Avrebbero dovuto agire in coordinato, ognuno nell’inconsapevolezza di ciò che avrebbe fatto l’altro. Potevano solo fidarsi e sperare che tutto quello potesse essere sufficiente a salvarli. Mentre il gruppo di uomini s’ingegnava per tenere impegnato il demone, il trio composto dai beduin e il goblin si misero all’opera per mettere fine a quell’avventura. Sapp spiegò rapido ai compagni la sua idea, usando solo l’aardens: «Il fuoco è la fonte del suo potere. L’Hoepriest è stato chiaro: con il potere del fuoco soggioga le menti delle sue vittime. Senza, la sua forza si ridurrà. Dobbiamo placare le fiamme!». I beduin annuirono, avevano capito cos’avesse in mente il pelleverde. Quest’ultimo cominciò a sbottonare il legaccio che tratteneva il pastrano attorno al collo, per poi lasciarlo crollare ai suoi piedi. Sotto nascondeva una veste consunta e ugualmente bitorzoluta, ma finalmente si comprese il perché di quei bozzi e del tintinnio che contraddistingueva ogni suo passo: era, infatti, piena di tasche, con tessuti diversi uno dall’altro, come se fossero state aggiunte nel corso del tempo con stoffe di fortuna. Cominciò a frugare tra alcune di quelle, estraendo pezzi di metallo che metteva insieme con una manualità tale da lasciar intendere che fosse una sua peculiare abilità. Guardò i suoi compagni e annuì con fare solenne: «Andiamo!».
Fu tutto molto rapido, grazie all’apporto efficace del gruppo di uomini che si occupava del demone. I loro attacchi furono precisi e proficui: il demone era talmente impegnato a non soccombere sotto quel fuoco fatale che non si accorse minimamente delle azioni del trio. I due beduin, Ata da una parte e Idir dall’altra, si avviarono – rapidi e silenziosi come letali assassini – verso le fiaccole, mentre Sapp poté avvicinarsi al gruppetto di goblin inermi a ridosso della parete rocciosa. Con estrema velocità e decisione i beduin colpirono le grosse pile, demolendole, mentre Sapp lavorò celere sulle catene che legavano i goblin – di fattura umana, non dipendenti dal demone – liberandoli dalla morsa del ferro. Successero varie cose, in una sequenza talmente veloce da essere parificabile a pochi battiti di ciglia: anzitutto lo sguardo dei pelleverde prigionieri riacquistò vita, cominciando a spostarsi da un lato all’altro della stanza, con comprensibile confusione. Non c’era tempo per le spiegazioni, e la vista del demone sembrò sufficiente per fargli comprendere la gravità della loro situazione: erano ancora prigionieri, e ora che avevano ripreso coscienza di sé dovevano muoversi a capovolgere quella situazione. «Seguitemi!» gracchiò Sapp in aardens, richiamando per la prima volta la loro attenzione. Bastò un’occhiata al goblin per sostituire l’espressione stupita con una quasi sollevata. Mentre si alzavano, le pire crollarono, rovesciandosi sul pavimento; avvolte in un nugolo di polvere, impiegarono poco a estinguere completamente il proprio lume. Improvvisamente si trovarono nel buio pesto. Infine, un ruggito. Atroce, doloroso, rabbioso. Rimbombò nello spazio vuoto, scuotendo le pareti quasi con la stessa intensità dell’esplosione di poco prima. Ed ecco il grido di Sapp, che chissà come era riuscito a creare una piccola fiamma con uno dei suoi bizzarri arnesi e li aveva raggiunti, seguito dal folto gruppo di pelleverde e dai due beduin: «FUGGIAMO!».
La risalita fu ben più veloce della discesa, ma decisamente più intensa e pericolosa; si trovavano in una situazione incredibile, il genere di vicenda che – se le sopravvivi – ti garantisce l’accesso alle cosce di qualsiasi donna. Correvano a perdifiato, risalendo i vicoli, con il demone alle calcagna che li inseguiva cieco e rabbioso, sentendo l’intera miniera vibrare a causa delle esplosioni che erano appena state innescate. Non potevano fare altro che correre, la gola in fiamme, le gambe distrutte, andare incontro alla propria salvezza, letteralmente inseguiti da morte certa. Finalmente eccola; videro la luce alla fine dell’ultimo vicolo, il primo che avevano percorso, da cui sembrava trascorsa una vita. Con un ultimo, incredibile sforzo, riuscirono nell’impossibile: sbucarono all’aria aperta quando l’ultima, inesorabile, esplosione fece crollare il soffitto del tunnel, lasciando che l’intera miniera andasse in frantumi, franando sopra il demone, intrappolandolo per sempre in quel cumulo di macerie. Furono accolti da un silenzio sconcertato, dovuto da motivazioni molto diverse, coperto solo dai loro respiri affannati. Gli spettatori nello spiazzo polveroso li osservavano con gli occhi sgranati, con lo stesso stupore di chi vede un fantasma. Era evidente che nessuno di loro si aspettava della buona riuscita della loro missione. Dopo un buon minuto, i lavoratori superarono lo sbigottimento, lasciando spazio all’entusiasmo e proruppero in una serie di applausi e grida di gioia, inneggiando al gruppo come eroi. L’unico che non partecipava ai festeggiamenti era Akym, che alternava uno sguardo al gruppo di sopravvissuti a uno verso la miniera crollata, completamente grigio in volto. Aveva perso tutto, tutto. Come lo avrebbe spiegato a suo padre? Senz’altro Misdra avrebbe parlato, non se la sarebbe cavata con una menzogna. Neanche a dirlo, il capo dei lavoratori marciava verso di lui e non appena fu abbastanza vicino, gli assestò un pugno sul naso, facendo capitolare il ragazzo al suolo. «TU! Figlio di puttana, volevi ucciderci tutti, non è vero?!?». Akym dalla sua posizione – che per la prima volta nella sua vita si sentiva sottomesso a qualcuno –, con il naso rotto da cui fuoriusciva un fiotto copioso di sangue, tremava, cercando di allontanarsi strisciando sul terreno polveroso. «Io… io non… non credevo voi…». Sapp ridacchiò, visibilmente soddisfatto. «Ve lo aveva detto, signore. La cava non ha più demone, ed io prendo i goblin liberati.» concluse serafico. I pelleverde si guardarono fra loro, spaesati e increduli: erano finalmente liberi? «IDIOTA!» tuonò Misdra «Abbiamo perso la cava e anche i minatori!!! Stupido ragazzino, farò cagare soldi dalla bocca di tuo padre per tutto questo!!!». Mentre l’uomo inveiva contro il ragazzo, il goblin si avvicinò al gruppo di uomini: «Bene, bene, divertente non è vero? Avevo promesso grande avventura per voi, ed eccoci qua!» disse loro, entusiasta. «È tempo di saluti, adesso. Ricorderò vostri nomi se ancora avrò avventure divertenti per voi!» aggiunse, sorridendo felice. «Ah!» esclamò poi, come se avesse avuto un’improvvisa illuminazione «Idir e Ata avere vostra ricompensa, ma io penso voi meritare un extra, sì?» il suo volto si deformò in un ghigno malvagio e divertito. «Ragazzino là… – indicò con un piccolo movimento del capo il giovane Akym – Suo destino in vostre mani». |