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La cour des miracles ~ l'Armata dei Sonnambuli

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Lenny.
view post Posted on 28/12/2014, 07:08




La cour des miracles~
L'Armata dei Sonnambuli


Proteggendosi la testa con le mani e le braccia, Vagun riuscì a non perdere conoscenza. La guardia dai baffi ridicoli e i due compari che si accanivano su di lui se la prendevano comoda, volevano godersi la vendetta e gli assestavano colpi alla schiena con ritmo lento e costante, uno a testa. Pensò che avrebbe dovuto alzarsi e provare almeno a difendersi, ma quelli non aspettavano altro per spaccargli il cranio. Così invece gli avrebbero rotto prima tutte le altre ossa, poi il cranio. La vista era confusa, i sensi attutiti, le membra non rispondevano più, ma riuscì comunque a vedere gli avventori della Grazia Malevola mettere fuori combattimento i tre porci della Guardia Insonne. Urla di paura, di terrore, d'allarme, una confusione che avrebbe svegliato mezza capitale, e difatti già capannelli di curiosi si affacciavano dai balconi delle finestre, indicavano i quattro e farfugliavano tra loro. Questione di poco, parola sua, e si sarebbero trovati tutta la la milizia alle calcagna. Bella roba, pensò, dover scegliere tra crepare e finire arrestato. Boccheggiò, cercando di ostentare un ghigno di gratitudine rivolto a Kirin. Le braccia nervose del ragazzino lo sollevarono di peso e lo trascinarono via.

__ _ __

« Presto, seguitemi. Vi porto in un posto sicuro finché non si calmeranno le acque. »

La voce di Chett, accorso dalla locanda in seguito a tutto quel baccano. Vagun era ridotto troppo male per mettersi in piedi, l'altro vagabondo -dopo aver riconosciuto Chett- ringraziò frettolosamente i suoi salvatori e si allontanò per una strada laterale. Chett d'altro canto non si preoccupò di insistere, guidò gli altri dalla parte opposta, imboccando un vicolo che sbucava dietro la Grazia Malevola. Vagun. portato in spalla da Kirin, sentiva la strada strisciargli sotto i piedi. Le prime grida d'allarme dei soldati li raggiunsero presto. Chett spostò un carro, mettendolo di traverso per sbarrare il passaggio agli inseguitori. Passarono un paio di svolte, camminando spediti dietro la sua guida, procedettero fino a una casa vicina al quartiere dei Diamanti, e lì Chett bussò a una porta di legno scuro. Due colpi, pausa, altri tre colpi, e una parola sussurrata quando l'uscio venne schiuso da dentro. Chett fece segno agli altri di passare la soglia, non prima d'essersi assicurato che nessuno li avesse seguiti fin lì. Le luci sanguigne dell'alba, frattanto, già scivolavano tra i vicoli di Basiledra.

All'interno, un vecchio gobbo e mal rasato li salutò con deferenza e fece strada in un'anticamera, illuminata soltanto da un candelabro e dalle braci del fuoco. Era una grande casa. Due piani enormi, con stanze che si aprivano su larghi corridoi. I quattro vennero fatti accomodare in quella che doveva essere la sala più grande, dove si stendeva una lunga tavolata. Presero posto su sgabelli e sedie usurati dal tempo, avendo finalmente la possibilità di tirare un sospiro di sollievo. Seppur controvoglia, Chett si caricò Vagun su una spalla e lo portò al piano di sopra, assicurando a Kirin che avrebbe avuto a disposizione un letto e delle cure per le ferite ricevute. Intanto i quattro non restarono soli: il tempo passava, e la sala fu presto invasa da una fremente quanto inattesa attività mattutina: prima un paio di donne, che nella stanza a fianco alla loro preparavano da mangiare in ampi calderoni, poi tre bambini mezzi nudi, che si rincorrevano su e giù per le scale. Il gobbo e un altro paio di uomini in età avanzata passarono davanti a loro, salutandoli con un cenno del capo e un sorriso. Tutti sembravano rilassati, sereni, come se condividessero la stessa felicità.

« Pare che ogni nemico della Guardia Insonne sia amico della brava gente di Basiledra. »

Una voce placida, con l'accento locale, si rivolse loro. Proveniva da un'ombra sfocata contro una grande finestra. Forse era sempre stata lì, osservandoli in silenzio. O forse era semplicemente comparsa dal nulla, alle spalle di tutti loro. Nessuno avrebbe saputo dirlo, e di certo nessuno l'aveva udita arrivare. L'ombra si avvicinò ai quattro, lasciando qualcosa sul tavolo. Sollevò il panno che ricopriva un cesto di vimini. Al suo interno, frutta e verdura in abbondanza, tocchi di pane infornato e cipolle. L'offerta di una ricca e guadagnata colazione. Per tutti loro.

« È per questo che siete salvi dalla milizia. E che siete qui, a casa mia e di chiunque si trovi nei guai. »

C'era una velata ironia nella sua voce. Adesso che si era fatto più vicino, i quattro poterono distinguere i lineamenti dell'uomo. Magro, sui quarant'anni, lunghi capelli corvini gli ricadevano sulle spalle, incorniciando un volto dall'aria tutto sommato amichevole. Le vesti eleganti gli donavano un'aria più aristocratica che popolana, ben diversa da quella degli altri abitanti della casa. Gli occhi grigi, come scaglie di silice, sorrisero agli ospiti.

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« Sono Remewick, ma i fratelli mi chiamano Remi. E voi? »




Rispondete pure in confronto. Per completezza aggiungo che dalla vostra uscita dalla locanda al presente saranno passati una quarantina di minuti, e adesso, è sopraggiunta l'alba e per le strade siete ricercati un po' di più di quanto non lo foste prima. Con un po' d'attenzione tra l'altro non è difficile intuire la vera identità di Remewick. Anche perché l'Armata dei sonnambuli -presente nella sezione Manifesto- fa parte del contesto urbano di Basiledra, quindi chiunque dei vostri pg volendo può già conoscerla, anche solo per sentito dire. °w° ma a parte questo nulla, giro di interazione e colazione..Siamo vicini alla fine ^^





Edited by Lenny. - 28/12/2014, 15:12
 
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view post Posted on 15/1/2015, 00:24
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Դատարան ~ La cour des miracles ~ Հրաշքներլ

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L'Armata dei Sonnambuli

(Vahram [pensato, lingua aramana], Albrich, Kirin, Arsona, Remi.)


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Il caos che si scatenò non durò a lungo. Un’esplosione di luce, cozzare rabbioso di armi sulle corazze metalliche, grida e imprecazioni. Un grande fuggi fuggi.
Quel breve scambio di colpi non era altro che una scaramuccia. Ma una terribile scaramuccia, terribile come le conseguenze nefaste che balenarono nella mente di Vahram. Sperò solo che le Guardie Insonni non avessero un debole per le stesse perverse e sadiche rappresaglie dei Sulimani.
I tre sgherri erano in inferiorità numerica, colti di sorpresa e forse per nulla ostinati a mettere a rischio la pelle.

Fu Chett ad emergere inaspettatamente dall’oscurità dei vicoli per soccorrerli.
Di certo non sarebbero sopravvissuti a lungo con mezza guarnigione di Basiledra alle calcagna.


La compagnia sfrecciò rapida per le strade deserte della capitale, cercando di sfuggire alla moltitudine di occhi che dall’alto li scrutavano straniati e curiosi. Un vociare concitato e sommesso rumoreggiava sopra le teste dei guerrieri. Il cavaliere grigio corse in aiuto di Kirin, adoperandosi insieme a lui a portare via di lì il corpo poco più che esanime dello sventurato goblin. Sentiva l’aria pungente della notte lambirgli in viso e freddargli il sudore mentre solcava le vie a grandi falcate seguendo quello sconosciuto che aveva incontrato solo poche ore prima in locanda.

Era giunto in città solo quella mattina. Poche ore prima sedeva a un tavolo di una bettola sconosciuta, già prospettandosi lunghe e placide giornate di indagini, ricerche e piani. E tutt’a un tratto si era trovato trascinato in quella babelica catena di eventi.

Prima Kirin, poi le Guardie, poi la rissa...
Già tra sé e sé si domandava dove e come sarebbe finita quella notte.


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Le prime luci del mattino filtravano ormai dalle le finestre impolverate, illuminando la tavolata di guerrieri. Vahram restò ad attendere malcelatamente inquieto, seduto sulla sedia a braccia incrociate, tamburellando nervosamente le dita sul bicipite. Quel covo in cui Chett li aveva portati sembrava un ricovero per la povera gente. Ad una certa ora cominciò a comparire un po’ di vita: delle donne iniziarono a girare rassettando gli ampi ambienti dell’abitazione; altre mescolavano con mestoli di legno un grande pentolone: probabilmente si erano alzate presto per cucinare di buon’ora il pasto del mezzodì. Bambini giocavano a rincorrersi una stanza all’altra, altri uomini invece chiacchieravano nelle stanze attigue. Si respirava un’insolita aria di serenità, ben diversa da quella carica di rabbia e dolore che Vahram era abituato a percepire in molte altre comunità di reietti e sfollati. Gli tornò in mente l’ospizio improvvisato di Ramon, ad Alagar; quella vecchia stalla riadattata a piccolo rifugio per le vittime della Guardia Insonne era molto meno organizzato rispetto alla comunità in cui si trovava ora.

«Pare che ogni nemico della Guardia Insonne sia amico della brava gente di Basiledra.»
Un’ombra alle sue spalle parlò con voce pacata. Un individuo a ridosso di una grande finestra.
Sembrava essere comparso dal nulla.
«È per questo che siete salvi dalla milizia. E che siete qui, a casa mia e di chiunque si trovi nei guai.»


Era un uomo sulla quarantina. I suoi capelli ribelli e la sua barba trascurata stonavano con gli abiti eleganti che portava. Il suo sorriso era gioviale. Sembrava un tipo molto singolare... e interessante.
Si avvicinò al tavolo e vi appoggiò sopra una cesta di vimini. Tolse il panno che la copriva, rivelando un ricco assortimento di frutta di ogni genere. Con un cenno amichevole invitò i suoi ospiti a servirsi, offrendo loro una rinvigorente colazione dopo quella nottata di delirio.

«Sono Remewick, ma i fratelli mi chiamano Remi. E voi?»


La nana guerriera – la stessa che aveva salutato Kirin alla Grazia Malevola e che aveva fatto degenerare la situazione nel vicolo attaccando a viso aperto i tre sgherri delle Guardie Insonni – si alzò in piedi e si proferì in un lieve inchino marziale verso quell’enigmatico individuo.

«Mi chiamo Arsona, e vengo da Qashra. Noi... io... volevo solo aiutare quelle persone. I metodi di questa Guardia Insonne...»
S’interruppe a metà della frase.
«Posso sapere, mio signore, dove... dove ci troviamo?»

«Dove né gli sbirri né la loro violenta forma di..giustizia verrà mai.» Rispose senza esitazione l’uomo. «La casa ci è messa a disposizione dal gentile messer Van Hove, commerciante di tessuti e mio buon amico. Lo incontrerete al suo ritorno, forse. Tutto quello che vedete era suo.»

A quel punto intervenne anche l’altro guerriero nano, più anziano e rilassato rispetto alla compagna della medesima razza. Parlando a singhiozzi con la bocca piena della mela che stava mangiando, si presentò. Il suo nome era Albrich, e anche lui – come Lhotar e Arsona – pareva non amare per niente le Guardie Insonni.

Vahram inizialmente non toccò cibo. Si decise ad aprire bocca solo dopo che i due guerrieri nani finirono di parlare.

«Vi ringrazio dell'ospitalità, sehre Remewick.» Esordì cortese, sebbene la sua espressione fosse piuttosto impensierita. «Io sono Al Patchouli, e il mio coinvolgimento in tutta questa faccenda è puramente casuale.»

Se quello strano nobiluomo fosse appartenuto davvero alla resistenza, probabilmente avrebbe gradito ascoltare da Vahram la storia della battaglia che combatté ad Alagar contro le armate di Altaloggia. Tuttavia evitò di parlare di quel genere di esperienze che aveva passato. Non aveva esattamente idea di chi aveva davanti; nella stessa capitale schiacciata dalla tirannia, rivelare avventatamente la sua ostilità verso il potere vigente poteva risultare rischioso.
Raccolse un mandarancio dalla cesta e iniziò a sbucciarlo.

«Che cosa sta accadendo là fuori? Spero non ci saranno ripercussioni per ciò che è successo. Per gli abitanti, intendo.»

La bocca di Remi si inarcò in un sorriso amaro.
«Condividiamo la stessa speranza, amico mio. Purtroppo questa città è una polveriera. Da una parte chi vuole l'uguaglianza, la semplicità, la fratellanza... e dall'altra chi non sarà mai disposto a concedergliela. Come ha detto Sigmund Lorch, che ho avuto il dispiacere di incontrare ormai più di dieci anni fa: puoi mettere in comune i tuoi beni se proprio ci tieni, ma non sognarti di farlo con quello dei nobili cavalieri.»

In quel momento due bambine entrarono nella stanza canticchiando una filastrocca. Era in uno stretto dialetto locale, Vahram, che era uno straniero delle terre del Sud, a stento riuscì a capirne le parole.

«Bette e Sarah: figlie di un ciabattino massacrato dalla milizia lo scorso mese. Non ricordo mai qual è l'una e quale l'altra.» Spiegò Remi.

Le piccole si avvicinarono alla cucina, anche loro desiderose di fare colazione.
Alle parole dell’uomo, Vahram emise un cupo sospiro borbogliante, pur rimanendo composto. Alla notizia non parve minimamente impressionato o scosso, sebbene la sua espressione fosse alquanto amareggiata. Di situazioni come quelle di Bette e Sarah – se non peggiori – ne aveva viste e sentite fin troppe per rimanerne impressionato. La sua stessa vita era stata segnata da crudeli tragedie. Il pensare che ognuna di quelle due bambine avesse una sorella su cui contare lo rasserenò un poco; a lui il destino aveva tolto ogni persona cara che avesse al mondo. Almeno quelle due piccine avrebbero potuto sostenersi a vicenda davanti alle avversità.
L’aramano gli rivolse il suo sorriso artificioso. Prese due mele dalla cesta e gliele porse.

«Vi piacciono le mele, aghjiknery? C'è molto altro qui, se volete.»

Mentre si soffermava a cercare quelle due belle faccine luminose nascoste sotto ciuffi ribelli dei mori capelli arruffati, il nano Albrich riprese la parola. Vahram pur non guardandolo lo ascoltava. Il guerriero barbuto espresse la sua insofferenza verso la situazione sempre peggiore in cui stava versando la povera gente di Basiledra, raccontando di quanto putridume e malessere si fossero imbrattate le vie della città dopo l’arrivo delle Guardie Insonni.

«Basta mettere il naso fuori da questo bel quartiere e farsi un giro per i bassifondi per capire che non dico fandonie. E voi ne siete consapevole.» Asserì convinto, cercando lo sguardo di Remi, con un sorriso bieco stampato sul volto. «Se siete davvero l'anima bella che volete apparire, tutto questo non potete accettarlo... dico bene?»

A quella provocazione Remi si adombrò, la sua bocca di si piegò in una smorfia.

«E cosa posso fare io per evitarlo? Basiledra è ufficialmente occupata dalla Guardia Insonne, e i nobili la appoggiano, per paura di perdere la propria fortuna. Vi siete mai chiesti quante famiglie si sfamerebbero con quello che i Lancaster hanno nei loro forzieri? Io credo che mezza città potrebbe mangiare dieci anni interi senza dover alzare un dito. Ah, i ricchi... tutta la vita per accumulare, per riempire casseforti, scrigni, fabbricare la prigione per sé e i propri figli maschi, e la dote per le femmine... perché?»

Lasciò volutamente aperta la domanda, cosicché i suoi ospiti potessero rifletterci sopra.
Intanto Sarah e Bette si erano avvicinate titubanti al cavaliere, scrutandolo incuriosite e al contempo timorose di quel brutto omaccione sorridente avvolto in abiti esotici e variopinti, quasi intrigate. Sembrava fosse la prima volta che vedevano da vicino un guerriero del Sud. Infine Bette si fece coraggio e con rispettosa cautela raccolse la mela dalle mani dello stranero e la addentò, porgendola poi alla sorella. Anche Sarah le diede un morso, prima di restituirla nuovamente all’uomo dalla pelle scura. Entrambe lo ringraziarono sorridenti rivolgendogli un timido inchino.

«Chi vive tra di noi sono spiriti liberi.» Proseguì Remi. «Alcuni sono solo vittime del destino, come le povere Bette e Sarah, ma altri... altri riescono a conquistare la via della purezza, decretando la menzogna della ricchezza e la libertà dei loro desideri. In fondo, quella che lì fuori hanno chiamato l'Armata dei Sonnambuli non è nient'altro che questo.»

Vahram rizzò d’un tratto il capo. Quel nome vibrò sonoro nella stanza e nella sue testa.

L’Armata dei Sonnambuli...


«Remi...» Mormorò, assorto. «Questo nome non mi è nuovo. Da quando ho messo piede a Basiledra, ho sentito parlare diverse volte di un certo Remi. Anche se non ricordo bene per quale motivo.»

Remi si lisciò la barba sul mento, sorridendo.

«Beh..diciamo pure che se dovessero scoprire dove sono nascosto, la milizia entrerebbe con le spade sguainate. Ma non ho ragione di temere questo, nevvero?»
Aprì le braccia, come per avvolgere la tavolata in un grande abbraccio.
«Qui siamo tra amici.»

«Quale onore...» Mormorò Albrich, i suoi occhi brillavano. «La Volpe Nera in persona ci ha appena chiamato amici. La mia buona stella deve essere particolarmente luminosa, in questo periodo.»

La Volpe Nera. Il furfante che negli ultimi tempi si era fatto notare per i suoi geniali ed esuberanti colpacci ai danni della Guardia Insonne. Allora Vahram rimembrò.

«Ah, ecco. Mi sembrava familiare, in effetti.» Esclamò composto, agitando l'indice in aria. Poi si rivolse a Remi sorridendo. «Non c'è problema, aper. Ammetto che questa svolta degli eventi non era nei miei piani, ma non oserei mai tradire la vostra fiducia: avete corso un gran rischio per aiutarci.» D'un tratto però si fece pensoso. «Gia... Perché noi?» Gli rivolse un'occhiata interrogativa, indicando tutti i presenti al tavolo con un unico ampio gesto della mano aperta. «Perché avete rischiato tanto per degli...» Cercò la parola giusta. «...stranieri? Dei forestieri che nemmeno conoscete.»

«Ho saputo cosa è successo alla Grazia Malevola..è bello vedere qualcuno fare qualcosa di concreto, come difendere un poveraccio dalla Guardia Insonne. La gente è la linfa vitale di questa città, e non va ignorata. Che vi piaccia o no, è la città e la sua gente che vi definisce.»

La pausa che fece fu eloquente. Senza fretta si versò un bicchiere d’acqua dalla brocca sul tavolo, per poi tornare a scrutare pensoso davanti alla finestra.

«I vostri occhi raccontano molto, sapete? Avete lo sguardo di chi ha attraversato l'inferno uscendone vivo, roba che la gente normale non potrebbe capire. Non so se siete le persone giuste. Quelle che cerco da tempo, intendo... vorrei sentire la vostra storia prima di giudicare.»

Vahram sospirò. A quel punto cominciò a comprendere dove volesse arrivare quello strano individuo. L’idea di entrare in una comunità avversa alle Guardie Insonni forse si sarebbe rivelata un’idea niente male, soprattutto se questo avrebbe potuto aiutarlo a raggiungere il proprio obiettivo.

«Io vengo... da molto lontano.» Iniziò a raccontare, sconsolato. «Sì, è vero. Ho passato un’esistenza da schifo. Ma non sono qui per rigurgitarvi addosso tutti gli orrori che ho incontrato... che ho vissuto. O raccontarvi di tutti i poveracci che hanno incrociato la mia strada.»

Guardò negli occhi la Volpe Nera, quasi sperando che riuscisse a scorgere tutti i tormenti che pulsavano nella sua anima. Il chiodo fisso che da quando aveva lasciato l’Akeran lo straziava.
«Sappiate solo che sono qui per cercare una certa cara amica.
Non importa quante Guardie Insonni si pareranno sulla mia strada...

Io la troverò.
»


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~~O~~O~~O~~ PG ~~O~~O~~O~~
Fascia: Rossa
Pericolosità: D

CS: (4)
2 Intuito, 1 Tattica, 1 Tempra


Basso 5% | Medio 9% | Alto 18% | Critico 36%

~~O~~O~~O~~ Salute ~~O~~O~~O~~
Corpo (Illeso):
Illeso.

Mente (Illesa):
Illesa.

Energie: 68%

~~O~~O~~O~~ Strumenti ~~O~~O~~O~~
Armi:
Yen Kaytsak: In mano.
Spada: Infoderata.
Ferro: Infoderato.
Arco (15): Infoderato
Pistola (5): Infoderata.

Armature: Mantello, brigantina.
Oggetti: Biglia dissonante.


~~O~~O~~O~~ Abilità Passive ~~O~~O~~O~~

[Mamūluk ~ Abilità razziale Umana (Audacia)] Gli schiavi guerrieri sono vere e proprie macchine da guerra plasmate per affrontare irriducibili gli sforzi più inumani e le condizioni ambientali più estreme. Possono combattere senza posa per giorni interi. Raggiunto il 10% delle energie infatti, un mamūluk non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

[ Disilluso ~ Passiva di talento Stratega (Capacità di discernere le illusioni)] La sua integrità mentale e il suo inumano addestramento lo resero congeniale ad affrontare senza timore anche la magia o le malie psioniche. Per questo motivo, nel caso in cui si trovasse innanzi ad una illusione, sarebbe sempre in grado di discernerla come tale, pur non dissolvendola né distruggendola.

[ Imperturbabile ~ Passiva di talento Stratega (Difesa psionica Passiva)] Addirittura, esistono alcuni nemici talmente potenti da poter manipolare la mente di chi sta loro intorno senza neppure doversi impegnare per farlo: è un processo naturale, che avviene spontaneamente con la semplice vicinanza e si diffonde come un'aura passiva tutt'intorno a loro. Ma simili poteri non influenzano Vahram: si rivelano inutili dinanzi alla sua sterilità emotiva e la sua totale estinzione della percezione della paura.

[ Irriducibile ~ Passiva di talento Stratega (Immunità agli effetti mentali)] La pervicacia e la ferrea disciplina dei mamūluk sono tanto proverbiali quanto terrificanti. Non demordono nel perseguire il loro obiettivo anche quando la loro mente è incredibilmente danneggiata. Per tale motivo, Vahram è tanto incrollabile e caparbio da essere pressoché insensibile al dolore psichico e a qualsiasi effetto di natura psionica, pur riportando i normali danni alla mente.

[ Flessibile (Pergamena Guerr. Tattiche di combattimento) ~ Passiva fisica (Padronanza del campo di battaglia)] In quanto ex membro delle Squadre Speciali dei Lancieri Neri e sicario professionista, Al Patchouli è addestrato a elaborare strategie e tattiche che sfruttino a suo favore il terreno circostante. Possiede dunque capacità di trarre vantaggio del terreno e delle circostanze in qualsiasi situazione di battaglia: strategie, tattiche, intuizioni. In combattimento ciò potrà anche tradursi nell'abilità di vincere scontri fisici a parità di CS, grazie alla superiore conoscenza del terreno di scontro.

Ricordo di cenere
[Malus Passivo] Vahram avrà nei suoi ricordi la mente di una bambina a lui sconosciuta che brucia tra le fiamme; non conta come un'influenza passiva, ma come un semplice spunto narrativo. Il guerriero ricorda anche il nome della bambina: Giselle

[Passiva Psionica (Obnublia i sensi dei nemici in prossimità)] Assecondando quella memoria, quel lutto mai affrontato e superato, Vahram saprà rievocare parte del dolore e della pena a cui non ha potuto opporsi. Appena sarà sua intenzione farlo, la cappa comincerà a perdere cenere dalle bruciature senza che alcuna fiamma la arda. La sottile polvere grigia si solleverà come nebbia offuscando i sensi di chi sarà abbastanza vicino al portatore pur potendovi scorgere attraverso. La sintomatologia della cenere avrà valenza di malia psionica passiva e difendibile in quanto tale.

[Passiva (La cenere può essere usata per portare attacchi fisici)] Ma la cenere potrà essere anche adoperata per altri fini, per infliggere un bruciante dolore, lo stesso che la piccola Giselle dovette sopportare nel suo piccolo inferno in terra, poiché nessun demonio – o quasi – raggiunge la malvagità insita nell'uomo. Vahram sarà infatti in grado di utilizzare la cenere posatasi sul terreno e quella ancora per aria come fosse un'arma, manipolandola a suo totale piacimento. Ustionanti al contatto, gli attacchi non avranno valenza di tecnica ma solo di attacco fisico, la loro potenza sarà direttamente proporzionale alle Capacità Straordinarie in suo possesso e potranno avere origine solo nelle sue strette vicinanze.


~~O~~O~~O~~ Abilità Attive ~~O~~O~~O~~


(Nessuna)


~~O~~O~~O~~ Sunto ~~O~~O~~O~~


Scusate se il mio pg fa lo tsundere, ma è fatto così. :asd:
Nient'altro da aggiungere per ora.

 
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view post Posted on 21/1/2015, 02:57
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Suzushikei
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Dalle nebbie del passato...

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La cour des miracles
L'Armata dei Sonnambuli
Atto IV

«Parlato (Umano)» «Parlato (Incubus)» Pensato Narrato



Quello che accade nei minuti che seguirono, fu come un caleidoscopio di eventi che si mescolavano in cerca di una sequenza logica. Preoccupato per le condizioni in cui versava Vagun, non mi soffermai a ringraziare il destino di quella mano amica che si era offerta di aiutarci.
L'altra vittima della crudeltà di quel terzetto di guardie era riuscito a recuperare un proprio equilibrio, separandosi da noi non appena ne ebbe l'occasione. Non lo biasimai. Non eravamo un gruppo adatto per passare inosservato. Se non avessimo trovato al più presto un riparo, rischiavamo di venire intercettati. L'allarme, purtroppo, era stato dato.
Seguii i miei compagni improvvisati, fino a quando Chett si bloccò davanti ad una porta di legno scuro, di struttura anonima. Dovevamo trovarci nei pressi del quartiere dei Diamanti, da quanto potevo vedere. Prendendo nota del segnale di accesso, mi concessi quei pochi attimi di tempo per recuperare il fiato e sincerarmi che le condizionai del goblin non fossero peggiorate.
Entrammo all'interno dell'abitazione quando l'alba aveva appena cominciato a tingere dei suoi colori aranciati la città.
Una volta fatti accomodare, fui quasi restio a lasciare Vagun alle cure di Chett. Pur avendomi rassicurato che avrebbe ricevuto ogni cura possibile, avrei preferito accompagnarli io stesso. Non c'era una motivazione in particolare, ero abbastanza sicuro che non avrebbe corso più rischi di quelli a cui il goblin era appena sfuggito, ma mi sentivo in dovere di continuare a occuparmi di lui finché non fossi stato certo che era tutto a posto. Il luogo non mi dava una sensazione di pericolo, non credevo fossimo caduti in una qualche trappola, però c'era qualcosa di misterioso che aleggiava nell'aria.
La sala in cui eravamo stati condotti era spaziosa, grande a sufficienza per contenere una lunga tavolata. Osservai distrattamente il via vai di alcuni dei presunti ospiti, seduto su uno degli sgabelli, restando con i sensi in allerta. Un istinto, più che una vera necessità: quelle persone che si susseguivano nel salone sembravano emanare un'aria pacata, come se quel posto fosse in grado di rasserenare il loro animo.

« Pare che ogni nemico della Guardia Insonne sia amico della brava gente di Basiledra. »

Non l'avevo percepito arrivare. Non sapevo se fosse colpa del mio aver involontariamente abbassato la guardia oppure una sua qualche abilità nel risultare intangibile anche ai sensi più acuti. Quando girai lo sguardo nella sua direzione semplicemente era lì, con un cesto di vimini poggiato sul tavolo.

« È per questo che siete salvi dalla milizia. E che siete qui, a casa mia e di chiunque si trovi nei guai. »

Chi aveva pronunciato quella parole era un uomo sulla quarantina, dal fisico asciutto e capelli corvini che gli ricadevano lungo le spalle. Indossava vesti curate, che non avrebbero sfigurato tra la nobiltà. Ci osservava attraverso quel suo sguardo dalle iridi grige. Sembrava trattarci in tono amichevole, velando quel suo ultimo commento di una sfumatura ironica, ma nulla poteva rassicurarmi che non fosse abile nell'arte dell'inganno e quella non fosse semplicemente che una facciata costruita ad arte.

« Sono Remewick, ma i fratelli mi chiamano Remi. E voi? »

Remewick... quel nome mi era familiare... dove l'avevo udito?

Arsona fu la prima a prendere la parola, presentando se stessa e chiedendo informazioni al nostro supposto salvatore.
Dalle parole dell'uomo dovevamo dedurre di trovarci in un rifugio sicuro nel cuore del quartiere più benestante di Basiledra.
Dalle ampie vetrate la luce dell'alba risplendeva ammantando il passaggio cittadino con i suoi caldi colori.
Di buon appetito sembrava l'altro nano, che era stato nostro compagno in quella spiacevole avventura, l'unico ad aver ampiamente apprezzato l'offerta dell'abbondante colazione a nostra disposizione. Albrich era il suo nome.
Io non sentivo il bisogno di mangiare, non in quel momento per quanto il profumo, che aleggiava nell'aria circostante, fosse decisamente invitante.
Rivolsi un'occhiata ad Al quando questi esordì. Sembrava preoccupato per possibili ripercussioni da parte della Guardia Insonne sulla popolazione. Lui era stato coinvolto per causa mia, ma non si era tirato indietro.
Non stava fingendo, ma colei che avrebbe potuto osservarne la sua rinascita era sparita da tempo.
L'ultima volta che avevo visto Fanie era stato durante la nostra missione per salvare Rekres dai cacciatori di taglie al soldo di Mathias Lorch.
Cominciarono a parlare e lasciai che i loro discorsi rendessero la mia presenza evanescente.
Io mi limitai ad ascoltarli, apprendendo altre storie tragiche di un popolo che sembrava non trovare fine alla propria agonia.
Due bambine avevano fatto capolino nel frattempo, due innocenti la cui infanzia era stata strappata via. Loro come Mariha avevano trovato qualcuno disposto a proteggerle, ma le ferite inferte al loro animo.. beh, per quelle, purtroppo, sarebbe occorso molto tempo prima di guarire.
Vidi Al porgere due mele alle piccole, cercando di sorridere loro con un sorriso che mi sembrava forzato.
Ma non potevo essere certo che fosse solo per i drammi che venivano rivelati alle nostre orecchie.
Improvvisamente il tema si fece più illuminante.
Le parole del nano mi avevano aperto la mente e riunito le informazioni frammentarie di cui ero in possesso.
Loro... Remewick... erano spiriti liberi, che rifiutavano la tentazione della ricchezza. I nobili erano colpevoli di appoggiare il Regno di Mathias per paura di perdere i loro privilegi. Ma valeva per tutta la nobiltà? Era questo il pensiero del popolo?
Un ideale sovversivo, ma dopo tutto quello che avevano passato, in un certo senso giustificabile, purché non avesse arso la flebile speranza di ridare un'integrità a questo regno frammentato.
Quell'uomo era un semplice visionario oppure le sue azioni si sarebbero ripercosse fino a scuotere la storia futura?
Remewick era un uomo molto pericoloso. Se da un lato meritava la mia stima, dall'altro poteva rappresentare un rischio per quello che i Sussurri cercavano di realizzare: il Bene Superiore... Molto utopico per ora, ma restava comunque anche un mio fine.
Non pretendevo di conoscere cosa fosse realmente il bene di un popolo sofferente, ma avevo paura che la visione della Volpe Nera potesse rischiare di esacerbare gli animi. Lui era una scintilla di Speranza, ma con quegli equilibri così precari, non era detto che non si trasformasse in un incendio non previsto.

« I vostri occhi raccontano molto, sapete? Avete lo sguardo di chi ha attraversato l'inferno uscendone vivo, roba che la gente normale non potrebbe capire. Non so se siete le persone giuste. Quelle che cerco da tempo, intendo..vorrei sentire la vostra storia prima di giudicare. » Il nostro anfitrione aveva scoperto le sue carte.
L'idea di giocare una partita con lui mi allettava. A seconda degli obiettivi saremmo stati alleati o avversari. Su un concetto eravamo d'accordo: la popolazione era la linfa vitale di questo Regno, ma... c'era un ma... un'obiezione alla sua filosofia di vita. Io ero propenso a dare una seconda possibilità se questo avrebbe condotto alla prosperità ogni abitante di questo sfortunato Regno.

Mi costrinsi a non sussultare quando Al fece riferimento a Fanie. Dubitavo che il vero ostacolo sarebbero state le Guardie Insonni. Dopo quanto successo nell'Akeran, l'Inferno sarebbe risultato un posto fin troppo accogliente per il mio amico in confronto al difficile cammino che si era imposto di percorrere per redimersi.

Giunto il mio turno...

«Perdonate la scortesia nel non essermi presentato a tempo debito. Il mio nome è Kirin Rashelo...» esordii alzandomi dallo sgabello e rivolgendo un inchino cortese «Provengo dalla lontana città di Qashra nei territori del Sultanato. Sono uno studioso della Teoria delle Arti Arcane. Sono qui per motivi di ricerca. Preferirei non parlare del mio Passato; in fondo sono le azioni presenti e future che contano al momento attuale, non trovate?» considerai, mantendo lo sguardo fisso su di lui.
Non era proprio l'intera verità, ma per ora non ritenevo opportuno spiegare le mie reali motivazioni, tr cui un presunto calice in suo possesso.

C'erano molte vite in gioco e la partita era appena agli inizi...
Il tempo avrebbe deciso se la Volpe Nera sarebbe stato un alleato per la Resistenza e per i Sussurri.



[size=1]Energia: 90%
Danni fiisci e mentali: //
CS
[Riflessi 3, Intuito 1], «Kirin l'umano»
[Intuito 2, Intelligenza 2], «Zeross l'incubus»

Pietra Lunare della Percezione, amuleto dell'auspex
Auspex Magico, passiva Liv.III Arcanista

 
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view post Posted on 25/1/2015, 22:40
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Bigòl
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La Cour Des Miracles
L' Armata dei Sonnambuli
I



I had these memories all around me
So i wouldn't be alone



La strada serpeggiava nel cuore di tenebra dei vicoli, infida e traditrice. Il terreno, duro dal freddo, come fosse cavo echeggiava ad ogni passo; il passo violento ed affannoso di chi fugge.
Chett, con lo sguardo che scrutava una notte ormai esausta e le sue spalle capaci era il punto di riferimento per quell' intera compagnia di derelitti che avevano giocato a fare i prodi difensori del popolo. le cose stavano suppergiù : un energumeno dall' alito graveolente di birra era affiorato dall' oscurità per offrir loro una valida alternativa al finire con il corpo che ciondola piano da una forca davanti alle guglie di ebano della Cattedrale e nessuno di quello sparuto gruppo di condottieri era stato in grado di fare una controproposta che non fosse fuggire a gambe levate verso chissà dove. Era stato bello, finché era durato, ammise Albrich a se stesso. Per un fugace istante, si era sentito di nuovo quello che sapeva essere stato prima della caduta del Leviatano, prima di affondare nel fango, come un albero dalle radici scoperte; la vita aveva invaso il suo corpo, d' improvviso, come un brivido febbrile, riempiendogli il petto, i polmoni, il cuore. Quando il ferro aveva smesso di cantare ed occhi sgomenti, ancora gonfi di sonno, cominciavano a esplorare l' oscurità incuriositi, il nano era ancora del tutto immerso in quel senso di potere che il Mjolnir gli aveva infuso. Le sue mani tremavano ancora, torride, come innervate da fuoco vivo.
Poi, lentamente, la vita era sciamata via, lasciando terra bruciata dove prima le fiamme garrivano alte; man mano che il respiro andava calmandosi, mentre un silenzio fatto di dubbi ed inquietudini tutte personali aveva allungato le sue dita sulla compagnia di improvvisati eroi, si era fatta strada in lui la consapevolezza, dolce quanto un intruglio medicinale, che il gioco era finito.
Era tornato ad essere piccolo, impotente, un insignificante sputo in una realtà troppo grande perché i colpi di un martello potessero riportare giustizia e fratellanza; o per meglio dire, lo era sempre stato.
Era curioso come riuscisse a sentirsi peno, completo, solo quando impugnava il Mjolnir per fare del male.
Ricordava di aver sentito, in una serata da lupi passata in qualche fumosa bettola di quart' ordine, che le tribù Pelleverde delle immense piane polverose solevano chiamare la guerra qualcosa come "La Grande Giostra", o forse "Il Grande Gioco"; * Mai ci fu definizione più riuscita *, concluse il nano lisciandosi l' ispida barba d' argento. I suoi occhi si soffermarono sul fardello inerme di lividi e grumi di sangue che era il piccoletto verde, con quel suo sorriso affilato e gli occhi vispi: anch' egli era un Pelleverde, uno di quei poderosi predoni delle brughiere, capaci di frantumare un cranio umano stritolandolo tra le dita di una sola mano? Esplorò il suo corpo esile, atrofico, che giaceva tra le braccia sicure del giovane dei capelli color rame: le sue braccia avrebbero retto a stento il peso di una spada corta; nel volto bitorzoluto non c' era nulla della caparbietà e dell' audacia di un guerriero; la schiena e le scapole erano quelle curve di un essere abituato a strisciare nell' ombra, a vivere perennemente nascosto sotto un basso profilo. Non c' era nulla del suo popolo, in lui. Il mezzo sorriso che campeggiava sul volto del nano scomparve presto sotto la peluria spiovente. Quel piccoletto aveva la mente fine e la lingua aguzza, più tagliente di qualsiasi spada; eppure Albrich non osò immaginare cosa dovesse significare nascere inadatto alla guerra in un popolo di guerrieri.

"Albrich!"



Una voce chiamò il suo nome; udendola, gli sovvenne la luce spiritata di un focolare, la notte, il profumo del deserto. In un primo momento, non realizzò di stare camminando a fianco ad Arsona, proprio come qualche tempo prima aveva fatto sugli altopiani di Qashra.

"Arsona di Qashra mi onora ancora una volta con la sua presenza!"



La sua voce era arrochita dal freddo, ma vibrante di entusiasmo; si schiarì la gola. Se ciò che sino a quel momento era ad allora conservava un impercettibile granello di logica, vedere il volto sorpreso della sua compagna d' armi lo annientò del tutto.

"Perdonami, io... non ti avevo riconosciuto...
Cosa... cosa ci fai... "



L' imbarazzo nella voce della nana era palpabile, ma Albrich non ne fece un dramma; era stato altrettanto cieco da non riconoscerla, preso dalla foga dello scontro.

"Cosa ci faccio qui, dici? Di solito, ci vivo. Immagino che potrei farti la stessa domanda, ma non credo sia il momento più adatto per fare una chiacchierata davanti ad un tè caldo."


Si scompigliò i capelli, con fare impacciato, sogghignando sotto la peluria delle sue gote. Chett camminava e camminava, mentre i profili degli edifici facevano sempre più imperanti, elaborati e lussuosi. Non era tranquillo, Albrich, per nulla: quell' energumeno dal ventre gonfio ed il cervello vuoto avrebbe potuto benissimo venderli a qualche parvenu della nuova nobiltà di Basiledra per intascarsi un paio di monete d' oro.

"A quanto pare le nostre strade si incrociano ancora... Sono molto felice di rivederti, amico mio, anche se avrei preferito farlo in circostanze diverse. "



La voce di Arsona, ruvida e rassicurante come una pacca sulla schiena, seppe distendergli i nervi. D' altra parte, non aveva altra scelta che proseguire insieme a lei, ancora una volta, su una strada ignota, se non voleva finire in pasto ai Cani Bradi.

"Lo stesso vale per me, puoi credermi. Ora, ovunque siamo diretti, ho la certezza di essere in buona compagnia."



Parlò con schiettezza, da commilitone a commilitone, da nano a nana; gli fece bene all' animo non sapersi solo e perso come al solito, tutto sommato. Pochi passi avanti a loro, le nocche di Chett sfiorarono il legno scuro e lucido di una massiccia porta istoriata, bussando con discrezione. Contrariamente alle aspettative, nessuna guardia a spada sguainata li attendeva al di la della soglia; solo un profumo di granturco, di fave, di pane fresco e di ogni
cosa buona.

[...]



La polvere danzava, portata in alto dalla luce aranciata del mattino che trapelava appena dalle imposte socchiuse. Il lugubre, sospeso silenzio dei vicoli aveva lasciato il posto a tutt’ un’ altra atmosfera, piena di lievi scricchiolii, sussurri a mezza voce, risate di bambini e il piacevole brontolio di un calderone colmo di brodo fumante. Erano stati lasciati nell’ avvolgente penombra di quella che doveva essere una sala da pranzo, mentre tutt’ attorno, dagli spazi adiacenti e dai piani inferiori, si udiva il sereno mormorare della vita quotidiana.
Sulle prime, gli occhi di Albrich roteavano inquieti, senza posa, assimilando ogni dettaglio, cercando di comprendere in che posto fossero stati condotti, scrutando ogni angolo che la luce non riusciva a sfiorare; ma ben presto, quando ebbe compreso che in quel posto non vi era distinzione tra apparenza e realtà, solco d’ ombra che si era tracciato sulla sua fronte spaziosa scomparve.
Chett aveva portato il piccoletto verde ai piani superiori, per tentare di cucire insieme ciò che di lui era rimasto.
L’ attesa, generata dalla brama di spiegazioni e risposte che chiarissero in quale situazione si trovassero, sembrava gravare sui nervi di ciascuno dei presenti almeno quanto alleggeriva il petto pesante del nano: non aveva alcuna fretta, Albrich, di scoprire perché fosse stato condotto in quell’ angolo di città, in quella casa, in quella stanza, abbastanza profonda perché lo sguardo potesse perdersi, abbastanza familiare e rassicurante per ospitare un viavai di persone, odori e sorrisi; trovarsi in quello stato di attesa perenne al nano non sarebbe affatto dispiaciuto: aveva il cuore leggero, la testa sgombra da qualsiasi cosa non fosse in quel momento ed in quel luogo, i sensi inebriati dalla bizzarra serenità che aleggiava in quell’ ambiente immerso nella luce fioca del mattino; i pensieri si erano acquietati, avevano smesso il loro galoppo frenetico ed Albrich sentiva di essere al posto giusto, tra quella gente, tra i bambini, le massaie, i vecchi con più rughe che denti.
Un’ ombra, staccatasi come per incanto dalla parete, mosse nella loro direzione e sconvolse il precario equilibrio interore che aveva raggiunto, facendolo trasalire.


“Pare che ogni nemico della Guardia Insonne sia amico della brava gente di Basiledra.”



Una voce suadente, mansueta giunse alle sue orecchie; due occhi di un grigio pallido guizzarono nelle tenebre della stanza. Appartenevano ad un uomo dalle vesti importanti che male si intonavano con il volto aspro, spigoloso, dalla barba incolta. I capelli avevano qualcosa di indomito, selvaggio, dal modo in cui ricadevano liberi sulle spalle.
Da quanto tempo quel tizio era rimasto in quella posizione, silente, inosservato?Da quanto tempo quegli occhi freddi come pietra di fiume stavano osservando lui, Arsona, il guerriero dalla pelle d’ ebano ed il ragazzo dai capelli color rame?
Gli occhi del nano scattarono come trappole ad incontrare quelli dell’ uomo, che nel frattempo scopriva una cornucopia in vimini ricolma di mele, noci, cachi, e di tutti i frutti che sapevano sfidare il vento del nord, ma anche mandarini, arance e frutti tropicali che il freddo non aveva mai nemmeno sfiorato.

"È per questo che siete salvi dalla milizia. E che siete qui, a casa mia e di chiunque si trovi nei guai."



Le pupille di Albrich luccicarono: tutto quel trambusto gli aveva lasciato un vuoto nelle budella che non vedeva l’ ora di colmare. Chiunque fosse tanto gentile da invitare i propri ospiti ad un desco così abbondante non poteva certo essere un comune tagliagole; semmai, doveva essere un tagliagole di una certa classe, concluse riempiendosi la bocca della polpa fibrosa di un pomo.

“Parole sante”



Mormorò a singulti, sgranocchiando avidamente un sostanzioso morso. L’ anfitrione di quel gruppo di eroi sbandati invitò ciascuno a presentarsi, con un sorriso sottile ed accomodante sul volto; diceva di chiamarsi Remwick, Remi per gli affezionati. Dalle parole di Arsona, che timidamente gli si approcciò, Albrich comprese di trovarsi nelle stanza di qualche facoltoso mercante filantropo, che aveva messo i suoi beni al servizio della comunità di sfollati di cui messer Remwick aveva tutta l’ aria di essere l’ albero maestro. Infine, il nano prese la parola senza troppe cerimonie dopo la sua compagna d’ armi, la polpa della mela che scrocchiava piacevolmente sotto i suoi denti.

"Mi sembra abusare della vostra gratitudine *chomp* bussare alla porta di casa vostra, messer Remewick *chomp*e gettarsi a capofitto sul vostro cibo *chomp* senza nemmeno essermi presentato."



Il succo del frutto zampillava dalle sue fauci spalancate ogni volta che azzardava articolare una sillaba. Fu costretto a deglutire, senza perdere il tono ruvido e privo di infiorettature con cui era solito approcciarsi ad uno sconosciuto.

"Elencare tutti i nomi che ho ereditato dai miei avi sarebbe solo un inutile spreco di tempo, quindi ... Remi … O qualunque sia il vostro nome... chiamatemi pure Albrich. Semplicemente Albrich.".



Mandò i polpastrelli in esplorazione all’ interno della cesta finché non incontrarono la buccia lucida di un altro pomo. Fissò per un istante il suo volto deformato nello spicchio biancastro di luce che scivolava sul volume convesso della mela; scoprì i denti in un sorriso sardonico .

" Se ad ogni zuffa con uno dei porci di Mathias Lorch ci avessi guadagnato un banchetto come questo, state pur certo che a quest' ora mi conoscerebbero come il Flagello degli Insonni."



Nessuno, nemmeno Albrich stesso, fu divertito da una simile uscita: tutti avevano i loro grilli per la testa, le loro preoccupazioni, le loro promesse da mantenere, i loro voti a cui adempiere; tutti tranne lui, certo, Albrich il derelitto, Albrich il solitario, Albrich il codardo, Albrich che da troppo tempo non trovava più il coraggio di vivere.
Il silenzio calò sottoforma di un ombra livida sul volto del nano.
Al Patchouli - così si presentò il guerriero dalla pelle ambrata - espresse tutta la sua preoccupazione per la situazione in cui versavano le genti di Basiledra, mentre due bambine, canticchiando un motivetto popolare, fecero il loro ingresso nella sala da pranzo, seguite dallo sguardo compassionevole di Messer Remwick.

“Bette e Sarah: figlie di un ciabattino massacrato dalla milizia lo scorso mese. Non ricordo mai qual è l'una e quale l'altra.”



Il guerriero dalla pelle d’ ebano tese loro amichevolmente una mela; Al Patchouli ispirava sicurezza e cortesia, con quella debole mezzaluna di denti bianchissimi che emergeva appena dal volto scuro, ricoperto da un’ irta barba color del carbone; ma le tenebre nel cuore del nano sembrarono farsi d’ un tratto più fitte.

“Queste piccoline ..."



Prese prepotentemente la parola; la sua voce era profonda, gutturale, grave di memorie.

"Mi ricordano tanto due graziosi faccini che mi sono saltati agli occhi di recente. Sventolavano i veli delle loro sottane all' angolo della via, con un trucco sgargiante impiastrato su labbra e guance. Si sarebbero fatte fottere insieme da uno sbandato qualsiasi pur di racimolare un tozzo di pane. Avranno avuto dieci anni al massimo... Mi imploravano di giacere con loro."



Dita gelide gli rimestarono le viscere: non ricordava di essere stato tanto disgustato ed impietosito in vita sua; rigurgitare sui presenti quel ricordo sepolto non lo fece stare meglio, affatto.

"Ho dormito con la faccia nel fango in questa fogna di città abbastanza volte per poter dire che ... per ogni persona che voi avete accolto sotto la vostra protezione vi sono almeno deci disperati senza un tetto sulla testa e cibo nello stomaco"



Era una realtà evidente, che tuttavia Albrich, forse per provocazione, forse per semplice correttezza formale, non si fece scrupoli nel rivangare.

"Basta mettere il naso fuori da questo bel quartiere e farsi un giro per i bassifondi per capire che non dico fandonie. E voi ne siete consapevole"



Arricciò le labbra in un sorriso bieco, gli occhi chiarissimi fissi in quelli grigio selce di Remi. Era una frecciata, un colpo di piatto, una provocazione: voleva sondare ciò che si celava oltre il buonismo di quei sorrisi, oltre la generosità e l’ umanitarismo di cui quella misteriosa figura si ammantava la sua reazione gli avrebbe detto molto di più sul suo conto di quanto potessero fare mille e mille parole. Vide un’ ombra scivolare sul volto del suo anfitrione prima che trovasse le parole per rispondere.

“E cosa posso fare io per evitarlo? Basiledra è ufficialmente occupata dalla Guardia Insonne, e i nobili la appoggiano, per paura di perdere la propria fortuna. Vi siete mai chiesti quante famiglie si sfamerebbero con quello che i Lancaster hanno nei loro forzieri? Io credo che mezza città potrebbe mangiare dieci anni interi senza dover alzare un dito. Ah, i ricchi..tutta la vita per accumulare, per riempire casseforti, scrigni, fabbricare la prigione per sé e i propri figli maschi, e la dote per le femmine..perché?”



La domanda dilatò il silenzio che aleggiava nella sala, scuotendo qualcosa dentro Albrich.

"Chi vive tra di noi sono spiriti liberi. Alcuni sono solo vittime del destino, come le povere Bette e Sarah, ma altri...altri riescono a conquistare la via della purezza, decretando la menzogna della ricchezza e la libertà dei loro desideri. In fondo, quella che lì fuori hanno chiamato l'Armata dei Sonnambuli non è nient'altro che questo."



Il tono perentorio di Remi, la veemenza delle sue parole riverberarono in lui.

“Spiriti liberi …”



Mormorò a mezza voce, in un sussurro quasi impercettibile.

* L’ Armata dei Sonnambuli … Remi … *



Un calore intenso sembrò ghermirgli lo stomaco; Remwick … L’ Armata … spiriti liberi … la menzogna della ricchezza … la libertà dei loro desideri … Chi era in realtà quell’ uomo? Un filantropo, che accoglieva a braccia aperte chi non aveva più speranza o qualcosa di più?

"Remi..."



Al Patchouli, pensieroso, con l’ indice che ondeggiava a cercare pace dal dubbio nell’ aria piatta, intervenne, placando il flusso dei suoi pensieri.

“Questo nome non mi è nuovo. Da quando ho messo piede a Basiledra, ho sentito parlare diverse volte di un certo Remi. Anche se non ricordo bene per quale motivo.”



Remi sorrise, lasciando immaginare ai presenti che cosa sarebbe accaduto in quel nido di serenità se gli Insonni fossero venuti a conoscenza della sua identità.

“ Qui siamo tra amici."



E d’ un tratto, Albrich avvampò. Karolis Remi … L’ Armata dei Sonnambuli … ogni tassello della composizione era finalmente al suo posto.

"Quale onore..."



Esordì Albrich, con una scintilla negli occhi chiari.

“ La Volpe Nera in persona ci ha appena chiamato amici. La mia buona stella deve essere particolarmente luminosa, in questo periodo."



Come poteva essere stato così cieco! Karolis Remi, il vero flagello della Guardia Insonne, colui che aveva illuminato la via agli umili ed i vinti per una possibilità di riscattarsi, il criminale che con le sue sortite era riuscito a mettere il pepe al culo agli Insonni a tal punto da guadagnarsi un posto di rispetto nelle liste di proscrizione! Albrich non sapeva se doveva essere onorato, incuriosito o distaccato. Non lo sapeva, quindi fece di tutto per non palesare ciò che gli infuriava dentro il petto.

"Ho saputo cosa è successo alla Grazia Malevola..è bello vedere qualcuno fare qualcosa di concreto, come difendere un poveraccio dalla Guardia Insonne. La gente è la linfa vitale di questa città, e non va ignorata. Che vi piaccia o no, è la città e la sua gente che vi definisce."



Il profondo silenzio in cui la sala da pranzo era immersa rendeva possibile sentire lo scroscio dell’ acqua che si riversava nella coppa di Karolis Remi.

"I vostri occhi raccontano molto, sapete? Avete lo sguardo di chi ha attraversato l'inferno uscendone vivo, roba che la gente normale non potrebbe capire. Non so se siete le persone giuste. Quelle che cerco da tempo, intendo..vorrei sentire la vostra storia prima di giudicare."



Albrich prese un respiro profondo, inalando dalle narici e meditò. Meditò su quanto sin ora la sua vita a Basiledra fosse stata miserevole e nascosta, su quanto il suo peregrinare in cerca di una terra che gli fosse amica fosse stato infruttuoso, deludente e vano; meditò su quanti amici sinceri poteva dire di essersi guadagnato e li contò sulle dita di una mano; meditò su quante battaglie aveva combattuto, contro un nemico che nei suoi incubi non aveva mai una fisionomia precisa o contro se stesso e su quante di esse ne fosse uscito vincitore: la sua mano si chiuse con forza, tingendo le nocche di bianco.

“Non credo di essere la persona che stai cercando, Volpe Nera.”



Ogni formalità era scomparsa dal tono della sua voce, che ora trasudava dolore, rassegnazione. Abbassò gli occhi, come per esplorare la sua ombra, mentre lasciava che la lingua gli si sciogliesse.

“ Forse è vero, ho trascorso abbastanza anni su questa terra per dire di essere stato all’ inferno, ma non posso dire con certezza di esserne uscito…”



Si prese il tempo per respirare; l’ aria viziata della sala da pranzo gli scese sino ai lombi, dandogli la forza di
sputare altre parole su se stesso.

“Un flagello chiamato RottenHaz ha strappato la mia gente dal grembo della terra ed ha reso i miei monti e le mie valli nulla più di una vasta distesa di ceneri grigie. La mia vita, Karolis Remi, da quel momento è stata un continuo vagabondare, un tentativo disperato di far valere la mia carne più di un comune giro di stagione, di poter trovare nella vastità del mondo qualcosa, qualsiasi cosa, che ridesse un senso alla mia esistenza raminga.”

“Il nord del mondo, Basiledra, i quattro regni, Qashra, le giungle dell’ Akeran … i miei stivali portano addosso ancora la polvere dei diversi angoli di Theras in cui ho disteso le mie ossa. La Capitale è stata con me un po’ madre e un po’ puttana, proteggendomi, abbracciandomi, seducendomi e rinnegandomi proprio quando in cuor mio cominciavo … sì, a nutrire una flebile speranza di aver trovato rifugio da ciò che sono stato, dai fantasmi della mia gente.”

“Per questo, quando la Guardia Insonne discese dai picchi del lontano Nord come una slavina, io ero sulle mura, a vedere un ragazzino morire nella bruma del mattino, immolatosi per la salvezza di questo dannato covo di serpi. Poi, calpestato, morso, masticato e sputato, compresi infine che la mia carne non poteva valere molto di più di quella di chiunque altro. Ho guardato nelle pupille di un Insonne morto e ci ho visto lo stesso gelido anelito alla vita che campeggiava nelle pupille di un rivoluzionario appeso ad una forca, con le viscere che penzolavano nel vuoto. Nessuno di loro due voleva morire.”



Sospirò; sentiva la testa di svariate taglie più grossa, gli occhi in fiamme.

“Alla tua causa servono uomini che possano cambiare il mondo, Volpe Nera. Io non ho trovato di meglio da fare che attaccarmi ad una bottiglia di liquore, da qualche tempo a questa parte. Ora sono pulito … ma ciò non toglie che sia ancora parecchio confuso sull’ avvenire che mi attende.”



Appoggiò i gomiti sul tavolo, protendendosi in avanti e lasciando cadere il calo tra le spalle. Perché, dopo tante maledizioni contro gli insonni, dopo aver raccontato la sua storia si sentiva così ... vuoto?

“Continuo a viverlo ogni giorno che passa, il mio inferno quotidiano.”




Note: il mio post è una vera e propria muraglia, lo so. Scusate se sono stato troppo prolisso, ma è nella mia natura. Non mi dilungherò mai più così tanto, lo giuro XD
 
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Lenny.
view post Posted on 1/2/2015, 15:42




La cour des miracles~
L'Armata dei Sonnambuli


La Volpe Nera si alzò e andò alla finestra dopo essersi versato un secondo bicchiere. Un'occhiata tra le strade di Basiledra, per accertarsi che non vi fossero altre guardie in giro. Ebbe come un attimo di esitazione, mascherato dal solito mezzo sorriso di chi è a parte di qualche trucco o di un segreto antico. Non aveva intenzione di forzare oltremodo i suoi interessanti ospiti nel parlare del loro passato. Si era comportato in modo gentile e cordiale, lo stesso con cui si rivolse ad Albrich, la voce arrochita da una inaspettata tristezza.

«In questa vita ho imparato che l'inferno e il paradiso non esistono. Ce li portiamo dentro ovunque andiamo. »

Per un istante la maschera di gentilezza e cordialità rivelò uno sguardo pieno di puro orrore, come di chi ha visto troppi spettri per essere ancora lì, tra loro. Una smorfia, e quello sguardo scomparve. Come se nulla fosse, Remitornò a sedersi tra loro, sollevò il piatto e urlò.

«Bene e adesso..in tavola! »

Una dozzina di persone affluì nella stanza, chi cianciando e chi portandosi dietro sedie e sgabelli, per sedersi fianco a fianco con i tre ospiti, gomito a gomito, come se li conoscessero da una vita. In neanche un minuto il tavolo era già bello che apparecchiato, da Bette, Sara e un'altra bellissima ragazza che riempìva i bicchieri dei presenti. Prima che la colazione iniziasse, la Volpe Nera si alzò in piedi e richiamò l'attenzione del gruppo.

«Fratelli e sorelle, ascoltate. Quest'oggi sono giunti tra noi quattro graditi ospiti. Alcuni hanno combattuto a lungo, e hanno visto versare molto sangue. Altri sono sbandati e stanchi, e hanno ricevuto cure e riparo come è nostra consuetudine. Se qualcuno tra loro deciderà di rimanere con noi, seguendo le nostre regole, imparerà quanto sia bella una vita libera dalla schiavitù del denaro e delle merci. »

Un'eco di assenso percorse la sala, mentre Remi guardava i quattro con un sorriso soddisfatto. In fondo alla tavola, un giovane rubicondo, con folti baffi biondi, levò in alto il bicchiere e urlò.

«Tutto è di tutti! »

Una semplice frase, una scritta sempre più presente tra le strade di Basiledra, un motto e un credo. Quello dell'Armata dei Sonnambuli.
Forse non tutti tra loro ne facevano parte -donne, bambini, vecchi- eppure furono tutti assieme a ripeterlo in coro, a pieni polmoni.

«Tutto è di tutti! »



Giro di post finale, direttamente qui. Descrivete come più vi aggrada la colazione, e cosa decide di fare dopo (e con dopo intendo sia a breve che a lungo termine, come preferite) il vostro pg. Arsona di sicuro esce fuori dall'abitazione -come ci siamo accordati privatamente- ma voialtri siete liberi di fare quel che volete. Postate direttamente qui, poi con chi avesse intenzione di partecipare alla quest vorrei prendere accordi in privato (Shinodari già dovrebbe avermi su feisbuc, se usate quello va benissimo sennò useremo gli mp.) Lì i tempi saranno più rigidi di questa scena free quindi...non impegnatevi se siete incasinati con esami o altre robe =P

Per il resto spero che la scena vi sia piaciuta quanto è piaciuta a me =) mi son divertito molto e grazie a TUTTI di aver partecipato!

 
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19 replies since 16/11/2014, 20:56   518 views
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