Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

La crociata del traditore ~ Il trono che non trema, Arcana Imperii

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view post Posted on 16/3/2015, 06:28
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Cavalier Fata
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La crociata del traditore ~ Muta.
« Che valore ha il vero nome di Dio,
quando Dio non ha orecchio per sentire? »

Con pochi passi mi avvicinai al sacerdote, il capo basso come segno di colpevolezza per averlo interrotto e disturbato.

« Padre, sono spiacente di averla interrotta. So che è stato maleducato da parte mia, ma oltre i colori che indosso sono pur sempre una donna di vera fede e a volte essa impone d'agire, prima che di riflettere. »

seppur tante macchinazioni avessi inventato, seppur tanti sogni mi fossero passati per la mente, al cospetto di quell'uomo molto del mio prorompente autocontrollo andava svilendosi, scivolando in una mera costernazione ed in una profonda tristezza per aver agito tanto avventatamente.

« Domando scusa per il mio comportamento. »

le ultime parole le sussurrai appena, sebbene mi sforzassi di agire normalmente, specie dinnanzi a Dulwig. Ma cosa potevo mai essere io, se non un mero strumento per raggiungere uno scopo? Ora quello dei Pari, domani quello del Sovrano, il giorno dopo ancora chissà. La strada che avevo intrapreso era ricca di ostacoli, irta di nemici, con ben pochi sguardi benevoli ad attendermi. E l'avevo scelta perché sentivo che, se non l'avessi fatto, la mia esistenza sarebbe stata vuota, inutile, al pari di una spada senza filo: bella da vedere, ma priva di scopo. Balbettando appena, chiesi qualcosa che nessuno dei Pari, almeno non quelli che conoscevo, avrebbe chiesto.

« La via che sto percorrendo è perigliosa, il futuro mi appare incerto, posso avere la benedizione del Sovrano per alleviare la mia anima? »


Accolse le mie scuse, con l'animo buono di chi, seppur avvezzo ad affrontare uomini ben più minacciosi di quell'omuncolo al servizio del Dicastèrio, aveva mantenuto in se la bontà per riconoscere ancora qualcuno che si scusava sinceramente. Nonostante le apparenze, nonostante i colori Lancaster della mia corazza, ero costernata.

« Che il Sovrano ti accompagni e ti aiuti a compiere le scelte più difficili, guidando la tua anima quando essa è tormentata dal dubbio. »


Mi inchinai, compiendo una lieve genuflessione prima di prendere congedo. Recuperai la spada dirigendomi verso la folla. Avrei voluto tornare immediatamente da Ryellia e dai miei signori, ma qualcosa mi trattenne dal dirigermi da loro.

Non si trattava di ciò che aveva detto Zeno, né dei prigionieri della guardia catturati, quelle erano solamente inezie, erano i primi passi di una società democratica destinata a fallire ancora prima di nascere. Era qualcosa di ben più pesante a impedirmi di uscire dalla massa, una sofferenza che stava iniziando a diventare troppo grande da portare senza nessuno con cui poterne parlare apertamente, stretta nella morsa terribile della paura, convinta che se l'avessi fatto nessuno avrebbe più creduto in me, in ciò che volevo costruire. Mi sedetti sull'ultimo gradino della scalinata, quello più basso, fissando le genti che vociavano e discutevano in merito a quella scelta tanto importante. Era davvero tutta una questione politica? Era davvero necessario combattere l'un l'altro nel nome di non sapevo nemmeno cosa, iniziando persino ad accusare credenti di essere eretici e popolani di essere ribelli, quando tutto attorno a noi andava a catafascio? Non aveva un briciolo di senso. Se Dio ci aveva messo in quella posizione, Dio voleva che trovassimo un modo per uscirne nuovamente vincitori. E non sarebbero state le maschere di Zeno, le idiozie religiose come ninnoli, reliquie, belle storie o vesti bianche a cambiare il corso degli eventi. La fede, per quella gente, si misurava in gesti plateali come una condanna pubblica, come un bel sermone, come il rispetto di norme e di regole che rendevano la religione ciò che era veramente: uno specchio per allodole.

Congiunsi le mani, mettendomi a pregare lì, mentre l'attenzione dei più era rivolta al grande evento, cercando delle risposte a domande impossibili. Chiesi a Dio se quello che stavo facendo era giusto, se la strada da seguire era quella, se la volontà di essere un ponte tra due mondi fosse realmente possibile o se, invece, stavo semplicemente sprecando la mia esistenza in una crociata dalla quale non avrei ricavato che fallimenti.

Non ho mai dubitato di te, Sovrano, ma in giorni come questo sento che la nostra speranza è debole. Hai parlato ai tuoi seguaci, eppure a me non hai mai mostrato la via, né inviato un segno... e non posso fare a meno di chiedermi "perché?" Non sono forse stata una donna devota? Non ho forse agito sempre nel tuo nome, sognando di elevare questo nostro popolo al di sopra dello stadio primitivo, colmo di superstizione e paura, in modo che potesse bearsi della tua gloria? Non interessa a nessuno di questo conflitto religioso, vogliono solamente il potere terreno su questo mondo, ma io non posso combattere una guerra su due fronti...
...ti prego, ti prego dal profondo della mia anima, dimmi quale è la via giusta da seguire, dimmi chi parla davvero nel tuo nome e chi, invece, è solo il pallido impostore che finge di agire in tua vece.


Chiusi gli occhi, cercando di estraniarmi dal rumoreggiare della piazza, dagli schiamazzi, dalle urla dei prigionieri che imploravano la grazia.
Ma per quanto mi sforzassi nessuno, né dall'alto né dal basso, sembrava volermi alleviare il peso della scelta.

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Chi era destinato a governare sugli uomini, per diritto divino? Chi, dopo tanto dolore e tanta sofferenza, avrebbe finalmente messo a posto ogni tassello, ogni dubbio, ogni incertezza? Lavorare per i Pari, salvare quante più vite possibile, ottenere il successo con ogni mezzo, con ogni più machiavellica e articolata interpretazione, era davvero la scelta giusta? Forse avrei dovuto lasciarmi andare, smettere di perseguire il sogno di un regno universale, compiacendomi di quel poco che eravamo riusciti ad ottenere dopo la caduta del tiranno. Non sarebbe sorto nessun re, non sarebbe giunta nessuna buona notizia, più. Non volevo credere che nei visi e nelle parole di quegli uomini e quelle donne che parevano bearsi di tanta novità, non ve ne fossero alcuni che si domandavano, al pari mio, "ma sarà davvero giusto così?".
La maggioranza delle persone era convinta che un bel discorso potesse cambiare le sorti del mondo, che la grandezza delle idee avrebbe potuto battere ogni esercito, che la potenza della volontà mai avrebbe trovato mura invalicabili. E io con loro, nel silenzio della mia preghiera, meditavo su quel possibile futuro. Ma se nessuno si fosse fatto da parte, se nessuno avesse gettato la spada al suolo, almeno per una volta nella storia umana, non ci sarebbe stata speranza per noi. Ci sono stati uomini, Dei e re in grado di consegnare all'oblio milioni di anime con la forza di un solo dito, in grado di costruire meraviglie che ora giacevano in un baratro senza fondo laddove un tempo sorgeva Basiledra. Dove erano, allora, quelle entità che tanti avevano bramato di essere ma che pochi erano riusciti a diventare? Aedh, Zeno, Caino... non erano che la pallida ombra di ciò che cercavo io. Erano poco più che abiette ombre nascoste dalla polvere ai miei occhi, eppur non v'erano altre risposte, né altre voci al di fuori delle loro.

Dio... perché non mi parli?.

Gli imperi vanno e vengono, le bandiere cambiano, i simboli vengono dimenticati, le parole si perdono nella storia e le opinioni mutano come foglie secche alla mercé della tempesta. Le vite vengono spezzate, le scelte errate pagate. La vita muta, velocemente, come un corso d'acqua che troppo ripido scende dalle montagne colpendo le rocce e deviando dal suo corso... creando nuova vita dagli errori.
Ma ciò che ci tiene ancorati alla realtà, ciò che muove il tempo e che vive al di fuori di esso non muta mai.
Cambiano tempi, luoghi, nomi e speranze...
...ma Dio non cambia mai.



dividerazzurrafinale_zps51a4e64f
B. 5% - M 10% - A. 20% - C. 40%

Capacità Speciali: ///
Stato fisico: 125%
Stato mentale: 75%
Riserve Energetiche: 100%
Stato Emotivo: Triste e confusa.

Equipaggiamento:
• Spada Bastarda (Arma bianca, spada bastarda) [Fianco]
• Spada Lunga (Arma bianca, spada lunga) [Fianco]
• Braccio Corazzato. (Arma bianca, conta come maglio) [Sx]
• Pugnale (Arma bianca, coltello) [Legato sullo schiniero Dx]
• Corazza Mista. (Protezione mista, metallo-stoffa, medio-pesante)

Passive in uso: ///

Attive usate: ///

Note: Questo è un post introduttivo al prossimo, che ho fatto per chi vorrà interagire con Azzurra. Si è seduta in fondo alla scalinata, mettendosi a pregare con gli occhi chiusi mentre la piazza fa le proprie congetture sul futuro dei prigionieri. Questo serve anche a dare bene il senso di profonda crisi e dualismo che albergano in Azzurra: da una parte la fede, dall'altra la ragionale logicità. L'Azzurra dietro le apparenze.
 
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view post Posted on 16/3/2015, 13:58
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Time Lost Centurion (3dh Economic Crisis Edition)
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Roma! Roma? Si, Roma.

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Ladeca - Periferia

Il problema principale della teoria è che essa spesso e volentieri non riesce mai a giungere verso un'applicazione pratica. In un quadro ideale dove ogni individuo si accontenta di quanto gli è dato, senza pretendere di più, sarebbe possibile formare una forma di Governo dove la necessità di una posizione superiore nella società non sarebbe indispensabile. Eppure non è così, non importa quanto ci si sforzi di affidare al popolo le sue stesse redini, non potrà mai succedere. L'Utopia umana esiste solo nella filosofia e nei sogni ingenui degli uomini sciocchi o disperati. L'uomo non sarà mai in grado di andare contro la sua stessa natura, non ne possiede la capacità. Il Lupo perde il pelo ma non il vizio, come si suol dire. Potrei spiegare a questo Lupo perché la sua ideologia, per quanto giusta, non avrà mai ragion d'essere all'infuori della sua mente. Perché per quanti signorotti corrotti ed assassini egli ghermirà, il mondo continuerà per la sua strada, non curante delle sue azioni. Potrei spingerlo in un angolo ed esporgli la cruda realtà, distruggere tutto ciò che è e tutto ciò che ha fatto sino ad ora. Voglio veramente farlo? No. Non mi interessa discutere con lo scopo di ottenere una vuota vittoria ideologica. Tutto ciò che mi interessa è comprendere i molti archetipi nella quale si struttura la natura umana. Ideali, sogni, paure e ogni minima sfaccettatura della quale la mente umana si compone. Inoltre perché dovrei togliere ad un lupo solitario il solo scopo che lo spinge a combattere? Anche nella comprensione dell'errore non sarebbe corretto mettere fine alla bellezza della bestia. La certezza che la sua esistenza sarà di breve durata non mi rende triste, anche la fine ha la sua bellezza ed anticiparla sarebbe un peccato. Tiro sul il cappuccio e mi preparo a prendere congedo dal Lupo quando egli mi fa notare qualcosa. Un piccolo e compatto gruppo di individui ammantati di nero, diretti sulle scalinate della chiesa con la chiara intenzione di rivolgersi a Zeno.



Dunque tutti gli ospiti del ballo sono finalmente giunti. «salto già dal mio umile podio, sorridendo maliziosamente nell'immaginare quale scontro di ideali sta per consumarsi nel centro dell'umile Ladeca.» Credo che questo piccolo sermone stia per prendere dei risvolti molto interessanti, monsieur Lupo.



Lancio un'occhiata mista di sfida e curiosità verso il Lupo, chiedendomi se questo sarà davvero meritevole della sua attenzione. So leggere i miei libri, ho letto quella smorfia di dispiacere quando mi sono riferita all'antica nobiltà. Se a questo si aggiunge la sua fissazione per detronizzare ogni forma di nobiltà in favore di un popolo eguale allora la verità diviene sin troppo ovvia. Avrà subito dei torti, probabilmente gravi se ha espresso una tale dedizione all'eliminazione del corrotto e di chi abusa del suo potere. L'obbiettivo di per se non è necessariamente errato, ma lasciare che la mente venga offuscata da quella che alla fine potrebbe semplicemente essere un'infantile sentimento di vendetta. Quando si parte in cerca di vendetta è sempre saggio scavare due tombe, si? Davvero un peccato, ma non sta a me correggere le miriade di falle della mente umana. In fondo sono solo una bambina acculturata, come potrei mai fare ciò? Senza che me ne renda conto un risolino sommesso fugge dalle mie labbra. Prima che il Lupo possa porsi delle domande riguardo a ciò semplicemente mi avvio di nuovo verso la chiesa, immaginando che egli mi seguirà spinto dalla curiosità tanto quanto me.



Ladeca - Piazza della Chiesa

Un magnifico déjà-vu che ho avuto modo di vedere molte e molte volte nel corso degli anni. I grandi poteri finalmente raccolti tutti nello stesso luogo per discutere delle sorti del regno. Pardon, per bisticciare come dei bambini su chi abbia più ragione degli altri per intercessione divina. Questo è il genere di litigio che spinge i fedeli a massacrarsi nel nome del loro dio, poi se il dio è lo stesso l'intera situazione prende una nota mista di comicità e tragedia. Se questa è una storia di tragedia e guerra chi se non l'onnipresente pallida dei giusti può mettersi in mezzo per stroncare quelle noiose chiacchiere sul nascere e muovere la conversazione su tempi più importanti. Pari e popolo unito, gli Arconti come terzo incomodo messi da parte e rimossi. Elementi di dissenso, quale miglior modo per autodefinirsi? Prendi il nemico di sorpresa, sfrutta la sua avventatezza a tuo vantaggio e chiudilo su due fronti. Attacco a tenaglia. In fondo la politica è solo una guerra dove le spade e gli scudi sono rimpiazzate da penne e parole. Però questo non è il palco dei Pari, ne degli Arconti. Questo rimane comunque il palco di Zeno ed egli ne è il solo protagonista. Qualche parola per sottolineare la scortesia nell'interrompere il suo discorso, un'altra per far comprendere ai suoi oppositori che la morte non lo spaventa e dulcis in fundo persino un asso nella manica. Un piccolo gruppo di omaccioni legati e portati sui gradini della chiesa come prigionieri diretti al patibolo. Di taglia robusta, capelli biondi e corporatura estremamente robusta. Uomini del Nord che vengono presto indicati da Zeno stesso come profanatori di luoghi sacri e sciacalli senza scrupoli. Ultimi reietti dell'odiata Guardia Insonne. Infine la grande dimostrazione della volontà popolare, l'offerta al popolo di mettere ai voti il fato di questi brutti cattivoni. Se ho imparato a decifrare l'animo umano come credo io questo sparuto gruppo di prigionieri affronterà il patibolo nel giro di un'ora, due al massimo. Eppure quello che dicono loro, per quanto possa essere dettato al mero istinto di sopravvivenza, non sembra poi così inverosimile. Mi hanno incastrato, io non c'entro niente. La verità è che ciò non ha importanza, essi saranno giudicati per ciò che hanno fatto nei lunghi mesi della tirannia, non per qualche chiesa distrutta ed alcuni libri bruciati. Spingerli a lavorare per risistemare il danno fatto sarebbe di sicuro la proposta più accettabile delle cinque. Potrei anche prendere parte a questo piccolo teatrino per vedere cosa ne viene fuori. Quindi mi dirigo verso il banchetto allestito da una delle aiutanti di Zeno, pronta per dare la mia insignificante opinione sui prigionieri. Questo almeno finché non noto qualcosa di ben più interessante.

Se ne stava li, mani congiunte ed occhi chiusi con lo sguardo rivolto verso il basso. Non dava peso a nessuno, persa in quello che sembrava un sopito tormento. La grande sfida che ogni fedele finisce col dover affrontare più di una volta in vita sua, il dubbio. In fondo era fin troppo insolito vedere una donna di fede mettersi a prendere le parti di chi faceva della menzogna e dell'inganno il suo pane quotidiano, era come andare contro i propri principi. Contro la stessa natura che spingerebbe una donna come lei a ripudiare una tale forma di comportamento e modo d'agire. Eppure ci hai provato, non è vero? A rigor di logica i Pari sono quelli capaci di gestire il popolo e le terre meglio di chiunque altro, almeno politicamente parlando. Certo alla fine sono comunque una bestia debole e fallace, ma pur sempre una bestia abituata ad un territorio tanto ostile. Solo adesso mi sono accorta che il mio costante muovermi per la folla mi ha fatto perdere di vista il Lupo, probabilmente ostacolato nei movimenti dalla sua stazza adulta. Non che abbia importanza, ormai la mia attenzione si è mossa a qualcosa di ben più complesso di un lupo solitario. Mi avvicino con passo felpato e semplicemente mi abbasso quel tanto che basta per osservare il suo volto, parzialmente nascosto dalle mani congiunte in preghiera. Poggio le braccia sulle ginocchia, incrociandole per poi poggiare la testa gentilmente su di esse. Rimango per diversi secondi li, a fissarla, ad immaginare quali pensieri possano ronzarle per la testa con un tale volto piegato da quella che non può definirsi come una tacita sofferenza. Dovrei parlarle? O dovrei lasciarla sola con i suoi pensieri? Strizzo gli occhi come cercassi di guardare un puntino distante posto davanti a me, ci penso ed infine decido. La aiuterò, mademoiselle Azzura, il Cavaliere da Comizio.



Vi sentite bene, mademoiselle? «mi rivolgo a lei con occhi che mal celano una sincera preoccupazione, aprendoli in tutta la loro espressività come una cerbiatta che fissa il suo cucciolo ferito.» Un cavaliere come lei non dovrebbe avere una simile espressione, se anche i forti dubitano allora la gente comune cosa dovrebbe fare?



Per il momento Odette decide di mettere in secondo piano la votazione democratica di Zeno, interessandosi invece ad Azzurra visto lo stato inusuale in cui la vede per la prima volta. Certo spero che non mi epuri nel nome del Sovrano :nono:
In maniera beatamente casuale si perde il Lupo nella folla, comunque se esso guardasse nelal direzione della scalinata non la mancherebbe con il suo vistoso mantello rosso. :sisi:
 
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Nawarashi
view post Posted on 16/3/2015, 15:58






Guardavo quel gruppo nero confabulare con Zeno, fino a quando non si unì qualcun altro, una persona bionda, proclamando con il popolo. Mentre ero intento ad osservare la scena, cercando di capirci qualcosa, vidi la bambina congedarsi da me, immergendosi in quella folla con brevi parole di commiato.

< Credo che questo piccolo sermone stia per prendere dei risvolti molto interessanti, monsieur Lupo >



Non la seguii subito, mi limitai a vederla volatilizzarsi tra il marasma di corpi nella piazza. Sembrava che stesse succedendo qualcosa di abbastanza importante dato che si levò un vociare piuttosto fastidioso. Scossi la testa e mi diressi di nuovo verso i pressi della chiesa.
Sulle scalinate, oltre al messia, c'erano un uomo dai capelli neri e la ragazza bionda del comizio alle tendopoli.Seppur incuriosito dal primo, rimasi sinceramente sorpreso dal vedere di nuovo quella giovane oratrice. Mi chiesi cosa ci facesse lì, messa all'angolo dalle guardie. La guardai attentamente. Aveva un'espressione triste, come di chi aveva commesso un torto enorme. Decisi di avvicinarmi un po' di più, quando Zeno ricominciò la sua arringa.
Egli spiegò chi fossero gli uomini che aveva fatto uscire dalla chiesa in catene. Erano, ovviamente, suoi prigionieri. Criminali di guerra che avevano commesso barbarie contro i Corvi leici e contro i rifugiati. Uno di loro, all'inizio del discorso, obiettò contro quella condanna pubblica, scatenando l'ira dei fedeli che iniziarono a fischiare, perfino ad insultare quei fuorilegge dicendogli cose come "Lavati la bocca prima di rivolgerti a nostro Signore!". Creatosi il caos, un imposizione delle mani di Zeno fu ampiamente capace di riportare il silenzio assoluto. Aveva un tale controllo sulla massa che non feci a meno di ammirarlo un po'.
Poi disse quello che non mi aspettavo per niente.

« Sono certo che molti di voi siano ansiosi che giustizia sia fatta. Ed è mia precisa intenzione che sia il popolo a farlo. Non lascerò che a decidere il loro destino sia qualche giudice autonominatosi tale, o qualche nobile arroccato nella propria loggia. Il popolo deciderà la loro pena, poiché è stato il popolo a soffrire delle loro azioni più di chiunque altro! »



Rimasi a bocca aperta. Per la prima volta nella mia vita, vedevo un'autorità, capace di giudicare qualsiasi uomo senza renderne conto di nulla a nessuno, rinunciare ad emettere un giudizio, dichiarando di lasciare che la collettività lo faccia in quanto suo diritto. Ero stupefatto positivamente. Pensai che quello era il primo passo per ottenere ciò che era giusto per questo paese, una soluzione in grado di muovere i primi passi verso una società non controllata da "Nobili arroccati nelle proprie loggie", citando le parole di Zeno. Quel gesto, oltre ad essere meritevole del mio totale rispetto, mi fece vedere quel Sacerdote in una nuova luce. Poco prima pensavo che non ci fosse nessuno di adatto a governare questo regno, nessuno che avesse le palle di mettere da parte i propri poteri e le proprie cariche a favore di un qualcosa di più grande e paritario. A quanto pare era diventato necessario rivedere le mie analisi.

Illustrò poi la modalità di voto, sottolineando come l'opinione di tutti, di qualsiasi schieramento, fosse uguale e totalmente indipendente dalla condizione di vita di ognuno. Questo fece rumoreggiare di felicità la folla, la quale, per la prima volta nella loro vita, si trovavano sullo stesso piano di quei feudatari che tanto li comandavano nelle loro terre. Ancora una volta, mi ritrovai a pensare che Zeno stesse esprimendo i miei ideali alla perfezione, dando voce alla volontà di chi, nei secoli di tirannia di Dortan, non veniva mai ascoltato.
Finito il suo discorso, diede la parola ai criminali per dare modo di difendersi da quelle accuse, come un giusto processo prevede. D'altronde se non si confrontano entrambe le versioni, non si potrebbe emettere un verdetto completamente ed ineccepibilmente giusto. Tuttavia questa opportunità, a mio avviso, venne completamente sprecata. Infatti fui totalmente disgustato dalle affermazioni di quel tale, il quale giustificava le sue azioni attraverso la fiducia mal riposta nei suoi governanti.
Stronzate, se davvero avessero commesso delle atrocità sotto gli imperativi dei loro comandanti, persino un asino si sarebbe accorto di quanto fossero sbagliati ordini. Hanno VOLUTO continuare a seguire il comando dei loro governatori, nonostante comprendessero bene che compievano azioni riprovevoli e dannose. Sono colpevoli tanto quanto chi li aveva assoldati. Nessuna di quelle parole poteva toccarmi l'animo, conoscevo bene gli esseri viscidi disposti a tutto pur di accaparrarsi ricchezze, altro che futuro. Il delinquente parlò anche di un assassino con una mano destra lacunosa di tre dita, dicendo che era solamente lui la causa di tutto quel che avevano fatto. Dunque c'era anche qualcun altro da giustiziare, stando alle parole di quel tale, oppure cercava solamente di trovarsi un capro espiatorio. Questa, tuttavia, era una questione futile. Erano lì, incatenati, solo per le proprie azioni, potevano incolpare solo loro stessi.

Dopo il discorso, vidi la biondina avvicinarsi al sacerdote per dirgli qualcosa. Lui la congedò mentre la ragazza si chinava raccogliendo la sua arma, per poi sedersi infondo alla scalinata con fare pensieroso, quasi come se stesse pregando. Essendo ella un membro dei pari, preferii non avvicinarmi, piuttosto volevo avvicinarmi al banco dove avrei potuto votare per la condanna dei prigionieri. Non lo feci per rancore o perchè li volessi ardentemente morti, piuttosto mi recai lì come testimone e partecipante di un evento cardine della storia di Dortan, assicurando un voto verso l'unica punizione plausibile per chi aveva tolto la vita ad altri: La morte. Piuttosto ironico se detto da uno come il sottoscritto, un assassino di sangue blu. In cuor mio accettavo anche io quel giudizio. Se un giorno fossi stato preso e posto sotto la scure, non mi sarei ribellato a tale sorte. L'avrei accettata con orgoglio, sapendo che i miei peccati hanno portato la giusta pena a chi era intoccabile. Se poi quella decisione veniva dalla maggioranza degli abitanti di queste terre, ne sarei stato ancora più rispettoso.

Vidi che, per arrivare al seggio, c'era una fila piuttosto folta di persone, così aspettai pazientemente il mio turno in quel serpente di uomini di ogni ceto sociale. Vicino a me sentivo commenti di ogni genere, chi si sentiva entusiasta e chi invece era impaurito da tale potere decisionale pensando "E se succedesse a noi?" "E se ci sbagliassimo?" "Siamo persone comuni come potremmo giudicare un uomo?". In effetti, chi avesse votato per l'impiccagione, avrebbe avuto il fardello di essere complice dell'atto di strappare la vita ad un suo simile. Io, dal mio canto, ero abituato a questo concetto, ma come avrebbero reagito un padre di famiglia o un contadino venuto lì per fedeltà verso i Corvi? Quanti, per semplice paura inconscia, non avrebbero amministrato la giusta pena solo per evitare di compiere qualcosa di subdolamente "malvagio"? Erano domande piuttosto legittime, sopratutto pensando all'animo egoista degli umani che poco prima avevo discusso. Ripensando a quest'ultimo, mi guardai intorno come per ritrovare quella bambina tanto arguta. Notai del tessuto rosso muoversi in direzione della giovane nobile toccata dal messia. Si conoscevano per caso? Oppure era solo curiosa di sentire il pensiero di una persona che era andata tanto vicina a Zeno, rimanendone probabilmente scossa? Forse era venuta a Ladeca proprio per la biondina. Bhe, chiunque fosse quella bambina, mi dava una strana sensazione, seppur rispettassi le sue conoscenze ed idee.
Mentre pensavo a ciò, la fila avanzò e di lì a poco sarebbe toccato a me.
Al seggio sedeva una graziosa ragazza dai boccoli ramati vestita di bianco, che scriveva diligentemente il voto di ogni cittadino, mostrando un cortese sorriso a tutti. Mi chiesi sarcasticamente se tutte le donne monastiche avessero una tale bellezza. Quando venne il mio momento, lasciai da parte quei stupidi interrogativi e mi avvicinai tranquillamente alla scrivania. Aspettai che la ragazza rivolgesse l'attenzione su di me per esprimere la mia opinione

< Impiccagione. >



Dissi senza troppi fronzoli. Osservai la ragazza scrivere quanto avevo detto e me ne ritornai tra la folla chinando leggermente il capo mentre emettevo un flebile "Grazie" dalla bocca. Tra la gente, guardai prima Zeno e poi la ragazza dai capelli biondi insieme alla bambina dal cappuccio rosso. Decisi di rimanere nella calca aspettando il verdetto con ansia, senza perdermi un momento di quell'occasione. Ogni risultato aveva la stessa probabilità di riuscita. Cosa avrebbe votato il popolo? Come si sarebbe comportato Zeno? Solo l'attesa mi distanziava dall'oggetto della mia curiosità.

Pensai che finalmente il popolo aveva contribuito a qualcosa.



Eeee Allein ha votato! Interessato più alla faccenda in se che a parlare con le persone, data la nuova ammirazione per le decisioni di Zeno, decide di rimanere tra la folla vicino alle scale. Odette potrà sicuramente notarlo se si guarderà intorno, per il resto se qualcuno ha intenzione di interagire con lui può farlo tranquillamente. :sisi: (Il voto di Allein era qualcosa di scontato :asd:)
 
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La vita e la morte. L'innocenza o la colpevolezza. Uguali o diversi.
Guardare il calore dietro le finestre stando all'esterno, mentre la neve spazza la strada. Ombre si muovono al di là, ombre vive. E fuori, solamente la morte, la loro condanna. Bussare non servirà a farsi aprire, gridare non porterà alcuna redenzione, inginocchiarsi e pregare non risveglierà dei addormentati da troppo tempo. L'uomo è dio di se stesso, le sue condizioni lo rendono crudele boia di chi è troppo debole per reagire.
Lei conosceva bene quelle sensazioni, di cui aveva giurato di vendicarsi.
Il grido morto nel petto ogni volta in cui il gruppo si chiudeva lasciandola al di fuori. Ogni volta che un commento pietoso o uno sguardo si posava su di lei come un macigno. La loro compassione era più tagliente di una condanna. La loro compassione era il cappio attorno al collo del condannato, il calcio allo sgabello che lo lasciava penzolare nel vuoto. Loro erano le mani giunte dinanzi alla forca, le litanie a tempo con lo scuotersi forsennato dei piedi.
Loro erano le porte che si chiudevano alle spalle di una fanciulla cieca, il giorno della sua partenza. Dentro risuonavano le risate e i pianti insinceri. Fuori il vento ululava parole incapaci di fiorire in un cuore troppo arido.
Aveva chiesto pietà, e non le era stata concessa. Aveva teso le mani nel buio, e nessuno l'aveva afferrata. Aveva gridato il nome di ciascuno di loro, ma nessuno le aveva risposto. Nel suo vuoto era precipitata senza poter davvero cadere. E quando avevano dovuto scegliere che fare di lei, ormai non c'era più nulla da salvare.
Per questo lei poteva capire. Poteva comprendere l'invocazione di quei prigionieri, la loro frustrazione, il loro stupore.
Erano convinti che la folla avrebbe mantenuto la propria parola, che i normali li avrebbero accolti. Avevano pensato che esistessero ancora promesse degne di essere onorate, che fossero mai davvero esistite. Erano solo degli sciocchi, ma lo avevano compreso troppo tardi. L'unica vera forza è il terrore, l'unica vera arma l'inganno. L'unico vera decisione spetta a colui che sa meglio convincere gli altri. Loro non sarebbero sopravvissuti, nemmeno se il popolo avesse deciso inaspettatamente di salvarli. Nulla li avrebbe graziati, nulla di quello che lei avrebbe potuto dire o fare. Nemmeno se fosse salita sul palco e avesse aperto le braccia, offrendosi al posto loro.
Per questo lei aveva giurato vendetta.
Aveva scelto di diventare come i più forti, di arrampicarsi sopra di loro per poterli schiacciare. Aveva scelto di mescolarsi tra loro senza farsi notare, per poterli poi colpire alle spalle. Aveva scelto di provare compassione, ma di non farsene vincere. Se ora li avesse difesi, non avrebbe potuto salvarsi. Se ora li avesse condannati, si sarebbe macchiata dello stesso male che le avevano inferto.
Pallida, guardava quegli uomini che non avevano più speranze. Risentiva le porte chiudersi alle sue spalle, le risate, i propri lamenti nel sonno. Il loro grido era identico al suo pianto, soffocato nel cuscino. Il rumore delle loro catene, rimbombava nella sua anima vuota.

Immagina.
Lei che si dirigeva sul palco a passo lento, sotto gli occhi di tutti, vestita del proprio abito scarlatto. Lei che saliva quelle scale e si inginocchiava davanti a quegli uomini sconosciuti eppure degni di pietà. Che spezzava le loro catene e carezzava i loro visi deturpati dal terrore. Prometteva loro che non sarebbe accaduto nulla. E fronteggiava Zeno e il popolo. La sua voce era ferma, dagli occhi ciechi rotolavano le lacrime trattenute troppo a lungo. Proclamava la fine di quella dittatura insensata, dell'anarchia di un popolo incapace di governarsi.
Stringendo i pugni esortava quell'uomo troppo fortunato per provare empatia a decidere per conto proprio. A sentire il peso di una vita tra le mani. A stritolarla come lei aveva fatto, portandone il ricordo indelebile. Come una bambola contro il petto, a non scordargli la propria colpa. Protendendosi in avanti invitava chiunque in quella folla a farsi avanti e condannare quegli uomini apertamente. Diventa tutto più difficile quando il gruppo si apre e ti lascia da solo, a dare un volto alle tue scelte. Diventa tutto più difficile quando il nemico da condannare ha i tuoi stessi occhi stanchi e i tuoi stessi sogni.
La folla taceva, dandole il tempo di fissare Gabriel un'ultima volta. Di sfiorarsi le labbra con le dita e sillabare un grazie stentoreo. Grazie per tutto. Grazie per averle fatto capire. Grazie per averle dato ciò che non avrebbe mai meritato. Non una come lei.
Grazie.
Prima che la prima pietra la colpisse, cancellando ciò che della sua dignità sarebbe potuto rimanere.


Immagina.
Rimase immobile, come pietrificata.
Attorno a lei il gruppo si muoveva, ordinato come una cosa sola. Le ricordava qualcosa che aveva visto nel passato, e che era stato dimenticato. Qualcosa di terribile. Molte mani che dichiaravano una sola condanna. Strinse le labbra, le dita attorno alla bambola. Un brivido le strinse lo stomaco. Ora erano quegli uomini, che per lei non avevano neppure un nome. Un domani chi avrebbe potuto dirlo?
La bambola fissò i loro occhi, lei volse il capo verso il basso, chiuse le palpebre. Le sue labbra si mossero, senza che ne uscisse suono.
Perdona loro, perché non sanno quello che fanno.
Lentamente, senza fretta, rialzò il capo. Fronteggiò il palco e le sue vittime senza che sul suo volto pallido si disegnasse nemmeno una ruga. Loro erano il sacrificio necessario perché nascesse il gruppo, il prezzo di quella follia. Ogni gruppo ha bisogno di un escluso, ogni morsa ha bisogno di qualcosa da stringere, qualcosa contro cui unirsi. Lei aveva avuto quel ruolo per molto tempo. Ora, fragile come un piccolo fiore nel disperato tentativo di frangere il vento, si ergeva al fianco del Consiglio. Ma non si sentiva più forte.
Sperò. Con tutta se stessa. Che il gruppo nascesse senza versare altro sangue senza colpa. Il suo sguardo senza luce cercò quello di Azzurra. Ma nemmeno lei avrebbe potuto fare niente. Ma anche lei doveva aver capito. Avrebbero semplicemente assistito.
Il sole splendeva glorioso nel cielo di Ladeca. I suoi raggi bagnavano come una benedizione i votanti e il loro portavoce.
Si accorse di avere molto freddo.


 
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Shavronne
view post Posted on 17/3/2015, 12:38










La ragazza sentì la folla esultare e gioire, l'illusione che si era creata in quella piazza la fece sorridere. Il profumo di quel finto potere aveva creato un incantesimo che attirava inesorabilmente la massa.
Fu in quel movimento collettivo e ordinato che finalmente il povero servo ritrovò la sua padrona. La raggiunse con affanno, tra passi storti e scuse, la paura di aver deluso la sua signora cresceva di momento in momento. Se la principessa lo avesse rifiutato e abbandonato per quell'errore la sua vita non sarebbe più stata degna di essere vissuta.
Quell'attimo invece per Hebiko fu insignificante: il gobbo era tornato ma quello che stava accadendo davanti alla chiesa era nettamente più interessante. Le parole di quell'uomo sottoposto al giudizio di gente sconosciuta la fecero riflettere e per un attimo provò paura. Non avevano accettato la loro vita da deboli, avevano provato a scalarla... ed erano caduti.
La sensazione durò un istante: la faccia del prigioniero divenne la sua.
Doveva essere stato uno scherzo della mente perchè il suo volto scomparve con la stessa velocità con cui era apparso, ed ora era rimasto solo lo sguardo impaurito di quel poveraccio a ricordarle, come un'oscuro presagio, la pericolosità del suo percorso.
Un brivido le corse lungo la schiena, non poté non pensare a cosa sarebbe successo se suo padre e il suo popolo l'avessero trovata, o se gli umani l'avessero scoperta: le insidie erano ovunque.
Poi in un lampo, le preoccupazioni la abbandonarono sopraffatte da una convinzione sempre più forte.

Come diavolo le era saltato in mente di paragonarsi a quei disgraziati?!?


Si sentii stupida per quei pensieri: lei non era come loro, lei non era un contadino ma una principessa e soprattutto lei era forte e i pericoli li avrebbe domati!
«Hey, facciamo un gioco.»
Si rivolse al gobbo, la sua non era una domanda ma un ordine. Lui d'altra parte rimase confuso, non era ancora certo che la sua signora l'avesse perdonato e sicuramente non aveva mai giocato con lui.
«Come avrai capito dobbiamo votare per la sorte di quelle persone, il vincitore del gioco sarà quello il cui voto rispecchierà il loro futuro. Io scelgo... impiccagione!»
Il povero August parve rimpicciolirsi in quel mucchio di stracci neri, il volto completamente nascosto dal cappuccio logoro: se fosse stato possibile sarebbe scomparso. Che punizione mostruosa che aveva ricevuto! Che crudeltà!
Era stato costretto a mettersi contro la sua padrona, non poteva rifiutarsi ma la decisione fu enormemente sofferta. Il suo pensiero agì rapido: quelle persone non se la sarebbero mai cavata senza una punizione, l'impiego nella ricostruzione del regno sarebbe stata l'opzione migliore a cui potevano aspirare.
«Io voto... liberazione.»
Lo disse con un filo di voce, in quel momento desiderò con tutto se stesso l'immagine di quei corpi senza vita attaccati ad una fune, penzolanti.
E così si avviarono verso la fila per la votazione. Lei felice per aver trovato un buon passatempo e lui terrorizzato dalla possibilità di vittoria.




 
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view post Posted on 17/3/2015, 14:59
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Maestro
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Ladeca
Piazzale della chiesa


muta1
Chi è senza peccato
Scagli la prima accusa.


    All'unisono tutti parvero zittirsi sul monito educato, ma perentorio, del più chiaro dei Leici.
   Lo sguardo dei più balenò sui colpevoli, alternandosi tra le ciocche bionde di Azzurra e il volto torvo di Dulwig, che prese a bloccarsi in una smorfia a metà tra il perplesso e lo scioccato.
   Fissava la scena con un margine di stupore, lasciandosi andare a un rantolo sottile pronunciato tra i denti, sotto le labbra serrate. In cuor suo, sentì la rabbia salire; non tanto per ciò che era stato detto, o per ciò che Zeno gli aveva rappresentato. Piuttosto, per la placida figuraccia che gli aveva causato. Invero, soltanto uno come Dulwig - o il suo maestro Caino - avrebbero potuto architettare un artificio scenico come quello. Un modo per svilire il proprio avversario, snaturarlo di quel sottile strato di lealtà che ricopre ogni battaglia retorica.
   L'educazione.
   L'educazione era la regola della retorica, ovvero il terreno neutro entro il quale solitamente politici e oratori si sfidavano a singolar tenzone. Tutto e il contrario di tutto poteva esser detto, mentito e smentito entro il più crudo e metaforico degli epitaffi. Finanche rimproveri od offese, smembrate delle più volgari espressioni e rinchiuse entro aforismi laconici e svirgolati di concetti, al punto da non farli percepire come tali se non ai più abili e istruiti dei detrattori.
   Ma l'educazione, no. Quella, di solito, non era mai in discussione. Era la regola entro cui avvantaggiarsi, il terreno da calcare o l'arma da brandire. Era il monito della propria eleganza e la misura della propria signorilità, senza la quale qualunque gentiluomo non avrebbe mai potuto considerarsi tale. E, tanto più, ambire a qualunque battaglia di retorica.
   Dulwig strinse il pugno, nervoso. Visibilmente indispettito. Non aveva dubbi che Zeno si fosse fatto gioco di lui, sfruttando quel rimprovero borioso e saccente per squalificarne qualunque discorso contrastante. Così facendo non avrebbe dovuto nemmeno controbattere alle sue argomentazioni, ovvero ribadire le proprie come le uniche valide o degne di essere professate.
   Perché non si risponde a un maleducato. O meglio, ciò che un maleducato dice, non ha alcun valore.

   Dulwig sussultò, sentendosi rispondere in quel modo. Come se non fosse bastata la replica smielata del Cavaliere dei Pari; come se l'umiliazione di dover scorrere tra pregiudizi ignoranti e bucolici non fosse stata un supplizio già sufficiente da sopportare. Come se quel luogo non gli fosse già gravato come un macigno sull'autostima e la fiducia, sopratutto alla luce dell'infamia che aveva dovuto subire.
   Il silenzio piombò sulla piazza della Chiesa. Infatti, se prima ovunque si levavano canti, cori e richiami ai Leici e al loro signore, improvvisamente tutto tacque. Il monito di Zeno, e della sua seconda, richiamò l'ordine come una campana che chiama la messa. Tutti gli sguardi calarono sulla gradinata, come pecore al pascolo; con altrettanta perizia, infatti, seguirono occhiate di fuoco e segni d'assenso e dissenso, entrambi volti a ribadire e contrastare qualunque intenzione o verità l'Arconte si sarebbe preso il lusso di aggiungere.
   Invero, l'unico fiato si ebbe solo qualche istante dopo. Sorse come uno schioppo; un laccio staccatosi dal carro che rimbomba con un acuto leggero, ma fragoroso. Apparendo e scomparendo in un istante, lasciandosi udire da ogni direzione. Ci volle qualche istante a Dulwig per comprenderne l'origine e qualche altro minuto per sopportarne la vergogna.
   Era una risata sbottata e strozzata; due mani portate alla bocca che calcano il desiderio di non darsi troppa mostra. Di contenersi, più per etichetta che per altro.
   Era Teslat, che aveva trovato la risposta di Zeno evidentemente divertente.

   Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
   Dulwig strinse nuovamente il pugno, cavalcando l'onda della frustrazione in un sussulto ardimentoso. « Come osi... » sussurrò, stringendo fra i denti un'innata sete di rivalsa.
   Poi si voltò verso Azzurra, che - nel mentre - sembrava essersi defilata poco distante. La fissò con sguardo furioso e, senza nemmeno accorgersi, calcò il marmo del piazzale quel tanto sufficiente a raggiungerla. E a fissarla negli occhi.
   « Parlate di giustizia, pace e verità » asserì, sicuro « voi - proprio voi - rinnegate l'arme e la violenza come disperato peccato di un passato ormai lontano... »
   « ...e vi professate come volto nuovo di giustizia e speranza, nel nome e per conto di Aedh Lancaster? »
   La fissò, con odio e schifo. « Voi - proprio voi - parlate in nome di quell'uomo e ambite alla pace. »
    « Diteci, dunque » ribadì sicuro « non vi vergognate? »

   « La via del nord è piena di donne stuprate, villaggi bruciati e campi riarsi in nome di Aedh Lancaster. »
   « Intere città sono cadute in suo nome e sulla stessa Basiledra ancora dimorano le crepe profonde che i suoi soldati hanno inflitto alla pace del Regno! »
   Strinse nuovamente il pugno, agitandolo contro il suo viso. « Aedh Lancaster ha banchettato coi cadaveri di migliaia di persone » ribadì, animosamente « levandosi da tavola soltanto quando Caino gli ha chiesto di farlo e non prima di accorgersi quanto avesse smesso di convenirgli...! »
    « Dunque rivolgete quello sguardo lindo e pulito a voi stessa » asserì ancora, in preda alla furia « e con altrettanto tono spocchioso chieditevi: sono degna di reclamare la pace? »
   Lasciò che qualche istante di silenzio raffreddasse quello sproloquio, assecondando un istante di maggiore calma. Poi, squadrò le verghe di metallo che Zeno gli aveva offerto poco prima, in segno quasi di sfida. Per un attimo fu tentato. Almeno per un attimo.
   « Dovremmo passare il vostro collo a fil di lama in questo istante » riprese, con tono ancor più rabbioso « e spedirlo ad Aedh Lancaster col primo carro. »
   « Dovremmo condannare le vostre idee, esattamente come lui ha fatto con centinaia di bambini innocenti. »
   Poi si rialzò, sforzandosi di tornare a maggior calma. « Noi professiamo la pace; ma la pace si conquista con la violenza, perché nessun ordine si costruisce senza aver prima condannato i colpevoli. »
   « E il vostro signore, madamigella, è il primo dei colpevoli » disse ancora, fissandola in viso « perché ha marciato contro intere città, ucciso generazioni di giovani del Regno e posto sul trono Mathias Lorch »
   « Almeno fino al giorno in cui non ha deciso di tradirlo e di farsi latore di pace, con gente come voi a sostenerne le ragioni. »
   Fissò il popolo, per un secondo. Poi tornò a guardare lei. « Voi e altri vivete una bugia infame e non rimarremo qui a prender lezioni da gente come voi. »
   « Lavatevi le mani dal sangue degli innocenti e, quando avrete deciso di farlo, sottoponetevi al giudizio immortale di Zoikar, pagando col giusto prezzo le vostre colpe. »
   « E non dimenticatevi che il vostro signore è il primo criminale che avremo il piacere di giustiziare, prima o poi. »

   Poi si scostò, senza altro aggiungere.
   Aveva perso la calma; si era detto freddo, ma professato tutt'altro. Si era lasciato andare al rimorso per l'onta subita, da entrambe le parti. E aveva scaricato tutto sulla prima anima innocente che aveva trovato a tiro. Tutto questo non era da lui. Il freddo e distaccato politico che si era sempre detto di essere aveva ringhiato rabbioso come il peggiore degli scolaretti; come se tutti gli insegnamenti avuti non fossero valsi a nulla.
   Si passò il volto tra le mani, velocemente, cercando di calmarsi. Forse avrebbe potuto chiedere scusa. O forse avrebbe dovuto rispondere anche a Zeno.
   Forse. O forse no. E, nel mentre, prese a rifugiarsi in un turbato mutismo.
   « Psssst - pssssst! »
   Qualcuno richiamò la sua attenzione da sotto le gradinate, levando un richiamo acuto tra le file del popolo. « Teslat...? » Rispose Dulwig, perplesso. « Non è il momento di --- »
   « Hai visto che spasso questi Leici? » Lo interruppe l'altro.
   « Uhm...? » Dulwig rispose con un'espressione stupita, per lo più interdetto.
   « Esecuzioni pubbliche » aggiunse Teslat, scandendo bene le parole, « dico... esecuzioni pubbliche. »
   « Perché noi non le facciamo 'ste cose, Dulwig? » Disse ancora, col volto sinceramente divertito. Dulwig, da par suo, rimase immobile, indeciso su cosa rispondere. E se rispondere.
   « E io che credevo mi sarei annoiato... » concluse poi, allontanandosi di qualche passo.
   Dulwig lo fissò tornare nella folla, farsi largo tra la massa di popolani che si stava ammucchiando in direzione del banchetto approntato dai Leici e attendere diligentemente il proprio turno.
   « Per Zoikar » sbottò Dulwig, scosso « Teslat, non vorrai davvero...? »

   Ma Teslat era già lontano.
   Saltellava sul posto, alternando una canzoncina divertita a un tenue ritornello stonato. Di quando in quando avanzava dal suo posto, facendo un passo avanti, come un qualunque cittadino. Come un normale popolano chiamato al più alto dei compiti civici: il voto. Ma non per dovere, né per vocazione. La cosa sembrava divertirlo; come fosse un divertente cambio di programma. Votare per decidere: per la vita o per la morte. Per il dovere o per la speranza. O per sentirsi soddisfatti di un giudizio, giusto o impietoso che fosse.
   « Il prossimo, prego » disse Sapphire, laconica.
   « Eccomi, bellezza » sbottò Teslat, sfoggiando un sorriso a trentadue denti e allargando le braccia, quasi per accogliere quel dovere con tutto il calore possibile.
   Sapphire lo squadrò dalla testa ai piedi, rendendosi conto solo dopo qualche istante di chi avesse di fronte. Teslat, da par suo, colse il suo imbarazzo e si affrettò di levarle ogni dubbio.
   « Sono qui per partecipare all'ingiustizia popolare! »
   « I-ingiustizia popolare? » Chiese lei, di rimando.
   « Certo; come altro vorreste chiamarla? » Rispose, fingendosi a sua volta perplesso.
   « Credete davvero che a un contadinotto di Dortan freghi qualcosa del messaggio aulico di giustizia e democrazia insito in questo compito? » Asserì sicuro, alzando il tono di voce sempre più. « Credete veramente che questo esperimento sarà il prodotto di una sorta di giudizio giusnaturalistico? »
   « Andiamo » ribatté, fissandola negli occhi « questo qui ha devastato la loro terra » disse, indicando il prigioniero.
   « Cosa vuoi che gliene freghi al rozzo popolano di Ladeca se quest'uomo ha dei figli, dei valori o una qualunque giustificazione? »
   Sorrise malevolo, seguitando a scandire le parole. « Il popolo spera solo di vedere il suo sangue scorrere, e nel modo più lento e doloroso possibile. »
   Attese qualche istante, poi le si avvicinò ancora. « Il popolo non è un giudice imparziale: il popolo è solo una bestia assetata di vendetta. »
   Infine, si voltò verso la piazza, dando le spalle a Sapphire. « Questo non è un giudizio, una predica o uno strumento di democratica partecipazione al potere. »
   « Questa è mera propaganda politica » ribatté, stridendo una risata becera tra i denti « anzi, soltanto spettacolo. »
   « E non v'è ragione al mondo per cui io non partecipi a questa cosa. »
   Subito dopo prese a frugare nelle sue tasche, rovistando animosamente con entrambe le mani. Infine, parve trovare qualcosa e lanciò sul tavolino del voto un paio di sonanti monete d'oro.
   « Avanti, punto tutto sull'impiccagione » asserì, divertito « scommettiamo che il tipo ci lascia le penne? »
Concluse, tronfio di soddisfazione.



DON'T F**K WITH ARKONTI...!!!11!!111!!ONEHUNDREDELEVEN!!1!
 
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view post Posted on 17/3/2015, 20:44
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Cardine
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Disse Sunzi:
La collera e l'odio portano a uccidere i nemici,
e un bottino vantaggioso è ciò che spinge a catturarli.
[...]
Si nutrano inoltre i prigionieri, trattandoli con benevolenza.
Ciò è quel che si dice "vincere il nemico accrescendo le proprie forze".


Taliesin e Juan lo avevano lasciato da solo, con la promessa che si sarebbero incamminati verso sud il giorno dopo, la mattina presto. «Goditi Ladeca», gli aveva consigliato il musico scarlatto appena dopo il discorso di Zeno, ma era stato fin troppo semplice accorgersi che il furfante era già tutto teso solo e soltanto al compimento dei suoi affari, e non gli importava davvero cosa lo stratega pensasse o facesse in quel tempo. Nonostante questo Josiah non mosse un muscolo, non avanzò la minima protesta e non provò nemmeno ad immaginare che cosa di tanto losco avessero da fare quei due invasati. Annuì appena, e tornò ad osservare la folla con sguardo severo.
   In fondo un giorno di riposo non avrebbe potuto altro che fargli bene.
   Assistette quindi al secondo discorso del Corvo, che prese una piega alquanto imprevista. Vennero portati sul sagrato due uomini che avano militato nella Guardia Insonne fino a qualche settimana prima. Josiah vide solo disperazione e innocenza, nel loro sguardo terrorizzato. Si erano macchiati del crimine considerato dal giudizio popolare il peggiore di tutti: essere dalla parte di chi perde. Probabilmente lo stratega avrebbe faticato a contare quanti altri come loro, negli ultimi mesi, erano stati fatti prigionieri ed ora attendevano il patibolo per saziare la vendetta popolare.
   Eppure il prete diede loro un'ultima possibilità. E lo fece interpellando il popolo, e non Dio, come loro giudice ultimo.
   Josiah conosceva la regola militare, e sapeva che se quei due non erano stati giustiziati immediatamente dopo la cattura era solo merito degli dei o del fato. La tradizioni belliche dei Quattro Regni parlavano chiaro su cosa aspettasse loro, e in fondo chi era lui per opporsi all'ordine che regolava gli scontri ormai da secoli e secoli? Ma quella che il popolo decidesse - un'illusione chiamata da alcuni democrazia - era una bizzarra novità, a suo avviso inammissibile in campo militare, ma decisamente più umana nelle circostanze civili come quella. Il popolo, colui che aveva più sofferto, avrebbe deciso. Ed evidentemente dicendo ciò Zeno non intendeva riferirsi a uno straniero come lui, che aveva lasciato i Quattro Regni molto prima che la guerra scoppiasse e che per tutto il tempo se ne era rimasto a Lithien, lontano dalla sua terra natia, udendo solo gli echi lontani di quel regno del terrore.
   Io non voterò, si decise.
   Ma proprio in quel momento udì una voce sovrastare le altre. Berciava: «Impiccagione».
   Alcuni annuirono. Ed ecco che in un istante il popolo si trasformava da vittima a carnefice, passando dalla parte del torto.
   A quel punto un meccanismo sconosciuto scattò dentro lo stratega. Non consultò nemmeno il tomo prima di agire: conosceva quei passi a memoria. Ordinavano che il nemico avesse diritto a un trattamento dignitoso, spiegavano come fosse conveniente punire i traditori del proprio schieramento ed offrivano delucidazioni su come risolvere le controversie giuridiche in tempi di guerra. E infine mettevano in guardia di come non si potesse mai e poi disfare la condanna definitiva: la morte.
   Si fece largo a lunghi passi tra gli astanti, avvicinandosi alla giovane donna che avrebbe raccolto i voti.
   «Io provengo da lontano, e non ho sofferto per colpa loro. Ma la disciplina militare impone di trattare con benevolenza i prigionieri». Aveva cominciato a parlare senza nemmeno guardarla e senza imporre la propria voce sul mormorio degli altri, ma facendo in modo che almeno quelli attorno a lui lo udissero forte e chiaro. Il suo tono restò pacato, privo di ogni fervore, ma non per questo carente di determinazione e imperiosità. Sapeva bene ciò che stava dicendo, ed ogni sua parola era stata ben ponderata.
   «Questi semplici uomini non hanno colpa, se non essersi trovati dalla parte sbagliata dello schieramento. L'unica punizione che meritano è non vedere mai più la terra materna che loro stessi hanno devastato. Vanno mandati al confino!» concluse, stringendo il tomo sotto il suo braccio sinistro. Ecco la vera giustizia che il popolo doveva cercare. I deboli come loro andavano soltanto allontanati, perché da quel regno di cenere potesse rinascere l'araba fenice.

JOSIAH
Fisico: 75%
Mente: 75%
Energia: 145%
CS: 2 in maestria.

POTERI PASSIVI
COMANDO - 5 utilizzi. Aura psionica di autorità e comando;

RIASSUNTO
Per cominciare: temo di non aver specificato l'equipaggiamento non tecnico di Josiah. Al momento ha solo la sua spada e un giustacuore sotto i vestiti - protezione di cuoio che protegge la parte bassa del collo, il cuore e la zona dello stomaco.
In un primo momento Josiah è restio ad immischiarsi nella votazione, ma poi si sente in dovere di dire ciò che per lui è meglio fare, ovvero mandare le due guardie insonni al confino. Facendo ciò spendo un utilizzo dell'abilità personale passiva che ho riportato sopra. Dovrebbe avere effetto un po' su tutti quelli abbastanza vicini da udirlo o comprenderlo. Ho immaginato che Josiah parli appena dopo Teslat, che non riesce ad ascoltare perché troppo lontano, fino a pochi istanti prima.
Sono estremamente contento di tutti gli spunti adatti al mio personaggio che stanno venendo fuori - che mi permettono di scrivere come se fosse la cosa più naturale del mondo - ma sono ancor più entusiasta della quantità enorme di gioco creatosi. *batte il cinque a tutti gli altri, ma proprio tutti, e ci mette mezz'ora*
 
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Palantír
view post Posted on 18/3/2015, 02:25




Aprosdòketon, l’attesa delusa.
Un ragionamento che parrebbe portare a una conclusione univoca, una macchina logica di assoluta cogenza che non permette scappatoia alcuna. E che tuttavia viene sfasciata da un’unica, fulminante battuta finale che sovverte i significati e sbugiarda qualsiasi argomentazione, per quanto solida fosse.
Un aprosdòketon viene impiegato in un discorso per creare sorpresa nell’ascoltatore, spesso per suscitarne il riso: ed è naturale ridere a vedere smantellato un castello che si credeva solidissimo, allo stesso modo in cui è ridicolo vedere una persona dal nobile portamento cadere in una pozzanghera.
Questo era quello che Funes aveva studiato in tempi lontani, quando si illudeva che le belle parole disposte ad arte potessero cambiare le sorti di una nazione. Eppure il finale del suo discorso, pur se inaspettato, non suscitò in lui la benché minima ilarità. Fu a malapena uno sguardo sorpreso quello che gli rivolse Zeno, un cenno della mano che suscitò un’increspatura sulla manica che lo drappeggiava. Poi l'attenzione del sacerdote si rivolse altrove: due uomini vestiti come nobili erano saliti sul palco, mostrando una mancanza di quello stesso rispetto che lui, umile straccione, aveva dato prova di conoscere rimanendo ai piedi della scala. Rivolsero parole dure al chierico, riecheggiate dalla risposta altisonante di una guerriera tra la folla.
Strinse i pugni in un moto di orgoglio ferito, ma fu solo per un attimo: che orgoglio poteva essere rimasto a un fuggiasco dei vicoli, uno la cui speranza di vita era legata a quanto meno si fosse fatto notare? Avrebbe voluto rispondere per le rime agli impudenti che avevano distolto Zeno dalla sua richiesta, ma un pensiero si fece strada nella sua coscienza. Tra le nebbie dell’oblio che pian piano si diradavano dalla sua mente, Funes stava sviluppando un quadro sempre più preciso della situazione. A Ladeca si stava parlando di politica.

A chiunque le avesse studiate, le vicende recenti di Dortan mostravano chiaramente quanto mantenere a lungo il potere assoluto fosse impossibile a una singola persona, a meno che questi non fosse tanto potente da sobbarcarsi l’interezza dei destini di una nazione. A meno che non fosse come Rainier.
Re Sennar ci aveva provato ed era morto, con i Lorch non vi era stata differenza. Solo Caino, priore di Acque Perdute, poteva essere considerato una spanna sopra di loro, ma anche i suoi artigli non avevano presa su di un trono che sembrava cosparso d’olio. A quanto pareva, ai suoi tentativi di ripristinare il dominio su Dortan si opponevano delle istanze particolaristiche feudali: una nobiltà che scuoteva il giogo a cui era costretta da un potere accentrato e che ora, come i topi in assenza del gatto, cercava di assumere il protagonismo.
Nemmeno Zeno, dunque, era esente dalla ricerca del potere: l’abilità oratoria fu subito palese nella replica perentoria e sdegnata che riservò agli oppositori; l’intenzione, invece, fu chiara solo quando i prigionieri vennero condotti in catene.

« Il popolo deciderà la loro pena, poiché è stato il popolo a soffrire delle loro azioni più di chiunque altro! »

Una democrazia? Di tali forme di governo si perdevano le tracce nella storia antica; strani esperimenti sociali in cui “ciò che era giusto” aveva la meglio su “ciò che era logico” e che concedevano al comune cittadino di autogovernarsi in armonia con gli altri secondo la legge della maggioranza. Era giusto che fossero coloro che direttamente avevano subito un vilipendio a disporre delle sorti dei loro aguzzini; era tuttavia logico che essi si sarebbero immancabilmente fatti trascinare dall’onda emotiva, risolvendo la decisione della pena da comminare in una…

« …vendetta! »

Quasi riprendendo il filo dei suoi pensieri, avvolgendoselo intorno alle dita e procurandogli una conclusione disincantata e perversa, uno dei due che avevano sconfinato sul sagrato della chiesa durante il discorso di Zeno diede voce ai timori di Funes: una democrazia senza qualcuno che guidi il popolo, che lo educhi all’autodeterminazione sarebbe stata un semplice aborto, una forma di governo destinata all’implosione e all’entropia nel momento stesso in cui si fosse raggiunto un disaccordo fra due parti.
Ascoltare senza replicare: era questo il segreto che aveva fruttato a Funes di evitare una morte precoce su cui parecchi avrebbero scommesso. Ma, purtroppo per lui, non era stato punto sul vivo della sua coscienza di ex storico da troppo tempo per poter restare impassibile: sgattaiolò dunque alle spalle dell’uomo mentre questi trotterellava verso il banchetto dei voti allestito ai piedi della scalinata per lasciarvi l’auspicio peggiore.

« Il popolo rimane un animale assetato di vendetta fintanto che ai governanti non faccia comodo. Se ora la gente di Dortan agisce d’impulso non è detto continui a farlo per sempre, se qualcuno insegnasse loro le basi del vivere civile e del rispetto reciproco. »

Lo disse a bassa voce, quasi fra sé e sé, mentre l’altro si allontanava ma prima che non potesse essere raggiunto da quelle parole: in maniera tale da dare a quelle poche frasi il carattere più di un rimuginamento che di una risposta. Poi si rivolse alla giovane scrivana incaricata di annotare le preferenze di chiunque volesse decidere la sorte dei prigionieri. Non gli fu necessario pensarci sopra.

« Liberazione. »

Nessun’altra delle operazioni avrebbe avuto senso. Anni di studio delle guerre di popoli estinti gli avevano mostrato come atti di odio di una parte verso l’altra generano un senso di vendetta camuffato da giustizia, esattamente come l’assemblea di Ladeca. Non aveva senso in quel momento: Dortan era in rovina e solo la concordia fra i suoi abitanti avrebbe potuto salvarla. Quella collaborazione cui Zeno si era appellato doveva nascere da qualcosa, da un atto anche semplice. L’esecuzione, la condanna ai lavori forzati, l’esilio, ogni cosa sarebbe bastata come pretesto alla Guardia Insonne per screditare ai propri occhi l’operato dei Corvi Leici. Invece era proprio sulla diversità dalle altre forze in campo che Zeno doveva giocare. Sull’azione dei bianchi sacerdoti come guide e consiglieri del popolo, che lo facessero avanzare nelle sue scelte con rettitudine.
La scrivana non notò che il ragazzo le stava rivolgendo un gran sorriso; china sulle sue pergamene, continuò a scribacchiare fino a quando Funes non aggiunse:

« Io credo nelle parole di Zeno. Vorrei entrare nel vostro ordine, come si fa? »

La piuma d’oca scivolò via dalle dita affusolate tracciando un vistoso sberleffo nero sul foglio. Gli occhi sorpresi della ragazza incontrarono quelli speranzosi di lui, un rossore vago si dipinse sulle guance.

« Ma è bellissimo! Sono felice per questa scelta. Chiunque può aiutare ed entrare a far parte dei Corvi leici: per entrare a far parte dell'ordine religioso bisogna prendere i voti, conosci le formule? Sono frasi come “io non sono nessuno; io sono solamente la voce del sovrano; io non esisto”. Ovviamente se non sei disposto a tanto puoi comunque aiutare come me, dando una mano ai bisognosi e assistendo i profughi vicino alle chiese. C'è sempre bisogno di manodopera. »

Funes non mancò di notare come l’entusiasmo della giovane fosse tangibile e sincero: mentre lei parlava le sue mani vagavano irrequiete dallo spianare le grinze dal semplice vestito che indossava, allo stuzzicare un ricciolo che cadeva sulla fronte, a intrecciare le dita fra di loro. Era un modo di fare ben diverso da quello dei discorsi degli oppositori di Zeno, improntato all’artificio e al mantenimento di una facciata che nascondesse ogni emozione per risultare più convincente. Strano, però, che proprio quell’emozione così mal celata fosse stata proprio ciò che convinse definitivamente Funes.
Continuò a sorridere, e il suo sorriso era sempre più sincero.

« Credimi, se c’è una cosa che desidero è lasciar cadere il mio io del passato e abbracciare una causa che mi faccia vivere una vita degna di essere vissuta. »

Portò due dita alla fronte e inclinò leggermente il capo in segno di saluto: anni di vagabondaggio non gli avevano fatto dimenticare le buone maniere nei confronti delle signore, o perlomeno di quelle signore che non attentavano alla sua vita. Colse di nuovo la voce della ragazza alle sue spalle.

« Dopo la votazione ricordami di presentarti a Zeno, sarà felice di accoglierti! »

Non si girò, ma pensò con gratitudine alla scrivana che forse l’avrebbe avvicinato di qualche spanna all’anonimato che sperava.
Si diresse con altri verso i prigionieri, invece, per ascoltarne la storia rimanendo in disparte…


Mi rendo conto che questo post deve essere un mattonazzo allucinante ._.’ ho cercato di documentarmi come ho potuto sulla storia precedente la quest perché cavolo, Funes è un genietto ex studioso di storia quindi certe cose non può non saperle. E poi volevo dare un background più forte alla sua adesione alla fazione dei Leici che non fosse giustificata solo dalla convenienza. Janz, dato che la risposta che ho fatto dare a Teslat era a bassa voce credo che non ci siano problemi se per semplificare le cose decidi di ignorarla ^^
Ad ogni modo, alla fine del dialogo con Sapphire (ho riportato quasi testualmente le parole in discorso indiretto suggeritemi da Ray con qualche adattamento marginale per rendere il tutto più discorsivo, spero vada comunque bene), Funes si dirige verso il gruppo dei prigionieri dove vi sono anche Sherlock, Kirin e Shaoran per ascoltarne il dialogo anche senza intervenire direttamente.
 
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dra31
view post Posted on 18/3/2015, 15:00




La crociata del traditore ~ Muta - II
Ladeca, I Quattro Regni.

Quando vengono portati i detenuti e Zeno, dopo una breve presentazione del caso da esaminare, conclude con il suo discorso, lasciando poi modo ai prigionieri di esporre la propria difesa, Serhat e i suoi compagni accolgono l'evolversi degli eventi nella quasi totale e apparente indifferenza.

Perché inventarsi questa farsa del voto?
Perché dite che è una farsa?
È un bravo mercante, lo devo ammettere.
Farebbe successo, nel Sultanato.

Dico che è una farsa perché è già deciso l'esito del voto, qualunque esso sia.
Faccio fatica a seguirvi, padron Serhat.


Non è stupida, la bella Şehrazad, e Serhat ne è consapevole; espone delle domande ed esprime delle difficoltà normali per chiunque. Anche lui stesso, che non è un genio conclamato, si sta ponendo gli stessi quesiti. Un buon modo per venirne a capo, è discuterne.

È comprensibile, Şehrazad.
È vero, a differenza di un qualsiasi altro processo pubblico, sta dando modo a quei poveracci di ingraziarsi la platea. Inutilmente, però.
Ti riferisci a come ha impostato il discorso?
Già.
Lo ripeto, è un bravo mercante.
Messe in dubbio le sue parole, è stato abile nel sminuirle spostando l'argomento su un dettaglio vitale quanto secondario. Sappiamo tutti, quanto i religiosi ci tengono alle loro regole; sarebbero capaci di morire pur di non violarle.
Messo in chiaro questo punto, e dimostrata dunque la sua legittimità a parlare, ha presentato il capo d'accusa di quei disgraziati facendo leva sul disprezzo nei confronti del suo operato.

Perché lui può parlare e gli altri no?


Un'osservazione legittima, quella di Şehrazad. Effettivamente, gli eventi sono andati in quella direzione, con Zeno a parlare e i due contestatori costretti a fare il suo gioco.

Perché è stato furbo.
Si è posto fin dall'inizio in una posizione inattaccabile. Relegando i suoi avversari sotto di lui e fuori dal terreno sacro, ha indirettamente reso legittima la sua presenza in quel luogo. Chiunque, anche se giustificato dagli eventi, si fosse elevato al suo stesso livello, sarebbe passato come un usurpatore di un diritto non concesso.
Mettersi nelle condizioni di non poter essere accusati di nulla. Una precauzione necessaria in qualsiasi mestiere dove c'è il contatto con la gente.

Serhat osserva la folla adempiere a quell'insolito rito. Un'euforica manifestazione della volontà popolare, non molto diversa dalle tipiche espressioni popolari che punteggiano la vita del popolo, quando questi viene chiamato in causa.

Padron Eren, padron Serhat, voi andrete a votare?

Ancora una volta, Şehrazad pone una giusta domanda.

No. Come ho detto, è inutile.
Come mai?
Quali sono le opzioni?
L'impiccagione, l'imprigionamento, la liberazione, l'esilio o l'impiego nella ricostruzione del regno.
Credi che il popolo, dopo quanto ascoltato e forte del ricordo del passato recente, voti per la liberazione o l'esilio? O magari, per la prigionia o i lavori forzati?
Non lo farebbe?
Se ragionasse, sì.
"Il popolo deciderà la loro pena, poiché è stato il popolo a soffrire delle loro azioni più di chiunque altro!" Chi, dopo quest'affermazione, direbbe che è giusto non ripagarli con la stessa moneta?
Nessuno.
Allora, se è chiaro a tutti che i prigionieri saranno impiccati, per quale motivo dare delle alternative?
È semplice. Se il popolo decide per l'impiccagione, Zeno può sempre graziarli, mettendo nero su bianco che loro sono diversi dai predecessori e da chi li contesta. Certo, corre il forte rischio di mandare in vacca tutto il lavoro fatto ma se l'operazione va in porto, il ritorno è impressionante.
Invece, se il popolo decide per una pena diversa, Zeno deve solo confermare la volontà popolare, facendo vedere ai suoi detrattori che è possibile quanto predica.
In ogni caso, Zeno ne esce sempre bene.


Eren ha appena dato voce ai pensieri di Serhat, esponendo un punto di vista che non si allontanava di molto dal suo. C'è uno scenario che il mercante non ha menzionato, quello della conferma da parte di Zeno per l'eventuale impiccagione. Qualora succedesse, Serhat ha come l'impressione che il Corvo sarà capace di metterci il cappello in ogni caso.

Per quanto mi riguarda, possiamo anche andarcene. Serhat, cosa vuoi fare?
Credo che rimango. Voglio vedere dove vogliono arrivare.
A differenza di te, mercante, io devo conoscere a cosa posso affidarmi, se voglio lavorare.

Vero, voi artigiani vivete legati alla società. A seconda di quale direzione prende, voi rischiate di rimanere esclusi o meno.
Noi mercanti, questo problema lo soffriamo meno; alla fine, chiunque sia il governo, il commercio non ne soffrirà molto.
Comunque, penso che riprenderemo il viaggio fin da subito, questa città inizia a non convincermi.
Partiamo subito? Avrei voluto stare ancora un po' con vostro cugino. È tanto che non lo vediamo.
Non preoccuparti Şehrazad, avremo occasione di parlare. C'è o non c'è un matrimonio da celebrare?
Vero! Non vedo l'ora.
Allora, noi ci separiamo. Cugino, che la tua strada sia sicura.

Anche la vostra.

Serhat si scambia un vigoroso abbraccio con Eren e uno più delicato con Şehrazad come saluto, prima di accompagnare con lo sguardo i due avviarsi verso la strada da dove erano giunti. Non sente il bisogno di trattenerli, non ne ha il motivo. Quando le schiene degli amici scompaiono dietro gli edifici di Ladeca, Serhat torna ad osservare la piazza e quanto accade al suo interno.
Da qualche parte, nel suo animo, ha il sentore che quel giorno non sarà come tutti gli altri.

png

Basso × 5% | Medio × 10% | Alto × 20% | Critico × 40%
Energia × 100% | Fisico × 100% | Mente × 100%


- condizioni. Ottimali. {Fisico [0B+0M+0A+0C+0I] + Psionico [0B+0M+0A+0C+0I]}
- forma. Normale {100% = [0B+0M+0A+0C+0I]} + 0 CS {Forza Fisica 0 [0+0] + Intelligenza 0 [0]}

+ ragionare.
{Difesa psionica passiva. [Stratega I] [Psionica] [Passiva, 6 usi]} + {Comprensione della classe e del talento avversario. [Stratega I] [Psionica] [Passiva, 6 usi]} + {Passiva di solo discernimento di illusioni. [Stratega II] [Psionica] [Passiva, 6 usi]} + {Immunità dal dolore psionico e negazione degli effetti delle tecniche psioniche, i danni si mantengono. [Stratega II] [Psionica] [Passiva, 6 usi]} + {Capacità di vincere scontri fisici a parità di CS. [Abilità Personale 1/25] [Fisica] [Passiva, 6 usi]}
{Difesa psionica variabile personale. [Abilità Personale 2-3-4/25] [Psionica] [Variabile da Basso a Alto]}

+ lavorare.
{Perizia: quando utilizza una tecnica di Power Up, guadagna 1 CS aggiuntivo alla stessa caratteristica. [Umano] [Passiva, 6 usi]} + {Esperienza: permette di difendersi senza essere antisportivi da un grande numero di attacchi o da attacchi inaspettati, influisce solamente sulle azioni non tecnica. [Amuleto razziale] [Umano] [Passiva, 6 usi]}
+ l'agrimensura: criteri e tecniche.
{Auspex a bersaglio singolo [Amuleto dell'auspex] [Fisica] [Passiva, 6 usi]}
+ l'esperienza del Costruttore.
{il costruttore potrà tracciare la planimetria di un edificio osservandone anche solo una piccola parte [Passiva, 6 usi]}

- ... ...
{...}

+ la strumentazione: attrezzi personali. Armi iniziali [Mazzetta, Accetta, Piombo] per un peso variabile di kg 4~6 | Equipaggiamento GdR non offensivo [Borse degli attrezzi]
+ la strumentazione: strumenti di rilievo e misurazione. Armi acquistate [Corda a tredici nodi]
+ la strumentazione: attrezzi di cantiere. Armi acquistate [Malepeggio, Martellina, Badile, Sacchetti di gesso x 5]
+ la strumentazione: strumenti di disegno e misura. Oggetti GDR [Compassi x 3] incantati [vedi "Disegno e Scrittura"]
+ la strumentazione: pacchetto di medicazione. Bendaggi con soluzione cicatrizzante [Erba medicinale x 2 (cura bassa, istantaneo)] e Tonici [Corallo x 1 (+4 CS Intelligenza) + Erba ricostituente x 1 (+5% energia)] + pezzi di ricambio {Ripara un equip danneggiato [Abilità personale 12/25] [Fisica] [Medio]} e coltello.
+ cianfrusaglie. Oggetto personale [Quaderni di appunti]
+ doni. Cristallo del Talento + Anello del tuttofare (Dialetto dell'Akeran, Lingua del Nord) x 2

- note. Sequenza di pensieri in libertà tra Eren, Serhat e Şehrazad. Come è comprensibile, sia Serhat che Eren e Şehrazad si astengono dal votare, con gli ultimi due che lasciano la piazza e Ladeca.
Detto questo, si prosegue con il buon vecchio Serhat, che rimane ad osservare l'evolversi della votazione.

Errare è umano. Dare la colpa a un altro ancora di più.
Serhat Satu

 
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view post Posted on 18/3/2015, 16:47
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Cavalier Fata
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La crociata del traditore ~ Muta.
« Che valore ha il vero nome di Dio,
quando Dio non ha orecchio per sentire? »

Il disprezzo non tardò ad arrivare.
La piccola che aveva interrotto la mia breve meditazione mi permise di guardare quell'uomo dritto negli occhi mentre mi minacciava di ogni male, a buon conto aggiungerei, per aver osato interferire in quel suo magistrale spettacolino.
Dulwig aveva tutti i motivi per essere furioso con me. Era quello che sapevo perfettamente sarebbe successo, non mi aspettavo chiaramente un confronto pacifico dopo che lo avevo deliberatamente sminuito davanti a Zeno e alla piazza tutta. Eppure, sotto sotto, sapevo di aver vinto costringendolo a reagire in quella maniera. E non solo, ironicamente, per una sola fortuita coincidenza, la colpa di quel mio sproloquio era ricaduta su Aedh Lancaster e non su Ryellia. Coincidenze? Scherzi del destino? Semplice e banale incomprensione dovuta allo stemma sul tabardo? Possibile, tutto perfettamente e indiscutibilmente plausibile, eppure non potevo fare a meno di credere che ci fosse qualcosa di più dietro quelle parole, forse un segno, forse solamente un vuoto d'ignoranza che andavo colmando con ciò che io avrei voluto vedere. Eppure, nonostante avesse ragione, non riuscivo a concepire come un verme del genere fosse venuto al mondo. Non mi capacitavo di come qualcuno fosse ancora così stupido da credere alla vecchia, oramai rancida, storia del mondo superiore imposto con la violenza, con l'imposizione e con l'odio per il diverso. Era come se, banalmente, qualsiasi arconte avesse finto che la guardia insonne fosse mai esistita, come se gli ideali ed i precetti che quegli uomini avevano prima di decadere non fossero nati proprio per contrastare ciò che Caino aveva creato. La decadenza morale e religiosa del Dortan doveva essere curata, ma non al prezzo e al modo del Dicastèrio. Fosse stato per me avrei appeso Dulwing per il collo, assieme a tutta la feccia che si era portato appresso per fare la sua trionfale figura. E mentre andava via, indignato, un sorriso stentato mi salì alle labbra.

« Siamo entrambi cani, signor Dulwig... ma io amo la mia padrona come la mia padrona ama me. »
Sibilai, quando era già troppo lontano per sentirmi.
« Potete dire lo stesso? »

Poi, con dolcezza, rivolsi lo sguardo sulla piccola giunta a domandare della mia salute. Era la stessa giovinetta che avevo incontrato a Basiledra, e la sua sopravvivenza mi aveva solamente reso più palese che la sua natura non fosse propriamente umana... eppur era gentile. Innocua avrei osato dire.
Cercai di farle una carezza sulla testa, mentre con la coda dell'occhio vidi distintamente la figura di Ryellia, seguita da Erein, giungere in gran carriera.
« Non preoccuparti, petit è quando il tuo cuore vacilla che scopri davvero quanto sei saldo. » le regalai uno sguardo più rilassato, sebbene ancora fossi molto scossa. « Sono felice tu ti sia salvata, A Basiledra. »


I volti dei miei signori erano un misto di preoccupazione e disappunto. Non sapevo se erano furiosi con me per la magra figura fatta oppure, al pari mio, avevano trovato bieco e sciocco il tentativo degli arconti di sminuire Zeno in quel modo.
Erein, però, anziché rimproverarmi ci rese partecipi di quanto, a sua volta, sembrasse non apprezzare né Caino né la sua personale e fanatica società religiosa. Tuttavia, ed era un argomento particolarmente inattaccabile, Dulwig e il suo compare non rifuggivano appieno le responsabilità di quello che andava succedendo. Non che questo li scagionasse completamente dalle idee folli e dal modus operandi bieco e squallido, ma era già un passo avanti da evidenziare. La Dama Rossa, invece, era decisamente più incattivita, complice anche l'aver udito lo sproloquio contro la famiglia Lancaster e le male parole su Lord Aedh.

« [ ... ] Ma certamente il Priore sarebbe presto intervenuto, anche senza il soccorso di Lord Aedh. È un gran peccato che non potremo mai scoprirlo. »
Senza pensarci due volte, vista la situazione, inveì sul poveraccio.
« Sapete cosa abbaia come un cane, segue gli ordini come un cane e ha un pelo bellissimo? » Indicai la schiena di Dulwig. « Un cane, ovviamente. »

In quella frase c'era molta, troppa, verità. In fin dei conti sia io che lui eravamo semplicemente pedine alle prese con un gioco più grande, solamente che io avevo nel cuore l'affetto e la complicità della persona a cui avevo scelto di dedicare la mia vita. In ogni momento di quella giornata sapevo di poter contare su Ryellia, sapevo che anche se avessi fatto qualcosa di terribilmente sbagliato o inconcepibile, lei sarebbe stata con me. Mi avrebbe punita, questo sì, ma non mi avrebbe semplicemente lasciata andare. La risata della dama mi rincuorò, mentre persino il giovane re stregone si complimentava per quel mio minuto, seppur presente, atto di tenacia prima di appartarsi per parlare con il monsignore.

« Ah Lady Azzurra tira fuori gli artigli [ ... ] »
Era chiaro come la luce del sole che avrei dovuto conferire con la mia signora, in privato, ragion per cui dovetti chiedere alla ragazzina di scusarmi qualche istante.
« Scusami piccola, ti ringrazio delle attenzioni ma adesso la mia signora deve chiedermi alcune cose... mi raccomando, stai attenta, è pericoloso uscire da soli di questi tempi. » con un sorriso presi congedo.


E così, mentre Erein si presentava al monsignore, gli occhi di Ryellia si posarono sui miei, lontano dalle orecchie di chiunque.
Reggere il suo sguardo per me era un'impresa titanica, a dir poco, e non solamente per l'enorme disparità di freddezza, autocontrollo e sangue freddo, ma anche perché la sua sola presenza era per me fonte di incredibili emozioni contrastanti. Da un lato ne avevo paura, nel senso che temevo di tradire la sua fiducia, di disattendere le sue aspettative, mentre dall'altro avrei voluto avere qualcosa di più di ciò che mi era concesso. Per qualcuno che ha passato vent'anni isolata dal mondo non è facile tornare ad affezionarsi a qualcosa di esterno, di volubile, di rischioso come poteva essere lei. Con così tanta facilità poteva chiedermi di fare qualcosa sapendo che non mi sarei mai posta alcuna domanda sul suo operato. Mi avesse detto anche "salta in alto" io avrei risposto "quanto?". E quello che mi disturbava maggiormente di tutta la nostra storia era che, banalmente, lei non aveva mai usato quel potere per farmi fare qualcosa che io non volessi fare. Per questa ragione io avevo iniziato sempre di più a maturare un sentimento che andava ben oltre la semplice sudditanza, che sconfinava in un qualcosa che ad una donna che portava il marchio dei disonorati non era nemmeno concesso di sognare.

« Cosa dobbiamo fare... ora? »

Dissi, timidamente, riferendomi alla votazione.
Sin a quel momento avevo completamente ignorato i prigionieri che si stavano aspramente difendendo dalle accuse di Zeno, perché semplicemente non riuscivo a capacitarmi di avere una qualsiasi voce in capitolo. Avevo passato la mia esistenza a seguire una legge imprescindibile, votandomi ad essa anima e corpo, arrivando persino a donare la vita pur di espiare i miei errori. Come avrei potuto, di punto in bianco, ergermi a giudice, giuria e boia di uomini le cui accuse erano fondate sul niente, la cui colpa era quella di essere semplicemente al soldo del nemico. Normalmente, se fossero stati ritenuti colpevoli, niente e nessuno avrebbe potuto farmi desistere dall'idea di condannarli alla pena capitale, eppure non mi convinceva tutta la storia. Non sapevo nemmeno se mi era realmente concesso di esprimere tanto liberamente la mia opinione sulla pubblica piazza, lo trovavo... sconveniente.

« [ ... ] ma non credo sia... saggio lasciarli liberi. »

Deglutii. Ryellia aveva votato. Se lo aveva fatto lei, che era la mia signora, avrei dovuto farlo anche io, seguendo le sue orme. Ma era così maledettamente difficile accettare anche la sola idea che un gruppo di nessuno qualunque potesse eguagliare il valore sacro di una legge universale. Mi sembrava di calpestare ogni singola cosa per cui avevo combattuto, di gettare al vento decine di ore di preghiera, di meditazione, di devozione alle sagge parole di Dio e della sua lungimirante guida. Era realmente tutto così sbagliato? Avrei davvero dovuto votare e lasciarmi alle spalle quei pensieri, quei giudizi? Incapace di prendere una decisione autonoma lasciavo guizzare lo sguardo tra la punta del naso di Ryellia e la folla, ovviamente incapace ora più che mai di reggerne lo sguardo.

« Dovrei partecipare anche io, signora? »

Mi chiese se stavo chiedendo il permesso, quasi come non volesse credere al mio tentennamento, alla mia indecisione.
Vergognandomi incredibilmente per quell'improvvisa mancanza di risolutezza, che a stento riuscivo a spiegarmi, annuii debolmente con la testa.

« Sì, invero non credo che tutti abbiamo il medesimo diritto... c'è una legge che ci dica se possiamo o no?... »

A quel punto mi prese il viso tra le mani.

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Ed in quel sol tocco mi sentii come sollevare da terra e sbattere di nuovo al suolo con violenza inaudita. Era qualcosa che nessuno si era mai preso la briga di fare con me, una gentilezza che mai mi era stata concessa e che adesso, nel momento più buio, nell'esitazione più grande, giungeva come un raggio di speranza a risollevarmi. Avvampai sulle gote, diventando d'improvviso rossa in viso.

« [ ... ] Ciò che ti chiedo è: vuoi votare? »

La fissai negli occhi, tirando debolmente su col naso, mentre il resto del mondo sembrava diventare sempre più piccolo e ininfluente. Piano, quasi avessi paura che a risponderle troppo in fretta quel contatto sarebbe irrimediabilmente finito, annuii.

« Sì. »

La guardai ancora una volta, sentendo quella dolorosa sensazione allo stomaco lentamente scemare. Non mi era mai capitato di sentirmi così se non durante i momenti più dolorosi della mia vita, dove rifuggivo la mia esistenza nella preghiera. Eppure era così diverso, era così bello.

« D-dovrei seguire il vostro e-esempio, credo sia la cosa m-migliore... »

E mentre lei rideva, congedandomi lentamente da quella magia, il mio stomaco tornava normale ed il cuore non mi batteva più tanto forte da far quasi male.
Le regalai un sorriso di rimando, rendendomi conto solamente in quell'istante di essere arrossita in un mondo decisamente inappropriato. Con passo svelto mi diressi verso il banco delle votazioni, ascoltando nel mentre un convincente appello che invitava tutti a non esprimersi a favore della morte dei prigionieri.

Mi aveva già convinta a non ucciderli, però il confino sarebbe stata solamente una diversa condanna a morte.
Passandogli vicino chinai cordialmente la testa, senza fermarmi.
« Avete ragione, signore, non meritano la morte. »
Poi arrivai finalmente in fila, attendendo pazientemente il mio turno.
Sebbene non credessi in quanto stava accadendo e, anzi, il tutto mi risultasse ancora oscuro e dubbio, non potevo fare a meno di essere inspiegabilmente felice. Sino a pochi istanti prima ero triste, delusa dal mio agire, dubbiosa sul tempo che sarebbe dovuto venire, ma dopo quel tocco era come se i problemi fossero diventati più... piccoli. Erano sempre lì, i dubbi e le incertezze, ma c'era qualcosa che mi stava sussurrando che sarebbe andato tutto bene, che qualunque cosa il destino mi avrebbe messo contro non l'avrei affrontato da sola. E questo, per un animo fragile come il mio, valeva più di tutto il potere e i comizi del mondo.
Sorrisi, giocherellando con una ciocca di capelli biondi che pendeva a lato del viso.

« Non devono morire, esiliarli sarebbe come ucciderli per come la vedo io... »
Così iniziai, quando alla fine arrivò il mio turno.
« ...per me dobbiamo metterli a lavorare per ricostruire ciò che ci hanno tolto. »
Scivolai quindi di lato, guardando la mia signora con una espressione beata disegnata in viso, sperando che tutto andasse per il meglio.
Forse ero solamente una pedina ignorante nelle mani di capricciosi nobili, forse ero semplicemente una stupida idealista ancora indecisa sul dare spazio alla ragione o alla fede. Ma di una cosa, ora più che mai, ero fermamente convinta:
Non tutte le dame meritano la devozione di un cavaliere, non tutte le famiglie meritano riconoscenza.
Solo quelle per cui vale la pena morire lo meritano.



dividerazzurrafinale_zps51a4e64f
B. 5% - M 10% - A. 20% - C. 40%

Capacità Speciali: ///
Stato fisico: 125%
Stato mentale: 75%
Riserve Energetiche: 100%
Stato Emotivo: Indecisa, tranquilla.

Equipaggiamento:
• Spada Bastarda (Arma bianca, spada bastarda) [Fianco]
• Spada Lunga (Arma bianca, spada lunga) [Fianco]
• Braccio Corazzato. (Arma bianca, conta come maglio) [Sx]
• Pugnale (Arma bianca, coltello) [Legato sullo schiniero Dx]
• Corazza Mista. (Protezione mista, metallo-stoffa, medio-pesante)

Passive in uso: ///

Attive usate: ///

Note: Ecco il mio voto. Ovviamente Azzurra non ha nemmeno il concetto di "voto" dentro di se, tanto che deve essere Ryellia stessa a convincerla di poter votare. Ovviamente la mia piccolina voterà seguendo il voto di Ryellia (Lavori Forzati) Nel post faccio anche riferimento a Hole, dato l'uso della sua passiva, difatti Azzurra passandogli vicino da ragione al discorso, seppur non voti poi il confino, in quanto per lei sarebbe una condanna a morte ugualmente. Per il resto direi che c'è anche tanto sentimento, in gran parte emozioni nuove che Azzurra prova per la prima volta ^^
 
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view post Posted on 18/3/2015, 21:23
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Se ne era rimasta in disparte per tutto quel tempo, alle spalle della sua signora e del Conte di Ardeal. Non che una come lei fosse davvero interessata ai discorsi di quel prete con la maschera. Era vissuta abbastanza a lungo, troppo per la verità, per sapere quanto le migliori idee spesso nascondessero le peggiori intenzioni. Si era sempre fatta i fatti propri, eppure anche così per lei non era finita bene. Non c'era davvero nulla, in quella situazione, che la facesse sperare in un lieto fine. Poteva quasi vedere quegli uomini penzoloni dalla forca. Non sarebbero stati migliori o peggiori di tanti altri, non avrebbero pianto diversamente da ladri e assassini condannati prima di loro. Il Re Invincibile era stato molto più severo, e nessuno se ne era mai davvero lamentato. Nessuno aveva mai pensato di poter dire la propria.
Si concesse un sorriso, ricordando dei bei tempi, quelli in cui nella sua casa non si parlava mai di politica ma solamente di più piacevoli affari. Allora non importava chi comandasse, o chi volesse prenderne il posto. Tutti volevano essere re, ma nessuno avrebbe mai potuto battere il potere di un uomo destinato ad essere un dio. Ora gli dei volevano dire la propria, e gli uomini si battevano cercando di non annegare nel fango delle moltitudini. Insignificanti, tutti quanti. Non migliori né peggiori di lei. Forse per lo stesso prezzo sarebbero stati al posto dei prigionieri e al diavolo tutte le belle idee di parità e uguaglianza.
Però.
Si grattò distrattamente il mento.
Quell'esperimento era interessante, il più interessante a cui avesse recentemente assistito. Nel mezzo di piani deliranti per conquistare il potere, di morti violente e sangue sparso per divertimento, quella di Zeno era la migliore prospettiva che fosse stata offerta. Dopo tutto quegli uomini erano destinati in ogni caso a morire. Se nessuno avesse pensato a quel voto sarebbero stati linciati dalla folla ben prima di essere arrestati. Per loro sarebbe solo potuto andare meglio. E forse sarebbe stato divertente vedere cosa sarebbe successo a quella gente piena di buone intenzioni se i loro nemici fossero stati scarcerati.
Scivolò di lato, mettendosi in coda. I suoi erano troppo impegnati per accorgersi di lei, vestita come una qualunque fantesca. I suoi occhi viola saettarono, cercando di celarsi all'arconte dalle belle parole e ai suoi amici. Non voleva che un giorno all'orecchio di Ainwen giungesse notizia della sua banale diserzione. La padrona avrebbe potuto anche offendersi. Spiegarle sarebbe stato noioso.


Da quando hai anche tu una coscienza, Jacala?


Ho Igoo le poggiò una mano sulla spalla, la bocca accanto all'orecchio. Nel suo manto erano imprigionati i profumi ferrosi della pioggia e della terra. Era polveroso, come la strada che avevano percorso. Eppure sorrideva, divertito.


Ci sono cose di me che non sai”.
Si rese conto dell'assurdità della propria affermazione. Il sorriso di lui si allargò ancora di più.
In effetti talvolta potrei essere distratto. Ma chissà a quale prezzo i miei occhi potrebbero essere distolti”.
Le sfiorò la guancia con un dito, poggiando la fronte contro la sua tempia. Rimase immobile qualche secondo, senza che lei gli rispondesse. Poggiò una mano sul suo petto.
Un discorso che sarà interessante riprendere, ammesso che sopravviviamo a questo giorno”.


Lo fissò. I suoi polpastrelli lasciarono scivolare la sua arma più pericolosa dentro l'anima di lui. Lo sentì fremere di rimando. I suoi occhi viola ingoiarono quelli d'oro di lui, imprigionandoli. Avevano stretto un patto che non si sarebbe sciolto. Lui scivolò tra la folla come era venuto, abbassò il capo. Una folata di vento la percorse, scompigliandola come se fosse fatta solamente di fumo. Il suo manto scomparve, i suoi capelli divennero lunghi, biondi e lisci, le sue labbra più piene, il suo corpo più basso. Una panettiera, forse, o più probabilmente una fanciulla del popolo. Con la veste di cotone lavato da poco, l'ampio grembiule sporco di farina e le caviglie scoperte.
Fu così che giunse al banco del voto. Gli occhi viola non erano cambiati, ma difficilmente qualcuno se ne sarebbe ricordato.


Perchè dare la morte a chi merita di scontare il proprio errore con la vita?


Si strinse nelle spalle, certa che nessuno l'avrebbe ascoltata. La vita era sempre un premio, pensò, ma non importava ciò che lei pensava veramente. Importava che quegli uomini venissero salvati, per un motivo o per l'altro.


Che marciscano ai lavori forzati”.


Se ne andrò, trattenendo a stento la soddisfazione per quel gesto. Immaginò i signorotti, gonfi per il troppo cibo nelle loro palandrane ornate d'oro. Li immaginò che si rifiutavano di scendere a patti con l'araldo del popolo. Senza sapere che lei, la loro serva, lo aveva appena assecondato. E non per tradirli, sebbene se lo sarebbero meritato. Bensì per puro divertimento. I loro soldi potevano comprare Jacala, lo avevano sempre fatto, ma nessuno aveva mai parlato di acquistare il suo voto.
Mentre riprendeva il proprio aspetto, sfumando di nuovo, il suo sorriso rimase impresso nell'ombra.



CITAZIONE
Alla fine il mio png vota per i lavori forzati ^^

 
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Humean
view post Posted on 19/3/2015, 00:24




Arcana Imperii


La crociata del traditore – Muta



CITAZIONE
Il popolo deciderà la loro pena, poiché è stato il popolo a soffrire delle loro azioni più di chiunque altro!

La mia mandibola si serrò in un ghigno sarcastico e nervoso, i pugni si strinsero rabbiosamente fino a sbiancare le nocche, le mie pupille si dilatarono come se la mia anima indignata cercasse, attraverso quei minuscoli pertugi, di fuggire dal suo stesso corpo ed urlare a tutta la città la propria esasperazione. Tutto questo avveniva mentre le viscide parole dell'affabulatore mi scorrevano addosso, senza penetrare nel mio cuore. Poche battute, ed il “profeta” si era rivelato in tutta la sua volgare meschinità. La sua oscena proposta di giustizia (ma si può chiamarla così?) era quanto di più lontano potesse esserci dal Sovrano: Colui che ama l'ordine e la giustizia e la pace. Zeno non era solo uno scismatico o un ribelle: era un vero e proprio eretico, nel senso più deteriore del termine, un consapevole mistificatore della fede. Istintivamente, fui tentato di scappare una volta per tutte da quel luogo torbido. Eppure, meccanicamente, sotto la pressione della folla entusiasta, mi incolonnai con gli altri nella coda di uomini che, come un serpente tentatore, conduceva un'intera città verso il peccato mortale. Dovevo portare la mia croce fino in fondo.
Quelle persone che trepidavano in fila indiana, esaltate dalla prospettiva di poter giudicare, senza essere a loro volta giudicate, avrebbero forse perso le loro anime nella superbia e nella violenza, solo per farsi strumento dei giochi bizantini del Corvo Bianco; dovevo almeno tentare di impedirlo.
Il tranello subdolo che ci stava tendendo era fin troppo evidente, ai miei occhi. Ci stava mettendo alla prova, affidandoci le vite di quegli Insonni.
Da un lato, conquistava i più gretti istinti di Ladeca, attraverso un empio tributo di sangue, concedendo loro la vendetta e, soprattutto, l'illusione di avere un potere su un'altra vita.
Dall'altro, li sfruttava per distruggere i suoi nemici. Perché, ne ero certo, sotto i colpi della sua vuota retorica, un atto di misericordia da parte dei suoi avversari sarebbe stato letto come complicità con gli Insonni. Al contrario, un atteggiamento inflessibile poteva venir spacciato per crudeltà. Quale che fosse la nostra scelta, Zeno poteva ritorcerla contro di noi. La scelta davvero giusta era fuori dalla scatola chiusa che ipocritamente il prete ci offriva. Era necessario rifiutare tutto il pacchetto.
Ancora qualche minuto, ed eccomi giunto alla testa putrescente del serpente. Fissai per qualche secondo, con malcelato disprezzo, la donna che meccanicamente raccoglieva il verdetto del popolo sui destini di quelle persone, come se fosse ordinaria amministrazione. Sapevo già cosa dovevo fare. Esitai un istante, per raccogliere tutta la mia concentrazione e volgerla allo sforzo che mi proponevo. Quelli che erano dietro di me tesero gli orecchi, avidamente, curiosi di conoscere il mio verdetto sugli imputati. Ma avrebbero ascoltato tutt'altro.

«Fratelli! Vi prego, prestate attenzione alle mie parole!»

Diedi le spalle alla tirapiedi di Zeno, per offrire il volto al suo gregge, per squarciare il velo della menzogna che li avviluppava come una fine e insidiosa ragnatela, e che li avrebbe condotti a bruciare, presto o tardi, nelle fiamme dell'inferno.

«Così come il lupo si copre col vello della pecora, per simulare una innocenza che non esiste, così il Demonio viene spesso nelle vesti di angelo della luce, quando vuole tentare i bassi istinti degli uomini.»
La mia voce tremava appena percettibilmente. Non potevo prevedere le reazioni che sarebbero scaturite dalle mie parole, e dovevo essere pronto anche alla peggiore delle ipotesi.
«Fino ad oggi, ho pensato che questo Zeno fosse solo un ingenuo, una Pecora. Ora capisco di essermi profondamente sbagliato, perché egli è un Lupo molto astuto, e vi sta deliberatamente guidando verso il precipizio. Se oggi voi vi arrogate il diritto – che solo al Sovrano appartiene! - di sentenziare sulla vita o sulla morte di questi uomini, commettete un terribile peccato del quale dovrete rendere conto. Zeno lo sa, ma non gli importa. Quello che vuole è muovere le sue pedine sulla plancia. E le sue pedine siete voi. Se tenete alla vera giustizia, se tenete alle vostre anime, sappiate discernere la falsità delle sue lusinghe, abbiate la forza di rifiutare questo sadico gioco, e di scacciare questo fariseo dalla vostra città! Questo è il mio voto per lui!»
Così dicendo, ed evitando di nascondere un sincero disgusto, sputai con violenza sul suolo polveroso.
Nel frattempo, la vasta platea era del tutto ammutolita. La abbracciai con uno sguardo accorato, soffermandomi un istante di più sui pochi volti familiari che distinguevo. Su Azzurra, che più degli altri cercavo disperatamente di salvare, e sulla sua bella ed altera Dama. Su Dulwig, lontano. Infine, sullo stesso, grande avversario della nostra Verità, Zeno il Corvo Bianco.
«Voi, Zeno, avete smarrito voi stesso; ma non vi consentiremo di trascinare con voi anche questi semplici innocenti nell'eresia
Poggiai la mano destra sul petto palpitante.
«Qui v'è la mia fede per il Sovrano, e la mia obbedienza per il suo primo, autentico testimone su questa terra. Il Priore di Acque Perdute, il primo degli Arconti di Zoikar!»

«C A I N O!»





Questo post è il “coming-out” del mio PG che è oramai pubblicamente e fieramente una parte integrante della fazione del Dicasterio! La sua arringa spassionata può essere un'occasione di aggregazione per tutti coloro che la condividono nella quest.
 
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view post Posted on 19/3/2015, 01:00

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«Adesso si che ci si diverte…» La faccia sghignazzante di Ursula per poco non mi provocò un'accesso di rabbia. Tutto il mio buon'umore era svanito al pensiero degli effetti che quella pagliacciata avrebbe potuto produrre. La Folla, io lo so bene, è una belva selvaggia. Domarla è un arte pericolosa e complessa come poche. Se anche la brava gente di Laedeca poteva apparire poco più che una sciagurata mistura di rifugiati, esuli, membri della Resistenza senza più uno scopo e popolino sarebbe bastato un nonnulla per trasformare quella festa in un macabro banchetto di sangue. L'imprevedibile fiera che è la Folla può essere blandita con mille discorsi, condotta all'obbedienza con la paura o con la benevolenza ma è sufficiente farle pregustare anche per un solo istante il sapore del sangue per risvegliare l'istinto ferale che le è proprio e mutarla in una predratrice insaziabile. Zeno, offrendo la possibilità al Popolo di farsi giustizia da se, praticamente agiva come il domatore che agita un pezzo di sanguinolenta bistecca dinnanzi il muso del leone.
«A me la cosa non diverte affatto …»
Negli altri quello spettacolo sembra suscitare sentimenti contrastanti. Alcuni sembrano soddisfatti, molto lieti e non me ne stupisco. La sensazione di tenere per le dita la vita di un uomo produce un'euforia intossicante, un delirio di onnipotenza che sa inebriare più di qualunque distallito, nettare o bevanda fermentata. Altri sono tesi, intimoriti, sconvolti. Ryellia non sembra affatto vedere la cosa con la mia stessa preoccupazione. Sfoggia un sorriso radioso, più sfavillante dell’oro che le scorre sui capelli.
« Che insolita svolta …Immagino dovremmo prendere posto anche noi. »
Svolta? Certo ma verso dove? Forse parlando con lei, confidandomi potrò un poco lenire i miei dubbi.
Mi avvicino, discreto avvicino il mio volto al suo in modo che sia sufficiente un minimo sussurro a rendere udibile la mia voce «Ritieni opportuno votare?» – le chiedo.
« Ci è stata data la possibilità di decidere la sorte di quegli uomini, non credo dovremmo sprecarla. » – risponde seria. E’ vero la loro vita è nelle nostre mani, ma non solo nelle nostre. E’ questo il problema. C’è una ragione se da secoli non si affida al Popolo l’amministrazione della legge. Il popolo è cieco, brutale, violento. Dagli una corda e troverà un collo attorno a cui infilarla. Lei dovrebbe saperlo. Ma forse, forse è il cuore di mio nonno che parla. Forse sono le sue paure a non permettermi di vedere la gloria del momento.
« Sembri molto sicura milady forse accompagnandoti riuscirò a convincermi anche io che tutto quello a cui stiamo assistendo non sia un grosso, grosso guaio.» - le porgo molto cavallerescamente il braccio e insieme ci dirigiamo verso il luogo deputato al voto.
« Rallegratevi, messer Erein, stiamo vivendo la storia quest'oggi. Avreste mai detto possibile tutto questo? » – pensavo di saper mascherar meglio le mie emozioni, ma evidentemente mi sbagliavo. Sembra esserci un’alchimia tra noi, una sorta di empatia che ci consente di cogliere particolari del nostro sentire esclusi agli altri. Vorrei rallegrarmi tanto per l’evento quanto per la compagnia, ma proprio non riesco.
« La mia esperienza personale mi fa temere le folle esagitate da discorsi demagogici » – non so per quale motivo sto per raccontarglielo, forse lo faccio per non sembrare un vecchio paranoico come Aureus - « Con questo aspetto, con la mia storia alle spalle non è stato facile farsi amare dalla mia gente. Ho visto la folla che mi acclamava il giorno prima ribellarsi contro di me spinta dalle menzogne di mio fratello ... Pretendere la testa di mia madre, nostra madre! La donna che l'ha cresciuto come se fosse figlio suo! » –scuoto la testa come se servisse a cacciare quel ricordo. - « Ma non è quel passato a turbarmi oggi Ryellia è il passato recente a terrorizzarmi. Quei due sono Guardie Insonni, sai cosa vuol dire? Se il Popolo li condanna per essersi schierati al fianco di Lorch quanto tempi credi ci vorrà prima che si ricordi che anche i Lancaster sono stati al servizio di quel pazzo sanguinario ? E quanto ancora per fare di tutta l’erba un fascio e accusare noi tutti delle loro sofferenze?»
Ed ecco che la donna snuda le zanne, le scaglie e l’alito di fiamme e si fa drago. Dovrebbe terrorizzarmi, dovrebbe impalarmi li, sul posto e invece quel suo modo di fare me la rende piacevole, ancor più piacevole del solito. Sorride, cerca di tranquillizzarmi persino. Ma io vedo ciò che potrebbe diventare se provocata.
« Sai... Questa non è la prima volta che vedo quell'uomo. L'ho incontrato a Basiledra, cercando di sfuggire dalla Guardia Insonne, provando a sopravvivere. Mi stupisce sia durato tanto a lungo da poter usufruire di una... votazione sulla sua vita. » – sorridi, Ryellia Lancaster ma non è l’innocente sorriso di una donzella il tuo. Ne quello intrigante di una Lady. Chi sei Ryellia, Madre dei Draghi, Regina Rossa? Cosa centri tu con quel pattume Lancaster? Cosa hai in comune con un uomo ben felice di mandare un figlio ad assassinarne un altro, con un avvoltoio che ha potere solo perché ha pasteggiato sul cadavere giusto? «Perfino la presenza incolume del caro Zeno quest'oggi si può dire essere dipesa dagli eventi di quella fortunata notte. La mia famiglia perorava una causa ben diversa da quella di Mathias Lorch. Non credeva di avere un'alternativa al suo potere: tutti i potenti avevano voltato le spalle al regno. Quando gli è stata offerta possibilità di reagire, l'ha fatto; ed è grazie a questa decisione di mio Zio, se oggi gli ospiti di Ladeca possono presenziare a questa votazione. Le nostre posizioni sono state ben diverse. »
Una visione dei fatti ben ricamata, devo concedertelo. Una menzogna, vero, ma funzionale al nostro scopo. Tu sai che tuo zio ha ben altre colpe di cui rispondere agli Dei. Ma tu ripeti la tua menzogna, ripetila spesso e ad alta voce. Ah cara Regina Rossa, hai un rasoio al posto della lingua. Ecco perché andiamo d’accordo.
Ridacchio. Non posso farne a meno. Le tue ragioni mi hanno avvinto. Mi hai rassicurato un poco.
« Speriamo allora che il Popolo se lo ricordi… Non mi hai chiesto come mai io conosco questi eventi ...La giornata ti ha distratto o è semplice fiducia in me?»
« Oh, Erein... La mia non è semplice fiducia; sono solo ben consapevole delle tue capacità. Sorprendermi di queste informazioni in tuo possesso significherebbe sottovalutarti, mio caro.» – e sottovalutarmi vorrebbe dirsi esporsi, essere vulnerabili non è forse così?
« Un giorno, quando non avremo l'esecuzione di qualcuno a rovinarci la disgestione, ti racconterò brani più divertenti del mio passato e prometto non saranno le lagne di oggi. Ecco tocca a noi, affrettiamoci non vorrei che qualcuno pensasse che siamo contrari a questa grande manifestazione di giustizia e amore per il popolo?»
Lascio che voti per prima. Quando giunge il mio turno non ho dubbi.
«Lavori forzati. Impiegando quelle braccia nella ricostruzione di Basiledra se possibile… »
Ursula mi compare alle spalle. Sulla faccia un sorriso malizioso. « Piaciuta la passeggiata Altezza? »
«Di certo meno di quanto piaccia a te spettegolare…Cosa voterai? »
« Quello che mi pare.» – poi sghignazzando aggiunge - «Lavori forzati. Ho sentito quello che hai detto alla sciocca leccapiedi del prete. E’ una buona idea la tua e lei non ti ha nemmeno ascoltato. Ma io si, io ti ascolto sempre Maestà …»
Mi avvicino a lei, siamo così prossimi che i nostri aliti si uniscono - « E’ una minaccia?»
Sento del trambusto e poi li vedo. Apostrofano Azzurra in maniera imperdonabile. Tronfie cornacchie che non sono altro … Ryellia è accorsa in aiuto della sua leale attendente. La seguo. So che non dovrei, so che sono pericolosi ma la mia bocca non si trattiene.
« Oh la Trinità di Caino sembra non seguire le orme del suo Priore ... sebbene disprezzi la giustizia popolare non scappa dalle sue responsabilità» – affermo avvicinandomi - « Che peccato sarebbe stato divertente vedere qualcuno del Dicasterio emulare la trionfale fuga di Sua Eccellenza... Ah ma forse manca un Lorch che branisca la spada ... O un Re bambino da proteggere? Non
credo che un soldato, incatenato faccia lo stesso non è così? »

« Parla di crepe suo suolo di Basiledra, senza dire che la loro causa principale è di chi l'ha abbandonata come una carcassa in balia di una belva. Ma certamente il Priore sarebbe presto intervenuto, anche senza il soccorso di Lord Aedh. È un gran peccato che non potremo mai scoprirlo» – aggiunge caustica la Dama Rossa
« - Sapete cosa abbaia come un cane, segue gli ordini come un cane e ha un pelo bellissimo? Un cane ovviamente.» - conclude Lady Azzura.
« Ah Lady Azzura tira fuori gli artigli Mi stavo giusto chiedendo quando avrei potuto godere di questo spettacolo.» Forse non aveva davvero bisogno del nostro aiuto. Dovevo immaginarlo, Azzurra sapeva usare le parole meglio della sua spada. A dire il vero non l’ho mai vista usare una spada…
Ma il protagonista della giornata, Zeno, è vicino. Troppo vicino per non farmi cadere in tentazione.
Mormoro un “vogliate scusarmi mie lady” e mi dirigo verso di lui.
«Eccellenza, vorrei avere il piacere di presentarmi ...»- mi inchino all’uomo in maschera come si conviene al suo rango - «Il mio nome è Erein del Casato di Deyrnas. Devo ammettere di avere un profondo debito nei confronti del vostro rispettabile ordine... Il vostro confratello, Malzhar Rahl, ordinato nel nome del Sovrano come Giano. A lui devo molto e la sua scomparsa è stata una ferita il cui dolore ancora non riesco a lenire .. » – i due si conoscevano. Probabilmente quanto appena detto era più vero per Malzhar che per Zeno. Malzhar di certo si ricordava di lui ma non sono esattamente sicuro del contrario. Del resto l’ultimo loro incontro era stato dominato dalla ingombrante presenza di quella donna Lorch. Astrid … Mio fallimento e mia fortuna…
« In molti sono caduti a causa della sconsideratezza della Guardia Insonne, purtroppo. Amici e parenti di ciascuno di noi... » - mi risponde con gravità. - « ma sono certo che senza il contributo di Giano, non saremmo dove siamo oggi. Leverò preghiere anche in suo nome, ricordandolo per l'eroe che di certo è stato. »
«Nella mia devozione di umile peccatore prego anche io Eccellenza... » - assumo un'espressione se possibile ancor più sofferente della sua - « ...prego perchè le molte ferite di questa regione che io chiamo casa siano lenite. Prego affinchè dopo tante guerre e conflitti si possa trovare l'unione. Se nel mio piccolo, se nelle mie modeste possibilità di Lord di un potentato irrilevante posso essere d'aiuto ad edificare questa tanto desiderata Pace, potrò finalmente considerare il mio debito con Malzhar almeno in parte compensato.»
Sua Eccellenza mi liquida con un gesto di consenso, ma non mi concede il privilegio di altre parole.
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Edited by Malzhar Rahl - 19/3/2015, 01:34
 
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view post Posted on 19/3/2015, 13:38
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Fui uno degli ultimi a votare in quella aberrante farsa giudiziaria che Zeno appellava come “giustizia”. Dare il potere al popolo, farlo decidere senza che alcuno fosse preparato a capire le conseguenze di ciò che diceva o faceva. Che colossale idiozia!
Quando espressi il mio voto non mostrai quanto paresse ai miei occhi inutile e pericoloso quanto stava accadendo, quanto folle il disprezzo di ciò che era sempre stato con una maggioranza di buoni risultati e che quindi sarebbe dovuto continuare. Votai non perché credessi in quello che stava succedendo ma perché almeno così avrei potuto influenzare almeno un pochino quella decisione, e forse risparmiare una pena assurda a quegli uomini che avevano fatto una scelta, sbagliata invero ma pur sempre dettata dalle necessità e dagli ideali che la Guardia Insonne inizialmente portava con sé e che erano giusti.
Votai dunque per la condanna ai lavori di ricostruzione: una pena clemente secondo la mia opinione, che non sarebbe dovuta durare più di un anno ... più che sufficiente a garantire che se la sarebbero ricordata abbastanza a lungo da imparare la lezione ed evitare di finire di nuovo tra i guai in futuro. Erano persone semplici, non avventurieri in cerca di guai come me, e avrebbero capito.
Mi allontanai poi dal banchetto per recuperare la mia scorta, scorgendo da un lato della piazza un gruppetto di Pari tra cui Azzura ed il celebre Oracolo Ainwen, astuta e manipolatrice come sempre. E Ryellia.
Sospirai, provando un tuffo al cuore nel vederla così fiera e distinta accanto al suo drago, avvolta in un vestito verde scuro che faceva risaltare i capelli chiari e la carnagione. Dovetti ammettere di provare una punta di invidia per quella Azzurra de Rougelaine, che condivideva tanta parte della sua esistenza: avrei davvero voluto essere al suo posto e prima o poi, giurai a me stesso, ci sarei riuscito.
Tempo di riunirsi con quelli che potevano fare la differenza.
SBUCCIA! SBUCCIA! La frutta migliore di Ladeca!
Il vociare di un venditore mi assordò proprio mentre trovavo Rokuoi e Yama, intenti a parlare con una donna minuta, vestita all’orientale con ricco kimono dorato, dietro alla quale attendevano pazientemente una mezza dozzina di samurai con lo stemma della spada e della montagna. Kasumaki.
La mia famiglia. Makoto-san. Cosa ci faceva li? l'ultima volta che l'avevo incontrata era stato a Ruldo, tempo prima. Era proprio una bella sorpresa trovare la mia cugina preferita, se non altro perché sapevo che mi capiva e che non mi avrebbe recriminato ancora ed ancora il mio volontario ed autoimposto esilio, o per meglio dire la mia fuga.
Mi avvicinai rapido, il barbuto samurai al mio servizio ed il giovane elegante si spostarono di lato per farmi passare, e salutai la mia parente con un sorriso ed un lieve inchino, scambiando qualche rapida frase di circostanza prima di domandarle se voleva accompagnarmi verso il gruppetto dei Pari, poco più in là. Sussurrai quindi qualcosa a Yama, il quale si allontanò verso la chiesa, e mi avviai con Makoto, passando accanto al venditore di frutta che questa volta si guardò bene dall’alzare troppo la voce, intimidito certamente dalla scorta che questa volta mi portavo dietro.
Sorrisi, compiaciuto del fatto. Facemmo proprio una gran bella figura, degna di una delle famiglie più antiche della nobilità dell’Est: lei, elegante nel suo kimono dorato a fiori rossi stretto in vita da un’obi di egual colore, su cui spiccavano i capelli corvini e la pelle marmorea e liscia, tenuta al riparo dal sole da un prezioso ombrello di seta verde; io, vestito con abiti da viaggio molto meno sgargianti ma di buona fattura e riccamente bordati di preziose e calde pellicce, frutto di alcuni scambi ben riusciti con i cacciatori del mio feudo su al Nord. Dietro di noi i sette uomini della scorta, le armature brillanti al caldo sole di quella piazza.
Il governo dei nobili, dei migliori, era l’obbiettivo che mi ero sempre posto. Il popolo doveva essere protetto ed ascoltato, guidato attraverso le difficoltà ma senza alcun dubbio si doveva chiarire che c’era una differenza e che alla nobilità si doveva di diritto un certo rispetto, cosa che Zeno prometteva di abolire con la sua idea di egalitarismo. Un Re assoluto ed autoritario era la garanzia che errori nelle sue decisioni si sarebbero ripercossi su tutto il regno, senza che alcuno potesse intervenire per smorzarne gli effetti. Fin dai tempi di Basiledra avevo visto la differenza tra un cattivo governo, con aristocratici indegni di questo nome che opprimevano i poveri senza giustizia, e quello che invece vigeva nelle terre della mia famiglia, dove più di una volta un contadino irrispettoso aveva pagato col sangue e con la vita uno screzio fatto al feudatario ma dove nessuno rimaneva privo di un tetto sotto cui riposare o di qualcosa da mangiare, se vi era la possibilità di evitarlo.
Arrivati a destinazione Makoto fece arrestare la scorta con un gesto imperioso della mano, mentre io segnalavo di fare lo stesso a Rokuoi, ed io e lei salutammo i Pari lì riuniti con un breve inchino, il mio più profondo quando mi rivolsi verso la dama Lancaster, il cuore che mi batteva forte dall’emozione e dalla preoccupazione per come avrebbe reagito dopo il nostro ultimo incontro, anche se tentai di nasconderlo dietro un sorriso. Chissà se aveva ancora la spilla che le avevo donato, convinto di non sopravvivere alla battaglia per liberare Basiledra dalla tirannia di Mathias Lorch ... la spilla di Elebeth, colei che una volta amavo con tutto il mio cuore. Sperai vivamente che non la tirasse fuori ora, altrimenti mia cugina l’avrebbe riconosciuta di sicuro e chissà cosa sarebbe andata a pensare.
Fu quindi con una certa trepidazione, insolita in me, che mi apprestai a parlare.
Makoto-sama vi presento Ryellia Lancaster, nipote di Aedh Lancaster, e la Signora Ainwen Dobrzensky. Signori, vi presento mia cugina Makoto Kasumaki, figlia di Masakura Kasumaki, feudatario della nostra famiglia. Io sono Shimmen Kasumaki, Lord di Vallegelida.
Mi rivolsi quindi a quelli che non conoscevo.
Con chi ho l’onore di incontrarmi?

 
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view post Posted on 19/3/2015, 18:53




AN EYE FOR AN EYE

Il giovane sospirò di fronte alla porta, conscio di essere in procinto di tradire gli uomini per cui e con cui aveva lottato. Quei pensieri erano opprimenti; lo soffocavano a tal punto che era costretto a provare un leggero senso di dispiacere nei confronti dei Sussurri, gli eroi delle masse. Avrebbe dovuto ucciderli senza pietà, guardandoli con lo stesso sguardo che neanche un mese prima aveva riservato a Mathias Lorch e il suo seguito. Vide se stesso infante, prigioniero di un mondo che lo rinnegava; vide la lama nel cuore di un uomo senza nome; vide un uomo che non portava nessun vessillo, fedele solo a se stesso nell'esaltazione dell'egoismo. Vide una porta e si compiacque di quel cinismo che non gli permetteva di cadere preda di se stesso. Bussò.

[...]

« Invero non è così, Samath » lo interruppe Julius rivolgendo il palmo della mano verso di lui. L'albino rimase in silenzio, ansioso di conoscere la risposta dell'Arconte, più per curiosità che per rispetto. Da quando aveva giurato fedeltà alla causa di Caino, molte cose erano cambiate, ma Samath semplicemente non se ne curava più del dovuto; Ordine, Resistenza e Dicastèrio non erano che tappe di un viaggio molto più lungo. « Una guerra non è solo un braccio di ferro tra due potenti; o meglio, lo è solo in parte. Uccidi il re e vincerai, ma dovrai superare torri e alfieri, e non potrai mai riuscirci da solo. Capisci dove voglio arrivare?» questionò appoggiando la mano sulla scrivania. Comprendeva, eccome se ci riusciva, anche se il poter vedere la verità era fonte di dolore. Significava constatare la propria debolezza, pugnalando l'orgoglio con il coltello della ragione: per quanto dotato, un singolo individuo non avrebbe mai cambiato il mondo. « Certamente; non ho mai imparato a leggere i testi, ma in compenso riesco a vedere tra le righe » replicò sicuro di sé. « Quindi converrai che abbiamo bisogno di più uomini fidati. Mi è stato riferito che tu sei in grado di garantirti l'obbedienza totale di un uomo e io avrei bisogno di un certo favore. Ma di questo ne parleremo quando tornerai; voglio chiederti di partire per Ladeca, Zeno terrà un discorso lì »
« Un emissario del Dicastèrio che presenzia insieme ai Corvi Leici? Desiderate forse un nuovo conflitto? » chiese il Puro, perplesso dalla richiesta di Julius della quale non riusciva a discernere il fine. « Affatto. Tutti saranno invitati, tutti potranno ascoltare le sue parole; sarà un'arringa, non una dichiarazione di guerra. Tu, insieme ai tuoi confratelli, avrai il semplice compito di osservare e riferire, nient'altro che si discosti da quanto detto » gli ordinò con la voce di chi non ammette errori o fraintendimenti. Samath acconsentì con un movimento della testa. « Adesso vai, il sole non tarderà a sorgere e l'indomani dovrai essere nel pieno delle forze. Che Zoikar sia con te » sussurrò Julius, congedandolo.

[...]

« Zoikar, chi sei veramente?
Sei la maschera che indosso, il giustiziere che uccide in nome di un disegno più grande
o sei il prodotto della speranza di questi uomini? Effimera fantasia tramutata in ideale
Non è più importante: tu mi accompagnerai in questa crociata
»

[...]

Un giudizio popolare; cosa voleva dimostrare Zeno? Concedere il libero arbitrio al popolo equivaleva a gettare fango sulla possibilità di creare dei Regni privi di disordini. Gli veniva data una mano, e loro si prendevano il braccio; se tutti erano messi sullo stesso piano e in condizioni di determinare qualcosa o meno, l'intero sistema di governo poteva essere messo in discussione. Era il singolo a dover prendere le decisioni, non una massa eterogenea di individui con idee contrastanti e facilmente influenzabili. Ovviamente, questo al popolo piaceva: avere successo, avere voce in capitolo; erano stanchi e provati, avevano bisogno di qualcuno che fosse l'antitesi del tiranno che li aveva oppressi. Tutto questo era patetico, ma il Corvo traditore stava ottenendo ciò che voleva.
« Allora, Samath: che si fa? » lo interrogò David. Cosa si doveva fare? Non era ovvio? Rifiutare questa farsa da guitti e osservare come degli spettatori muti, più di così non potevano. « Non facciamo nulla. Non mi interessa se questi reietti della Guardia Insonne siano colpevoli o meno, non sono intenzionato a indagare sulla loro presunta innocenza. Che siano immolati in nome di questa disgustosa democrazia o liberati; io non asservirò a questo futile scopo » replicò cercando di contenere il ribrezzo che provava nei confronti di ciò che stava avendo luogo. Quattro del suo gruppo sembravano concordi, ma la voce fuori dal coro era presente ovunque, e la scorta di Samath non era stata risparmiata da una simile piaga. Tyreel fece per avviarsi verso i votanti, come se il Puro glielo avesse permesso. « Tu non oserai » e all'udire queste parole l'altro si fermò di colpo. Aveva il coraggio di prendere iniziative personali, ma non ne aveva abbastanza per contrastare la sua volontà, questo lo rendeva relativamente sereno. Nel frattempo qualcuno era in procinto di rispondere a Zeno parlando alla folla; le sue intenzioni erano palesi. A differenza di Dulwig, le sue erano accuse dirette, gli stava dando dell'eretico nel tentativo di rivoltare chi gli era favorevole contro di lui. Non avrebbe ottenuto nulla, non adesso che Zeno era riuscito a ingraziarsi l'intera platea facendosi portatore di diritti che nessuno aveva mai creduto di avere. Doveva fare qualcosa prima che si scatenasse uno scontro che non fosse solo verbale. Camminava in fretta, spingendo se necessario: il suo confratello non aveva torto, ma così facendo metteva in cattiva luce l'intero Dicastèrio. Li aveva raggiunti, il cuore sembrava uscirgli dal petto. Poteva farcela; doveva farcela. «Silenzio! Non siamo qui per scagliare ingiurie come primedonne. Tra noi e loro ci saranno anche delle divergenze, ma questo non deve essere il teatro di accuse simili. Possiamo discutere in questa piazza senza che le nostre posizioni ci portino a sputare veleno contro il prossimo!» gridò, anche a costo di sembrare il più convinto tra gli ingenui. Doveva sentirlo Zeno per capire che non tutti gli esponenti del Sacro Dicastèrio fossero ostili; e doveva comprenderlo il popolo, per evitare che qualche fanatico colto dal furore si muovesse contro il confratello.

LN6PufY

« Stai al gioco: sto cercando di proteggerti »

Gli aveva sussurrato nell'orecchio; era opportuno che deponesse l'ascia di guerra
prima che che fosse troppo tardi.

Post articolati in quattro parti. A seguito dell'Editto di Caino, il giorno precedente la quest, un pensiero durante la notte e ciò che accade attualmente.
 
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179 replies since 10/3/2015, 16:54   7151 views
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