto, Signore"
Marlow stava sull'attenti. Rigido. Composto. Un alieno nel caos che era in quel momento l'ufficio di Edwin.
L'altro gli regalò un'occhiata in tralice, una montagna di scartoffie a lambire i contorni cisposi dei suoi occhi affaticati.
Pareva stanco come non mai, eppure agli occhi del generale egli emanava ancora una pallida luce iridescente, vibrante incarnazione della sua presenza.
Socchiuse poi le palpebre, fuggendo un mezzo sospiro contratto.
"Molto bene"
annunciò asciutto.
"A quando l'attacco?"
Marlow strizzò appena le palpebre. Anche lui aveva digiunato e vegliato a lungo in quei giorni, quindi fu senza sorpresa che si ritrovò nel mezzo di un lapsus mnemonico.
"Dopo l'ultima marea, signore"
Rispose infine, asettico.
Edwin parve concentrarsi per un attimo, poi annuì gravemente
"Meno di quanto mi aspettassi"
Come sempre,
parve voler commentare Marlow ma non disse alcunché. Si limitò a fissare un punto imprecisato a metà fra il naso di Edwin e le sue spalle attendendo in silenzio che il suo superiore assimilasse la notizia del'imminente attacco per poi sospirare.
"Tutte le truppe sono operative?"
"Si, Signore. Operative ed in posizione, attendono un vostro ordine per attaccare"
"Aris e la bambina dove si trovano?"
Questa volta Marlow esitò per un attimo. Evidentemente non si era aspettato la domanda
"All'interno della Torre del Fato, come da lei comandato"
rispose infine, tentando senza successo di nascondere la nota interrogativa sul suo volto che Edwin registrò con un mezzo sorriso
"Che siano sorvegliate a vista. Desidero che, qualunque cosa accada, nessuna delle due lasci la Torre del Fato durante lo scontro"
"Sarà fatto"
Annuì Marlow per poi abbozzare un mezzo inchino marziale
"Attenderò il vostro arrivo all'interno del Palazzo della Cerchia" si congedò "Da li potrà dare inizio ai combattimenti"
"Certamente"
convenne atono Edwin per poi, come cogliendo un rumore o un suono di qualche tipo, voltare rapidamente il volto in direzione della finestra.
L'istante dopo sbadigliò lungamente, la mano destra che nel frattempo si alzava come ad invitare Marlow a sedersi.
L'altro non si mosse.
"Certamente"
ripetè dopo un attimo il vecchio, lacrime sonnolente a brillare ora nei suoi occhi pallidi
"Ma prima, credo che sia giunto il momento per tutto noi di riposare...la battaglia sarà lunga e difficoltosa"
Ancora una volta Marlow non diede segno di volersi muovere, come spesso accadeva stizzito ed in parte confuso dalla mutevole natura di Edwin.
Poi, gradualmente, qualcosa nel suo volto cambiò.
Arrendevolezza, l'avrebbero chiamata alcuni.
Cedevolezza, altri.
La realtà fu di gran lunga più semplice.
Sonnolenza.
Irresistibile,
invincibile,
sonnolenza.
Quando già Edwin aveva chiuso le palpebre, Marlow si sedette a sua volta sulla poltrona dello studio dell'ex Crostascura.
Sbadigliò una volta.
Due.
Si stropicciò gli occhi.
Ed infine, come bambino vinto dall'abbraccio di Morfeo, cominciò a russare.

-O-

Per un attimo.
Leanne figlia dell'ombra.
Leanne figlia del silenzio.
Anima di fuoco.
Cuore d'oscurità.
Sguardo acceso, sfuggente, come ricordo che
sorrida, ed infine si neghi, brina al sole.
"Ehi, fermati!"
E perchè dovrei?
Un ultimo balzo, un'ultima rampa di scale, ed infine la piccola giunge sul tetto della Torre del Fatto.
Torre,
tesa come brama slanciata
verso il mondo dell'Oltre, verso il precipizio dell'Infinito.
Per un attimo Leanne contempla la magnificenza dell'altezza, il brivido della distanza, per poi voltarsi verso la sua ora compagna di giochi, di bravate.
E' contenta che sia li,
con lei,
sospesa fra i due mondi.
Ed al contempo è preoccupata, perchè sa che fra poco
Loro verranno.
Oramai conosce i segnali. E sa che presto...presto.
Le si avvicina, e con gentilezza la abbraccia un istante, stringendo le braccia attorno al suo collo sottile per poi sussurrarle nell'orecchio
"Non avere paura"
Calma. Dolce.
Stanca.
E le basta solo socchiudere per un attimo le palpebre perchè Loro giungano.
Silenziosi. Mesti. Leggeri come aria eppure grevi d'oscurità.
I Ricordi.
I Sogni.
Dal nulla essi si materializzano attorno a loro, uniti in una danza dalla spettrale bellezza, in una melodia che solo Leanne pare sentire e con melanconia replicare a labbra chiuse, come un motivetto che pare un deja vu. Familiare, come sapore già gustato, come profumo già avvertito.
"Non ti possono fare del male"
sussurra ancora la bambina all'orecchio di Maria per poi allontanarsi da lei e guardarla per un attimo, in silenzio, come chi, dopo aver rivelato un segreto, scruti negli occhi dell'altro l'intenzione o meno di rivelarlo.
Pare soddisfatta perchè dopo un attimo sorride.
"Ora tutta Neirusiens dorme" dice dolcemente "Quando si sveglierà, avrà inizio la battaglia"



Ed eccoci qui ^___^
Questo è l'ultimo turno di questa prima quest a conclusione della saga dei Primogeniti. Come più volte preannunciato, si tratta dello scontro finale, della guerra che vedrà elfi e umani combattere gli uni contro gli altri per il possesso di Neirusiens.
Ogni partecipante ha ora scelto una postazione e una tattica da seguire che NON POTRA' essere cambiata durante questo turno. Che sia giusta o sbagliata, essa dovrà essere seguita fino al punto di progettazione individuato via mp (li ho tenuti tutti...non si può barare XD.
Detto ciò, ecco qui le regole che dovranno essere seguite in questo turno.
1) La guerra verrà gestita in confronto, per evitare una serie infinita di post.
2) Turnazione: 1) Lomerin: comprenderà le azioni sia di Lomerin che di Ka Shanzi 2) Rick: comprenderà sia le azioni di Rick che del ragazzo psionico 3) Maria: al via della battaglia ella si troverà in posizione. Leanne non sarà con lei ma chiusa nella Torre e sorvegliata 4) Kel: comprenderà le azioni di Kel e di Adam 5) MIO turno. Tutto ciò che deve accadere
3) Durante ogni turno si potrà far compiere alle proprie truppe e forze in campo UNA sola azione. (attacco/difesa/spostamento etc). Per Oblivion che può gestire due personaggi dislocati in luoghi diversi vale la stessa cosa: una sola azione per turno da parte di entrambe le truppe
4) Durante il primo turno le azioni varranno come CONTEMPORANEE. Questo perchè, in poche parole, il VIA è uguale per tutti.
Dal secondo in poi invece avverranno in successione temporale, ossia ogni evento avverrà dopo quello sopra descritto. Esempio: Lomerin attacca le gallerie. Rick deve fronteggiare l'attacco.
5) Non siate autoconclusivi con le vostre truppe: quando scrivete che le vostre truppe attaccano/fanno qualcosa non riportate subito gli effetti ma aspettate che sia io a riportare gli esiti delle singole azioni.
6) Nel caso in cui i vostri pg si incontrino, siete liberi di gestirvi come se si trattasse di un duello, ma SEMPRE rispettando la turnazione.
7) Tutti i vostri pg sono al 100% di energie e curati.


Per chiarezza, vi consiglio di andare a vedere le descrizioni delle fazioni mostruose "La Feccia" e "I predatori di Neiru", corrispondenti alle forze in campo. Ho scelto inoltre di far cominciare Lomerin per una questione di svantaggio numerico. Molto bene. Ci vediamo in confronto ^__^
 
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.Azazel
view post Posted on 29/4/2014, 12:52




I Primogeniti
Onde di Fumo, Atto VII
___ _ ___


~


Di lì a poco Neirusiens non sarebbe stata più la stessa.
L'avvertiva nell'aria, lo percepiva dal silenzio elettrico che calava come un sudario tagliente tranciando di netto le conversazioni fra la gente. Era chiaro che i fratelli di Ashlon sarebbero giunti reclamando la libertà per il loro capo, la loro guida. E l'avrebbero pretesa con la violenza.
Kel non si sentiva affatto in pericolo, sapeva bene che era in grado di reggere a duri combattimenti e dei Neiru, obbiettivamente, non se ne preoccupava più di tanto. Il discorso era diverso per Adam: non era certo che fosse pronto, la cosa buona era che il ragazzo seguiva come un'ombra la figura nerovestita e che impartiva ordini a destra e a manca al proprio gruppetto personale di Danzatori mentre li dislocava con fare silenzioso nelle celle adiacenti e dinanzi a quella di Ashlon.
Le truppe erano pronte, Kel e Adam erano gli unici posti lungo il corridoio delle prigioni. Se i Neiru fossero riusciti nell'intento di liberare Ashlon avrebbero fallito il loro compito e questo il guerriero-stregone non poteva, ma soprattutto non voleva, permetterlo.
Regolò il proprio respiro e socchiuse gli occhi.
Pochi istanti dopo li riaprì e dinanzi a lui non vi erano fiaccole attaccate alle pareti, i muri in pietra e le celle, vedeva oltre: tutte le forme di vita presenti a Neirusiens venivano avvistate chiaramente, da Adam al suo fianco, ad Ashlon nella cella a qualche metro di distanza fino all'ultimo Neiru nascosto chissà in quale angolo del porto della città. Ora aveva un campo visivo vantaggioso rispetto gli avversari che s'avvicinavano alla Torre del Fato, bisognava solo vedere se fosse servito a qualcosa contro lo tsunami Neiru che si sarebbe infranto contro le granitiche strutture delle sedi del potere di Edwin.
Poi, in un battito di ciglia, tutto cambiò.
Un suono suadente fuoriuscì dalla cella di Ashlon e pervase tutte le prigioni scatenando il caos più totale tra i prigionieri e i Danzatori celati nell'ombra. Iniziò così la vera e propria battaglia.
I Danzatori iniziarono ad ingaggiare gli elfi mentre alcuni di questi, con strani gingilli metallici, tentavano di aprire o forzare le serrature delle proprie celle. Kel era una statua immobile e riflessiva, osservava gli scontri come fosse lo spettatore di una tragedia teatrale, distaccato e impersonale, poi con poche parole ed un cenno fece intendere ad Adam che avevano bisogno di immediati rinforzi nel loro settore.
La situazione era esplosiva.
Adam scosse su e giù la testa un paio di volte e si fiondò lontano dagli scontri, lontano da Kel e dalle prigioni. Il goryano, con la coda dell'occhio, si assicurò che il ragazzo scomparisse completamente dalla sua vista, salendo i gradini a gran velocità, prima di avvicinarsi alla cella di Ashlon.

« Sei sicuro di voler vedere morire molti tuoi fratelli? La tua libertà vale più della vita di molti? »
Torvo in volto guardava il viso disteso e chiaro come il latte dell'altro. Vi era un ampio ventaglio di papabili risposte ma sapeva bene cos'avrebbe potuto dire l'elfo e voleva vedere se aveva visto giusto con le proprie previsioni.

« La Libertà vale più della vita di molti. Poco importa che sia la mia o la loro. Se solo tu l'avessi davvero provata sapresti di cosa parlo »
Il viso era piegato in un sorriso ma solo un'idiota non avrebbe letto nell'espressione del Neiru emozioni cariche di rabbia e alquanto tenebrose, vanamente nascoste da quell'inutile e trasparente ghigno.
Socchiuse le palpebre e alle spalle di Kel un Neiru tentò di colpirlo.
Ma era inutile cercare di colpirlo: era a conoscenza di ogni singolo movimento di chiunque.

« Conosco solo un tipo di libertà, Ashlon... » disse evitando all'ultimo istante, con un rapido scarto verso sinistra, l'affondo della lama Neiru « ...ed è quella derivante dalla morte... » sfoderò Neracciaio con la mano destra e assestò all'aggressore un violento diretto mancino in pieno volto che lo scagliò a terra stordito, infine la punta della spada trafisse il petto dell'elfo da parte a parte facendo sgorgare sangue dalla ferita mortale « ...se è quel tipo di libertà che cercate, ve la elargirò volentieri. »
Percepì l'aura vitale di Adam giungere sino al falò e tale visione non fece altro che rinvigorire e rincuorare Kel: presto il supporto richiesto sarebbe giunto sotto forma di spade e Danzatori, proprio quello che ci voleva per impartire una sonora lezione alla fazione elfica.

« E hai intenzione di farlo dall'altra parte delle sbarre? »
La cosa più fastidiose di tutte non erano altri due Neiru che tentavano di colpirlo, bensì il sorrisetto saccente che spesso compariva sul volto di Ashlon, un sorriso che, se non ci fossero state le sbarre, avrebbe volentieri frantumato a suon di pugni e calci.
Si voltò e con un rapido movimento del braccio sinistro disegnò nell'aria uno scudo magico che lo difese dalla lancia nemica: attacco e difesa si nullificarono a vicenda. La seconda offesensiva diretta verso Kel venne facilmente deviata verso l'esterno con il piatto di Neracciaio, gli bastò accompagnare la lama del coltello e il colpo fu deviato con grazie e facilità.
Il contrattacco fu micidiale anche se, purtroppo, solo per un Neiru.
Fece fluire le proprie energie magiche facendole passare dalla carne al metallo di Neracciaio, quest'ultima iniziò a sprigionare fiamme arcane per tutta la lunghezza della sua lama, gli avversari parvero per un istante intimoriti ma nonostante tutto non batterono in ritirata, ciò significava solo che erano in cerca di guai, o peggio.
Un fendente orizzontale non diede scampo ad uno dei due elfi che vide delinearsi lungo la propria gola un sorriso cremisi e infuocato: dopo pochi secondi era a terra, privo di vita e in una pozza di sangue. L'altro riuscì a schivare l'affondo di Kel e balzò nuovamente all'attacco, ancora pronto a colpire gli arti inferiori del goryano. Fu in quel preciso istante che avvertì giungere nelle prigioni i Danzatori in supporto, capitanati da Marlow in persona; inizialmente parvero sbigottiti e stupiti dall'incredibile baraonda e dai tumulti che si erano generati sino a quel momento, poi con disciplina si immersero nel pandemonio.
Nel frattempo evitò la lama Neiru con un balzo, per la seconda volta Neracciaio si ricoprì di fuoco ma questa volta non era un fendente ma una vera e propria bordata di fiamme quella che colpì in pieno volto il secondo elfo mandandolo al tappeto con la faccia ustionata.
Non riuscì a gioire, tutto sembrava andare a gonfie vele ma fu un'unica scena a turbarlo e gettarlo in un baratro di crescente timore.
I Danzatori di supporto iniziarono a mietere vittime fra le loro stesse fila e risparmiavano ogni Neiru che gli si parava loro incontro.
A dir poco sbigottito aprì bocca verso il Danzatore che impugnava una sciabola nera e che, con freddezza glaciale, colpì e trafisse il petto di un suo compagno: « Cosa diavolo state facendo? Chi siete?! »
Percependo il pericolo preferì erigere una bolla energetica che l'avvolse completamente e in grado di proteggerlo dai nuovi Danzatori.
Nessuno rispose alla sua domanda, i Danzatori continuarono imperterriti la loro marcia di morte nei confronti dei loro stessi simili. Due di loro evitarono qualsiasi scontro e si diressero verso la cella di Ashlon: possedevano uno strano marchingegno in grado di forzare la porta blindata della cella. Con lo sguardo trasferì la sua energia nell'arnese il quale, sovraccarico di energia magica, si sciolse come investito da una colata lavica, infine si lanciò dinanzi la cella di Ashlon, frapponendosi fra il prigioniero e i Danzatori nemici. I due vennero sbalzati via non appena entrarono in contatto con la bolla energetica del goryano, quest'ultimo poi evocò un piccolo drago, grande quanto un carretto, che aprì le fauci e inondò i due figuri nerovestiti con il proprio alito infuocato. Erano tutte mosse disperate, era solo contro tutti, non avrebbe retto ancora per molto e tale consapevolezza gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Sensazioni di impotenza e fragilità che poche ore prima non avrebbe mai pensato di provare e che ora, invece, lo avvolgevano in spire sempre più claustrofobiche.

« Ed ora basta, Kel'Thuzak. »
La figura di Marlow avanza sicura fra i Danzatori, stringeva al proprio fianco Adam mentre una lama sfiorava la gola del ragazzo, visibilmente spaventato.
« Quando Edwin ha scelto su chi riporre la propria fiducia, è indubbio che con te non abbia fatto alcun errore di calcolo. »
Sorrise con fare canzonatorio, mentre avanzava i combattimenti scemavano poco a poco.
« Sfortunatamente, con me non ha avuto la stessa fortuna. Ed ora, se volessi essere così gentile da spostarti... »
Fece cenno a Kel di farsi da parte e allontanarsi dalla cella di Ashlon.

« Lascia andare il ragazzo. »
Ringhiò minacciosamente, arretrò di qualche passo e assecondò i voleri di Marlow che, sorridendo, fece cenno a due Danzatori di avanzare per aprire la cella, riuscendoci.
Qualcosa cambiò repentinamente non appena la cella fu aperta.
Un gelo innaturale s'intrufolò nelle prigioni e penetrò nelle ossa dei presenti accompagnato da un silenzio surreale e improvviso.

« Come sempre, un tempismo perfetto. E dire che iniziava quasi a piacermi questa nuova libertà... »
Furono le ultime parole che Kel percepì prima di crollare a terra. L'oscurità calò sul mondo e sul goryano mentre un malore improvviso, che come origine aveva la testa, iniziò a farsi strada lungo tutto il corpo, impossibilitandolo nei movimenti.
Non capiva nulla, non comprendeva cosa stesse accadendogli attorno e in fattispecie al suo corpo e alla sua mente.
Perse i sensi e, forse, fu un sollievo.

Kel'Thuzak
il Mezzanima

CS 6 ~ Destrezza 2 - Intelligenza 4 (+2 ad Intelligenza grazie a "Discendenza Arcana")

~ Basso 5% ~ Medio 10% ~ Alto 20% ~ Critico 40% ~

Energia: 100% - 10% - 10% - 10% - 10% - 10% - 5% - 20% = 25%
Status Fisico: Indenne.
Status Psicologico: Indenne.

Equipaggiamento in uso

Neracciaio__In uso.
Silentium__Inutilizzata. [º º º º º]


Abilità in uso

arcanus__L'anima corrotta di Kel, scissa in due tra spada e corpo, ha fatto sì che Neracciaio acquisisse un potere in grado di distinguerla dal resto delle armi comuni: il potere della sua anima racchiusa in questa spada è in grado bruciare e ustionare. L'arma infliggerà danno come il riflesso della propria anima tant'è che oltre al danno fisico arrecherà un danno legato all'elemento Fuoco, non pregiudicherà in alcun modo la regolamentazione sugli attacchi fisici e le Capacità Straordinarie; il danno totale inflitto dagli attacchi fisici non cambierà in alcun modo, ne verrà solo caratterizzata l'entità aggiungendovi proprietà elementali. L’arma, come una creatura viva e senziente, si plasmerà sulla figura del possessore assecondando la sua indole, vettore della sua anima. Da questo momento in poi essa vibrerà di energia propria, liberando una malia psionica di tipo passivo, sottoforma di terrore e paura, che influenzerà chiunque sarà abbastanza vicino da percepirla. Inoltre Kel, raggiunto il 10% delle energie, non sverrà, come invece potrebbe succedere a qualsiasi altro membro di un'altra razza. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.
{Passiva Lvl.1 e 2 Artigiano + Razziale Umana}

tutum iter__La tecnica ha natura magica. L'abilità non ha potenza e concede i propri benefici passivamente, sempre funzionanti nel corso di una giocata. Il personaggio diviene in grado di camminare e reggersi su qualsiasi superficie, sia essa avversa a lui e alla gravità (come una parete o un soffitto), sia essa liquida (acqua, ad esempio) o aeriforme (camminare sull'aria). Non sarà affetto in alcuna maniera da correnti d'aria o sbilanciato da onde nell'acqua, e potrà camminare tanto agilmente nell'aria quanto lo farebbe sulla terraferma, il tutto non alterando in alcuna maniera la sua agilità o la velocità con la quale si muove normalmente - rendendolo di fatto né più veloce né più lento del solito. {Pergamena Sostegno - Ladro}

mysticus__Il prescelto dei guerrieri stregoni di Kolozar Dum è stato dotato inconsapevolmente, da quest'ultimi, del dono della magia, ma non magia comune bensì qualcosa di molto più potente e in grado di far impallidire i migliori maghi esistenti. Poter contare ogniqualvolta su una fonte di potere sempre maggiore rispetto a chi si ha di fronte è una capacità che molti vorrebbero e che Kel possiede dopo essere tornato alla vita. In termini di gioco la tecnica ha natura Magica e avrà sempre effetto. Ogni volta che il proprio avversario utilizza una tecnica di natura magica, per la durata di quel turno Kel guadagna 2 CS in Intelligenza.
{Pergamena Discendenza Arcana - Mago}

Attive Utilizzate

oculus vitae__ La tecnica è un auspex di natura magica, consumo Medio. Tramite questa tecnica le capacità di percezione di Kel aumentano incredibilmente rendendolo un vero e proprio esperto in magia sensoriale in grado di percepire ogni sorta di aura, alleate o meno anche se queste si nascondono in posti lontanissimi da dove è Kel. La tecnica consiste in un auspex passivo dispiegato in un area incredibilmente vasta. Le applicazioni di questo potere sono innumerevoli, e trovano utilità specialmente nel corso di missioni complesse, di individuazione o inseguimento. Tale capacità percettiva può essere interpretata come un semplice potere di auspex, ma anche come un'emanazione energetica o evocazione che farà da guida al caster verso un suo obiettivo designato - in questi ultimi casi, la creatura o l'emanazione non potrà essere né attaccata né dissolta e svanirà dopo aver indicato al caster il suo bersaglio. La guida o la capacità di auspex permane per quattro turni compreso quello di attivazione. {Abilità Personale 3/10}

claustrum__ La tecnica ha natura Magica e consumo Medio. Lo stregone genera una barriera magica, dal colore nero e dalla consistenza liquida e densa come fosse composta di sangue demoniaco, grande al massimo quanto lui, in grado di difenderlo efficacemente da una offensiva dello stesso livello o inferiore. La tecnica ha una potenza difensiva pari a Media. {Pergamena "Barriera" - Mago}

vetus flammas__ La tecnica ha natura Magica, consumo Medio. Lo stregone sarà in grado di circondare una parte del proprio corpo, l'intero corpo o il proprio equipaggiamento e le proprie armi con l'elemento che controlla, il fuoco, nonchè manifestazione elementale della sua anima corrotta. Questa tecnica non può essere castata nel momento della difesa per danneggiare il nemico che attacca. In compenso, nel momento in cui Kel sferra un attacco con un'arma o una parte del proprio corpo ricoperta dall'elemento, questo conterà come una tecnica di potenza Bassa che infligge un danno Alto compatibile con l'elemento del fuoco. {Pergamena "Fusione Elementale" - Mago}

unda flammas__ Spendendo un quantitativo Basso o Medio di energie, sarà possibile sprigionare da Neracciaio una bordata costituita da fiamme, nonchè manifestazione dell'anima racchiusa nell'arma in grado di arrecare un danno pari al consumo speso sottoforma di bruciature e ustioni. {Abilità attiva "Artigiano" - Consumo Medio}

aversor__ La tecnica ha natura Psionica e consumo Medio. La tecnica si presenta come una costrizione che l'avversario, se non si difende, non può disattendere: egli non potrà superare il limite creato dallo stregone e se si trova al suo interno si vedrà costretto ad uscirne senza poter in alcun modo controllare il proprio corpo. Sarà quindi impossibile ingaggiare il mago in corpo a corpo, mentre questa difesa nulla potrà contro gli attacchi a distanza. La tecnica ha potenza Bassa per due turni e sarà visibile ad occhio nudo poichè il corpo del caster sarà circondato da una sorta di cupola composta da scariche elettriche nere in continuo movimento. Questa area di difesa si sposta insieme con il mago se questi si muove. {Pergamena "Terrorizzare" - Mago}

dissipatio__ La tecnica è un danno all'equipaggiamento di natura Magica, consumo Basso. Lo stregone colpisce l'arma dell'avversario con una modalità a propria scelta (castando l'arma da lontano, toccandola, colpendola) e la disgrega distruggendola. Qualora non ci si difendesse da questa tecnica, l'avversario vedrà la propria arma o un suo pezzo di equipaggiamento sciogliersi, come se una colata di lava avesse colpito il bersaglio in questione. In nessun caso potrà essere utilizzata per cagionare danni a qualsivoglia essere organico. L'equipaggiamento danneggiato potrà essere ripristinato nella giocata in corso solo mediante l'uso di tecniche apposite. {Pergamena "Disgregare" - Mago}

draco__ La tecnica ha natura di Evocazione, consumo Alto. Lo stregone evoca un drago, delle dimensioni massime di un elefante, totalmente asservito a lui, dalle scaglie nere come la notte e profondi occhi rossi, fiammeggianti. La creatura sarà dotato di artigli, zanne e soffio infuocato con cui compiere attacchi fisici e potrà volare. Andrà considerata come un'evocazione di potenza Media e potrà incassare un totale di danno pari ad Medio, prima di scomparire. Se non distrutta resterà sul campo di battaglia per due turni, compresa l'attivazione, se non sconfitto prima. L'evocazione sarà di potenza pari a 4 CS. {Pergamena "Draco" - Mago}



 
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Alb†raum
view post Posted on 2/5/2014, 12:59






Il fantoccio




«Ha capito bene ciò che dovrai fare?»

«Perfettamente, mia signora.»

Arthurus reclinò leggermente il capo. Lady Maria, di fronte, sorrideva radiosa facendosi vento con quel suo ventaglio di stoffa colorato, come se l'idea di respirare la stessa aria dell'uomo le desse la nausea. Arthurus ricordava di aver sgozzato una o due nobildonne durante la sua vita da bandito nei boschi dell'Erynbaran e non era di certo intimorito dalle stoffe preziose con cui quella biondina metteva in risalto le tette. I suoi due occhi rossi, tuttavia, lo mettevano a disagio: erano gli stessi con cui Lord Edwin lo aveva guardato dopo aver fatto trucidare quasi metà dei suoi compagni in una retata. Lo sguardo con cui gli aveva chiesto di scegliere fra la forca o l'asservimento. L'ex brigante strinse le mani a pugno, nervoso. In altre circostanze non avrebbe esitato ad afferrare quella troietta per i capelli e a farle capire a suon di sberle che non si sarebbe dovuta permettere di guardarlo in quella maniera, che meritava di essere rispettato. Aveva fatto lo stesso quasi dieci anni prima con sua moglie in quei merdosi giorni di matrimonio, così merdosi da fargli dimenticare come avesse fatto ad amarla. Era successo prima che diventasse bandito. Alessandra, la sua sposa, non aveva uno sguardo arrogante, ma era perennemente stanca, come se facesse altro oltre a dormire continuamente. Lo guardava come se lui fosse il suo carceriere, colui che deteneva le chiavi per una libertà che le era stata tolta. Arthurus non aveva mai sopportato quelle occhiate. Lei lo fissava di sottecchi mentre filava, mentre mangiava quello che lui portava a casa dopo una giornata di duro lavoro, persino mentre fingeva di dormire per non aiutarlo nei campi. Non pronunciava mai una parola di più oltre ai regolari “buongiorno” e “buonanotte” e quando lui la interpellava rispondeva a cenni. A letto, poi, un pezzo di legno avrebbe dato più soddisfazioni: rimaneva rigida, immobile mentre lui le entrava dentro e si muoveva nella spasmodica ricerca di piacere. Lei non emetteva verso o ansito, attendeva che finisse e poi crollava addormentata. Arthurus aveva più volte avuto l'impressione che si mettesse a piangere. Una notte, mentre era sopra di lei per i doveri coniugali, Alessandra aveva voltato gli occhi verso la parete. Arthurus era sicuro di aver visto lacrime scenderle lungo le guance pallide. A quel punto, rabbia e frustrazione lo avevano invaso e non ce l'aveva più fatta. Aveva afferrato un cuscino e glielo aveva premuto sulla faccia con tutta la propria forza. Era ancora dentro di lei mentre la uccideva. Nemmeno in quel momento Alessandra si era mossa. Lui aveva continuato a spingere, spingere sempre più forte stringendo i denti, sperando che scalciasse, si dimenasse, urlasse pietà. Avrebbe smesso, se avesse fatto qualsiasi cosa lui avrebbe smesso. Invece lei non aveva fatto nulla.
Arthurus non seppe mai per quanto tempo l'avesse soffocata, ma quando aveva gettato via il cuscino la candela a lato del letto si era completamente sciolta e il sangue dell'alba bagnava il cielo. Il volto della moglie era una maschera di cera di quelle che i guitti portavano durante i loro spettacoli: tutti i tratti del suo viso erano contorti a formare una grottesca smorfia di dolore. Aveva labbra bluastre e la lingua gonfia e viola distesa fuori dalla bocca, simile a un verme grasso. Il suo sguardo, quel suo sguardo pietoso e insopportabile tuttavia era ancora lì.
Arthurus aveva urlato.

«La tua ricompensa sarà lauta se ti atterrai al piano. Ora va' e riferisci. Confido nelle tue doti di oratore.»

Maria lo congedò con un cenno sbrigativo della mano. Arthurus si limitò ad annuire prima di imboccare la porta e poi i corridoi illuminati dalle torce a passi nervosi, assorto nei propri pensieri. Rischiò quasi di finire addosso a una fila di Danzatori che si stavano dirigendo verso l'armeria. Si scusò con un cenno del capo. Loro si limitarono a tirare dritto, come se lui non esistesse.
Non aveva mai pensato alla libertà da quando era entrato al servizio di Lord Edwin. Era stato ricercato per assassinio e brigantaggio, con le mani sporche di sangue di decine di uomini e donne, ma alla fine il benvolere di quel vecchio gli aveva risparmiato una sommaria esecuzione. La salvezza di essere un Danzatore diventava tuttavia l'inferno di fronte alla prospettiva di tornare libero ed Edwin era il demone che lo teneva soggiogato con lunghe catene ricoperte di spine. Era fottutamente stanco dell'aria umida e fredda di quella stupida caverna, stanco di uccidere elfi con la pelle grigia. Che se la prendessero pure, Neirusiens. Lui sarebbe tornato a sud e con i soldi ricevuti si sarebbe comprato dei campi, una villetta e si sarebbe sposato di nuovo. Avrebbe vissuto in tutta tranquillità mentre Edwin si sarebbe divertito a morire sotto i pugnali di quei vermi pallidi lì al freddo.

Imboccò le scale per scendere al pianterreno di fretta. Nel pianerottolo di transizione, due uomini con addosso la maschera da corvo dei Danzatori vennero verso di lui.

«Ti stavamo aspettando.»

Mormorò quello a destra, togliendosi il becco di ossidiana dal viso. Era un uomo sulla trentina, con le guance scavate e i capelli biondo cenere che gli coprivano a spazzola lo stretto cranio. Mentre parlava pareva che stesse masticando qualcosa. Si chiamava Philip e un tempo lui era stato un membro della banda di Arthurus. Quest'ultimo rilassò il volto in un'espressione più amichevole, ma non sorrise. Per quanto fosse sempre andato d'accordo con il ragazzo, non erano mai stati molto legati.

«Ricevevo le ultime direttive. Avete radunato le truppe nel cortile?»

«Armate e schierate come avevi chiesto.»

«Perfetto.»

Si passò una mano sulle guance ruvide di barba sale e pepe, soddisfatto. Prima sarebbero potuti partire, prima quella faccenda sarebbe terminata e lui avrebbe potuto prendere una di quelle chiatte che conducevano all'esterno e sparire per sempre.

«Quei dannati Neiru avranno finalmente ciò che si meritano per aver assassinato la nostra gente.»

Philip abbozzò un sorriso storto. Arthurus lo scrutò, poco convinto. Era sempre stato uno dei suoi uomini più fidati, un cagnolino fedele e ubbidiente, eppure troppo ingenuo. “Mammoletta” era il soprannome che gli avevano dato nella banda. Davvero si era bevuto tutte quelle puttanate che Lord Edwin propinava loro? Bastava guardare quel suo volto rinsecchito per capire che nemmeno lui ci credeva. “Finché serve ai miei scopi, che creda in quello che vuole” pensò con un grugnito l'ex bandito ricominciando a scendere le scale. Philip e il suo compare silenzioso gli vennero dietro.

«Qual è il piano?»

Domandò il Danzatore. Era smanioso di piantare quel suo amato stiletto nella gola di un Neiru. Arthurus si limitò a scuotere le spalle.

«Lo saprai fra poco, assieme agli altri.»

Spinse il portone dell'entrata ed entrò nel lastricato di pietra scura del cortile. Era ampio abbastanza da contenere duecento persone e normalmente vicino alle mura, accanto agli enormi bracieri che riscaldavano e davano luce, si sarebbero potuti vedere i manichini di legno e stracci con cui i nuovi Danzatori si addestravano a usare i propri strumenti, le rastrelliere riempite di oggetti affilati, i veterani dallo sguardo severo che aggiustavano la posa dei novellini con violenti colpi di armi senza filo, ma in quel giorno di guerra tutto era stato sgombrato. Le truppe erano lì, schierate ordinatamente come Philip gli aveva detto. Erano una cinquantina, ex criminali raccolti da Edwin perché rimpolpassero le fila dei suoi assassini e tutti indossavano maschere da corvo, il becco appuntito teso in avanti. Corvi del malaugurio, di quelli che nascondono con il nero delle proprie piume il sangue che li imbratta. Arthurus ebbe l'impressione di trovarsi davanti a una qualche cerimonia malata, una di quelle che, si diceva in giro, negromanti tutti vestiti di scuro conducevano di notte nei cimiteri. Storie dell'orrore per convincere i bambini a non uscire dopo il tramonto. Eppure ebbe un groppo allo stomaco quando si rese conto che loro lo stavano attendendo, che il celebrante di quella messa nera era lui. Scosse la testa mettendosi una mano sulla fronte. No, lui voleva solo la libertà, lo faceva solo per quello. Che quegli idioti credessero a quello che volevano, erano tutti come Philip. Ben presto la realtà li avrebbe traditi e a quel punto...

«Ti senti bene Arthurus?»

Philip gli aveva posato una mano sulla spalla e lo fissava preoccupato. Arthurus serrò le labbra. Avrebbe voluto dirgli di piantarla di guardarlo in quella maniera, invece si limito ad annuire.

«Mai sentito meglio.»

Si pose di fronte alle truppe e le passò in rassegna con gli occhi una seconda volta. Tutti avevano le proprie armi nel fodero, chi asce, chi spade, chi falcetti, ma la maggior parte aveva preferito pugnali. Tutti attendevano che lui dicesse qualcosa. Per un istante, un singolo istante Arthurus si sentì a disagio. Un tempo era di certo stato a capo di una banda di banditi, ma mai aveva avuto davanti così tanti uomini e mai così tutti uguali nell'aspetto. Tutti nel suo gruppo di sventurati erano stati diversi: si ricordava di Richard, Dick il cazzone, a cui piaceva sperperare fino all'ultimo soldo rapinato giocando a carte, oppure Joseph, alto due metri e dai muscoli enormi ma con la voce di un neonato, entrambi uccisi durante il combattimento contro Edwin. Di tutta quella massa Arthurus conosceva solo Philip. Forse c'erano altri dei suoi lì in mezzo, ma erano sfigurati da quelle maschere dallo sguardo fisso, irriconoscibili. Questo pensiero lo aiutò a trovare coraggio. Schiarì la gola arrochita con un colpo di tosse prima di parlare.

«Danzatori, sarò breve. Lord Edwin ha decretato che questo debba essere l'ultimo giorno in cui la popolazione di Neirusiens abbia motivo di temere quel popolo di vermi che si fa chiamare “predatori di Neiru”. Il loro capo, Ashlon, marcisce già nei nostri sotterranei assieme ai suoi compari assassini, imprigionati da noi per giustizia, perché solo le bestie uccidono i propri nemici senza dar loro modo di redimersi. Ma oggi la giustizia sarà la morte.»

S'interruppe un istante per dare modo alle sue truppe di assaporare quelle parole. Non ci fu brusio né fermento, ma i corpi dei Danzatori fremettero visibilmente, il brivido del leone che sta per andare a caccia. Arthurus era sicuro che non stessero aspettando altro.

«Noi Danzatori d'Ambra siamo i protettori di questa città, e l'unico modo per proteggerla a questo punto è uccidere fino all'ultimo elfo. Solo così Neirusiens potrà nuovamente riavere la pace. Perciò questi sono gli ordini.»

Un sorriso non del tutto intenzionale si dipinse sulle labbra di Arthurus. Si rese conto con orrore di essere compiaciuto dalle proprie stesse sanguinose frasi. Era come essere banditi un'ultima volta.
“No, solo la libertà. Voglio solo la libertà.”

«Uccidete bambini e adulti. Nelle donne, mettete loro in grembo abbastanza bastardi da ripopolare questa città. Bruciate le case e i loro rifugi e lasciate che soffochino fino alla morte. Ora andiamo.»

Vi fu un brusio eccitato in mezzo agli assassini, poi il rumore degli stivali che marciavano sollevando polvere giallastra coprirono ogni parola. Arthurus si portò una mano allo stretto colletto dell'armatura di cuoio e se lo allargò. L'aria gli pareva calda, nauseante, eppure il freddo umido del sudore gli pizzicava la pelle. Cercò lo sguardo di Philip vicino alla torre, dove era rimasto per tutto il discorso, ma incontrò invece quello di Maria. La donna in viola era a metà dell'uscio, il volto sorridente adombrato poiché la luce delle lanterne proveniva dalle sue spalle e i bracieri erano troppo lontani. Tuttavia Arthurus ebbe l'impressione che fosse qualcosa di più nero dell'ombra ad avvolgerla.
Ma doveva essersi sbagliato, perché non esisteva nulla di più buio dell'oscurità stessa.


Hua




Hua si afferrò al petto la giacca rossa e la strinse forte. Con l'altra mano teneva quella di Jeanne mentre si affrettavano giù per le scale della Torre del Fato, quella ripida chiocciola che non finiva più e pareva condurre fino all'inferno. Hua era tesa, il petto le pesava come se fosse stata caricata di sassi e questa sensazione era accentuata dalla completa assenza di vita nell'edificio. Sugli scalini di pietra camminavano solamente loro e tra le mura strette i passi echeggiavano assieme al crepitare delle fiamme delle lampade appese alle pareti. Era tutto irreale, un sogno strano, di quelli che al risveglio lasciano turbati. Non si sarebbe stupita se un istante dopo si fosse svegliata nel proprio letto alla Fortezza Oriente, con i capelli spettinati e Jeanne a scuoterla per avvertirla che era quasi mezzogiorno. Forse avrebbe persino gradito.

«Non preoccuparti. Concentrati su ciò che devi fare.»

Le sussurrò Jeanne abbozzando un sorriso sulle labbra, ma l'ondeggiare nervoso delle sue code e il suo sguardo tradivano disagio. Forse anche lei avrebbe preferito risvegliarsi alla Fortezza Oriente. In quelle notti la volpe aveva dormito pochissimo e le volte che Hua si era svegliata a causa della sete spesso l'aveva trovata ancora in piedi assieme a lady Maria, a parlottare o semplicemente in silenzio, entrambe a fissare nel vuoto. Era colpa dei Danzatori, delle Ombre, Hua ne era sicura. Le avevano cambiate, le stavano cambiando. La nekomata aveva paura a chiedersi quando sarebbe toccato a lei.

Arrivarono finalmente a un pianerottolo. Due Danzatori d'Ambra facevano la guardia a una porta di legno massiccio sprangata con una sbarra metallica, e quando le videro arrivare rivolsero i loro volti nascosti dalle maschere verso di loro con aria interrogativa. Un brivido corse lungo la schiena di Hua. Era inquietata da quel travestimento. Erano mostri mangiacarne, di quelli che aveva visto divorare carcasse di cervo già sventrate dai lupi. Jeanne si fece avanti, un'espressione decisa sul volto.

«Aprite la porta e fateci entrare. Ordini di Lord Edwin.»

Ingiunse ai due uomini. Quelli le fissarono per qualche istante in silenzio, imperscrutabili. Hua temette che avessero intenzione di ucciderle, ma infine uno dei due parlò, la voce attutita dall'ossidiana.

«Una volta dentro non potrete più uscire. Lord Edwin ha chiesto che la bambina non esca dalle sue stanze.»

Jeanne annuì. Quella era la stanza di Leanne, la bambina con le corna, la piccola mezz'elfa contesa tra Neiru e uomini. Ma, soprattutto, da Maria.

«Aprite le porte allora.»

Hua si fece avanti timidamente, tormentandosi le mani. La barra che bloccava la porta venne sollevata con un rumore stridente e la ragazzina entrò in una stanza immersa nella penombra, illuminata solamente dalla luce arancione che filtrava dalle imposte socchiuse di una finestra. Prima che gli occhi le si potessero abituare, i Danzatori chiusero dietro di lei l'entrata e un tonfo pesante le suggerì che fosse stata nuovamente sigillata. La camera di Leanne era piccola e piuttosto spoglia, arredata solamente con un semplice armadio, un comodino con sopra un candelabro luccicante di cera sciolta e un piccolo letto. La bambina era seduta sulla sponda, la chioma di capelli castani a coprirle gli occhi chiusi. Non sembrava essersi accorta di Hua perché la testa le rimase a ciondolare lentamente, come se fosse assorta. La nekomata sospirò. Lady Maria era convinta che lei fosse la persona di cui la bambina si fidasse di più dopo Aris, ma la verità era che Hua non la conosceva affatto. Le si avvicinò lentamente, per non svegliarla troppo rudemente nel caso stesse dormendo.

«Mmh. Ciao.»

Sorrise facendole un cenno di saluto con la mano.

«Ti senti bene?»

Leanne strinse le palpebre, poi le spalancò appena, come se fosse stata profondamente addormentata per un lungo tempo. Quando si voltò verso Hua, tuttavia, la verità fu evidente: le sue pupille erano enormi e vuote, incapaci di mettere a fuoco. La testa della bambina ondeggiava e sul volto aveva un'espressione stordita. Drogata.


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Hua venne percorsa da un moto di orrore e attraversò la stanza correndo, ma la piccola biascicò qualcosa e scivolò giù dal letto prima che potesse raggiungerla. Il tonfo del corpicino sul pavimento riempì le orecchie della nekomata più di quanto avrebbe fatto un macigno. Si inginocchiò vicino a lei e le sollevò la testa con delicatezza. I capelli impregnati di sudore le unsero le dita, ma non si ritrasse. Edwin... Edwin era un mostro. Cosa le aveva fatto quella bambina? Cosa voleva da lei? Voleva corromperla come stava facendo con Maria e Jeanne, voleva trasformarla in uno dei suoi corvi? Gli occhi le pizzicarono.

«Leanne! Leanne! Cosa ti hanno fatto? Ti prego, dimmi qualcosa.»

Si chinò su di lei per sentire se respirasse. La piccola ansimava faticosamente, ma non sembrava che stesse soffocando. Il lord di Neirusiens aveva voluto impedire che uscisse usando quegli strani poteri e rovinasse i suoi piani in qualsiasi maniera. Hua strinse i pugni trattenendo le lacrime. Maria le aveva ordinato di farla uscire, ma era veramente sensato farlo con lei in quello stato? Eppure sapeva che non poteva evitare di farlo, che sarebbero morte se non avesse giocato la propria parte.

«Dobbiamo andare da Ashlon. È in pericolo.»

Le sussurrò in un orecchio, piano, per non farsi sentire dai due Danzatori fuori dalla porta. La piccola spalancò appena gli occhietti e la guardò con un barlume di coscienza. Annuì lentamente, come se quel nome le avesse restituito le forze, ma quando pose una mano a terra per rialzarsi scivolò di nuovo.

«Stai calma. Ci penso io.»

La afferrò per un fianco e la fece sollevare piano per non farle girare la testa. Il corpo della bambina con le corna tremava e Hua dovette fare attenzione perché le gambe non le cedessero. Lanciò un'occhiata alla porta sprangata alle proprie spalle. Le guardie non l'avrebbero aperta per nessun motivo. Ma quello non era un problema.

«Appoggiati qui. Solo un istante.»

Le disse con un sorriso. La lasciò vicino alla sponda del letto, appoggiata con un braccio allo schienale e si assicurò che riuscisse a rimanere in piedi. Rivolse una nuova occhiata all'uscio, uno sguardo rabbioso. Edwin si era impegnato tanto per costringere Leanne nella sua prigione. Ma non sarebbe bastato. Gli occhi della nekomata baluginarono di rosso mentre due ali di piume nere le crescevano sulla schiena.

L'istante dopo la porta della stanza di Leanne esplodeva, scardinata dalle sue cerniere con un clangore metallico. La sbarra di ferro si spezzò e i due frammenti vennero scagliati contro un muro assieme ai corpi delle due guardie, troppo sorprese per poter reagire. Quando la segatura e la polvere si depositarono, Hua osservò senza emozione i Danzatori svenuti, buttati scompostamente a terra come marionette con i fili intrecciati. Non erano meno colpevoli di Edwin per ciò che era accaduto. Li lasciò al loro destino e diede un'occhiata ai corridoi circostanti e alle scale per prepararsi all'arrivo di eventuali rinforzi, ma non vi era nessuno. Non un suono echeggiava dall'alto o dal basso della torre, tutto era nel perfetto silenzio. La nekomata aggrottò la fronte, confusa. Ci sarebbe dovuta essere una battaglia in atto poco lontano, non era possibile che non si sentisse nulla. Quasi sobbalzò quando udì la voce di Leanne alle proprie spalle.

«Non far rumore. Loro non devono sentirci.»

La piccola l'aveva raggiunta e si era aggrappata alla sua giacca rossa, ormai ridotta a uno straccio dalle due ali. La fissava con i propri occhietti esausti tentando di parlare con il tono più basso possibile. Hua non aveva mai visto niente di più fragile. La afferrò saldamente e se la caricò sulla schiena a riposare fra le piume delle ali. Le fece impressione sentire come non pesasse praticamente nulla, ma si disse che doveva essere a causa della trasformazione.

«Di là.»

Mormorò la bambina con le corna indicandole le scale che portavano al pianterreno. Hua annuì e cominciò a scenderle con calma, passo dopo passo per non permettere alle proprie scarpe di scricchiolare o, peggio, di scivolare su quei gradini di roccia consunta. L'uscita dalla Torre si parò di fronte a loro dopo quella che parve un'infinità di scalini. Le porte erano aperte, spalancate. Hua fu felice di constatare che non vi erano Danzatori di guardia, ma la felicità durò un'istante. Il tempo di rendersi conto della densa nebbia nera che all'esterno inghiottiva ogni cosa. Il corpicino di Leanne si irrigidì e anche il cuore della nekomata parve fermarsi. L'Ombra mangiava tutto, divorava case, luce, suoni inglobandoli nella propria massa informe come un'onda fa con la spiaggia. Avanzava imperterrita tendendo le proprie volute in avanti e ghermendo le case nella propria stretta prima di inghiottirle. Le gambe di Hua si misero a tremare. Se doveva svegliarsi da quell'incubo voleva farlo ora, prima che la pece la affogasse. Jeanne, Jeanne doveva svegliarla, doveva dirle di prepararsi per la colazione, di vestirsi, di pettinarsi quella zazzera informe perché non si addiceva a una signorina, di spazzolarsi le code e pulirsi le orecchie, il bagno era pronto e Jeanne dove sei finita, Jeanne ho paura...

«I Danzatori sono qui.»

Sussurrò la bambina alle sue spalle stringendole la giacca.

«Nascondiamoci»

Hua non fu sicura di averla sentita.


Jeanne




La volpe discese le scale di fretta, senza accorgersi che nella torre non vi era più nessuno. La lunga tunica quasi le si impigliava fra le gambe e doveva fare attenzione a non inciampare nel tessuto. Arrivò dove la chiocciola si congiungeva con i gradini che portavano ai sotterranei e li imboccò senza guardarsi attorno. Lady Maria in quel momento avrebbe dovuto essere di ritorno dal quartiere degli elfi. Se non ci fossero stati problemi si sarebbero dovute incontrare lì, nelle carceri, eppure qualcosa dentro Jeanne suggerì che di problemi ce ne sarebbero stati, ma a quel punto non seguire i piani non sarebbe servito a nulla. Ormai si erano spinte troppo in là per fermarsi, e questo la terrorizzava fino a lasciarla sveglia la notte. Lady Maria sembrava sempre essere sicura di ciò che faceva, troppo sicura perché non le capitasse di fallire. Probabilmente lo aveva già fatto, semplicemente era incapace di accorgersi dei propri errori. Sarebbero finite uccise o peggio, a seconda di quello che Edwin o Ashlon avrebbero deciso di fare di loro. Cose a cui la volpe non avrebbe voluto pensare ma che ogni notte sognava con vividezza morbosa: ferri roventi, veleni, aghi, tutti disposti in ordine accanto ai macchinari di tortura, pronti a bruciare la carne, sciogliere in gelatina sanguinosa le budella, perforare gli occhi e le falangi delle dita...
Da dietro un angolo una mano guantata di nero si serrò stretta sulla sua bocca. Prima che la volpe potesse realizzare cosa stesse succedendo, una seconda la strattonò per la veste trascinandola dietro un muro, nell'oscurità di una stanza vuota e dall'odore di chiuso. L'alito dell'assalitore le soffiava sulle orecchie e per un istante Jeanne credette di vedere il gelido bagliore di una lama avvicinarsi alla gola.

«Se ci tieni alla vita, bambina mia, è meglio che tu rimanga qui nascosta.»

Sussurrò con voce roca l'uomo, allentando, seppur di poco, la presa. La volpe poté tornare a respirare.

«Bada bene: non ti sto minacciando, ti sto proteggendo.»

Quando la lasciò andare, Jeanne si allontanò da lui di qualche passo prima di voltarsi. Di fronte a lei vi era un Danzatore senza la tipica maschera, il volto dai tratti duri di un uomo di mezza età che si avviava lentamente verso la vecchiaia. Occhi chiari nelle orbite scavate la guardavano con cautela, come se anche lui fosse in dubbio su ciò che lei avesse intenzione di fare. Questo ridiede un po' di confidenza alla volpe.

«Tu... chi sei?»

«Il mio nome è Rakshin.»

Il vecchio Danzatore le fece cenno di fare piano. Jeanne si portò la mano alla gola come se questo potesse cancellare il suono delle parole appena pronunciate.

«È da un po' che vi osservo e più va avanti questa faccenda, più mi convinco che la vostra sia una posizione alquanto pericolosa»

Rakshin la scrutò per qualche istante in silenzio, come per studiarla. Jeanne distolse lo sguardo, nervosa. La faccenda non le piaceva, non le piaceva per niente. Rakshin... quel nome non le era nuovo, eppure il suo volto non le diceva niente.
Il vecchio sollevò una mano tendendola verso di lei.

«Avrei bisogno di capire una cosa, signorina. Potrebbe darmi la sua mano?»

«Il palmo della...?»

Jeanne lo scrutò con titubanza all'inizio, poi gli porse il palmo sinistro. Dopotutto se avesse voluto ucciderla lo avrebbe fatto prima, quando non avrebbe dovuto fare altro che tappargli naso e bocca con le dita o farle scivolare una lama lungo la gola.

«Lei... è il danzatore che ci ha portate al cospetto di Edwin prima dell'imboscata ad Ashlon.»

Realizzò dopo qualche istante. Lo ricordava mentre rifiutava a Maria qualsiasi notizia su Aris e Leanne e offriva loro di entrare nei Danzatori d'ambra. Si era immaginata una persona diversa dietro la maschera, un volto duro, crudele, mentre quello che si trovava davanti era un viso intristito dall'inizio dell'ultima età.
Rakshin non reagì a quelle parole, troppo concentrato.

«Le è stato ordinato di tenerci d'occhio?»

«Mi è stato ordinato di sorvegliarvi» annuì lui «Ma ciò che sto facendo ora va ben oltre i miei compiti.»

In qualche modo, Jeanne lo aveva sospettato. Alcune delle mosse di Maria erano state tutt'altro che sottili e non potevano non aver fatto nascere sospetti nel vecchio Lord.

«Ascolta. So che la tua padrona è giunta a Neirusiens alla ricerca di Ombre»

Mormorò sfilandosi un guanto. Aprì il palmo della volpe e lo sovrappose al proprio con delicatezza. La sensazione della pelle indurita e ruvida contro la propria le diede una strana sensazione.

«Ma dalle sue azioni non sembrava sapere esattamente cosa cercare e dove cercare.»

Socchiuse gli occhi, sollevando il palmo. Jeanne fissò attonita la propria pelle. Le linee della mano erano diventate un fitto reticolato nero pece e pulsante, dotato di vita propria. Le vene del polso affioravano scure e la volpe dovette trattenersi dall'affondarvi le unghie per strapparsele. Che cosa le stava succedendo? Rakshin le aveva fatto qualcosa?

«Il suo istinto l'ha portata però a prendersi cura di Leanne, e in ciò è stata molto intelligente. Edwin ha visto di buon occhio il legame che si è stabilito fra di loro e credo vorrà sfruttarlo in futuro, ma ciò comporta un prezzo.»

Le venature sbiadirono nel pallore della carne come lo zucchero nel tè caldo. Jeanne si rigirò di fronte agli occhi il palmo. No, Rakshin non le aveva fatto nulla, assolutamente nulla. Quel nero era già dentro di lei e scorreva sempre più copioso nelle vene assieme al sangue.

«Se resterete qui, l'Oscurità che già si annida in voi si risveglierà e vi trasformerà in Danzatori. E' questo il vostro desiderio?»

Rakshin alzò lo sguardo, uno sguardo duro, severo, eppure senza alcun giudizio nascosto fra le rughe che contornavano gli occhi. Jeanne non aveva idea di cosa rispondere. Non sapeva completamente dei piani di Lady Maria, conosceva solo una piccola parte di quello che la Strega aveva pensato e quei frammenti non bastavano a dare risposta alla domanda del Danzatore. Personalmente Jeanne non sarebbe voluta diventare uno di quegli assassini. Non parevano avere intelligenza o coscienza, solo la smania di uccidere con il potere delle ombre chi venisse loro indicato.

«Non... non ho idea di ciò che abbia in mente Milady.»

Balbettò infine, poi rimase un istante in silenzio.

«Cosa comporta diventare Danzatori? Credevo lo fossimo già dopo il giuramento.»

Rakshin socchiuse gli occhi, Jeanne non comprese se per ostilità o per concentrarsi.

«Di coloro che avete visto ospiti qui presso la Torre del Fato, solo poche decine diverranno davvero Danzatori. E non parlo di un semplice giuramento. Parlo del potere dei Danzatori, lo stesso che poco tempo fa avete voi stesse potuto sperimentare sulla vostra pelle all'interno del Palazzo della cerchia.»

Jeanne lo ricordava. Ricordava l'oscurità che aveva avvolto ogni cosa, di quel canto, di quella nenia terribile che si era insinuata nella loro mente fino a rendere difficile il pensiero. Era stato come avere le budella e le ossa congelate, incapaci di muoversi. Un brivido le corse lungo la schiena a quel ricordo. Maria stava veramente cercando di ottenere simili capacità? Voleva diventare... un mostro?

«Coloro che possiedono questo potere sono capaci di cose impossibili per altri, ma il prezzo da pagare per portare l'Oscurità dentro di sé è altissimo: chi troppo a lungo indugia nelle Tenebre, spesso infatti finisce per perdervisi. Difficile dire quanti Danzatori siano ancora umani e quanti invece abbiano smarrito la propria anima, divorata dal loro stesso potere.»

“Se scruterai troppo a lungo nell'abisso, l'abisso scruterà dentro di te” aveva detto un giorno Maria. Parole incomprensibili di un qualche filosofo, si era detta Jeanne, ma solo ora comprendeva quanto fossero terribili. Rakshin stesso aveva esitato nel parlare, come se riconoscesse di non essere escluso dal problema. Tutti loro erano avvolti dalle spire dell'Ombra e lentamente venivano inghiottiti in essa. Jeanne sarebbe voluta fuggire, ma non sapeva come.
Rakshin aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma in quel momento la luce del corridoio si affievolì, come se le lanterne fossero state improvvisamente abbassate. Il suono del crepitare delle fiamme divenne attutito, il rumore lontano della battaglia si spense. Alla volpe parve di sentire il proprio cuore battere in petto, tu-tum tu-tum, il sangue scorrerle nelle vene, lo stomaco rivoltare l'acido che aveva nelle viscere. Si portò le mani alle orecchie, esasperata da quei suoni. Cosa stava succedendo?

«Dobbiamo andare. Stanno arrivando.»


Arthurus




Si portò un fazzoletto di stoffa bagnata al viso sforzandosi di non tossire un'altra volta. Il fumo invadeva ogni cunicolo, ogni grotta scavata dagli elfi, rendendo l'aria irrespirabile. Sopra gli edifici dove i Neiru avevano abitato ardevano con un crepitio così violento che poteva essere udito fin laggiù nel sottosuolo. Arthurus si chiese quanto tempo ci avrebbero messo le fiamme a raggiungerli e a ucciderli tutti. Accanto a lui, Philip si strofinava gli occhi irritati dalla cenere.
La caligine impediva loro di vedere ciò che stava accadendo fra le gallerie, ma nulla fermava i suoni che giungevano da lontano. Il clangore delle armi che battevano fra di loro era appena un sottofondo, di più erano le urla, i versi agonizzanti, i rantoli. Tutte le grida erano uguali, Arthurus non avrebbe saputo dire quali appartenessero ai Danzatori e quali agli elfi e poteva solo sperare che fossero i secondi. Ma cosa gli importava, alla fine? Ancora poco e lui sarebbe stato libero, finalmente libero.

L'attacco iniziale era andato bene, forse troppo. Erano entrati dentro il quartiere dei Neiru senza incontrare resistenza, anche se sarebbe stato meglio dire che lo trovarono completamente deserto. Le case antiche in rovina in cui avevano vissuto gli antenati degli elfi erano silenziose, prive di luci, nere come la roccia con cui erano scolpite. Le strade usualmente trafficate erano sgombre, e per qualche momento i Danzatori avevano vagato sperduti per gli isolati senza comprendere cosa dovessero fare. Arthurus li aveva radunati in piazza, in quella che un mese prima aveva accolto i racconti di Ka Shanzi, e aveva ordinato loro di perlustrare gli edifici alla ricerca degli ingressi delle gallerie. Non era stato difficile. In meno di un'ora ne avevano già trovati cinque, la maggior parte all'interno di case antiche, nascosti sotto botole o sassi, altri in zone comuni, meno evidenti.
Arthurus aveva fatto trasportare vicino a quattro dei cinque accessi i barili di olio infiammabile e le torce di cui si era premunito.
Un tempo suo padre era stato un apicoltore. Quando doveva estrarre il miele, accendeva una serie di fuochi di erba fresca sotto l'alveare, fuochi con tanto, tantissimo fumo. Lasciava tuttavia sempre un lato dell'alveare libero. Quando era piccolo, ad Arthurus piaceva rimanere a guardare lo spettacolo delle volute nere alzarsi e poi lo sciame, furioso e intossicato, lanciarsi fuori alla ricerca d'aria. Un giorno aveva chiesto al padre perché non circondasse completamente il nido di fumo, e lui gli aveva risposto che in quella maniera le api non sarebbero potute fuggire e sarebbero morte tutte soffocate. Lui voleva che tornassero, che producessero altro miele.
Questo era il piano dell'ex bandito, ma quando diede fuoco alle entrate qualcosa andò storto: forse fu il vento, forse fu l'olio distribuito male, ma le fiamme si espansero rapidamente in tutto il quartiere, incontrollabili. Arthurus aveva osservato l'inferno aprirsi di fronte ai suoi occhi con un moto di sgomento. Se l'incendio si fosse espanso non sarebbero più stati in grado di fare prigionieri come previsto. Gli elfi sarebbero morti, certo, ma con loro i Danzatori che li combattevano dentro le gallerie.
Poi la paura, con la stessa immediatezza con cui l'aveva assalito, era passata. Si diede per un'altra volta la stessa giustificazione: lui non era lì per vincere, era lì per guadagnarsi la ricompensa.
Aveva ordinato ai suoi di scendere nelle gallerie per il quinto accesso e attenersi al piano. Quell'entrata era ancora ben distante dalle fiamme e posizionata nei pressi di un pozzo. Con un po' di fortuna sarebbe potuta durare tre, quattro ore prima che dovessero abbandonarla. Arthurus era rimasto assieme a Philip e il suo compagno a sorvegliare l'entrata mentre gli altri sparivano nell'oscurità per poi riaffiorare portando con sé file di elfi con i polsi legati. I Neiru erano confusi, storditi dal fumo. Molti di loro tossivano senza ritegno, altri si coprivano il viso con i polsi. Alcuni fecero domande: chiesero dove li stessero portando, cosa avrebbero fatto loro. Altri lanciarono insulti, altri ancora sputarono addosso ai loro aguzzini. Nessuno di loro ricevette risposta. L'ex bandito li guardò passare con occhi inespressivi, tentando di non pensare a ciò che sarebbe accaduto dopo. Le donne, dalla carnagione pallida e le membra sottili, si trascinavano dietro bambini altrettanto magri che si stringevano a loro con occhioni carichi di tristezza. Forse intuivano già quale sarebbe stato il loro destino.
Mezz'ora dopo, da fuori il cunicolo avevano cominciato a levarsi rantoli e urla disperate. Philip si stava torcendo le mani stringendo forte lo stiletto. Arthurus gli aveva lanciato un'occhiata divertita. Non era lui quello che voleva farla pagare agli elfi?

«Ti senti male, Philip?»

Gli aveva domandato in tono strafottente. Il compagno non si era voltato dall'oscurità che fissava come se potesse cancellare le immagini orribili che gli balenavano in testa.

«Non... non erano armati.»

Aveva balbettato passandosi una mano sulla fronte sudata. In effetti anche lì aveva cominciato a fare caldo e l'odore del fumo si era insinuato lentamente nell'aria.

«I loro padri e mariti lo sono.»

Aveva risposto secco Arthurus. Cosa si era aspettato Philip? Assassini celati dietro ogni angolo, mostri giganteschi evocati per ucciderli, decine di uomini pronti a combatterli? Arthurus lo aveva detto nel cortile: loro non erano andati lì per combattere, loro erano andati lì per massacrare. Questo era ciò che facevano assassini come loro, e questo era il prezzo della libertà.
Le urla esterne presto erano diventate pianti, i piante mugolii incomprensibili, dopodiché i Danzatori erano ridiscesi nei cunicoli. Sulle vesti nere il sangue non si poteva vedere, ma sugli scampi di pelle dei e sui capelli c'erano macchie rosse. Le loro armi gocciolavano.

«Andate e cercatene altri. Non ce ne andremo finché non avremo finito.»

E così avevano fatto e non erano ancora tornati. Arthurus cominciava a preoccuparsi per il calore sempre più intenso nelle gallerie. Aveva saputo di minatori ritrovati con la testa esplosa per incendi avvenuti all'esterno della miniera. Le ossa del loro cranio venivano rinvenute alla rinfusa, il cervello ridotto a una massa rosata, raggrinzita, gettato a metri di distanza. Si portò macchinalmente una mano al capo. No, non stava ancora tentando di uscire, ma ben presto il calore sarebbe stato soffocante.

«Dobbiamo andarcene, Arthurus.»

Gracchiò Philip in un colpo di tosse.

«Finiremo per morire soffocati.»

L'ex capo dei banditi scosse la testa.

«I miei ordini sono stati precisi. Non dobbiamo lasciare le grotte fino alla morte dell'ultimo elfo.»

Si passò una mano sugli occhi per asciugare le lacrime. Philip gli si gettò contro afferrandolo per un braccio.

«Tu sei pazzo!»

Aveva le palpebre socchiuse per l'irritazione e il viso coperto, ma la sua voce grondava di rabbia. Arthurus strattonò per liberarsi.

«Questi sono ordini.»

Ripeté con quanta più pacatezza potesse, ma il tono gli uscì nervoso. La sua libertà dipendeva tutta da quel comando, da quel dannatissimo comando. Se non l'avesse eseguito avrebbe potuto dire addio alla libertà, ai campi, alla nuova casa, a tutto. Sarebbe rimasto a marcire per i Danzatori finché non fosse crepato per mano di un Neiru. No, non aveva intenzione di andarsene.

«Non ha senso, non ha nessun senso! Io soffoco, devo uscire.»

Strillò Philip correndo verso le scale che conducevano in superficie. Non ce la fece nemmeno ad arrivare ai gradini: prima che riuscisse a posare il piede sul primo, il pugnale del Danzatore silenzioso si abbatté sulla sua schiena. Il ragazzo si piegò all'indietro strillando, la colonna vertebrale contorta innaturalmente. Arthurus non avrebbe mai pensato che un corpo potesse flettersi in quella maniera. Il pugnale si sollevò e si abbassò ancora e ancora. Pezzi dell'armatura di cuoio cadevano a terra mentre il sangue colava a imbrattare il terreno. Il ragazzo gorgogliò qualcosa, poi si accasciò scompostamente sulla roccia, rivoltandosi per il dolore nel suo stesso sangue.
Arthurus fissò il Danzatore silenzioso a occhi sbarrati nonostante il fumo. Due sentimenti contrastanti lottavano dentro di lui, rabbia e sollievo si avventavano cercando di avere il sopravvento. Ora Philip giaceva immobile e dietro la maschera di ossidiana il suo volto doveva essere digrignato per il dolore. Quello era stato un suo compagno. Avevano mangiato e bevuto assieme, avevano condiviso lo stesso tetto, avevano ucciso assieme, sebbene Philip si fosse rifiutato di fare il lavoro sporco. Philip la mammoletta, eppure tutti gli volevano bene nella banda per il suo carattere. E ora era morto.
Arthurus si asciugò di nuovo gli occhi. Era il fumo, soltanto il fumo.

«Grazie.»

Disse all'assassino. Quello non rispose che con un cenno del capo prima di riporre lo stiletto nel fodero dopo averlo ripulito sui pantaloni di Philip. Il ragazzo non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe dovuto disubbidire agli ordini. Nessuno sarebbe potuto uscire di lì prima che i Neiru fossero tutti morti.

Passò del tempo. Il silenzio ora regnava nelle caverne. Il calore si era fatto insopportabile e la pozza di sangue in cui giaceva il corpo del giovane bandito aveva cominciato a bollire. Arthurus si era tolto la maschera da tempo, gettandola in un angolo del cunicolo senza guardarla, ma l'aria era troppo pesante per respirare. L'odore di bruciato era violento, ormai l'incendio doveva essere sopra di loro.
Fu allora che delle figure apparvero dalla caligine.

«Finalmente. Avete finito?»

Domandò loro Arthurus con un mezzo sorriso. Sarebbero potuti tornare all'esterno, alla fine, lasciarsi alle spalle quell'inferno di fumo e fiamme. Lady Maria lo stava aspettando con il denaro, sarebbe bastato prenderlo e...
Una sensazione fredda lo investì al fianco. Inizialmente l'ex bandito credette si trattasse del sudore, ma poi il dolore gli fece capire la verità. Una freccia gli era sibilata vicino e si era piantata sulla gradinata lasciandogli un graffio sulla pelle.

«Si, abbiamo finito.»

Mormorò una voce anziana. Dal fumo emersero una decina di Neiru, tutti armati di arco e pugnali. Al loro centro, un anziano elfo fissava i due Danzatori con occhi duri. Arthurus venne travolto dal terrore. Cosa era successo ai suoi soldati? Dove erano finiti? Si voltò verso il Danzatore silenzioso. Quello... quello sorrideva con gli occhi. Aveva ancora la maschera sul viso, ma l'ex bandito era sicuro che stesse sorridendo. No, non aveva senso, non aveva alcun senso.
Arthurus si lanciò verso le scale in preda alla paura, ma una seconda freccia lo colse sulla coscia. Urlò cadendo a terra e andando a sbattere sul terreno. L'uomo silenzioso rimase a guardare.

«Che cazzo stai facendo? Aiutami, idiota!»

Gridò il capo dei banditi stringendo i denti per il dolore. Qualcosa baluginò nelle mani dell'altro. Un istante dopo, un pugnale penetrò nella gola di Arthurus squarciando pelle, carne, muscoli in un'esplosione rossastra. L'uomo spalancò la bocca, attonito, mentre il sangue colava copioso dalla ferita e gli riempiva i polmoni. Aria, non riusciva a respirare, non riusciva più a respirare, avrebbe voluto anche solo quel fumo bollente nella grotte, si sarebbe accontentato.
Gli archi dei Neiru scoccarono, e anche il secondo Danzatore cadde a terra, il corpo trafitto come un puntaspilli. La vista del cadavere non diede sollievo ad Arthurus. Presto sarebbe diventato come lui.

«Non c'è più niente da fare per questo qui.»

Il Neiru anziano gli prese il mento fra le dita e gli sollevò il capo. Sul viso dell'elfo vi era un'espressione triste, pietosa. Le viscere di Arthurus ribollirono nonostante fosse sul punto di morire. No, non doveva fissarlo in quella maniera, non doveva guardarlo così. Lui era importante, lui era forte... non poteva guardarlo... in quella...

Il cuore del capo dei banditi si fermò, e così fecero i suoi pensieri. Ka Shanzi lo lasciò andare sussurrando qualcosa nella lingua dura dei Neiru. Una maledizione o un saluto funebre, Arthurus non lo seppe mai.



Maria




Alle spalle della Strega il quartiere dei Neiru bruciava come un rogo della notte di Valpurga. Il fumo nero si sollevava in alto, fino al soffitto della grotta ad annerire le stalattiti e le rocce. L'incendio avrebbe presto consumato tutti gli edifici e i corpi di coloro che si erano nascosti nelle gallerie senza lasciare altro che macerie e cenere fine. Ma, soprattutto, avrebbe fatto tacere per sempre i Danzatori. Arthurus e i suoi uomini avrebbero gettato ancora più zizzania fra elfi e uomini e infine sarebbero morti in silenzio, bruciati in quel rogo di “giustizia”, come ironicamente l'aveva chiamata Arthurus, e dalla rabbia dei Predatori. Maria aveva previsto la sconfitta delle truppe che le erano state assegnate, anzi, aveva fatto in modo di renderla inevitabile e quello stupido bandito si sarebbe prestato bene al ruolo di ottuso comandante. Tutto il resto del piano era nelle proprie mani, da quel momento. Quel pensiero la compiacque.
Aveva avuto incubi, incubi terribili nell'aspettare quel giorno. Aveva sognato ancora la ragazzina con i capelli rosa, aveva sognato di come la sua pelle si ricoprisse di macchie e venature di ossidiana. Aveva sognato di essere uccisa, di fallire. Allora aveva cominciato a non dormire la notte, a rimanere sveglia, a leggere o a parlare con Jeanne, anche lei soffocata dai sogni. Lei aveva invece paura delle torture a cui Edwin e Ashlon avrebbero potuto sottoporre loro in caso di fallimento. La Strega aveva riso di quei timori, ma erano state risa false, forzate. Lo sapeva benissimo anche lei che nella sconfitta non ci sarebbe stata alcuna speranza di trovare una morta rapida, ma l'idea di vedere Jeanne e Hua torturate dai danzatori era insopportabile. Già vedeva il viso di Edwin deformato da un sorriso perverso mentre le guardava nude prima che le lame squarciassero loro le budella. Sarebbe tornato alla sua scrivania buia per scrivere prima di vedere le scene peggiori e togliersi l'appetito. Quella sola immagine le dava la nausea, ma avrebbe fatto ogni cosa per salvarle e garantire loro la fuga, anche se le fosse costata la vita.
In quel momento, tuttavia, ogni cosa andava perfettamente, e non sarebbero stati incubi, torture o timori a fermarla. Non quando ormai il potere delle Ombre era nelle sue mani e presto lo sarebbero stati anche Aris, Leanne e Ashlon. A quel punto nemmeno un migliaio di Danzatori avrebbero potuto fermarla: sarebbe stata come il fuoco che travolgeva gli elfi, rapida e implacabile.

Era circa a metà del tragitto per la torre che un gruppo di danzatori sbucò da dietro un angolo. Dapprincipio Maria rimase a fissarli temendo che Arthurus non avesse tenuto sotto controllo le proprie truppe, poi riconobbe fra di essi Marlow, uno dei comandanti di Edwin. Lui la salutò con un cenno di affettata cortesia.

«Immagino che le sue truppe non siano all'altezza di poterla accompagnare, madamigella.»

Sorrise, ironico, senza sapere che in quel momento le truppe di Maria erano troppo occupate a tirare fuori dai sotterranei elfi disarmati per poterla accompagnare, e ben presto sarebbero state fin troppo impegnate a morire.

«Gradirebbe unirsi a noi?»

Maria lo fissò inespressiva, poi tirò dritto senza rispondere. Cosa ci faceva lì quel pagliaccio? Non sapeva precisamente quali fossero state le direttive di Edwin, eppure non si aspettava di incontrare altri Danzatori sulla strada. Si era preoccupata tanto di liberarsi dei testimoni per poi trovarsene una decina lì, poco distante dalla Torre.
Si portò un dito sulle labbra, pensosa. Potevano essere d'aiuto, però, se i sotterranei fossero già stati invasi dai Neiru. Decise di rimanere al passo di quei soldati, però si guardò bene dal rivolgere la minima attenzione al loro comandante. Conosceva sufficientemente Edwin da diffidare di qualsiasi suo sottoposto.

Quando raggiunsero la torre a spirale, scoprirono le porte sigillate. Marlow ordinò ai propri di aprirle e uno dei Danzatori si fece avanti mormorando una qualche nenia incomprensibile. Le ante si divelsero come se un gigantesco le avesse abbattute con tale forza da liquefarre il metallo di cui erano composte. Le truppe sciamarono all'interno in tutta fretta, le armi estratte, per poi dirigersi verso i sotterranei. Maria fece per dirigersi anch'essa, ma qualcosa le afferrò una manica.

«Una fanciulla non dovrebbe bramare in questo modo il sangue.»

Le sorrise nuovamente Marlow. La Strega sollevò un sopracciglio. Era la prima persona che incontrasse che dopo meno di cinque minuti di dialogo si fosse guadagnata il suo disprezzo. Quel suo fare viscido nascondeva di certo qualcosa, ma in quel momento lei era troppo di fretta per poter indagare. Ashlon era poco distante, e fra poco Danzatori o Neiru lo avrebbero raggiunto per liberarlo. Doveva arrivare da lui prima che ciò accadesse.
Strattonò via il tessuto dalle dita di Marlow per liberarsi e a lo spolverò con un paio di colpi di ventaglio. Non voleva la minima traccia di quell'individuo su di sé.

«No, non è il sangue che bramo. Ma non ho intenzione di rimanere qui ad aspettare.»

Rispose, asciutta, voltandosi e avanzando a passi rapidi verso le scale. Non sentì l'augurio di Marlow alle proprie spalle, così come non sentì il sibilo della lama mentre calava su di lei.
Il dolore al centro del capo fu sordo, violento. La Strega barcollò in avanti di qualche passo mentre la vista le si anneriva. Il piatto, solo il piatto l'aveva colpita... doveva andare avanti, doveva raggiungere Ashlon, dirgli del segreto di Edwin, uccidere quello stupido vecchio una volta per...

Maria si accasciò a terra, priva di sensi, appena conscia dei passi del gruppo di Predatori che Marlow accolse con un sorriso.





Maria Violetta Mircalla Himmelherrin von Bucuresti

Priscillaspecchietto

4 - Astuzia





Risorse

Energia
100% -10 - 20 = 70%
Status psicologico

Illesa

Status fisico

Svenuta

rchBJ

Equipaggiamento

Parasole (Fucile, arma contundente e da affondo; mano destra) [0/5]
Eros e Thanatos (Katane; impugnate da Jeanne)
Comete (x20) (Kunai; possedute da Hua)


rchBJ
Passive

An eternal being can hear voices the mortals will never know ~ Pass through the centuries
Immortalità, Auspex passivo, Immunità psionica passiva

Summon of an unspeakable secret ~ Possession
Evocazioni istantanee, Condivisione dei sensi con le evocazioni, +1 CS alla forza delle evocazioni

Communion between demons and mankind ~ Spiritual bond
I compagni animali possono partecipare ai combattimenti e usare tecniche attingendo dalla riserva energetica del padrone

Attive

Summon of an unspeakable secret ~ Possession
[Abilità di talento bianca, verde e blu][Evocazione media, alta e critica; durata due turni][2/4/8 CS alla resistenza/forza fisica/velocità]
[Passive: evocazioni istantanee, condivisione dei sensi con le evocazioni, +1 CS alla forza alle evocazioni]


Un uomo o un animale, morendo, lasciano dietro di loro un corpo carico di esperienze di vita, emozioni, ricordi. Se queste sono estremamente intense, prendono consistenza in un essere immateriale, una creatura intrappolata fra la vita e la morte. Questo spettro tormentato può trovare sollievo solo riacquistando un corpo materiale e trasferendo il proprio dolore alla vittima, ma non solo: il fantasma condivide con il posseduto anche la propria forza e il proprio potere. Lo spettro acquisterà sembianze tipiche dei rapaci come artigli affilati, becco e ali dalle piume di pece, mantenendo però una forma umanoide. Questi uccelli, simbolo della morte, rappresentano il tormento della sospensione fra l'esistenza e la non esistenza. La gente di oriente chiamerebbe questi incubi che camminano "tengu".
Con un consumo medio, Maria potrà evocare da uno squarcio uno spirito minore, spesso di un animale o un demone minore, dotato di 2 CS in resistenza. Con un consumo alto, lo spirito sarà di un guerriero, e possiederà 4 CS in forza fisica. Con un consumo Critico, l'essere evocato sarà uno spettro di qualche individuo formidabile o yokai superiore, e avrà 8 CS alla velocità. Questi spettri assumeranno la forma sopra descritta per combattere. In alternativa, Maria li evocherà direttamente all'interno del corpo di uno dei suoi shikigami, possedendoli momentaneamente con l'anima dello spirito. In questo stato, il servitore acquisterà le ali nere del tengu, le sue armi e le sue capacità, entrando in uno stato di furore e concentrazione profonda in cui la loro personalità risulterà distorta da quella dello spettro, e tuttavia ancora fedele a Maria.

Il limite fra le diverse realtà è per la strega solamente un sottile velo. Squarciarlo per consentire il passaggio di spiriti e demoni da una dimensione all'altra non è per lei né una fatica né uno sforzo, e perciò sarà in grado di effettuare evocazioni pressoché istantanee. Il suo potere, inoltre, richiama yokai più potenti del normale, ed è per questo che le creature richiamate possiedono 1 CS aggiuntivo a qualsiasi caratteristica, e la comunione instaurata fra di lei e le creature evocate sarà tanto stretta che Maria sarà in grado di percepire attraverso il corpo delle sue evocazioni. Concentrandosi al massimo e annullando i propri sensi può ricevere un controllo totale dell'evocazione.

[Usata due volte, una a consumo medio e una a consumo alto]

rchBJ

Note



Ed eccoci qui. Per chi se lo stesse chiedendo, sono poco meno di quattordici pagine di documento office. Mi scuso per questa lunghezza eccessiva.
Gli avvenimenti che accadono sono quelli concordati in confronto. Ho glissato sulla prima evocazione media solamente perché non ha ottenuto risultati rilevanti (ho sottratto comunque le energie).

Per il resto, spero che vi possa piacere.

Enjoy it. :8):

 
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view post Posted on 2/5/2014, 13:30
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Nelle terre guardate dal cielo erano finalmente scese le tenebre. Ed anche nelle viscere della terra il giorno lasciava il suo posto alla sua metà: la notte a Neirusiens aveva un diverso odore, un diverso sapore, un diverso tocco sulla pelle. Le Gallerie dei Predatori erano improvvisamente mutate in un luogo diverso da quello che aveva esplorato durante il giorno. Nelle profondità della Kavresh ni Va si levavano ombre nuove e suoni ovattati e lontani si imponevano ad un nuovo, ostile silenzio improvvisamente addensatosi nell’oscurità. Anche Lomerin si sentiva diverso; dopo le fatiche dei preparativi alla battaglia si sentiva improvvisamente rinato in un nuovo sé stesso, come se si fosse destato da un sogno illusorio, una falsa pace durata fino all’imporsi della realtà, della guerra e del sangue anche in quella civiltà. Era pronto a prendere le redini di quel suo alter-ego, di quel suo simulacro che prendeva vita soltanto in poche occasioni, e che abbandonava la sua mente solo al loro termine. Occasioni, momenti che, in realtà, erano anch’essi assai simili a sogni, ma istantanei, e fin troppo reali.
Lo sentì sorgere dentro di lui al levarsi dei tamburi da guerra. Un muro di suoni gravi e solenni si mosse dalle profondità del suolo, echeggiando fino ad ovunque ci fosse qualcuno ad udirlo. Le bacchette sembravano percuotevano la pelle dei tamburi al ritmo delle sue emozioni, muovendo contemporaneamente le redini della sua anima. All’improvviso sentì ogni suo pensiero bruciare in futile polvere nelle profondità della sua psiche, e nella sua testa rimasero soltanto tensione, rabbia, pensieri di vendetta. In fondo all’oscurità che stava scrutando si snodava la strada che passava per la liberazione di Ashlon e portava alla libertà dei Predatori di Neiru.

Marciarono. Il buio era tranciato soltanto dalle fiamme delle torce e dall’esercito degli elfi. La montagna si scuoteva debolmente al ritmo scandito dai passi, dalle voci e dalle percussioni, come annunciando il risvegliarsi di un mostro implacabile destatosi, dopo un lungo sonno, sotto la Kavresh ni Va. Tante sensazioni piovevano su di lui, il suono del suo respiro pesante, l’odore fresco della gente elfica misto al puzzo di umidità e muffa delle gallerie, il colore della furia distinguibile negli occhi bianchi dei Predatori, il cuore che faceva sentire il suo feroce battito persino sepolto da dozzine di strati di pelle e ossa. Avevano ormai coperto una considerevole distanza; la Torre del Fato era sempre più vicina e la guerra insieme a lei. Stavano attraversando uno degli ultimi passi prima della separazione del ramo diretto al Palazzo della Cerchia. In quello stesso istante la trappola li colse. La battaglia cominciò ben prima di ogni aspettativa.
Improvvisamente uno sciame di rumori cupi piovve sull’avanguardia dell’esercito elfico, boati che raccontavano di esplosioni avute luogo alle loro spalle. Lomerin si voltò di scatto per intravedere, nella penombra, sagome di elfi spezzarsi come alberi travolti da un’improvvisa e impetuosa corrente; alcune trappole erano state piazzate nei cunicoli dai nemici, per rendere impossibile l’unità dei Predatori sin da principio. Vide volti che aveva imparato a conoscere e stimare nell’arco di quella breve giornata svanire nel cupo buio del suolo, ad esso regalando un ultimo crudele bacio prima di smarrirsi nell’oltretomba. Erano vite che conosceva troppo poco per soffrirne la perdita, concedendogli soltanto un grigio rimorso per non poter più rimediare. I Danzatori allora discesero dall’alto come oscuri demoni venuti a profanare un luogo sacro, insinuandosi come serpenti velenosi nelle le file sconvolte tra avanguardia e retroguardia.
I nemici avrebbero pagato cara quel genere di follia. Avevano danneggiato i Predatori nel modo più grave e più veloce possibile, infliggendo a tradimento una ferita sanguinolenta al mostro elfico, ma per farlo si erano dovuti rivelare e sarebbero rimasti chiusi in una morsa impossibile da allentare. E come una benedizione dal cielo, un inaspettato regalo dal caso, le torce che illuminavano il campo di battaglia si spensero all’improvviso, come se le fiamme fosse stata rubata dai folletti. Nel buio più nero solo gli elfi avrebbero visto ciò che stava accadendo, da quell’istante in poi.

Novizi, verso il Palazzo della Cerchia” urlò Lomerin, cacciando la voce con tale forza che non gli parve più sua. Non era necessario che partecipassero al combattimento. “Predatori... Dietrofront!
E non fu necessario nemmeno che lo dicesse. Gli elfi sciamarono all’indietro con una tale immediatezza che si dimenticò persino che si trattasse di un enorme esercito, scambiandolo invece per un grosso serpente attorcigliatosi intorno alla Preda. Vide migliaia di sagome scure attraversarlo, superarlo e gettarsi in braccio alle file dei Danzatori, spezzandole e penetrandole a colpi di frecce e daghe. E neanche lui si fece attendere: se Ka Shanzi stava attaccando i nemici alle spalle, dalle retrovie, restava un’ultima via per attaccare i nemici, dall’alto. Sarebbero caduti in trappola come topi, privi di vie di fuga. Sollevò dunque le mani, e dai suoi palmi si levò un fitto stormo di proiettili di ghiaccio che andarono a collidere con il soffitto. Una frana avrebbe cancellato per sempre il ricordo dei Danzatori dalla memoria di Neirusiens.

E invece il ghiaccio incontrò una strana resistenza nel toccare la roccia, disgregandosi in una flebile grandine che piovve inerte sul campo di battaglia. Era strana una stregoneria dei nemici ad indebolire il suo colpo, lo sentiva. Poté vederlo con i suoi occhi quando tutte le torce ripresero ad illuminare le tenebre, rivelando le terribili condizioni in cui già versava l’esercito nemico. Lo sguardo gelido di Lomerin prese a vagare nervosamente in mezzo alla battaglia, tra i volti dei nemici e degli amici: impugnò la daga e si tuffò finalmente nella mischia, attraversando un miasma di odori denso come un muro: sudore e sangue. Le spade si incrociavano in un assordante frastuono che aveva imparato a sopportare, e che non riusciva mai ad ammettere quanto soave ormai potesse suonare alle sue orecchie. Insieme alla lama di Splidolk scivolò via di nemico in nemico, a volte respingendo soltanto gli attacchi, a volte portando con sé nuove vite rubate per sempre. Infine, al termine di quella febbrile ricerca, li vide. Ka Shanzi aveva sfoderato il suo arco contro il nano che serviva Edwin; accanto a lui sostava invece un altro dei Danzatori che aveva affrontato nel Palazzo della Cerchia.
Bastò uno sguardo. Un patto segreto e muto si suggellò tra di loro, un patto che li impegnava in uno scontro all’ultimo sangue che avrebbe visto uscire uno solo di loro vincitore... e vivo. In un istante quel ragazzo acquisì il volto di Edwin, dell’uomo che aveva ucciso Aileen, di ogni Danzatore che aveva incontrato a Neirusiens. Era il vessillo di ogni angheria subita dagli elfi e, di conseguenza, da lui. Allora strinse le mani in una morsa così tenace da ferirsi il palmo con le unghie, digrignò i denti, urlò il suo grido di battaglia. Il buio intanto calava ancora sulle gallerie, accompagnato da un violento e spaventoso frastuono; i Danzatori fuggivano, e uno strano odore di fumo stava iniziando a invadere l’aere. Ma a Lomerin non importava: gli elfi avrebbero potuto proseguire da soli a liberare Ashlon, mentre lui pensava ad eliminare chiunque avesse avuto parte nei crimini di Edwin. Gli si lanciò addosso tenendo la daga alta, mentre due lupi grigi famelici e violenti gli spianavano la strada. Il ragazzo si protesse con un bozzolo energetico, convertendo le due fiere in puro nulla. Ma Lomerin era già su di lui, il filo della daga spaventosamente vicino alla sua gola. L’avversario sollevò istintivamente l’avambraccio, finendo per farsi tranciare di netto la mano. Il sangue piovve zampillando sul suo volto, sulla sua arma, sulle sue vesti, sul suolo.



L’urlo di dolore del giovane squarciò l’aria con veemenza, quasi riducendo al silenzio ogni altro rumore. Stringeva il braccio mozzato, il dolore leggibile in ogni ruga in cui il suo volto si era contratto. I suoi occhi lo cercarono pieni di odio, e colsero Lomerin nel dispiacere di non averlo potuto uccidere rapidamente. Nel guardarlo più a lungo, tuttavia, il Guercio riconobbe che quegli occhi sembravano assai simili al suo, completamente neri…
Ma d’un tratto dovette rendersi conto che quel ragazzo stava cambiando. Lentamente gli occhi si riempirono di nero, rassomigliando sempre più a vitree biglie ricoperte di un umore nero e venefico. Il suo corpo lentamente si irrigidì, e il sanguinamento dal moncone prese a rallentare. Lentamente la pelle diveniva dura e pallida, schiarendo sempre più ad ogni secondo che Lomerin scrutava, inorridito, quell’inspiegabile mutamento. Il corpo e la pelle dell’avversario si erano fatti simili a marmo, di pelle dura diafana, quasi trasparente tanto che innumerevoli filamenti neri, le vene, affioravano quasi fossero appena sotto pelle, sottili e lunghe come dita di demoni. Quei condotti si muovevano così rapidamente che lentamente presero forma di lettere, parole, frasi; era un mutamento rapido e continuo, che era doloroso persino guardare. Un secondo urlo si levò allora nell’aere, e tutto gli fu portato via. Un insopportabile stridio si fece spazio nella sua testa, sibilando attraverso le orecchie. All’improvviso ogni altro pensiero fu schiacciato, frantumato da un intenso dolore che non tollerava altri pensieri oltre a sé stesso. Istintivamente si portò le dita alle orecchie, tentando di fermare il suo funesto echeggiare nel cranio; le unghie scavavano la cartilagine, cercando di non udire le insopportabili urla mentre, agitando furiosamente la testa contro le ombre che lo circondavano levando l’orchestra delle loro terribili urla demoniache.

Il sopraggiungere del silenzio fu per lui come riaffiorare dopo essere quasi annegato. I rumori ovattati di ciò che succedeva intorno a loro suonavano soavi e delicate come corde di arpe, per quanto duri fossero in realtà. I Predatori avanzavano verso la Torre del Fato e i Danzatori, sbaragliati, si davano alla fuga. Lomerin reagì rapidamente, bloccando con un muro di ghiaccio la via verso la Torre del Fato. I nemici si sarebbero dovuti trovare necessariamente faccia a faccia con il fumo, da qualunque incendio esso dovesse provenire. Dunque il Guercio si rivolse nuovamente alla creatura sacrilega originatasi dal ragazzo psionico; questi si scrutava ancora, immobile, esterrefatto e sorpreso della sua trasformazione. E lui non rimase ad attendere che partisse all’attacco.

Fuggiamo! L’oscurità si è risvegliata” udì Lomerin urlare da qualche parte, da un Danzatore sconfitto. Ma di qualunque oscurità fosse, non esisteva torcia che non potesse spezzarla. E lui era sufficientemente abile a brancolare nel buio, fino ad allora: improvvisamente anche il suo stesso corpo subì una trasformazione, rivelandolo per ciò che non aveva mai avuto la possibilità di mostrarsi. Nelle fattezze di un grosso, villoso e violento lupo mannaro il Volkov si lanciò contro il nemico distendendo le zampe artigliate. Ma a sorpresa una figura si frappose tra il mostro e la sua preda: era il nano che stava combattendo con il vecchio elfo. Ka Shanzi sembrava sparito, forse dall’altra parte del muro.

FERMO! UOMO LUPO, O…” ordinò, e in quello stesso istante un globo di energia oscura, vibrante di potenza, gli sfrecciò addosso colpendolo con una fatale veemenza. Fu come se un immenso braccio gli avesse trascinato dal masso la mascella, facendola cozzare contro l’arcata superiore; Lomerin indietreggiò reggendosi la mandibola contusa, dolorante e stordito. Barcollando uno o due istanti, concentrò i suoi pensieri sul suo prossimo attacco. Erano rimasti soli: era il momento che Lomerin difendesse coloro che avevano la possibilità di salvare Ashlon. In fondo, la gloria non faceva per lui. Il nano e il demone erano suoi, e tanto gli bastava. Aileen sarebbe stata vendicata, anche se quel sentiero era tortuoso e difficile.
Sulla sua spalla l’uomo materializzò una serie di aculei di ghiaccio, caricando una spallata verso il nano e scagliandolo lontano. Dunque si lanciò contro il suo nemico primario, stringendo la daga nella mancina: la sua mano destra, nera del folto villo che copriva persino le dita, si strinse intorno al suo collo. Il nano intanto tornava alla carica, tentando di ferirlo con un grosso martello: l’offensiva però fu vanificata da una patina di ghiaccio utile a proteggerlo. Fu una lotta dura e sfiancante, ma alla fine il giovane avversario chiuse finalmente gli occhi ed esalò l’ultimo, debole, soffocato respiro.
Ma soltanto in un ultimo barlume di coscienza il ragazzo spalancò gli occhi ancora, levando il palmo della mano e posandolo sulla sua fronte: Lomerin, sorpreso e inerme, percepì all’improvviso una forte ondata di calore investirgli il volto. Per un singolo istante sentì il tocco di quelle bianche mani simili ad una doccia di carboni ardenti. Eppure, nel terribile dolore che lo straziava, mentre il volto sembrava per sciogliersi e scivolare via dal suo teschio, i suoi occhi videro qualcosa. Tra le dita della mano che gli stringeva il volto in quella morsa incandescente e straziante vide una sagoma femminile. La donna indossava un lungo vestito bianco e una lunga chioma di capelli argentei le pioveva liquida sul collo e sulle spalle delicata come mille sottilissime cascate di bianco e fresco latte del Nord. Aveva la pelle candida e gli occhi dorati, luminosi come due stelle quando immersi in quel mare bianco, che si posarono sui suoi. Solo allora Lomerin si rese conto che la donna aveva capito che la stava osservando. Lei gli regalò un grande sorriso e, così com’era comparsa, svanì nel nulla. La mano dell’avversario si allontanò dal suo viso bruciante, e una pioggia di realtà s’abbatté sulla sua coscienza.
Ma lui si sentiva stanco... e debole. Non riuscì a reggerla, e ne fuggì ancora.

—◊◊—

Quando giunsero alla Torre del Fato, li attendeva una visione rincuorante, ma in lui riuscì a suscitare soltanto sospetti e dubbi. All’entrata dell’edificio non c’era alcun nemico dei Danzatori d’Ambra ad attenderli, e le porte erano stati sfondate dall’esterno. Ma nessuno sapeva dire da dove provenissero quei misteriosi alleati senza volto…
Perché di coloro che si erano allontanati dal cuore delle Gallerie per andare a salvare Ashlon, di quelli soltanto una piccola parte della metà era arrivata a destinazione. Il resto degli elfi del suo stesso sangue giaceva senza vita nell’inerte suolo della Montagna, freddi come le spade degli uomini che li avevano trafitti a morte. Nessuna vita, nemmeno quella di Edwin il Crostascura, sarebbe bastata a restituire loro le vite di quelle persone, persone con le quali aveva vissuto, combattuto, condiviso il cibo e l’acqua, ma condiviso le disgrazie e le gioie di tempi migliori, ma lontani tanto che i ricordi iniziavano a sbiadire. Non erano stati nemmeno restituiti alle acque del Ràn… Che Neiru li abbia in gloria, pensava. Forse per quello la sconfitta dei Danzatori d’Ambra lì, nelle gallerie, non gli sembrava affatto una vittoria dei Neiru. Nel cuore non sentiva affatto di aver vinto qualcosa, sebbene un uomo avrebbe detto che aveva vinto la battaglia. Futile cosa in confronto a quello che avevano perso in quegli anni a Neirusiens, e in quel giorno nel ventre della montagna. Non restava che continuare a combattere per realizzare ciò per cui gli elfi erano caduti, anche in minoranza numerica, anche senza Saighdeas, l’uomo lupo mandato da Neiru giù dalle terre baciate dal sole, e Ka Shanzi.

Aveva ricordi precisi e distinti dell’infuriare della battaglia: il sangue, le urla terribili, i corpi, il fumo gli si erano impressi a fuoco negli occhi. Aveva visto Ka Shanzi combattere contro il Danzatore d’Ambra nano, arrivando anche a ferirlo con le sue frecce e il suo pugnale. Per quanto fosse vecchio, sembrava che il Fiume del Fato gli scorresse nelle vene fresco come quello di un giovane Novizio. “Ritiriamoci” aveva detto poi, all’improvviso “che nessuno tocchi il nano!”. Le luci si erano spente e si era levato il boato. I Danzatori avevano cominciato a fuggire, e Saighdeas aveva sigillato le gallerie alle sue spalle, intrappolando sé stesso con gli ultimi generali di Edwin rimasti in piedi e permettendo agli elfi di proseguire verso la Torre. Ka Shanzi, intanto, si era dileguato nella cortina di fumo; nessuno sapeva dove fosse, ma le voci nei cunicoli raccontavano di un flagello che aveva risalito ogni sentiero per sbaragliare tutti i nemici che ancora infestavano il luogo.
Nonostante tutto, doveva avere fiducia nel piano che Neiru aveva riservato loro. Le forze e l’animo degli elfi erano prossimi alla riunione: stando a quello che aveva sentito dire dalle retrovie i Novizi, stavano arrivando. Riusciva ad udire i loro passi veloci arrivare alle loro spalle. Allontanatisi durante la trappola che i nemici avevano osato tendere ai Neiru nelle loro Gallerie, essi erano riusciti ad aggirare le stregonerie ingannevoli delle menti perverse degli avversari ed entrando nel Tempio di Neiru avevano sconfitto tutti gli invasori posti a guardia del luogo. Dunque, come suggerito da Saighdeas, avevano dato alle fiamme il tempio, ormai per sempre macchiato dagli animi perversi di Edwin e i suoi e appestato dal loro venefico fiato, per restituirgli la sua originale purezza.
Ma nessuno di loro si aspettava che la Sua volontà si attuasse a quel modo. All’entrata nella Torre del Fato li attendeva un’ombra misteriosa, il cui volto emerse dalle ombre con un sorriso. Marlow, uno dei nemici dei Predatori, li osservava sornione vicino ad una donna in viola priva di sensi, tramortita da un suo colpo alla testa.

Siete in ritardo, Predatori” disse, ambiguo. Il suo dito scuro si levò ad indicare l’ingresso alle segrete. “Il vostro Salvatore è là sotto. Sbrigatevi, saranno qui a momenti.
Era assai difficile riuscire a fidarsi dell’uomo che a lungo aveva affiancato Edwin nel suo regno oscuro. Scese la scalinata che conduceva alle segrete con il cuore in gola, il fiato mozzo, la mancina stretta sull’impugnatura dell’arco e la destra pronta a scattare alle sue spalle. Intanto rumori di combattimenti salivano alle sue orecchie dalle profondità della torre, insieme alle urla di uomini ed elfi. Immediatamente accelerò il passo, accodandosi agli altri Predatori. Infine arrivarono.

La visione lo rincuorò. Nelle segrete era scoppiato un tumulto di prigionieri: gran parte delle celle era aperta, e i Danzatori faticavano a resistere all’impeto dei Predatori. Il suolo era già cosparso di sangue umano ed elfico piovuto via dai cadaveri dispersi per l’atrio. Soltanto una delle celle era chiusa, protetta avidamente dai Danzatori; non gli fu necessario vedere per immaginare che Ashlon fosse stato rinchiuso lì dentro. Agì rapidamente: incoccò una freccia e, tuffandosi nella baraonda, la scagliò contro la testa di un Danzatore che stava attaccando con una sciabola uno dei Predatori. Sfortunatamente un altro corpo si scagliò contro il suo bersaglio, scaraventandolo a terra con il collo spezzato. Fece per avvicinarsi ed aiutare il Predatore, ma non tardò a rendersi conto, dopo meno di un istante, che si trattava di un altro dei nemici.
All’improvviso tutto fu più chiaro nella sua mente. I Danzatori si stavano combattendo tra di loro, dando man forte agli elfi. Ma non sapeva dire se lo facevano consapevolmente. I nemici rimasti fedeli al loro padrone però continuavano a combattere strenuamente, per una causa che non riusciva bene a figurarsi. Ma a volte gli uomini combattevano per semplice lealtà, obbedienza nei confronti del loro signore. Un ideale che non riusciva a condividere, e immaginava che nessun elfo ci riuscisse.

Alla fine, una voce tonante falciò il caos come un fulmine a ciel sereno. Marlow.
Ora basta, Kel’Thuzak” disse, e per un istante tutto tacque. "Quando Edwin ha scelto su chi riporre la propria fiducia, è indubbio che con te non abbia fatto alcun errore di calcolo" sorrise lentamente, facendosi spazio tra i combattimenti. Con lui conduceva un ostaggio nemico, la lama sulla sua gola.
"Sfortunatamente, con me non ha avuto la stessa fortuna. Ed ora, se volessi essere così gentile da spostarti..."
Lascia andare il ragazzo” rispose il Danzatore d’Ambra, la voce simile al patetico ringhiare di un pauroso cane randagio.
Ma la risposta dell’altro Danzatore fu soltanto un sorriso ambiguo. Per quanto Marlow li stesse aiutando, lui non riusciva a sopportare quel sorriso, né a credere alle sue azioni. Non finché non avesse chiarito perché stava dalle loro parte. La cella di Ashlon si dischiuse, ma improvvisamente sentì che l’aria era diversa. Era gelida, immobile, portatrice di un immenso peso. Il silenzio esplose all’interno dell’intera torre. Il volto di Marlow divenne una maschera di terrore. Le ombre inglobarono anche la Torre del Fato.

—◊◊—



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lomerin volkoff
( specchietto )



energia: 10%
status fisico: Ferita alta da urto + media da ustione al volto
status psicologico: Danno alto

capacità straordinarie: 2 (Int), 1 (Maes)
passive rilevanti: Timore passivo (abilità di razza, Avatar)

tecniche utilizzate:

CITAZIONE
La forza del freddo succhiava via la vita lentamente, in lunghi e disperati spasmi, seppellendo ogni esistenza in una tomba di nevi eterne: il ghiaccio si plasmava dal nudo nulla, come etere, in forme crudelmente letali che offrivano alle prede lunghi ed estenuanti calvari di tremori, abrasioni, scorticamenti prima dell'assideramento. E quando quei mezzi s'offrivano ad un'intelligenza umana rivelavano la loro capacità di realizzare una tortura straziante, crudele, mirata, oppure violenta e bestiale.
[doppia abilità personale, difensiva e offensiva, consumo variabile, elemento ghiaccio] -> Usata una volta a consumo Alto (offesa), una a consumo medio (difesa), una a consumo medio (offesa), una a consumo medio (difesa)

CITAZIONE
Il mannaro si avvicina distendendo le braccia artigliate, richiudendole intorno all'avversario in una morsa terribile, violenta e dolorosa, per trascinarlo a forza con sé nella sua inarrestabile danza. Sull'avversario tuttavia non rimarrà alcun segno della violenza subita: vene rotte, organi schiacciati, ossa rosse rimarranno un segreto celato sotto la pelle, perché la vittima possa partecipare alla danza per la sua morte in tutto il proprio vano splendore.
[pergamena iniziale "abbraccio della natura" dello sciamano; consumo alto]

CITAZIONE
Era dal loro stesso sangue, dal sangue degli ulfhednar, che i lupi potevano generarsi. Mostri forti, robusti e affamati molto più dei lupi delle montagne, nati per il solo scopo di versare altro sangue ancora. Bastava che soltanto una goccia di liquido cremisi si versasse al suolo che essa iniziava a gonfiarsi come un tumore, divenendo in breve una massa pulsante e famelica, ansiosa di ritornare sangue a mescersi nel sangue altrui: il loro nascere e morire diveniva così una spirale eterna di violenza con tutta la fisionomia di un incubo. Una volta esaurito il loro fine, il loro scopo, essi si accasciavano a terra e si decomponevano rapidamente in una brodaglia fetente cremisi di interiora e sangue imputriditi.
[talento evocatore, razza lupo, livello II; per ogni tecnica di evocazione, nell'istante di evocazione è disponibile +1 cs per una sola creatura; le creature sono evocate istantaneamente; tipologie di evocazioni: -lupo medio, alto 1,5m con 2CS: consumo medio (1), consumo alto (2); -lupo grande, alto 2m con 4CS: consumo alto (1)] -> Usata due volte a consumo medio

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Lill'
view post Posted on 4/5/2014, 23:11







Bruciavano le stoppe, si consumavano lentamente. “Nelle guerre del crepuscolo, dici? Avevo un vecchio zio che c’aveva partecipato, ma…” “Quanti anni hai, Rick?” domandò Tias, dando fiato al pensiero generale. Nella penombra di un androne naturale il gruppo si rifocillava attorno al fuoco da campo. Lui aveva fatto piantare le tende lo stesso, nonostante non avessero fatto molto quel giorno; la città era in fermento, e persino sotto quella prigione di cunicoli - buio e cadaveri dimenticati - la voce era giunta: gli elfi erano prossimi ad attaccare. Cinuant-sess...sett-Bah! buttò un osso rosicchiato tra le fiamme, cacciando all’infuori il labbro inferiore di ciuco. Non aveva proprio un’idea circa tutte quelle paccottiglie - età, numeri -, ma certe cose se le sentiva: non sarebbe stata una passeggiata, con quei faccia-di-morto. Voi, mai lasciato il Nord? cambiò argomento, rovistando tra i mucchi casuali di vettovaglie ed attrezzi, forme grottesche e irregolari proiettate dalle fiamme sulle volte di calcare. Come se non ne avessero già abbastanza, di boiate e fantasmi. “Te l’ho detto, ho fatto questo e quello prima di sentire dei Danzatori; il mio villaggio, mia madre…andava così.” Interrompendosi, il ragazzo calò giù un sorso di vino. La bevanda del Nord era calda e corposa nell’umidità tremula delle caverne, per quanto un po’ acida – c’aveva fatto l’abitudine, a forza di sgraffignare fiasche dalle cantine. “Con quello che c’è per le strade, non si facevano grossi affari…
“Già”
“Sì, qualcosa del genere…”
Risposero vaghi gli altri uomini, le lunghe facce scavate destate per un attimo dal torpore per poi ricadere in un nuovo silenzio, più distante. Rick lì adocchiò: scrutavano nelle fiamme, i gusci di noce neri sotto gli occhi che seguivano qualcosa – qualcosa di andato. E' ora proruppe dopo un po’, secco, volto alla penombra dietro di lui. I cadetti danzatori, o meglio i poveri diavoli ricacciati lì sotto dalle infamie quotidiane dell’Eden, esitarono un altro istante; poi li lasciarono, pronti a montare il loro turno di guardia.
Il vagabondo seguitò a guardare alle sue spalle per qualche minuto, sbatacchiandosi la barba ispida. Vuoi fare soldi allora, ragazzo?! sussurrò rauco d'improvviso. Poi cavò un foglio dalla saccoccia, tornando a scrutare l’altro in volto. Quando te lo dico, prendi questa galleria, indicò e porta quest'affare a Yu Kermis, il mercante. Ti darà quattro volte tanto.... Le due facce erano terribilmente vicine ora, divise solo dal lambire di fiamme sottili. Lentamente, come se quei due cenci che stava cavando dalle saccocce - scrigno e sacchetto - fossero qualcosa di più che l’ombra di un pagamento, d’un intesa barbugliata, allungò le mani. Sorrise il nano, una curva accennata, forse solo il baluginare delle fiamme su quella faccia consumata. Tias socchiuse un po’ le palpebre e inclinò la testa, un garbugliare di piccoli puntini di luce - controllati, e però pulsanti - nei suoi occhi di ragazzo. Gli sorrise di rimando. Era intelligente il marmocchio, e pieno di risorse: lo ricordava bene.
Gli occhi del vagabondo non parevano riflettere nulla.


dnhIoDn


rido per te che non sai sognare~

bY7vrgA



Bruciavano le stoppe, si consumavano lentamente. Sondando gli spazi vuoti delle gallerie, gli intestini raggomitolati e pieni di feccia del gigante, ombre mute scivolavano qua e là: ma non erano mostri. Facce da pocodibuono, poveracci che s’affannavano circospetti qua e là, appena colti dalla luce striminzita di torce occasionali.
No, i mostri sono altri e tu lo sai.
Imbalsamato come uno stoccafisso - mai capito quegli usi scellerati, poi: perché non mangiarlo subito? - Rick attendeva. Scrutava torbido il posizionarsi dei suoi uomini, o quello che erano, nei nascondigli tra le gallerie; volgeva ogni tanto il muso alla volta di Tias, giusto al suo fianco, per avere conferma che l’imboscata fosse preparata a dovere.
Sicuro passano da qui, quei musibianchi? sbuffò al secondo in comando - e di che, poi? – lo stomaco che già gli brontolava. Aveva fatto sistemare qualche vettovaglia in un paio di insenature, quelle più grandi, e lo sapeva il diavolo se tra bruchi e muffa le già scadenti conserve non stessero andando a male. Pff, morti di fame di danzatori, pensò: tutte quelle scene e buggerate arcane, e poi risparmiavano pure sul tetto della loro fottuta torre – fortuna che lì sotto non poteva piovere. “Sta tranquillo, Rick. Direi che me ne hai fatta portare a sufficienza, di roba…” gli sussurrò il ragazzo, accennando al piccolo campo-base alle loro spalle. Non aveva torto.
Erano in effetti due giorni che si erano piazzati lì, ai lati dei cunicoli dove dovevano passare i Predatori, ma il nano non poteva che stare all'erta: trappole e illusioni erano state ormai predisposte da quella sua sorta di truppe speciali, truffaldini e puttanieri non dissimili da Tias, e l’attacco era bello che pronto. Mancava solo una cosa: i maledetti nemici. Tornò a concentrarsi sul davanti, il martello accostato ad uno sperone che dava sul cunicolo, pronto all’uso. Gli risaliva in testa dei giorni passati, lì o altrove, a tendere imboscate per tirare avanti; a sgattaiolare tra le ombre e sperare che le cose andassero lisce, perché sennò non lo raccattavi mica, il tuo tozzo di pane – o il tuo gioiello indemoniato.
Il gelo e il cibo marcio erano gli stessi.
...Meh bofonchiò a sua volta, già dell’idea di girarsi e scolare un altro paiolo di zuppa. Fu proprio quando stava per accennare la cosa a Tias, con la scusa di confermare che questi avesse il monile con sé, che finalmente accadde.
Si riportò al limitare della barriera illusoria,
scrutando cupido nella galleria; mise mano al martello.

Rick!” Erano lì, I nemici.
Ma quali?

Al segnale del nano, gli scarti dei danzatori - moschette appestanti quelle prigioni in forma di budelli – si posizionarono secondo le intese. Lasciarono sfilare le prime truppe dei Neiru, marmocchi e gaglioffi con delle specie di collari; concentrarono il loro potere raffermo sulle illusioni, la miriade di trucchi e baldraccate variopinte ch’avevano disposto. Poi colpirono.
Nel putiferio di immagini e grida che venne dopo, Rick in un qualche modo ci si trovava comodo. Proseguì penetrando ancor di più nelle file dei facciabianca, come un mercenario a cui giravano un po’ le scatole con la sua puttana una sera, vizi proibiti. Come la feccia che erano quelli - che era -
Ma vuoi farlo sul serio, Rick?
Mentre i danzatori davano addosso al grosso delle truppe Neiru, il vagabondo fece il suo. Cercò pennacchi e segni di riconoscimento tra quelle facce di cadavere tutte uguali - non che guardasse all'estetica -, stemmi.
Tatuaggi,
o cicatrici.

Vomitandone uno dal profondo - un marchio, di quelli che ti porti appresso come la tua stessa carne - urlò contro un elfo: aveva beccato l'uomo giusto. Abbaiò un ultimo ordine a Tias, un gesto d’intesa: il ragazzo sarebbe rimasto giusto alle sue spalle, più adatto a coordinare quell’accozzaglia di bifolchi. Lui avrebbe trattato con il generale nemico.
Gli si gettò addosso martello in mano, appunto.
Quello si beccò per bene il suo colpo sulla capoccia, riuscendo a fare nient’altro che un brutto volo all’indietro. Volete arraffare il cantabubbole nella torre?! cominciò Rick Anch'io. Anch'io voglio quello che c'è in quella torre - scegli: la mappa delle gallerie qua dentro... si portò un indice alla tempia, tutto l’accrocchio di armi e ferrame a irrigidirgli i movimenti ...o questo. Il grosso maglio percorse un arco, comprendendo questo e quello sfacelo tra le grotte. Tutte il sangue, le turpitudini. Alla fine parve abbassarsi, come in attesa di qualcosa.
Il vecchio capo dei predatori si rialzò, non messo al tappeto dal colpo di martello.
E allora qualcosa giunse, tanto per cambiare, in forma di iattura: l’oscurità prese piede ancor di più nei cunicoli.
Digrignando i denti, il nano scosse in un cenno nervoso il martello. Aveva visto chi era il capo degli elfi - lo stesso vecchio che avevano portato al cospetto di Edwin, quello a cui aveva pure dato del vino - e forse non era un male. Com’era venuta, l’oscurità magica si dissolse, quasi inghiottita da qualcosa: un altro avviluppo di buio, di infamate invisibili – una raja muta che banchettava su tutto. Ma Rick non ci badò. Avanzò d’un passo, naturale; ne seguì un altro, lasciando il martello in giù, tra la polvere. Vecchio proruppe secco, un nuovo gesto vago della mano verso quello spazio pieno di caciara – eppure così vuoto. Il barbugliare cupo delle torce, i pochi bracieri ai lati del cunicolo, ogni luce rendeva agli occhi delle sagome spezzate, irregolari. Soffiò ancora a denti stretti.
Qui non ci sono trucchi.
Pochi versi aspri, tra l’annaspare delle fiamme - comandi di parole e ferro a scarmigliare in fondo, tra la roccia.
“La torre può anche bruciare. Voglio acciuffare le Ombre al suo interno, non voglio che escano fuori rogne per il Sorya da questo bordello!” parlò la voce, nella sua testa e in quella dell'elfo: era una voce che veniva dal profondo delle cose, in fondo, dalla stessa fibra di rabbie che animava l'esistenza di ogni creatura. Anche dei cosiddetti mostri.
Ritirò su col naso. Girando un poco la testa trovò Tias, a pestare e impartire ordini alle sue spalle, e a lui si rivolse: UOMINI! Difendetevi e basta, NON ATTACCARE! sbraitò, per poi riportare l’attenzione sull’avversario.

"Le Ombre, dite?" sorrise quello.
"Eppure vi basterebbe voltarvi per poterle acciuffare tutte in un sol colpo, mio caro."
Ka Shanzi, così l’avevano informato si chiamava, non pareva essere troppo persuaso. Non appena la sua copertura di buio venne dissipata, l’elfo incoccò una freccia e la sparò alla volta del vagabondo. Rick fece appena in tempo a frapporre lo scudo - la punta che lo trapassò, ferendolo al fianco comunque - che un altro colpo giunse. Una lama, qualcosa, lo beccò per bene sulla coscia, in una fitta che si propagò per tutto il lato destro del corpo: rimase un attimo piegato, tra l’avambraccio dolorante per il primo colpo di martello e il cuoio di veste e stivali già sbrindellato.
Roba nuova, eh – al diavolo.
"...E a giudicare dal vostro sguardo, credo proprio che anche voi ne siate consapevole", proseguì l'elfo.
Raccogliendo le forze Rick prestò l’orecchio a Tias, ai suoi comandi che gl’arrivavano da dietro e ad ogni tipo di bordello. L’aria prese a sfrigolare. Non sapeva se si poteva fidare di quel ragazzetto, della sua storia rabbuiata di miseria e speranze nel sangue come altre, del suo intenderlo con un sorriso. Una regola però, solo una, c’era di sicuro: la legge dei soldi, a cui il bamboccio di certo andava presso – ed era una regola di ferro. Quello, il ferro, anche il nano lo strinse più forte: poco importava se il suo martello l’aveva lasciato a terra per farsi vedere più disponibile; poco facevano i buchi in quei vestiti nuovi, mica manicaretti confezionati per una fiera. Il ferro nei palmi,
il ferro nello sguardo
Loro accennò ai danzatori alle sua spalle, ai suoi uomini.
Oh, ora c’è qualcosa che possiedi?
Tu
Allargò le braccia, il muso contrito e stretto tra le spalle. Un fumo nero prese ad avvolgerlo.
Quello di cui parli non si trova qui sotto, vecchio
Non faceva, sul serio, non faceva nessuna maledetta differenza: quelli - i danzatori - o loro - gli elfi -, armi strette tra le dita o palme ruvide. I misteri dentro quel dito mostruoso scoperchiato di tetto, l’amuleto di Rakshin o le gallerie…
Quello, e ogni cosa alla fine –
finché riuscivi a venirne fuori. La sfera d’energia si addensò di colpo, concentrandosi sul suo fianco destro – quasi che venisse fuori dalla stessa carne sbrindellata e dalle ferite. In fondo, davvero da dentro
e non lo è?
Ferma i tuoi uomini sibilò a denti stretti, scoperchiando le gengive.
Il predatore ammuffito gli sorrise in risposta: “Ferma tu i tuoi, piuttosto.” Quanto accadde dopo fu sangue e tumulti.

Arrivandogli dalle spalle, il clangore della sconfitta fu finalmente chiaro: si era concentrato sul generale nemico e, pur avendo un’idea della situazione in cui versavano, aveva pensato quella banda di debosciati fosse in grado di reggere qualcosa in più. Ma poco male – c’era una soluzione anche per quello. Aveva un sentore circa l’ammassamento ch’era accaduto alle sue spalle, elfi e danzatori in mucchio, e girandosi buttò subito l’occhio alla volta di pietra sulle loro teste. La sfera d’energia vibrò cruenta al suo fianco. Oh, se li avrebbe fermati – senza distinzione, tutti quanti. Ma fu quando già s’era deciso sul da farsi, fu allora che d’improvviso gli sovvenne:
che ne era del ragazzo?
Ritiriamoci! Che nessuno tocchi il nano!” sentì dire al predatore, in un moto spontaneo. Pietà, fretta, quello che era: di certo non era stato dietro agli onori se aveva deciso di voltar faccia alle cornacchie – l’importante era far arrivare quel maledetto amuleto al Sorya, e magari risolvere qualcosa su nella torre; li avrebbe fatti sprofondare tutti sotto le macerie, ecco, non fosse proprio per il ragazzo e l’amuleto.
Lui lo trovò in un lago di sangue.
Si affannò tra i galeotti in rotta ed elfi, scostando ferri e corpi ovunque. Ma proprio quando fu sul punto di raggiungere il ragazzo - e l’amuleto -, ecco che questi alzò la testa, stringendo con la mano sana il moncherino zampillante. Lo guardò con occhi vuoti, accecati dal sangue: Rick rispose con gli stessi occhi, accecati dalla vita.

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Poi urlò, strabordante dolore e altri incubi.
E fu buio.


~Come una melma che va su,
e va giù,
ricalcando profili di coste sabbiose, nere, plasmate nel tempo e nel dolore. Passi fuggevoli e più pesanti, cariche di fanteria e cozzare di metallo – avanti. Carne da macello, mostri e grida…ma voleva andare si trattava di Altrove?
VIENI
S O G N A M I

Avanti?
Altrove?

Altrove era lì, dov’era sempre stato. Sotto i suoi piedi, nelle mani callose. Era nell’aria che fischiava al suo dimenare di scudo, come un pazzo, come un nano dai nervi spellati da una vita di battaglie nel buio, che vede le cose
- perché ci sono. C’erano, ci saranno, e lui mica le chiamava Mostri.
Gente, creature che tirano avanti; alla fine stessa storia, a loro modo.
Altrove era la luna beffarda che non c’è in fondo al cielo, e incubi che incubi non erano, solo baggianate e sbobba quotidiana. Altrove non c’era.
C’era la superficie ruvida della galleria a cui s'appoggiò. C’era la sfera d’energia che rimbottava contro tutti, che abbattesse la caverna, che andassero al diavolo, mica a lui gl’avevano risparmiato tiri del genere in guerra – ma no. Addossato alla parete della galleria, furente di una furia ch’era il pane dell’esistenza, Rick serrò i denti; resistette. Quando la luce tornò, infine, flebile alito delle torce, il vagabondo era davvero sul punto di attaccare, allucinato.
Ma ciò che ritrovò ancora una volta, tra dolore di orecchie e iridi -e non si trattava di poca igiene!- furono lotte.
Fu un istinto più forte, non diretto solo verso la propria panza che brontolava pure, a dire il vero.~


Sbarrò gli occhi su un’ennesima scena surreale. Il mercenario umano, quello a cui doveva un bernoccolo e ch’era al soldo degli elfi, si faceva sotto contro Tias. Gli andava contro, armi in mano, solo…
non era più un uomo.
Non che fosse un mostro, eh. Quello lo erano un po’ tutti.
Digrignando fauci e zanne, l’uomo dei lupi che ora era un lupo si avventò sul ragazzo: lo strette in una morsa di peli e muscoli, e il vagabondo era già sulla sua strada per spaccargli il muso, solo…
il ragazzo non era più il ragazzo.
O meglio, dei segni neri l’avevano peso a ricoprire, e non era scolo di sudore non lavato come nel suo caso. Erano scritte, all’incirca, roba con un qualche senso non che il suo sudore non ne avesse, anzi. Erano stregonerie dei Danzatori, ecco cosa – ma non per questo si fermò: deciso a salvare almeno l’amuleto arrivò invece come un fulmine sul lupo, cercando di fermarlo come poteva; ficcò la mano tra la zampa della bestia e il danzatore, rigirandola, forse fratturandosi qualcosa, per fargli allentare la presa. FERMO!, Uomo-lupo, O... la sfera crepitò al suo fianco, minacciosa, e lui pressò più che poté, senza risparmiarsi. Ma cominciava ad essere stanco.
La spallata del lupo non aiutò in tal senso.

Sbarellato a qualche metro di distanza, il vagabondo si rassettò in piedi confuso. S’era difeso per un pelo con lo scudo, ma la botta l’aveva sentita lo stesso: tutto il corpo era un pulsare e una bestemmia.
Non che nella testa andasse diversamente.
Accecato dall’istinto, sfruttò l’occasione per rimetter mano al martello, lasciato poco distante. Muoveva la gamba ferita dal vecchio con fatica, ora, sebbene ne avesse viste di peggio di quel morsetto di sorcio; strascicava,
e dimmi: ti è mai andata diversamente, rigurgito sputato dal Ràn?
avvicinandosi come poteva. Non abbastanza veloce, parve. L’uomo-lupo aveva già stretto tra le sue grinfie il ragazzo, ed era lì-lì per finirlo: quando gli arrivò addosso Rick non ragionò più di tanto su quanto era accaduto – il ragazzo, ciò che gl’aveva affidato –, quanto sui pericoli del momento. Vibrò il martello con quanto gli rimaneva, il braccio che si torceva bruciando, e non pensò al resto.

…L’incontro con Tias come con qualunque nuovo arrivato in una compagnia, le ombre nella torre ora e ieri; l’uomo dei lupi e quella cosa piena di disegni ch’era ora il ragazzo, se poteva ancora dargli retta –
tutto si spense, arrivò il silenzio…

E un gocciolio macabro, nel buio nelle caverne.


dnhIoDn

Plic
Plic
Plic


Bruciavano le stoppe, si consumavano lentamente. Nell’enorme spazio vuoto delle gallerie solo la torcia rischiarava la via, lasciando una sottile scia di fumo alle spalle della figura. Per il resto, il silenzio regnava incontrastato.
Un passo dopo l’altro, l’avventore trascinava la gamba più in là nei cunicoli, verso quella che –aveva sentito, si ricordava– doveva essere una via fuori. L’ardere delle stoppe liberava un crepitio ogni tanto, è vero; un diffuso tintinnio metallico cadenzava l’arrancare del viandante ritmicamente, su e giù, e qualcosa gocciolava.
Da una sacca di cenci appesa alla cintola,
un sentiero cremisi sulla roccia. Nel buio.
Plic

Ma erano rumori quelli?

Oh, no: ogni suono s’era spento quando s’era erto sulle due figure, stese sulla pietra. Ogni chiacchiera era cessata quando aveva impugnato la roncola – Gwecazz’era o Wythïen, le vene di pietra. E proprio quell’attrezzo, consegnatogli da Alexandra per proteggere il clan, proprio con quello le recise
Le vene,
e giacché c’era la testa intera.

Tutto ciò che venne dopo, strascicando un piede per i cunicoli, non erano rumori: l’abbandonare i corpi del ragazzo e dell’uomo-lupo nelle gallerie, il defilarsi da gruppi occasionali di elfi e danzatori – il putiferio. Non sentiva gli urli delle lotte ai piani alti, ripercorrendo le vie più vicine alla torre; non aveva udito il boato delle rocce crollare, recidendo la via alle sue spalle, quando aveva infine rilasciato la sfera d’energia per coprirsi la fuga.

Plic,
plic.


Di tutte quelle vie obbligate tra la roccia,
di tutti quei nomi bifolchi e idee – la nostra città, la conoscenza, libertà –
alla fine rimanevano macerie. Le scelte, quelle crollate alle sue spalle, la via, che voleva illuderlo ci fosse davvero davanti a lui, magari chiara e ben definita, su dritta fino alla luna. Stronzate.
D’improvviso, a seguito di una svolta, un flebile cono di luce in lontananza illuminò la galleria. Lentamente, come poteva con le ferite, Rick percorse l’ultimo tratto in salita fuori dal kravesh ni vah. Quei rumori che lo accompagnavano, in fondo, non erano che lo scalcinare costante dell’esistenza, i ferri che la muovevano e le pietre – o le ossa – che macinava per andare avanti. Arrivato in cima, il nano affacciò il suo carciofone di naso sull’aria di fuori, non stantia, ma fredda e colma di odori vegetali, selvaggi.
Trasse un respiro.

VIENI
S O G N A M I


Cacciando fuori aria fuligginosa dai mantici di polmoni, scarpinando nell’aria pura della montagna, Rick non pareva più leggero. Sempre goffo, truce, si portava le sue ombre sulle spalle: mica le aveva lasciate dietro.
Ripensò al vecchio predatore cocciuto e all’uomo-lupo, al bastardo dell’Akerat e a Rakshin; ai danzatori e a sua madre, tutte quelle facce smorte e le loro vie, idee – prigioni nella testa.
Andare, sognare.
Cosa – dove?
Elfi o predatori, uomini od ombre, non aveva senso vedere altro oltre a quello che c’era, la stessa pappa per tutti. Si fermò un attimo, l’orizzonte sconfinato di bruma e conifere sotto di lui; riportò la mano alla sacca umidiccia al sua fianco, e la testa al volto irto di segni del ragazzo.
Il vento soffiò, gelido.
Che li chiamassero mostri dell’Eden, se così gli girava: lui n'era fuori.
O forse, che gioco di spirito da giullare, proprio lui ne stava più addentro di tutti.


suono per te che non mi vuoi capire~






SPOILER (click to view)

Rick Gultermann

CS: 0 Resistenza
Energie: 25%
Status Fisico: Autodanno Medio al Braccio sx, Danno Alto al Busto, Danno Basso alla Gamba dx, Autodanno Medio più Basso al Braccio dx [Critico + Medio]
Staus Mentale: Autodanno Basso, Danno Alto [Alto + Basso].
Equipaggiamento: Martello (mano sinistra), Scudo (avambraccio destro), Armatura di cuoio (tutto il corpo, eccetto testa e mani), asce da lancio (2/2, alla cintola).


Passive: Non svenimento sotto 10% energie, Difese istantanee, 2 Mortali di resistenza nel fisico.

Attive (in ordine di utilizzo):

~Batosta VII. La fame che ti tormenta.
II.
Allo stesso modo, con un consumo Medio, il vagabondo sarà in grado di riversare le leggi della sopravvivenza in un urlo, uno sguardo od una parola: forze che sono un'imposizione. Il bersaglio sarà infatti costretto, qualora subisse la tecnica, a rimanere immobile nella propria posizione per tutta la durata del turno successivo.
II.[Pergamena Imposizione, Comune; Consumo Medio, immobilità totale del bersaglio per 1 turno ][Natura Psionica]

~Batosta VI. La rabbia di chi ha fame.
II.
O c'è un'altra via, per riversare la propria rabbia: sempre una via di sangue e pugni, comunque. Tramite un consumo Alto, Rick caricherà un colpo fisico dalla particolare pericolosità. Esso causerà se colpisce un Danno Critico, ma potrà essere contrastato come una tecnica di Potenza Media.
Ciò è dovuto alla particolare enfasi posta nel colpo, che risulterà più impreciso del solito.
II. [Personale, Consumo Medio e Auto-danno Fisico Medio, Potenza Alta e Danno Critico, difendibile con Potenze Medie][Natura Fisica]

~Batosta II. Lui se ne fotte!
II.
In maniera simile egli si comporterà con incanti magici, buffonate da saltimbanchi.
Tramite un consumo Alto, Rick sarà in grado di dissolvere completamente una tecnica di natura Magica, purchè questa abbia potenza pari od inferiore ad Alta.
II. [Personale; Consumo Alto, Dissolvenza Magiche, Potenza Alta][Natura Magica]

~Batosta VII. La fame che ti tormenta.
Non è semplice gestire uno stomaco vuoto, crampi e urli dentro il tuo vero essere. E per Rick non lo è stato: fremiti, scosse, una tormenta che ti scuote il corpo - e poi si spinge nella testa, entità congiunte. L'energia, l'istinto che guida il nano ne è pregno di tali sensazioni - fame, paura. Appellandosi ad esse, egli saprà palesare queste forze basilari dell'esistenza, e in maniera concreta: fumi neri, famelici. Non tutti resistono di buon grado a questo male insito nel mondo.
I. Con un consumo Medio, ad esempio, il vagabondo sarà in grado di replicare urla e suoni nella testa di un bersaglio, i gridi ancestrali a base della vita. Parole che parlano di fame e barbarie, il più delle volte, e possono scioccare chi ne viene colpito con un danno psionico Medio. Ma Rick non è stupido, non totalmente: persino lui, quando messo alle strette, saprà impiegare tale capacità per richiamare altre voci, discorsi più articolati - o non è la forza del campare che lo fa, e lui solo il tramite?
I.[Pergamena Istigare, Iniziale; Consumo Medio, Danno Psionico Medio][Natura Psionica]

~Batosta VI. La rabbia di chi ha fame.
I.
Quando si ha lo stomaco vuoto è dura non essere nervosi - è dura pensare, muoversi piano. Si sarà incazzati, come Rick, con tutti ma invero con nessuno. Si ricorrerà a quanto si ha, tutto. E il nano ha dalla sua delle potenze carnali e antiche, vortici scuri e lampi scarlatti: li userà per rendere i suoi prodigi più forti quand'è disperato, più insidiosi. D'altra parte egli ricorre a forze oscure, risvegliate da chi brama anche sole briciole: e dunque pagherà lo scotto di tale potere, indebolendosi nel fisico.
Come un affamato - come chiunque prima o poi.
Tramite un consumo Nullo, Rick è in grado di rendere per 1 turno (quello in cui casta la tecnica) le proprie tecniche magiche di un grado di potenza superiore rispetto alla norma. Come contreffetto, però, egli sarà più vulnerabile a quelle fisiche, da cui dovrà difendersi come se avessero un grado di potenza superiore rispetto al normale: a prescindere dal momento di cast, infatti, nel turno in cui la tecnica viene impiegata le difese da colpi fisici del nano si vedranno indebolite.
I. [Personale; Consumo Nullo, potenziamento/depotenziamento Magiche/Fisiche, 1 turno][Natura Magica]

~Batosta III. Questa sedia è la mia sedia!
II.
E d'altra parte non si ferma a quello che tocca, la cocciutaggine del nano - non sparisce nel tempo.
Persevera, anzi, riverberandosi nel futuro con tutte le sue sozzate, il cenciume di voglia bastarda che ha: colpisce anche dopo. Il vagabondo sarà infatti in grado, tramite un consumo Basso, la rinuncia ad 1 CS e un danno Basso sia al Fisico che alla Mente, di attaccare con la sua energia oscura senza che gli effetti siano immediatamente visibili: una sfera nerastra si creerà allora, pronta a colpire a suo comando. L'energia, continuando a roteare attorno alla sua panza, si staccherà in un turno successivo a quello in cui la tecnica è stata attivata, a scelta di Rick, colpendo il bersaglio con una potenza Alta.
Senza poter dire che il nano fa cilecca, quindi.
II.[Personale; Consumo Basso, riduzione di 1 CS, Danno Basso a Mente e Fisico, Attacco Alto ritardato][Natura Magica]

~Batosta V. Lo scatto di chi ha fame.

No, Rick non è un velocista: non lo è mai stato. Non corre, lui e la sua panza un po' rilassata, non si da' da fare per muoversi più di tanto. A meno che non c'è di mezzo la vita, o una scorza di cacio: allora è capace di prodigi.
Tramite un consumo Nullo, Rick è in grado di spostarsi sul campo di battaglia ad una velocità pressochè istantanea. Si tratta di un unico scatto che, se le condizioni dell'ambiente circostante o tecniche già attive non lo impediscono, agisce come un teletrasporto a corto raggio. In accordo al consumo Nullo, comunque, la tecnica non potrà mai essere impiegata a fini difensivi, ma bensì puramente di spostamento.
[Personale; Consumo Nullo, teletrasporto a corto raggio][Natura Magica]

~Batosta I. Il colpo del disperato.
Grande risultato, minimo sforzo. Poco importa se con un acciacco in più, qualche graffio: l’importante è risparmiare le forze.
Rick l’ha capito bene nei suoi vagabondaggi per terre brulle e inospitali, e per questo ha imparato a centellinare al meglio le forze nei suoi colpi: sia in difesa che in attacco, il nano sarà in grado di azioni per potenza equiparabili a tecniche dal consumo [medio], ma con un dispendio di energie che è invece [basso].
Di sicuro niente viene fatto per niente al mondo, insomma, e per questo a risentire del colpo scagliato è l’arto che il nano ha impiegato, con una ferita [leggera].
Ma ne vale la pena!
[Pergamena Martirio, Iniziale; Consumo Basso, attacco/difesa di potenza media][Natura Fisica]

~Batosta IV. Braccia toste.
Il nano è un duro. I suoi avambracci hanno linee d’acciaio che corrono dritte, le sue spalle curve dure e inamovibili. Queste braccia possono prendere senza problemi graffi e botte.
Tanto dure che, se portate avanti, le braccia del nanaccio arriveranno a concretizzare l’impossibile: un addensamento di energia nera, fumosa, si concretizzerà davanti a Rick, un grumo scuro percorso da macchie color sangue. Tale sorta di scudo potrà assorbire colpi di potenza Bassa o Media e le sue forme e dimensioni varieranno, arrivando al più alla – scarsa – altezza del nano. Il tutto con un consumo pari alla potenza.
[Dominio Guardiano, Attiva liv. I; Consumo Basso, Difesa Bassa][Natura Magica]

~Batosta VI. La rabbia di chi ha fame.
II.
O c'è un'altra via, per riversare la propria rabbia: sempre una via di sangue e pugni, comunque. Tramite un consumo Alto, Rick caricherà un colpo fisico dalla particolare pericolosità. Esso causerà se colpisce un Danno Critico, ma potrà essere contrastato come una tecnica di Potenza Media.
Ciò è dovuto alla particolare enfasi posta nel colpo, che risulterà più impreciso del solito.
II. [Personale, Consumo Medio e Auto-danno Fisico Medio, Potenza Alta e Danno Critico, difendibile con Potenze Medie][Natura Fisica]

~Batosta VI. La rabbia di chi ha fame. [usata in precedenza su "Questa sedia è la mia sedia! II"]
I. [Personale; Consumo Nullo, potenziamento/depotenziamento Magiche/Fisiche, 1 turno][Natura Magica]


~Batosta III. Questa sedia è la mia sedia! [consumo pagato precedentemente, ora in uso]
II.
E d'altra parte non si ferma a quello che tocca, la cocciutaggine del nano - non sparisce nel tempo.
Persevera, anzi, riverberandosi nel futuro con tutte le sue sozzate, il cenciume di voglia bastarda che ha: colpisce anche dopo. Il vagabondo sarà infatti in grado, tramite un consumo Basso, la rinuncia ad 1 CS e un danno Basso sia al Fisico che alla Mente, di attaccare con la sua energia oscura senza che gli effetti siano immediatamente visibili: una sfera nerastra si creerà allora, pronta a colpire a suo comando. L'energia, continuando a roteare attorno alla sua panza, si staccherà in un turno successivo a quello in cui la tecnica è stata attivata, a scelta di Rick, colpendo il bersaglio con una potenza Alta.
Senza poter dire che il nano fa cilecca, quindi.
II.[Personale; Consumo Basso, riduzione di 1 CS, Danno Basso a Mente e Fisico, Attacco Alto ritardato][Natura Magica]


Note: Innanzitutto scusate per la poca cura dello specchietto, e del post in generale, ma ho preferito non ritardare oltre.
Spero poi che sia riuscito a rendere più chiare le motivazioni dietro le azioni di Rick: la sua idea era di rimanere con un piede in ambo le parti, da vero mercenario, e per questo si dilunga in parole più del solito con Ka Shanzi. Inoltre c'è da dire che le sue scelte sono state molto influenzate dal consegnare l'amuleto di Rakshin al ragazzo psionico, per provare a ottenere il più possibile - sia portare in salvo l'oggetto, sia intervenire ulteriormente negli scontri. Spero si capisca come, senza il "limite" del ragazzo -ma sopratutto dell'oggetto da portare in salvo al Sorya- il nano si sarebbe fatto ben meno scrupoli.
Infine, volevo rimarcare l'utilizzo dell'abilità "<b>~Batosta III. Questa sedia è la mia sedia!, II" (la palla di energia di pot.za Alta ritardata), che è non è avvenuto contro Lomerin, o così era nella mie intenzioni in Confronto (pag. 26 del topic, credo). Ovviamente è solo per chiarezza, perché potrebbe sembrare abbia utilizzato due volte (di cui una aggratis) l'abilità in questione - e non perché ci siano problemi :v:

EDIT [29/09/2014] per ancorare il link al contest "Risalire la corrente".


Edited by Lill' - 29/9/2014, 14:49
 
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view post Posted on 11/5/2014, 03:20
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Sogni scivolati al confine fra realtà e finzione, incubi sfuggiti al giudizio dell'orrore.
Ecco come soleva definire Edwin i suoi Danzatori.
Suoi, poiché era nel suo ingegno che si definiva la nascita di quegli uomini solo per metà congiunti alla realtà che tutti quanti conoscevano.
Era della sua inventiva che si componeva il loro sangue e animo, nero velo steso sopra un'umanità tutta da definire, tutta da dedurre.
In quell'attimo il bussare alla sua porta lo distrasse dai propri pensieri. Un suono brusco, legnoso, appena affrettato rispetto al fluire del tempo attorno a lui.
"Si?"
sillabò Edwin dalla propria poltrona.
"Un messaggio dalla Torre del Fato, signore"
rispose una voce bassa dall'altra parte.
Poggiata sulle ginocchia, l'Ex Crostascura teneva una lunga spada sguainata lucidata di fresco. Cautamente egli ne circondò l'elsa con la mano sinistra.
"Avanti"
Gracchiante, la porta si spalancò rivelando la figura di un uomo di media altezza, rosso di capelli e chiaro di pelle. Aveva una fronte alta e lucida di sudore.
"Signore"
si presentò questi chinando appena il capo e sorvolando con leggera circospezione la spada di Edwin
"Marlow ha tradito"
dichiarò poi.
L'Ex Crostascura socchiuse un attimo le palpebre poi, lentamente, sospirò
"Immagino dunque si stia dirigendo verso la Torre del Fato"
l'altro annuì piano
"Lungo il tragitto sembra si sia unita a lui una delle giovani straniere reduce dal saccheggio alle gallerie.
Voci dicono che lei abbia sposato la sua causa in toto"

il vecchio annuì
"Io lo dico sempre: niente di meglio che una battaglia per testare le alleanze"
decretò all'apparenza divertito per poi alzarsi con un movimento secco
"I Danzatori sono ai loro posti?"
L'altro annuì ancora una volta, meccanicamente, gli occhi dorati fissi sull'uomo dinnanzi a lui.
"Pronti a colpire"
"Bene. Date dunque ordine che partano all'attacco"
Sospirando, Edwin si concesse allora un mezzo sospiro contratto.
Aveva calcolato l'eventualità che qualcuno potesse tradirlo. Anzi. Aveva strutturato i suoi piani proprio facendo affidamento sul fatto che qualche suo alleato sarebbe di certo morto dalla voglia di fregarlo sul più bello. Morto. Letteralmente.
Ma Marlow...
Diciamo che non era su quell'uomo rigido, composto, preciso e apparentemente privo del benché minimo istinto ribelle che la sua immaginazione si era concentrata.
Aveva piuttosto pensato a qualche nuova recluta, a qualcuno dei neo-nominati capitani la cui fedeltà era ancora tutta da provare ed invece...
Scosse il capo fra sé e sé, in parte deluso da quella situazione, da tutto quell'imprevisto rivoltarsi di amicizie su cui a lungo aveva pensato di poter fare affidamento e suo malgrado, strinse appena la presa sull'elsa della sua spada.
"Ho detto di dare l'ordine"
sillabò poi monocorde
"Eppure tu sei ancora qui, giovane recluta"
Alle sue spalle, il giovane non si mosse, una mano ora posta sull'arma al proprio fianco.
Dietro di lui, un altro piccolo stuolo di giovani in armatura si apprestava a varcare l'ingresso del piccolo ufficio dove Edwin si era appartato in attesa del risolversi degli eventi.
Egli non sorrise, e questa volta non annuì.
"Marlow ha dato ordine che i Danzatori venissero lasciati in quiete, Signore"
rispose poi rigido.
Una minaccia, intuì subito l'altro, sebbene non espressa nel più canonico dei modi.
Sospirò.
"Marlow è un capitano ai miei ordini, ragazzo. Non è nei suoi compiti discutere le mie direttive ma solo eseguirle.
Consiglio a te di fare lo stesso"

Era solo.
Una spada a fargli da bastone.
Ed entrambe queste cose sembrarono non intimorire particolarmente nessuno dei giovani ispiranti aguzzini che ora si stavano riunendo all'interno dello stanzino. Eppure Edwin sorrise piano, scuotendo il capo come solo un uomo di una certa età è in grado di fare.
Poi si voltò.
"Ed ora, cortesemente, se volessi andare a svegliare i miei amati Danzatori..."
Per quanto fosse difficile intravederlo, nella penombra di poche candele appese alle pareti, alcune giovani reclute furono certe allora di vedere, proprio laddove l'iride di Edwin sarebbe dovuta essere azzurra e limpida come specchi di ghiaccio, il rannuvolarsi di una nera macchia d'inchiostro scura come la notte, densa come inchiostro.


Più tardi, quando già le gallerie di Neirusiens ardevano come fornaci, fiamme e fumo nero a divampare dalle bocche spalancate nel terreno, i passi di Edwin si arrestarono nel bel mezzo di una stanza circolare, buia e scarsamente illuminata da torce poste sulle pareti. La loro luce, tenue e filamentosa, vibrava di tonalità azzurrine, come se l'aria all'interno di quel luogo poco avesse a che spartire con quella abitualmente vigente nell'atmosfera.
Egli si guardò un attimo intorno per poi abbassare la spada verso il terreno in direzione di una scanalatura delle piastrelle più pronunciata delle altre e abbastanza profonda perchè la lama vi affondasse di una ventina di centimetri. Girando poi in senso orario, dalle pareti della stanza si aprirono una decina di loculi, ognuno di essi ospitante una figura in nero seduta composta su troni di pietra. Parevano statue ossidiana, immote e perfette come solo la dura freddezza della terra potrebbe essere.
Allo schiudersi degli usci una fra di loro pero' si mosse. Una le cui vesti parevano affatto nere ma grigie e rosse, composte solo da un paio di calzoni ed una casacca leggera, entrambe racchiuse in un mantello color fumo. Privo di elmo, il volto del risvegliato riflesse per un attimo il pallido barlume delle torce sulla pelle ghiacciata.
"Tutto fatto"
esalò Edwin in un brivido.
La figura annuì una volta, un tiepido sorriso che affiorava negli occhi color ghiaccio.
"Molto bene"
rispose dunque il vero Edwin, una nota gelida nella voce
"Richiama gli altri. E' giunto il momento di porre fine a questo inutile spreco di tempo"
L'altro annuì una volta. Dopo di che, il suo volto in tutto e per tutto simile a quello dell'uomo che aveva di fronte prese a mutare, trasformandone il viso umano in una ben più aliena maschera in ossidiana. L'attimo dopo, gelida vibrazione, da quel guscio senza fattezze proruppe un suono basso e modulato, appena percepibile sopra la frequenza di un battito cardiaco.
Edwin socchiuse allora gli occhi, una fredda sensazione a scorrergli lungo tutta la schiena mentre, una dopo l'altra le statue presenti nella stanza si animavano, mutando da gelida pietra in carne viva, vibrante, presente.
E così, ancora una volta, nel canto dell'Abisso, i Danzatori tornarono a vivere.
Spirarono attorno al loro creatore, vivi eppure sospesi in quello strano limbo in cui la loro medesima esistenza si aggirava.
E si inchinarono.
In attesa di un ordine.
"Uccidete coloro che hanno tradito"
disse semplicemente Edwin.
"Risparmiate coloro che mi sono rimasti fedeli"
continuò
"Prendete tutti gli altri"

-O-

Poco dopo, mentre l'Oscurità sommergeva ancora una volta Neirusiens, mentre il Silenzio calava assoluto fra strade e viuzze, fra gallerie e cunicoli, Ka Shanzi guidò i pochi Neiru sopravvissuti al massacro nelle zone più riparate della montagna che ospitava la città. Li guidò in fretta e furia, muti e tremanti, poiché solo così facendo avrebbero la possibilità di scampare a quella onda anomala, greve e funesta più della morte stessa.
"Questo"
sussurrò poco prima di scivolare in un cunicolo più profondo degli altri
"E' il Canto dell'Oscurità.
E' il richiamo delle Oscure armate che già un tempo ci distrussero spazzando via la nostra civiltà e distruggendo con essa tutta la stirpe elfica."

Alle sue parole, furono i Neiru tutt'attorno alla sua persona ad intonare allora il proprio Canto. Il medesimo che avrebbe guidato alla morte coloro che, sfortunati, non sarebbero riusciti a fuggire da Neirusiens in tempo
"Questo, è il suono del passato. Del Nostro Passato"

-O-

Poco prima che il fatale giudizio dei Danzatori arrivasse, Marlow lasciò cadere la propria arma a terra, sciogliendo quel suo viso di gelo in un sorriso questa volta garbato, gentile, per la prima volta da che il suo incarico sotto Edwin era cominciato, umano.
Quello sguardo, quel semplice gesto gentile,
fu per Ashlon.
Per quell'elfo che ora, a fatica, si trascinò fuori dalla propria cella aiutato da un paio di Neiru.
Abbassò poi il capo in quel cerimonioso modo di fare che tanto gli era ormai consono adottare.
"Niu marh, Ashlon"
sillabò nell'antica lingua elfica
"Perdonami per aver così tardi capito di stare percorrendo la via errata"
Vi era certo troppo poco tempo per parlare. Troppo poco tempo per scusarsi e per comprendersi.
Troppo poco tempo per discorrere su come i due potessero essersi conosciuti, sul come Marlow conoscesse la lingua dei Neiru o sul perchè egli parteggiasse per Ashlon.
Ma il Cantore, unico signore dei Predatori, si prese comunque gli istanti necessari per avvicinarsi all'uomo, posare una mano sulla sua spalla e lì stringerlo in un abbraccio lento, cordiale, sincero.
"Arh zaìs Numhiel, Marlow"
sillabò nel suo orecchio
"Che la tua anima possa trovare ora pace, Occhi di Ghiaccio"
Quando l'elfo si separò dall'altro, l'uomo parve per un attimo aggrapparsi allo stesso come restio a lasciarlo andare, come desideroso di averlo vicino ancora un attimo, ancora un istante.
Poi, lentamente, egli lasciò la presa, scivolando dapprima sul corpo dell'altro e poi, lentamente, a terra, in un sospiro.
Malgrado il pugnale ora conficcato nel suo torace, pareva ora essere felice Marlow, l'uomo di cui mai nessuno, forse nemmeno egli stesso, seppe dedurre i veri intenti.
Che egli morisse così, dunque.
Come un Neiru che dopo molto vagare, infine trovi la via di casa. Una via impervia, scoscesa, e certamente mortale.
Ma che comunque la percorsa, conscio che mille giorni da vivo ed in terra straniera, mai sarebbero valsi la propria dimora, pur da morti.


Poco dopo, mentre di tutta fretta egli si apprestava ad uscire dalle prigioni, lo sguardo di Ashlon cadde sul ragazzo Danzatore a cui aveva giurato vendetta. Disteso a terra come nell'atto di dormire, egli pareva null'altro che un ragazzino agli occhi del Predatore sebbene sul suo corpo, evidenti, già si scorgessero le vive tracce dell'Oscurità. Ashlon rabbrividì. Presto o tardi, quell'inerme fanciullo sarebbe diventato un Danzatore, ed allora non vi sarebbe stato spazio per vendetta o parole.
Egli sarebbe dovuto morire.
Ma perchè dunque non ora?
Perchè dunque rimandare il fatidico istante?
L'inevitabile?

L'idea passò dallo sguardo alle lunghe dita dell'elfo per alcuni, lunghi, istanti.
Poi, lentamente, egli poggiò il palmo sul petto del ragazzo, per un secondo chiudendo gli occhi e formulando una nota bassa a fior di labbra.
Perchè di certo un Danzatore avrebbe colpito coloro che nel sogno dimorano.
Ma un Predatore no.
Mai.

Poco dopo, mentre, solo, egli sfuggiva alla nera marea dei Danzatori (per gli altri Predatori non vi era stato scampo), Ashlon incrociò la strana fanciulla che era giunta a trovarlo in prigione in compagnia di Leanne. Poi oltre, il corpo riverso di Saighdeas, il giovane che dalle acque era giunto in nome di Ka-Shanzi richiamandolo alla vita. Ebbe per entrambi un sorriso. Ebbe per tutti e due un dono che forse nessuno dei due avrebbe riconosciuto come tale, ma che forse più avanti sarebbe divenuto la loro più grande fortuna, il loro più geloso segreto.
Chissà.
Che fosse stato il Tempo a decidere, infine, l'esito delle azioni che nel Presente null'altro sono che gocce nell'oceano, che eco sbiadite nell'oscurità.

Ora che di nuovo Neirusiens cedeva all'oscuro potere dell'Ombra.
Ora che ancora le armate di Eitinel si prendevano ciò che mai sarebbe dovuto appartenergli.
Ora che la Storia ripeteva i propri passi nel circolo vizioso dell'Errore, poco o nulla importava.
Poco o nulla sarebbe più importato.

Ombra fra le ombre, fu di Ashlon l'ultimo sguardo che Neirusiens ricevette prima che la mortale melodia dei Danzatori si abbattesse infine, sommergendola, sulla Città Insonne.



CITAZIONE
Molto bene. E questo è il post conclusivo della nostra prima quest.
La strategia dei Predatori infine si è rivelata non solo calzante, ma anche potenzialmente vincente. Pur con delle difficoltà, essa infatti è riuscita ad avere la meglio negli scontri sotterranei a Neirusiens, mettendo in fuga i Danzatori capitanati da Rick e riuscendo infine ad entrare all'interno della Torre del Fato per liberare Ashlon. Il tradimento di Marlow ha inoltre spianato loro la strada all'interno delle prigioni, fornendo manforte a quegli elfi intenti a liberare Ashlon, abbastanza impegnati a combattere contro le truppe capitanate da Kel da rischiare in un fallimento totale.
Egualmente però, le truppe dei Danzatori hanno fatto mattanza degli elfi non del tutto coinvolti negli scontri e nascostisi all'interno delle gallerie sotterranee. Indugiare nelle gallerie si è però rivelata una strategia a doppio taglio, poiché ha dato il tempo a Ka Shanzi -unitariamente al fumo, alle fiamme e alle naturali bestie presenti nei cunicoli- di sterminarli lentamente quanto costantemente.
Sfortuna vuole però che Edwin avesse un ulteriore piano in mente, una strategia da rivelarsi solo nell'istante in cui ogni altra risorsa fosse stata utilizzata: i Danzatori. Nel post viene descritto come Marlow, deciso a far fuori il suo vecchio capo, mandi un piccolo stuolo di uomini ad attentare alla sua vita. L'uomo che accoglie il loro arrivo non è però il vero Edwin ma un Danzatore mascherato con le arti illusorie (forse non si è notato, ma egli impugna la spada con la mancina. Edwin è destrorso). Sterminato il piccolo plotone d'esecuzione, il Danzatore torna nel luogo ove i veri Danzatori riposano come pietrificati (in realtà addormentati). Qui si riunisce al vero Edwin che ordina a tutti i Danzatori di far fuori i traditori e di catturare gli altri. Implicitamente, Edwin include Maria come "personaggio da far fuori" poiché la crede una traditrice.
Ciò che accade è però un po' diverso, ed in parte potrà essere deciso da voi: poco prima dell'arrivo dei Danzatori, infatti, Ashlon incontra tutti e tre i personaggi (tranne Rick che si trova altrove).
In ultimo, i pochi, pochissimi Neiru rimanenti si rintanano ancora più profondamente nelle gallerie di Neirusiens con Ka Shanzi a loro guida, decisi a scomparire nuovamente nell'ombra per un periodo, ahimè, indeterminato.

Maria: Trovandosi con Leanne, Hua non verrà direttamente attaccata dai Danzatori. In primis perchè la piccola farà di tutto per difenderla, in secondo luogo perchè, ufficialmente, sembrerebbe che ella stesse "proteggendo la bambina".
Egualmente, Rakshin farà in modo di proteggere Jeanne all'arrivo dei Danzatori: conoscendo come le proprie tasche la Torre, egli infatti provvederà a nascondere entrambi in un luogo sicuro e riparato.
Come detto da Rakshin, Maria possiede ora il dono dell'Oscurità. Ciò la rende potenzialmente una Danzatrice a tutti gli effetti, motivo per cui la sua esistenza diventerebbe alquanto preziosa non solo per Edwin ma anche per i suoi futuri progetti. Allo stesso modo, però, essersi accompagnata con Marlow per qualche tempo abbandonando il suo compito presso Neirusiens, l'ha resa agli occhi degli altri Danzatori una traditrice come lui. A te la scelta: puoi scegliere se lasciare che Ashlon porti via con sé Maria durante la grande fuga o lasciare che essa venga trovata dai Danzatori. In base alla tua risposta, Maria subirà un certo tipo di destino e Hua e Jeanne con lei.
Per intanto, ecco il Dono dell'Oscurità di cui ha parlato Rakshin:
CITAZIONE
Dono dell'Oscurità: possedere l'Oscurità determinerà la possibilità di percepire e talvolta anche vedere le Ombre aggirarsi nei territori dell'Edhel. Non si potrà parlare con loro e nemmeno interagire con esse fisicamente, ma talvolta il personaggio avrà la netta sensazione di essere a sua volta percepito dalle stesse. Ulteriore Bonus, il personaggio nel cui corpo si annidi l'Oscurità svilupperà la capacità di capire a tratti il linguaggio delle Ombre, riuscendo a cogliere alcuni suoni, parole o simili. In ultimo, il personaggio guadagnerà 1 CS passivo liberamente assegnabile.
Possedere L'Oscurità comporterà il modificarsi del corpo (iridi nere, pelle pallidissima, vene nere etc) a libera scelta del possessore. La modifica non dovrà essere per forza determinante o immediatamente visibile. Dovrà però sussistere anche in minima parte.

Lomerin: Svenuto durante il combattimento, Lomerin verrà trovato da Ashlon poco prima dell'arrivo dei Danzatori. La sua fedeltà verso il popolo dei Neiru è indubbia, motivo per cui l'elfo avrà cura di portare in salvo il ragazzo allontanandolo da Neirusiens. Anche per te però si prospetta una scelta da cui dipenderà l'esito di questa prima quest: puoi scegliere se lasciare che Ashlon abbandoni Lomerin al limitare di Neirusiens, lasciando così che il ragazzo possa allontanarsi da queste terre da solo o scegliere che l'elfo porti Lomerin con sé (verso mete che ovviamente non ti rivelerò ora ^^).

Rick: Per te, il finale è più semplice. Rick infatti ha già scelto implicitamente la propria via, decidendo di inoltrarsi nelle gallerie di Neirusiens onde abbandonare la città il più in fretta possibile. Nel percorso però egli si accorge che qualcosa (o qualcuno) lo sta seguendo. Nulla più che un'ombra, in realtà, eppure abbastanza "viva" da farsi notare lungo il percorso. A te la scelta: puoi decidere di lasciar perdere la cosa, o dare seguito alle sensazioni di Rick. Premetto, poiché forse è utile farlo vista l'entità della cosa: in base alla tua scelta potresti ottenere o meno un compagno animale.
Anche per Rick, l'esposizione ai Danzatori e alle ombre (in particolare durante la prima fase di quest, durante le lotte per uscire dalla prigione) ha comportato l'essere infettato dall'Oscurità
CITAZIONE
Dono dell'Oscurità: possedere l'Oscurità determinerà la possibilità di percepire e talvolta anche vedere le Ombre aggirarsi nei territori dell'Edhel. Non si potrà parlare con loro e nemmeno interagire con esse fisicamente, ma talvolta il personaggio avrà la netta sensazione di essere a sua volta percepito dalle stesse. Ulteriore Bonus, il personaggio nel cui corpo si annidi l'Oscurità svilupperà la capacità di capire a tratti il linguaggio delle Ombre, riuscendo a cogliere alcuni suoni, parole o simili. In ultimo, il personaggio guadagnerà 1 CS passivo liberamente assegnabile.
Possedere L'Oscurità comporterà il modificarsi del corpo (iridi nere, pelle pallidissima, vene nere etc) a libera scelta del possessore. La modifica non dovrà essere per forza determinante o immediatamente visibile. Dovrà però sussistere anche in minima parte.

Kel: inutile negarlo, il tuo personaggio si trova proprio nel punto sbagliato al momento sbagliato. E' infatti proprio nelle prigioni che si riverserà il grosso del potere dei Danzatori. Poco prima che ciò accada, però, Ashlon terrà fede al suo giuramento di vendetta destinando a Kel un trattamento che per sempre lo legherà all'elfo in una promessa di incontro futuro. A te la scelta: Ashlon potrà mutare irreversibilmente l'aspetto di Kel, imprimere su di lui il Fiume del Fato o formulare un particolare incantesimo sulla sua persona. Premetto: nessuna delle tre opzioni comporta la morte del pg.
Anche per te, gli scontri all'interno delle prigioni prima e la successiva marea dei Danzatori dopo, ha comportato il contagio con l'Oscurità:
CITAZIONE
Dono dell'Oscurità: possedere l'Oscurità determinerà la possibilità di percepire e talvolta anche vedere le Ombre aggirarsi nei territori dell'Edhel. Non si potrà parlare con loro e nemmeno interagire con esse fisicamente, ma talvolta il personaggio avrà la netta sensazione di essere a sua volta percepito dalle stesse. Ulteriore Bonus, il personaggio nel cui corpo si annidi l'Oscurità svilupperà la capacità di capire a tratti il linguaggio delle Ombre, riuscendo a cogliere alcuni suoni, parole o simili. In ultimo, il personaggio guadagnerà 1 CS passivo liberamente assegnabile.
Possedere L'Oscurità comporterà il modificarsi del corpo (iridi nere, pelle pallidissima, vene nere etc) a libera scelta del possessore. La modifica non dovrà essere per forza determinante o immediatamente visibile. Dovrà però sussistere anche in minima parte.

Per Rick, Maria e Kel: le abilità che vi ho dato possono anche essere rifiutate, ma solo ON gdr, compiendo cioè azioni e facendo cose per cui si neghi il dono. Se non è vostra intenzione accettarle, troverò il modo di evitare che il vostro personaggio le possieda (anche grazie alle scelte che farete in questa ultima fase finale). Diversamente, scrivetemi via mp come intendete personalizzarle.
Per tutti quanti, le abilità che avete ricevuto sono suscettibili di modifica e miglioramento durante il corso di questo ciclo di quest. Nel mio pensiero infatti entrambi i "doni" possono essere migliorati e perfezionati, ma anche in questo caso via ON Gdr.

Ricompense e valutazioni verranno indicate a tutti dopo che indicherete la vostra scelta finale. Per comodità pratica (visto l'inizio del Torneo), comunico previamente a tutti una ricompensa di 1500 Gold da sommarsi all'acquisizione dell'abilità sopra citata.
 
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view post Posted on 17/5/2014, 15:30
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Prima di dare giudizi e valutazioni, ringrazio tutti quanti voi per aver partecipato a questa Quest con costanza, puntualità e spirito invidiabili. Personalmente posso dire di essermi divertita moltissimo nei miei panni di Qm, ed è solo grazie alla vostra inventiva che molte idee e spunti sono saltati fuori arricchendo una trama di per sé molto lineare e semplice. Grazie e ancora grazie. Spero molto di potervi vedere nei prossimi capitoli di questa ultima tornata di quest de I Primogeniti!!

Come ricompense, ho preferito dare a tutti una medesima cifra -già consegnata-, una medesima abilità, più relativi spunti di trama differenziati (e favorevoli) a seconda del comportamento adottato nel corso della quest. In sostanza, più una persona ha agito "bene", più si ritroverà in una situazione favorevole al proprio pg o sarà in grado di ritrovarsi in futuro in situazioni favorevoli -nel caso prosegua con le quest-.









Azazel: personalmente, devo dire di essere stata molto colpita dalla tua performance nel corso di questa quest. Hai saputo caratterizzare ed al contempo mantenere una naturalezza davvero lodevoli nel tuo pg, riuscendo a calarlo perfettamente nell'ambientazione senza sbavature di sorta. Davvero un ottimo lavoro. Anche le scelte da te compiute hanno saputo piu' di una volta sorprendermi in senso positivo, lasciandomi ben sperare in un degno finale che alla fine c'è stato. Coerente e definito, Kel insomma mi è molto piaciuto. Per quanto riguarda la scrittura, attenzione allo stile e alla cura del testo: cerca il piu' possibile di mantenerti costante nella stesura e, nel caso, se ti accorgi di non riuscire a reggere un certo livello, abbassa tutto di una "tacca" e prediligi alcune perle inserite quà e la per dare una nota piu' ricercata ogni tanto. In conclusione, anche per te: osa un po' di piu'. Nel corso della quest mi è parso davvero lampante il tuo potenziale e le tue capacità: per svilupparle, l'unico consiglio è tentare di superarsi un poco ogni volta, osando -senza mai strafare-

Quest: Kel si è dimostrato di sicuro una seccatura per Ashlon. Non solo egli ha resistito ad ogni tipo di lusinga e provocazione dell'elfo, ma fino alla fine ha tentato di impedire la sua fuga anche a costo della propria vita. Di sicuro, dunque, agli occhi del Predatore egli si è dimostrato tanto seccante quanto valoroso e valente. Quando passa dunque al fianco del ragazzo, è con una nota di rispetto che egli gli si accosta tentando di denotare se anche nelle sue vene si annidi il Dono dell'Oscurità.
Ricevendo esito positivo, Ashlon decide dunque di compiere un gesto a suo dire "buono", sebbene per molti versi Kel si ritroverà a considerarlo una maledizione: egli impone un sigillo all'Oscurità presente nel corpo del ragazzo. Un sigillo posto all'altezza del cuore, rappresentato da un cerchio di rune elfiche, chiaramente la formula dell'incantesimo che impedisce alla forza oscura di espandersi. Con questo simbolo sul petto, Kel potrebbe rischiare di non diventare mai un Danzatore, ma al contempo gli è concesso ancora di scegliere la propria strada portando dentro di sé un "pizzico" di Oscurità. In altre parole: Kel potrà utilizzare l'abilità dei Danzatori ma non svilupparla fino a quando il sigillo non verrà rimosso da Ashlon. Allo stesso modo però potrà svilupparne in altri modi il potenziale nelle successive quest, creando cioè evoluzioni "inedite" -prime fra le quali, la possibilità di non essere divorato dal potere stesso...-




Albtraum: una quest spesso caratterizzata da scelte gdrristiche particolari -non sempre caratterizzate da buon esito- ma comunque sempre dotata di spirito d'iniziativa e voglia di fare. Particolare determinante, la conformazione dei tuoi pg ha spesso giocato a sfavore delle tua possibilità gddristiche, essendo per loro stessa natura tutti e tre estremamente "atipici" rispetto all'ambientazione. Malgrado ciò, hai comunque saputo destreggiarti nelle trame della quest senza pecche esagerate. Attenzione: la tua ricerca delle ombre e di Leanne ha spesso rasentato il metagame, non essendoci per Maria e le altre sue compagne le effettive basi per poter partire in quarta verso una ricerca così mirata e specifica -avevo specificato che di ombre non se ne parlava da un bel po' nell'Eden. La prossima volta fà un poco piu' attenzione a questi dettagli. Buonissimi i post -scritti sempre con grande ispirazione. Un po' meno ogni tanto la caratterizzazione di Maria e delle sue compagne, le cui personalità spesso sfuggono al tuo controllo/coerenza a seconda della situazione e delle necessità.

Quest.
Accettare il dono dell'Oscurità, ma essere portata via da Ashlon non metterà Maria nelle condizioni migliori. Anzi. Dentro di lei si annida infatti l'inconfutabile segno dei Danzatori, un marchio che ella non può in alcun modo nascondere agli elfi dai quali il Cantore tornerà una volta scampato al finale attacco di Edwin. Come se non bastasse, inoltre, Maria ha partecipato al fianco di Edwin nella guerra cacciando personalmente -e dando poi ordine di cacciare- i Predatori più inermi: bambini e vecchi che si nascondevano in città in attesa del passare della guerra. Ha dato ordine di stuprare, uccidere, catturare e altro ancora. Insomma, agli occhi dei Neiru Maria è un mostro, cosa che non le gioverà affatto durante il suo soggiorno. Per i primi tempi, dunque, Maria verrà tenuta come imprigionata nella dimora di Ashlon ove riuscirà a sperimentare su di sé l'Oscuro manifestarsi del potere dei Danzatori nella propria forma più primitiva: allucinazioni, ombre etc. (nel concreto, nelle future Quest Maria potrebbe sviluppare il Dono dell'Oscurità nella sua forma più oscura, illusoria)





Oblivion: una quest condotta con calma e ragionamento costanti, portata avanti correttamente e senza stiracchiamenti di sorta ed infine conclusa al meglio delle possibilità. Devo dire che più di una volta mi sono ritrovata ad apprezzare le scelte da te compiute On Gdr, tutte coerenti ed in linea con le situazioni che ti si ponevano via via di fronte. Dall'inizio alla fine Lomerin mi è davvero sembrato un personaggio completo, veritiero, deciso tanto nel scegliere una direzione quanto nel perseguirla fino alla fine. Unica recriminazione: non hai osato molto. Per intenderci: il tuo comportamento e la tua condotta sono state ineccepibili, ma a volte credo avresti potuto rischiare un po' di più, ritagliandoti -anche con la forza, se necessario- uno spazio all'interno della quest più tuo. Dico questo perchè molto spesso ho visto da parte tua le potenzialità per farlo ma la gentilezza di non "osare", di non prenderti più di quanto io ti abbia concesso se non alla fine, nella fase strategica della guerra. Questo discorso nasce da un presupposto fondamentale: vero che le quest sono fatte dai Master, ma vero anche che esse dovrebbero essere in funzione dei giocatori, plasmabili e modificabili in base al loro gusto; un master che non agisca così dovrebbe cambiare "lavoro". Quindi, nel limite di quello che è il rispetto, prova ad essere più impavido la prossima volta.

Quest: Un attimo prima dell'incursione dei Danzatori, Lomerin viene soccorso da Ashlon e portato insieme a lui nelle zone antistanti Neirusiens dove i pochi superstiti si sono nascosti per riprendersi dalla difficile battaglia. La popolazione dei Predatori è ridotta all'osso, ma è ancora abbastanza numerosa da potersi riprendere. Svenuto e provato, Lomerin viene ancora una volta rimesso in sesto dalle cure degli elfi e di Ashlon. Una volta guarito, Lomerin incontra Ka Shanzi, e con lui viene gradualmente accolto dalla comunità Neiru con rispetto e gentilezza. Gli elfi non chiamano Lomerin con il suo nome "umano", ma mantengono quello che Ashlon ha forgiato per lui. Più passa il tempo, più la comunità lascia che Lomerin apprenda la storia, le usanze, i rituali e la lingua del popolo Neiru e non solo: poco a poco, gli vengono rivelati alcuni dei misteri che si intrecciano al Fiume del Fato. (in potenziale, il Fiume potrà essere estremamente sviluppato nelle future Quest).




Lill': devo dire che, fra tutti, tu sei stato il questante che più di tutti ha saputo stupirmi in quanto ad iniziativa e voglia di "fare". Più di una volta hai dettato tu le regole -sempre chiedendo prima- e richiesto i tuoi spazi, riuscendo a personalizzare un percorso che diversamente avrebbe potuto essere abbastanza lineare per te. Davvero ottimo. Ho anche apprezzato i tuoi sforzi nell'inserire spunti "esterni" alla vicenda narrata e personalizzare le fasi di confronto con tue scelte narrative. Attenzione ogni tanto ai "cali di stile", dovuti forse al poco tempo, che spesso hanno guastato un po' la tua ricerca di originalità nelle parti narrative. Il mio consiglio è di tentare, di tanto in tanto, di vivacizzare lo scorrere del testo con qualche espediente particolare: senza incappare nella lunghezza o nella complessità, è infatti capace di impreziosire un poco il tutto.

Quest: Avanzando, Rick si accorge infine di essere seguito da una creatura rettiliforme, silenziosa e difficilmente percepibile. Dall'aspetto si direbbe un Draco (si, non Drago), ma di una razza abitante le gallerie di Neirusiens: la sua pelle infatti è completamente bianca e gli occhi sono grandi e verdi come smeraldi. La stazza rivela che si tratta di un cucciolo -probabilmente perdutosi nelle gallerie a causa delle recenti battaglie-. Man mano che il pedinamento continua, il nano si rende conto che la creatura non sembra avere intenti predatori ma piuttosto una semplice necessità di seguire qualcuno per sfuggire alle trappole di altri predatori ben più pericolosi. Salvandolo, Rick otterrà il proprio cucciolo originario di Neirusiens, un Draco albino.
 
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39 replies since 20/11/2013, 16:43   2336 views
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