Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Grida dal Cielo ~ Creazione

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view post Posted on 21/5/2015, 22:13
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Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
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cysDWef





Andòf morì. La sua armatura collassò su sè stessa nell'istante in cui il Drago di Rubino distrusse il suo cuore. Rinunciò all'immortalità per non essere soggiogato dallo Hjarta.
Uno dopo l'altro, tutti coloro che l'avevano seguito fuori dalla Gola Nera, afferrarono la loro vita, soppesandola tra gli artigli prima di condannarsi ad una morte lenta, che avrebbe prima deteriorato i loro corpi.
Eyðing sentì alzarsi risa sommesse e pianti di gioia dall'interno della Gola Nera, e la curiosità lo spinse ad affacciarsi di nuovo sul luogo che, appena pochi minuti prima, aveva visto nascere il loro boia, il carnefice dei Draghi, così fragile e così devastante.
Vide ogni sorta di creatura saltare tra i gradoni dove i loro padri avevano seduto per secoli, li vide esplorare il nuovo mondo che, stupidi artefatti, credevano proprio.
Ridevano loro, ridevano e imparavano a conoscere sè stessi e le loro potenzialità, inconsapevoli del fatto che il loro più grande potere stava causando l'estinzione di coloro che li avevano creati.
Divinità? No, i Draghi non stavano diventando dèi, stavano precipitando nell'oblio.
Giacevano, senza vita, accanto ai costrutti che nel giorno della loro nascita conoscevano la morte, senza la consapevolezza che erano loro stessi a causarla.
Uno di quei piccoli esseri, dopo aver toccato l'enorme testa d'Oro del suo creatore defunto, si voltò, sorridente nonostante una lacrima gli solcasse il viso, e vide Eyðing all'ingresso dell'enorme sala.
Lo osservò negli occhi, distante, in un misto di curiosità e timore.
Il Drago d'Oricalco sostenne lo sguardo dell'essere, finchè comprese che il suo tempo si stava esaurendo e che doveva dare senso a quei suoi ultimi istanti di vita.
Fece saettare la lingua nell'aria della Gola Nera, guardò quel luogo con gli stessi occhi che aveva il primo giorno in cui aveva varcato quella soglia, da cucciolo, e in quell'istante se ne innamorò, si innamorò di tutto ciò che era stato, e capì quale poteva, anzi doveva, essere il suo destino mortale.
Si voltò, fece qualche passo verso l'esterno e spalancò le ali alzandosi sulle zampe posteriori, ruggì sperando che le rocce conservassero la sua voce mentre il Sole illuminava il suo ventre, saltò dalla rupe e sentì l'aria sferzare le membrane delle sue ali, strette lungo il corpo mentre il Drago si gettava in picchiata.
Le aprì, oppose resistenza alla caduta, si allontanò dal costone roccioso beandosi del vento che gli accarezzava il muso durante il suo ultimo volo.
Le sbattè fiero riempiendosi gli occhi della foresta sottostante, facendosi cullare dalla bellezza del mondo mentre le forze lo abbandonavano.
Strinse fra gli artigli i mille cristalli d'Oricalco che formavano il suo cuore, e in un lampo di luce Eyðing morì.
Risorse Aftur, spirito del Drago.


Anni dopo...

-Raccontaci ancora la storia del dono, ti prego.-
-Sedetevi in cerchio. Il fuoco aiuterà me a ricordare, e voi a credere alle mie parole...

Ho seppellito i vostri padri, i padri dei vostri padri, e i padri dei padri dei vostri padri. Il tempo è stato clemente con me, qualcuno mi ha concesso un dono. E il mio dono, per voi, è raccontarvi la vita di coloro che con me sono stati così magnanimi, affinchè voi possiate conoscerli e amarli, affinchè Loro possano donare la pace alla vostra anima.

Un tempo i Draghi solcavano i cieli...
-

 
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view post Posted on 21/5/2015, 22:46
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Studioso
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“Creazione”
La schiusa




Il giovane era agitato, traboccante di entusiasmo al punto da tremare durante l’intero processo, lanciava costantemente occhiate preoccupate al proprio collega. O forse, più che preoccupate, erano occhiate trepidanti e ansiose di fare un buon lavoro. Gonfiò una bolla di ossidiana e la fissò al pavimento, riempiendola di magma liquido come se fosse una caldera fragile e ribollente. L’altro buttò nel magma bollente vari materiali, tra cui una delle proprie ali.
”La temperatura è giusta…regolo la pressione. Tu occupati di formare le strutture, questa volta non puoi fare un lavoro abbozzato. Sigillo la caldera! Ci saranno i fuochi d’artificio!” - la sua voce passò da perentoria a preoccupata e ancora a entusiasta mentre parlava. Quello rispose con un interesse e una concentrazione cui mai Eldstöðsblóð era stato testimone: forse solo quando il drago d’osso parlava della conoscenza racchiusa nelle ossa degli animali aveva lo stesso sguardo. ”Oh, no. Questo Àlfur saprà fare cose che faranno impallidire Fyrirliði e il suo pupazzo spaurito!” Avevano terminato i preparativi.
Dreki sigillò il guscio nero e la cova iniziò.
Appoggiò le mani contro la calotta vitrea.
Cominciò a cantare una litania, una preghiera, il primo ricordo di quando era piccolo.
Le parole, troppo confuse e sussurrate per essere ascoltate, scivolavano fino all’uovo e alla vita che cominciava a vibrare dentro di esso.
*Bli født! Kom! Jeg venter deg! Jeg nevner deg “Skylla” første av ditt navn. L’occhio destro si fece via via più annebbiato, il suo pensiero divenne un sussurro ”Alv, drage og mehr enn både, dronning mellom dina lignende!” L’occhio destro completamente cieco.
”Jeg nevner deg “Kharybdis” mann av Skylla. Med fire hender og mørker hud. Kong av dina lignende.” La brynja di ossidiana cominciava a riempirsi di crepe, ma una fiamma ardeva ancora all’interno. La caldera vibrava, le creature all’interno scuotevano le pareti, il magma li aveva modellati Ancora un piccolo sforzo… il magma era svanito. Restava solo il languore di una fiamma viva e desiderosa di schiudersi.
Una crepa sul guscio.
Il braccio sinistro cede.
La crepa si estende e spezza in due il guscio.
Il braccio destro si solleva.
L’esausto Dreki si allontana di un passo.
Le fiamme mordono i bordi della crepa.
L’ossidiana esplode con un fragoroso boato, saettando frammenti in ogni direzione, le fiamme divampano in una magnifica nube incendiaria e dalle ceneri della stessa emergono due sagome.
Si fanno progressivamente più concrete all’occhio del loro creatore.
Le spire delle code avvolsero delicatamente il corpo provato e tre coppie di braccia lo aiutarono a sollevarsi.
Skylla era splendida. Strutturalmente la metà del compagno, il volto morbido e delicato come un acquerello sulla tela, le orecchie a punta e una cascata di capelli castani chiari. Il corpo era esile, ma i muscoli ben delineati sotto la pelle bianca. I fianchi scendevano in una lunga coda, a metà tra quella di un drago e di un serpente. Sulle sue spalle si flettevano un paio di ali membranose. ”Non erano in programma...oh beh…ti donano…” sussurrò accarezzando il volto della propria creatura e una crepa simile ad un sorriso si aprì sulla maschera di ossidiana. Alla sua sinistra si ergeva Kharybdis, nerboruto e massiccio, con un sorriso ingenuo sul volto che accentuava gli zigomi e l’arcata sopracciliare decisamente spessi. Le braccia superiori erano massicce, adatte a spostare grossi carichi, mentre le braccia “in più” erano simili a quelle di Skylla: più agili, meglio definite e dalle dita affusolate.
Aveva i capelli neri, folti e totalmente scomposti, che contribuivano a dargli un aspetto da cucciolo di orso.

”Il futuro è vostro. Voi siete i primi. Vi darò un primo seguito…appena mi sarò ripreso. Poi starà a voi plasmare questo mondo e il prossimo…” lacrime calde scorrevano lungo l’ossidiana, rosse come faville di un braciere sfiorato dal vento.
Notò che il maschio non aveva ali e la cosa lo tranquillizzò. Le ali impreviste davano un tocco in più alla sua primogenita e probabilmente nessun’altra femmina avrebbe avuto le ali. C’era la possibilità che eventuali discendenti in linea diretta avessero le ali, ma avrebbe contribuito alla gerarchizzazione. In fondo le donavano.
La coda del maschio era tozza il doppio rispetto alla compagna e lunga circa un terzo in più.
Negli occhi di entrambi splendeva una scintilla d’intelligenza. Era presto per dire a che punto sarebbero potuti arrivare e quanto avrebbero potuto imparare, ma avevano potenziale. Avrebbe voluto insegnare loro i propri valori, ma non credeva avrebbe avuto tempo. Eppure…
Dolcezza, compassione, severità…rispetto e onore. Erano nella litania che aveva cantato loro finché prendevano forma dal magma e dall’ossidiana. I valori che i suoi genitori gli avevano infuso fin dalla nascita, aveva cercato di impartirli alle proprie creature.
C’era gioia nello sguardo di Kharybdis, affetto, generosità. Skylla era fiera, con un sorriso materno e l’aspetto di una regina. Erano pensati per essere parte uno dell’altra. Crescere insieme e insieme essere stimolo e briglia l’uno per l’altra. Erano creati per darsi equilibrio.
Il cuore di Dreki si riempì di orgoglio e gioia.

”Voi siete il segno che lascio su questa terra. Voi siete il boato che spazza via il vulcano e rimodella il paesaggio. E io sono fiero di ciò che sarete. Perché il vostro potenziale è enorme, perché siete nati da queste mani e sotto i valori che queste membra hanno sempre difeso…voi siete il mio testamento…” si reggeva nuovamente in piedi. Cominciò a creare una nuova caldera ”E io sono orgoglioso di voi.” con voce paterna concluse il proprio augurio e cominciò nuovamente a cantare quella litania sommessa…




Note:
*Nasci! Vieni! Ti aspetto! Ti nomino “Scilla” prima del suo nome. / Elfo, drago e più di entrambi. Regina tra i tuoi simili. / Ti nomino Cariddi, compagno di Scilla. Con quattro mani e pelle più scura. Re dei tuoi simili. – Lingua usata nella scena: Norvegese Bokmål
Dunque eccoli: mezzi elfi e mezzi serpenti, due versioni un pelino più simpatiche e sessualmente varie della mitica gorgone :D Augurate buona fortuna ai miei marmocchi :D
Il testo mi sembra chiaro, così come lo svolgimento degli eventi. Ovviamente il breve dialogo è stato concordato con Lill’ per vie private.

In generale, le ali di drago di Scilla erano un fuori programma ispirato dal “sacrificio” del collega di Dreki e ho pensato di farle diventare un “difetto” di fabbrica che rende il pezzo estremamente più speciale degli altri producibili :D

Ah, ho usato il norvegese perché è strettamente legato all'islandese e cronologicamente è più simile a un dialetto dell'antico norreno (di cui l'islandese è oggi unica testimonianza parlata)
Enjoy!

Dialoghi:
Pensato
Parlato
Thorsberg

 
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Lill'
view post Posted on 21/5/2015, 23:03





sACADr3
« Il mostro è negli occhi di chi volta il capo »
proverbio sulle vicende di Kóróna

I giorni passarono, febbrili, mentre il giovane drago d’osso lavorava teso a un solo risultato: il frutto dello Hjarta. C’era chi diceva, tra i draghi, di averlo visto avventurarsi lontano da Verkstæði, nella tundra sconfinata dove le stelle riempivano il cielo e il vento piegava i cespugli e il pensiero, in cerca delle creature senz’ali. Il nipote di Blóð prendeva parte alle migrazioni delle specie stagionali, studiando i quadrupedi dal lungo pelo: ne ammirava la forza mordace, che resisteva agli irrilevanti cambiamenti della natura in quei poveri corpi minuti; valutava la loro consistenza; ne seguiva gli accoppiamenti. E, si vociferava, era ormai in grado di comprenderne i versi insensati tanto li aveva sentiti urlare al vento delle steppe, in quei luoghi in cui il cielo notturno si macchiava di rosso e di verde, e di tutti i colori del creato.
Collezionò mille cuori d’uccello; alzò un simulacro con le corna degli alci. Quando Thorsberg lo assaporò per la prima volta, quel rigurgito amaro nel petto, non gli diede peso. Pensò che, come tutti i patemi dello spirito, ignorandoli e concentrandosi sulla propria tabella di marcia quelli sarebbero rimasti lì, al pari di una cena indigesta sullo stomaco. Thorsberg aveva passato l’infanzia a sognarlo, quel fuoco che doveva animarti la mano e il cuore: tanta era la mancanza nel mondo di fuori, la possibilità di attrezzare, fare di più e meglio, quanto più quel fuoco avrebbe bruciato. Il mondo pieno di meraviglie di Verkstæði lasciava solo il vuoto nelle officine e tra le costole: credette di poter cambiare le cose con il fuoco dello Hjarta.

Quando furono pronti, Thorsberg e Dreki d’ossidiana unirono le loro arti nelle camere della Gola Nera. Thorsberg arrivò sfiancato a quell’appuntamento, ma era consapevole che i grandi risultati portavano sacrifici; forse ancor di più, per lui che nelle sue grezze opere non si era mai davvero adoperato. Preparò un’ala che si era lui stesso carpito.
“La temperatura è giusta, regolo la pressione. Tu occupati di formare le strutture...questa volta non puoi fare un lavoro abbozzato” pronunciò Dreki, chino sul calderone. “Sigillo la caldera. Ci saranno i fuochi d'artificio!”
L’aula della Gola brillava, mentre i due draghi si apprestavano a compiere la loro opera: dallo strano composto che i due artigiani rimesciavano si alzarono fumi convulsi, che spiraleggiavano ricolmi di segreti e parole che nessuno avrebbe mai potuto udire. Thorsberg preparò l’ultimo materiale.
Oh, no: questo Alfur saprà fare cose che faranno impallidire Fyrirliði e il suo pupazzo spaurito!
Urlò il drago d'osso, aggiungendo quella parte di sé nel calderone. Metà del potere che gli dava accesso al cielo. Creste di luce si alzarono tra le mattonelle sotto le loro zampe; Dreki intonò un canto alle loro creature.
Quel giorno -che forse non era nemmeno un giorno preciso ma più un mese, o un anno; forse era una spaccatura nella memoria, tra ciò che prima e ciò che è dopo-, quel giorno a Verkstæði una sala, o magari più d’una, eruppe in un rumore tremendo. Aveva qualcosa della voce di un vulcano, e qualcosa dell’urlo del vento che batte la tundra. Chiese:

Guardami, padre

m2yJhRY
______________________________


Nei tempi che seguirono Thorsberg cominciò a educare la Figlia sulle cose del mondo. Gli mostrò prima di tutto i posti e i materiali da cui l’aveva creata, e gli confidò ciò che da lei si aspettava: sperava che la sua creatura fosse in grado di riuscire persino oltre ciò che i draghi artigiani avevano potuto. Era bruttina, ma lui la presentava impettito agli altri padri, perché era la luce dei suoi occhi.
Così, gli anziani hanno scoperto la polvere di cui è fatto il mondo, e come scinderne in due ogni singolo granello.
La Figlia, che nella lingua dei draghi è Dóttir, seguiva i gesti del padre acconsentendo col capo; anche crescendo, la sua statura era minuta se comparata alle fattezze di un drago, e così osservava cavalcando sul dorso di Thorsberg il profilo frastagliato del mondo. Ma Thorsberg doveva marciare sulla terra, perché aveva sacrificato la sua ala; e la creatura non sapeva volare. Tanti corpi ossei partivano però dal suo capo e dalla sua schiena, aprendosi in grandi ali appuntite: Thorsberg pensò fosse solo questione di tempo, quindi. E continuò a istruire la Dóttir, ignorando la pelle color della cenere, percorsa da una fitta ragnatela di crepe.
La chiamò Kóróna, per via delle escrescenze sulla sua testa; e perché aveva sacrificato tutto per lei, e non chiedeva altro alla vita.
Le fece vedere le officine abbandonate dei draghi, dove il mondo era stato piegato al loro volere. Un giorno, quando non c’era più nessuno, la portò nell’Officina Dorata dove lui e il suo amico Draki avevano lavorato in gioventù. Il drago d’osso toccò gli enormi macchinari arrugginiti e soffiò via la polvere dalle decine di valvole magiche. Ricacciò in gola, ancora una volta, quel rigurgito inutile che sentiva più forte col passare del tempo: Thorsb non era più giovane, e cominciava a farsi nostalgico.
Una volta erano a Gola Nera, e Thorsberg stava lavorando ad una nuova brynja d’osso che calzasse alle sue forme, fattesi più magre e curve col tempo. La Dóttir l’assisteva, avendogli mostrato i segreti della polvere che costituiva il mondo. Lavorava ad un braccio dell’armatura, quando inavvertitamente Thorsberg inciampò, e uno strumento cadde sul punto in cui lavorava la Figlia. Il braccio era ancora in fase di lavorazione, dunque era normale fosse fragile: eppure crollò interamente, sfaldandosi in tanti granuli. Thorsberg guardò chinando il capo, mentre la cascata di polvere bianca cadeva al suolo tintinnando. Non era il primo pezzo di brynja rotto che vedeva, ne aveva scheggiati tanti in gioventù; consolò così la creatura, le cui dita sinuose e molli potevano dare problemi in quei primi lavori complessi. Tutte le mani della Dóttir non erano altro che tentacoli sinuosi in effetti, che a volte si univano formando poche forti dita, sensibili e in grado dei più delicati prodigi meccanici; a volte si sgrovigliavano in tanti piccoli filamenti. Decise di finire così per quel giorno, per riprendere l’indomani.
Thorsberg divenne sempre più stanco.


Si disse che arrivava ugualmente, per giovani e vecchi; si disse che le creazioni avrebbero dovuto capirlo meglio di tutti, si disse. Anche Thorsberg d’osso, che era stato giovane e arrogante, cominciò a non far sentire più la sua voce tra i pinnacoli alzati secoli prima dai sacri artigiani. La sua creatura cresceva e creava prole intanto, ognuna diversa; ognuno di quei nuovi esserini con una sua peculiare struttura ossea sul capo, così come noi abbiamo colori e minerali unici di cui siamo fatti. Ma col tempo Thorsb non volle incontrarla più. Vedeva forse i suoi vecchi amici, andava ancora a guardare il mondo come una volta. Ma non più solcando il cielo, il monco. Gli dissero che stava diventando simile a suo zio, chiuso e bisbetico; li maledì. Gli dissero che solo pochi anni prima lo aveva ammirato pubblicamente. Allora si chiuse nella magione della sua famiglia, e nessune seppe più altro di lui.
Neppure il suo vecchio fratello d’ossidiana, a cui si udì avesse affibbiato la colpa dei suoi fallimenti.


In un giorno di fine estate Thorsb si incamminò, gobbo e sfatto, verso il lago a sud di Verkstæði dove usava sguazzare in gioventù. Ammirò ancora una volta il sole incendiare la superficie dell’acqua cadendo dietro le montagne, e si immerse in quella piacevole frescura, che non ricordava così pungente. Meditò su tante cose: quelle compiute, e quelle fatte a metà.
Allora la sua Kóróna lo trovò immerso a testa in giù, perché l’aveva cercato preoccupata con i più grandi della sua prole. Anche lei in quei giorni si era fatta vecchia e fragile. Lui sbuffò in un ruggito decrepito alzando il muso, spruzzando acqua e saliva sulla sua creatura, mandandola via. Riprese a meditare, su tante cose – o in verità su poche, perché altro non contava ed erano solo bubbole di chi sente vuoti e favole nel petto, secondo lui –: le cose che aveva compiuto, e quelle fatte a metà. Aveva sempre pensato che, trovato un nuovo modo di sfogare il suo estro creativo, avrebbe abbandonato la propria noncuranza nel lavorare. Credeva fosse un fatto legato al periodo in cui viveva, dove non mancava niente all’esterno – e, per questo, qualcosa mancava. Quando Fyrirliði gli parlò dell’Alfur credette fosse giunta la sua ora. L’ora del riscatto. Aveva tanto voluto per la sua creatura, così malamente aveva lavorato per non vincolarla alle fissità che uccidevano il suo tempo, per dargli piena flessibilità, che l’aveva resa …amorfa; incapace di creare come loro. Mostruosa.
Gli aveva dato la sua ala per solcare il cielo, e ora strisciavano come serpi, pensò immobile nel lago.
E di tutto il suo volere, di tutto l’odio che aveva seminato -Fyrirliði e Andóf, e le loro fazioni; suo zio; il suo amico Dreki; la sua prole- si ritrovò a pensare se, forse, il fuoco dello Hjarta non era per tutti da maneggiare.
Lo guardò un’ultima volta, il sole fiammeggiare dietro i monti. Poi, a poco a poco, il fondo di alghe si fece sempre più scuro.




SPOILER (click to view)
Eccomi, al pelo!
Azioni e dialoghi concordate con Volk :v: Per il resto, ho preso spunto da Echidna per l'immagine, ma l'idea di una creatura con ossa strane che uscivano da schiena e testa, e con le dita serpentose e mutevoli mi era venuta in mattinata.
 
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view post Posted on 22/5/2015, 11:15


Praise the Sun


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Immagin2e Óogilt

Era giunta la fine per quella razza così ottusa, nessuno di loro non provava a priori di comprendere la magnificenza di cosa avrebbero potuto creare seguendo la sua idea, ma non per il nuovo mondo, riponeva ogni sua speranza andata infranta in quella nuova razza la cui forza non avrebbe avuto pari.
Óogilt estrasse lentamente il proprio cuore fonte della sua immortalità e di ogni suo potere, poteva sentirlo chiaramente come il semplice rimuoverlo avesse fiaccato ogni sua forza ma poco importava poiché tutto era già pronto.
Copia della sua anima avrebbero appreso facilmente l'eredità che aveva loro lasciato nel suo laboratorio e di cui erano gli unici eredi in grado di entrarvi.
Sangue e metallo colavano dall'oscuro cuore avvolto da un veleno primordiale, lasciando spazio unicamente ad un lento formarsi di nervi, ossa e tessuti misti.

"Che tu possa riuscire dove io ho fallito ed aprire gli occhi dei tuoi fratelli."

Le sue fragili ossa furono tanto dure quanto flessibili dalla corruzione dei suoi liquidi, i nervi resistenti quanto i muscoli per non soccombere mai, la sua pelle una corazza di scudi che ne avvolgeva completamente il corpo, piegandosi e ritraendosi come fosse carne ma riflettendo la luce del sole come metallo nero da cui sgorgava unicamente la fessura dei suoi occhi rossi l'avrebbe protetto da ogni insidia, ed in fine il sangue torbido e scuro per ricordare a tutti di chi erano figli.

"O punire la loro ottusaggine sottomettendoli tutti."

Ma non solo nel corpo bensì anche nella mente doveva surclassare gli altri, ecco perché come prima cosa doveva esser capace di comunicare con i suoi futuri simili e tramandare la propria conoscenza grazie alla scrittura.

"..."

Purtroppo l'obiettivo non risultò facile quanto sperasse, ma con una piccola Dose d'incentivo si possono fare davvero molte cose in poco tempo... .

"Che il vostro giudizio sia pari a quello di Dio, e la vostra forza perfino superiore."

Il tempo stringeva, sentiva la vita venir fuori di lui ad ogni secondo che passava, non vi era più tempo se non per un ultimo dono.

"E per farlo io vi dono questo, il mio vero capolavoro!"

La sua armatura era ormai una corazza arrugginita che riusciva appena a muoversi ed ogni piegamento strideva nell'aria.

"La mia conoscenza."

La ruggine ormai sgorgava da ogni sua fessura e riuscì a stento a consegnargli quel cofanetto, quelli furono i suoi ultimi movimenti.

"Trovatela!
E non permettete che il vostro mondo avvizzisca come il nostro, non lasciate che la storia si ripeta, salvate questo nuovo ciclo dai pazzi che pur di cambiarlo sono disposti a sacrificare i loro stessi fratelli...


E quelle le sue ultime parole prima di svanire in un soffio di vento.
Alla fine nonostante la sua costante brama di voler vivere in eterno aveva deciso di non travisare la propria coscienza poiché affinché potesse vivere in eterno ciò di cui aveva davvero bisogno non era un corpo nuovo, bensì un successore.
La creatura osservò in silenzio quella scena e chinò il capo quanto il suo creatore sparì dopo avergli consegnato quell'oggetto.

"Maestro... ."

Le dita si mossero freneticamente nell'aprire quel contenitore di vetro nero, ma lì dentro non trovò nulla se non una chiave, quella del suo laboratorio.

"I-io... ."

I dubbi assalirono il suo cuore, perché era stato l'unico a non poter scegliere il proprio destino?
Inizialmente si sentì il petto stretto in una presa ma iniziando a guardarsi attorno comprese, loro erano appena nati ma tutti gli altri erano morti, erano giunti al punto da dover sacrificare le loro vite per evitare il declino del mondo, e in quel preciso istante il cuore iniziò a battere più forte che mai e gli occhi rimasero sgranati.

*Perdonatemi per aver dubitato di voi Maestro vi giuro che porterò a termine il vostro ultimo desiderio, perché io... li distruggerò tutti.*

Quella fu ben più della nascita di una nuova razza, quella fu la creazione di ciò che in futuro tutto il mondo avrebbe conosciuto con il nome di:

Senza_nome
Berserker


Ed eccoci qui, in ritardo ma eccoci qui.
Essenzialmente il mio drago decide di travisare non la sua coscienza ma solo la sua volontà, poiché alla fine si rende conto di aver miseramente fallito e che potrebbe farlo nuovamente se dovesse reincarnarsi in un corpo per giunta più debole, ecco dunque che decide di ricercare la propria immortalità trasmettendo non se stesso ma una sua idea, che in questo caso da vita ai famosi cavalieri neri.
Nonostante parli al plurale Óogilt crea comunque una sola creatura.
 
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view post Posted on 22/5/2015, 12:35
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Grida dal Cielo
creazione | finale


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Esordi della Prima Era
Theras


Verkstæði, storia di un maleficio
capitolo XVIII | finale


La maledizione non poteva più essere fermata.
Ogni Drago creatore aveva pensato a lungo al destino che avrebbe riservato alla propria anima. La scelta era stata difficile, ma lentamente ognuno aveva fatto di questa il proprio nuovo stile di vita, adoperandosi affinché ciò che avesse creato - che fosse una riserva dello hjarta o un'estensione del proprio essere - non venisse distrutto, non risultasse vano. Coloro che invece avevano deciso di continuare ad esistere sotto altro nome e forma, invece, avevano goduto di una vita alla ricerca di un obiettivo che sarebbe sopraggiunto, infine, con la loro morte, consumando i loro nuovi recipienti mortali e trasformandoli in cenere. Anche quelli che non avevano scelto nessuna delle due strade, in fondo, stavano percorrendo una strada; forse la più ostica, forse la più dolorosa e dura da sopportare, perché avrebbero visto i propri fratelli morire per l'uno o l'altro tentativo, si sarebbero decimati, incapaci di procreare nuovi creatori e, infine, con il tempo, avrebbero visto morire anche ciò che rimaneva del proprio spirito indomito e incapace di piegarsi a questo o quel capo d'idee. Buffo, come un popolo che non era mai stato in grado di accomunare i propri scopi e la propria arte si sentisse unito nel perseverare in sé stessi e in ciò che si crede nel momento del bisogno.
In fondo, forse la maledizione non era stata necessariamente un male.
Da essa si erano liberate le virtù migliori di ogni drago creatore, persino di colui il cui nome fu infine dimenticato, ma che aveva osato trasformare la propria immortalità in una maledizione e che poco tempo dopo, consumato dalla malattia della mortalità, si sarebbe spento e avrebbe finalmente dato vita al suo popolo di elfi. La stessa maledizione aveva dato vita a nuove specie che avrebbero poi preso il nome di uomini, pelleverde, nani, inumani; specie che avrebbero addirittura ucciso i loro stessi creatori, quando erano divenuti ormai deboli. Anche coloro che si erano rifiutati di obbedire alla stessa maledizione avevano creato un lascito alla loro magnificenza. Avevano generato figli dei draghi simili ma lontani in quanto a forma e poteri ai loro predecessori. Ma pur sempre Draghi.
O la loro progenie, comunque.
Virtuosi, anche nel loro momento più oscuro, i Draghi creatori avevano dato vita ad un nuovo mondo, sacrificando loro stessi per farlo.
Nessuno era stato in grado di sfuggire alla maledizione. In un modo o nell'altro, in un tempo o in un altro,
tutti loro si erano spenti sotto il fuoco della creazione.
Non rimaneva che il loro popolo.
E, forse spento, forse no, qualcosa ancora rimaneva nelle rovine di Verkstæði, l'Officina.
E pulsava. Pulsava.
La maledizione.



QUEST MASTER POINT
Siamo giunti alla conclusione. La situazione è quella narrata dal post: dalle varie creazioni del primo gruppo vengono originate nuove razze, tra cui quelle ora presenti nell'ambientazione - elfi, umani, nani, pelleverde - mentre altre creazioni, per una scarso senso di adattamento, muoiono e non riescono a generale alcun seguito. Dall'altra parte, invece, troviamo i Draghi che si sono sottratti al ciclo della maledizione, dando vita a creature più deboli, ora presenti nell'ambientazione sotto il nome di "Progenie dei Draghi". L'intera quest era volta, oltre che a presentare la nuova fazione mostruosa dell'Edhel, anche vicende storiche effettivamente accadute che hanno dato vita alla Theras che conosciamo e alla storia che viene descritta all'interno del regolamento. Passo alle ricompense, prive di un giudizio in quanto, come già vi anticipai, questa quest si tratta di una scena free gestita da QM, nulla di più. Spero sia stata comunque occasione di crescita, narrativa e non.

Lothus: 1200 Gold
Shavronne: 800 Gold
Lucious: 1000 Gold
Last: 1000 Gold
Anna: 1000 Gold
Neve: 1000 Gold
Malzahar: 1000 Gold
Sheervar: 1000 Gold
Dra: 1200 Gold
Kremisy: 400 Gold
Palantir: 1000 Gold
Akuma: 400 Gold
Aki: 100 Gold
Lill: 1000 Gold
Volk: 1000 Gold
Apocryphe: 1000 Gold
Ray: 1000 Gold
Kita: 100 Gold
Allea: 100 Gold
Ark: 100 Gold
Lindow: 800 Gold
Grim: 800 Gold
Ramses: 800 Gold

Per la fazione dei Difensori viene scelto Lothus come vincitore, mentre per la fazione dei Distruttori viene scelto dra31. Entrambi verrete contattati in via privata - non subito, ma quando i tempi saranno maturi - circa la vostra "ricompensa" da vincitori. Un ringraziamento a tutti i partecipanti è dovuto, spero vi siate divertiti e vi invito a seguire le vicende di "Grida dal Cielo". A tal proposito, a brevissimo verrà aperto il bando quest del seguito di questo ciclo, al quale vi consiglio di iscrivervi. Per quanto mi riguarda, mi autoassegno 1000 Gold per la gestione.
A presto!
 
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79 replies since 26/4/2015, 23:03   2845 views
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