Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Grida dal Cielo ~ Creazione

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Lill'
view post Posted on 2/5/2015, 15:52





Anche quel giorno il sole sorse quando L’officina Dorata era già al lavoro. Le venti ciminiere sbuffavano fumo sul cielo rosato dell’alba, mentre i rulli e i martelli scuotevano le mura del circondario. Le valvole dell’enorme edificio liberavano tensione magica a fiotti, nuvole di saette violette che fecero rizzare le setole dei tappeti, frusciare in maniera inconsulta il fogliame degli alberi e cantare gli insetti. Persino gli uccelli presero a cinguettare dissennati come in primavera. L’officina Dorata aveva continuato la sua attività a pieno ritmo da mille e più lune, anche in quei tempi di secca. All’anziano Glambiorð, drago dalle scaglie d’oro che l’aveva fondata, poco importava della mancanza di richieste d’artigianato o degli strepiti dei pennuti, miseri alati-senza-scaglie: c’era da andare avanti.
Chiunque tra i draghi più anziani dava un qualche valore a quel susseguirsi di calibrazioni e perfezionamenti senza sosta, anche con il mercato fermo; anche se il grande gelo era andato e tornato, una e più volte, senza che la nuova stagione avesse visto una sola, vera invenzione. “Lima questo bordo”, consigliava ai suoi adepti il capo-officina, “Lucidiamo un po’ l’altra parte”. Anche nel giorno in cui Fyrirliði rivelò la sua scoperta, i tanti apprendisti dell’officina erano all’opera. Glambiorð studiava l’avanzamento dei lavori più pesanti: la scolpitura di una colonna da un lato, il perfezionamento di una gemma idro-catalizzante dall’altro; nel retro dell'edificio ogni tanto sua figlia Gullvindur, dragonessa d’oro di beltà e lucentezza ineguagliate, riportava l’andamento dei lavori più piccoli. Proprio sul retro Thorsberg, una giovane drago d’osso, di certo non aveva dato il suo meglio con un armatura: pareva finita e indossabile, ma ancora grezza di minerale; non era molto diversa dalla forma minuta del drago, in effetti, una corazza di piastre bianca e piena di spuntoni sbalzati. Il vecchio drago d’oro insisteva a farli lavorare in quelle spoglie.
Guarda Eldstöđsblóđ, la grazia delle finiture: non parrebbe altro lavoro, giovane testa d'ossa?” Disse Glambiorð, il drago d'oro, sfiorando uno scudo arabescato creato da un altro apprendista.
Capisco, Mastro”, rispose il giovane drago d’osso. “Ma a che servono tutti questi orpelli - non funziona ugualmente senza, forse?” Replicò Thorsberg sciorinando la mano verso il lavoro del collega, Dreki Eldstöđsblóđ: i suoi interessi erano altri.
E però l’elmo d’osso, pallido e irsuto, si volse comunque per un attimo verso lo scudo, come a sforzarsi di capire quell’opera così sinuosa e rifinita. Lasciò perdere subito, seguendo la scia dorata della figlia del capo nell’ampio salone.
Proprio in quel momento, con un tonfo sordo e un tintinnare di cristalli, il drago Dreki, fautore dello scudo, entrò scostando la tela della bottega. Portava un grosso blocco di ossidiana in braccio, e li salutò: “Boundì! Mi son perso qualcosa?” disse, dando uno sguardo intorno e sorridendo a quella scena. “Ah, sembra proprio di no!


Pur in quel periodo morto, quindi, il clima in officina era tale che Glambiorð fu tra i primi a rispondere all’appello di Fyrirliði. Si librarono versa Gola nera, il vecchio capo in testa, sua figlia al fianco; Thorsberg d’osso e gli altri apprendisti venivano dietro. Sbattendo le bianche ali puntute, Thorsb guardava ansioso i suoi colleghi: c’erano draghi d’oro, legno, di metalli e minerali. E il suo sguardo, oltre che sulle belle scaglie curve di Gullvindur, cadde anche su Dreki d’ossidiana, che volava eccitato al suo fianco. Da quando si erano conosciuti diverse lune prima, gli occhi dell'amico non avevano mai perso la luce della creazione. Lo vedeva, lì come allora - vedeva alla maniera dei draghi.
Era un tardo pomeriggio d’estate, chiaro e limpido. Finiti approssimativamente i suoi compiti Thorsberg era volato in un laghetto ai confini di Verkstæði. Sdraiato sul fondo, il muschio della pozza gli solleticava la schiena, strusciando tra la tante escrescenze bianchicce che caratterizzavano la sua forma alata. Allora Dreki atterrò poco lontano, e si presentò.
Ah, ti ha mandato il Mastro?
Aveva detto Thorsberg, rigirandosi nell’acqua torbida.
Bah, tu hai voglia di tornare a lavoro per qualche inezia, Dreki? Per una sfumatura o un dente di ruggine, insomma!” Il suo sguardo si posò su uno degli animali che pascolava poco fuori la città, non lontano dall'acqua. In un battito d'ali prese la bestia tra le zampe, e tornò a mostrarla al suo nuovo collega. Era una femmina di quella giovane specie cornuta, notò, e dal lungo pelo. La reggeva con delicatezza nelle zampre ruvide, ma la renna bramiva disperata.
Guarda qui, Dreki; non credi potremmo cercare cose più interessanti? Le creature senz'ali, ad esempio.” ruggì Thorsb, che a quel tempo conosceva solo vagamente altri draghi bianchi suoi simili, così come i loro lavori.
Non lo trovi assurdo?” Con la stessa delicatezza ruppe il collo dell'animale, ascoltando attentamente il suono di quei marchingegni che si spezzavano. Dreki aveva osservato perplesso quell'essere inerte, frustando l'aria con la coda. “...Sembra...piuttosto morto.” Rispose con una flessione perplessa della voce, e diede un paio di colpi all'animale; poi lo stomaco del drago d’ossidiana prese il sopravvento “Possiamo mangiarlo?” chiese a Thorsberg, sorridendo entusiasta.
Però sì, è di sicuro qualcosa su cui potremmo lavorare. Statue magari?
Mmh, ma io intendevo qualcosa di… utile. Con uno scopo, ecco.
Il drago d’osso si ritirò su comunque, lasciando defluire l’acqua verde del lago tra le sue scaglie aguzze, assieme a quella rossa dell'animale. Con un’espressione pensosa sul muso guardò l’altro consumare il pasto, e ragionò sulle cose che ancora c’erano da imparare sul mondo. A quel tempo il sapere di Verkstæði era ben diverso dal giorno in cui si riunirono a Gola Nera, e diversi erano i pensieri di Thorsberg. Ma il drago d'osso si sciacquava via di dosso quei tarli uscendo dai suoi bagni. Se non si aveva la forza di dire un'idea e usarla, pensava, allora non valeva neppure la pena occuparsene.
E va bene, sì!” ricordava di aver detto; poi lui e l'amico scuro erano volati via nel cielo estivo, tornando in officina.


eB7OieK



SPOILER (click to view)

Thorsberg
drago d'osso

8C0iVfC
forma d'armatura


Bianco, puntuto, giovane (per un drago)      Pragmatico, curioso, pressapochista

 
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view post Posted on 2/5/2015, 16:20
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Studioso
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“Creazione”

Dreki “Hrafntinna” Eldstöðsblóð


Entusiasta, Meticoloso, Dirompente - Sinossi - Nero, Vitreo, Mirmillone




La casa era piena.
Nella grande sala, ammucchiati in un angolo, stavano pile di blocchi di ossidiana inutilizzati e di piccoli frammenti lavorati. Quando il mercato era ancora buono era solito portarsi avanti con il lavoro a casa propria, ma di recente la richiesta era crollata e si trovava sommerso dalle proprie opere al punto da dover trascorre il tempo solo in quella minuta forma di guscio vuoto.
Non che ci fosse nulla di male, da quando aveva provato al mondo la propria maturità adorava quella forma, ma il doverla adottare per non distruggere i propri capolavori…Eh, se il mercato riprendesse sarebbe una bella cosa. Questa casa mi sta stretta!
Gettò un ultimo sguardo allo specchio della grande sala e si compiacque di come la luce delle fiaccole e dei cristalli luminosi si rifletteva sulla sua corazza.
Ah, quel vaso di vetro nero – la prova della sua maturità! – Fece scorrere lo sguardo dall’alto verso il basso in ammirazione e soddisfazione: un manichino di ossidiana pura e vitrea sul cui capo era scolpito un elmo con tre creste congiunte in fronte e separate sulla nuca, una tesa circolare e sotto di quella una svasatura per proteggere il collo e i lati della testa; il volto era una semplice sfera liscia lucida, con quattro fessure verticali identiche e una orizzontale intersecando le altre alla metà precisa; l’ossidiana era scolpita a ricordare un poncho sul torace ampio, le spalle imponenti e tutta la schiena e una fusciacca adagiata obliquamente sulle gambe solide – sulla destra fino al ginocchio.

Prese un blocco di vitrea pietra, rozzamente squadrato e si avviò al di fuori.
Attraversò la soglia della propria casa e con pochi passi raggiunse il limite del selciato.
Ancora un passo.
Il vuoto lo accolse dalla cima della torre.
Nella corazza vuota che precipitava rapidamente si accese un fuoco azzurro e sulla superficie vitrea le fauci e il corpo di un drago, come un riflesso su un bicchiere l’anima racchiusa nel guscio schiuse le proprie ali rivelando la forma maestosa di un solido corpo di rettile, solo la testa era grande quanto il cavaliere di vetro, occhi caldi come magma e sbuffi di fumo e cenere dalle narici, il pezzo di pietra stretto nella carne cinerea delle zampe, le ali vitree tese: l’ossidiana che ricopriva il corpo come minute scaglie riluceva dei riflessi del giorno e lasciava scoperto solo il ventre parte delle zampe. Sulla coda, invece, il minerale componeva aguzze spine.
Il volo fu breve, ma la brezza mattutina era qualcosa di splendido.
L’officina aveva da poco iniziato le attività, ma già si poteva sentire un forte vociare e il principio di un alterco.
Toccò terra con un tonfo sordo e uno sbuffo d’aria alla base della torre Proprio sotto casa, non smetterò mai di sorprendermi della fortuna che ho avuto quella volta… pochi decenni prima, al completamento del proprio guscio, fu subito accolto nella gioielleria di Glambiorð proprio alla base della torre in cui abitava. La passione che metteva in ogni opera gli aveva guadagnato il posto: ”La forma è importante, così come la luce. Ma la forma deve ricercare la luce! Il tocco della luce sulla forma è ciò che rende la bellezza ciò che è!” ripeteva quotidianamente.
Una volta a terra, il vociare dell’orificio si fece più intenso.
Chiuse gli occhi e si lasciò avvolgere dal manichino prima di entrare.

“Buondì! Mi son perso qualcosa?” si guardò attorno sorridendo ”Ah, sembra proprio di no!” Avanzò deciso verso il proprio bancone, su cui già si trovavano svariati innesti d’osso pronti ad essere abbelliti.
”Non dovrebbe essere così duro con lui, Mastro. Anche la sua arte è splendida, non tutta l’arte è precisa e scintillante. È vero che il ristagno del mercato non favorisce il nostro lavoro, ma noi dobbiamo sempre sperare per il meglio e puntare in alto. Ognuno secondo la propria arte. L’osso che voi chiamate grezzo non riflette la luce. È come mettere a nudo la parte più intima dell’anima, ma…” raccolse un fermaglio per capelli e lo alzò alla luce delle candele e dei cristalli luminosi, ma non vi fu alcun riflesso. Sfiorò il blocco di ossidiana e ne scisse una singola piccola sfera, la rigirò tra le mani rendendola progressivamente più ovale e con clack la mise in posizione. ”Ma anche l’anima più rozza può rivelarsi densa di sogni.” Continuò a lavorare di buona lena e quei frammenti d’osso guadagnavano man mano una vita diversa, le ossa di Thorsberg diventavano gusci per l’ossidiana di Dreki ed insieme diventavano quelle opere un tempo tanto richieste…
Quando l’ingresso dell’officina si spalancò, il “Hrafntinna” stava ammirando un coltello da scuoiatore: l’impugnatura era ruvida, imperfetta forse, ma robusta e calzante nella mano, la lama invece assorbiva la luce e la rifletteva con un ghigno crudo e scuro. La stava provando su alcuni stracci per verificare la qualità del filo quando la notizia dell’impresa di Fyrirliði si diffuse nella bottega.
Glambiorð diede l’ordine di fermare i lavori e tutti uscirono al suo seguito.


[…]




Lungo le strade non si sentiva altro che il vociare della gente tanto favorevole quanto contraria alla scoperta di imminente discussione.
Per Dreki poco importavano le implicazioni filosofiche e morali più o meno arrabattate o ben supportate, uno solo era il vero miraggio all’orizzonte: la ripresa della loro società. In un modo o nell’altro il potenziale di quella scoperta avrebbe scosso le acque stagnanti di quel mondo annoiato, ne era certo.
Camminavano al seguito del Mastro.
L’aria era intrisa di attesa.
Proprio come il momento che precede l’esplodere di un vulcano.
Nella mente del vitreo le scene di eruzione vulcanica erano qualcosa di placido, silenzioso e splendido.
Una spaccatura nella terra, fiamme che lambiscono l’aria e il magma denso che fuoriesce come sangue da una ferita. Da quella ferita una nuova pelle, una pelle rilucente e dura, si genera con il fermarsi dell’avanzata del magma.
Eppure sapeva di vulcani dal ruggito devastante, il cui magma dirompente ingoiava ogni cosa verso una morte infuocata.
Vi era un tempo in cui la sua pelle era coperta di lava incandescente e, sebbene in seguito scelse l’ossidiana come forma solida delle sue creazioni, non aveva mai abbandonato il proprio legame con la bellezza in grado di nascere dal potenziale distruttivo dei vulcani: bellezza e distruzione in un unico fatale gioco di fortune. Ebbene, quale sarai tu: la bellezza o la devastazione? La sua mente era persa verso la scoperta di Fyrirliði mentre entravano nella grande sala e prendevano posto.
E Dreki sorrideva.




Note:
Speriamo bene ^^
Non sono riuscito a fare tutto quello che volevo, o dire tutto quello che speravo…In ogni caso, Dreki “Hrafntinna” Eldstöðsblóð [Drago “Ossidiana” Sangue-del-vulcano] è un drago che trae la propria essenza dal magma e ha fatto della lavorazione dell’ossidiana (un prodotto della solidificazione del magma) il proprio mestiere. Con Lill’ abbiamo deciso di far cominciare i nostri Draghi in una collab. e spero vivamente di tenere il passo durante la quest :D
Ecco, come personalità si tratta di un ENFP (wikipedia per chi non fosse familiare col termine, ho il link in scheda – nella sinossi) ma mi impegnerò per dare risalto al suo carattere con le prossime scene…

In bocca al lupo a tutti quanti! :D

Dialoghi:
Pensato
Parlato

 
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view post Posted on 2/5/2015, 17:45
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Untitled-3_1


- il genio dimentico -


Le fiamme crepitanti nel braciere illuminavano la sala di toni arancioni. Le pareti spoglie rimandavano bagliori arancioni sulle vecchie creazioni disposte agli angoli della stanza per fare spazio all'ultima arrivata che posava al centro di quello spazio chiuso, privo di finestre, coperta solo da un velo bianco. A pochi passi dalla meraviglia ancora celata, stavano il Maestro Pikeys e due dei suoi tre allievi. Questi ultimi due erano draghi giovani, ancora incapaci di sviluppare autonomamente il loro materiale e dunque di creare nel vero senso della parola. Erano due bravi giovani, talentuosi anche, ma appartenenti a due famiglie cadute in disgrazia e dunque, non avendo la possibilità di accedere ai migliori e più rinomati maestri, erano finiti a fare da aiutanti a Pikeys. A onor del vero, andrebbe detto che Pikeys rimaneva una delle menti eccelse di quella razza, un tempo ritenuto fra i più grandi creatori. Purtroppo un incidente -avvenuto durante il collaudo di una sua creazione e di cui nessuno conosceva a pieno i dettagli- doveva averlo seriamente traumatizzato, perché da quel momento era divenuto svampito, distratto, impacciato. In più, era rimasto affetto da una lieve zoppia, e proprio per sottolineare il suo passo claudicante che lo faceva ondeggiare, gli altri draghi avevano preso a chiamarlo Pikeys, una consuetudine che si era protratta tanto a lungo da far dimenticare allo stesso maestro il suo antico nome. Un nome che era stato conosciuto e rispettato, quando ancora apparteneva a un drago integro, capace di meraviglie.
Non che Pikeys fosse divenuto totalmente inutile, anzi: non era mai stato tanto dedito alla creazione come dopo l'incidente; l'unico problema era che le sue idee erano spesso strampalate. Le creazioni del maestro venivano divise, dai suoi allievi, in tre gruppi: quelle troppo audaci per poter essere completate, che rimanevano spesso meri abbozzi, quelle che -al contrario- sarebbero state innovative qualche secolo prima e -infine- quelle che effettivamente avevano un loro fascino e una loro utilità. Proprio queste ultime, per quanto rare, conservavano lo spirito geniale del maestro di un tempo, ed erano la ragione per cui egli non era ancora stato esiliato. Gli altri draghi avevano finito per dimenticarsi di lui, finendo per ricordarsene solo quando c'era da commiserarlo per la disgrazia -sconosciuta ma ovvia- che doveva essergli capitata. Così, quel giorno, nessuno aveva avvisato Pikeys della riunione convocata e lui -se anche lo avesse saputo- non se ne sarebbe curato troppo: era ben felice di poter illustrare la sua ultima meraviglia ai suoi allievi che, fremendo per l'impazienza, acuita dal non sapere se sarebbe stata una delle rare e geniali apparizioni o una delle solite cianfrusaglie, cercavano di indovinare cosa potesse esserci sotto il lenzuolo.

Pikeys si avvicinò quindi alla creazione e inspirò profondamente.
« Orsù, miei figlioli! Ammirate la mia ultima creazione! Essa cambierà per sempre le nostre vite, il nostro modo di creare! »
Così dicendo, sollevò il velo, pronunciando a pieni polmoni il nome che aveva scelto.
« Ammirate... la riposatrice! »

A vedere il segreto di tanto mistero e tanto orgoglio svelato davanti ai loro occhi, i due giovani draghi rimasero interdetti. Entrambi, quasi si fossero messi d'accordo, strabuzzarono gli occhi, con le labbra leggermente dischiuse. Si guardarono l'un l'altro con disagio crescente.
Intanto, Pikeys, li osservava con la solita bonomia.
« Siete rimasti senza parole, non è vero? Lo capisco, lo capisco. »
Uno dei due, allora, quello che da più tempo era l'apprendista del drago d'Ardesia, intervenne.
« Maestro... è sicuramente molto bella, questa riposatrice... »
« Ebbene? » domandò Pikeys, più incuriosito che altro.
« Temo che sia già stata inventata, Maestro. »
Il Maestro fece tanto d'occhi e domandò, ancora più sorpreso: « Possibile?! E come l'hanno chiamata? »
Il giovane sospirò ed il compagno, vedendolo in difficoltà, cercò di venire in suo soccorso.
« Si tratta di una sedia, Maestro. Ne abbiamo diverse anche noi. »
Solo a quel punto l'entusiasmo del drago d'Ardesia si spense. Come folgorato, aveva ricordato l'esistenza delle sedie e il loro utilizzo tutt'altro che rivoluzionario. Scrollò le spalle, deluso almeno quanto lo erano i suoi due allievi, e iniziò a grattarsi il capo.
« Oibò. La sedia. Come ho fatto a scordarmene? »

Fu esattamente in quel momento che entrò il terzo dei suoi aiutanti, il più giovane, che era stato incaricato di alcune commissioni presso Kirsikka-Mestari*, un drago di Legno.
« Hei, Maestro. » salutò rispettosamente.
« Sono tornato appena ho saputo... Ero dal Maestro Kirsikka quando è arrivata la comunicazione. »
Pikeys lo osservò con aria interrogativa.
« Hanno convocato una riunione alla Gola! »
Senza nemmeno pensare di potersi alterare, con il solito buonumore, Pikeys rispose.
« Oh, certo, certo! Si saranno dimenticati di avvisarmi. Li capisco, li capisco, occupati come sono! Ma ho proprio voglia di sgranchirmi le gambe. »
Si voltò dunque verso gli altri due apprendisti.
« Figlioli, pensate voi a sistemare qui. Io devo andare. »

Poco tempo dopo, il drago d'Ardesia entrava nella Gola con il suo solito passo claudicante,
accompagnato dal mormorio di quei pochi che lo avevano riconosciuto.


Eccomi qui. Post semplice per introdurre Pikeys (in finlandese 'Beccheggio', soprannome datogli per la sua andatura claudicante), un drago d'Ardesia rassomigliante a questo modello. Si tratta di un ex-genio ormai svampito, ma ancora capace di rendersi utile, sebbene non con grande frequenza.
Piccola nota di colore: il nome del drago del legno è la traduzione (approssimativa) di MastroCiliegia.
 
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view post Posted on 2/5/2015, 18:30
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Huginn
l'oro malfatto

— creazione —


UDwOjWk

Vel.
Il mio è un compito che richiede concentrazione.
Molta concentrazione. E ore. Molte ore. Non starò qui a spiegarvelo. Non ho tempo da perdere. D'altronde voi che cazzo potreste comprendere? Siamo seri: appartenete a una generazione di artigiani pigri e inoperosi che si riposano nei letti costruiti dai vostri padri, o dai padri dei vostri padri. Io, invece, cambierò la storia. Misurerò la storia. Non sono io a dovermi spiegare; siete voi a dovermi capire.

« æðstu Huginn? »

Non bussare, Muninn, non importa: il tuo odore è più che sufficiente a presentarti e divaga comunque da qualsiasi forma di buona educazione. Se almeno tu avessi qualche scaglia d'argento per aiutarmi ad alleggerire e rafforzare il peso delle casse, forse la tua esistenza non sarebbe così penosamente sterile. Non sei nemmeno degno di essere guardato. Non posso distrarmi. Gli ingranaggi dietro al quadrante devono ruotare con precisione millimetrica e questo è il momento peggiore per richiedere la mia presenza.

« In fretta. »
« Ho bussato, ma siccome voi non avete risposto, io... »
« In. Fretta. »

Con tutti i secondi, i minuti e le ore che sono passate, proprio ora? Proprio ora devi tentennare ed esitare? « Vostro padre è preoccupato: » Possibile che tu non ti renda conto del fusto delle candele che si accorciano, bianche come le nostre ossa? « ormai sono mesi che non uscite dalle vostre camere. » Dell'ombra sulla meridiana che si protende per strangolarci? « Se solo vi faceste vedere un po' di più con il resto della famiglia... » Del galleggiante che annega, imprigionato fra i vetri della clessidra? « ...d'altra parte il vostro è un nome importante e... »

« NON HO TEMPO. »

Lo sento che tentenni e ciondoli sulle gambe, Muninn. Tap Tap. Che fine ha fatto la prepotenza con cui ti prendevi gioco del gracile me quando eravamo bambini? Tap Tap. L'hai persa quando ti sei reso conto che saresti cresciuto inutile e inservito? Tap Tap. Che cosa ti resta se non un corpo grosso e goffo, adesso? Tap Tap. Continua, continua a dondolarti. Tap Tap. Sii il metronomo con cui accorderò i miei strumenti. Tap Tap.
« Muninn, lascia che ci parli io. » Oh, perfetto. Ora devo ricominciare. « Temo che tu non abbia il potere di farti ascoltare. »
« Non ora, padre. »
« Huginn... » ho bisogno di un nuovo fondello. « ...guardati. » queste viti non sono abbastanza piccole. Dove ho messo le altre? « Quanto tempo è che non assumi la tua forma draconica? » "quanto tempo? Ah, ironico. Se solo ci fosse un modo per saperlo. « Questo aspetto non ti rende giustizia. Non ci rende giustizia. Non ti rendi conto che stai persino iniziando ad arrugginire? »
« Ossidare. » ma certo, perché le zampone, le zanne e le ali sono gloriose! Ho bisogno di mani. Ho bisogno di dita sottili. Il mio è un lavoro di precisione. E concentrazione. « L'oro... ossida. »
« È tempo che tu esca da questo studio. » l'apricasse, l'apricasse... « Fyrirliði ha convocato un concilio d'emergenza. Trovo che sia un'occasione magnifica per ripresentarti alle altre famiglie. »
« Ma certo, farci vedere. » com'è che le anse a molla siano così dure, adesso? « Siamo gioiellieri. Farci vedere è il nostro lavoro. » forse quattro lancette sono troppe. Tre? Due? « ...padre, non ho tempo. Davvero. Sento di essere vicino a una svolta e... »
« Huginn, basta. » Tap Tap. « Le tue ricerche non stanno procedendo come vorresti; è ora di fronteggiare la realtà. » Tap Tap. « Se solo mi ascoltassi, potrei mostrarti l'arte della lavorazione dei tesori. Capiresti che c'è orgoglio in ciò che facciamo. » ma non utilità. « Dovresti abbandonare questo "cronofago" e... »
Click.
« CRONOGRAFO. »

Basta. Così non riesco a lavorare.

« Andatevene. State rompendo la mia concentrazione. »
« Huginn, ascoltami... »
« ANDATEVENE! » dov'è la chiave? Com'è possibile che abbia perso uno strumento così ingombrante...? Ah! Eccola! « VIA! VIA! » tanto non mi sarebbe servita comunque. Nessuna paura di ammaccarla in faccia a quello stronzo di mio padre. « LASCIATEMI LAVORARE! »

Ma che cazzo ne sapete voi? Che cazzo ne capite?
Siete solo dei bruti. Bruti con abbastanza forza da fermare senza problemi qualsiasi colpo io possa scagliarvi contro.
Bruti che hanno seppellito la nostra società.
Vi credete Dèi, ma siete solo dei lucertoloni forzuti. Io sono il futuro! La tecnica! L'ingegno! Il pensiero! Il progresso!
« Huginn... » ma se mi trattieni così, padre, non potrò tornare al lavoro. Il mondo non saprà mai per quanto tempo hai sottratto al mio mestiere. « ...solo questa volta. Poi ti lascerò in pace. »

coqlqjZ

Maledetti legami famigliari. Maledette costruzioni sociali. Maledetta vita.
Siete tutte un grosso spreco di tempo.

« ...purché non si faccia tardi. »



CITAZIONE
Huginn è un drago d'oro giovane, stronzo e impulsivo che odia la sua famiglia e, soprattutto, odia i gioielli. È ossessionato dall'idea di poter utilizzare l'oro per fare qualcosa di utile e non soltanto "bello": creare uno strumento che possa misurare il tempo (un orologio, lol), come se avere i mezzi per fronteggiare coscienziosamente lo scorrere delle ore possa far accorgere gli altri draghi di come stiano riducendo col tempo la loro società, ormai decadente. Caratterialmente è asociale, impulsivo e passa quasi tutto il suo tempo nella forma umanoide: un'armatura d'oro ossidata, con quattro braccia, dita molto sottili e per nulla gradevole alla vista (ricorda uno spaventapasseri nell'aspetto).


Edited by Ray~ - 2/5/2015, 22:19
 
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K i t a *
view post Posted on 2/5/2015, 19:18




G R I D A   D A L   C I E L O

CREAZIONE ❞.


kLux6po



Tutto era cominciato anni e anni prima.
La loro nascita era stata un evento straordinario, inaspettato, che la loro famiglia aveva interpretato come un segno, per un fulgido futuro della loro dinastia.
Da un solo uovo, quella notte illuminata da migliaia di stelle, ma priva di luna, uscirono due creature:
un maschio e una femmina,
uniti eternamente nell’abbraccio in cui nacquero.

Li chiamarono Dögun e Sólse,
e così segnarono per sempre il loro destino.


Scelsero quei nomi per le sfumature delle loro scaglie: uno con una sfumatura di quarzo chiara, quasi dorata, e l’altra fatta di quarzo blu, il colore che ha il cielo quando il sole scompare.
Proprio questo significa il suo nome, il sole che se ne va.
La loro unione è sempre stata forte, perfino più di quanto il legame di sangue lasciasse supporre. Crescendo hanno cominciato a sviluppare un’intimità tale da far impallidire i più passionali degli amanti.
Le parole diventarono inutili, superflue; bastavano gli occhi per comprendersi.
Poi anche lo sguardo diventò inessenziale, perfino la vicinanza fisica:
loro si sentivano,
percepivano l’altrui essenza ed emozioni come neanche loro stessi avrebbero saputo fare.
Per questo motivo, quando si trovarono di fronte a sentimenti tanto discordanti, incomprensibili, furono i primi a comprendere l’entità della frattura. Improvvisamente una cosa che era stata immediata e naturale come il respirare, divenne il loro peggior tormento.
Perché se tanto si assomigliavano nell’aspetto,
altrettanto non si può dire delle loro anime.


La loro famiglia aveva al suo interno dei legami molto solidi.
Erano pochi esemplari, i lavoratori di pietre dure, che si occupavano della creazione di manufatti splendidi e preziosi quali sono i gioielli. Da sempre specializzati in quell’arte, sapevano dare vita a dei capolavori d’incredibile e pregiata fattura, che riflettevano la loro bellezza su chiunque li indossasse. Si trattava di un dono speciale che loro si tramandavano da secoli, da genitore a figlio, e questo aveva fatto in modo di creare dei rapporti tra loro molto forti e coesi.
In effetti, la loro generazione era stata la più fertile; diversi anni dopo i due gemelli, infatti, era venuto alla luce un terzo drago.
Tutti loro condividevano quell’affetto, reso vario e differente
dai rapporti che li legavano,
dalle loro personalità,
dalle loro ambizioni.
Ed era particolarmente ironico che proprio i due che tanto condividevano,
altrettanto dovessero differire.



Dögun amava ciò per cui era nato. Per lui creare quegli oggetti meravigliosi era la realizzazione del suo estro, era un modo per intrappolare la bellezza, per renderla malleabile sotto le sue dita, di cui lui diveniva il potente padrone.

Sólse odiava ciò che per la sua famiglia era motivo di orgoglio. Lo reputava così insignificante, così vuoto, superficiale. Non era che mera apparenza, una magnificenza frivola del tutto priva di reale utilità.



Lei non voleva quello dalla sua vita.
Voleva impegnarsi in qualcosa di grandioso, di radicale, di cui andare fiera.
Voleva aiutare a cambiare il mondo per come tutti loro lo conoscevano,
voleva creare oggetti che permettessero di stravolgere ogni cosa, che sarebbero stati ricordati in eterno.
Perché doveva sprecare quel potenziale su delle gioie esteticamente piacevoli ma senza sostanza?
Lei valeva molto più di tutto quello, e la sua abilità meritava di segnare la storia.

Quando per la prima volta quei sentimenti affiorarono nel suo cuore e nella sua mente, fu come se avesse dilaniato il cuore di suo fratello. Non avrebbe mai potuto dimenticare il gemito doloroso che aveva emesso, lo sguardo sconcertato e addolorato che le aveva rivolto. L’aveva guardata come si osserva un folle: con paura e compassione.
In quel momento si era vergognata, come se avesse commesso il più gretto dei gesti. Aveva distolto lo sguardo, abbassandolo, cercando di ricomporsi. Per lui era tutto più semplice, lui era nato per essere esattamente ciò che era, e quanto gli riusciva bene!
Ma lei…
lei era diversa.
Non si accontentava del luccichio delle pietre.
Non voleva vivere nella mediocrità.
Lei valeva di più.
Lei voleva di più.
Molto di più.


Un’ondata di rabbia era risalita nella sua gola, fino a diventare un ruggito rivolto a suo fratello. Quello era indietreggiato, sconvolto da un simile comportamento; quel passo aveva creato la profonda crepa che ancora li divideva, ognuno ben radicato nelle proprie convenzioni.
Non erano che facce diverse della stessa moneta.



Quando sentì i lievi battiti sul muro, si voltò, incrociando lo sguardo della sorella più piccola. Neska la guardava timidamente, scoccando rapide occhiate all’interno della sua abitazione, chiaramente incuriosita. La informò che il concilio stava per riunirsi a breve nella Gola Nera, e che erano invitati a raggiungerla il prima possibile. Quella novità sorprese non poco Sólse. Da quando Fyrirliði si era messo a lavorare assiduamente al suo più grande progetto, non c’erano più state riunioni.
Perché convocarli, allora?
Che fosse riuscito nel suo intento?
La sola idea la scosse come un fulmine; avrebbe decretato una svolta tale da far impallidire tutto quello che era stato fino a ora.

E forse
forse
finalmente
lei


Si affrettò a raggiungere la sua famiglia, in modo da arrivare alla Gola nel minor tempo possibile. Stentava a celare l’eccitazione, era tutto troppo grandioso per lasciarsi andare a simili finzioni.
Lo sapeva, se lo sentiva. Quel giorno sarebbe stata fatta la storia.


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CITAZIONE
Ecco anche il mio drago: un drago di quarzo blu, della stessa famiglia di Anna e Last.
 
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Allea
view post Posted on 2/5/2015, 19:51




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Pomici d'ottone e Manici di scopa


Un suono leggero, delicato ma allo stesso tempo capace di trasportare il suono e la platea in lande inesplorate, capace di innalzare i loro spiriti in alto nel cielo, fino alle vette più innevate dei monti. Se chiudeva gli occhi poteva quasi vederlo, il suo sangue pulsava dal bisogno di creare, di modellare attentamente il metallo per portare alla vita la sua visione, per potere ammirare il suo più grande successo.
Lo sentiva nelle ossa, nelle sue scaglie scalcitanti, questo sarebbe stato lo strumento più bello mai creato da qualsiasi dei suoi bræður, che si perdevano nelle minuzie della vita senza comprendere cosa fosse realmente importante, cosa mancasse realmente nella loro vita.
La musica si era andata persa pian piano a Verkstæði, anche l’involontaria melodia creata dai draghi impegnati nelle loro lavorazioni si era via via andata affievolendo, diventando non più forte di una fisarmonica.
I rumori che ogni giorno accompagnavano Hljóð nella sua giornata si erano trasformati in un cupo vuoto, un’ottava sfalsata.
E Hljóð sentiva la sua nuova invenzione così vicina che poteva già quasi tenerla stretta tra le mani, ma erano mesi che non riusciva a lavorare, mesi che il silenzio assordante a cui non era abituato gli impediva di concentrarsi. Da una cacofonia di suoni, sgradevole per alcuni ma incredibilmente elegante per lui, si era passato ad un mortorio di suoni che lo lasciano spossato e stanco.
Eppure la sola idea di rinunciarvi, di lasciarsi trascinare dal lento declino verso il vuoto e abbandonare i suoi strumenti lo devastava.
Aprì gli occhi alla fine, ammirando il suo ultimo trombone con una sorta di invidia verso se stesso, verso quella parte di lui che era stata capace di creare una tale meraviglia, un oggetto che potesse a sua volta creare qualcosa di più grande di lui.
Non c’erano molti dei suoi bræður che apprezzavano la sua arte, non molti che ne comprendevano l’eleganza e la maestria, ma lui non provava risentimento nei loro confronti. La sua casata era sempre stata emarginata dalla cerchia dei potenti, relegata a mansioni e creazioni di routine senza alcuna grazia.
Hljóð però voleva illuminarli, voleva fare comprendere loro la grandezza, la possibilità che risiedeva in alcuni dei loro materiali, come avrebbero potuto aiutarlo a creare qualcosa di più grande.
«Ancora nulla?» chiese Viður avanzando lentamente da dietro la porta, sapendo perfettamente come non fosse la benvenuta nello studio dell’altro durante la creazione. Era giovane Viður, non possedeva ancora nemmeno un’armatura, un modo per suonare i suoi strumenti e il suo interesse, spesso, lo lasciava perplesso, ma estremamente compiaciuto.
Sbuffò in risposta, scuotendo la testa e sfiorando una tuba non ancora completata che aveva lasciato sul tavolo di lavoro vicino, consapevole che non l’avrebbe mai portata a termine, una perfetta rappresentazione del suo nuovo strumento.
«Il mondo si è spento, mia cara,» rispose, guardandola, «non è facile trovare la musica in questa situazione»
Il suo corpo non era maneggevole, non si muoveva facilmente come quello di altri – materiali più facilmente malleabili e piegabili – il che dava l’impressione che Hljóð facesse fatica a camminare, quasi fosse un vecchio avanti con gli anni.
Viður lo prendeva in giro a volte, per questo, ma lui sapeva perfettamente che anche lei, un giorno, quando avrebbe trovato la sua forma adulta sarebbe stata come lui, i suoi movimenti sarebbero diventati legnosi e la leggiadria che accompagnavano il suo corpo draconico avrebbero lasciato il posto ad una forma meno agile ma essenziale per creare.
«La musica è ovunque, sei stato tu ad insegnarmelo» disse l’altra, avvicinandosi e guardando una delle creazioni che una systir gli aveva regalato, un violino estremamente pregiato.
Lui la guardò male, spostandosi davanti a lei. Viður era ancora in forma di drago ed era troppo grossa per non rischiare che rompesse uno dei suoi importantissimi strumenti e lei avrebbe dovuto saperlo bene.
Lei sbuffò, fermandosi e guardandolo male. «Non l’avrei rotto» mormorò, in maniera petulante, «voglio solo poter suonare, voglio solo aiutarti»
Hljóð lo sapeva e nei momenti di maggiore tranquillità le era grato, dopotutto era l’unica che riusciva ad incoraggiarlo quando la mole di lavoro plebeo diventava troppo elevata per essere ignorata.
«Non penso che qualcosa possa aiutare ora» era però l’unica risposta che aveva. Dopo mesi e mesi in cui aveva tentato di costruire sempre più strumenti, creare melodie sempre più rilassanti, sapeva che erano arrivati alla resa dei conti.
Sapeva che avevano perso.
« Fyrirliði ti ha convocato,» annunciò lei, ed era probabilmente il motivo per cui era andata a cercarlo ben sapendo di non potere entrare nel suo laboratorio «ha convocato tutti, ovviamente, non te, dopotutto sappiamo che non sei il più popolare tra i nostri bræður»
Hljóð le lanciò uno sguardo di fastidio, prima di aggrottare le sopracciglia. Una nuova riunione? Così presto? Che ci fossero davvero degli sviluppi?
Forse, finalmente, l’opprimente silenzio sarebbe stato sconfitto dall’allegretto della vita.
«Posso provare a suonare il violoncello mentre sei via?» chiese poi Viður, con un piccolo sorriso mentre la sua coda si avvicinava troppo pericolosamente verso lo strumento.
Il canto della vita avrebbe aspettato.



Aveva sempre ringraziato il fatto che l’ottone non fosse un metallo estremamente pesante dato che aveva avuto la sfortuna di nascere con ali insolitamente piccole per un drago delle sue dimensioni. Preferiva spostarsi con l’armatura, quando poteva, ma quest’oggi non aveva tempo da perdere.
Si chiese, mentre atterrava, quale canzone avrebbe meglio accompagnato questo momento. Quale canzone avrebbe potuto far risvegliare il sangue spento del suo popolo.
Anche oggi, però, tutto taceva.



Hljóð è un drago d'ottone, poco interessato alla vita quotidiana, ma ossessionato dalla musica. Passa praticamente tutto il suo tempo a creare strumenti musicali, ignorando i suoi altri doveri. La sua non è ritenuta una vocazione importante se non da pochi altri, quindi passa spesso ignorato. Viður è in un certo senso la sua "discepola", che diventerà probabilmente un drago di legno.
 
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Ark
view post Posted on 2/5/2015, 21:37




~ Speranza



     « Padre! Padre!»
     Planai sul balcone, spazzando via parte della polvere di marmo che ricopriva quasi interamente l'officina dove mio padre creava le sue sculture. Quel luogo ne era sempre pieno, anche se il martello riposava ormai da mesi davanti ad un blocco di marmo dove non si riusciva nemmeno ad ipotizzare la forma.
     « Cosa c’è, Ægir? » sbuffò lui, il tono di voce annoiato.
     Stava disteso sul pavimento, osservando l’acqua della cascata cadere da una delle montagne che davano a quel balcone una vista eccezionale. La coda si agitava pigramente, sempre nello stesso punto, lasciando un segno pulito in mezzo al grigio chiaro della polvere. La vista mi riempiva di tristezza e rabbia. La scultura era l’unica cosa che gli era rimasta da quando mia madre è morta, perché aveva smesso di fare anche quello, mesi fa? Dov’era finita quella luce, quella voglia di vivere nei suoi occhi?
     « Se mi vuoi dare un’altra delle tue pietre puoi anche risparmiartelo, non funzionano. »
     I miei lunghi baffi fremettero dalla frustrazione, ma dovevo trattenermi. Calmo come acqua di lago all’esterno, ma sotto la superficie scorrevano correnti impetuose. Poteva essere fatto! Sapevo di essere in grado di poter infondere nelle mie gemme la voglia di vivere che anche mio padre un tempo aveva, anche se fin’ora non ci sono riuscito!
     « Non è per quello. » ribattei, frustrato dalla sua passività che non gli apparteneva e dalla mia incapacità di porvi rimedio. « Non ricordi? Il giorno del concilio è oggi! »
     Mio padre, Æsìr, sollevò lentamente la testa dalle zampe incrociate davanti a lui e mi fissò con i suoi gialli occhi.
     « Fyrirlið si è finalmente fatto vivo, dunque? »
     Annuii in silenzio, e vidi una piccolissima luce accendersi nel suo viso. Ricordava quando gli avevo raccontato di aver Visto che questo preciso giorno sarebbe stato indetto un concilio straordinario. Non sapevo cosa sarebbe successo, ma sapevo che sarebbe stato qualcosa di importante, fondamentale per la nostra razza. Mio padre non mi aveva creduto, nessuno l’aveva fatto, ma io ne ero stato certo così come sono certo che il fuoco brucia, ed il tempo mi aveva dato ragione.
     All’improvviso Æsìr sbuffò, riappoggiando la testa sulle zampe e tornando ad osservare la cascata. « Bah, tanto non riuscirà nel suo intento. » Mormorò, quasi tra sé « Siamo artigiani, ma non possiamo creare la vita. »
     Non gli credevo. Non potevo! Solo perché una cosa non è mai stata fatta non vuol dire che sia impossibile!
     « Ma siamo stati convocati tutti! Dobbiamo partecipare! »
     Mio padre sbatté la coda a terra con violenza, sollevando nuvolette di polvere e facendomi balzare all’indietro dalla sorpresa.
     « E tu dì che non sono interessato alle sue insulsaggini! Cosa vuoi che mi importi di quello che ha da dire? Cosa mi è rimasto da fare, da quando ho scolpito tutte le forme che sono in grado di immaginare? »
     Ad ogni frase la sua coda si schiantava violentemente sul pavimento, ma io affondai gli artigli costringendomi a non indietreggiare a quello sfogo di rabbia. Stavo perdendo anche lui ed il pensiero mi terrorizzava, ma non potevo permettermi di disperare. Duro come la roccia.
     « Padre Fallo per mia madre. Fallo per me. »
     All’improvviso davanti a me apparve una statua di opale, raffigurante un drago dall’aspetto fiero, le ali aperte come in procinto di prendere il volo. Le sue scaglie erano un misto di vari colori, come le mie: sfumature di nero, verde, rosso, bianco, mescolate tra loro in perfetta armonia.
     Nel forgiare quella statua avevo cercato di far trasparire coraggio, forza d’animo, speranza, con lo scopo di infondere quelle sensazioni a chiunque avesse l’avesse guardata.
     « Tu… hai fatto questo? » disse il drago grigio, avvicinando il muso per osservare meglio. Davanti ai miei occhi il suo corpo di drago divenne un’armatura, e con le dita rigirò la statua davanti a sé, osservandone la struttura e la precisione nei dettagli.
     Ero orgoglioso di quella creazione, di gran lunga la migliore che mi fosse mai venuta. Avevo passato giorni e notti nel cercare di rendere vivo il drago che stavo rappresentando, in onore di mia madre che aveva fatto da modello.
     « Forse… forse vale la pena andare a vedere di cosa si tratta. »
     Mi limitai ad annuire, ma avrei voluto ruggire la mia gioia in tutta Verkstæði.
     C’era speranza!

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CITAZIONE
Ægir è un giovane drago di opale, figlio unico di una famiglia di scultori. La madre è morta da tempo, ed il padre da allora ha creato le sue sculture di marmo da solo fino a quando non è stato influenzato anche lui dalla rassegnazione e noia che ha fermato la città. Da allora Ægir si è impegnato a creare gemme d'opale che potessero infondere nel padre quella voglia di vivere che è andata perduta, che potessero ispirare chiunque le guardasse in modo da dare il desiderio di cambiamento ed innovazione che secondo lui servono alla città per sopravvivere. Fin'ora non ha avuto successo, se non nel convincere il padre a partecipare al concilio.
Possiede il dono della Preveggenza, che gli ha permesso di essere a conoscenza in anticipo del concilio straordinario, anche se sa solo che sarà qualcosa di molto importante per tutti loro, nel bene o nel male, ed è stato l'unico caso in cui ha manifestato questo potere.


 
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Lindow
view post Posted on 2/5/2015, 22:39




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Silfurlitaðu
il drago argenteo


~

L'artigiano osservava estasiato il frutto del proprio lavoro, la quintessenza dell'eleganza non poteva che nascere dalle sue mani. La ammirava, e quella visione era il tragico incontro tra autocompiacimento e rammarico, giacché difficilmente si sarebbe mai potuto superare. Nessuno, in nessun modo, avrebbe raggiunto un simile livello di perfezione. Guardò - ancora - l'artificio nei suoi occhi argentei e si nutrì di quei pochi istanti di contemplazione e poi, con la consapevolezza di essere l'unico che valesse qualcosa, si chiese come ci potessero essere ancora draghi che disprezzavano il suo operato. Rozze armi, ridicoli utensili e altri patetici tentativi di raggiungere l'irraggiungibile; come potevano d'altronde credere che la loro arte plebea oscurasse gli innumerevoli gioielli da lui forgiati? Sbuffò pieno d'orgoglio, e dopo qualche tergiversazione si decise a chiamare il suo apprendista. « Gler! » tuonò con la voce imperiosa di chi era conscio della propria superiorità assoluta. La porta dietro di lui si apri lentamente e un drago all'interno della corazza molto più piccolo di lui fece capolino. Nonostante le differenze abissali tra loro due, Gler possedeva più maestria di almeno metà dei costruttori di Verkstæði a causa dell'influenza del maestro dell'argento, ovviamente. « Vi ho portato ciò che mi avete chies-- » fece per dire l'apprendista « Ordinato, Gler. » lo corresse con voce stizzosa senza nemmeno guardarlo. L'altro ebbe il buon senso di non replicare, limitandosi ad appoggiare sulla terra il risultato dei suoi sforzi: non era affatto male. Beh, era merito suo se quel drago del vetro riusciva a manifestare il proprio talento al meglio, nelle fucine di altri sarebbe stato costretto a dare forma a chissà quali orrori.

Lo specchio, comparato alle sue creazioni pareva l'ennesimo scarto di un costruttore mediocre, ma possedeva comunque una certa bellezza se preso singolarmente. Era un insieme di facce draconiche incastrate l'una nell'altra fino a formare una cornice superba, e nel centro risiedeva un lago di vetro. Il muso di Silfurlitaðu appariva l'immagine che più di tutte meritava di essere riflessa in quell'artefatto, le sue scaglie argentee erano l'emblema di un concetto di superiorità naturaleoltre che artistico, la sua espressione dura e al contempo maestosa non faceva altro che sottolineare quel concetto. E il resto del suo corpo, per nulla rovinato dallo scorrere del tempo, permetteva agli altri di ammirare un sempiterno modello di grazia e continua evoluzione. « Maestro, ci tenevo a dirvi che è stato indetto un consiglio d'emergenza. » l'intromissione nei pensieri del drago fu sgradevole, ma perlomeno si trattava di qualcosa di non trascurabile. Era vero che detestava la maggior parte dei componenti di quelle assemblee, ma non poteva perdersi lo spettacolo che scaturiva dalle loro ignobili lingue. Alzò il capo verso l'alto e chiuse gli occhi, lasciando che il suo corpo si tramutasse nell'involucro che avrebbe conservato il suo spirito. Diede uno sguardo alla riproduzione perfetta della sua testa. Una mano la tenne ferma e un'altra si mosse con estrema rapidità.

Un pugno.
Bastò un singolo colpo per produrre il rumore di qualcosa che si sta rompendo.
Il successivo non fece che aggiungere ulteriori crepe a quel prodotto.
Infine, il terzo lo frantumò completamente, come sempre.

Era un rituale comune, non importava quanto bello fosse un lavoro, si poteva sempre superare il proprio genio per ricordare a quell'accozzaglia di inetti chi era il migliore. E per la quattrocentocinquesima volta avrebbe ricostruito il suo volto, rendendo ancora più perfetta la sublimazione del proprio estro. Ma per adesso era meglio vedere cosa avevano in mente quei pazzi, forse ci sarebbe stato anche da divertirsi nel vedere dal vivo le loro tribolazioni.

Silfurlitaðu (argenteo, argentato) è un drago d'argento particolarmente superbo che possiede il vizio di distruggere le proprie creazioni per crearne delle riproduzioni ancora migliori. Possiede un giovane apprendista di nome Gler (vetro) che è abile a modellare il vetro, appunto. Il piccolo drago chiaramente non prenderà parte alla riunione.
 
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The Grim
view post Posted on 3/5/2015, 11:07




Grida dal Cielo - Creazione
Eyðilegj, rifiuto della società




Le mascelle si aprono e si richiudono, si sforzano e mettono pressione, si spalancano sempre più per calare con potenza sempre maggiore permettendo ai denti aguzzi di spaccare, di sminuzzare, di tritare. Vogliono distruggere, non si accontentano di rovinare. Le zanne ammaccano quell'ammasso arzigogolato di ferro, ne sfregiano i dettagli e staccano le decorazioni, accartocciando ogni angolo o sbuffo che si allontana dal cuore del pezzo. Questo non si da vinto facilmente e lotta di rimando: aggredisce le dure zanne nel vano tentativo di romperle, fende la lingua screpolata e poi sferza palato e guance con le sue punte aguzze, si butta oltre l'ugola per soffocarlo e quindi si separa da certi suoi pezzi che scaglia per ferirlo anche nei recessi più distanti ma che si limitano a raschiargli la gola. Nessuno dei suoi stratagemmi però funziona contro al drago. La battaglia è quasi giunta al termine, quello serra la morsa nel tentativo di vincere infine, così contrae i muscoli fino a rischiare un crampo, si artiglia al suolo e inarca la schiena per dare un maggior impeto a quel suo sforzo, che è così grave da fargli lacrimare gli occhi. Sente il pezzo vibrare fra le zanne, scricchiola tanto che è sul punto di spezzarsi, poi però una scossa risale per i suoi nervi fino alla testa, dove esplode in un lampo di dolore. Così Eyðilegj spalanca le fauci e vomita un fiotto di sangue condito da schegge di ferro, al cui centro campeggia il suo nemico ancora integro: una statuina di ferro dalle sembianze di un faggio. Vero, mancano tutte le gemme fiorite e i boccioli in apertura, rovinati o graffiati nello scontro, molte delle foglioline sono state grattate via, non pochi rami e altrettante radici sono state spezzate o tranciate, altre invece la battaglia le ha piegate o curvate tanto da non aver più nulla da spartire coi loro fratelli e sorelle né in lucentezza o grazia, e pure la corteccia è intaccata dai morsi, rivelando in più punti il cuore di puro ferro dell'oggetto. Nonostante tanti segni il drago non è però riuscito a spaccare in due quel faggio ferroso come si era prefissato. Rabbioso prova ancora una volta, lo schiaccia a sorpresa con una delle sue zampe, ma si punge su quei rami che come aculei ne infilzano la carne, poi ruggisce furioso e lo sferza con una coda, lanciandolo lontano dalla sua vista senza infrangerlo nemmeno questa volta; come lance, tre radici si conficcano nella carne senza scaglie. Le avesse, forse non starebbe lì sconfitto da un insulso oggetto, ma lui non le possiede seppur non di giovane età, è uno degli Incompleti, reietti indesiderati emarginati dalla società, che pure si differenzia anche da questi draghi a lui simili, perché non è storpio né in qualche maniera difettoso nel fisico, nemmeno la sua mente manca di lucidità - come invece tanti amano dire - o di ingegno e capacità; semplicemente lo ha scelto e non avrebbe potuto fare altrimenti. Perché a Eyðilegj, il solo pensiero di creare un manufatto lo disgusta fino al vomito.

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Era uno dei giorni più caldi di quell'estate che già tutti chiamavano torrida nelle altre giornate. Non che a lui questo particolare desse particolarmente fastidio, o che avesse mai mostrano una particolare predilezione per le temperature alte o basse che fossero; in quel momento però un simile dettaglio diede prova della sua rilevanza. Quella particolare condizione infatti aveva influito sul decomporsi della carcassa, che si era messa ad ammorbare l'aria con la sua puzza pestilenziale, insano e certamente nauseabondo; tanto che lo stomaco di Eyðilegj si affrettò a protestare. Fino a quel momento era stato quiescente, come in un costante dormiveglia nel quale a malapena s'accorgeva di ciò che lo circondava o che accadeva. Si ritrovò così a fissare ancora una volta quei resti: il ventre metallico riverso verso l'alto e rigonfio in maniera innaturale, le forti zampe contorte in posizioni impossibili, le scaglie di piombo ordinate perfettamente e immacolate, le fauci spalancate invase da un lungo rostro d'osso che aveva perforato il palato, invaso il cranio e spappolato le cervella del dragone; un rivolo vermiglio era gocciolato dalla ferita fino a terra ed ora dei moscerini banchettavano con quel sangue. Non erano gli unici insetti che ronzavano attorno al corpo, c'erano altre zanzare, e formiche che già si spartivano il lauto bottino, ma la più fastidiosa fra essi era una mosca che stava succhiando uno degli occhi rimasti spalancati, congelato in uno sguardo incredulo, pieno di stupore forse per l'inaspettato evento, anche se a Eyðilegj pareva che quello fosse stato colto da un lampo di genio. La cosa sarebbe stata molto buffa, perché Varðveislar non era proprio il drago più sveglio, o meglio quello più propenso alle novità; s'accontentava di quel che già gli piaceva. Era saldo, affidabile ma anche lui coi suoi difetti, ma non per questo un bravo fratello; anzi forse il migliore che si potesse desiderare. E ora non c'era più e mai ci sarebbe stato, la morte era una condizione permanente a cui nessuno era sfuggito e che la loro razza aveva sempre avverso. S'era adagiato accanto a quel cadavere nell'irrazionale speranza che se non si fosse mosso, quello sarebbe rimasto un brutto sogno e niente più, qualcosa di risolvibile in una maniera o nell'altra. Lui avrebbe fatto di tutto per riaverlo, perché Var era stato l'unico ad ascoltare ogni sua predica e ogni sua rantolo, dal più infantile al più frivolo, senza mai un lamento o un sorriso di scherno, con un'onestà rara. I suoi che avrebbero fatto invece?

Avrebbero versato lacrime,
poi costruito una grande statua, titanica, al meglio delle loro possibilità per commemorarlo fin oltre la morte.
E dopo ancora se ne sarebbero lamentati, perché il soggetto era banale, la realizzazione mediocre, la rifinitura a malapena passabile, la rielaborazione poco impattante,
o altre scemate simili. Il loro dolore non sarebbe stato altro che una valutazione su di loro stessi, l'ennesimo tentativo patetico di raggiungere l'immortalità tramite un esercizio sterile e freddo. E anche la sua intera stirpe e tutti gli altri draghi avrebbero soppesato quell'opera non pensando a quel defunto, ma solo a quanto questo poteva renderli degni di essere ricordati; perché quell'ossessione era l'unica cosa che li manteneva svegli ed eccitati.
Fu in quell'istante che Eyðilegj giurò di non creare mai più nulla con le sue mani, che fosse fatto di ferro o argilla, di roccia o lapislazzuli.



CITAZIONE
Eyðilegj (Rovina) è un drago che ha rifiutato di creare per via della perdita del fratello. Per questo è senza scaglie, rancoroso, e anche un po' autolesionsita.

 
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view post Posted on 3/5/2015, 11:46
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Grida dal Cielo
creazione


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Era Zero
Verkstæði, Gola Nera


La Gola Nera non era mai stata così affollata.
Gli ultimi concili avevano attratto davvero pochi creatori, spesso nemmeno in numero tale da giustificare l'esistenza del concilio stesso. I draghi - così si diceva in giro - avevano praticamente perso alcuna fiducia rispetto a un eventuale avanzamento artistico che avrebbe permesso loro di elevarsi finalmente al ruolo di divinità e per questo non facevano altro che rintanarsi nelle proprie abitazioni, dando vita a liberazioni eccentriche di ogni tipo e sfruttando ogni sorta di materiale. Alcuni addirittura si erano spinti in folli esperimenti di fusione di materiali, che avevano dato vita a leghe molto interessanti, ma priva di alcun interesse artistico da parte degli anziani draghi del concilio, troppo dediti a sviluppare una capacità creativa superiore, piuttosto che modificare quella già presente nelle loro vite da immortali. Fyrirliði era stufo di questo atteggiamento; sin da quando si era iniziato a parlare di saturazione del mercato, egli aveva provato in ogni modo a risollevare gli animi dei propri compagni, ma con scarsissimi risultati. Si era quindi ripromessi di stupire tutti quanti e per molto tempo si era ritirato all'interno della propria magione vuota, accompagnato solo dal suo servo di fiducia. Per mesi interi aveva lavorato a quel progetto, con l'unico intento di stupire e meravigliare coloro che lo avevano appellato come uno scansafatiche, un indegno membro del concilio. La realtà dei fatti, però, lui la conosceva fin troppo bene: gli antichi Draghi erano così legati alla tradizione da non poter evolvere. Tale sicurezza si era poi trasformata in una spiacevole sensazione d'astio nei loro confronti; una sensazione che aveva interferito con la creazione dell'artefatto e che per tale ragione aveva causato una disfunzione dello stesso. Poteva vedere la sua creazione battere, Fyrirliði, ma allo stesso tempo era in grado di scorgere una potente oscurità al centro del cuore, un'oscurità che aveva studiato bene e che rischiava di inghiottire l'intero regno e portarlo alla rovina.

Ma a lui non importava.
Ciò che realmente contava, ai suoi occhi, era la realizzazione del proprio sogno. Aveva superato stereotipi e tradizioni, limiti e confini. Aveva evoluto la propria arte.
« U - un attimo di attenzione, prego.
Il mio padrone vorrebbe comunicarvi della sua scoperta.
»
Le parole del giovane Bjònn suscitarono scherno e derisione da parte di un folto numero di Draghi, ma riuscirono a catturare l'attenzione della maggior parte dei presenti.
Fyrirliði fece il suo ingresso nella Gola senza virtuosismi di sorta. Si avvicinò a una piccola rientranza nel terreno, dalla quale fuoriuscì un grande telo rosso che custodiva gelosamente la creazione del drago di diamante. I Draghi più attenti avrebbero potuto ascoltare il battito dell'artefatto.
« Miei giovani colleghi, fratelli, compagni, vecchi creatori e membri del concilio.
Non posso esprimere la gioia che provo in questo momento, vedendovi qui, pronti ad assistere all'inizio di una nuova Era.
Per molto, troppo tempo, siamo stati schiavi della tradizione che ingabbia le nostre capacità, raggiungendo una saturazione tale da costringerci a morire come creatori e rinascere come semplici Draghi.
Da oggi non sarà più così.
»
Portò la destra al telo, scoprendo finalmente la sua creazione.
Hjarta, così lo aveva chiamato. Un cuore rivestito di carne e muscoli all'interno del quale vorticava una piccola nebbia cinerea. Qualsiasi drago avrebbe potuto comprendere cosa vi fosse stato sigillato al suo interno.
« Ho sacrificato la mia immortalità affinché lo Hjarta possa funzionare. Ho lavorato a lungo, credetemi, ma ce l'ho fatta.
Ce l'abbiamo fatta.

Possiamo creare
la vita.
»

Si avvicinò all'artefatto avendo cura di non toccarlo. Si inginocchiò davanti a esso e concentrò la propria forza nelle mani, evocando materia libera pronta per essere modellata. La dotò di due braccia e due gambe, a somiglianza di ciò che era la loro brynja, la forma antropomorfa che a lungo il drago di diamante aveva rinnegato. Al posto di un involucro vuoto, però, la sua creazione era dotata di occhi per vedere, orecchie per ascoltare, una bocca e un naso per parlare, assaggiare, annusare.
E all'interno del corpo, un cuore pulsante che lo teneva in vita.

« La mia prima creazione, fratelli. »

La figura dai biondi capelli aprì gli occhi, trovandosi di fronte a uno stuolo di Draghi creatori.

« L'ho chiamata
álfur.

Elfo.
»


QUEST MASTER POINT
Andiamo avanti!
Arrivati alla Gola Nera Fyrirliði fa il suo ingresso in forma antropomorfa; ha un'armatura molto spessa in diamante. Si avvicina ad un telo e scoprendolo rivela un cuore di sangue e muscoli che pulsa in maniera ritmica. Una volta spiegatovi tutto ciò che c'è da spiegare - ovvero che ora si sente un Dio - vi fa una dimostrazione e crea una creatura che chiama Elfo.
In questo turno al centro di tutto vi è una sorta di dibattito che potete organizzare tra di voi ma anche con Fyrirliði, facendo domande, attaccandolo, chiedendo spiegazioni sul funzionamento dell'oggetto. Qualsiasi cosa. Ovviamente tutto in confronto, dove vi risponderò.

Avete cinque giorni di tempo stavolta, essendo un giro più semplice del precedente.
A voi!
 
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Palantír de la nuit
view post Posted on 6/5/2015, 21:14




E la creazione finale fu rivelata.

Simile a loro… ma diversa.

Per la prima volta Eldingar ascoltò con interesse un discorso di Fyrirliði. Il drago di diamante aveva finalmente capito che pascersi di un’inventiva sterile non avrebbe portato il popolo dei Creatori da nessuna parte. Ma nel farlo aveva forse scoperto più di quanto egli stesso non si rendesse conto.
Il grande drago di diamante era ormai mortale, e un giorno si sarebbe fermato a riposare e non si sarebbe più mosso come un meccanismo difettoso o un volgare animale della terra. Non sarebbe più stato vivo, ma avrebbe lasciato un insegnamento alle nuove generazioni delle sue creature. Dunque la vita non era stata creata, ma semplicemente trasferita. Soluzione così raffinata nella sua quasi banalità da rasentare il genio.
Seduto in disparte, il drago di zolfo si girò a guardare le reazioni degli altri partecipanti al concilio. C’era chi urlava al sacrilegio, chi si indignava, chi guardava ammirato la piccola creatura senza scaglie la cui anima era nascosta.
Un luccichio che prima gli era sfuggito attirò la sua attenzione. La fiamma dentro di lui si affievolì per un istante in cui il suo cuore mancò un battito. Che fosse… l e i ?

Gli tornò alla mente il tempo felice che aveva passato con Vatn, sua sposa. Eldingar era l’unico che ella potesse toccare, perché il fuoco di zolfo purificava il veleno del mercurio, l’unico che non la scansasse come fosse una reietta. E questo aveva fatto sì che per la prima volta la giovane draghessa si fidasse di un suo pari, fino a innamorarsene.
Erano giovani e ingenui. Tutti i Draghi erano capaci di emozioni intense finché i millenni non scendevano sulle loro anime a condannarli per sempre alla ieraticità senza cuore dei Creatori anziani. E dunque spiegarono le loro ali e volarono insieme nei cieli del giovane mondo che sarebbe stato chiamato Theras dalle generazioni future.
Quando l’uovo frutto della loro passione vide la luce, Eldingar vi riversò il suo potere per negare su di esso la maledizione del mercurio, ma fu Vatn che ne pagò il prezzo. Cadde malata, le forze che aveva impiegato nel deporre l’uovo le vennero meno e non la difesero più dalla tossina del metallo liquido.
Eldingar le fu vicino fino all’ultimo. Trecento anni erano passate da allora, e il suo dolore ancora non accennava a diminuire.

Guardò meglio in direzione dello scintillio liquido che l’aveva attratto. Riconobbe la foggia del corpo, il mercurio che lo drappeggiava come un mantello, la luminescenza bluastra che promanava dal suo interno. Le somigliava ogni giorno di più.
Sveigj, fratello minore di Vatn, che più di ogni altro aveva osteggiato la loro relazione. Che più di ogni altro si era opposto a che Eldingar deponesse le spoglie di lei non al lago di mercurio com’era tradizione, ma sui picchi brulli del monte Azoth, da cui scendeva il vento purificatore che portava lo stesso nome.
Gli si fece incontro, parlando a voce bassa vicino al suo viso così che nessun altro sentisse.

« Ti rendi conto? Questo significa... che anche lei… »

La gelida luce degli occhi del drago di mercurio lo fulminò. Come quelli della sua stirpe, Sveigj non era di molte parole, ma le poche che usava le usava in maniera estremamente tagliente.

« …Che anche lei potra continuare a riposare in pace, come i suoi avi prima di lei, finchè la terra non richiamerà il suo Mercurio e di Vatn non rimarrà che un indelebile ricordo nei nostri cuori. »

Non v’era astio nella voce fredda e sonora, ma era evidente che avesse capito a cosa il drago di zolfo stava pensando, e la cosa non gli piacesse affatto.

« Sì, Eldingar: significa che ora che ha trovato la pace che a noi kvikasilfur è negata dalla nascita, e nessuno la disturberà più. »

Eldingar si ritrasse come ferito. Quanto aveva sognato di poter trovare il modo di instillare di nuovo la vita nelle ossa che tanto aveva amato, e ora che forse la soluzione era a portata di mano, qualcuno gli impediva di sprimentarla. Qualcuno che dei suoi sentimenti non aveva mai capito niente, preoccupato solo di sopravvivere al suo stesso veleno e di rispettare le inutili tradizioni della sua gente!
Indignato, si girò e si incamminò verso Fyrirliði. Non degnò la piccola creatura “elfo” se non di uno sguardo distratto mentre era circondata dagli altri Creatori che quasi facevano a gara per saggiarne le caratteristiche. Per lui non essa era che un mezzo, un recipiente per l’anima estratta dalla distillazione di parte dello spirito del drago di diamante.
Il vecchio e retrogrado Wotan aveva appena fatto la sua uscita di scena seguito dal suo capriccioso cucciolo, e per qualche istante il silenzio era calato nella Gola Nera, interrotto solo dal suono dei cristalli gialli che crescevano e si frantumavano sul corpo di Eldingar.

« Rinunciare all'immortalità… »

La voce del drago risuonò come crepitio di fiamma; le orbite vuote del suo corpo cavo immobili, ma i cristalli si diradarono attorno ad esse e il fuoco al loro interno bruciò più vivido del solito, generando un effetto somigliante a uno sgranare d'occhi.

« Forse nemmeno tu ti rendi conto di cosa ciò che hai scoperto significhi. Guarda il vecchio Wotan. Guarda i più anziani e miopi di noi. Hanno vissuto così a lungo che la loro mente è rimasta ferma a millenni fa, e credono che la storia possa andare avanti sempre uguale a se stessa. Tu invece hai trasformato la tua eternità nella vita della tua creazione, e hai desiderato che questo nuovo... popolo - pronunciò la parola con la difficoltà di chi non ha mai pensato che potesse esistere altro popolo al di fuori del suo - riceva il nostro lascito. Tu vuoi una nuova era, di cui noi saremo spettatori e arbitri.
Ma per farlo non serve la vita. Non solo. Tu stesso l'hai dimostrato qui e ora.
»

Sul terreno ai suoi piedi crescevano qua e là piccoli cespugli dai quali si slanciavano sottili infiorescenze rosse, pochi petali sottili come la più fine delle filigrane. Era comune vedere piante del genere nella Gola Nera, puntini verdi e scarlatti che ravvivavano l’atmosfera tetra del luogo ondeggiando nel vento. Lentamente, due dita di Eldingar si chiusero attorno a uno stelo cosparso di peluria bianca e ne colsero il fiore delicatamente. Poi, raddrizzatosi, il drago mostrò all’altro ciò che aveva raccolto. Lasciò passare qualche istante per far imprimere bene l’immagine del fiore nella mente del vecchio, simbolo della vita che sboccia e che diffonde bellezza, ciò cui gli Höfundur anelavano da tempo immemore.

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Poi, improvvisamente, lingue di fuoco dorate e scarlatte scaturite dalle dita di zolfo avvolsero il papavero dalla mano stessa del drago; al loro svanire, del fiore non era rimasta che cenere, sottile polvere che ricadde al suolo in spirali lente. Il messaggio era chiaro: non era l’oggetto della creazione, ma il modo ciò che aveva permesso al drago di raggiungere l’illuminazione.

« Dobbiamo donare alla nostra nuova progenie la morte, l'unico modo perché un popolo possa imparare e cambiare. Questi bambini saranno più deboli di noi, e la loro debolezza sarà causa di sofferenza e malattia, e dopo pochi secoli il loro cuore si fermerà. Cosa sono pochi secoli per noi? Giusto il tempo di comprendere il senso di un tramonto, o di perfezionare un gingillo inutile. Ma per loro saranno lo spazio entro cui imparare l'amore, la fratellanza, tutto ciò che per noi ormai non ha più senso.
E di tramandarlo a una generazione dallo spirito più nuovo, temprato da un altro ciclo di morte e rinascita, più pronto a ricevere gli insegnamenti antichi e ad adattarli al tempo che viene.
»

Nessuno ora avrebbe più potuto tacciarlo di follia, dato che lo stesso Fyrirliði aveva usato la morte per creare la vita, come la montagna di fuoco. Infatti dal drago di diamante provenne un cenno di assenso prima di poche, favorevoli parole.

« Esatto.
Mi riferisco proprio a questo; loro avranno il dono della morte e ciò che da esso deriva. Impareranno ad apprezzare ogni singolo istante delle loro vite, ogni singola emozione, ogni battito del loro cuore.
Lo faranno e per questo saranno migliori.
»

Un breve inchino suggellò il commiato del drago di zolfo, forte di una nuova convinzione. Nessuno poteva immaginare ciò che il dialogo di quel giorno avrebbe scatenato…


L’interazione con il pg di Shervaar è stata concordata, come il background comune. In pratica Eldingar capovolge filosoficamente il discorso di Fyrirliði, creando ex novo la definizione di “morte naturale” e applicandola al processo di creazione della vita e di un nuovo popolo. Buona lettura!
 
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Véfrétt guardo la piccola spaurita creatura di carne e le labbra gli si incresparono in un sorriso.
Da quando tempo non usciva dal suo laboratorio? «Troppo.» Concluse.
Troppi anni trascorsi a guardare la livida luce di una candela nera, troppe lacrime versate a prevedere l’infame destino che attendeva lui e i suoi fratelli. Alla fine gli occhi gli si erano inariditi. Le lacrime avevano cessato di scorrere e persino il suo cuore aveva perso calore. Aveva scrutato così tanto la morte che quella gli era entrata dentro. Era vecchio, ormai, il Drago d’Ossidiana. Vecchio e inacidito come latte lasciato al sole. Poteva sentire i grumi della sua anima, grumi amari, disgustosi. Non c’era da stupirsi se tutti lo evitavano. Aveva smesso persino di costruire …
C’era stato un tempo, dopo la morte del suo maestro, in cui Véfrétt aveva dedicato anima e corpo alla sua arte. Aveva creato forsennatamente, come se servisse a cancellare l’abominio di cui si era macchiato.
Ma poi aveva dovuto cedere all’evidenza dei fatti: niente sarebbe stato più lo stesso. Quello del suo maestro non era stato un sacrificio era stato un assassinio. Le sue mani erano sporche, sporche del sangue della sua specie e non era servito a nulla. Nessuno lo ascoltava … Molti avevano beneficiato del suo gesto, vero, molti antichi artefatti si erano risvegliati grazie al suo delitto e avevano reso i loro padroni più scaltri, più abili o semplicemente più potenti. Ma la ragione, la vera ragione per cui lui si era sporcato l’anima non aveva trovato successo. Un giorno Véfrétt capì, comprese cosa davvero aveva sacrificato: se stesso.
La fine del suo maestro era invidiabile, dopotutto, era morto e per un drago morire è qualcosa di sconcertante più d’ogni altra cosa ma … Il suo fuoco non viveva ancora? La sua anima non nutriva forse la fiamma di quella lunga, maledetta candela nera? Si la fine del maestro non era poi così tremenda.
Lui invece respirava, camminava, creava ma si poteva dire vivo? La sua fiamma era stata relegata per anni ed anni in laboratorio buio. La sua anima non conosceva che rimorso, paura e solitudine. Ci volle poco a Véfrétt a comprendere qual’ era stato il vero prezzo della sua opera d’arte.
Ecco perché ora, dinnanzi quella fragile, debole, creatura di carne ed ossa sorrideva. Era una cosa bella.
Il suo creatore aveva sacrificato la sua immortalità ma quel sacrificio aveva prodotto vita, vita in grado di generare altra vita. Fuoco in grado di accendere numerose altre scintille e rischiarare il buio futuro che li attendeva. Forse non li avrebbero salvati, forse sarebbero stati addirittura quei piccoli esserini a distruggerli, eppure …
«Venerabile Maestro, quale stupenda creazione ...» – le parole gli si schiusero sulle labbra come viticci toccati dalla primavere e prima che Véfrétt potesse rendersene conto la sua voce profonda le aveva già pronunciate- «...e quale mirabile coraggio nel sacrificare la tua eternità. » – contemplò ancora un poco la creatura. In bocca, nel frattempo, sentiva già il gusto dell’amaro. Un presagio di ciò che l’avrebbe riempita quando sarebbe stato di nuovo il tempo di profetizzare sciagure- «Parlatemi di questo nuovo mondo. Giacchè in questo il futuro per noi è - come ho detto più volte - assai triste... Siamo candele ... Il cui stoppino è prossimo a consumarsi ... » – Eccolo. Di nuovo. Il fiele amaro della verità distruggere ogni precedente dolcezza. Avrebbe pianto, Véfrétt, se solo avesse ancora avuto occhi in grado di inumidirsi.
«Un mondo pieno di contraddizioni, libero di sperimentare e, soprattutto, fragile.» - gli rispose -
«Un mondo per il quale i suoi abitanti dovranno lottare.» - Véfrètt quasi non udì il fratello. Qualcosa lo aveva distratto: la creatura. In un fugace, intensissimo, attimo lo aveva guardato.
«Libero, fragile, contraddittorio e bellissimo. » – pensò –«Un mondo vivo, un mondo ben diverso da quello che io ho visto.»
Si schiarì la voce. Non pensava di doverlo fare. Non si emozionava più da così tanto …
«Un mondo fragile e pieno di contraddizioni ....» - lo sguardo sognante del drago d'onice si mosse dalla creatura al suo creatore. Ecco, ecco la speranza della sua specie. L’aveva cercata, aveva scrutato la sua candela fino a non vedere altro che fiamme, luce e vividi presagi di morte. Ed ora eccola, sfolgorante, fragile e viva. Sentiva, il drago di ossidiana, le proteste, e temeva che quegli sciocchi gettassero via persino quell’ultimo barbaglio di luce che si ostinava a non cedere il passo alle tenebre. Alzò la voce, scaccio l’emozione e tornò un attimo ad essere la negra, infausta, ombra che dicevano fosse- «...come il futuro. Non c'è speranza per la nostra fiamma di perdurare, non più ormai, non con questa forma ... Verrà il giorno in cui nelle vene del mondo scorreranno solo poche gocce del nostro sangue...» - la sua voce salì di tono - «...un futuro di guerre, un futuro di sofferenze, un futuro senza di noi senza la nostra luce. Ma la tua creatura ... Anche lei ha luce. » - sorrise - «Hai la mia approvazione e il mio sostegno. Che questo popolo dei Cieli sia il seme che noi piantiamo per vivere nel futuro..»



 
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view post Posted on 7/5/2015, 10:36
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Huginn
e l'elfo

— creazione —

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Àlfur.
Uhm.
Elfo.
Bassa statura. Corporatura esile. Mani piccole. Dita sottili. Il prodotto dell'immortalità di un drago per la generazione di molti membri di quella specie. L'inizio di una nuova era. Sì. Indubbiamente. Tutti gli altri gli si avvicinano come falene alla fiamma, ammirandone la perfezione delle carni e rimanendo a parole "senza parole", seppur ponendo un sacco di domande, la metà delle quali dalla risposta razionalmente ovvia: "Sa esprimersi?" "Ha una sua volontà?" "Posso toccarlo?" Tutte sciocchezze. Qui si sta parlando di una nuova razza; di una nuova vita; di un essere vivente che va ad aggiungersi alle nostre fila, no? L'unica domanda sensata da porsi è:
come può esserci utile?

Non si studia ciò che si crea. Se lo si è creato, allora lo si conosce già alla perfezione. E poi a cosa vorrebbe ridurci Fyrirliði? A un branco di patetici sociologi, privi di qualsiasi conoscenza logica? Noi siamo artigiani. Ingegneri. Il nostro compito è quello di creare, non di osservare. Cosa potrebbe mai forgiare una creatura dall'intelletto palesemente ridotto come l'Àlfur? Anche se con quelle dita sottili...
« ...amico mio, cos'hai fatto? » Padre, no. « ...hai modellato un nuovo essere sacrificando la tua immortalità, non temi le conseguenze? » Padre, non mettermi in imbarazzo. Non alzarti. Non indicare l'elfo. Non attirare l'attenzione. « non capisci cosa significa un gesto del genere? Noi non siamo Dèi: ciò che hai fatto è ai limiti della blasfemia. Come puoi sapere che questa creatura non sia pericolosa o non ci si ritorcerà contro? Come puoi sapere che non morirà a breve? Potresti aver rinunciato alla tua immortalità per nulla! »
Basta così. Il problema non è che Fyrirliði abbia creato, padre. Il problema è che non vorrebbe adoperare la propria creazione a dovere. Urge un intervento.
« Mio padre ha paura, Fyrirliði, va compreso. Compreso e ignorato. » « Io... » « Credi che queste creature possano essere prodotte in massa? Che possano apprendere conoscenze tecniche? Le loro dita sono così sottili... » Davvero sottili. Precisamente sottili. « Questi elfi non sembrano in grado di ribellarsi, né di averne la volontà. Non con tutta quella carne. Pensi che possano essere pericolosi, per davvero? » Se mi avvicinassi, mi attaccherebbe? Se lo guardassi storto? Se provocassi un rumore improvviso? Oppure continuerebbe a obbedirmi, mosso dalla paura? « Se me ne vendessi quattro... no, dieci, potrebbero aiutarmi molto nelle mie ricerche. D'altra parte il loro corpo sembra perfettamente adatto allo scopo di servire. Sono persino belli. »
Una mano. Chi...? Perché fermarmi, padre?
« Fyrirliði, »No, non il tono severo. Non il tono da "sono il patriarca dei draghi d'oro, la mia voce CONTA." « come puoi credere che siamo pronti? »


« Tuo padre ha ragione, Huginn. Non siamo Dèi. » Blablabla. Eccone un altro. Vecchi. « Eppure abbiamo il dono della creazione, che ci permette di rasentare la forma del divino. » Appunto. Il dono della creazione. Non il dono dell'osservare i comportamenti degli elfi e intanto non fare nulla perché boh. « Blasfemo o no, questa è la mia scommessa per un mondo nuovo, migliore. Per un mondo che non ci appartiene, finalmente. » Ma che cazzo...? Non so nemmeno da dove iniziare a smantellare questa affermazione. « ...ed essendo una scommessa, potrei perdere tutto. In un attimo. » Oh, capisco. "Una società sana è quella che pianta alberi sotto i cui rami non siederà", oppure... una società sana è anche una società IMMORTALE, PARADISIACA E DESTINATA A CREARE PER SEMPRE. NO?
« Non sono servi o schiavi che puoi permetterti di usare. » eh? Che vuoi? « Per quello ci sono i rinnegati. » Bell'esempio di classismo, vecchio. Ma a parte quello, come faccio a spiegarti che le mani dei rinnegati, semplicemente, non sono adatte ai miei scopi? « Non vivranno nel nostro mondo, ma nel loro. » Ma che senso ha? Puoi liberarne un po' e studiarli come preferisci, e impiegarne un altro po' come servitori d'eccellenza, magari dandoli a me, no? Perché questo manicheismo netto e improvviso? « ...noi ci limiteremo ad osservarli crescere, costruire. Forse distruggere. »
ma cosa cazzo... « Non essere sciocco, Fyrirliði. Non ti rendi conto dei lavori di precisione che potrebbero compiere delle mani così piccole? Niente a che vedere con i corpi goffi dei rinnegati. » Noi siamo creatori. Noi siamo il futuro. Fermarci a osservare qualcosa senza fare niente non sarebbe altro che un grosso spreco di tempo. « Alcuni saranno messi a vivere nel loro mondo, ma perché non adoperarne altri per i nostri scopi? Potremmo produrli con forme diverse? Colori diversi? Qualcosa per distinguerli, insomma... » « Huginn... » « Tutto ha un prezzo, Fyrirliði. Qual'è quello del tuo pupazzo? » « Huginn. » « È l'oro che vuoi? Gioielli? Ne abbiamo in grande quantità; forse è giunto il momento che abbiano un'utilità anche loro! » « HUGINN! »

Oh, sì padre.
Remami contro. Appoggia il tuo amico.
Non capirmi, come tuo solito.
Come puoi... come potete, TUTTI QUANTI, essere così ciechi davanti al valore dell'utilità?
« Perdona mio figlio, Fyrirliði; non ho saputo educarlo come avrei dovuto. » ma vattene a fare in culo, coglione. « Tuttavia, questo è parte di ciò a cui alludevo. »
« Faremo in modo di non poter intervenire in alcun modo sulla vita del nuovo popolo. » e tu credi che mi arrenderò per così poco? « Affinché Draghi come tuo figlio non possano renderlo schiavo. »
PFF. Sì, certo.

Altre domande. Altri apprezzamenti.
« Questa è follia. » su questo concordiamo, padre. « Siete accecati dalla novità e avete perso ogni valore morale, ossessionati dall'idea di rinnovare la nostra società. Viviamo in un paradiso e il vostro comportamento non farà altro che distruggerlo. Forse non ora, forse non con questo elfo, ma di certo con questo atteggiamento state inquinando Verkstæði. » sì, alziamoci. « Non intendo avere niente a che fare con questa pazzia. » sì, andiamocene. Abbiamo perso abbastanza tempo. Qualcuno ha detto qualcosa? Chissene. Ho un piano.

Usciamo.
Via dall'elfo. Via dalla gola nera. Anche se solo per poco.
Dov'è Muninn? Aveva l'ordine di aspettarci fuori. Dovrebbe essere... oh, eccolo!
« Muninn! » oh, non guardarmi così! Non voglio farti del male! « Caro Muninn! Caro dolce, timido e goffo Muninn! Amico mio! Aiutante indispensabile! » suvvia, non tirarti indietro. Non essere confuso. « Ti abbiamo fatto attendere tanto? Come stai? »
« Huginn? » sì, padre? « Non ho intenzione di fermarmi qui un secondo di più. Se tu e Muninn volete passare del tempo assieme, fate pure. Io ho intenzione di tornare immediatamente a casa. » vai padre, vai pure. Allontanati. Fuori dalla portata d'orecchio...
...e ora torniamo a noi.
« Ah, Muninn... » « ...æðstu? » « Oh, non essere così formale! Siamo amici, no? E poi non siamo mica a casa. Ti ricordi quando eravamo piccoli e giocavamo insieme? Ti ricordi di mio padre, che ti ha raccolto e ti ha dato un luogo dignitoso in cui vivere? » « Io... sì. »

« ...beh, Muninn, si da il caso che ora sia io ad avere bisogno di un piccolo favore. »

 
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view post Posted on 7/5/2015, 23:52
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Móðir
Madre
______________



Per tutta l'assemblea era rimasta impassibile, lo sguardo rapito da quella creatura nata sotto gli occhi sbigottiti dei creatori di Verkstæði. Ciò che aveva compiuto il drago di diamante trascendeva ogni atto creativo immaginabile: un cuore pulsante, un essere vivente.
Non una statua fredda e vuota ma un corpo caldo e sensibile, fragile nel suo involucro di carne, autonomo e libero.
Fyrirliði aveva generato la vita.
Si guardò le mani, quei grossi e grassi palmi che nei secoli precedenti avevano modellato la pietra e i quarzi creando giustappunto un popolo di freddi costrutti, eternamente dormienti nelle ampie sale del suo opificio interrato. Dove aveva dunque sbagliato lei? Perché non era riuscito a creare lei la vita come suo fratello.
Lei che più di tutti a Verkstæði desiderava essere madre...
Guardò l'àlfur che si ritraeva spaventata agli esami dei vecchi draghi.
Un pulcino circondata da falchi.
Era semplicemente deliziosa.

« Fyrirliði caro! » tuonò potente dal suo grasso corpo di pietra, le braccia allargata pronte ad abbracciarlo dopo essersi fatta spazio a spallate tra alcuni creatori « Fyrirliði...Fyrirliði vecchio pazzo! »

s'avvicinò delicatamente al corpo diamantino del drago scoccandoli un bacio sulla fronte, gli occhi sempre puntati su quella fascinosa creatura alle sue spalle.

« Voglio sapere tutto mio caro di questa tua creazione! Hai dunque scisso il tuo spirito per crearla? E quel...cuore...è dunque quella la vita? »
indicò con il dito tozzo l'elfo, la luce violetta sugli occhi che celavano uno sguardo famelico.
« Ti supplico Fyrirliði devi dirci come hai fatto...questi... bambini... meritano di esistere»

Le parole gli vennero spontanee. Bambini.

« Ho rinunciato alla mia immortalità, scindendola dal mio corpo e infondendola all'interno di questo cuore. Esso ha mutato e da tale mutazione sono stati generati moltissimi poteri.
La vita, per l'appunto.
Ho semplicemente .. lavorato.
»

« Non capisco Fyrirliði...moltissimi poteri? Vi è dunque altro che non ci avete mostrato? » chiese con una nota di curiosità avida « Ad ogni modo possiamo crearli di tutte le forme questi bambini?»

« Sono sicuro ci siano poteri che la vita stessa mi ha nascosto.
Non potremmo mai saperlo, del resto.
»
sentenziò il drago di diamante
« Di tutte le forme, sì. »

« Ti prego Fyrirliði insegnaci a creare questi cuccioli...sono la miglior myndhöggvari di Verkstæði potrei...» esitò un attimo, imbarazzata quasi nel chiedere al fratello di condividere una sua creazione « potrei... provarci? »

« Certo, non appena il concilio sarà finito tutti potranno esercitare il potere dello hjarta. »

Sussultò come il cuore che fino a pochi attimi prima aveva battuto al centro della Gola Nera.
Non si poteva vedere nella freddezza della pietra ma Hlìf arrossì entusiasta, tanto eccita per quelle parole che la stessa luce nei suoi occhi sembrò farsi più intensa.
Bambini, avrebbe potuto creare dei bambini vivi.
I suoi pensieri scivolarono nei meandri del suo opificio passando in rassegna tutte le statue che aveva scolpito negli anni, li immaginò vivi, muoversi nei loro corpi plasmati con tanta cura e dedizione dalla loro madre.
Un rivolo scuro gli solcò il volto di pietra, una lacrima genuina strizzata fuori dalla roccia.
Sarebbe stata una grande Móðir lei.

« E che si concluda allora questa perdita di tempo! Chiacchiericci d'etica da draghi che non hanno nemmeno la morale per poter giudicare. I nostri occhi hanno ammirato la vostra straordinaria creazione, i sibili dei vecchi sono solo soffi d'invidia per non aver eccelso come te, Fyrirliði. Mettiamo fine a questa mostra e dilettiamoci a creare questo nuovo mondo per questi bei bimbi... »

Fu allora che s'avvicinò all'àlfur, un bambino alto circa la metà del drago.
Inclinò il viso di pietra e allungò la mano verso il volto dell'elfo, sfiorandone delicatamente la pelle.
Era bello, fragile, tenero nei suoi tremorii di spavento.
Sentiva battere il suo cuoricino a ritmi sempre più forti ogni volta che un drago gli si avvicinava.
Un cucciolo impaurito dal tuonare della tempesta. Piccolo...
Sorrise amorevolmente alla creature e strappandosi un pezzo di roccia dalla spalla se la portò alle labbra, cominciando a soffiare una sgargiante vampata violetta che martellò la pietra fino a rivelare un'arcaica statuetta poco più piccola del pugno chiuso dell'elfo. Aveva le forme sferiche simili a quelle di Hlìf, una figura femminile dai seni abbondanti e la vulva rigonfia, il viso non scolpito, gli arti incompiuti. Una scultura che in molti avrebbero definita rozza e bambinesca per la sua fattura.
Un unico quarzo violetto dalla forma vagamente cuoriforme era incastonato tra i seni della statua, pulsante d'uno strano pallore violetto, un nucleo che respirava il soffio stesso della myndhöggvari, imbrigliato nelle infinitesimali schegge della gemma.
L'interno della statuetta era vuoto se non per dei piccoli granelli di quarzo e pietra che suonavano limpidi non appena si smuoveva la statua a mo di sonaglio. Guardò raggiante il dono appena plasmato per quel bambino.

« Questi vecchi pensatori non sono in grado di cogliere la bellezza che hanno d'innanzi a loro, figuriamoci comprendere che hanno a che fare con qualcosa che vive. Vergonatevi...»

sibilò sprezzante guardando i suoi fratelli e sorelle intenti a dibattere sulle questioni etiche del lavoro di Fyrirliði, troppo presi dallo stupore per realizzare che quel bambino, nato sotto gli occhi di tutti, non aveva ancora ricevuto un segno d'affetto.
Gli erano girati intorno come lupi affamati sentenziando le loro prediche, quel drago d'osso gli aveva persino lanciato un'ascia.
Si voltò verso l'elfo e gli porse delicatamente la statuetta sorridendogli affettuosamente.
Un piccolo gingillo di pietra, un giocattolo agli occhi della myndhöggvari.
Lo scosse appena innanzi all'elfo, le rocce libere frusciarono dentro quel corpo cavo producendo un soave tintinnio cristallino, una nenia di ciottoli così semplice capace di scacciare le paure e i pianti d'un bambino indifeso.
Lo donò all'àlfur amorevolmente, il sorriso scolpito sul suo volto roccioso.

« Móðir, bambino... »

mormorò, scandendo bene le parole.

Mamma.


« Hai pienamente ragione »

Commentò il drago di diamante mentre l'elfo, piacevolmente sorpreso, raccolse tra le proprie mani il sonaglio, scuotendolo appena per sentire il delicato suono delle rocce al suo interno.
Hlìf sorrise, materna, baciando cautamente la fronte del bambino.

Congratulazioni Hlìf, presto sarai madre.


 
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Shervaar
view post Posted on 8/5/2015, 00:48






Silenziosamente, dal suo posto, Sveigj assistette alla scena.
<< Follia…>> si ritrovò a pensare più e più volte, prima tra tutte la rinuncia di Fyrirliði alla sua immortalità. Il drago di mercurio fissò quello di diamante con disprezzo crescente farsi vanto della creazione e osannare il proprio sacrificio per fare un dono ai suoi fratelli.
Per lui a cui tutto era dovuto, essendo di elemento tra i più puri e rispettati, il dono della vita eterna non doveva essere nulla più che una sacrificabile sfumatura in una vita ormai piena di noie e ridicoli desideri.
Fyrirliði non aveva idea di quale strabiliante dote fosse quell’immortalità cui aveva appena rinunciato per assecondare ozi e capricci degli altri suoi compagni, non conosceva la paura dover andare a dormire temendo di non riaprire più gli occhi, non sapeva cosa volesse dire vedere i propri simili spengersi uno dopo l’altro con l’unica colpa di essere al mondo.

Sveigj doveva trovare un modo per distruggere lo Hjarta, il cuore pulsante origine di quel male, prima che la situazione sfuggisse di mano a quel popolo avido di cui era parte ma in cui non si riconosceva.
Fece per muovere i primi passi verso Fyrirliði per scoprire come esso intendesse lasciar usare la sua creazioni agli altri fratelli quando un sussurro lo inchiodò sul posto.

<< Ti rendi conto? Questo significa... che anche lei… >>

Lei.
Vatn.
La sorella maggiore che lo aveva accudito, che lo aveva cresciuto, che lo aveva inevitabilmente reso ciò che era.
La sorella che gli era stata strappata prematuramente per colpa sua.

<<…Che anche lei potrà continuare a riposare in pace, come i suoi avi prima di lei, finchè la terra non richiamerà il suo Mercurio e di Vatn non rimarrà che un indelebile ricordo nei nostri cuori. >>

Rispose con voce fredda.
Sveigj riuscì a reprimere ogni sentimento, mantenendo quell’imperturbabilità di cui si fregiava da quando Vatn si era spenta, eppure dentro al suo liquido corpo un turbine di emozioni si agitò. L’amore che ancora provava per la sorella era quasi paragonabile all’odio per chi sua sorella gliela aveva portata via.
La fredda determinazione negli occhi del drago di Mercurio era l’antitesi di quella fiamma di speranza che ardeva negli occhi del drago di zolfo, fiamma che Sveigj riuscì con soddisfazione a soffocare con una risposta che lasciava ben poco margine di dialogo.

<< Sì, Eldingar: significa che ora che ha trovato la pace che a noi kvikasilfur è negata dalla nascita nessuno la disturberà più. >>

No. non avrebbe permesso ad Eldingar, il drago di zolfo e compagno di sua sorella, di trasformare Vatn in un abominio contro natura. La morte è parte del ciclo della vita, cosa che i draghi di Mercurio sanno meglio di chiunque altro, far tornare sua sorella tornare da essa sarebbe significato ripudiarne la natura. Perché per essa Vatn era morta, avvelenata dal proprio Mercurio mentre indebolita dava alla luce un uovo. L’unico modo per un kvikasilfur di sopravvivere alla vita era adattarsi ad essa, a Sveigj il proprio nome lo ricordava in ogni istante, rifiutare la morte per avvelenamento significava riufiutare l’essenza stessa di Vatn, fondamentale dettaglio che quell’avido e ottuso di Eldingar non riusciva ad accettare.
Ricevuto un secco rifiuto questo si allontanò stizzito, avvicinandosi al drago di diamante avido di domande e riflessioni.
Sveigj gli fu subito dietro.

Li ascoltò parlare, stupito della loro apparente lucidità. Intendevano fare alle loro creazioni “Il dono della morte”, quella stessa morte che uno non poteva accettare e che l’altro aveva invece accettato senza poterne realmente capire il significato. Ma che ne volevano sapere quei due della morte? interessati solo a manipolare e giocare con la vita. Quell’attimo di stima che Sveigj aveva provato per i due morì soffocato nel rancore quando il drago di Mercurio capì che la loro lungimiranza era solo conseguenza di profonda ignoranza e superficialità.
Quando Eldingar si fece indietro compiaciuto da quello scambio Sveigj si fece avanti.
<< In che modo, Fyrirliði, ci sarà concesso l'uso dello Hjarta? Ognuno di noi potrà forgiare un proprio "álfur" e sulla base di un momentaneo capriccio mettere al mondo le più impensate creature? E cosa ne sarà allora dei tuoi fragili Elfi quando vagheranno per le loro terre colossi di pietra e d'acciaio? Cosa invece ne sarà invece di noi quando per la nostra bieca avidità tutto ciò ci sarà sfuggito di mano?>>
Aveva domande da porre, innegabile, ma il suo vero scopo era arrestare immediatamente quella storia, troncandola sul nascere. Sperava che avvelenando con il Mercurio l’elfo, o il cuore stesso, poteva dimostrare al suo popolo la futilità di quel progetto lasciando che le creature si mostrassero deboli e storpie (in quanti avrebbero pensato al Mercurio?), ma quando fece per avvicinarsi ad essi Fyrirliði respinse Sveigj, evidentemente preoccupato da tale vicinanza.
<< Tutti potranno sperimentare lo Hjarta, dando vita alla creatura dei propri sogni.>>> gli rispose allora << Se la caveranno da soli, ma lontani da noi; farò in modo che nessun Drago interferisca con la loro esistenza... se ciò dovesse sfuggirvi di mano, allora distruggerò la mia creazione.>>
Nessuno guardando da fuori quell’involucro di Mercurio poté godere del sorriso soddisfatto che Sveigj si concesse.
Proprio come aveva sperato, dal momento che non poteva convincere tutti gli altri consiglieri della pericolosità di quel progetto, poteva metterli di fronte al fallimento dello stesso. Se non fosse riuscito nel breve tempo a sabotare il cuore avrebbe potuto agire nell’ombra sulle creature. Spregevole, crudele, ma necessario.
Riportare in vita Vatn era solo il minore dei mali che lo Hjarta avrebbe potuto scatenare.

Note:

Non mi prendo la responsabilità di ciò che ho scritto, non ancora.
Ora vi prego fatemi morire nel letto, domani sera quando rincaso rileggo, sistemo, aggiungo colori, rendo presentabile e digeribile.
Manca un pezzetto, poche righe nel mezzo, ma mi ha sbroccato Skype e non riesco a recuperare un dialogo, domani spero di poter sistemare.

Sistemato qualcosa.

Tutto il necessario è concordato con chi di dovere, come da lui già specificato


Edited by Shervaar - 8/5/2015, 20:10
 
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