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La crociata del traditore ~ Il trono che non trema, Arcana Imperii

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view post Posted on 13/3/2015, 21:05

Lamer
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Lhotar camminava tranquillo per le vie di Ladeca fumando tranquillamente la sua pipa emettendo ogni tanto a intervalli quasi regolari delle piccoli nubi di fumo dal sapore delicato. Le due spade che aveva ai fianchi erano legate alla cintura che gli stingeva la pancia ancora piena dall'abbuffata che aveva fatto poco prima e l'arco era legato alla schiena che per via dell'andatura tutt'altro che elegante a ogni passo la punta inferiore dell'arma andava a sbattere dietro la coscia.

Ciò che lo aveva attirato in quel luogo era principalmente la notizia che il principale esponente dei Corvi Leici avrebbe parlato al popolo. Il nano non aveva mai conosciuto Zeno di persona, ma aveva sentito parlare molto bene di lui da parte di quelli che lo avevano conosciuto.

Era una persona estremamente fedele, un corvo totalmente diverso dal bastardo che mesi prima aveva aiutato i demoni a distruggere il suo popolo durante la Riunificazione. Pensando a Caino, Lhotar si ricordò del patto che quasi un anno prima aveva stretto con quel traditore e che in teoria lo obbligava ad aiutare il priore. Una risatina uscì dalla bocca del nano a quel pensiero. Mai e poi mai avrebbe aiutato quel miserabile, sopratutto ora che aveva deciso di aiutare i Pari nella loro impresa.

Eppure il fatto di aiutare il consiglio e i nobili lo rendeva ancora riluttante. Lui aveva fatto quella scelta sperando che se avesse aiutato i Pari forse avrebbe convinto Aedh, nonostante l'odio che provava per i membri dei Lancaster, a risparmiare i corvi Leici che, a suo parere, volevano solo aiutare il popolo che nella guerra contro la Guardia insonne e sotto il dominio tirannico di Mathias Lorch aveva sofferto più di tutte le altri classi che al massimo avevano perso un guadagno o delle terre.

A quel punto svoltò a destra dirigendosi verso il luogo dove Zeno avrebbe tenuto il suo monologo. In realtà, oltre al fatto che il corvo avrebbe parlato Lhotar stava sperando di incontrare qualche membro della fazione dei Pari per riuscire ad avvicinarsi a quelle persone che ad ogni passo che lui faceva verso di loro tendevano ad allontanarsi.

Velocemente gli occhi azzurri del nano iniziarono a guardare le persone che come lui procedevano in direzione della piazza. Quasi tutti quelli che notava erano semplici contadini che sperando nell'aiuto dei Corvi Leici stavano accorrendo ad ascoltare le parole di conforto che sicuramente Zeno avrebbe pronunciato.

In quel momento il Doppielame svoltò a sinistra trovandosi nella via principale che univa la piazza a quello che poteva considerarsi il centro della città. A quel punto in mezzo a tutti quegli umani si sentì solo e triste senza neanche un amico a starli a fianco.

Infatti nonostante odiasse farlo aveva dovuto convincere Bolg a rimanere ai margini della città poiché la stazza del drago dalle scaglie blu elettrico e il fatto che la sua razza non fosse ben vista dagli umani probabilmente avrebbe destato troppo terrore nella folla rendendolo fin troppo evidente ai possibili Acronti che ogni secondo di ogni giorno cercavano i sussurri rimasti.

Dopo qualche minuto finalmente giunse nella piazza dove Zeno stava per iniziare a parlare. Solo a quel punto si accorse che a pochi metri da lui Ryellia Lancaster, Aiwen , la donna che aveva incontrato qualche settimana prima e un'altro uomo si preparavano ad ascoltare il discorso.

La fortuna finalmente iniziava a girare dalla sua parte, ma decise di aspettare la fine del discorso di Zeno prima di andare a salutare i suoi vecchi compagni di battaglia. Esattamente in quel momento il capo dei Corvi Leici iniziò a parlare aprendo il suo discorso come ogni buon oratore avrebbe fatto; focalizzando l'attenzione su un argomento fin troppo noto.

Attraverso le parole di Zeno si poteva sentire quasi il dolore che aveva provato il popolo durante quei lunghi mesi di agonia e sofferenza che avevano dominato il regno fino alla caduta dei Lorch. Poi con furbizia asserì che i Leici non dovevano essere presi come nemici, ma come se volessero semplicemente aiutare il popolo. Questo punto fece storcere il naso a Lhotar che pur essendo d'accordo con gli ideali del corvo rifiutava il fatto che secondo Zeno il loro obbiettivo non era il potere.

A quel punto il capo dei Leici scoprì il suo punto debole. Ammise che senza collaborazione nessuno di loro avrebbe potuto realmente fare qualcosa, ma a differenza degli Acronti e della fazione che rappresentava il corvo, i Pari si erano riuniti riuscendo a superare quell'ostacolo. Il discorso continuò osannando uno dei Daimon a cui lui era consacrato ma che fino a quel momento non lo aveva mai aiutato a differenza di Ta'l che più volte a suo parere gli aveva mostrato la retta via.

A quel punto Lhotar decise di andare a salutare Aiwen e la Lancaster, ma appena si avvicinò notò che il gruppo aveva acquisito un'altro membro e che dal modo in cui parlava probabilmente era un'altro nobile. Lentamente il nano si accese la pipa origliando il discorso che a quanto pareva riguardava il discorso fatto da Zeno, discutendo alcuni punti di quel lungo monologo. Solo quando ebbero finito il Doppielame uscì allo scoperto da dietro le persone che gli avevano fatto da copertura.

"Dama Aiwen, è da quel giorno ai giardini di Ruldo che non ci incontriamo. Spero vivamente che siate riusciti nei vostri intenti riguardante quel maledetto mercante dei desideri."

Poi la sua attenzione si spostò verso Ryellia. Lo sguardo che il nano gli rivolse era quasi di disprezzo per quella famiglia che da sola lo faceva dubitare della sua scelta di appoggiare i Pari. Il fatto di aver visto la morte di Raymond e di aver combattuto più volte contro il bastardo di quella famiglia gli aveva fatto germogliare dentro una specie di odio nei confronti dei Lancaster.

"Ryellia, è piacere rivederti nonostante il sangue che ti scorre nelle vene e mi complimento con la tua maledetta famiglia per il potere che tuo zio è riuscito ad ottenere. Ma prima di chiederti come sta il tuo caro nipote bastardo che mi ha quasi ucciso mi sembra poco decoroso non presentarmi ai presenti con il dovuto rispetto. Io sono Lhotar Solidor Doppielame, Diplomatico del regno di Yurianfald e come voi appoggio la causa dei Pari, anche se come avete potuto notare non provo molta simpatia per il casato che domina quel consiglio."

Si era presentato a quel modo per rivelarsi subito una persona onesta e per dimostrare che comunque l'odio per i Lancaster non era abbastanza forte da renderlo un nemico dei Pari. A quel punto spirò dalla pipa sbuffando verso l'alto e aspettando la reazione dei presenti.

 
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Stella Alpina
view post Posted on 13/3/2015, 23:28




La crociata del traditore ~ Muta









Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale



L'oscurità regnava in quella stanza fredda e triste fatta di mattoni grigi e ruvidi al tatto. La mano tremante della ragazza strusciava avanti e indietro sulla superficie dura della parete ripetendo il movimento senza sosta ormai da vari minuti. La pelle cominciava ad arrossarsi e spellarsi ma la ragazza continuava imperterrita in quel gesto disperatamente insano. Muoveva la mano senza troppa forza, visto che gliene restava ben poca, in un gesto monotono e privo di senso. Senso che ormai aveva abbandonato quel luogo già da qualche tempo. Priva di speranza, la ragazza attendeva la sua dipartita augurandosi arrivasse il prima possibile, augurandosi non fosse dolorosa, non più del solito almeno. Le gambe rannicchiate sotto il corpo tremavano di freddo, in mancanza di una seppur misera coperta a coprirle. Le guance rigate da segni chiari, lacrime perse e mai asciugate se non dall'aria gelida. Gli occhi privi di ogni segno di emozione vagavano senza sosta per la stanza buia non riuscendo a mettere a fuoco nulla che non fosse oscurità. Ingrid, quello era il suo nome, anche se ora non le apparteneva più. Nessuno la chiamava più da vari giorni con quel nome, nessuno la chiamava più e basta. I suoi fratelli, sua madre, sua nonna. Che fine avevano fatto? La stavano ancora cercando? L'avevano mai cercata? Il rumore delle unghie a raschiare contro la parete rompeva il silenzio facendo compagnia alle sue orecchie che altrimenti non avrebbe potuto usare al pari degli occhi. Un rumore secco ed improvviso la fece saltare leggermente sul posto, prima di accasciarsi nuovamente su sé stessa comprendendone la provenienza. La porta si era aperta permettendo ad un fascio di luce di farsi largo tra le tenebre. Le palpebre della ragazza sbatterono varie volte per contrastare l'abbaglio finché non si abituò alla nuova luminosità. Gli occhi misero a fuoco il contorno scuro del conte, quell'essere che l'aveva tenuta costretta nelle segrete del castello. Per questo lei non aveva più un nome, il cibo un nome non ce l'ha, non uno proprio per lo meno. Sangue, questo era il suo nome ora. In una routine quasi studiata il conte si abbassò scostando i capelli della ragazza e scoprendone il collo pallido rovinato dai vari buchi. Lei piegò la testa per facilitare il tutto, era finito già da un pezzo il tempo della resistenza, ora era giunto quello della rassegnazione e dell'abbandono. Gabriel lo sapeva, succedeva sempre così, con tutti. La bocca si spalancò avida di sangue e con uno scatto si abbassò sulla portata principale. I denti si insinuarono tra la carne morbida della ragazza senza trovare intoppi e il liquido rosso dilagò mischiandosi alla saliva. Il sapore metallico gli stuzzicò il palato e la lingua si mosse ad avvolgerne il più possibile, ad assaporarne quanto poteva. Quel giorno però era diverso dagli altri, quel giorno la porta l'aveva lasciata aperta sicuro che la ragazza non sarebbe scappata, non si era scomodato. Non si aspettava certo compagnia.


« Gabriel... »


Se la stanza era fredda, in quell'istante il gelo si rinforzò penetrando nelle ossa dell'uomo inginocchiato. Gabriel staccò la bocca dal collo della ragazza dove un rivolo abbondante di sangue cominciò a calare sporcando la veste già logora. Per un momento il conte desiderò trovarsi da un'altra parte, pensò di non girarsi, di far finta di nulla sperando che lei non si fosse accorta. Sapeva bene però che così non era. Ainwen, l'oracolo, sostava sulla porta quasi paralizzata dalla reazione a quella vista. Gli occhi, quelli della bambola che teneva in braccio, poggiati sulla sua schiena che facevano più pressione di un macigno. Poteva sentire persino da quella posizione il suo disagio, forse anche un giudizio negativo, un rimprovero disgustato. Il vampiro lentamente si rialzò in piedi rimanendo di spalle.


« Ainwen... »


La voce tremante, insicura, carica della paura del giudizio di quella persona a cui tanto e inspiegabilmente teneva. Una mano si poggiò sulla sua spalla obbligandolo a voltarsi, a mostrarsi per quel che era: un vampiro. La bocca lievemente sporca di rosso, i canini appuntiti nascosti dalle labbra serrate. Lei sapeva della sua maledizione, più propriamente lo supponeva, ma vederlo in quello stato non le era mai capitato ed era una cosa che lui sperava di tenerle nascosta il più possibile. Lo sguardo dell'oracolo lo colpì in tutta la sua fragilità, in un momento in cui per una volta poteva essere sé stesso senza doversi nascondere. La bambola girò la testa e la visuale si spostò sul corpo della ragazza seduta a terra, tremante e sofferente, debole. La mano libera di Ainwen si spostò sul petto del suo compagno, poi si ritrasse provocando nel conte una fitta di disagio e di inadeguatezza. Inaspettatamente però l'oracolo non si scompose e in un'apparente calma posò la bambola a terra, vicino alla ragazza. Lentamente si inginocchiò affianco alla ragazza e la mano che prima era poggiata sul conte si posò tra i capelli della poveretta. Interdetta per qualche istante, Ainwen si fece coraggio e poi buttò la testa in avanti, avvicinando le labbra alla ferita e cominciando a bere a sua volta la linfa vitale della ragazza. Il conte sgranò gli occhi e si irrigidì preso alla sprovvista da quella reazione, una scena che mai si sarebbe aspettato. Lentamente lo spaesamento lasciò spazio alla consapevolezza, alla comprensione. Lei aveva fatto una scelta e glielo stava dimostrando. Lei aveva scelto di stare al suo fianco nonostante tutto. Gabriel si piegò sulle ginocchia e accarezzò i capelli candidi di Ainwen osservandola nutrirsi di quel sangue che non le sarebbe piaciuto affatto, un sapore troppo metallico per chi aveva la fortuna di non essere colto dalla sua maledizione. Quando lei ne ebbe abbastanza rialzò la testa e si voltò nel punto in cui la bambola vedeva il suo compagno. Il sangue le macchiava la pelle chiara facendo un forte contrasto. Il conte la guardò negli occhi, quelli ciechi, sorridendo. Una sensazione particolare serpeggiò nel suo stomaco. Gabriel si piegò in avanti su di lei e poggiò le labbra sulle sue. Presa alla sprovvista lei si ritrasse per un istante, poi si rilassò abbassando le spalle e si lasciò andare a quel bacio dal sapore metallico che in fondo aspettava da un po'. Fu lì, nel momento in cui le due anime si avvicinavano, che quella di Ingrid volò via. Un unico sospiro e la sua anima prese il volo, libera dalle torture e dalle sofferenze, con il permesso di dimenticare i dolori e di tenere dentro di sé solo i ricordi più belli. Niente più celle fredde per lei, niente più buchi sul collo, solo pace. Sulla terra non rimaneva altro che quel corpo debilitato e accasciato su sé stesso con in volto un'espressione vuota.



Quattro Regni, Ladeca, tempo attuale


Ladeca. Era lì che erano diretti. Una cittadina come un'altra senza troppa fama se non per quell'evento che sembrava essere così importante agli occhi di tutti. Zeno, uno dei Corvi più influenti rimasti, prendeva la parola di fronte al popolo riunito. Gabriel non vi avrebbe dato la minima attenzione qualche tempo addietro, ma i suoi orizzonti erano cambiati, Ainwen aveva cambiato tutte le prospettive. Non bastava più il perimetro di Ardeal, ora desiderava portare la sua contea al di fuori di quelle quattro mura, quel nome sarebbe risuonato per tutto il Dortan ed anche oltre. Quel discorso era un intoppo in quel percorso già pieno di pericoli e per quello andava ascoltato con attenzione. E quindi eccoli lì, a sostare all'ingresso della cittadina, con due carrozze eleganti su cui avevano viaggiato loro due e il seguito di vampiri e non. Ad attenderli lady Ryellia, il giovane drago zanna e la sua guardia del corpo Azzurra. Lo sguardo del conte si posò sulla splendida creatura ricordando quella che aveva avuto la fortuna di ammirare durante la distruzione di Basiledra. Questo esemplare non era certo maestoso e grande come quell'altro, ma rimaneva lo stesso una vista splendida.


« Miei signori, è un piacere vedervi qui. Spero che il viaggio sia stato confortevole. »


L'attenzione dei due venne attirata da Azzurra, il conte aveva avuto la possibilità di conoscerla qualche giorno prima ad Ardeal in occasione del torneo. Una ragazza senza dubbio interessante.


« Sicuramente più confortevole di ciò che dovremo ascoltare, suppongo »


Ainwen rispose di getto senza curarsi troppo della forma che il suo nuovo rango richiedeva e questo fece sorridere il conte. Gabriel annuì in direzione delle due donne davanti a lui.


« Lady Ryellia, Lady Azzurra, il piacere è mio nel poter nuovamente godere della vostra presenza. Sono sicuro che questa bella giornata sarà in qualche modo per noi... illuminante »


Il sorriso si allargò prima di concludere i saluti con un nuovo cenno del capo. Il conte si avviò verso il punto in cui era atteso il discorso del Corvo facendo da guida a tutto il seguito che avanzava alle sue spalle.
La folla non si era risparmiata, quella cittadina aveva attirato gente da tutti i luoghi circostanti e persino oltre. Probabilmente Ladeca non aveva mai visto un evento così importante svolgersi tra le sue mura. Ai piedi della piccola chiesa della cittadina si ammassava il popolo in attesa del discorso di cui tanto si era parlato. Un posto senza dubbio significativo che mandava un messaggio chiaro. La chiesa sovrastava la folla nella sua tetra immobilità e le porte aperte sembravano voler abbracciare la piazza. La figura immobile di fronte all'ingresso cominciò finalmente il suo discorso e l'attenzione del conte ne venne rapita. Sapeva parlare, sapeva cosa dire per muovere gli animi e per spargere speranza come briciole di pane ad uccelli affamati. Quello che proponeva era una bellissima visione delle cose, una bellissima e brillante utopia che non avrebbe potuto far altro che infrangersi sugli scogli della realtà. Il popolo non può autogovernarsi, non è nelle sue capacità e lo dimostravano gli eventi. Basiledra ne aveva visti di reggenti, che fossero giusti o tiranni, il popolo aveva sempre piegato la testa reagendo solo al momento in cui aveva rischiato di vedersela tagliata. Il caro Zeno proponeva solo un nuovo modo di tenere il potere, uno che la gente forse non aveva ancora visto, ma certo era che il potere non sarebbe stato nelle mani dei poveri contadini, tutt'al più in quelle di chi se la sarebbe giocata nel modo giusto. Era tutto un gioco, nient'altro che un gioco. Il gioco del potere.


« Sostanzialmente ha passato a vossignori la responsabilità delle sue azioni. »


Il commento spostò l'attenzione del conte sui presenti e non si stupì che a parlare fosse stata lady Azzurra invece che lady Ryellia. Molto più che una guardia del corpo probabilmente.


« Vedete lady Azzurra, per quanto possano sembrare belle tutte queste parole, non saranno mai abbastanza. Non dico che non siano pericolose per noi, lo sono eccome, ma il fatto è che la mente del popolo è molto volubile. Potete essere l'eroe più grande mai esistito, ma basterà un singolo errore al momento sbagliato a farvi perdere il favore della gente, dimenticando di fatto tutto quello che per loro siete stato. La verità è che il popolo ha bisogno di qualcuno che lo governi, che lo protegga, che decida per lui. Agogna la sudditanza. Da noi fuggono e da noi torneranno, bisogna solo attendere ed agire al momento giusto. »


Gabriel tornò ad osservare il Corvo riprendendo l'interesse nei suoi confronti. Quell'uomo era molto più di quello che dava a vedere e se davvero era stato colui che sovrintendeva alla cattedrale di Basiledra, allora certamente conosceva meglio di molti altri i giochi di potere. Era un avversario che non andava sottovalutato. Accanto a lui la sua compagna gli stringeva la mano. Percepiva il disagio e il fastidio che l'attanagliava ma cercava di non concederle troppe attenzioni per evitare che anche altri lo notassero.


« Mounsieurs e madames, ho l'onore di presentarvi il signore di Deyrnas, profondo conoscitore della teologia e delle arti maggiori, già figlio del casato degli Alti Re della stirpe di Deyrnas, Lord Erein Dewin. »


Il conte si voltò nuovamente osservando questa volta il nuovo giunto che prese subito la parola. Gabriel piegò il capo alla presentazione in segno di saluto e ascoltò attentamente il discorso. Aveva già visto anche quell'uomo, aveva la possibilità di capire ancora di più che tipo fosse. Il discorso prese una svolta interessante nella proposta di Azzurra ma tutte quelle non restavano che parole strappate ad una situazione ancora troppo calda per poterci riflettere su. Inoltre la giornata non era ancora finita e c'erano ancora parecchie ore da dover passare. Lo sguardo del conte cadde sul suo seguito, i vampiri della sua famiglia si guardavano intorno con sguardo attento, pronti a reagire ad ogni evenienza. La mano di Gabriel si strinse forte in quella di Ainwen e i due sguardi si incrociarono. Qualunque cosa gli avrebbe riservato quella giornata, loro erano pronti.






Edited by Stella Alpina - 14/3/2015, 15:18

 
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Palantír
view post Posted on 13/3/2015, 23:47




Il consueto, pungente sapore del farmaco ebbe il tempo di spandersi sulla lingua di Funes prima che avesse il tempo di inghiottire il cristallo. Aggrottò la fronte mentre reprimeva l’impulso di sputare per terra; cercò di concentrarsi sulla sensazione piacevole della morsa sulla testa che si allentava a ogni battito del cuore.
Gli succedeva sempre così quando cercava di tenere da solo a bada la mole di informazioni che il suo inconscio raccoglieva, e non sapeva cosa farci. A Taanach, in quella che ormai sembrava una vita fa, poteva permettersi di prendere un cristallo a ogni accenno di mal di testa, ma ora stava scoprendo che forse si era abituato troppo bene.
Si ritrovò ad ansimare leggermente curvo e ad occhi chiusi senza più provare dolore, senza avere memoria degli istanti immediatamente precedenti - com’era giusto, dopo tutto, che agisse una droga chiamata “oblio”. Si riaddrizzò, riaprì gli occhi sulla folla. Un vago velo di indifferenza ora proteggeva i suoi sensi dal mondo: una sorta di nuvola che filtrava le sensazioni prediligendo solo quelle più importanti. Solo allora notava che il cielo che fino a quel monento aveva creduto nuvoloso era in realtà sereno ma slavato, come se il pittore che avesse dipinto la volta celeste avesse usato troppo azzurro nell’Akeran e per le restanti regioni avesse dovuto diluire il poco colore che gli rimaneva; ma lo notava con noncuranza, non certo con il viscerale coinvolgimento emotivo cui era condannato dalla nascita per non sapeva quale scherzo del destino.

« Tutto bene? Non sembrava un granché quello che hai mangiato, prova un po’ queste. »

La voce proveniva da dietro di lui. Funes si girò di scatto a fronteggiare un ragazzo mingherlino, forse di poco più giovane di lui, che portava un liuto sulla spalla e vestiva colori meno smorti di quelli della maggior parte della gente lì: probabilmente uno di quei vagabondi che girano di paese in paese guadagnandosi da vivere cantando storie, un bardo come lo chiamavano i tomi sulle civiltà del nord. Accanto a lui, un uomo che invece aveva tutti i tratti somatici caratteristici dei beduini del Sud, con in capo un turbante rosso. Entrambi lo fissavano con curiosità.
Funes non sentì una preoccupazione eccessiva - l’oblio lo aiutava anche in questo - ma si fece circospetto. Non aveva mai escluso che avessero potuto seguirlo fino a Dortan solo per il piacere di ucciderlo, e quella roba nel sacchetto che il menestrello gli porgeva poteva benissimo essere piena di veleno. Non dire il tuo nome, non mostrarti nervoso, non fare passi falsi! pensava; nel frattempo provava a girarsi intorno per cercare una via di fuga, ma la calca si era stretta ancora di più per applaudire e omaggiare il prelato.
Non gli restava che fare finta di niente.
Si avvicinò al sacchetto, prese una nocciola delicatamente fra pollice e indice, la annusò cercandovi strani odori ma non ne trovò altri che non il buon odore della frutta secca. Provò a pensare a qualcosa di estremamente intelligente da dire per sviare l’attenzione del bardo, ma si trovò a constatare che uno degli effetti collaterali dell’oblio era proprio che inibiva parzialmente le capacità di ragionamento.
Improvvisò, con la vaga sensazione che se ne sarebbe pentito.

« Voi… non siete qui per me, vero? »

La frase perfetta per rendersi sospetto, pensò con fastidio appena un istante dopo aver chiuso la bocca, ma dall’altro non ebbe in risposta che un’espressione fra il curioso e il divertito.

« Oh, no! » Prese con noncuranza un paio di nocciole dal sacchetto e si mise a sgranocchiarle; poi indicò il beduino e continuò, la bocca ancora piena. « Io e lui siamo qui per caso. »

Funes non credeva al caso, né il fare della strana coppia che aveva davanti era ancora riuscito a metterlo del tutto a suo agio. Però era già rassicurante il fatto che le nocciole non fossero avvelenate se la stessa persona che gliele aveva offerte ne aveva mangiato. Abbozzò un mezzo sorriso quando il beduino, la voce più profonda di quella del bardo, gli domando:

« Da dove vieni? »

Funes si irrigidì. Di sicuro all’uomo non era passato inosservato il suo aspetto, forse anche l’accento dell’Akeran. Con lui non poteva permettere assolutamente di far trapelare informazioni. Decise di non rispondere nemmeno con il soprannome con cui era conosciuto a Taanach. Ma anche se non lo utilizzava, quel nome lo perseguitava fino in capo al mondo.

« Silenzio » sussurrò, dopo aver portato l’indice alle labbra. « Il silenzio mi ha spesso salvato la vita ultimamente, e ora come ora preferisco affidarmi a lui. Quanto a voi, potete chiamarmi… » Si fermò un momento senza sapere cosa dire. Non era stato mai bravo a inventare nomi, ma ora doveva farlo all’istante per non destare sospetti.
Poi, l’idea.

« …Nuts! » esclamò, lanciandosi la nocciola in bocca con uno scatto del pollice e offrendo ai due un largo sorriso. Ascoltò la loro risposta, poi si infilò in un pertugio che si era creato tra la folla e scomparve alla loro vista.

Si faceva largo tra la massa grigia e uniforme cercando di evitare scompiglio, l’idea che aveva appena avuto era troppo folle per non essere almeno tentata. E se il nome che si era scelto significava “fuori di testa” in alcuni dialetti del Nord, quale auspicio migliore di quello?

« Eccellenza! »

Cadde in ginocchio sui primi gradini della chiesa, senza avvicinarsi troppo all’oratore né agli armigeri che gli facevano da scorta. Recuperò fiato ansando per qualche secondo, poi riprese. « Non conosco voi né la guerra di cui avete parlato, perlomeno di persona. Vengo da lontano, ragioni al di fuori dalla mia volontà mi hanno privato di un posto che posso chiamare casa. Sono a Ladeca per volere del caso o forse della fortuna, perché nel vostro discorso mi riconosco in pieno: se non posso aiutare me stesso, voglio quantomeno alleviare le sofferenze di chi sta peggio di me. Vi imploro, prendetemi al vostro servizio! »

Non osò alzare neanche per un momento il capo. Di sicuro aveva mandato all’aria il proposito di mantenere un basso profilo, ma entrando nei favori di quell’uomo poteva finalmente ottenere la protezione di cui aveva bisogno.
E poi, cosa più importante, ciò che gli aveva detto
non era affatto una menzogna.


Post di interazione con Taliesin; inoltre faccio quello che credo sia naturale per un pg come Funes, opportunista sì ma in fondo anche un po’ idealista e soprattutto sotto l’effetto di stupefacenti. Spero solo non sia troppo suicida o_ò’
 
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view post Posted on 14/3/2015, 14:19
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Maestro
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Ladeca
Via principale

   Le strade erano chiassose e sporche. Il vociare indistinto delle persone si confondeva col connubio di colori, forme, risate e lamenti che si dividevano in ogni via di quella cittadina. Ovunque si guardasse, c'era un qualcuno da curare, qualcuno da accudire o qualcuno cui dare retta. C'erano anche gioia e sorrisi, scandendo più a fondo nelle vie; c'era, sopratutto, la disillusa convinzione che bastasse affiatarsi e rimarcare i propri limiti, per dissuadere il popolo dal caos. Per farlo sentire protetto e confortato, in una psicosi di massa che tendesse all'autodeterminazione di un animale notoriamente inadatto a farlo.
   « Coraggio » disse lui, con un filo di voce, « ci vuole tanto coraggio. »
Un flusso di bambini si fece largo tra la folla, scorrendo oltre le fila dei malati in attesa di cura e divincolandosi tra le capanne piantate ai margini della strada. Quando poi arrivò in direzione del corteo, il primo di loro si bloccò all'istante. Fissò le maschere bianche e prive di emozione, oltre che i drappi neri e rossicci degli uomini ai margini del gruppo. Non ci volle molto per rendersi conto che non avevano nulla in comune coi Corvi che era abituata a vedere; nessun drappo variopinto, nessun sorriso sul volto; nessuna parola di conforto. Sopratutto, nessuna carezza gentile.
   Il primo che vide senza maschera le parve più accomodante. In qualche modo, il tratto giovanile e i capelli rossicci arruffati ai margini del viso davano un senso di candore e spensieratezza, aggrappati a un corpo esile e libero dagli schemi. Tra tutti quei drappi scuri, invero, quel giovane le parve il meno angusto; il meno spaventoso da approcciare. Il bambino mando giù un grumo di saliva e, con coraggio, gli si avvicinò rapidamente. Aprì il palmo della mano, mostrandoglielo con decisione. No, non così vicino; poco distante, inarcando gli occhi e le labbra, esattamente come gli era stato insegnato. Poi emise un sospiro di inedia, balbettando qualcosa con commozione.
   Disse la frase, quella che diceva sempre. Quella che gli adulti gli avevano insegnato a ripetere sempre. « Signore » abbozzò, incerto, « hai qualcosa da darmi? » E avvicinò la mano, reggendola poco dopo con l'altra. Entrambe rivolte alla sua attenzione; alla sua pietà. Entrambe protese verso uno sperato gesto di carità.

   Teslat lo fissò, schifato. Un occhio ai labbroni inarcati all'ingiù. L'altro alle mani protese verso di lui. Ci pensò un attimo; poi fece spallucce e si decise a dargli qualcosa. Infatti, mosse la mano rapidamente, scostandosela dalla tasca sinistra e facendola scivolare con decisione verso la guancia del bambino. Gli mollò un poderoso ceffone, che scioccò sonoramente entro il frastuono del corteo che passava.
   « Tieni » rispose al bambino, secco, « senza complimenti. »
   Di tutta risposta il bambino prese a piangere disperato, allontanandosi rapidamente dagli uomini coi drappi neri e seguito da altri bambini, altrettanto spaventati. Teslat lo fissò allontanarsi rapidamente, scivolare in mezzo alle capanne dal quale era sbucato e scomparire entro un vicolo ai margini della strada.
   « Teslat » lo interruppe Dulwig, poco distante, « ti sembra il modo? » Teslat allungò un sorriso sornione, divertito e irriverente. « Oh, non mi ha detto cosa volesse » ribatté, con finta sicurezza, « e avevo finito gli spiccioli, se proprio vuoi saperlo. »
    « Avanti, Dulwig » aggiunse poi, sforzandosi di tornare più serio, « ammettilo, avanti. » Lo fissò, quasi con tono di sfida: « Ammettilo che anche a te questo posto fa schifo. »
    Duwlig rimase perplesso, per un momento. I suoi occhi presero a guardare la via principale, costellata di capannelli di assistenza e mendicanti, scivolati oltre i margini della via per attirare di più l'attenzione. Poi guardava più avanti, la massa informe di gente che procedeva verso il centro della piazza e comprendeva, placidamente, che niente e nessuno avrebbe mai potuto ordinare quel guazzabuglio di pensieri e necessità. Non in quel modo; non così.
    « Ci vuole coraggio » ammise, sospirando, « ci vuole coraggio a dare al popolo l'autorità del suo stesso comando. »
    Rimase per un attimo silente, fissando il vuoto e il cielo. « È come se un millepiedi demandasse a ciascuno dei suoi piedi il compito di decidere quale decisione prendere » asserì, agitando un dito quasi a disegnare l'immagine che aveva in mente. « Ciascun piede prenderà una direzione diversa; e il millepiedi finirà per smembrarsi. »
   Teslat lo fissò perplesso, cercando di guardare il punto indicato col dito. Ci mise qualche istante per capire il senso di quel gesto, invero.
    « Oh, beh » sbottò, divertito, « la metafora del millepiedi mi fa un po' schifo, ma rende l'idea. » Poi inarcò lo sguardo, cercando di fissare un punto impreciso in fondo alla strada.
    « Tu credi davvero che questo tipo faccia sul serio? » Disse, restituendo l'ennesimo sguardo divertito all'altro. « Chi, Zeno? » chiese Dulwig, di risposta.
    « Già » annuì Teslat. « Credi davvero che voglia conquistare i regni... » si guardò intorno, indicando le persone ammassate ai margini, « così? »
    Dulwig rimase silente, frapponendo un pensiero a tanti altri. E rimuginando su di essi. Poi, gli rispose con uno sguardo e un interrogativo.
    « E se non volesse? » Teslat gli rispose con uno sguardo attonito. « Non volesse... cosa? »
    « Se non volesse conquistare il regno » professò, serioso, « ma solo un poco di popolarità? »
    Nel mentre, qualcosa richiamò la loro attenzione. Poco distante, la gente prese ad ammassarsi in direzione della chiesa del paese, ove dalla scalinata centrale sbucava una figura familiare. I più presero a indicarlo, rinfrancati da una innata gioia. Un moto sincero ed esasperato, che quasi sfociava in commozione. Altri presero a chiamarlo in coro, un po' per attirarne l'attenzione, un po' per omaggiarlo.
    « Zeno; Zeno » intonavano ritmicamente e con passione.
    « Vedi? » Riprese Dulwig, incamminandosi nuovamente al fianco del corteo di Arconti. « Non sembrano prendere ordini da lui; sembrano piuttosto avere fede in lui. »
    « E cosa ne guadagna? » Ribatté ancora Teslat, sinceramente perplesso. « Come può prendere il potere senza un esercito che combatta per lui? »
    Dulwig scosse il capo, cogitabondo. « Non lo so » rispose serioso, « ma ci vuole coraggio. »
    « Ci vuole coraggio nel dare al popolo ciò che vuole. »

Ladeca
Piazzale della chiesa

   Il piazzale era gremito; ovunque il popolo dei Corvi Leici si ammassava e lambiva con toni festanti le parole del loro profeta, sbracciandosi animosamente e intonando canti di festa. Le sue parole risuonarono chiare e furono colte con gremito ardore, affetto incondizionato sopratutto motivato dal tono e dalla potenza dei concetti espressi. Ogni frase era studiata con peculiare abilità; frapposta tra un armonioso segno distensivo e un potente messaggio di amore universale.
   « Hai un fazzoletto? » Chiese Teslat, rivolto a Dulwig. « Mi sto per commuovere. »
   Dulwig gli riservò un'occhiata gelida, salvo poi tornare a fissare il popolo. Ciascuno dei presenti era rapito dalle sue parole; inoltre, più passava il tempo, più emergeva l'alchemica malignità del progetto di Zeno. Per ogni frase rapita tra le labbra dei suoi fedeli, lui guadagnava uno sguardo, un sorriso, un patto d'amore. E loro perdevano un fedele, un accolito o un credente. Per ogni passo avanti compiuto da Zeno, loro ne facevano uno indietro. E la loro presenza non giustificava nient'altro che la placida presa d'atto della loro sconfitta.
   « Ammira, piuttosto » disse a Teslat, chiamando la sua attenzione, « ammira l'arte dell'oratoria, in tutta la sua perfezione. » Indicò il popolo, uno a uno. Li indicò e fece in modo che anche Teslat prendesse atto della loro fede ascetica. Di quanto fossero rapiti ormai dal messaggio del capo dei Corvi Leici.
   « Oh, beh » sbottò Teslat, preoccupato. « Quando viene la parte in cui gli spacchiamo il culo? »
   « Come potremmo? » Rispose Dulwig, quasi senza ascoltarlo. « Come potremmo ribattere a queste parole? »
   « Non possiamo » rispose Teslat, agitando il capo, « perché lui è il buono e noi siamo i cattivi. »
    « Dici bene » aggiunse Dulwig. « Il punto è proprio questo: queste sono parole cui non si può ribattere. »
   « Non senza fare la parte dei cattivi, almeno. »

   Dulwig sorrise a Teslat e inarcò il capo, in segno di saluto. L'altro lo fissò perplesso, smosso da un incerto connubio di stupore e premura. Poi, lo fissò allontanarsi tra la folla, scortato da alcuni membri del corteo degli Arconti.
   Dulwig si fece spazio tra la gente, facendo in modo che il clangore delle spade nei loro foderi anticipasse il loro stesso passo. Si premurò che alle orecchie dei presenti giungesse il rumore del metallo, annunciando il suo passaggio e lasciando che nient'altro che la paura tendesse loro un'unica mano e un unico cammino verso il porticato della Chiesa. E a ogni passo sentiva uno sguardo trafiggerlo, mangiarlo. Poteva percepire l'odio del popolo, che fissava il corteo degli Arconti come fossero un carro funebre che si avvicina al cimitero. Portatori di morte, di empietà; passato astioso e dimenticato. Così turpe, che la loro stessa presenza non meritava nemmeno di essere tollerata.
   Quando giunse a un passo dalla scalinata, un paio di guardie si frapposero. Occhi tremuli e mani indecise, con l'innata intenzione di non dar spazio, né voce a chiunque rappresentasse gli Arconti. Nemmeno se ufficialmente invitati.
   « Ci lascerete passare » disse Dulwig, smuovendo le mani. « Non era una domanda » aggiunse poi e qualcuno, alle loro spalle, ordinò loro di scostarsi.
   Dulwig risalì la scalinata con cura e attenzione. Non agitò il passo e nemmeno il fiato; lasciò che la sua presenza fosse notata come mera casualità, una comparsata prevista dal copione e assolutamente naturale, per il giusto corso degli eventi. La voce che avrebbe fatto eco al fiato di Zeno; la mano stretta con la sua.
   « Molto toccante, Priore Zeno » disse, abbozzando un inchino in sua direzione, « molto toccante davvero. »
   « D'altronde, queste sono esattamente le parole che chiunque vorrebbe sentire » aggiunse, sicuro, « nonché il vettore principale per assicurarsi quel bacino di fedeltà di cui un nuovo profeta ha sicuramente bisogno. »
   Fissò il popolo, cogliendo qualche sguardo stupito. « Ma, alla fine, non è nient'altro che becero populismo. »
   Fece un passo verso di lui, lasciando che i sussulti della folla cadenzassero ogni suo movimento. « Dimmi Zeno, cosa farai quando verrà il momento di prendere delle decisioni? »
   « Quando dovrai costruire la prima casa; donare il primo pezzo di pane; o condannare il primo ladro » asserì, laconico, « saprai essere altrettanto misericordioso? »
   « Oppure quando scoppierà la prima rivolta o subirai il primo tradimento » profetizzò, senza emozioni « che ne sarà del tuo messaggio di oggi? »
   Poi tornò a guardare il popolo, indicando in direzione del corteo. « Noi Arconti non neghiamo ciò che siamo; la pace si impone con l'autorità, non con la pietà » disse, rimarcando quelle frasi con sicurezza. « E di questo anche tu, prima o poi, dovrai rendertene conto, Zeno. »

   Poi stette in silenzio, rimembrando quanto detto poco prima. Lo fissò, abbozzando un tenue sorriso. « Però su una cosa hai ragione, Zeno. »
   « Non dobbiamo commettere gli stessi errori del passato » ribadì, lascivo. « E l'unico modo per farlo è eliminare ogni elemento di dissidio nel regno. »
   « Un unico messaggio di Zoikar, un'unica voce e un unico popolo da difendere e con cui crescere. »
   Lo guardò ancora, un'ultima volta. « Mi spiace, Zeno, ma non si può mandare avanti il Regno solo con le preghiere » sentenziò, sicuro « e la pace si custodisce soltanto con l'autorità di un comando forte. » Concluse, sicuro.



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Edited by janz - 14/3/2015, 19:01
 
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view post Posted on 14/3/2015, 18:58
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Time Lost Centurion (3dh Economic Crisis Edition)
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Ladeca - Adesso

Non giudicare mai un libro dalla copertina. Un detto come tanti ma al contempo una forma di paragone piuttosto interessante. Le persone in fondo non sono poi così diverse dai libri. Cambiano le regole, cambiano i dettagli ma non cambiano mai le basi. Un libro si legge con le mere parole, con ogni riga in cui un individuo imprime le sue emozioni ed i suoi sogni. Anche le persone possono essere lette, comprese e decifrate. Questo certo se si è in grado di leggere il linguaggio corretto. Un linguaggio che tutti sanno parlare ma che pochi sanno comprendere, il naturale e inconscio movimento del corpo. Le mie parole hanno fatto ciò che mi aspettavo, hanno spiazzato e colto momentaneamente alla sprovvista il Lupo. L'abbandono della comodità del muro che passa ad una posizione di guardia, attenta, erta, come una Suricata di vedetta sulla sua piccola roccia. Poi sopraggiunge l'inganno, l'accettazione cauta di ciò che la mente comprende come diverso da ciò che detta l'occhio. A quel punto diviene tutto un gioco della specie più delicata e attenta ai dettagli. Sguardo serio e attento, il corpo che si rilassa in maniera troppo innaturale per non sembrare un movimento forzato. Come un Lupo davanti alla preda egli non dimostra timore, mantiene la posizione e si erge al pari di quella che vede come una possibile minaccia. Lo sguardo finalmente viaggia lontano dal mio, la mente da un senso a quanto accaduto ed infine una risata di circostanza spezza la tensione generata dalla sorpresa. La risposta infine giunge e non delude. Più di una risposta, persino una dimostrazione di fiducia che viene restituita. L'uomo fa calare il cappuccio, mostrando ciò che per abitudine celava sotto lo stesso. Una barba curata e ben rasata, dimostrazione ineluttabile di chi tiene almeno in parte al proprio aspetto. Una cicatrice sulla guancia tenuta quasi come monito per chiunque la veda. Insieme ad un volto da lineamenti non proprio aggraziati si conclude il quadro di qualcuno che fa della sua faccia tosta da mercenario prezzolato uno strumento pressoché indispensabile.




Oh, quello che dite può suonare piacevole, monsieur Lupo. «distacco la testa dalla sua posizione mentre mi ergo verticalmente con la schiena, le mani incrociate vanno a poggiarsi sulle gambe lasciate ciondoloni giù dalla cassa.» Eppure quote è destinato a rimanere solo un sogno, per un motivo molto semplice.
L'uomo.



Nel concludere quella frase, detta con tono drammatico quasi fosse la grande rivelazione alla fine di un libro, ritiro i piedi verso di me per poggiarli sul bordo della cassa. Con un balzo quasi immediato mi ergo perfettamente in piedi su di essa, le braccia allargate quasi a voler abbracciare una figura immaginaria. La stessa posa che la Cavallerizza da Comizio aveva assunto pochi giorni fa nel suo "discorso al popolo" per accaparrarsi braccianti da scortare nelle terre della dama Rossa. Inizio a gesticolare in quella che potrebbe definirsi come la pantomima riscritta a buffonata dei movimenti della donna in armatura, un simpatico modo per prendere in giro quelli che si ergono sopra le masse per sfruttare la loro disperazione a proprio vantaggio. Ed in quel buffo gesticolare esprimo infine la mia risposta al Lupo.



Perché se c'è una caratteristica che può definire la natura stessa dell'uomo, quella è l'egoismo. Un essere umano non fa mai nulla per nulla, non importa chi esso sia. Un agricoltore coltiva la terra per ricevere il suo raccolto. Il soldato sparge il sangue del proprio nemico per la sua patria e per il suo borsello. Basta guardare alla storia se si vuole vedere la natura umana come una mera questione di numeri. Molti tiranni e pochi salvatori, molti assassini e pochi paladini. Persino chi fa del bene altrui il suo obbiettivo è mosso dall'egoismo. Quando qualcuno aiuta un'altra persona lo fa perché quel semplice gesto lo fa sentire appagato. Costruire la felicità degli altri per essere felice tu stesso, questo è l'altruismo. Un egoismo votato al benessere altrui, una natura sostanzialmente malvagia capovolta nella sua definizione perfetta ed opposta. «finisco di gesticolare mente concludo quella frase con una ristata acuta e squillante che a sua volta viene brutalmente interrotta da un sorriso gentile e comprensivo.» Ma c'è qualcosa di ancora più importante, qualcosa che come Lupo lei dovrebbe già sapere.
L'essere umano è un animale.


Come tale l'uomo si trova a suo agio nel branco, nella comunità, nell'insieme di molti che si aiutano l'un l'altro. Eppure non esiste branco capace di perdurare in assenza di un capo che possa guidarlo. <incrocio le mani insieme facendo intersecare le dita, le braccia lasciate penzoloni mentre inclino la testa leggermente sulla destra.> Le persone anelano ad essere comandate quando riconoscono tra di loro un individuo più abile, più scaltro, più forte. Molti fraintendono questo come una sorta di schiavitù ma si sbagliano, l'umano ripudia la schiavitù e come ogni altra creatura senziente apprezza la libertà più di ogni altra cosa. Questo è il paradosso umano, questo è ciò che definisce un leader ideale. Qualcuno capace di dare libertà ai suoi sudditi ma al contempo in grado di guidarli senza costringerli. Qualcosa che di questi tempi quasi nessuno è in grado di fare, sfortunatamente. Molti guardano alla nobiltà e vedono solo il fallimento. Non sbagliano, ormai salvo pochi rari esemplari la nobiltà umana non è altro che un orgia di incompetenza e inettitudine. Eppure non è sempre stato così. All'inizio quando la prima Nobiltà veni a formarsi insieme al primo regno essa era formata da tutti quegli uomini che nel formarlo si erano sacrificati di più e avevano dato di più. Individui profondamente altruisti che sono stati ricompensati con una posizione di potere dalla quale avrebbero potuto continuare ad aiutare il loro popolo, a servire la loro gente. Nobili d'animo, non di conio o di mero nome. Sfortunatamente, col tempo, le nuove generazioni nate nel lusso non furono più in grado di comprendere le origini dei loro antenati. Cominciarono a dichiararsi superiori per diritto di nascita, a diventare avidi e pigri. Questo nel corso di secoli e secoli, sino a giungere a questo preciso istante. Pochi meritevoli si battono tra i ranghi dei Pari mentre devono anche curarsi di tenere a bada un'orda di bambini viziati a cui interessa solo il potere.

Zeno invece è essenziale come solo la fede può esserlo per l'uomo.< incrocio le gambe mal celando la mia eccitazione, l'attesa che separa la domanda dalla risposta è sempre terribile ma ben ricompensata.>L'unico vero intralcio ad un unificazione pacifica sarebbe Caino ed i suoi arconti. In realtà, però, nulla unifica gli animi meglio di un nemico comune. Se quello che lei desidera è la pace, monsieur Lupo, dovrebbe far si che i due diventino uno e che il sangue del terzo renda indissolubile la loro unione.
Solo allora i quattro regni conosceranno ancora la pace.

 
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Nawarashi
view post Posted on 14/3/2015, 20:59






Raramente avevo l'onore di discutere con qualcuno, ne ero abile nel farlo. Mio padre diceva che uomini come noi preferivano far cantare le lame piuttosto che le nostre corde vocali. Quella ragazza era diversa da uomini come noi, sapeva parlare con una maestria ammirevole per una bambina. Più metteva in fila fonemi, più rimanevo rapito dalla dote nascosta in quel piccolo ed innocente corpo. Mentre parlava, aveva assunto una posa simile a quella che avevano Zeno e la ragazza bionda delle tendopoli, era ritta sulla cassa con le braccia spiegate come per abbracciare la folla. Gesticolava, sorrideva, si prendeva gioco della stessa arte che stava esercitando. Risultava buffa e allo stesso tempo aggraziata.
Le mie orecchie e la mia mente ascoltarono attentamente le sue parole, inducendomi in una seria riflessione mentre ero compiaciuto da quel piccolo spettacolino che aveva messo in piedi. La natura umana, come diceva la ragazza, era votata all'egoismo. Era un concetto che avevo ben stampato nella testa, sapevo che valeva per ogni esponente della mia razza, persino per me che tagliavo gole credendo nella mia giustizia. Ero l'egoismo della vendetta con la presunzione di sapere ciò che era giusto o sbagliato a questo mondo. Era una definizione che molti mi avrebbero affibbiato, purtroppo non ero una persona che lasciava entrare altri nella sua testa, ne tanto meno faceva camminare incolume chi andava contro i suoi ideali. Certo, io non ambivo ad essere un leader, avevo accettato il mio lato egoista così come credevo che ogni uomo avesse dovuto fare. Fare del bene per sentirsi appagati e non per la felicità altrui? Mi stava bene. Finchè non c'era una delle due parti che perdeva qualcosa, per me era un compromesso accettabile. Del resto l'essere umano è sempre stato una creatura imperfetta, come una tela mai compiuta e al tempo stesso in costante evoluzione. Per questo sapevo benissimo che il male non si sarebbe mai debellato dal mondo, ci sarebbe sempre stato bisogno di gente come me, pronta ad accettare i lati più abietti della propria indole pur di epurare la malvagità a cui assistevamo, o di gente come Zeno, pronta ad infondere speranza ai più sprovveduti. Ci sarebbe stato bisogno anche dei Tiranni in quanto ogni persona ha bisogno di indirizzare la causa dei suoi mali verso qualcosa. Tuttavia, anche tra i più insospettabili, un giorno, si sarebbe rivelata l'oscurità che si annidava nel loro cuore. Non c'erano santi in questo mondo, solo pellegrini che imboccavano strade diverse, giuste o sbagliate.
La bambina colpì il punto giusto: Serviva un leader forte in grado di guidare il popolo senza schiavizzarlo o sacrificarlo per il proprio guadagno. Invero, tra quelle fazioni, non c'era nessuno in grado di farlo. Sentirlo dire dalla bambina mi fece credere che questa era una verità che potevo accettare dentro di me. Erano tutti preoccupati dai propri interessi, forse persino Zeno aveva il proprio schema da mandare avanti. Eppure in cuor mio, a differenza di quanto diceva la fanciulla, credevo che, seppur con qualcuno al comando, sarebbe servita un' assemblea di cittadini che funzionassero da porta per ogni decisione del regno. Non ci sarebbe stato solamente un Re e i suoi Sudditi, ma un connubio di persone pronte a proteggersi l'un l'altro. Certo, era un'idea di difficile realizzazione e soggetta ai stessi problemi di corruzione di qualsiasi altra soluzione governativa, tuttavia se gli umani avevano una qualità era quella di imparare dai propri errori. Continuando a tentoni, senza mollare la giusta strada, prima o poi avrebbero raggiunto i propri obiettivi. Ne ero sicuro.
Quando il discorso parò verso la nobiltà e la sua storia, una piccola smorfia di fastidio si formò istintivamente sul mio volto. Secondo la bambina, in principio, tra le feci della realtà signorile, c'erano nobili buoni pronti a usare tutte le loro risorse per il loro popolo. Con il tempo però la situazione prese una brutta piega: le generazioni venivano corrotte dal lusso e dal potere fino a diventare maiali che si rotolavano nella cupidigia, portando alla situazione odierna e ai Valravne. Certo, era plausibile che ci fossero nobili non corrotti, benefattori del popolo, tuttavia era proprio la distinzione ad essere dannosa. In tutta la mia vita, non ho mai incontrato un nobile che volesse smettere di essere tale, buono o cattivo. Nessuno di loro voleva essere additato come cittadino semplice e comune, nessuno di loro voleva essere al Pari di tutti gli altri. Ironico eh? La fazione più grande dei nobili si chiamava Pari, eppure la loro stessa natura li metteva su un piano più alto degli altri. Era proprio questo il problema più grande di questa disputa.
Proprio qui la conclusione della ragazzina cascava a fagiolo. Se Corvi Leici e Pari si fossero uniti contro gli Arconti, come un' unica grande entità, allora avrebbero finalmente capito che non serviva porsi su due differenti livelli, la loro unione poteva portare la pace in quella guerra di lusso. Solo dopo queste considerazioni, avrebbero capito di essere indispensabili gli uni agli altri. Tuttavia i cittadini, in questa idea, non avevano nulla da perdere, del resto i loro privilegi rasentavano il nulla. I Pari, invece, dovevano accettare di lasciare ciò che avevano per mettere da parte le divergenze. Come avevamo detto, la natura umana è egoista. In virtù di ciò, ci sarebbero stati i presupposti secondo i quali i nobili si disfacessero di una parte di loro stessi?
Non c'era bisogno di rispondere a quella domanda. Volsi il mio sguardo verso la piccola oratrice, dalla quale ero sinceramente colpito.

< Lei invero dice delle grandì verità "Madmoiselle Rouge". Il suo discorso mi ha dato modo di riflettere sulle mie posizioni e su quelle delle fazioni in questa contesa, per questo la ringrazio. >



Chinai leggermente la testa, come se accennassi ad un inchino, per poi riportarla in su.

< La natura umana è cosa assai complicata, potremmo discuterne in eterno scoprendo, secondo per secondo, miliardi di sfaccettature in ogni gesto che essa può compiere. Tuttavia non credo di essere l'uomo adatto per tale compito. Un Lupo come me non ha bisogno di porsi domande, non ha bisogno di capire ciò che sta dietro determinate azioni, se esse non disturbano il suo territorio.
Un Lupo viene a incontrarsi solamente con delle Prede, che siano esse per sfamarsi o per proteggere il proprio branco. Ciò che gli serve sapere concerne solamente quest'ultime.
>



Presi una piccola pausa, sospirando fievolmente.

< Nella mia esperienza personale, non ho mai incontrato uno di questi esponenti buoni della nobiltà. Forse ce ne sono ancora, proprio come dice lei, ma il fatto stesso che siano chiamati nobili li rende diversi da persone come me o da quelle presenti in questa stessa piazza.
Lei ha detto che solo l'unificazione dei due con il sangue del terzo può giovare i quattro regni. Ebbene mi trovo d'accordo con tale affermazione. Tuttavia, per unificarli davvero sotto un'unica egida, i nobili devono essere di smettere tali, ripudiare quella natura che da tempo li accompagna. Entrambi devono rinascere dalle ceneri in una nuova ed unica definizione, se vogliono cambiare lo stampo di queste terre. Forse ciò che dico è sbagliato o quantomeno approssimativo, tuttavia nella mia vita ho imparato che proprio una carica o un titolo, anche senza nessun patrimonio di lusso, creano i più immondi oppressori.
Quello che interessa a me non è cambiare la politica di questo paese attraverso un comizio o una corte eretta nel bel mezzo della città, piuttosto l'unica cosa che desidero è che al mondo esistano meno oppressi possibili.
Chiunque sia il Re, dovrà ascoltare la voce dei suoi sudditi e trattarli da uomini pari, ascoltando le loro grida di dolore, se vorrà mantenere il trono. Che poi sguazzi nel lusso o creda in un dio immaginario mi interessa ben poco.
>



Conclusi, riportando lo sguardo verso la Piazza. Aguzzando la vista, notai un piccolo gruppo di persone muoversi verso Zeno, salendo perfino i scalini della chiesa. Purtroppo da dove ero non riuscii a vedere molto.

< Sembra che qualcuno si sia avvicinato al Messia.>



Dissi facendo un cenno con la testa verso la piazza, come per indicare ciò che avevo appena visto.

 
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view post Posted on 14/3/2015, 23:45
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« La crociata del traditore »



una settimana al discorso di Zeno_____


La luna iniziava già ad essere velata dalle prime nuvole serali, che, spinte da un vento freddo, ricordavano a Šamaš e al gruppo di uomini che lo avevano seguito da Taanach quanto lontani fossero ormai dalla loro casa. Gharod, appoggiato tranquillamente con la schiena al muro di pietra mentre continuava a scrutare il guardino esterno mantenendo sotto stretto controllo i vari punti d’ingresso della villa, rivolse a Šamaš solo un breve cenno col capo scostandosi brevemente dalla sua posizione per consentirli di passare più agevolmente verso la passerella delle guardie. La loro nuova dimora ad Almerìa non era affatto comparabile alla loro precedente sede nell’Akeran ma presentava comunque una struttura solida e compatta, più simile ad un inusuale fortino che ad una più comune dimora nobiliare. Poche fiaccole illuminavano la stretta passerella, concedendo solamente una debole guida in quello stretto passaggio.

Nonostante tutto Šamaš proseguì lungo la passerella rapidamente, attraversando quindi l’angolo interno del giardino allontanandosi dalle fortificazioni esterne verso la parte interna della villa. Il centro dell’edificio era ancora quasi completamente sgombro con il mobilio ridotto al minimo per limitare gli interventi degli attendenti esterni fino a quando non avessero rafforzato la loro posizione nella città. Dopo aver attraversato due stanze deserte senza alcuna traccia di luce raggiunse finalmente il luogo desiderato. Più simile ad una ampia sala aperta appariva estremamente differente rispetto al resto della dimora: i mobili erano sapientemente sparsi ai lati e affianco al colonnato lasciando in posizione centrale numerosi tavoli, sedie e perfino due divanetti. A differenza delle altre aree l’intera sala era molto ben illuminata consentendo alla figura solitaria che riposava su una piccola poltroncina a lato di una lunga tavolata abbastanza luce per continuare la lettura della pila di lettere e documenti dall’aria ufficiale impilati a terra.

   « I nostri informatori confermano le voci che ci avevano raggiunto. A quanto pare ha finalmente deciso di esporsi nuovamente in un comizio pubblico. Ammirevole nei suoi intenti di mostrasi aperto al dialogo con le fazione opposte ha reso chiaro di volere raggiungere con questo discorso ogni angolo di Dortan. »

   « Ne abbiamo già discusso a suo tempo. Non possiamo assolutamente permetterci di appoggiare la sua figura o i suoi intenti populisti. E’ necessario che da questi tumulti esca vittoriosa l’unica fazione in grado di garantire un potere centrale forte e autoritario.
In questo momento il Circolo degli Arconti è la scelta più saggia e l’unica con la quale possiamo rapidamente giungere ad un compromesso.
»

   « Ancora non riesco a capire. » Šamaš scosse la testa con evidente rassegnazione conscio di star iniziando un dialogo dal quale poteva uscirne solamente sconfitto. « Gli uomini del Dicasterio sono comunque sempre coloro che erano già scesi nell’Akeran a supporto dei demoni pochi anni fa. A causa delle loro macchinazioni a Kanesh abbiamo rischiato di vedere Taanach sprofondare tra le sabbie. »

In un gesto d’ira al ricordo degli eventi di quella terribile battaglia la figura che fino a quel momento era rimasta comodamente seduta con lo sguardo ancora perso verso la lunga pila di documenti da leggere si alzò di scatto rivolgendo al proprio interlocutore uno sguardo raggelante. « Sembri dimenticare che io stesso ero a Kanesh! » Cercando di controllare l’irritazione l’uomo inizio a camminare lungo la stanza quasi volesse ordine nei suoi pensieri prima di proseguire quel discorso che si era illuso di aver già chiuso tempo addietro.
   « Non posso cambiare il passato Šamaš, non siamo stati in grado di salvare i nostri compagni ma possiamo sempre accettare quanto è successo e non commettere lo stesso errore una seconda volta.
L’uomo che ho affrontato tra le sabbie del vortice non era sceso a sud come alleato dei demoni ma al contrario si era posto al loro comando, soggiogandone la volontà ai propri scopi. Contro un simile potere i discorsi del prete non valgono nulla.
»

Annuendo mestamente Šamaš fece due passi verso di lui mantenendo lo sguardo basso in segno di tacito rispetto. Lui stesso aveva affrontato i demoni nella valle e scelto personalmente parte delle truppe da inviare a Quasha nel tentativo di assassinare Jahrir e porre fine alla rivolta dei nani e in entrambe le occasioni aveva miseramente fallito. Da quel momento l’intera politica interna della città aveva subito un rapido subbuglio con la presa dei Beik che si allentava di fronte alle moltiplicate pressioni esterne. Forse aveva torto e nemmeno Zeno poteva esser loro di alcun aiuto ma in ogni caso non riusciva ad accettare la politica di terrore che sarebbe seguita alla presa del potere da parte del Dicasterio.

   « I corvi Leici si riuniranno a Ladeca vicino al confine con la Roesfalda e vi saranno delegazioni da ogni città dei quattro regni. Non ti chiedo altro che di esserci. »



_______________________________________________________



ladeca_____


Il cappuccio del suo mantello si abbassò al passaggio del vento, facendo volare i lunghi capelli neri tutt'attorno al viso. Aveva scelto di viaggiare in totale anonimato abbandonando Almerìa assieme a delle piccole compagnie mercantili cambiando spesso gruppo in modo da rendere difficile tracciare il suo percorso e allo stesso tempo evitando gli insediamenti più grandi: erano passati diversi anni dalla sua ultima visita nelle pianure di Dortan ma allo stesso modo non avrebbe mai immaginato che gli effetti del regno del terrore di Lorch e della anarchia che ne fosse seguita avesse potuto vessare a tal punto la regione più fertile di tutta Thedas.
In ogni villaggio gli abitanti erano allo sbando senza alcun collegamento con gli eventi politico che stavano sconvolgendo il continente, ciascuno cercava solamente il proprio vantaggio momentaneo incuranti di aggravare ulteriormente la situazione.

Nonostante la propaganda dei corvi Leici Ladeca sembrava essere nella stessa triste condizione: ai suoi occhi abituati alle ordinate schiere di case in pietra e mattoni di Taanach quelle capanne dai tetti di paglia e fango apparivano ancora più fatiscenti e desolate con i suoi abitanti completamenti pregni dell’odore del terriccio e degli escrementi degli animali. In quel momento assieme al flebile alito di vento sembravano volar via anche gli ultimi residui della sua pazienza. Voleva tornare a casa, era stanco di stare lì senza risolvere nulla lontano da Almerìa e dai suoi progetti per gli esuli del Beik. D’altra parte però aveva accettato le suppliche di Šamaš di lasciare le incombenze più imminenti nelle sue mani e di andare ad ascoltare il discorso di Zeno insieme alle altre delegazioni straniere. Stringendosi nel mantello che ne copriva le umili vesti aveva potuto seguire tutta la lunga orazione esattamente al centro della folla riuscendo a passare facilmente per uno dei fanatici seguaci dei nuovi corvi. Tempo addietro, quando lui stesso aveva dato anima e corpo nel progetto di far risorgere Taanach dal proprio stato di apatica decadenza, sarebbe stato affascinato dalla capacità retoriche di Zeno fino al punto di accettarne la morale ritrita e gli intenti paternalistici.
Erano però passati numerosi anni da quella fase giovanile e ora aveva imparato ad accettare i lati più oscuri dell’animo umano e la sua totale incapacità di mantenere uno stabile governo democratico. Stava già per voltare le spalle al palco e alle vuote parole del prete quando un nuovo gruppo di persone prese le parola dando voce agli stessi pensieri che risiedevano nella sua mente.
Forse raggiungere Ladeca non si sarebbe rivelata una completa perdita del suo tempo.



Buona giocata a tutti i partecipanti e VOTE FOR ARKONTI!
 
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view post Posted on 15/3/2015, 03:19
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La crociata del traditore ~ Muta.
« Che valore ha il vero nome di Dio,
quando Dio non ha orecchio per sentire? »

Il discorso di Zeno aveva infiammato gli animi, in senso positivo, tanto che qualcuno iniziò ad urlare di volersi asservire ai Corvi Leici. Una scena pietosa, ma comprensibile dato lo stato di grave crisi religiosa e morale in cui versava la maggioranza dei cittadini. Offrirsi al clero era un modo per agire, per uscire dallo stato di immobilità nel quale tutto il regno sembrava restare, era quasi come se tutti aspettassero un passo falso del rivale, invece di agire per primi e farsi promotori del futuro. La sola idea di restare in disparte ancora a lungo mi turbava. Ad una certa qualcuno si mise a parlare con Ryellia, chiedendo in merito al drago zanna. Per non disturbarli salutai il nuovo giunto con un sorriso ed un lieve cenno del capo, lasciandolo a bearsi della creatura. Arrivò anche Lothar, il nano scorbutico, ma per fortuna parve non interessarsi direttamente a me, preferendo rischiare la morte nell'insultare i Lancaster davanti alla Dama Rossa. Sperai con tutto il cuore che Ryellia ricordasse le brevi lezioni su come comportarsi pubblicamente, anche in presenza di mezzuomini di quella levatura culturale.
Tra la folla radunatasi, nel giro di pochi istanti, qualcuno si mosse verso il pastore: era il corteo degli arconti, armati di tutto punto, che si apprestavano ad entrare con la brutalità di una valanga in quell'oasi di pace e speranza. L'uomo che prese parola doveva essere Dulwig, il rappresentante del Dicastèrio; sebbene non l'avessi mai visto il suo nome era noto nelle sfere del nuovo gioco politico del regno, e sicuramente era giunto lì col preciso scopo di contrastare l'evidente crescita di consenso da parte di Zeno e dei suoi proseliti. Stavamo assistendo a una guerra ideologica, una guerra dove si scontravano religione con altra religione, idee con altre idee, ma nessuno dei due presenti sulla piazza aveva ancora detto la cosa più importante.
Sembrava si divertissero, i politicanti, a girare attorno al fulcro dei problemi, sviando in ogni modo le tematiche su discorsi ininfluenti, sciocchi e privi di fondamento logico. Aggredire il pastore in merito alla sua capacità di giudizio, fare un processo alle intenzioni, dava solo la plateale dimostrazione di quanto ridicole fossero le aspettative degli arconti, figli di una chiesa corrotta, decaduta, modificata a tal punto da non riflettere nemmeno più la luce del Sovrano. Mi disgustavano oltre ogni ragionevole dubbio. E questo, come se non bastasse, ci metteva anche in una situazione di profonda inferiorità giacché, se nessuno avesse fatto sentire la voce dei Pari, la sconfitta politica di quella giornata avrebbe toccato livelli imbarazzanti. Iniziai ad agitarmi, ogni parola che usciva dalla bocca di Dulwig era come un sottile spillo metallico che mi entrava sotto la pelle, infastidendomi a tal punto da non riuscire più a sopportarlo. Poteva anche avere ragione nell'affermare la necessità di un comando forte, ma in tutto quel caos di idee non avevo sentito nient'altro che "gli Arconti sono meglio di voi, perché è così punto e basta!". Non una singola motivazione, non un accenno al futuro di questa nostra terra, niente. Solamente parole al vento.

« Mia Signora devo andare laggiù. » dissi a bassa voce. « Se li lasciamo parlare senza che qualcuno prenda le nostre parti subiremo una sconfitta politica non indifferente. » guardai anche Ainwen ed il Conte, che supponevo avessero le mie medesime titubanze in merito al lasciare agire quei due senza la nostra voce. « Questo è il momento di perorare la nostra causa davanti a tutti! » senza volerlo mi scoprii a serrare duramente il pugno della mano destra, quasi quel discorso avesse risvegliato una sorta di furore sino a quel momento taciuto.
Sia Ryellia che Ainwen e Gabriel acconsentirono alla mia richiesta e, senza perder tempo, iniziai a muovermi tra la folla per raggiungere Zeno e Dulwig.
Ad ampie falcate, spostando la folla anche con un poco di irruenza, cercai di guadagnare la zona antistante la chiesa di Ladeca. Avevo il cuore che mi batteva all'impazzata, le labbra lievemente secche e il respiro affannoso per la tensione. Potevo farcela, l'avevo fatto altre volte, ed ero sicuramente la meno violenta tra tutti i Pari vicini al Consiglio... e mentre uscivo dalla folla ritrovandomi nella terra di nessuno tra gli astanti e Zeno, mi resi realmente conto di quanto stavo rischiando con quella follia. Non si trattava semplicemente di gridare consenso o dissenso, ma di pronunciarsi ufficialmente, e personalmente, davanti a tutti in merito al regno. Forse nessuno avrebbe badato a me, forse mi avrebbero semplicemente fatta portare via di peso non appena avessi chiuso bocca e nessuno mi avrebbe ricordata. Oppure avrei ricevuto una condanna per eresia finendo bruciata viva o peggio, incarcerata da qualche parte per conto del Dicastèrio.

Forza e coraggio, Azzurra, questi due non sono niente in confronto ad Aedh Lancaster.
« È qui! » cercai di rimanere ferma, mentre un tremito mi percorreva la schiena al cospetto di quei due. « La risposta alla vostra domanda, mounsiuer Dulwig, se l'intuito non m'inganna, è qui. » mi inchinai brevemente. « Il mio nome è Azzurra de Rougelaine, e posso dirvi che monsignor Zeno non sarà da solo a risolvere i problemi di questo nostro regno. I Pari sono giunti qui per partecipare a questa pietra miliare nella storia dei regni, che ora più che mai necessitano di cooperazione, fiducia e speranza. »
Con un gesto plateale della mano indicai la delegazione con la quale era arrivato poco prima l'Arconte.
« È con la paura, con la violenza che volete ripristinare l'ordine? Così non otterrete niente, ripercorrete solamente le orme dei più grotteschi fallimenti della nostra era. Venire qui per criticare padre Zeno è disdicevole persino per il Sacro Dicastèrio, invero. »
Regalai un'occhiata al vetriolo a Dulwig, quindi alzai la voce perché nessuno rimanesse escluso da quel discorso.
« Siamo davanti al nostro futuro, qui, in questi giorni, spetta a noi decidere cosa ne sarà delle nostre vite. Popolo, Pari, Clero, devono dare vita a qualcosa che mai si è visto prima di oggi, qualcosa che vada oltre il mero ideale, che vada oltre le belle prediche. Non siamo venuti qui oggi per assistere alla nascita di una nuova guerra, nel nome del Sovrano. Molti dei nobili che tanto disprezzate stanno già costruendo riforme nei loro territori, stabilendo diritti per i cittadini, tolleranza per le minoranze, un nuovo futuro che non costringa nessuno ad abbandonare ciò che è, ma lo trasformi in qualcosa di migliore, di nuovo. »
Poi tornai a rivolgermi alla piazza, con le gambe che facevano tintinnare appena i gambali tanto tremavo.
« Sua eccellenza ha ragione: dimentichiamo il passato, non lasciamo che esso ostacoli ciò che deve venire. Io non parlo per conto di Dio, non indosso una maschera, io sono davanti a voi a dirvi che la speranza c'è, ma l'unica che esiste si compirà cooperando, perché se decidiamo di annullare quello che non ci piace, quello che vediamo diverso da noi, allora non siamo migliori di quel cane che era Mathias Lorch. »
Se esisteva una speranza, se davvero si poteva evitare la guerra e ottenere un beneficio per tutti valeva la pena di provarci. Ryellia e Ainwen non avrebbero apprezzato quella presa di posizione, temevo, ma non tutto poteva essere affrontato di petto. Stavo lottando contro una falange impenetrabile di disapprovazione: colpirla frontalmente non avrebbe risolto nulla.
« Continuare sulla strada del dissenso, dell'odio e del rancore porterà ad una nuova guerra! Ora con i Pari, ora con gli Arconti. Avete già scordato Basiledra?Dimenticare il passato non significa ignorare tutto ciò che è accaduto! Avevamo la più bella città del mondo, la più grande Cattedrale che l'uomo abbia mai concepito per onorare il Sovrano, e per colpa della nostra arroganza, del nostro volerci imporre agli altri abbiamo perso tutto. »
Tornai infine a guardare Zeno, fissando quella maschera inespressiva con un moto di soggezione.
« E allora io dico basta! »
Portai la mano su una delle due spade, sfoderandola e allarmando non poco le guardie.
Senza perdere tempo la gettai ai piedi del sacerdote, facendola impattare duramente contro il terreno.
« Abbiamo tutti un futuro in questo regno. Io non so se il vero nome del Sovrano sia Zoikar, non è importante, ma so che ogni goccia di sangue umano, non importa di che ceto, apre una ferita nella sua anima. »

« Non più critiche, Ser Dulwig! Non più belle speranze, monsignor Zeno! »
« La pace va costruita, prima che protetta. E tutti noi, oggi abbiamo questa possibilità, seduti al medesimo tavolo, di compiere ciò che sino ad oggi è stato considerato impossibile. Un unico Regno, con un unico Dio, con un solo Popolo! »
Poi passai lo sguardo su Dulwig e Zeno, sfoderando un piccolo sorriso e abbassando la voce in modo che solamente i due interessati potessero udirmi.

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« Se i Pari ed il popolo si unissero nel nome di Dio, come sta succedendo proprio mentre parliamo, e non approvassero il Dicastèrio, Ser Dulwig, chi sarebbe l'elemento di dissenso da eliminare? »


Infine aprii le braccia, come a volermi discolpare di aver detto qualcosa di fastidioso. Per quanto mi concerneva Dulwig e tutti gli Arconti valevano meno di un soldo bucato, apportando al regno lo stesso beneficio che una cancrena porta ad un essere umano. L'unico motivo per cui non gli avevo ancora vomitato tutto il mio disprezzo in faccia era la semplice salvaguardia delle apparenze, oltre che il rispetto dell'uniforme che indossavo.
I nobili non esistevano senza il popolo, il popolo non esisteva senza un governo.
Zeno era il popolo, era tutto ciò di cui avevo bisogno, di cui la mia fede aveva bisogno.
Per quello che ne sapevano i miei Signori, quella era tutta messinscena per attirare dalla nostra il popolo, ma per me era ben diverso. Io credevo fermamente nella possibilità di costruire qualcosa di duraturo, un impero in grado di sopravvivere per diecimila anni. Un mondo fatto di riforme, di regnanti illuminati, di cultura, delle medesime meraviglie che avevo veduto a Qashra. Eravamo ad un passo dal coronamento di quel risultato, l'ultimo, difficile sforzo prima della cima. Avevo anche smesso di tremare, limitandomi a fissare le bianche vesti di Zeno, troppo intimorita per affrontare il suo sguardo dopo quelle mie parole.

Pacem in Theras, la macchina era in moto.



dividerazzurrafinale_zps51a4e64f
B. 5% - M 10% - A. 20% - C. 40%

Capacità Speciali: //
Stato fisico: 125%
Stato mentale: 75%
Riserve Energetiche: 100%
Stato Emotivo: Ansia.

Equipaggiamento:
• Spada Bastarda (Arma bianca, spada bastarda) [Fianco]
Spada Lunga (Arma bianca, spada lunga) [Fianco] (Gettata al suolo)
• Braccio Corazzato. (Arma bianca, conta come maglio) [Sx]
• Pugnale (Arma bianca, coltello) [Legato sullo schiniero Dx]
• Corazza Mista. (Protezione mista, metallo-stoffa, medio-pesante)

Passive in uso:
- La Pucelle de Basiledra: E' una voce roboante, un ruggito di orgoglio, un vessillo sgargiante nel mezzo della distruzione. Quanto successe a Basiledra fu monito per tutti di quanto, a vincere le guerre, non sia solamente la spada, ma anche chi la spada la tiene in pugno. Tenere alti gli animi, non arrendersi nemmeno quando tutto sembra oramai perduto, financo che la terra stessa si apra sotto i nostri piedi, noi combatteremo, noi non ci arrenderemo, prendendoci cura gli uni degli altri, spalla a spalla, perché è così che sono gli uomini, è così che devono essere: eroici.
[Passiva Talento Guardiana I - Fiducia. Capacità di infondere fiducia negli animi, anche nel cuore della battaglia] (Utilizzi:5)

Attive usate: ///

Note: Azzurra usa involontariamente le sue doti di fiducia. Non credo ci sia nulla altro da specificare... se non il folle idealismo di Azzurra. Ho concordato che Anna e Kita e Stella l'ok per mandare Azzurra, che non avrebbe mai agito senza il permesso dei suoi Signori. Per chi se lo stesse domandando, sì, la politica secondo Azzurra funziona a "consenso" popolare.
 
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view post Posted on 15/3/2015, 13:47
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Cardine
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Disse Sunzi:
Per attaccare con la certezza del successo si attacchi ciò che non è difeso;
per difendere con una certezza di stabilità si difenda ciò che non viene attaccato.


A una persona qualsiasi sarebbe sembrata un'ovvietà quasi imbarazzante, per un trattato di strategia, ma per Josiah non lo era affatto. Era l'enigmatica risposta che il Tomo aveva deciso di dargli, e adesso toccava a lui interpretarne i significati più profondi. Chiuse il libro con delicatezza, ancora profondamente turbato, e si guardò attorno in cerca di qualcosa di diverso che potesse attirare la sua attenzione. Aveva bisogno di liberare la mente, prima di meditare un po' su che cosa, a quel punto, fosse giusto fare.
   La piazza era gremita di persone di ogni tipo, ma pur in tutto quel trambusto gli fu impossibile non notare una grossa sagoma per niente umana, che se ne stava in disparte. Lo stratega aguzzò la vista e si spostò in quella direzione seguendo il perimetro della piazza, dove la folla era ancora abbastanza rada da poter passare evitando gomitate e bestemmie. E presto gli fu evidente che non aveva visto male, poco prima: era un giovane drago - di che razza gli era impossibile definirlo, non essendo un esperto, ma era pur sempre un drago! - a torreggiare tra gli astanti, che sembravano tenersi cautamente alla larga dalla bestia. Ad un primo sguardo pareva di certo perfettamente addomesticata, ma se fidarsi è meglio...
   Pure in una pagina del Bingfa, nel capitolo dedicato all'uso strategico del fuoco nelle campagne militari, si parlava di un drago. Non in modo diretto, s'intende. Era stato uno dei passaggi peggiori da decifrare, poiché il simbolo magico era celato minuziosamente nelle parti di testo che parevano semplici imprecisioni nella grafia, o sbavature dell'inchiostro. Era ricomponendole secondo uno schema matematico scritto in calce che si otteneva il cerchio e la formula per l'incantesimo. Gli ci erano volute due settimane intere, passate senza mai smuoversi dal suo tavolo personale della biblioteca di Lithien se non per i bisogni più impellenti, per giungere a una conclusione soddisfacente.
   E fu proprio ripensando alla sua permanenza a Lithien che si accorse che la faccia dell'uomo vicino al drago gli era in qualche modo famigliare. Pensò dovesse averlo incrociato, per caso, all'interno della biblioteca. Che fosse l'attendente di qualche arcimago, oppure uno studioso indipendente? Di sicuro non lo conosceva abbastanza per andare a chiederlo, e probabilmente avrebbe disturbato la conversazione che stava intrattenendo con la donna dai capelli chiari, forse la padrona del drago. Josiah poteva vedere solo la sua schiena, ma già dal suo fiero portamento era evidente che fosse una donna splendida. Soffocò in fretta quel tenue sentimento di invidia.
   Fu un dolore al ventre a distoglierlo prepotentemente da quei pensieri.
   Non di nuovo, si disse.

Taliesin si lasciò scappare un sorriso beffardo.
   Non era un grande esperto di droghe, ma nemmeno era totalmente nuovo all'ambiente e sapeva riconoscere gesti e sguardi. Era quasi certo che il tizio accanto a lui ne avesse appena trangugiata una, di qualche tipo. Tornò a mangiare le sue noccioline, ma poi pensò a quanto sarebbe stato divertente metterlo in imbarazzo con qualche domanda scomoda. Diede una gomitata a Juan perché prestasse attenzione e porse il sacchetto di nocciole allo sconosciuto, offrendogliene alcune e chiedendogli se tutto andasse bene.
   Si accorse subito che quello provò prima a defilarsi, ma che la calca glie lo impedì. Fu in qualche modo costretto a parlare con il bardo e, forse per cortesia, forse per curiosità, infilò una mano nel sacchetto e prese un frutto. Chiese poi alla strana coppia, con fare sospetto e voce graffiata, se fossero lì per lui. Quei modi e quel tono suscitarono l'interesse di Juan e l'ilarità di Taliesin, che lo rassicurò prontamente circa le loro intenzioni.
   «Oh, no! Io e lui siamo qui per caso» fece, indicando Juan con la bocca ancora piena di cibo.
   «Da dove vieni?» lo interrogò il beduino che si era subito accorto del suo stano accento, che gli sembrò simile a quello di certi mercanti Akeraniani che aveva modo di incrociare nella sua vita precedente, come la chiamava Taliesin. Lo sconosciuto però evitò prontamente la domanda.
   «Silenzio. Il silenzio mi ha spesso salvato la vita ultimamente, e ora come ora preferisco affidarmi a lui. Quanto a voi, potete chiamarmi…». Parve pensarci su, come fosse in cerca di qualcosa di brillante da dire. «... Nuts!» aggiunse.
   Juan parve confuso, non avendo colto la sottile battuta. Taliesin invece sghignazzò, e stette al gioco. Si avvicinò a quel buffo individuo e, imitando la sua esagerata riservatezza, gli sussurrò qualcosa.
   «Noi siamo Taliesin e Juan. I Ruadh. Non dimenticare i nostri nomi».
   A quel punto, senza una sola parola, Nuts si dileguò. Taliesin ricominciò a mangiare, divertito; il beduino invece passò qualche istante a guardarsi attorno. Poi, esasperato e confuso, prese anche lui una nocciola.
 
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view post Posted on 15/3/2015, 14:06
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Suzushikei
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Dalle nebbie del passato...

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La crociata del traditore

Muta
Atto I

La Ruota del Tempo ha molteplici aspetti.
Il mondo si evolve attraverso i cicli, raccontando la sua storia.
Ciascuna fase ha il proprio periodo di transizione.
Noi lo chiamiamo “Vivere in Tempi Interessanti”.
Noi lo chiamiamo “Destino”.
Noi la chiamiamo “Libertà”.
Una verità, nessuna verità, centomila verità.
Tu che sei testimone e giudice della tua esistenza.
Tu che scruti il tuo Futuro nelle Sabbie del Tempo, sarai in grado di decifrare l'Enigma?
Seguirai il Cuore o la Ragione quando Tutto si metterà in moto?




«Parlato (Umano)» «Parlato (Incubus)» Pensato Narrato Mariha Dwor




Qashra
Biblioteca universitaria


Reclinai il capo verso l'alto, poggiando stancamente le spalle contro lo schienale della poltroncina. Avevo perso il conto delle ore immerso nella lettura di un antico rotolo di pergamena di un misterioso studioso dell'Arte Divinatoria, il cui nome si era perso nel “Flusso del Tempo”. Era la traduzione più accurata, che ero riuscito a reperire, di un testo arcaico di cui si favoleggiava nei circoli accademici.
Ad essere sinceri non ero uno stimatore di tale Arte, per quanto avessi avuto modo a Lithien di venire a contatto con un cartomante. Mi ero lasciato attrarre dalla sua dialettica e mi aveva mostrato attraverso la scelta di tre carte, il Passato, il Presente e il Divenire.
Un Futuro non ancora scritto, disperso tra i Futuri possibili.
Era stata una nota piacevole prima del richiamo della battaglia.
Non credevo in un Fato scritto negli Astri.
Credevo nel Destino scritto da noi stessi.
Credevo in un Futuro mutabile attraverso le mie azioni, le mie scelte.
E allora perché la predizione di quel cartomante aveva incatenato il corso degli eventi, rendendo possibile il divenire annunciato, trasformando la sua verità nella mia realtà?
Perché una semplice carta era riuscita ad avere un tale potere sulla mia vita?
L'inizio e la fine di un viaggio.
Questo mi era stato predetto.
Avevo concluso un ciclo.
Dovevo lasciare andare il passato.
Dovevo sigillare i ricordi per non soffrire.
Il rimpianto non avrebbe riportato indietro coloro che non avevano visto sorgere una nuova alba.
Non avrei onorato la loro memoria.
Ero tornato a Qashra per rimettere la mia vita nella giusta prospettiva, per riuscire ad andare avanti, per terminare ciò che avevo lasciato in sospeso.
Volevo cancellare il ricordo di quella predizione, volevo riprendere in mano la mia esistenza.

Volevo...
… seguire la mente...
…. ignorando la voce del cuore...


Una voce duale che spezzava il mio spirito, legandolo in due luoghi così diversi tra loro.
Non volevo più disperarmi per una lotta senza Speranza.
Desideravo vivere nella Terra che mi aveva visto rinascere.

Desideravo...
Mi illudevo...
Non credevo nel Fato...
Il Destino mi aveva preso per mano...
Il mio viaggio stava volgendo al termine...
Il mio viaggio era appena cominciato...
Avevo vissuto in “Tempi Interessanti”.
Avrei vissuto nuovi “Tempi Interessanti”.
Istinto e logica, la mia dualità.


Non ero ancora completo, potevo infrangere l'ultimo tassello della predizione.
Potevo, ma al prezzo di una nuova predizione.
Un'antica filastrocca rivenuta per caso, durante l'archiviazione di vecchi e polverosi tomi.

Un'ombra oscurò all'improvviso il mio campo visivo.
Kirin, non dovreste ostinarvi a cercare nei libri la risposta che già conoscete.
Voltai lo sguardo nella direzione del mio interlocutore.
Dwor era un nano avanti negli anni, il volto abbronzato, temprato dal sole del deserto.
Era un mio collega, che si occupava della storia antica del suo popolo. Aveva trascorso l'intera esistenza nel tentare di riportare alla luce la verità nascosta nelle leggende.
Tirò la sedia all'indietro per accomodarsi al mio fianco.
«Una riposta che mi appartiene, voi dite?» Lo osservai con aria dubbiosa. «Sono giorni che cerco un significato, una verità celata in quelle parole, ma non riesco a carpirne il senso.» Ammisi, osservando le annotazioni vergate su fogli di carta sparsi su tutto il tavolo.
Mio caro ragazzo, non state leggendo le frasi nella giusta luce, nel corretto ordine. Vi è un codice di lettura per ciascuno di noi. Un interessante rompicapo, lasciato da un nostro antenato. Liberate la mente da ogni pensiero superfluo e focalizzatevi sul testo. Quali sono le parole che vi colpiscono di più? Quale la domanda che attende da voi la risposta?
«La domanda che attende la mia risposta...» ripetei mentalmente.
Osservai il testo, lasciando che le parole scivolassero, senza imbrigliarle nel flusso dei miei pensieri.

La Ruota del Tempo
Tempi Interessanti
centomila verità
testimone e giudice
quando Tutto si metterà in moto
Seguirai il Cuore


«Seguirò il Cuore o la Ragione quando Tutto si metterà in moto?» Mormorai con un filo di voce.
Mi lasciai andare ad un profondo sospiro.
Conoscevo la risposta.
«La logica mi imporrebbero di scegliere, di giungere alla fine del viaggio, ma il mio animo non lo accetta. In questi lunghi mesi ho imparato che l'amore non è divisione ma unione, che la via del cuore può custodire ogni luogo a me caro. Avevo perso la Speranza, ma la Speranze non aveva perso fiducia in me.» Chiusi il libro con delicatezza. «Sono troppo giovane per dedicarmi al solo insegnamento. Intendo viaggiare, ricercare le conoscenze perdute e non rinunciare ad amare ogni territorio che visiterò, né rinnegare uno dei luoghi a me più cari, in favore dell'altro.» Misi enfasi in quelle parole; parole in cui credevo, nonostante sembrassero frutto di un'ingenuità fanciullesca.
Sorrise all'inizio, consapevole della mia vera natura, poi la sua espressione mutò, facendosi più pensierosa.

Non ti chiederanno di lottare per loro.
«Lo so.»
Potrebbero non accettarti. Un ciclo si è concluso.
«Ne sono consapevole.»
Riuscirai ad essere giudice imparziale e testimone degli eventi?
«Non si tratta di riuscire, ma di dovere. Non posso permettermi di dubitare.»
Li hai così a cuore?
Annuii.
«Come tutti voi, mastro Dwor.»




Ladeca

Mi ero mescolato tra la folla che si stava radunando nella piazza antistante la chiesa, in trepidante attesa del loro oratore. Per puro caso avevo scoperto, tramite i contatti mantenuti con alcuni membri della Resistenza, della presenza di Zeno in città. Dalle informazioni ricevute sembrava in procinto di tenere un discorso in giornata. Una notizia che mi aveva messo addosso una certa curiosità.
Ero avvolto in un ampio mantello, con il cappuccio calato sulla testa per coprire il rosso dei miei capelli, che si sarebbero inondati di riflessi di fiamma in quella luce del primo meriggio. Stavo mantenendo un basso profilo, osservando le persone al mio fianco con aria guardinga, nascondendo i miei lineamenti nella semi oscurità offerta dal tessuto che mi avvolgeva. Dubitavo di correre dei rischi. Le persone che conoscevano la mia affiliazione con i Sussurri erano a malapena una decina, ma preferivo non far correre pericoli inutili a Mariha. La fanciulla in questione si era ostinata a volermi seguire in questo mio viaggio con la testardaggine tipica della sua età. Naturalmente, per rendere la situazione un tantino complicata, si era aggiunto Sullivanyus. Per nostra fortuna nessuno sembrava essersi accorto del cucciolo di drago, addormentato tra le braccia della mia sorellina adottiva, semicoperto dal mantello.
Kirin...
«Si?»
...dovresti calmarti un po'...
Mi voltai a fissarla con aria interrogativa.
«Io? Secondo te chi sta causando il mio nervosismo?»
Mh... Agorafobia?
«Eh?»
Coscienza sporca?
«Sei seria?»
Manie di protagonismo?
«Mariha...»
Meno male che non ti abbiamo lasciato andare da solo o chissà in che guai ti saresti potuto cacciare.
«...cosa stai...»
Scherzetto!
«...dicendo? Scherzetto? Ti pare il luogo adatto?»
La vidi cercare il mio sguardo, rivolendomi un'occhiata eloquente.
Stavo cercando di sdrammatizzare. Non ti sei rilassato un solo secondo, da quando abbiamo lasciato l'Akeran. Sentii una sfumatura di preoccupazione provenire dalla sua voce.
«Non pensi che abbia una buona motivazione?»
No! E non provare ad affibbiarci la colpa. Mentiresti, sapendo di mentire.
Sospirai.
«Non è un luogo sicuro.»
Neanche Taanach lo era, eppure quante volte io e Sullivanyus ce la siamo dovuta cavare da soli durante i tuoi viaggi?
Touché.
Non aggiunsi altro: Zeno aveva fatto la sua comparsa.
« Popolo dei Quattro Regni. »
E fu così che tutto ebbe inizio... Un nuovo inizio.
La guerra era finita, ma a quale prezzo?
Era davvero possibile porre quanto accaduto sotto una luce diversa, una luce propositiva?

Nessun nemico... nessun avversario...
...Collaborare...


Incolpare i simboli decaduti della rovina di un Regno.
Era questo il metodo per dimenticare le nostre colpe?
Ragione o torto, avevo imparato a mie spese come fossero legate da un filo indissolubile. Eppure sembrava non avere importanza. E forse era giusto così. Non potevo biasimare Zeno per la sua oratoria. Sembrava avere a cuore le sorti della popolazione, per quanto avessi avvertito una sfumatura “provocatoria” nel tono della voce, nel discorso che aveva accompagnato il suo invito alla collaborazione.
Quando introdusse la volontà del Sovrano, rivelandone il nome, mi sentii strano, confuso; purtroppo il mio rapporto con la religione era un po' conflittuale, se così potevo definirlo.
Le parole di Zeno raggiunsero con il passare del tempo un crescendo emozionale.
Unione, libertà e uguaglianza. Non era un obiettivo utopico? Come si proponeva di dare una realtà a quanto asseriva?
Quelle considerazioni passarono in secondo piano nell'ascoltare le ultime fasi del discorso.
« Non riuscirete a procedere verso il futuro ripercorrendo la strada di chi ha fallito in passato! » Non avrebbe dato più enfasi un “Noi”? Non sarebbe stato più coinvolgente asserire: Non riusciremo a procedere verso il nostro futuro ripercorrendo la strada di chi ha fallito in passato?
« Il Sovrano ci ha mostrato i nostri nemici » esordì, solenne.
Nemici?
« e nessuno di loro appartiene al suo popolo. Ricordate: divisi cadiamo, uniti restiamo; per sempre. »
Nessuno appartiene al popolo... o all'intera popolazione di questi territori?
Chi erano i nemici? Perché aveva preferito tacere sulla loro identità?

«Divisi cadiamo, uniti restiamo; per sempre.»
Estrassi dalla tasca la moneta su cui era inciso un motto analogo. Un tempo era il suo credo, la sua voce.
«Populus regem domina...»
Un tempo il ricordo di quanto aveva sacrificato.

Non provi alcun rimorso? La voce di Mariha raggiunse le mie orecchie. Non aveva un tono accusatorio, stava semplicemente cercando di capire la mia scelta. La decisione di cui l'avevo messa al corrente prima del nostro arrivo a Ladeca. Hai sempre creduto in loro, hai combattuto per loro, perché ora li abbandoni?
Come poterle spiegare le motivazioni?
Il cucciolo si mosse irrequieto.
Già, Mariha non era la sola a cui avrei dovuto dare spiegazioni.
«Non li ho traditi. Il popolo è nel mio cuore, purtroppo non vedo in loro quella fiamma che dovrebbe ardere.» Mi sforzai di mantenere un tono di voce inespressivo, pur provando una profonda amarezza. «Hanno sofferto, hanno pagato con il sangue, ma si sono lasciati trascinare dai simboli, senza ergersi loro stessi come un unico compatto vessillo. Essere liberi significa essere disposti a sacrificare quanto di più prezioso si possa avere. Non sono ancora pronti per un tale passo...»
Come puoi dirlo?
Questa volta la voce vacillò.
«Vorrei tanto non fosse così, ma ho imparato a mie spese che i tempi non sono ancora maturi.» La moneta sembrava bruciare nel palmo della mia mano.
E credi che con loro staranno meglio?
Annuii.
«Spero in un compromesso, in un equilibrio in grado di garantire al popolo una vita dignitosa. Un piccolo passo, ma molto significativo per il futuro.» Stavo per aggiungere altro, quando una certa concitazione, in direzione di Zeno, attirò la mia attenzione.
Cosa sta succedendo? La sentii domandare.
«E' il “Sensoo”.»
Sensoo? Fece eco, fissandomi per un istante con aria interrogativa.
«Una guerra può essere combattuta in molti modi. Non sottovalutare la sottile arte della dialettica.»

In fondo un'eccelsa argomentazione può ottenere più risultati di una spada, non è vero dama Azzurra?


 
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Humean
view post Posted on 15/3/2015, 14:35




Arcana Imperii


La crociata del traditore – Muta



Tre giorni prima – sulla strada

-Vedete quella diligenza, sir? Anche i pezzi grossi vanno a Ladeca.
Lanciai un'occhiata alla nera carrozza che si allontanava davanti a noi, e alla sua nutrita scorta armata. Poi tornai a fissare il volto sdentato del contadino.

-Chi sono?

-Corvi Neri, sir. Mia moglie è riuscita ad intravedere manti scuri e bianche maschere attraverso gli stretti finestrini.Sono rispuntati fuori dopo la caduta di Basiledra e a poco a poco tornano a farsi vedere in pubblico.

Il ronzino bruno attaccato al carretto del vecchio si fece irrequieto per un istante, e prese a soffiare violentemente dalle narici. Ma la mano esperta del suo padrone lo riportò rapidamente alla mansuetudine.
-Credevo che i Corvi Neri non amassero Zeno. Perché si dirigono verso Ladeca?

-Aye, non lo amano è dir poco. Ma lei è un ragazzo istruito, lo sa come si dice: tieniti stretti gli amici...

-Capisco.

La carrozza era sempre più distante, e oramai potevo distinguere solo la polvere che le ruote sollevavano. Ma l'avrei rivista in città. Alla fine avevo deciso: non mi sarei fatto sfuggire quell'occasione.

-Sta bene, Nigel. Mi hai convinto: ti seguirò a Ladeca. Ma dovrai anche darmi da mangiare. Questo è tutto il denaro che ho con me.

La bocca vuota dell'uomo di allargò in un sorriso avido, mentre afferrava al volo la bisaccia.

-Aye, sir. Basterà. Salta su.

Mi arrampicai sul carretto, e non ero ancora stabilmente dentro quando uno schiocco di frusta mise in moto la piccola carovana. Il vecchio Nigel mi porse una mela rinsecchita, e mi indicò con la stessa mano un mucchio di fieno nell'angolo.

-Mettiti comodo, sir. La strada è lunga e accidentata.


Ladeca - Piazzale della chiesa

Ladeca era a lungo stata la seconda città più popolosa dei Quattro Regni, anche se la netta superiorità di Basiledra, in splendore e prestigio, l'aveva sempre messa in ombra. Ora finalmente questa aveva tutti i riflettori su di sé.
Tale inaspettata attenzione era testimoniata dall'incredibile folla che si accalcava intorno al palco. Sicuramente, la pur grande piazza antistante la chiesa non era stata concepita per contenere un tal numero di persone, perché in verità molti rimanevano schiacciati ai margini senza avere la possibilità, se non per qualche fugace minuto, di farsi largo fin dentro il cuore del foro. Poco importava, perché l'entusiasmo era alle stelle. Sin dall'alba, per le strade, dalle finestre, dai vicoli, si sentiva ovunque bisbigliare un solo nome, come se la città ne fosse posseduta:

“...Zeno...

...Zeno...

...Zeno..”

Il Corvo Bianco avrebbe parlato alla città e ai pellegrini accorsi per ascoltarlo. Io ero uno di quelli.
Nelle grandi avversità, è facile per un uomo scaltro fare leva sulle angosce dei disperati, lusingarli con dolci parole, lambirli con fantastiche speranze, e lasciare che loro stessi gli devolvano la loro adorazione e, infine, il potere. Io ho sempre immaginato che Zeno fosse un uomo di questa risma, un demagogo che non ama farsi odiare, e che perciò riempie il mondo di colorate illusioni. Eppure il fascino magnetico che, mi narravano, esercitava sulle persone di ogni rango e fede mi imponeva di mettere per una volta in discussione il mio giudizio. Quel pomeriggio avrei toccato con mano quella figura che, nel bene e nel male, sembrava lo spirito stesso del nostro tempo ingrato. Insieme a me, c'era una folta delegazione di tutta la stirpe degli uomini: popolani, patrizi, Pari, erano venuti nell'entusiasmo o nello scetticismo per suggere il miele che sarebbe sgorgato dalle labbra del prete. Sgusciai meglio che potevo fra quella gente, finché la muraglia umana non fu così densa e compatta che non fu più possibile proseguire. Da lì avrei potuto ascoltare.
Dovetti attendere non più di qualche minuto. Poi, un'ondata di inquietudine nella piazza preannunciò la sua entrata in scena: un fitto mormorìo si impossessò della città mentre la sua figura modesta saliva i gradini e prendeva posizione. Poi ogni rumore cessò improvvisamente, e dopo un istante di silenzio assoluto, la voce stentorea dell'uomo più amato dei Quattro Regni riempì l'aria.
Zeno parlava con sicurezza e con benevolenza, alternando nel suo tono la forza e la dolcezza. Mai aspro, mai tagliente, per qualche minuto aprì le menti del suo pubblico ad una meravigliosa visione, ad un sogno di pace e fratellanza da costruire insieme. Per me non fu difficile abbandonarmi, per qualche istante a questa retorica trascinante che ci incitava a scrollarci di dosso ogni autorità, per ripartire insieme. Ma non appena tacque, la mia fredda e impietosa ragione riprese possesso del mio cuore usurpato da Zeno, ed un'amara consapevolezza fece presa su di me. Menzogne, e nient'altro, erano uscite da quella bocca.
Il suo discorso fece tremare le mura secolari della città, e i cuori di molti degli ascoltatori. Non il mio. Anzi, un velo di delusione scese sul mio cuore. Per qualche motivo, avevo dentro di me sperato di sbagliarmi su Zeno, di trovare in lui una guida più saggia di quanto mi aspettassi. Invece, tutto quello che mi compariva davanti agli occhi era un piccolo uomo ignorante, che proprio per la sua ignoranza e per qualche dote della fortuna riscuoteva tanto successo.

“Ignori volutamente l'oscurità che si nasconde nei cuori degli uomini, perché questi sono loro la fonte della tua gloria, esclusivamente terrena. Devi riempirli di lusinghe, incoraggiarli nei loro peccati di superbia, raccontare loro un sacco di favole rassicuranti.
Non hai la minima idea, Zeno, della meravigliosa e terribile complessità delle anime, delle loro pulsioni distruttive che chiedono a gran voce un governo autorevole e una mano salda.”


Un moto di disprezzo profondo si impossessò di me, e cercai di allontanarmi da quel luogo. Ci sarei riuscito, se non fosse stato per la massa di gente che nel frattempo si era ulteriormente addensata.
Il che fu una gran fortuna, perché potei assistere alla venuta di una nuova figura.

In quel corpo esile ed alto si incarnava l'essenza di tutta la mia avversione al buonismo insulso dei Corvi Leici. Nelle sue parole, intravedevo un'animo molto simile al mio, una preoccupazione concreta e senza veli del destino degli uomini, un sincero odio del peccato. Nel momento stesso in cui tacque, realizzai che quello e nessun altro era il mondo a cui appartenevo.
Al mondo dei veri Corvi.
Al mondo del Priore Caino.
Spinto da un nuovo impeto, cercai di avvicinarmi al palco, malgrado ciò fosse praticamente impossibile. Eppure, dovevo parlare con quell'uomo, dovevo sapere come adempiere al mio dovere nei confronti del Sovrano. Volevo mettermi al servizio dell'unico ordine che poteva stabilire la pace di Dio su questi luoghi martoriati.
 
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K i t a *
view post Posted on 15/3/2015, 16:34




L A   C R O C I A T A   D E L   T R A D I T O R E

M U T A ❞.


kLux6po




Insolito; riusciva a comprendere quanto si fossero allontanati dalla sua terra natia dal caldo che si appiccicava alla pelle. Man mano che accumulavano miglia sentiva l’aria cambiare, perfino con un semplice respiro poteva notare la differenza. Almeno quella volta il viaggio sarebbe stato decisamente più breve.
Si trovava in compagnia di Azzurra in una carrozza lungo la strada che separava le Terre Grigie da Ladeca, un paese non molto distante dalla Roesfalda. Aveva domandato alla donna di accompagnarla subito dopo aver ricevuto la richiesta da parte di suo zio di presenziare quel giorno, sotto invito di Zeno. Ricordava bene il Corvo, e senz’altro anche lui si ricordava di lei; il loro ultimo incontro era stato piuttosto concitato, schierati entrambi in una lotta contro il medesimo nemico dopo aver scelto modi differenti di combattere. Dove aveva deciso di posizionarsi, adesso?
Mentre la sua mente vagava tra quei pensieri, lo sguardo cadde sul profilo di Azzurra, mentre scrutava il paesaggio che le circondava. Sapeva che lei riteneva la sua presenza un privilegio che Ryellia le aveva concesso, senza rendersi di conto di quanto in realtà fosse un favore che lei stava facendo alla dama Rossa. Ogni volta che la guardava poteva leggere immensa gratitudine nei suoi confronti, ma entrambe erano legate una all’altra indissolubilmente, andando a rappresentare i due lati della medesima moneta.
Oltre dalla presenza di Azzurra, si sentiva estremamente rinvigorita da quella di Samael; il drago volava sopra le loro teste, poteva scorgerne l’ombra nel terreno, scortandole fino al paese. Dopo i tanti mesi trascorsi separati, Ryellia dubitava che il suo ascendente nei confronti della creatura sarebbe stato sufficiente per tenerla nuovamente lontana da lei. Era consapevole di quanto fosse un gioco pericoloso affidarsi a qualcuno che non fosse se stessa, ma in quel momento non avrebbe saputo fare altrimenti. Aveva bisogno di quei due affetti, e non per la strada che aveva deciso di percorrere, perché se anche fosse stata costretta a vivere per sempre in quella ridicola casa vicino a Basiledra lei avrebbe voluto comunque al suo fianco loro e solo loro. Poteva solo pregare che quell’affetto insostituibile fosse ricambiato; sorrise tra sé, “pregare”, lei non pregava. La vicinanza di Azzurra e i suoi tentativi di insegnarle a essere più affine all’animo umano in qualche modo stavano attecchendo.
Prima che la ragazza potesse domandarle il perché di quel sorriso, che non era sfuggito alla sua attenzione, la carrozza rallentò il suo passo, segno che la meta era ormai vicina. Anche l’ombra di Samael ora vorticava attorno alla carrozza, facendosi man mano più grande. Dopo appena un minuto si arrestò, e il drago atterrò a pochi metri di distanza dalla porta, in attesa della sua padrona.

Azzurra uscì per prima, aiutandola immediatamente a scendere per le scalette, in modo che non incespicasse nella lunga gonna. Le rivolse un sorriso grato, e non appena fu sicura con entrambi i piedi sul terreno si voltò verso la coppia che le stava attendendo. Si salutarono con affabilità, cercando di nascondere il nervosismo che li aveva accompagnati fino a quel punto. L’invito di Zeno li poneva in confronto con l’ignoto, nessuno di loro sapeva bene cosa avrebbero dovuto affrontare. Ciò li disturbava parecchio, anche se l’essere insieme riusciva comunque a mitigare quella spiacevole sensazione.
Si diressero verso la piazza della cittadina, attirando lo sguardo degli abitanti e visitatori. Probabilmente tutta quella curiosità era anche merito di Samael, che camminava al fianco di Ryellia con il collo ben dritto, respirando freneticamente quell’aria nuova.
Una volta raggiunta, non dovettero aspettare a lungo. Zeno fece la sua comparsa attorniato da poche guardie, come se non avesse motivo di preoccuparsi della sua salvaguardia. Lui ha il Sovrano dalla sua parte, pensò lei con una punta di sarcasmo. Immediatamente ringraziò la mancata capacità di Azzurra di leggerle nel pensiero, anche se a volte gliene faceva sinceramente dubitare. Si era prodigata a lungo per farle comprendere cosa il popolo avrebbe gradito da parte sua, il modo di pensare e di vedere determinate cose, talmente distante dal suo da risultarle incomprensibile. Sapeva benissimo quanto fosse importante curare anche questi particolari, e se anche avesse voluto essere tanto capricciosa da ignorarli, doveva farlo almeno per amore di Azzurra, che tanto si era impegnata per farle apprendere quelle nozioni.
Quando il Corvo cominciò a parlare la folla si ammutolì, lasciando che la sua voce risuonasse in ogni dove. Il suo discorso era semplice ma efficace; non riusciva a credere che un uomo di Chiesa fosse capace di simili doti da oratore. Stava addossando loro gran parte di responsabilità, dipingendoli come portatori di un qualche morbo potenzialmente mortale. Quando poi chiamò in causa il suo Dio, Ryellia capì che quel sermone sarebbe costato loro ben più caro di quanto preventivato. Strinse i pugni, cercando di trattenersi da sollevare gli occhi al cielo, incapace di non ritenere quelle parole un cumulo di sterco. Solo il popolo poteva credere a simili idiozie, ma era proprio di un popolo che si componevano i regni, e a quel livello si sarebbero dovuti adeguare anche loro. Sentiva lo sguardo di Azzurra addosso, che subito le domandò con tono preoccupato: «Mia signora, ricordate cosa abbiamo detto riguardo la religione? E del popolo, mia signora?». Ecco cosa intendeva quando dubitava dell’incapacità di Azzurra di leggerle nel pensiero. Corrugò la fronte, guardandola di sottecchi, annuendo impercettibilmente. Tutto questo era oltremodo assurdo!

Zeno terminò il suo discorso, lasciando ai suoi spettatori il tempo e il modo di metabolizzarlo. A interrompere le riflessioni del gruppo dei Pari fu l’avvicinarsi del Re Stregone. Lo avrebbe riconosciuto tra mille senza difficoltà, il suo aspetto e il suo portamento lo contraddistinguevano da qualsiasi lord di sua conoscenza. Quando fu abbastanza vicino Azzurra fece un passo in avanti, presentando Erein al resto del gruppo. Ryellia gli rivolse un sorriso, inchinandosi appena e porgendogli la mano: «Messer Erein, quale lieta sorpresa incontrarvi in questo piccolo paese. Immagino siate stati catturati dall'intrattenimento offerto quest'oggi.» ammiccò in modo discreto, certa che si trovasse a Ladeca per le loro medesime ragioni. Quell’uomo era intelligente e scaltro; era certa che sottovalutarlo si sarebbe potuto rivelare fatale per tutti loro. Sembrava sinceramente interessato alla loro opinione, e mentre Azzurra sfoderò tutta la sua diplomazia, la dama Rossa non poté trattenersi dal commentare: «La fede infonde molto ottimismo, senza dubbio. – un velo di sarcasmo le curvò le labbra in un sorriso – Bisogna vedere se questa sarà sufficiente per supportare e mantenere la pace». «Voi credete che sia sincero? – domandò lui, pensieroso – Di solito non mi fido dei miei colleghi. Siamo una categoria litigiosa e poco incline alla collaborazione. Se vuoi far scoppiare una rissa metti insieme un paio di sacerdoti di fede differente e lasciali parlare... ad ogni modo ogni mano tesa è un’opportunità, almeno così la penso io. Il problema è vostro zio la penserà allo stesso modo?» le chiese lo Stregone. Ryellia rise, divertita: «Oh, messer Erein, voi siete la lampante dimostrazione di come la vostra categoria sappia essere ammaliante, seppur prediliga il vostro stile, devo ammetterlo.» gli scoccò un sorriso seducente, convinta delle sue parole. Soppesò poi la risposta al suo ultimo quesito; non era semplice trovare le parole adatte. Per quanto si fidasse dell’uomo, non poteva dire altrettanto delle orecchie indiscrete che li circondavano; decise allora per una risposta neutra, che sapeva – per quel che conosceva di Erein – lo avrebbe fatto impazzire nel coglierne il reale significato: «Come avete detto ”una mano tesa è un'opportunità”, e il mio caro Zio saprà certamente coglierla». Prima che lui potesse reagire, Azzurra prese la parola, dimostrando ancora una volta di essere la più sveglia e preparata tra tutti loro. Ryellia non poté fare a meno di guardarla carica d’orgoglio, che per chi non conosceva il rapporto tra le due poteva sembrare una sorta di reazione possessiva, come se stesse sfoggiando un cavallo di razza di sua proprietà; invece era davvero fiera che quella giovane donna si mostrasse così brillante e capace da non aver bisogno di nessuno per andare avanti, da essere allo stesso livello di ciascuno di loro, se non al di sopra. «Nessuno può competere con Azzurra.» sentenziò con convinzione, passando con lo sguardo da Erein alla ragazza. «Non potrei essere più d'accordo a riguardo; il buon Zeno sbaglia a considerarci come dei biechi tiranni che voglio cibarsi dei diritti del popolo, e glielo dimostreremo».
Non fecero in tempo a tacere per pochi istanti che una voce profonda s’intromise. Fece appena in tempo a individuare Lothar Doppielame, il nano che aveva combattuto per la Resistenza, che questo la sommerse di malcelati insulti: «Ryellia, è piacere rivederti nonostante il sangue che ti scorre nelle vene e mi complimento con la tua maledetta famiglia per il potere che tuo zio è riuscito ad ottenere. Ma prima di chiederti come sta il tuo caro nipote bastardo che mi ha quasi ucciso mi sembra poco decoroso non presentarmi ai presenti con il dovuto rispetto. Io sono Lhotar Solidor Doppielame, Diplomatico del regno di Yurianfald e come voi appoggio la causa dei Pari, anche se come avete potuto notare non provo molta simpatia per il casato che domina quel consiglio».
Silenzio. Gelido silenzio tutto intorno. La Lancaster sgranò gli occhi, trattenendo il respiro. Sentiva montare la rabbia da un punto imprecisato del petto, scivolando sotto la pelle fino a raggiungere la punta delle dita, cercando di esplodere fuori dal suo corpo. Poteva avvertire un sapore acre e ferroso in bocca che le pizzicava la lingua, come se stesse per divampare un incendio.
Strinse con forza i pugni, cercando di trattenere quell’istinto omicida che si stava impossessando di lei, che bramava di stringere i capelli del nano tra le dita, sollevando la testa ormai separata dal resto del suo corpo. Sapeva di non potersi permettere simili reazioni, sia perché sarebbe stato controproducente per la sua immagine, sia perché avrebbe dato a quel miserabile nano molta più importanza di quanto meritasse.
Durò una frazione di secondo, ma fu abbastanza. Respirò a fondo e in un attimo il suo viso si distese, curvando le labbra piene in un sorriso amabile. Solo gli occhi di ghiaccio tradivano un astio feroce nei confronti di quell’essere. «Attento, Doppielame. Forse è consuetudine della tua razza parlarvi in modo così gretto e bestiale, ma qua, dove splende la luce del sole, è ben diverso. Ti conviene imparare presto come ci si comporta, o la tua testa si ritroverà a ruzzolare tra la polvere prima che possa nuovamente aprire bocca. Non che il tragitto sarebbe poi tanto lungo, bisogna ammetterlo.» aggiunse con ironia, sollevando leggermente il sopracciglio e percorrendo con lo sguardo la sua breve altezza.

Per fortuna fu distratta da un’altra voce maschile, ben più musicale e piacevole di quella del nano. Si voltò, trovando a poca distanza un giovane dall’aspetto etereo e delicato, con lo sguardo rivolto a Samael, carico di fascino e desiderio. Le chiese il permesso di toccarlo e lei acconsentì, rivolgendogli un sorriso. Il drago ricambiò subito le attenzioni, osservando con occhi attenti e intelligenti il suo interlocutore, avvicinando il muso per odorarlo. Rizzò il collo, cercando di arrivare alla sua faccia, le narici dilatate che inspiravano il suo profumo; sembrava piacergli. Anche il contatto con l’estraneo non parve infastidirlo, anzi: inclinò la testa, socchiudendo le palpebre, in una perfetta rappresentazione di soddisfazione. Ryellia osservò la scena con un forte moto di tenerezza; inspiegabilmente le piaceva quel ragazzo, forse perché mostrava il giusto interesse verso la creatura, sentendosi orgogliosa come una madre nei confronti del proprio figlio. Mentre continuava ad accarezzare la creatura, rivolse a lei l’attenzione, domandando: «Posso chiederle cosa sta succedendo, qui? Non credevo potesse riunirsi una tale folla, in una cittadina del genere».
Era evidentemente un forestiero, probabilmente veniva da ben più lontano di lei; quel pensiero la incuriosì, distraendola per un attimo da quella che era la sua realtà. Gli sorrise, cercando di mostrarsi amichevole; sapeva di non essere brava in quel genere di cose, di non apparire sempre disponibile o particolarmente affabile, ma sperava che la sincerità delle sue intenzioni si rendesse sua complice. «Si discutono le sorti del Regno, a quanto sembra.» gli disse, senza conoscere la reale portata delle sue parole.


kLux6po

 
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Ark
view post Posted on 15/3/2015, 16:49




~ Incontri

~ Braem Wood



     Una linea di luce apparve a mezz’aria davanti a me, per poi roteare ed allargarsi mostrando una distesa erbosa dove invece avrei dovuto vedere il resto del cortile dove mi trovavo. Qualcuno dei presenti sussultò alla vista di quel buco nell’aria, ma nessuno disse nulla.
     « Ci porterà direttamente a Ladeca? » chiese Elayne, in piedi accanto a me che cercava di guardare quel luogo ad un passo di distanza, ma che in realtà si trovava a diversi chilometri.
     « “A metà strada tra Basiledra e la Roesfalda.” » citai io « Purtroppo non ci sono mai stato e con quello che so posso solo aprire il Varco in una posizione approssimativa, ma credo che in qualche ora di cammino saremo arrivati. »
     La ragazza mi guardò con una piccola smorfia, probabilmente domandandosi se ero in grado di percorrere una tale distanza a piedi. Io le sorrisi per rassicurarla, ma il suo dubbio era lecito: era passato poco tempo da quando mi sono ripreso dalla febbre che mi aveva costretto a letto per giorni, ma mi sentivo perfettamente in forma.
     Inoltre non avevo scelta, se volevamo fare in tempo.
     Elayne Trakand, la ragazza che avevo salvato dal ghiaccio durante l’assedio di Basiledra e che aveva ricambiato il favore portandomi in un luogo sicuro durante il caos che s’era creato, era figlia unica di una coppia di facoltosi mercanti. Fin dalla sua adolescenza aveva vissuto a Basiledra come apprendista di Rufus Aldorai, mago del circolo di cui era capo Mark Smith, morto durante l’assedio stesso. Per la prima volta dopo diversi anni era tornata a casa, trovandola praticamente in assetto di guerra. I genitori erano via da mesi per un importante viaggio nell’Akeran, ed Halwin Norry era l’incaricato a gestire la magione quando nessun esponente della famiglia era presente.
     Durante il Regno del Terrore, Norry aveva dovuto fortificare la zona costruendo un fossato e piantandovi dei pali appuntiti, oltre ad ingaggiare dei mercenari che più di una volta s’erano guadagnati lo stipendio difendendo le proprietà Trakand da chi sapeva di trovarvi diverse ricchezze accumulate con gli anni. Di sicuro quegli accorgimenti sarebbero stati comodi anche in futuro.
     Se con la Guardia Insonne le strade non erano più sicure, adesso che Basiledra era distrutta ciò che un tempo erano i Quattro Regni s’erano infranti in migliaia di piccoli pezzi. Ogni territorio adesso aveva il proprio personale re, generando il caos più totale. Certi nobili non esitavano a muovere guerra ai propri vicini per ottenere sempre più potere, e dove un tempo i briganti erano il pericolo maggiore adesso bisognava difendersi dagli attacchi dei soldati o mercenari dei regnanti vicini.
     « Sei pronta? » le chiesi. Era stata lei a dirmi del discorso di Zeno a Ladeca, ed aveva insistito per accompagnarmi quando le dissi che ci volevo andare. Capo dei Corvi Leici che avevano preso tra le loro fila l’ormai ex Resistenza, forse lì avrei potuto trovare qualcosa che mi permettesse di capire dove fosse finita la Mano, o Julien. Non potevo starmene con le mani in mano mentre il regno che avevo cercato di salvare era per l’ennesima volta nel caos.
     Lei annuì, ed insieme attraversammo il passaggio.

~ Ladeca, piazza



     I segni che Ladeca si stava lentamente espandendo in quei giorni erano evidenti: superammo diverse case in costruzione per dare un tetto a tutti coloro che si stavano trasferendo lì, chi in cerca di fede, chi di profitto, chi di sostegno. Le strade di terra battuta erano piene di persone vestite nel modo più svariato, dal nobile al contadino tutti si recavano verso la piazza della chiesa del villaggio, dove Zeno avrebbe parlato.
     « Li vedi quelli? » disse Elayne, indicandomi un gruppo di persone non distante da dove ci trovavamo « E’ la delegazione dei Pari. Riconosco alcuni di loro, sono i sovrani di piccoli regni della Roesfalda. »
     Come parte della sua istruzione era abbastanza ferrata con la nobiltà Dortaniana e la diplomazia. Guardai verso quella direzione e feci una smorfia quando riconobbi Ainwen tra loro, cosa che lei notò.
     « Conosci qualcuno di loro? » mi chiese lei.
     « Quel tanto che basta per non farmela piacere. »
      Vidi anche Lhotar, sorprendentemente, che stava parlando con una ragazza con un cucciolo di Drago Zanna che mi pareva familiare… Mi ci volle un attimo per ricordare: eravamo in un’altra dimensione, di fronte ad un essere che ancora mi metteva i brividi, e gli aveva dato la pagina del Necronomix per salvare la vita del drago che in quel preciso momento veniva accarezzato da un elfo. Il mondo è davvero piccolo. Pensai per un attimo di andare a salutarla, ma le parole di Zeno assorbirono completamente la mia attenzione.
     « Che ne pensi? » chiesi ad Elayne.
     « Un discorso inattaccabile sotto molti punti di vista » rispose, ammirata.
     Restammo in silenzio ad osservare quella battaglia combattuta a parole.


 
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Lindow
view post Posted on 15/3/2015, 16:54




SAVIORS

Gli occhi neri di Samath Eden si scontrarono con la maschera di Zeno. In lui, e in ciò che rappresentava, non vide altro che l'ennesimo uomo che arringava il popolo promettendo pace e prosperità. Vide il falso profeta, l'oratore che intendeva proclamarsi salvatore di un regno frammentato, utilizzando la misericordia al posto del pugno di ferro imposto dal priore. Quel giorno, a Ladeca, tutti volevano lo stesso fine, ma per stabilire i mezzi necessari per portare il cambiamento erano pronti a dichiararsi guerra. Nascosto nella folla, il Puro non era che un corpo con delle orecchie per ascoltare e degli occhi per vedere; non era giunto per partecipare attivamente a una diatriba su cosa fosse meglio per il popolo. Tra tutti, Caino era colui che si era avvicinato di più al suo concetto di mondo ideale, per questo doveva assicurarsi il trionfo del Dicastèrio, a costo di divenire l'artefice di atrocità e tragedie. « Samath? » per Zoikar o per se stesso: che differenza c'era? Era un pretesto ciò che gli serviva, una motivazione per distruggere un nemico comune; in questo mondo tutti facevano i propri interessi, porgendo una mano al proprio prossimo senza mostrare il pugnale stretto nell'altra. Samath continuava a fissare Zeno. Intento com'era a discutere, non sarebbe riuscito a evitare un attacco proveniente dalla sua posizione. Padre Julius, tuttavia, era stato molto chiaro quando aveva ordinato all'albino di evitare qualsiasi atteggiamento ostile, fosse con l'ausilio della retorica o della forza. Il sangue non doveva scorrere oggi. Non oggi, almeno. Avvertì qualcosa alla spalla, qualcosa di simile a una pressione. La mente fu stimolata a porre attenzione a qualcos'altro, il corpo si mosse lentamente di qualche grado. Trovò la causa di quell'effetto in Tyreel, uno degli individui che componevano il suo gruppo, un semplice iniziato; solo una pedina. « Samath! Da quando siamo arrivati non hai smesso di guardare Zeno » c'era una sottile vena di rimprovero in quelle parole, un'intenzione che in altre occasioni gli sarebbe costata la vita. Gli venne quasi da sorridere, pensando al Leico come il motivo per il quale un verme come Tyreel era ancora in grado di respirare. Ma non riuscì ad assecondare questo impulso, troppo assolto nel pensare come le fondamenta del futuro sarebbero state costruite con le macerie di ciò che uomini e donne speravano di erigere. Un futuro che recava il suo nome, e di nessun altro. Ma gli altri si sarebbero sentiti soli, e magari avrebbero pianto, e questo non andava bene. Quindi iniziò a pensare a qualche epitaffio.

Samath si portò una mano al volto: c'era solo carne.
Ma spesso la pelle era la maschera più adatta.

E sorrise, sotto di essa.
E rise, lasciandosi andare a pensieri che
credeva non essere in grado di concepire.
Rise di loro e di se stesso.

 
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view post Posted on 15/3/2015, 17:03
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Zeno
ars politica

— muta —

5DKh8IK

« La politica è una strana cosa. Le regole che si possono enunciare per gli altri mestieri sembra che non si applichino alla politica.
Un uomo politico può cominciare da giovane come accalappiacani, e in pochissimo tempo riuscire a farlo dimenticare. Ecco ciò che rende la carriera politica quella che è. »

Zeno
primo pomeriggio, piazza della chiesa di Ladeca


   Non si poteva dire che il suo discorso non fosse riuscito a infiammare gli animi. Il popolo aveva iniziato a rumoreggiare sin dalle sue prime frasi, soppesando la gravità delle sue parole: sapeva perfettamente che in molti avrebbero dubitato di lui, ma non gli interessava; lui era salito su quel palco raffazzonato per diffondere la verità e se anche gli fosse riuscito di insinuare solamente il dubbio, tanto gli sarebbe bastato. Il popolo doveva sapere; la gente doveva iniziare a ragionare con la propria testa. Avrebbe dato l'anima per questo e non si sorprendeva che i suoi oppositori non riuscissero a comprenderlo: essi non avevano vissuto la storia del regno in prima persona come aveva fatto lui.
   A dimostrazione di questa tesi, il sacro suolo della chiesa venne calpestato da due individui che cercarono di rispondere alle sue affermazioni. La blasfemia non passò inosservata al popolo, ai cui occhi le due figure si erano appena imposte sul loro leader religioso, infrangendo la sfera del sacro e oltraggiando le parole di Zeno. Il Corvo bianco aveva invitato delle delegazioni in rappresentanza dell'opposizione perché ascoltassero ciò che aveva da dire; non perché gli parlassero sopra.
   « Ma! Come osate...?! » Sapphire non restò indifferente al gesto dei due, specialmente nel vedere il popolo prestare attenzione alle parole di Azzurra. Si animò di rabbia e fece per salire anche lei sul palco; tuttavia venne fermata da un placido gesto di Zeno, che si apprestava a spezzare quell'incantesimo.
   « Signori? » chiese con aria affabile, accusandoli dello stesso peccato e mettendoli esattamente alla pari. « Io non mi prendo cotanta libertà con voi. Non dovreste oltraggiare il mio invito all'ascolto interrompendo così lungamente il mio discorso, che non era ancora terminato. » Il popolo non mancò di cogliere quella sfumatura, così saggiamente inserita all'interno della protesta: né l'intervento di Azzurra, né quello di Dulwig erano legittimati. Avevano interrotto Zeno, arbitrariamente, allo stesso modo nonostante dicessero cose differenti. La fiducia instillata nel popolo dalla giovane pulzella sfumò lentamente, accompagnata a braccetto dalle ingiurie di Dulwig; ella si era presentata come nemica del Corvo nero, ma in realtà aveva compiuto un'identica malazione; Zeno, d'altra parte, avrebbe perdonato entrambi. « Tuttavia vi invito a rimanere; ormai avete calpestato il suolo della chiesa col vostro protagonismo e mi darete modo di rispondervi. Vi invito a limitarvi all'ascolto; » e così dicendo, fece un cenno alle poche guardie che gli facevano da scorta, che con fare dubbioso porsero le proprie armi a Dulwig e Azzurra « Se non vi piacerà ciò che sto per dire, sentitevi liberi di impugnare quelle armi e usarle contro di me, in modo ben più diretto che mascherandovi dietro ad accomodanti proposte. Sappiate però che morirò ben volentieri se ciò potrà avvenire in favore del popolo e della verità. »
   Fece un passo avanti e si pose mezzo metro più in rilievo rispetto a Dulwig e Azzurra, che gli facevano da ala ad entrambi i lati, affiancati dalle guardie.
   « Oggi dimostrerò che la volontà popolare esiste e può manifestarsi con grande semplicità. »

Serpe
primo pomeriggio, piazza della chiesa di Ladeca


   Il viso di serpe si contrasse in una smorfia di disprezzo. Tutte quelle belle parole avrebbero potuto incantare il popolo, ma non lui: lui che era stato rigettato quando aveva chiesto aiuto ai Corvi bianchi. Lui che era stato indicato come "nemico del Sovrano". Lui che era stato costretto a rubare per sopravvivere, poiché nessuno si era dimostrato disposto a dargli asilo. I Corvi leici gli avevano sbattuto le porte in faccia; Aedh Lancaster l'avrebbe giudicato come uno straccione e Caino incarnava da sempre tutto ciò che aveva disprezzato dei Corvi.
   Quei comizi non servivano a nulla. Il popolo dei Quattro Regni non avrebbe mai raggiunto la pace, sotto alcun sovrano o sistema politico, poiché non ne era alla ricerca. Qualcuno sarebbe sempre comparso a fomentare l'opposizione, armandola e scagliandola contro il governo reggente, provocando guerre sanguinose e costringendo migliaia di innocenti alla fame o alla morte. La storia parlava da sé: l'umanità non aveva mai mancato di oltraggiare se stessa, né mai ne avrebbe mancato in futuro.

« Pagina quarantatre. »

   Come mosso da una volontà invisibile, Serpe si ritrovò a sfogliare le pagine del libro che stringeva fra le mani, raggiungendo la quarantatreesima pagina. Iniziò a leggere attentamente il suo contenuto, senza neppure chiedersi che cosa l'avesse spinto proprio su quel capitolo. Eppure, come per magia, lì vi trovò proprio le risposte di cui era alla ricerca. Parole sconosciute, in antico Theraniano, ma che si scoprì immediatamente capace di comprendere. Iniziò a leggerle sottovoce, confuso e disorientato, ma sentendo montare in lui una rabbia che raramente aveva provato in vita sua; era come se qualcuno lo stesse incoraggiando a prendere quella direzione... e ormai era troppo tardi per tornare indietro.

« Ignora queste sciocche diatribe. Zoikar ti deve una risposta. »

« ...ma ti servirà un sacrificio di sangue, amico mio. »

TvP1A5V

« Fidati di me. »



Zeno
primo pomeriggio, piazza della chiesa di Ladeca


   « Portate i detenuti. »
   L'ordine di Zeno fu deciso e perentorio, privo di rabbia nei confronti dei suoi oppositori. Le guardie risposero con un breve inchino e si allontanarono dalla scalinata, aprendo le porte della chiesa alle loro spalle. Al suo interno vi erano due decine di uomini, legati per i polsi e le caviglie con delle catene e vestiti con dei modesti abiti di tela color senape. Non sembravano in cattive condizioni, ma di certo erano prigionieri; le guardie li fecero uscire con gentilezza dalla chiesa e li fecero sedere alle spalle di Zeno, che a quel punto procedette con il discorso.
   « A tutti coloro che hanno pensato che le mie fossero soltanto parole, voglio rivelare come è stata impiegata la resistenza nelle ultime settimane. » e così dicendo, indicò i detenuti alle sue spalle. « Questi uomini che vedete qui appartengono alla Guardia Insonne. Non devo certo ricordarvi che fino a qualche mese fa essi spadroneggiavano su di noi per ordine del loro tiranno Mathias Lorch, come ci ha debitamente ricordato la signorina de Rougelaine, e hanno dilaniato il regno compiendo atrocità senza numero. » si voltò nuovamente in direzione del popolo, allargando le braccia. « Noi Corvi Leici siamo stati loro vittima anche in seguito al loro funesto regno di terrore: alcune sacche di rivoltosi, incapaci di arrendersi alla sconfitta del loro signore, hanno continuato a imperversare nelle terre dei Quattro Regni, vandalizzando le nostre chiese e attaccando i profughi a cui abbiamo cercato di dare asilo. »
   « Avevi detto che ci avresti dato la possibilità di redimerci... » lo interruppe all'improvviso uno dei prigionieri, deformando il viso in una smorfia di rabbia. « ...che cos'è questa esecuzione pubblica?! »
   Zeno si girò verso di lui e gli rispose con innaturale pazienza. « ...e così sarà, Gási Drömskog. Ti chiedo soltanto di attendere il termine del mio discorso e di non condividere lo stesso peccato dei miei oppositori. » al popolo naturalmente non sfuggì che il membro della Guardia Insonne aveva interrotto Zeno allo stesso identico modo con cui l'avevano interrotto Azzurra e Dulwig poco prima. I brusii della gente si fecero intensi, anche perché ragionevolmente scioccati dal trovarsi in fronte ai loro aguzzini trattenuti in catene. Molti iniziarono anche a esclamare insulti e ingiurie a voce alta, che tuttavia si persero nella confusione generale. Zeno fu costretto a riportare la calma con un ampio gesto pacificatore.
   « Sono certo che molti di voi siano ansiosi che giustizia sia fatta. » affermò quindi con tono severo. « Ed è mia precisa intenzione che sia il popolo a farlo. » indicò quindi gli uomini della Guardia Insonne alle sue spalle con un gesto plateale. « Non lascerò che a decidere il loro destino sia qualche giudice autonominatosi tale, o qualche nobile arroccato nella propria loggia. Il popolo deciderà la loro pena, poiché è stato il popolo a soffrire delle loro azioni più di chiunque altro! »
   Nel frattempo, Sapphire aveva silenziosamente approntato un banchetto ai piedi della scalinata: si trattava di una semplice scrivania, dietro la quale si era seduta armandosi di pergamena, penna e calamaio.
   « La mia attendente raccoglierà le vostre opinioni » continuò Zeno, indicando la ragazza. « a scelta tra l'impiccagione, l'imprigionamento, la liberazione, l'esilio o l'impiego nella ricostruzione del regno. » fece quindi cenno a Dulwig e Azzurra di avvicinarglisi. « e naturalmente questa stessa possibilità di scelta sarà data anche agli arconti e ai pari, che invito a partecipare »
   « ...e a rammentare che qui, ai piedi della casa del Sovrano, il loro voto vale tanto quanto quello di un contadino. »
   A quell'affermazione il popolo alzò le mani festante e si lanciò in entusiaste grida di giubilo: la possibilità di decidere il destino dei criminali di guerra li elettrizzava, conquistandoli definitivamente. Il sapere di trovarsi allo stesso livello degli arconti e dei pari, poi, li fece sentire persino più partecipi di quella votazione. Zeno fu costretto a calmarli una seconda volta, allargando le braccia.
   « Gási; » terminò, indicando il prigioniero. « prego. »
   « Questa è una barbaria. » si lamentò a mezza voce l'uomo della Guardia Insonne. « Nessun contadino del cazzo crederà alle nostre parole, dopo un discorso simile! » tuttavia si rendeva perfettamente conto di quanto quella fosse la sua unica possibilità di sopravvivenza e, anche se non si considerava un buon oratore, cercò di imbastire una difesa per sé e i suoi compagni.
   « Popolo dei Quattro Regni. » disse, tremante. « È vero; noi vi siamo stati nemici! Ma perché prendersela con un uomo come voi, che è stato già sconfitto? » allungò le braccia verso il pubblico, mostrando le catene. « Fino ad ora ci avete mostrato misericordia, trattandoci con rispetto e cibandoci più del necessari, nonostante fossimo vostri prigionieri. Non contraddicete i vostri gesti condannandoci a un'esecuzione sommaria! »
   « In verità, ditemi, chi di voi non avrebbe colto la mia stessa opportunità, posto nei miei panni? Io ero un contadino come voi... mi è stato soltanto offerto un futuro migliore! Mi è stata data la possibilità di combattere per gli uomini di cui mi fidavo e, finalmente, un futuro! Io, come tutti i miei compagni, non ho fatto altro che fidarmi delle persone sbagliate! » indicò i suoi compagni e si appellò alla confusione del popolo; immaginava che i nobili dei Quattro Regni stessero muovendo un arruolamento simile a quello della Guardia Insonne, e volle sfruttare quella similitudine per giustificarsi. « Noi ci siamo limitati a seguire gli ordini di chi ci governava, ma non abbiamo avuto alcuna parte nelle decisioni atroci compiute a vostro danno! »
   « Infine, per quanto riguarda le accuse più recenti lanciateci dal vostro Corvo... » concluse, senza nascondere una nota di disprezzo. « ...sappiate che esse sono false. Il nostro esercito si è già ritirato nell'Ystfalda da tempo; il mio gruppo era soltanto alla ricerca di un assassino che ha ucciso uno dei nostri uomini... forse la stessa persona che ha vandalizzato le vostre chiese. »
   « ...un vagabondo la cui mano destra ha soltanto tre dita. »

   Zeno e Serpe deglutirono sonoramente, all'unisono, seppur per ragioni differenti.
   Il nemico del Sovrano.



CITAZIONE
Proseguiamo!

Allora, gli avvenimenti sono abbastanza chiari: vi è richiesto di VOTAREH. Nel vostro post infatti vorrei che vi presentaste al banchetto di Sapphire (immaginate che tutti si siano messi in fila ordinata) e comunichiate il vostro voto riguardo al destino dei soldati della Guardia Insonne. Le opzioni sono:

• Impiccagione
• Imprigionamento
• Liberazione
• Esilio
• Impiego nella ricostruzione del regno (lavori forzati, in buona sostanza)


Se volete, potete anche interagire con Sapphire - qualsiasi domanda ponetegliela pure in confronto e vi risponderò lì (per i nuovi utenti: significa che prima di stendere il vostro post, scrivete ciò che volete chiedere a Sapphire nel topic di confronto e, sempre lì, io vi risponderò con le sue risposte - dopodiché potrete inserire tutto nel post finale).
Come prima, avete cinque giorni di tempo per rispondere :sisi:
 
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179 replies since 10/3/2015, 16:54   7151 views
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