La crociata del traditore ~ Muta.
« Che valore ha il vero nome di Dio,
quando Dio non ha orecchio per sentire? »
Il disprezzo non tardò ad arrivare.
La piccola che aveva interrotto la mia breve meditazione mi permise di guardare quell'uomo dritto negli occhi mentre mi minacciava di ogni male, a buon conto aggiungerei, per aver osato interferire in quel suo magistrale spettacolino.
Dulwig aveva tutti i motivi per essere furioso con me. Era quello che sapevo perfettamente sarebbe successo, non mi aspettavo chiaramente un confronto pacifico dopo che lo avevo deliberatamente sminuito davanti a Zeno e alla piazza tutta. Eppure, sotto sotto, sapevo di aver vinto costringendolo a reagire in quella maniera. E non solo, ironicamente, per una sola fortuita coincidenza, la colpa di quel mio sproloquio era ricaduta su Aedh Lancaster e non su Ryellia. Coincidenze? Scherzi del destino? Semplice e banale incomprensione dovuta allo stemma sul tabardo? Possibile, tutto perfettamente e indiscutibilmente plausibile, eppure non potevo fare a meno di credere che ci fosse qualcosa di più dietro quelle parole, forse un segno, forse solamente un vuoto d'ignoranza che andavo colmando con ciò che
io avrei voluto vedere. Eppure, nonostante avesse ragione, non riuscivo a concepire come un verme del genere fosse venuto al mondo. Non mi capacitavo di come qualcuno fosse ancora così stupido da credere alla vecchia, oramai rancida, storia del mondo superiore imposto con la violenza, con l'imposizione e con l'odio per il diverso. Era come se, banalmente, qualsiasi arconte avesse finto che la guardia insonne fosse mai esistita, come se gli ideali ed i precetti che quegli uomini avevano prima di decadere non fossero nati proprio per contrastare ciò che Caino aveva creato. La decadenza morale e religiosa del Dortan doveva essere curata, ma non al prezzo e al modo del Dicastèrio. Fosse stato per me avrei appeso Dulwing per il collo, assieme a tutta la feccia che si era portato appresso per fare la sua trionfale figura. E mentre andava via, indignato, un sorriso stentato mi salì alle labbra.
« Siamo entrambi cani, signor Dulwig... ma io amo la mia padrona come la mia padrona ama me. »
Sibilai, quando era già troppo lontano per sentirmi.
« Potete dire lo stesso? »
Poi, con dolcezza, rivolsi lo sguardo sulla piccola giunta a domandare della mia salute. Era la stessa giovinetta che avevo incontrato a Basiledra, e la sua sopravvivenza mi aveva solamente reso più palese che la sua natura non fosse propriamente umana... eppur era gentile. Innocua avrei osato dire.
Cercai di farle una carezza sulla testa, mentre con la coda dell'occhio vidi distintamente la figura di Ryellia, seguita da Erein, giungere in gran carriera.
« Non preoccuparti, petit è quando il tuo cuore vacilla che scopri davvero quanto sei saldo. » le regalai uno sguardo più rilassato, sebbene ancora fossi molto scossa. « Sono felice tu ti sia salvata, A Basiledra. »
I volti dei miei signori erano un misto di preoccupazione e disappunto. Non sapevo se erano furiosi con me per la magra figura fatta oppure, al pari mio, avevano trovato bieco e sciocco il tentativo degli arconti di sminuire Zeno in quel modo.
Erein, però, anziché rimproverarmi ci rese partecipi di quanto, a sua volta, sembrasse non apprezzare né Caino né la sua personale e fanatica società religiosa. Tuttavia, ed era un argomento particolarmente inattaccabile, Dulwig e il suo compare non rifuggivano appieno le responsabilità di quello che andava succedendo. Non che questo li scagionasse completamente dalle idee folli e dal modus operandi bieco e squallido, ma era già un passo avanti da evidenziare. La Dama Rossa, invece, era decisamente più incattivita, complice anche l'aver udito lo sproloquio contro la famiglia Lancaster e le male parole su Lord Aedh.
« [ ... ] Ma certamente il Priore sarebbe presto intervenuto, anche senza il soccorso di Lord Aedh. È un gran peccato che non potremo mai scoprirlo. »
Senza pensarci due volte, vista la situazione, inveì sul poveraccio.
« Sapete cosa abbaia come un cane, segue gli ordini come un cane e ha un pelo bellissimo? » Indicai la schiena di Dulwig. « Un cane, ovviamente. »
In quella frase c'era molta, troppa, verità. In fin dei conti sia io che lui eravamo semplicemente pedine alle prese con un gioco più grande, solamente che io avevo nel cuore l'affetto e la complicità della persona a cui avevo scelto di dedicare la mia vita. In ogni momento di quella giornata sapevo di poter contare su Ryellia, sapevo che anche se avessi fatto qualcosa di terribilmente sbagliato o inconcepibile, lei sarebbe stata con me. Mi avrebbe punita, questo sì, ma non mi avrebbe semplicemente lasciata andare. La risata della dama mi rincuorò, mentre persino il giovane re stregone si complimentava per quel mio minuto, seppur presente, atto di tenacia prima di appartarsi per parlare con il monsignore.
« Ah Lady Azzurra tira fuori gli artigli [ ... ] »
Era chiaro come la luce del sole che avrei dovuto conferire con la mia signora, in privato, ragion per cui dovetti chiedere alla ragazzina di scusarmi qualche istante.
« Scusami piccola, ti ringrazio delle attenzioni ma adesso la mia signora deve chiedermi alcune cose... mi raccomando, stai attenta, è pericoloso uscire da soli di questi tempi. » con un sorriso presi congedo.
E così, mentre Erein si presentava al monsignore, gli occhi di Ryellia si posarono sui miei, lontano dalle orecchie di chiunque.
Reggere il suo sguardo per me era un'impresa titanica, a dir poco, e non solamente per l'enorme disparità di freddezza, autocontrollo e sangue freddo, ma anche perché la sua sola presenza era per me fonte di incredibili emozioni contrastanti. Da un lato ne avevo paura, nel senso che temevo di tradire la sua fiducia, di disattendere le sue aspettative, mentre dall'altro avrei voluto avere qualcosa di più di ciò che mi era concesso. Per qualcuno che ha passato vent'anni isolata dal mondo non è facile tornare ad affezionarsi a qualcosa di esterno, di volubile, di rischioso come poteva essere
lei. Con così tanta facilità poteva chiedermi di fare qualcosa sapendo che non mi sarei mai posta alcuna domanda sul suo operato. Mi avesse detto anche "salta in alto" io avrei risposto "quanto?". E quello che mi disturbava maggiormente di tutta la nostra storia era che, banalmente, lei non aveva mai usato quel potere per farmi fare qualcosa che io non volessi fare. Per questa ragione io avevo iniziato sempre di più a maturare un sentimento che andava ben oltre la semplice sudditanza, che sconfinava in un qualcosa che ad una donna che portava il marchio dei disonorati non era nemmeno concesso di sognare.
« Cosa dobbiamo fare... ora? »
Dissi, timidamente, riferendomi alla votazione.
Sin a quel momento avevo completamente ignorato i prigionieri che si stavano aspramente difendendo dalle accuse di Zeno, perché semplicemente non riuscivo a capacitarmi di avere una qualsiasi voce in capitolo. Avevo passato la mia esistenza a seguire una legge imprescindibile, votandomi ad essa anima e corpo, arrivando persino a donare la vita pur di espiare i miei errori. Come avrei potuto, di punto in bianco, ergermi a giudice, giuria e boia di uomini le cui accuse erano fondate sul niente, la cui colpa era quella di essere semplicemente al soldo del nemico. Normalmente, se fossero stati ritenuti colpevoli, niente e nessuno avrebbe potuto farmi desistere dall'idea di condannarli alla pena capitale, eppure non mi convinceva tutta la storia. Non sapevo nemmeno se mi era realmente concesso di esprimere tanto liberamente la mia opinione sulla pubblica piazza, lo trovavo... sconveniente.
« [ ... ] ma non credo sia... saggio lasciarli liberi. »
Deglutii. Ryellia aveva votato. Se lo aveva fatto lei, che era la mia signora, avrei dovuto farlo anche io, seguendo le sue orme. Ma era così maledettamente difficile accettare anche la sola idea che un gruppo di nessuno qualunque potesse eguagliare il valore sacro di una legge universale. Mi sembrava di calpestare ogni singola cosa per cui avevo combattuto, di gettare al vento decine di ore di preghiera, di meditazione, di devozione alle sagge parole di Dio e della sua lungimirante guida. Era realmente tutto così sbagliato? Avrei davvero dovuto votare e lasciarmi alle spalle quei pensieri, quei giudizi? Incapace di prendere una decisione autonoma lasciavo guizzare lo sguardo tra la punta del naso di Ryellia e la folla, ovviamente incapace ora più che mai di reggerne lo sguardo.
« Dovrei partecipare anche io, signora? »
Mi chiese se stavo chiedendo il permesso, quasi come non volesse credere al mio tentennamento, alla mia indecisione.
Vergognandomi incredibilmente per quell'improvvisa mancanza di risolutezza, che a stento riuscivo a spiegarmi, annuii debolmente con la testa.
« Sì, invero non credo che tutti abbiamo il medesimo diritto... c'è una legge che ci dica se possiamo o no?... »
A quel punto mi prese il viso tra le mani.
Ed in quel sol tocco mi sentii come sollevare da terra e sbattere di nuovo al suolo con violenza inaudita. Era qualcosa che nessuno si era mai preso la briga di fare con me, una gentilezza che mai mi era stata concessa e che adesso, nel momento più buio, nell'esitazione più grande, giungeva come un raggio di speranza a risollevarmi. Avvampai sulle gote, diventando d'improvviso rossa in viso.
« [ ... ] Ciò che ti chiedo è: vuoi votare? »
La fissai negli occhi, tirando debolmente su col naso, mentre il resto del mondo sembrava diventare sempre più piccolo e ininfluente. Piano, quasi avessi paura che a risponderle troppo in fretta quel contatto sarebbe irrimediabilmente finito, annuii.
« Sì. »
La guardai ancora una volta, sentendo quella dolorosa sensazione allo stomaco lentamente scemare. Non mi era mai capitato di sentirmi così se non durante i momenti più dolorosi della mia vita, dove rifuggivo la mia esistenza nella preghiera. Eppure era così diverso, era così
bello.
« D-dovrei seguire il vostro e-esempio, credo sia la cosa m-migliore... »
E mentre lei rideva, congedandomi lentamente da quella magia, il mio stomaco tornava normale ed il cuore non mi batteva più tanto forte da far quasi male.
Le regalai un sorriso di rimando, rendendomi conto solamente in quell'istante di essere arrossita in un mondo decisamente inappropriato. Con passo svelto mi diressi verso il banco delle votazioni, ascoltando nel mentre un convincente appello che invitava tutti a non esprimersi a favore della morte dei prigionieri.
Mi aveva già convinta a non ucciderli, però il confino sarebbe stata solamente una diversa condanna a morte.
Passandogli vicino chinai cordialmente la testa, senza fermarmi.
« Avete ragione, signore, non meritano la morte. »
Poi arrivai finalmente in fila, attendendo pazientemente il mio turno.
Sebbene non credessi in quanto stava accadendo e, anzi, il tutto mi risultasse ancora oscuro e dubbio, non potevo fare a meno di essere inspiegabilmente felice. Sino a pochi istanti prima ero triste, delusa dal mio agire, dubbiosa sul tempo che sarebbe dovuto venire, ma dopo quel tocco era come se i problemi fossero diventati più... piccoli. Erano sempre lì, i dubbi e le incertezze, ma c'era qualcosa che mi stava sussurrando che sarebbe andato tutto bene, che qualunque cosa il destino mi avrebbe messo contro non l'avrei affrontato da sola. E questo, per un animo fragile come il mio, valeva più di tutto il potere e i comizi del mondo.
Sorrisi, giocherellando con una ciocca di capelli biondi che pendeva a lato del viso.
« Non devono morire, esiliarli sarebbe come ucciderli per come la vedo io... »
Così iniziai, quando alla fine arrivò il mio turno.
« ...per me dobbiamo metterli a lavorare per ricostruire ciò che ci hanno tolto. »
Scivolai quindi di lato, guardando la mia signora con una espressione beata disegnata in viso, sperando che tutto andasse per il meglio.
Forse ero solamente una pedina ignorante nelle mani di capricciosi nobili, forse ero semplicemente una stupida idealista ancora indecisa sul dare spazio alla ragione o alla fede. Ma di una cosa, ora più che mai, ero fermamente convinta:
Non tutte le dame meritano la devozione di un cavaliere, non tutte le famiglie meritano riconoscenza.
Solo quelle per cui vale la pena morire lo meritano.