| Fanie Elberim |
| | Demon's Downfall~ Veleno nel cuore. Che altro potevo vedere di tanto terribile che già non avevo visto o provato? Dopo guerre, demoni alti come palazzi, crudeltà inimmaginabili e tradimenti efferati quale altro dolore, realisticamente, poteva infliggermi RottenHaz? Ero sulla sottile linea che separava la vita dalla morte, abbastanza vicina alla prima da poter ancora avere una possibilità, altrettanto vicina alla seconda da sentirmi quasi uno spettro silenzioso tra quei corridoi impregnati di malignità. Escludendo il rumore dei nostri passi mi sembrava, quasi, di poter sentire il sussurro della pietra che mi chiedeva qualcosa, in continuazione, approfittando di ogni domanda che mi sorvolasse lo spirito per imbastire una contraddizione, un dubbio, abbastanza grande da distruggermi. Mi sentivo come una macchina, agivo per bisogno, come se la mia vera volontà si fosse rinchiusa al sicuro da quanto aveva visto e provato. Voleva conservarsi pura, voleva restare immacolata per tornare a splendere come un raggio di sole quando tutto quanto fosse tornato alla normalità, quando quell'incubo avrebbe avuto fine. Era forse ciò che era capitato a Eru prima di me, lentamente, quasi senza forzature, l'odio e la disperazione avevano lasciato posto ad una torbida speranza, una gioia falsa che era pur sempre desiderabile rispetto all'agonia di aver perduto ogni cosa. Quanto sarebbe stato piacevole lasciarsi accogliere da quelle mura, da quell'oscurità, ascoltare le voci di migliaia di anime brancolare tra quelle porte incapaci di trovar la via d'uscita. Tornare a Basiledra con un intero esercito e spazzare via i Corvi... dare una nuova speranza all'umanità sotto una sola bandiera. Sarebbe andato contro ogni mio desiderio, ogni mio credo, contro quella necessità di lasciare scegliere alle persone la propria strada... ma in quei corridoi, tra le immagini orribili di uomini e donne morti a causa mia, iniziai a credere che - forse - non ci sarebbe mai stata una vera possibilità di far "crescere" l'uomo abbastanza da renderlo indipendente. Magari il Beccaio aveva ragione, sarebbe bastato il suo intervento a sistemare le cose, a creare una società perfetta ed ineguagliabile di uomini retti e giusti, ma a quale prezzo?
In quelle porte io vedevo frammenti del mio sogno apparire e scomparire come acque meste, lampi di volti, sagome di sorrisi evanescenti e tanti, troppi rimorsi per cose che mi ero lasciata alle spalle. La mia vita non era stata quella di un'eroina o di una leggenda vivente, tutt'altro, avevo finito per causare più male di quanto ne avessi mai evitato nella mia intera esistenza. Non potevo più nascondermi dietro alle mie buone intenzioni, quel giorno, perchè a niente sarebbero servite contro quello che stavo per affrontare. Mi soffermai davanti ad una porta in particolare perchè, ciò che vidi, mi lasciò una sensazione strana nel profondo del cuore.
Era un luogo ed un tempo indefinibile, ma i volti degli uomini e delle donne vestiti a festa li riconoscevo tutti. Amici, conoscenti, uomini che avevo anche solo aiutato a spostare un carro danneggiato, erano tutti lì con aria felice e gioiosa, ammirando quasi estasiati quella che poteva essere una gigantesca cattedrale che svettava sin oltre la cime delle nuvole. Poi il suono delle campane, non stridente ma soave e allegro, investì la zona e le grosse porte della chiesa si aprirono rivelando due figure a braccetto, felici e sorridenti, accolte da uno stormo di petali bianchi e dalle urla giocose di bambini e di giovani ragazze. Era un matrimonio, ora ne comprendevo le dimensioni e le note colorate e serene, un matrimonio come lo avrei immaginato io nei miei sogni più rosei e fantastici, quando da infante fissavo timidamente le nuvole arrossate al calar del sole vivendo avventure fantastiche nella mia mente. Io, una piccola elfa senza sangue nobile nelle vene, speravo di conoscere un principe con cui condividere la mia vita, con cui costruire un futuro che unisse gli uomini, gli elfi, i nani... ed ogni altra creatura nel nome di un bene più grande. Ero immatura, sognante, quelle immagini non erano altro che il frutto dell'ennesima illusione che mi aveva spinta a lottare così tanto e così a lungo per ottenere, alla fine di tutto, solamente un dolore che a stento riuscivo a sopportare. Quello che scorreva davanti ai miei occhi, in quella sala tetra e fredda, non era un matrimonio qualsiasi. Quello era il mio matrimonio. Il matrimonio che non avrei mai potuto avere, l'occasione che era sfumata nel nome di un bene più grande. Una - ennesima - parte della mia vita che bruciava tra le fiamme di una speranza oramai morente di cui, a stento, erano rimaste vive le braci.
Avrei potuto mentire a me stessa, dirmi che le cose sarebbero migliorate e che c'era ancora la possibilità che tutto tornasse come prima ma, proprio quel punto, era tutto ciò che non sarebbe mai accaduto. Il mondo attorno a me era cambiato, le mie speranze si erano più volte trasformate in lame pronte a ferirmi, tagliarmi, togliere ogni rametto fiorito che con tanta forza e dedizione ero riuscita a far crescere. Il mio tempo stava finendo, il tempo di una piccola elfa con tanti sogni e tante speranze era giunto al termine... e quello di una donna consapevole del proprio destino si faceva largo con insistenza e con ruvidezza, ignorando ogni ostacolo ed ogni barriera. Lasciai quella visione proprio mentre la mano di Raymond carezzava il viso candido di una Fanie che non esisteva, di una Fanie che sarebbe cambiata completamente e che, forse, lui non avrebbe amato come quella a cui aveva insegnato a combattere. Ero un fallimento, dopo tutto, anche come allieva. Mi asciugai una lacrima senza curarmi del fatto che gli altri mi vedessero, perchè oramai di segreti ne avevo piena l'anima, sforzandomi solo di non crollare proprio agli ultimi passi, come una debole codarda davanti agli ultimi dieci gradini prima della battaglia.
Ed all'ultimo passaggio, mentre Tapster parlava di Castelgretto, io mi posi la domanda più difficile di tutte. Chi è Fanie Elberim?
Fanie Elberim è un nome, un nome che significa l'alba bianca, un nome importante e a suo modo banale, un nome che non rimane impresso per più di due minuti e che non suscita alcuna emozione se non un minimo di tenerezza. Fanie Elberim è tante cose, ma nessuna di esse è davvero importante o essenziale. Il mondo funzionerebbe lo stesso senza di me, senza ciò che ho fatto, che sto facendo e che potrei fare... Kuro lo sapeva da prima di me a cosa sarei andata incontro, incapace di girare la spada contro i miei amici al momento opportuno. Fanie Elberim è, sopra ogni cosa, una persona che ha amato tante cose e che continua ad amare, nel giorno della sua morte, con la stessa forza del primo attimo di vita e forse era quello a darmi il coraggio di combattere quella battaglia suicida senza appello. Fanie Elberim, prima che una persona, è una singola, inarrestabile, idea. Le idee non si possono ingabbiare, le idee si trasmettono come un morbo, una malattia virulenta e incurabile, entrano nel cuore e nella mente, cambiano l'anima e permettono ad ogni persona di vedere con occhi nuovi la propria esistenza... Fanie Elberim è un potere che esula dalla sua stessa comprensione, dalle sue stesse illusioni, dalle sue stesse capacità... perchè nasce da un sogno, diventando realtà. « Hai già visto la morte, non è vero? » la voce di Eruwayne nella mia testa era leggera, delicata. « Io posso aiutarti ma devi promettermi di non lasciarti andare. Io ho perso molte, troppe occasioni chiusa tra queste mura. » scomparve per qualche istante, mentre i miei occhi si fissavano sulla porta oscura davanti a noi. « Promettimi che combatterai sino alla morte prima di cadere sotto il suo controllo... è meglio vivere liberi un solo giorno che schiavi per l'eternità. » Una sensazione di affetto, molto simile ad un abbraccio, mi avvolse occultandomi per un istante dall'opprimente aura di RottenHaz. « Nascosta nella luce, visibile nell'ombra. » E poi scomparve, lasciandomi a me stessa, in balia dell'oscurità. « Abbiamo poco tempo dunque... dubito che Castelgretto possa resistere, le sue truppe sono decimate dalla guerra e molti negromanti Vaash non tarderebbero un secondo a giurare fedeltà al loro nuovo signore... » allungai una mano verso la porta, senza toccarla, quasi come se la lordura che trasudava mi impedisse di andare oltre.
« Vaairo sai come sono giunta qui?... » chiusi gli occhi, inspirando. « ...credendo di morire, sepolta sotto decine di metri di roccia, in un lago nero come la notte. » Mi spostai verso le torce che ancora illuminavano debolmente la zona spegnendole tutte tranne una. La presi con me avvicinandomi alla porta ed illuminandola da vicino con la viva fiamma. Potevo quasi vedere il mio riflesso, smunto e scuro, tra le pieghe del fuoco e mi spaventava ciò che sarei potuta diventare. Avevo paura di me stessa più di quanta ne avessi mai avuta del Beccaio. « E' stato un vero e proprio... tuffo nelle tenebre. » Portai la mano corazzata sulla fiamma sopprimendola con un gesto rapido abbastanza per non sentirne nemmeno il calore oltre il gelido metallo.
« Dove stiamo andando non ci sarà alcuna luce a guidarci. » Solo un cuore nero ad attenderci. Fanie ha interpretato le parole di Eru ricordandosi di ciò che, al tempo di Azure Whisper's, vanificò il suo agguato: i Korps vedono nell'oscurità più assoluta. Se quella si apre, probabilmente, lo farà nel buio più totale. Spero che vi piaccia... e vi ho anche detto quale è il sogno più grande di Fanie adesso...
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