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| Staan Memoria e risolutezza. Il giorno in cui l'orco iniziò a capire
Al centro dell'accampamento si levavano le assi del creato. Tumuli di terra rinascevano dall'abisso, scavandosi a mani giunte la via verso la vita. Si estraevano con imponenza, scavalcando il groviglio di sangue e terriccio con le esili falangi delle mani scarnificate. Erano artigli aguzzi, scheletri non più umani che si divoravano la carne per rabboccarsi dell'aria ricolma di zolfo e dolore. Rinascevano senza occhi, ma con le bocche che si ripiegavano al vento e divoravano boccate di un'aria di cui non sentivano più il bisogno. Per dileggio o semplice abitudine.
Erano morti. Cadaveri urlanti che di urlare non avevano più potere; neppur di ridere, benché a tanto fossero portati. Vedevano la vita come una sconfitta della propria morale e, per qualche motivo, sentivano i valori del passato come barzellette di cui ridere. Inverosimili e incredibili, posto che null'altro che la sete aveva per loro adesso significato. Erano smunti, vuoti di quella scintilla che li aveva resi fragili e schiavi di lamenti chiamate emozioni, passioni o paure. Briglie dell'umanità di cui non sentivano più il bisogno. Ora erano unici ed eterni; affiancati e appianati da un senso che li rendeva orda, o massa. Forza unica, disperata e immorale, ma capace di travolgere qualunque empia supremazia. Erano i reali vincitori, di un mondo marcio che di loro si sarebbe fatto scudo per nascondere la propria falsità. Eppure loro erano uniti, vittoriosi e forti, privi di emozioni o gerarchie: democratici, come poche cose al mondo. D'altronde, cosa c'è di più giusto della morte?
Pagavano lo scotto di tutto ciò i poveri pelleverde. Eretici o non eretici, scacciati o non scacciati; chiunque fossero venivano strozzati nel loro sangue e si piegavano al dolore dei propri compagni, sottomettendosi alla sconfitta e allo sconforto. Scevri di coraggio; schiantati oltre la barriera del tumulto, vedevano in faccia il nulla del proprio sforzo. Si scontravano con l'avarizia della realtà, proprio ove la potenza, il numero e il Grande Gioco perdevano qualunque significato. Li la morte li coglieva impreparati, sottomessi alla paura. Carne da macello come mai erano stati abituati a essere.
Anche dinanzi a quella stessa amara verità si piegava Geeste. Alascura riversava in un lago di sangue scuro; gracchiava al vento un misto di lacrime e dolore, sforzandosi di soffiare o graffiare qualunque morto che gli camminasse di fianco. Ma era ormai debole, inutile. Le ali squamose si erano piegate alla fatica e al dolore; una delle due, perdeva un pezzo e si dispiegava sul terreno sporca e frastagliata, scacciando frammenti della propria dignità oltre il percorso fatto a ritroso. Per la coda, infatti, la prendeva l'anziano saggio, suo allevatore. Geeste aveva il volto insanguinato, un braccio sinistro graffiato e molle di fianco al corpo, mentre con l'altro teneva la coda del proprio animale. Scampandolo alla morte, al pericolo o alla dignità di morire senza una tomba - un tumulo. Pericoloso e vinto, in quello scempio del loro sogno. Piangeva, Geeste, perché non sapeva nulla; come potevano aver perso o come potevano morire così. Oppure, ancora che fine avesse fatto Bara-katal. Quando poi la fatica ebbe il sopravvento, il ginocchio sinistro crollò in terra con un sordo rumore. Il corpo si piegò di lato, e si accasciò di fianco ad Alascura. Ammirando il cielo nero, che diveniva più scuro sopra di loro.
« Vedi, amico mio » disse Geeste, rivolto al suo animale. « Ci vuole coraggio a morire d'estate » asserì, scherzoso. « Diritto all'inferno, avrei preferito finirci in inverno. » Alascura gracchiò con un filo di voce, accasciando il suo muso accanto a quello del padrone. Gli leccò una guancia, pulendogli una parte del volto. E poi chiuse gli occhi, aspettando che qualcuno si prendesse la sua vita.
« Ancora momento di morire non è Geeste » L'orco riaprì gli occhi, fissando il caos intorno a se. Oltre di esso, però, vide qualcosa di diverso. Ai suoi piedi una nuova schiera di pelleverde si faceva largo entro le fauci dei non morti. Avevano lunghi bastoni, cappelli piumati e variopinti costumi, che ricoprivano corpi esili e poco avvezzi al combattimento. « T-toordokters? » Chiese Geeste, quasi non credendo ai suoi occhi. « Esatto, è » rispose il primo di loro. Aveva il volto grosso e verde tipico di un orco di mezza età, ma dipinto con pitture a olio che gli coloravano guance e fronte di colori vivaci tendenti al rosso. Inoltre, teneva tra le mani un grosso bastone, alto almeno il doppio di lui. Su di esso vi erano incise rune e, al centro, vi era incastonata una grossa pietra gialla, che brillava di luce propria. « Sciamani » ribatté ancora l'altro, quasi sorridendo. « Così che ci chiamavate voi, no? » « Scacciati anni fa ci avete, considerandoci anche più vili degli eretici; paura avevate dell'ira degli dei » proseguì, stringendo il bastone al suo fianco. « Macchiati del più grave dei peccati ci siamo » disse, secco « usare le reliquie per i nostri scopi noi ci eravamo permessi » Poi fissò Geeste, con uno sguardo a metà tra il severo e il divertito. « E ora Geeste, come giudichereste noi? » « P-perché siete qui...? » Chiese l'orco, stranito. « Perché Bara-katal chiesto di tornare ci ha » rispose l'altro, subito. « ...e perché preferiamo reietti sentirci chiamare, piuttosto che il nostro popolo scomparire nell'oblio vedere. »
Poi strofinò il bastone e questo parve rispondere. Le rune si illuminarono e la pietra incastonata si caricò di luce gialla. « Non lasceremo morire voi in questo modo. » Dal bastone si levarono decine di fiammate. Altri sciamani, al suo fianco, fecero altrettanto. Le fiammate si levarono nel cielo, per poi ricadere sul terreno. Infine, presero forma: dalla coda si levarono fiammate minori, che conformarono delle zampe. Poi un muso affusolato si levò dal fianco della fiamma, fino a quando l'intero fuoco non prese le fattezze di un grosso lupo. « Andate e bruciate loro » disse lo sciamano, fissando le fiamme. « Dimostrate a questi cadaveri che nessun pelleverde soffocherà nel proprio sangue, oggi. » E i lupi fiammeggianti risposero, scivolando con agilità entro le fila dei cadaveri, come una mandria di bestie infuocate pronte a consumare ogni nemico.
Quando Rekla avvertì il peso di Ciale scostarla di lato, si stranì. Quasi non si aspettava che qualcuno avrebbe avuto il coraggio; che qualche insetto l'avrebbe discostata dal suo obiettivo, frapponendosi tra lei e la preda. Solitamente, infatti, questa era un'azione molto stupida. E in passato nessuno si sarebbe mai permesso di contraddire la nera Signora. Mai, mai nella vita.
La furia dell'assalto le fece perdere la presa sul pesante pelleverde, che ruzzolò di fianco, poco distante, tenendosi il collo tra le mani e tossendo vigorosamente. Per converso, Rekla non cadde, rimanendo ferma sulle sue gambe. Si voltò di scatto, fissando la minuta umanoide con le lunghe orecchie allo stesso modo con cui si fissa una zanzara fastidiosa. « Tu, maledetta » sibilò, guardandola con orrore, « come osi violare il sacramento del mio rito di morte? » Di risposta la afferrò per il collo, sollevandola da terra - pressappoco fino all'altezza con cui, fino a qualche istante prima, aveva tenuto Bara-katal. « Questa umanità è molto più indisponente di quella che ho lasciato tempo addietro » ribatté, ringhiando quasi. « Avete proprio bisogno di una lezione. » La sua mano scheletrica si levò verso il cielo, rivelando un lungo artiglio nero sul finire del dito indice. Senza il minimo rimorso, Rekla vibrò l'artiglio contro il petto nudo della ragazza, disegnandole un taglio obliquo lungo tutto il torace. La lama scavò nel profondo, dividendo la carne come fosse acqua e rivelando la carne e il sangue sotto di essa. La pelle olivastra divenne rosata, poi rossa. Infine, violacea ai bordi e - subito dopo - nera. La pelle, infatti, prese a sfrigolare, come se fosse stata bruciata. La ferita si cauterizzò, quasi come se una lama rovente l'avesse ulteriormente scavata immediatamente dopo. Dopo questo, lasciò la presa e Ciale ricadette al suolo con tutto il suo peso, tenendosi il torso tra le mani. Impotente.
Infine, Rekla si girò verso Bara-katal. Sorridendo. « Speriamo che nessuno ci interrompa più, mio caro » disse, con tono di scherno. Bara-katal provò a sfuggire, scorrendo le gambe sul terreno e trascinandosi indietro di qualche metro. Nella caduta si era riverso in terra tutto il contenuto della sua borsa; aveva perso le armi, il suo equipaggiamento e qualunque cosa potesse servirgli per difendersi. Era impotente anch'egli. Inutile nella sua enorme robustezza; nonostante la sua prestanza, infatti, la magia e la potenza della Nera Signora sembravano andare al di là di ogni comprensibile limite mortale. Era un mostro e lui solo un pelleverde.
Si tirò indietro con le gambe, tentando di fuggire. Eppure, Rekla si teletrasportò proprio su di lui, senza il minimo sforzo. Gli pose un piede sul braccio destro, bloccandolo. « Aaaargh...! » urlò Bara-katal, rivelando le sue aguzze zanne al nero della sera. Invocò entro di se i propri antenati e gli infiniti spiriti ultraterreni. Invocò in un lamento silenzioso chiunque potesse ascoltarlo, sperando che qualcuno avrebbe risposto. I suoi padri, i suoi spiriti o qualunque anima sufficientemente coraggiosa da volerlo aiutare. Eppure, non rispose nessuno.
« Tutti hanno una fine, Bara-katal » asserì, iraconda. « E la tua doveva giungere il giorno in cui hai causato il nostro fallimento. » Sorrise amara, Rekla. « Hai già vissuto abbastanza in realtà, non credi? » La donna allungò il suo braccio scheletrico e le cinque dita tozze svilupparono unghie nere e lunghissime. Cinque lame affusolate, che si strinsero tra loro a formare una sola grossa picca appuntita. « Se credi in un dio, Bara-katal » disse Rekla, con tono di scherno, « è il momento di raccomandarti alla sua benevolenza. » Bara-katal pianse e non voleva dir nulla. Col braccio sinistro, ancora libero, cercava affannosamente qualcosa che potesse salvarlo. Trovò qualcosa, alla fine, appena di fianco al suo fianco sinistro. Era una specie di elmo, una maschera - anzi una museruola nera, di ferro battuto. La riconobbe solo col tatto ed ebbe un moto di sconforto quando la raggiunse. « ...Oorblyfsel... » sussurrò, a denti stretti. Era la pesante maschera donatagli da Venatrix. La reliquia senza nome, che aveva lo scopo di onorare col proprio coraggio. Quell'oggetto sacro che doveva portargli gloria in battaglia, ma che ora stava disonorando con la propria sconfitta. « Afgod » sussurrò ancora, fissando il cielo nero sopra di esso, « ti ho deluso. »
Mi dispiace. Non fece nemmeno in tempo a dirlo. Rekla lo trapassò da parte a parte, affondando gli artigli nel suo petto e nel terreno oltre di esso. Lasciandogli un buco nello stomaco e uno ancor più grande nel cuore.
Uccidendo Bara-katal. E tutti i suoi sogni di gloria.
CITAZIONE QM Point Siamo all'ultimo post, un ultimo sforzo. Qualunque cosa stiate facendo, venite attaccati da un ultimo assalto di non morti. Orientativamente, due non morti che contano come evocazioni di potenza Media ciascuno (4 CS) e un solo turno. Dovete sostanzialmente sopravvivere, difendendovi o soccombendo a essi. In aiuto vi arrivano dei lupi di fuoco, richiamati da una nuova truppa che è giunta in aiuto dei pelleverde: gli Sciamani. Ogni lupo conta come una tecnica di potenza Media. Ciascuno di voi può utilizzare a proprio vantaggio un lupo (conta come tecnica aggiuntiva, ulteriore oltre i due normali slot per turno). Il lupo consideratelo un jolly: ovvero una palla di fuoco di potenza media semovente, che potete modellare e/o utilizzare a piacimento. Risponderà al vostro comando: potete quindi comandargli di bruciare un singolo non morto, oppure utilizzarlo come muro di fuoco, oppure ancora sfruttarlo in combo con una vostra tecnica (siate fantasiosi, apprezzerò). Potrete anche saltarci in groppa e fuggire (ammesso che giustifichiate cosa vi impedirà di bruciarvi le chiappe). Potete, infine, anche inviarlo in aiuto a un vostro compagno (che ne sfrutterà due, quindi). Questo discorso vale per tutti e tre. Piccola nota per Lunatic: ho apprezzato l'azione, tant'è che l'ho resa efficace (salvi per un attimo Bara-katal da Rekla). Eppure, non era il massimo in strategia, in quanto attaccare Rekla così di faccia le dava la possibilità di un contrattacco. Subisci un danno Alto al fisico, con una ferita che è descritta nel post. A parte questo, anche tu subisci l'assalto dei non morti e l'aiuto del lupo.
Decidete come agire; come detto, questo è l'ultimo post quindi date fondo alle vostre risorse. Tempo massimo: sabato prossimo. Domande e dubbi, dove sapete.
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