Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Castello di Carte - Picche

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view post Posted on 17/10/2015, 11:16
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Maestro
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Fosso dei Lamenti
stanza della trinità
Tre ore prima


"Il Corpo"
"La Mente"
"La Psiche"

Teslat fu colto quasi di sorpresa da quella scena.
Rimase inabile a qualunque reazione, per diversi istanti. Trasalì di corsa il passaggio, infilandosi per la porta quasi senza pensarci.
La ferita gli doleva più del solito ed era costretto a tenersi il torso con una mano, come se fosse necessario tamponare il sangue che gli usciva dal ventre, per rimanere in vita. Ogni sussurro, ogni respiro era un dolore immenso; era una lama che gli trafiggeva il costato, appesantendogli lo sguardo e l'affanno.
Anche per quello, non ebbe tempo per rifletterci troppo.
Lasciò il suo sorriso finto e spavaldo al di là dell'ultima stanza, tenendo per se soltanto uno sguardo alquanto spaurito e un leggero tremolio del labbro.
Con quel tremolio lesse le tre parole, alcune volte. Senza capirle del tutto.
Senza capirle davvero.

E con questa inconsapevolezza, fece l'unica scelta che il fato gli aveva destinato.
« Il Corpo » sussurrò, perplesso. « Hai visto mai che ci tengano qualche bel... »
passò la soglia e le parole quasi gli si strozzarono in gola.
« ...giovanotto. »

La stanza era un gigantesco ambiente circolare, che si apriva a mezza luna al di là del muro.
Due grosse vetrate dividevano il salone in tre ambienti separati, riservando al "Corpo" l'ambiente centrale, in cui Teslat era entrato.
Ma non era questo a preoccuparlo, per certo. Lungo le pareti erano disposte celle di vetro spesso. Alcune parzialmente filate, qualcuna vuota.
Le altre, invece, erano piene. Tenevano al loro interno corpi deformi, apparentemente umanoidi ma con cavità e anomalie del fisico che fecero rabbrividire anche il dissacrato e disilluso Teslat, che al dolore credeva di aver già sorriso abbastanza. Ebbe un fremito che gli partì dai piedi e terminò nel petto, lasciandolo andare a un urlo ingoiato di sangue e sudore. Ebbe un conato, nel vedere esseri con tre braccia, due teste o tanti occhi. Alcuni sembravano partorire dal ventre altri esseri uguali, mostruosi. Altri, ancora, erano un misto di carni, tendini e nervi che si riconosceva come "umano" solo da piccoli e impercettibili particolari".
Come gli occhi spauriti.
Come una mezza bocca incurvata verso il basso.
E una lacrima che chiedeva pietà.

« C-cosa d-diavolo »
Teslat si tenne il volto, raccogliendo lo sguardo dietro le dita. Era terrorizzato e afflitto da quella che aveva dismesso i panni della prigione mentale, per diventare un lercio e terrificante laboratorio di esperimenti.
Ma, ancora, non era nemmeno quello il particolare più terribile.
Invero, quei mutanti in linea, esposti come un baraccone degli orrori, avevano tutti un particolare inconfondibile. Capelli posticci, tendenti al rosso. Corpo pressoché esile e sguardo a metà tra l'irriverente e lo spaventato, il più delle volte.
Ciascuno di loro era etichettato con un numero e un codice, ben impresso in un foglio di pergamena appiccicato sul fronte del vetro grezzo.
Tranne l'ultimo.

Una gabbia, la più grande, risiedeva al termine della stanza. Entro di essa c'era un essere perfetto: due gambe, due braccia e un torso integro. Uno sguardo affranto, che lo fissava con cordoglio.
E un'aria disperata che, comunque, non mascherava affatto il più terribile ed evidente dei particolari. Quello stesso particolare che li accomunava tutti, uno a uno.
E che aveva fatto gelare il sangue a Teslat. Al sarcastico, omertoso e saccente Teslat.
Erano tutte sue copie perfette.

« Sei tornato, fratello. »
Quello più in fondo, parlò per primo. L'etichetta recitava: "L'imperfetto numero uno"; eppure, a discapito di quanto scritto, di imperfetto non aveva nulla. Era bellissimo, era cordiale e - a differenza di tutti gli altri - sembrava sinceramente felice di vederlo.
« Già già » gli fece eco un altro poco più distante, con un volto parzialmente deformato da un'apertura nel cranio « shei tornato fratellone stronzo..! »
« Urgh; che sei tornato a fare » aggiunse un altro ancora, che se ne stava curvo nella sua gabbia, affaticato da una evidente gobba. « Urgh; sei venuto a prenderti gioco di noi? »
L'Imperfetto numero uno non parve gradire le parole degli altri. Fece una smorfia di sofferenza col volto e, dopo, poggiò una mano sul vetro, quasi a voler toccare Teslat.
« Smettetela » disse, placido. « Non si ricorda nulla; non sa nulla di tutti noi. »
Si rabbuiò, fin quasi a piangere. « Non dev'essere affatto facile per lui. »
« Oh no no no » disse il secondo, sforzandosi di scuotere il deforme capo. « Non deve essere facile essere prescelti dal padre e poi tornare di propria volontà in questo cesso. »
« Bisogna impegnarshi parecchio per essere così deficienti...! »
« Uah, uah uah » si scosse l'altro, apparentemente divertito, « non farmi ridere che mi fa male tutto...! »
Poi si placò, tornado a fissare Teslat. « Dovrebbero sostituirlo con uno di noi. »

L'imperfetto numero uno guardò Teslat per diversi secondi. « Ascoltami, non è colpa tua. » Gli parlò piano, con sguardo quasi paterno.
« Siamo tutti figli del suo ego » ribadì, indicando gli altri, « ci ha creati e ricreati, fino a quando non ne ha ottenuto uno che rispecchiasse davvero la sua forza. »
Lo guardò ancora, con sguardo fermo. « Ma è colpa sua, non certo tua. »

Teslat lo fissò, atterrito.
Ingoiando l'ennesimo grumo di sangue, altro non poté fare che sciogliersi in un urlo inumano.

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La stanza puzzava di odore stantio.
Due uomini e una donna si lasciavano andare a un'ammorbante desiderio e sentimento, diametralmente opposto. Eppure, così coinvolgente da dissimulare la realtà.
Improvvisamente, infatti, non c'era più la stanza fredda del laboratorio. Non c'erano più gabbie o celle.
C'era solo il loro desiderio inconscio di sentire e volere ciò che non sentivano o desideravano più.
Il buio attanagliò la mente dei due uomini. La realtà si modificò, lasciandoli inermi dinanzi a un potere troppo grande e diffuso perché fosse da loro contrastabile in qualche modo.
I due si sarebbero trovati in una stanza adorna di rosa e luci soffuse, ciascuno solo col proprio dolore. E avrebbe visto l'altro alle prese con la propria donna.
Riconoscendosi come vittime di un complotto, avrebbero mirato impotenti le mani bianche delle proprie amate scivolare entro le vesti altrui, abbracciarlo e volerlo con voluttà, fino a prenderlo in quello stesso punto.
Fino a farlo suo, con voluttà e sberleffo, mirando gli occhi affranti dell'altro distruggersi in quella sofferenza senza nome che puzzava tanto di tradimento e amenità.
Tutto sarebbe parso vero, mentre domante e dubbi avrebbero lasciato il passo a un inerme desiderio di vendetta.

E tutto questo sarebbe parso vero.
Reale per gli uomini. Ma non per la donna.
Dal suo punto di vista, infatti, la donna avrebbe visto tutt'altro.
Dei due uomini avrebbe mirato l'atavica ira montare in rabbia. Dolore negli occhi e nel cuore, che li avrebbe spinti ad un passo dalla lotta.
Ma, attorno a loro, nessuna delle loro donne.
Soltanto una malia psionica, generata dallo sguardo concentrico degli innumerevoli occhi che li circondavano.
E degli occhi avrebbe riconosciuto lo sguardo suadente, il colore violaceo e le lunghe ciglia. Tutto le riportava alla mente la voluttuosa Viluca, figlia di Caino.
Tutto e nient'altro.

A parte gli occhi, infatti, le donne erano cavate di decine di mostruosità.
Occhi sulle guance e sulla fronte. Ammassi di carne con terzi e quarti arti a riempirne il torso squadrato e affatto sinuoso.
Mutazioni che ricordavano soltanto lontanamente ciò che la dama Viluca le era apparsa in passato; mutazioni che ne rivelavano una natura tutt'altro che convenzionale.
E, oltre lo spesso vetro che circondava la stanza, avrebbe visto l'intero salone: le altre celle, le altre stanze.
Avrebbe visto Teslat urlare a squarciagola dinanzi all' "Imperfetto numero uno" che gli si palesava come il proprio fratello di provetta.
L'avrebbe visto e non l'avrebbe udito, in quanto l'urlo sarebbe stato rapito dal vetro che li separava.
E, in tutto quello, avrebbe percepito null'altro che l'imprevisto e il dubbio: su come agire, su cosa fare.
Se infrangere il pesante vetro e raggiungere Teslat, o lasciarsi andare al buoncuore e salvare due anime innocenti pronte a sfidarsi per un onore mai realmente perduto?

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La luce della torcia apparve come un lamento di speranza in un nugolo di empietà.
Il buio si diradò per qualche istante, dissipandosi nei contorni sfumati di quell'unico e flebile bagliore. La torcia era, in verità, una lampada a olio, sorretta con perizia e attenzione da una mano tremula e rugosa. Tintinnava alquanto, sotto il peso di un tremore e di una stanchezza angosciante.
Era il dottore che la sorreggeva all'altezza del volto. La luce della fiamma risplendeva piano nei suoi occhialetti da lettura, poggiati sul naso adunco. Nel mentre, il volto era contratto dalla stanchezza.
Per la corsa; per la fuga. Per la paura.
Tirava il fiato più volte, dissimulando con imperizia la stanchezza nel volto paonazzo e poco rilassato. In ogni caso, cercava di ostentare sicurezza. La fissava con alterigia e abbozzava sorrisi finti per non cadere nella trappola di farsi credere troppo preoccupato dagli eventi.
Invero, c'era un qualcosa di lascivo in quel suo sguardo saccente. Era come una latente coscienza di sicurezza; come l'addivenuta consapevolezza di aver raggiunto una qualche salvezza. Un qualche punto fermo in quel vortice di disgrazia che si abbatteva sulla sua prigione.
In qualche modo, quantomeno ne aveva catturata una.

« Fine della corsa, tesoro. »
Mentre digrignava i pochi denti sporchi che facevano capolino oltre il suo malevolo sorriso, la luce si fece più ampia. Il dottore appoggiò la lampada su di un mobile poco distante e ne accese una seconda a pochi passi da se. E una terza, poco distante.
In questo modo, ella poté mirare l'inimmaginabile.
V'era qualcosa, o qualcuno, in cui il dottore faceva risiedere ogni sua sicurezza. Era una cavalleria inaspettata, che attendeva di salvarlo. O, più pragmaticamente, nell'ennesimo suo prigioniero che s'era venduto ai suoi favori, pur di conservare una maggiore autonomia in quei suoi servigi.
« T-ti sarei grato » balbettò, asciugandosi il sudore con una manica del camice « se la riportassi nella sua cella. »
Disse, rivolto a qualcuno che non era lei. « Dopo che avrai finito con lei, naturalmente. »
Al suo fianco, infatti, c'era una seconda figura. Era seduta si di una sedia lussureggiante; lo scranno aveva fini ricami in oro e intagli preziosi nel legno.
Le decorazioni rappresentavano gesta eroiche e di battaglia, richiami ad antichi fasti ormai dimoranti sul legno come quadri di ciò che si vuol rappresentare di se.
O di qualunque virtù voglia farsi vanto chi vi si siede.
Era alto e ricamato con cuscini in camoscio rosso, ripieni di piume d'oca. Su di esso, il portamento dell'uomo era regale e virtuoso. Altezzoso e quasi snob, a ben guardare.
Era un Trono. E quello seduto sopra appariva a tutti gli effetti come un Re.
I suoi lineamenti erano aggraziati e smunti. Sembrava debole all'apparenza, con capelli lunghi fino alle spalle e neri come la notte. Un viso fine, incorniciato da due occhi nocciola, grandi, che la squadravano da capo a piedi, in un misto di pietà e distacco. Teneva le mani esili entrambe sui braccioli, aggrappandosi con forza a essi come se temesse di lasciarle andare.
E aveva un volto conosciuto. In qualche modo Ririchiyo poteva dire di averlo rivisto tante volte. Nei quadri di un tempo; nelle vetrate di Ladeca o della fu Basiledra. In ogni rappresentazione che parlasse del fasto del passato, o che pragmaticamente ricomponesse i pezzi del tempo fino a dare meriti e colpe a chiunque fosse meritevole delle stesse.
E meriti e colpe del passato, spesso e volentieri, risiedevano sempre e solo in un volto e in un nome.
Il nome era Ranier. E il volto era quello della persona seduta sul trono.
Il Re che non perde mai.

« È solo una bambina » gli rispose, poco dopo. « Perché la tieni qui? »
Era solo una copia, probabilmente. E questo fu immediatamente evidente. Non da qualsivoglia differenza fisica, bensì da un mero distacco mentale.
Alla copia del fu Re del Bianco Maniero mancavano infinite virtù che avevano reso il vero Rainier una leggenda d'altri tempi. Gli mancava la regalità, la potenza e l'autorità.
O, più probabilmente, soltanto il coraggio.
Il perché e il per come fosse lì, però, era quantomeno un mistero. A trionfare sul nulla; ad attendere il momento in cui la sua apparenza fosse stata necessaria.
Benché quel tempo e quelle ragioni fossero ormai morte e sepolte con coloro che le avevano da sempre attese.
Anche perché, a ben guardare, nessuno ci avrebbe mai creduto davvero.
« Non sono problemi tuoi » sbottò il dottore, secco. « Fa come ti dico o te ne torni in cella anche tu. »
Il dottore fu scontroso e il Re che non perde mai abbassò gli occhi, rivelando la sua codardia. Poi lo vide risalire delle scale laterali e scomparire oltre la soglia del piano superiore.
Nel mentre, Ririchiyo notò la terza figura presente nella stanza. Era un costrutto di carne. Un essere di pelle violacea, rosa e rossa, rappezzato alla bene e meglio con punti di sutura e pezzi di stoffa.
Grondava sudore e sangue e la fissava con due grossi occhi azzurri, vacui e una bocca senza denti. Non rispondeva alle parole, ma solo alle emozioni; sembrava null'altro che una vaga astrazione di qualsivoglia guardia o schiavo, che si limitava a eseguire qualunque ordine impartitogli. Per il solo scopo di trovare un senso alla sua triste esistenza.

« Ti piace? » Chiese il falso Ray, con aria quasi amichevole. « L'ho chiamato Chevalier »
« Il mio personalissimo Chevalier »
Chiunque poteva sapere di Chevalier. Padre di Rainier, costrutto e suo cavaliere. Schiavo, protettore; essere vincolato al suo destino da una catena indissolubile. Ma, sopratutto, un guerriero dall'inaudita potenza, che nessuno aveva mai avuto nemmeno possibilità di sopraffare. Nonostante ciò, quella creatura non ne era nemmeno una copia. Era solo un ammasso di carne a caso, assemblato per servire il falso Ray e ottemperare i suoi bisogni di vita e complicità. Per farlo sentire regale, superando le amenità che quelle quattro mura gli imponevano ogni giorno.
« Ti darò una possibilità, comunque » disse, secco. « È cavalleria, negli scacchi, concedere all'avversario più debole la prima mossa. »
Sorrise, subdolo. « Per questo farò altrettanto: ti concederò la prima mossa. »
La indicò, fermo. « Agisci, bambina » aggiunse, sicuro. « Non importa quello che farai: parla, attacca, piangi, corri. »
« Non importa davvero » asserì, divertito. « Fai semplicemente la tua mossa e convincimi che non meriti di tornare in quella cella. »
Sorrise ancora, subdolo. « Se sarai abbastanza scaltra, ti lascerò andare. »



CITAZIONE
QM Point.
Alla scena che apre il post, assiste in verità la sola Ainwen. Gli altri due, infatti, vengono rapiti da una malia psionica che li impone a credere che l'altro stia avendo un rapporto d'amore con la propria amata. Per meglio dire, ciascuno dei due "uomini" riconosce la propria amata (vi lascio libertà d'interpretazione in questo) che avvolge il suo corpo sul proprio "sfidante" e si appresta a "intrattenerlo". La cosa vi vale come una tecnica psionica di potenza Alta che infligge voi due singolarmente, istigandovi a "sfidarvi". Per converso, la malia non affligge Ainwen (anche perché non incrocia direttamente gli sguardi delle ammaliatrici) che vede la realtà per quella che è: siete, di fatto, nella stanza in cui sono stati creati "Dulwig", "Viluca" e "Teslat" (nel caso specifico, Erein e Fray sono preda delle malie delle "copie di Viluca"). Ainwen può decidere, dunque, se provare a interrompere le malie delle varie Viluca (agendo come meglio crede), o infrangere il muro che la separa da Teslat e raggiungere questo. Oppure di fare entrambe le cose; in ogni caso "l'effetto" del suo agire, lo stabilirò io al prossimo turno.

Malz e Snek, invece, dovranno difendersi dalla malia autonomamente, oppure attaccare l'altro al meglio delle proprie forze. Se Anna riuscisse a interrompere la malia in questo turno, nel prossimo comunque l'effetto si interromperà. Diversamente, questo potrebbe continuare per coloro che non si sono liberati.

Circa Ririchiyo. La scena credo sia chiara: quello che ti trovi dinanzi non è nient'altro che una copia del leggendario Re che non perde mai. Non sai perché ne sia presente una qui, ma puoi fare tutte le considerazioni che preferisci. In merito, puoi prendere spunto da infiniti frammenti di ambientazione presenti sulla piattaforma. Rainier è il Re che non perde mai, che un tempo regnava sul dortan (quando ancora non si chiamava Dortan, lol) e che scomparve con la guerra del crepuscolo. Egli è anche il "profeta", il primo che aderì alla religione del Sovrano poi diffusa dai Corvi. Chevalier, invece, era il suo golem personale, dalla potenza inaudita. Quel costrutto che ti trovi dinanzi non è una copia del vero Chevalier, naturalmente. È solo un ammasso di carne che il falso Ray chiama Chevalier, per sentirsi più vicino al "vero" Rainier.
Comunque, egli ti concede una prima mossa. Il tuo scopo è fuggire, presumibilmente da dove è fuggito il dottore (una scala alle spalle del falso Rainier). Agisci come meglio credi, direttamente nel post. Puoi pormi domande in confronto, se preferisci. Ma l'azione definitiva la farai nel tuo prossimo post.

Tempi: diciamo una settimana, fino a sabato prossimo massimo. Questo per scusarmi del mio ritardo.
 
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view post Posted on 23/10/2015, 16:03
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Cosa sta succedendo?
Forse te lo stai chiedendo, Ainwen.
Che senso può avere, la vita, dopo quello che stai vedendo?
Non è forse la convinzione di essere unico che rende forte ogni uomo, quella certezza vuota, egoistica, che non ci sia un altro di uguale? Nessuno con le stesse capacità, nessuno con gli stessi pensieri, con la stessa forza o debolezza. Nessuno con le lacrime dello stesso sapore, con il respiro dello stesso calore, con lo stesso segreto racchiuso nel sudore tra le dita. La consapevolezza che, nonostante ogni fallimento, ogni caduta, la cicatrice sulla propria pelle è un marchio indelebile, ineguagliabile di esperienza.
Non è questo che ti rendeva fiera?
Nel fango, mentre arrancavi in cerca di una risposta. Fiera. Mentre alzavi lo sguardo cieco verso il cielo che ti aveva punita, e la neve ti si scioglieva sul viso. Non potevi vederlo, ma sapevi com'era, sapevi che era tuo solamente. Che non avresti mai incontrato qualcuno che potesse rubartelo. Le tue piccole convinzioni, i tuoi segreti velenosi ed innocui. Nessuno poteva renderli propri. Perché erano tuoi.
Che senso può avere, dunque, tutto quanto ora?
Ora che davanti a te ci sono infinite copie degli stessi individui, infinite vite in attesa di nascere. Di essere libere. Infiniti sguardi, sospiri, risate, parole. Non puoi udirle tutte. Né puoi vederli tutti. Ma immagini.
Anzi sai.
Che da qualche parte, probabilmente, certamente, esiste una fila di teche come queste. E dentro ci sono tante copie di te, le mani premute sul vetro. Alcune con lo sguardo vuoto, implorante, con i corpi tremanti in un angolo. Altre magnifiche, così belle da far impazzire, con i capelli rossi e fiammeggianti, le labbra rosate e gli occhi azzurri. E altre ancora rivoltanti, ingobbite, artritiche, invecchiate. Non sei sola.
Ma non sei unica.
Come non lo sono loro. Li hai odiati e ostacolati con intensità. Erano i tuoi nemici prima, i tuoi alleati poi. Ma credevi che ognuno di loro, come individuo, fosse degno di portare le tue emozioni, come un sigillo, una stola o una corona. Conoscevi i loro nomi. Che sono anche i nomi di tutte queste creature. Che non sono più il nome di nessuno.
Le guardi e immagini cosa possa pensare Teslat al di là del vetro, nel suo grido muto. Perché è quello che anche tu stai pensando. Non importa quanto siano deformi, rigetti stessi del destino, quale di loro è quella migliore? Quale di loro è quella
giusta?
Forse tu? Forse lui? Che li giudicate con orrore per il solo fatto di essere dall'altra parte. O forse loro, che testimoniano quello che avreste potuto essere. Quello che sei. Vorresti gridare, ora.
Ma non puoi.
I tuoi compagni, come folli, si guardano con odio. Probabilmente non capiscono cosa stia accadendo. L'uomo che hai cercato, consapevole, sta lentamente sprofondando in un baratro da cui non farà ritorno. Diventerà come tutti gli altri se stesso.
Cioè nessuno.
Il cuore ha un tremito quando ci pensi, come se stesse per collassare. Quale mente ha potuto concepire una verità tanto crudele? Instillare l'identità per poi strapparla con tanta violenza. Una creatura simile meriterebbe ribellione. Sai che vuoi farlo, ma non sei certa che servirà a qualcosa.
Perché la verità, una volta vista, è impossibile da dimenticare.

Le lacrime le scivolavano sulle guance, mentre si avvicinava alle teche. Viluca, era quello il suo nome. La sua bellezza si sussurrava di orecchio in orecchio. Probabilmente, ovunque si trovasse, stava compiacendosi della propria grandezza. O stavano cercando consolazione alla loro disperazione.
Guardò i propri compagni. I loro occhi erano persi altrove, svuotati dalla consapevolezza. Avrebbe potuto liberarli dalla malia.
Ma sarebbe stato giusto? Era questo che meritavano di vedere?.
Scosse appena il capo. Nessuno avrebbe dovuto fronteggiare quella verità. Nessuno che non vi fosse costretto. L'uomo folle dall'altro lato del vetro non aveva avuto scampo, proprio come lei.
Ma lei, a sua differenza, era calata abbastanza a fondo nell'abisso da non perdere di nuovo la ragione. La teneva appesa a un filo, come un palloncino nell'aria immobile. Così fragile, così irrecuperabile. Così disperata e rassegnata.
Si avvicinò alle tante Viluca, che non poteva guardare davvero negli occhi. Le vide ritrarsi e avanzare, chiedendosi forse cosa volesse. Non ascoltò le loro voci. Non avrebbe avuto senso, non sapeva nemmeno se sarebbero sopravvissute.
Tese una mano, sfiorando il vetro. Cercando di concepire con un solo pensiero la realtà terribile a cui stava assistendo. Era così difficile che dovette aggrottare la fronte. Era così innaturale, così ovvio, che strinse le labbra. Ogni fibra del suo essere cercò un modo per negare. Ogni frammento della sua coscienza cercò di elaborare.
Ma non si concesse tempo.
Dalle dita si sprigionò una forza buia, una lama che le avrebbe aperto la strada verso il suo obiettivo. Inclinò il capo, mentre le lacrime gocciolavano sul volto di porcellana che teneva stretto a sé. La bambola non poteva piangere, eppure per un istante le sue palpebre scricchiolanti ebbero un tremito.
Perdonatemi.
Perdonatemi se potete.


Teslat”.
Prima piano. Poi il colpo.
Poi più forte.
Teslat!





Perchance to Dream

R. 125%.[Mente] 50%.[Corpo] 125%.[Energia]
*Proviene da un Occhio
B.[5%] M.[10%] A.[20%] C.[40%]



Energia. 125% - [(Altox1) + (Medio x2) + (Alto x1)] = 60%
Fisico. 50% - [(Medio x1) + (Basso x1)] = 35%
Mente. 125% - [(Medio x1) + (Alto x1 +Medio x1)] = 85%

.Passive.


Talento stratega - Ostinazione | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Intuito | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Mente Fredda | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Scetticismo | Numero di utilizzi: 6 --> 5
Passiva Personale 5/25: genera un'aura di disagio e inadeguatezza nei confronti di chi si trovi nel suo campo visivo | Numero di utilizzi: 6
Passiva Razziale umana | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Statiche | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Legate | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagini Fortificanti | Numero di utilizzi: 6
Passiva Personale 16/25, Visione attraverso gli occhi della bambola anche quando essa non è a contatto con Ainwen | 6 utilizzi
Passiva Personale 17/25, Auspex delle anime | 6 utilizzi
Collana Elfica | 6 utilizzi


.Abilità Utilizzate.


Abilità Personale 12/25, Natura Magica, Consumo Energetico, Dominio delle tenebre con effetto offensivo che danneggia l'energia | Consumo: Variabile --> Usato ad Alto

.Riassunto.


Una volta capito a cosa si trova davanti, Ainwen preferisce lasciare i propri compagni nell'ignoranza. Usa quindi una tecnica cercando di spaccare il vetro che la separa da Teslat per raggiungerlo.
Nello specifico genera una lama d'ombra a consumo Alto sulle teche di vetro.

.Altro.


Sorry per il ritardo, ma fino ad oggi ero stanchissima.
Comunque è epico, epicissimo tutto ciò *_*/

 
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view post Posted on 24/10/2015, 09:04

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Oh, guardatevi dalla gelosia, mio signore. È un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre. Beato vive quel cornuto il quale, conscio della sua sorte, non ama la donna che lo tradisce: ma oh, come conta i minuti della sua dannazione chi ama e sospetta; sospetta e si strugge d'amore!
(Otello, atto III, scena III)





«Ryellia?»
Avete presente quella sensazione di sbalordimento, disgusto, vergogna che vi attanaglia lo stomaco nell’istante in cui si consuma un tradimento? Questo provai vedendo la mia amata sudiciamente intenta a far cose innominabili con un altro uomo.
Per un attimo brevissimo non m’interessò chi fosse il suo amante. Tutta la mia attenzione era rivolta su di lei … Lei che nemmeno mi degnava d’uno sguardo e proseguiva con le sue sconcerie urlando il suo piacere con tutto il fiato che aveva in corpo.
Una bile acida e bruciante mi risalì in gola. Sentii le dita stringersi inconsciamente intorno all’elsa della spada. Avrei voluto voltare la testa, distogliere lo sguardo ma qualcosa magnetizzava le mie pupille su quell’indecenza. Un istinto atavico mi costringeva a rimanere impalato a fissare i due amanti, mi imponeva di assorbire nella mia mente ogni gesto, ogni ansito, ogni espressione, ogni dettaglio. Sai che farà male ricordare, sai che quel ricordo ti divorerà le budella, ti roderà l’anima eppure non puoi farne a meno: devi sapere, devi vedere, devi ricordare …
Forse è solo il patetico tentativo della nostra natura di esseri senzienti di costruire una difesa per il futuro.
Quando vorremo vendicarci e recriminare, facendo violenza al sentimento che nonostante tutto ci lega a chi ci ha traditi, allora quel ricordo ci tornerà utile. Ci illudiamo che quelle immagini, quei rumori, quei gesti che tanto hanno fatto sanguinare il nostro cuore ci proteggeranno … e ci consentiranno di fare giustizia.
Rimasi così immobile, dunque, a macerare in quella sensazione che almeno una volta tutti abbiamo provato. Guardai fino a far scomparire il volto della mia amata, fino a perdere la percezione dei contorni del suo corpo. In un attimo mi resi conto che lei non esisteva più. Il moto del mio animo era cambiato.
Ora cercavo una giustificazione, una vittima su cui scaricare la colpa di ciò che Ryellia mi stava facendo.
Una testa rasata. Un viso giovane. Una figura nota. Un monaco.
lo riconobbi… Ah la rabbia cieca e folle che provai in quel momento! Anche in questo momento il solo ricordo mi sconvolge lo stomaco e mi annebbia la mente. Tremai di furore, contrassi la mascella e strinsi i denti. Il mio digrignare dovette udirsi in tutta la maledetta prigione … Sentii il sangue affluire alla testa e farla rimbombare. Istintivamente mi portai le mani alle tempie, cingendomi il cranio con le dita come a voler impedirgli di scoppiare. Chiusi gli occhi emettendo un ringhio basso. Il cuore sembrava volermi uscire dal petto. La collera, partendo dallo stomaco, scalava il mio petto e saliva sempre più su … La sentivo solleticarmi la gola con i suoi minuscoli artigli di fiera spietata. Mi bruciò la lingua, bussò sui miei denti stretti, spalancò con violenza le labbra ed infine uscì mutata in veleno e parole.
«INFAME! SACRILEGO! MAIALE! COME OSI?!» - urlai con tanta forza da sentir la gola raschiare. La mia diletta si staccò da lui. Il suo corpo era nudo, madido per lo sforzo dell’amplesso in cui era impegnata. Per un attimo apparve sorpresa…. Poi -come si se fosse solo allora accorta della mia presenza -si lecco le labbra rosse e piene, le schiuse in un sorriso provocante, lascivo. Mi guardò con i suoi occhi in grado di trafiggere e far sanguinare un’anima.
«Suvvia amor mio è solo un gioco, unisciti a noi. Non vuoi? In tre c’è più gusto …»
Dovetti trattenermi dal vomitare. «Puttana! » - sibilai avanzando verso la coppia e spingendola di lato - «Sparisci dalla mia vista. Con te farò i conti più tardi … »
Ero vicino ad entrambi, così vicino da sentire il disgustoso odore del loro sudore. Avevo impugnato la spada, senza nemmeno rendermene conto, e la brandivo pronto a commettere uno sproposito. Ebbi appena il tempo di sentire i miei bicipiti gonfiarsi, ambo le mani impugnare l’elsa della Spada. Le braccia levate, la lama protesa verso l’alto, un sudore freddo che mi colava in rivoli dietro la schiena nuda. Sapevo cosa stavo facendo, sapevo che il prossimo movimento era destinato ad uccidere quando … Un dubbio, un minuscolo tarlo iniziò a divorare la fallace realtà che mi circondava.
Tutto partì dall’inconscia sequela di domande che mi posi non appena vidi quella scena rivoltante: perché? Perché la mia dolce, casta Ryellia mi fa questo? Chi è questa sconosciuta lasciva e ributtante? Che n’è stato della donna che amo? Un guizzo di consapevolezza della mia coscienza mi impedì di lordarmi le mani di sangue innocente, innocente del peccato di adulterio quanto meno. Dove mi trovavo? Cos’era successo un’istante prima di vedere ciò che i miei occhi mai avrebbero voluto osservare? Il Pozzo dei Lamenti, fu la risposta. Il luogo in cui le proprie paure prendono forma. Una prigione fatta non solo di mura e di sbarre ma anche di illusioni ed inganni. Poco tempo prima un’altra Ryellia mi stava umiliando dinnanzi al Consiglio dei Pari mentre giacevo nello mio stesso sterco, incatenato come un comune brigante. Si era trattato di un trucco. Un’altra Ryellia, ora, faceva scempio della sua virtù con l’uomo che fino a poco tempo prima correva con me verso la salvezza. Che fosse un’altra illusione? Un altro inganno?
Quel tarlo – che altre volte fu’ la mia condanna – quel minuscolo mostro che si nutre di dubbi si ingozzò delle incongruenze di quella sequenza di eventi. Aprì una via alla mia ragione attraverso la follia con cui qualcuno o qualcosa mi aveva infettato. Respirai. Il primo assaggio di ragione fu amaro, doloroso come è il primo respiro per l’annegato. La forza che aveva sollevato le mie braccia scemò. Abbassai la Spada senza riporla nella sua guaina. Libero dal velo di menzogne che mi rendeva cieco alla realtà vidi Fray, il Monaco, nella sua reale condizione. Doveva patire gli effetti dello stesso veleno che fino a poco prima affliggeva anche me. Cosa scrutavo nel suo volto? Dolore, rabbia, delusione? Era uno sguardo omicida quello che si annidava nelle profondità delle sue pupille dilatate fino a divenire oscuri pozzi?
Mantenni in linea la lama, pronto a reagire. Se io stavo per vibrare il colpo fatale, se io desideravo con tanta foga la sua morte cosa impediva a lui di desiderare lo stesso? Forse i suoi sentimenti erano diversi. Due anime rotte funzionano diversamente. Immaginate una bottiglia che cade impatta con il suolo.
Può spezzarsi a metà, rivelare punte mortali atte a ferire ed uccidere, può diventare un’arma. Può, però, anche andare in frantumi, esplodere in un’infinità di frammenti, annullarsi, annichilirsi, distruggersi.
Per il mio bene era meglio che Fray si fosse annullato sotto il peso del tradimento ma come potevo esserne certo? Sebbene momentaneamente innocuo, cosa impediva alla sua furia di trasformarlo in un mortale nemico? Dovevo guarirlo, dovevo purgare il veleno che intossicava la sua mente. Dovevo salvarlo.
Solo così avrei potuto proseguire senza dover temere di essere attaccato alle spalle. Riposi la spada, allungai la mano vuota, il palmo rivolto verso il suo viso.
«Non lasciare che la rabbia ti infetti … Ascolta la mia voce … Perditi in essa, abbi fede… Ascolta la mia voce … Lascia che io ti liberi da questo sortilegio … Ascolta la mia voce!»



CITAZIONE

D7g4Hgy
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Critico 40| Alto 20 | Medio 10 | Basso 5



Fisico:65% (Medio, provocato dalla permanenza nella sala)
Mente: 65%.
Energia: 130% - 20% - 20% = 90 %
Passive in Uso:
Attive:

Consuma le mie debolezze al tuo fuoco, perchè mondo sia il mio spirito, incorrotta la mia anima.Variabile , consuma energia,difensiva, psionica. 7/25 ( Consumo alto, x 2)

Riassunto : Dopo aver interpretato gli effetti della malia scelgo di difendermi dalla psionica utilizzando l’apposita difesa variabile a consumo alto. Onde evitare aggressioni ( non so cosa sceglie di fare Snek) tento di guarire anche il mio compagno di quest utilizzando la medesima tecnica su di lui.



 
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view post Posted on 25/10/2015, 20:27
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♥ Non piangere Nishimiya sai poco fa ti ho parlato in un sogno, mi sembrava di aver rinunciato a molte cose, ma non è così. Ho sempre pensato come te Nishimiya...♥
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Castello di carte - L'essenza di un demone -
Quella che poteva sembrare una fonte di salvezza, alla fine, si rivelò semplicemente come l’ennesimo aguzzino che non voleva farla andare via, che voleva tenerla lì in quel modo indecoroso anche per una come lei. Strizzò appena gli occhi, disturbata da quel contrasto che la luce aveva con l’oscurità ma non abbassò mai la guardia, rimase ad ascoltare con particolare attenzione le parole del dottore ma non lasciò trasparire nulla dal suo volto perché in quel momento si sentiva esattamente come una preda che non doveva lasciar fiutare la propria paura al predatore. Serrò solo un po’ le labbra quando lo vide rivolgersi a qualcun altro, qualcuno che fino a quel momento era rimasto nascosto nell’ombra.
Quando lo vide incedere verso di loro, quando vide i suoi lineamenti e la sua immagine sbarrò gli occhi completamente incapace di rimanere impassibile davanti ad una simile figura. L’aveva già visto, ne era sicura. La sua mente le fece fare un viaggio nello spazio e nel vento fino a riportarla nel Dortan, alla sua terra d’origine, fra le macerie di una guerra senza quartiere, nei sfarzosi palazzi dove spesso era stato dipinto. Non era sicura di ricordare il suo nome, non era mai stata interessata a quel genere di cose inoltre quando si ha come priorità la propria sopravvivenza in un mondo che sembra volerti distruggere quelle cose passavano sempre in secondo piano. Eppure c’era qualcosa che non andava, qualcosa che non avrebbe mai associato ad uno come lui.

"Una proiezione astrale? Una semplice copia? È possibile?"


Forse Lilith aveva ragione anche perché le sue movenze, il distacco che aveva rispetto alla situazione era qualcosa fuori dal comune, fuori da qualcuno umano. Lei stessa adesso sentiva la sua nudità ancora più pressante e questo la rendeva nervosa. Non le piaceva per niente essere così, scoperta davanti a quello che stava vedendo come il nemico, era una sensazione ancora più disgustosa.
Prima che potesse fare qualcosa, qualsiasi cosa, il dottore sparì nuovamente lasciandola alle cure di Ranier e del suo amico. Non rispose, si limitò a rimanere in silenzio mentre le veniva lanciata quella sfida come un guanto di seta. Non c’era nulla di regale un quell’uomo, nulla che sapesse o che odorasse come gli sfarzosi palazzi che sapevano di antichità e di nobiltà. Lui non si stava comportando come un re ma solo come qualcuno che sapeva di essere meglio, di essere più forte.

"Fai attenzione, la scaltrezza purtroppo non è una tua dote, proverò ad aiutarti ma sarà davvero difficile…devi andartene, forse potresti sfruttare il suo amico, non sembra particolarmente intelligente."


Chevalier era solo un ammazzo di carne, l’ombra di colui che doveva riempire il vuoto di quel re. Un po’ titubante rimase ancora in silenzio facendo passare il suo sguardo dall’uomo al servo senza sapere bene come muoversi. Fece qualche passo avanti, chiaro segna che accettava la sfida anche perché non c’era alcun modo per poter tornare indietro.

«Sei molto magnanimo, ti posso solo ringraziare. L’unica cosa che voglio dirti è che io non penso assolutamente di meritare di tornare in quella cella. Non ho fatto niente di male e lo trovo ingiusto doverci rientrare solo per i capricci di qualcuno. Non voglio implorare, non credo che ti potrebbe convincere…»


”…ma forse questo si.”


Pensò cercando più intensamente lo sguardo di Ranier e provando a far fluire tutto il suo potere demoniaco agli occhi che si illuminarono leggermente, due piccole lanterne nell’oscurità.

«あなたはあなたの友人を恐れます.
彼はあなたの敵であります.»


”Temerai il tuo nemico, lui sarà il tuo nemico.”


Cercò così di lanciargli addosso una maledizione nel tentativo di plasmare la sua mente, di fargli vedere Chevalier come se fosse davvero lui il suo nemico e non lei, cercare di fargli perdere a cognizione di ciò che era giusto o sbagliato. In fondo era proprio quello ciò che facevano i demoni.
Poi voltò velocemente lo sguardo proprio sull’ammasso di carne senza mai lasciare che il potere demoniaco ritornasse a Lilith, tenendolo in circolo nel suo corpo. Avrebbe cercato i suoi occhi e quel semplice contatto sarebbe bastato, niente parole, solo guardarlo per imprimere in lui la propria volontà e se ciò fosse accaduto gi avrebbe ordinato di attaccare Ranier per poter così prendere tempo, passare oltre, e cercare di fuggire nella stessa direzione presa dal dottore.


CITAZIONE

RIRICHIYO


Basso: 5% - Medio: 10% - Alto: 20% - Critico: 40%


»Stato fisico: Indenne
»Stato mentale: Indenne
    -Medio da pazzia
»Sinossi: Egoista, indipendente e irascibile; coriacea, corna e occhi viola
»Energia:
    Energia 80/125 %


    Mente 95/125%


    Corpo 50/50 %



»Equipaggiamento:
    -Arco
    -Armatura naturale

»Oggetti:
    -Cristallo del talento
    -Amuleto lunare

»Talenti:
    -Affascinare 2/6
    -Maledire 1/6
    -Focalizzare 0/6
    -Trasmissione 0/6

Tecniche
Maledire
    »Gli ammaliatori hanno imparato a conoscere e interpretare il mondo attorno a loro. Sfruttando le proprie conoscenze, infatti, potranno far sì che le proprie preoccupazioni - reali o meno che siano - possano riversarsi nell'animo del suo interlocutore. Con il consumo di un utilizzo di questa passiva, infatti, l'Ammaliatore potrà identificare un oggetto, un'azione, un evento o addirittura un essere vivente come fonte di pericolo dal quale il suo interlocutore dovrà tenersi a debita distanza. Conta come un'influenza psionica passiva. «

Affascinare
    » Gli ammaliatori hanno sviluppato naturalmente un'influenza tale sugli altri da essere in grado di condizionarne la volontà semplicemente con la loro presenza. Essi potranno emanare un'aura attorno a loro influenzando qualunque persona sia presente nei dintorni, inducendoli a non contraddire l'ammaliatore o a seguirlo, o ancora a temerlo. Con il consumo di un utilizzo di questa passiva, dunque, l'Ammaliatore sarà in grado di emanare un'aura di ammaliamento che conta come un'influenza psionica passiva con effetto da personalizzare liberamente, purché non si discosti troppo dai principi enunciati.«



Specchietto riassuntivo
Attraverso la sua nenia cerca di maledire Ranier per fargli vedere Chevral come fonte di pericolo, poi cerca di ammaliare il suo amico perché attacchi il re dandole il tempo di passare oltre e provare a seguire il dottore verso la strada per uscire da lì.




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view post Posted on 27/10/2015, 12:57
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Maestro
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Quanta crudeltà ci vuole?
Quanto caduca e rivoltante deve essere la moralità per dar l'illusione a qualcuno di essere vivo?
Di essere una creatura senziente, nata e cresciuta per uno scopo che non sia predeterminato. Per convincerla di esser figlia del libero arbitrio; che ti pregna nel profondo e ti guida, con l'illusione di poterti strumentalizzare soltanto se stessi e il proprio profondo desiderio di esser vivi.
« Padre...? » Diceva la creatura, guardando il Priore con occhi nuovi.
Egli sorrideva, di circostanza. Era comico, quasi divertente ai suoi occhi vedere una falsa vita che prendeva forma e sostanza nel proprio desiderio di immortalità, risultando nient'altro come la più illusa delle illuse. Caino fece poi un cenno col capo e si rivolse a qualcuno dietro di lui.
Il Dottore gli guardava le ampie spalle, fissando in esse la crudezza di un muro senza volto; senza emozione o sentimento. Perfino uno come lui aveva provato vergogna a creare qualcosa di simile. Qualcosa di vivo, ma - al tempo stesso - di falso. Qualcosa che aveva dovuto creare più e più volte, solo per trovare l'entità più perfetta.
E scartarne decine di imperfette.
« Questo sembra perfetto » disse Caino, freddamente. « Perché ci è voluto tanto? »
Il dottore quasi non percepì la domanda. Era fermo nel suo disgusto, ricercando un modo per dissimularlo in scientifica concentrazione. Perché se c'era qualcosa di più importante della sua moralità, erano i soldi che poteva fruttare.
« Uhm? » Si scosse il dottore, infine. « Ehm... perché non è un esperimento facile, eccellenza. »
« Mi dispiace per il tempo perso... »
Caino tornò a fissare la creatura. Era piccolo, poco meno di un adolescente. Capelli rossicci che si agitavano entro l'involucro di vetro spesso in cui era rinchiuso. Aveva occhi rossi e vivaci, che lo fissavano con curiosità e apprensione. D'un tratto posò l'esile mano sul vetro, sperando di toccarlo. Di abbracciarlo, di amarlo, come un bambino col genitore. Rimase scosso nel sentire la mano frenata da quella barriera di gelata indifferenza; fece pressione con le braccia e - dopo poco - con i piedi nudi, che scalciarono più volte il vetro, fin quasi a farsi male.
« P-padre...? » Chiamava, versando copiose lacrime di paura. « Padre?! »
Caino sospirò, indispettito. « Perché si comporta in questo modo? »
Il Dottore fissò il Priore come stesse guardando un mostro. Poi si grattò il volto e si fece forza, mostrando un viso più rilassato e tutt'altro che schifato. Tossì, di circostanza, prima di rispondere.
« È un neonato, eccellenza » rispose, secco. « Non si faccia ingannare dal suo aspetto fisico; cresce in fretta ma rimane... un bambino. »
« E come tutti i bambini ha bisogno solo di una cosa » asserì, continuando.
« Dei suoi genitori. »

Caino sospirò ancora, seguitando a fissarlo.
Poi si voltò verso il dottore, con sguardo gelido. « Che cresca in fretta; che cresca rabbioso, con pochi sentimenti. »
« Non ho bisogno di servitori smidollati » ribatté, serioso, « ma di freddi strumenti di controllo. »
Poi fissò gli occhi rossi della creatura versare lacrime amare. « Forse nemmeno questo va bene; è un debole, come l'ultimo che avete creato. »
« L'imperfetto numero uno? » Chiese il dottore, sicuro. « Precisamente. »
Rimasero in silenzio qualche altro istante. Il dottore meditava sulla strage di creature che Caino gli aveva comandato; sul fatto che ogni fallimento avrebbe dovuto essere un omicidio secondo le sue intenzioni. Una colpa sulla coscienza di entrambi, troppo lieve per gravare sul Priore, ma troppo pesante per chiunque altro. Il Dottore li aveva tenuti tutti: compreso l'imperfetto numero uno.
Ma questo, ovviamente, Caino non lo sapeva.
« Come volete, eccellenza » ribatté il Dottore, abbassando gli occhi.
« ...padre? » chiese la creatura, fissando i due che si allontanavano.
Nello stesso istante, però, qualcosa lo scosse. Diede un pugno secco contro il vetro; poi un secondo e - infine - un terzo. Caino si voltò a fissarlo nuovamente e si stupì nel vedere il vigore di quella creatura che si ripercuoteva contro la sua prigione. Contro le mura e la struttura attorno a essa.
All'ennesimo pugno la gabbia si inclinò per la pressione; seguì un altro pugno, così violento da fargli sanguinare la mano. E il liquido nel quale nuotava divenne rosato prima e rossiccio poi, colorato del sangue stesso della creatura. Questa boccheggiò a più riprese, fino a sferrare un poderoso calcio.
Quest'ultimo fu determinante e la gabbia si inclinò, ricadendo al suolo sotto il suo stesso peso.
Rompendosi e liberando la creatura, che emerse dal suo stesso sangue con uno sguardo carico di odio e irriverenza.

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« Padre... »
disse, sbarrando gli occhi verso Caino. E ridendo, di un ghigno beffardo.
Caino rispose al sorriso, abbozzandone uno a sua volta.
« Ripensandoci » disse, rivolto al dottore, « credo che questo andrà benissimo. »

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Fosso dei Lamenti
stanza della trinità
Due ore prima


L'urlò echeggiò tra le gabbie di vetro.
Si smembrò in infinite ramificazioni della realtà, trapassando qualunque venatura, molecola e fisicità. Si diffuse come una malsana malattia, coprendo ogni lembo della sala col proprio ardimento, con la propria rabbia e col proprio sgomento.
Un urlo disumano, disperato.
Teslat si portava le mani al volto, graffiandosi le palpebre con le unghie e sanguinando tra le proprie dita. La sofferenza si manifestava in un lamento senza fine; l'odio e il risentimento di scoprire di non esser nulla, diveniva forma e sostanza di uno sconforto che non aveva pari. Che non trovava pace, sazietà o calma. Che non sarebbe stato nutrito da niente e nessuno, perché niente e nessuno avrebbe potuto restituirgli la dignità perduta con quella notizia.
L'amara e sconfortante presa di coscienza di una realtà sempre conosciuta, ma verso cui era meglio fingere indifferenza.
La verità di non esser vivi. Ma di esser solo copie, cloni di qualcun altro.
Strumenti di morte pensati e cresciuti per servire altri e mai se stessi.

« Perché?! » Urlava, Teslat, quasi cavandosi gli occhi dalla disperazione.
« Grandissimo bastardo » digrignava i denti, lambendo le labbra con la propria bava. « Maledetto Caino. »
« Ci hai creato per usarci » singhiozzò, urlando. « Ci hai dato la vita solo per condannarci alla morte. »
« Ci hai cresciuto come tuoi figli, come fratelli e come persone » sospirò, quasi balbettando.
« ...ma non siamo altro che cose » disse, distrutto. « Inutili, fredde cose. »

Gli occhi ormai rossi, dissoluti dalle lacrime e incapaci di schernire alcunché.
Era il disgraziato Teslat che moriva e moriva ancora. Che si sentiva scindere nel profondo come nulla aveva mai fatto.
Che prendeva consapevolezza della propria vita ormai inutile, senza significato. Che cavava il mondo da un vizio che non aveva motivo di esistere.
Perché le cose non hanno vizi, né sentimenti. Non provano pietà, amore o disperazione.
Sono solo rotte. Sono solo inutili al loro scopo.
Ed è così che si sentiva Teslat: inutile.

« Maledetto! » Urlò, con vigore.
Poi prese fiato e urlò ancora. « MALEDETTO! »

picche5

E l'ultimo urlo fu possente. Si diramò come il primo, passando per ogni cavità delle gabbie circostanti. E le distrusse, frammentandole in mille parti.
Le creature abominevoli in esse contenute si sparsero sul pavimento, insieme ai liquami che le contenevano.
Alcune morirono poco dopo, boccheggiando ed esalando gli ultimi respiri in libertà. Altre provarono a tenersi sulle rachitiche e turpi gambe che avevano in dono.
Altre ancora, presero a fuggire verso una scala in lontananza, ricercando la libertà.

Tra tutti, anche l'imperfetto numero uno scivolò giù dalla sua prigione.
Aveva un fisico atletico, muscoloso e apparentemente perfetto. Nessun abominio, mostruosità o altro che lo contraddistinguesse.
Era una copia esatta di Teslat, ma senza le ferite e le atrocità scalfite sul suo corpo.
Era immacolato e, come tale, un imperfetto assolutamente perfetto.
Scartato per non si sa quale motivo.
« Mio adorato fratello » disse, cercando di avvicinarsi a lui, « stai soffrendo e lo capisco. »
« Ma non hai colpe, non hai nulla da rimproverarti » aggiunse, quasi piangendo « non devi disperarti per colpe di altri. »

Teslat quasi non si curò di lui e lo scacciò via, respingendolo con violenza contro la parete.
« Vi ucciderò » proseguì, ormai completamente fuori di se.
« MORIRETE TUTTI » aggiunse, disperato « COMPLICI DELLA MIA SOFFERENZA, SOFFRIRETE COME ME! »
E dal palmo disegnò una spada di energia, mantenendo l'elsa nella mano sinistra e plasmando con la mano destra la lunga lama affilata.
Infine, la moltiplicò con la sola forza del pensiero. Ne apparvero decine attorno a se e, con un comando delle mani, le scagliò lontano, in direzione di tutti i presenti.
« Morirete...! » Urlò ancora.

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Quando Chevalier fissò la bambina negli occhi, qualcosa cambiò.
Una bestia senz'anima, né ragione, asservita all'altrui dileggio e comando, parve destarsi da un lungo sonno.
Il suo sguardo divenne attento, più vivo. L'espressione sperduta e vuota si conformò in una più vispa attenzione, lasciando che un misto di stupore e curiosità pervadesse quell'ammasso di carne un tempo morta. Dall'altra parte, Rainier fissava la scena incuriosito.
La bestia gli dava le spalle e il Re ancora non sembrava essersi avveduto della situazione. Invero, dondolava la gamba sinistra con un movimento armonico, tenendola ben incrociata al di sopra della destra.

« Non credere di potermi spaventare, piccola » asserì, poggiando il volto sul pugno della mano destra. « Certi trucchi non funzionano con me. »
La guardò, divertito. Probabilmente aveva respinto la sua malia con distratta efficienza. L'aveva scacciata come si fa con un fastidioso moscerino.
« Non sai che il re che non perde mai è immune a certi... »
Nel mentre, Chevalier si voltò verso il suo padrone. Lo sguardo vispo ora fissava con insistenza la sbruffonaggine del suo padrone e, in qualche modo, era come se avesse trovato finalmente la sua ragione di vita. Fuggire e lottare; rompere le catene della schiavitù, servendosi del breve momento di ragione donatole da una piccola ammaliatrice.
Una ragione di vita frapposta in un lampo di vitalità, comunque fosse giunto.
« ...trucchetti? »

Rainier fu colto evidentemente alla sprovvista.
Non si aspettava che il proprio servo si rivoltasse contro di lui; non si aspettava nemmeno che rispondesse al suo sguardo, con un tono incattivito e duro.
Non si aspettava finanche che lo stesso Chevalier gli si avventasse contro, abbattendo una manata con violenza sul suo capo esile.
Il Re schivò all'ultimo istante, scostando di poco il capo. Come risultato, Chevalier distrusse gran parte dello schienale del trono, lasciandolo integro solo per metà.
« Chevalier, idiota » sbottò Rainier, fissando con odio la sua stessa creatura. « Ti fai ingannare da una ragazzina. »
Chevalier risposte con un grugnito sordo. Poco dopo, sferrò un altro colpo con la mano destra.
Rainier si scostò, saltando via dal trono e finendo alle spalle della creatura.

« Stupido » disse ancora, visibilmente scosso. « Stupido stupido ammasso di merda. »
Infine, caricò il braccio sinistro all'indietro e lo scagliò diretto alla schiena della creatura, trapassandola da parte a parte.
Chevalier emise un altro grugnito, più sofferto e labile. Poi, si accasciò di lato, scomparendo entro una pozza di sangue rosso scuro.
« Spero tu sia contenta, ragazzina » disse poi, voltandosi verso di lei, « sarò costretto a farmene fare un altro... »
« ...ragazzina? » Aggiunse ancora Rainier, vedendo che dietro di lui non c'era nessuno.

La breve lotta tra i due, infatti, aveva lasciato a lei abbastanza tempo per fuggire lungo la scala.
Oltre di essa, dunque, un lungo corridoio bianco, con ai lati altre porte di ferro arrugginite, lasciava intravedere una via d'uscita.
Alla fine del corridoio, infatti, aleggiava un bagliore di luce intensa, che lasciava intendere la presenza di una qualsiasi via di uscita.
Della vita. Della libertà.

Lei correva, fuggiva. Percorreva a perdifiato quel lungo corridoio, ricercando quella salvezza insperata.
Dietro, però, c'era ancora Rainier. Nient'affatto simile alla regalità del vero Rainier, però; la copia, infatti, sembrava irosa, rabbiosa. Incapace di elevarsi oltre la mediocrità e, forse, di assomigliare nemmeno un poco alla leggenda che fu il Re che non perde mai.
Si era dimostrato patetico e ingenuo.
Per questo era ancora più arrabbiato; per questo non l'avrebbe lasciata fuggire.
La rincorreva e, mentre cercava di raggiungerla, evocò qualcosa. Un'astrazione di luce blu intenso lo pervase, creando un'immagine magica di una grossa bestia marina dalle grandi fauci.
Un leviatano, stilizzato come un dragone blu notte che risaliva il corridoio in velocità, provando a divorarla in un solo boccone.

Come se non bastasse, la via d'uscita parve chiudersi.
La luce sembrava ridursi, ostacolata da una pesante porta di ferro che iniziò a calare dall'altro verso il basso, ostacolandone la fuga.
Se avesse perso tempo, anche un solo istante, sarebbe rimasta intrappolata.
Eppure, se non avesse fatto qualcosa, sarebbe rimasta vittima di Rainier, che l'avrebbe divorata prima ancora di arrivare all'uscita.



CITAZIONE
QM Point

Malzhar, Majo_Anna, Snek. Teslat impazzisce definitivamente, prendendo coscienza della propria natura. A quel punto lancia un primo urlo che vi rende tutti "partecipi" della prima scena, quella della sua "nascita". Capite dunque il motivo della sua reazione. La conseguenza di ciò, però, è che si scaglia contro tutti voi, come reazione alla sua rabbia. Col secondo urlo, infatti, lancia una tecnica magica di potenza Critica, ad area (Alto per ciascuno di voi) che vi causa, se non difesa, un danno Medio al corpo e vi sbalza lontano, stordendovi per pochi istanti. Infine, vi scaglia delle lame di energia: ciascuna di esse conta come una tecnica Media verso ognuno di voi. Le lame sono dirette ai vostri cuori, quindi sono virtualmente letali. Il vostro compito semplicemente è quello di difendervi e reagire come preferite: potete rispondere all'attacco, provare a calmare Teslat o semplicemente fuggire, avvantaggiandovi dal caos creatosi. La rottura delle gabbie, infatti, ha riunito i tre ambienti del salone e liberato tutte le copie "anomale" di Teslat, Dulwig e Viluca; ognuna di esse reagisce diversamente. Comunque sia, interpretate come se fosse un grosso "caos". Per quanto riguarda Snek, grazie all'azione di Malzhar vieni liberato dalla malia delle false Viluca. Nonostante ciò, subisci autoconclusivamente un danno Medio alla mente, da confusione per aver saltato il turno.

Misato Kojima. La passiva su Rainier non funziona, in quanto è immune alle passive psioniche. La tecnica su Chevalier, invece, ha successo e la cosa sorprende anche Rainier che è costretto a ucciderlo con le sue mani. Naturalmente tu cogli l'occasione per scappare.
Ora sei in un lungo corridoio che sembra condurre verso l'uscita; dietro di te ti insegue lo stesso Rainier, che si trasforma in una specie di grosso dragone acquatico blu notte, con fauci enormi pronte a divorarti. La tecnica conta come una tecnica magica di potenza Alta, che se ti colpisce fa danni al corpo.
Per converso, davanti a te l'uscita sta per chiudersi. Di fatto, se ti fermerai anche solo per un istante, anche soltanto per "difenderti" dalla tecnica, l'uscita si chiuderà.
Devi provare a elaborare una strategia che ti consenta di difenderti dalla tecnica e di non doverti fermare. Se hai domande o dubbi, chiedimi in confronto.
Nel tuo post dovrai solo illustrarmi le tue azioni. Ti dirò io se sarai riuscita a passare la porta o meno.

Tempi. Posto che almeno due di voi (come me) saranno a Lucca nel fine settimana, come tempi indico giovedì / venerdì della settimana prossima. Domande e dubbi, dove sapete.


Edited by janz - 27/10/2015, 18:13
 
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view post Posted on 29/10/2015, 22:58
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Castello di carte - La corsa della speranza -

"Brava cucciola, vedo che ogni tanto anche tu ne combini una buona."


Né Lilith né Ririchiyo riuscivano a credere che quella loro tattica diversiva fosse riuscita. Entrambe pensavano che, per quanto potesse essere una copia, fosse troppo forte per lasciarsi bagnare il naso in quel modo da loro due: uno stupido demone e una ragazzina arrogante. La giovane tornò alla mente a tanto tempo fa, una volta sua mamma le aveva detto una cosa che ora riuscì a capire fino in fondo: “I bambini per molti non contano niente ma quando questi si credono adulti, si credono grandi, possono fare cose spaventose.”
E in quel momento lei ci era riuscita. Passò sopra le parole di scherno che Rainier le rivolse quando si rese conto che il suo potere non aveva alcun tipo di effetto su di lui ma, alla fine, si vide attaccato dalla sua stessa creazione, dalla sua stessa creatura. Senza attendere un secondo di più Ririhiyo corse via, seguendo la stessa via presa dal dottore, una corsa verso la speranza e il futuro.

«La stupida ragazzina la salute mio sire...»


Per schernirlo ulteriormente ci sarebbe stato bene un profondo inchino ma questo avrebbe soltanto rallentato inutilmente la sua corsa verso la libertà. Non lo fece lasciando quindi il re a combattere contro la sua stessa creatura e, proprio quando la luce del futuro prese a brillare davanti a lei, sentì qualcosa alle sue spalle. Probabilmente era il re che, non amando molto perdere, stava tentando di prendersi la sua rivincita e con esso la sua vita ma aveva fatto male i conti: se lei non si era arresa fino a quel momento non lo avrebbe fatto certo davanti a lui. Per lei non era nessuno e che fosse il re che non perde mai poco le importava. Nel suo mondo solo lei era le regina che meritava di esistere. Con la stessa insistenza degna dei bambini, non intendeva decelerare, nemmeno quando quella stupida copia provò ad evocare qualcosa, quello che poteva essere un leviatano, una creatura al quale la ragazzina, nella sua assoluta ignoranza non avrebbe saputo dargli un nome o riconoscerlo fra le altre creature, in effetti erano ben poche le cose del mondo che conosceva e molte altre da scoprire, una di questa era come trovare un modo per poter fuggire da quell’attacco e raggiungere la luce che stava diventando sempre di più un miraggio.

"Lasciati soggiogare dal mio potere, fallo fluire nelle gambe, aumenta la tua velocità e fuggi da tutto. Nessuno DEVE prenderti."


Lasciandosi guidare dal demone fece esattamente quello che le era stato consigliato, senza mai guardarsi indietro. I suoi occhi si illuminarono come due piccoli fari che si stagliavano nella luce piena di promesse di salvezza e, intanto, sentiva un potere fuori dal comune, e ormai così famigliare, scendere lungo le sue gambe, rendendole più forti, più veloci e forse in grado di sfuggire da quell’attacco. Così prese a correre veloce, sempre più veloce cercando di raggiungere la luce prima di essere presa, prima che la porta le togliesse anche quell’ultima piccola speranza.


CITAZIONE

RIRICHIYO


Basso: 5% - Medio: 10% - Alto: 20% - Critico: 40%


»Stato fisico: Indenne
»Stato mentale: Indenne
    -Medio da pazzia
»Sinossi: Egoista, indipendente e irascibile; coriacea, corna e occhi viola
»Energia:
    Energia 80/125 %


    Mente 75/125%


    Corpo 50/50 %



»Equipaggiamento:
    -Arco
    -Armatura naturale

»Oggetti:
    -Cristallo del talento
    -Amuleto lunare

»Talenti:
    -Affascinare 2/6
    -Maledire 1/6
    -Focalizzare 0/6
    -Trasmissione 0/6

Tecniche
[スピード] “Supiido”:
    »Ne corso degli anni di caccia Ririchiyo ha imparato a muoversi sempre più veloce e ora, con anche l’aiuto del demone, i suoi movimenti sono più fluidi e più leggiadri riuscendo a schivare senza alcun problema gli attacchi dei nemici ed ha natura fisica.«
    Consumo di energia: Alto alla mente



Specchietto riassuntivo
Utilizza la sua variabile per cercare di rendere più robuste e veloci le gambe e poter quindi raggiungere la porta sfuggendo anche dall’attacco del re.




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view post Posted on 6/11/2015, 12:48

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C’era un uomo a Lithien nel periodo dei miei studi. Lo chiamavano l’ Artigiano della Vita.
Il suo nome era pronunciato con un certo fastidio, non era benvoluto nemmeno in quella tollerante città.
Si diceva che fosse un Alchimista e uno Stregone che aveva dedicato tutto il suo tempo su questo mondo nel tentativo di creare la vita. In questo suo folle progetto aveva creato abomini, seminato terrore e sdegno e provocato numerosi danni a causa delle fughe delle sue creazioni dai suoi laboratori.
Malachia si chiamava ed io osai visitare la sua casa. Era una stamberga che sorgeva in un viottolo di case derelitte, strangolata da cumuli di sporco e masserizie. Il legno delle pareti era sbiadito e tarlato, il tetto di
tegole scalcinate era sporco e pericolante. Una serie di comignoli eruttavano disordinatamente dalla superficie spiovente sbuffando volute grigiastre che impestavano l’aria con l’odore mefitico di zolfo e agenti chimici degradati. Bussai sulla porta fittamente coperta di rune ed incisioni in lingue arcaiche.
Ne uscì un vecchio intabarrato in una tunicaccia stracciata e lurida macchiata e scolorita dagli acidi di cui faceva ampio uso nella sua attività di sublimatore di metalli. Aveva un volto affilato e magrissimo. Due occhi neri come la pece si conficcavano tra gli zigomi sporgenti. Un naso adunco sporgeva abnormemente da quel volto emaciato. Una spolverata di capelli unti e radi copriva il cranio chiazzato dalla calvizie. Appariva vecchio, stantio, cadaverico. Qualcuno diceva che la sua lotta contro la morte e i suoi sforzi di emulare la vita l’avevano corroso nel corpo prima ancora che nello spirito. Non appena spalancò la porta un odore pungente di taxidermia e putrefazione a stento abortita dalla formaldeide eruppe dall’interno.
«Sei tu lo studentello che Magister Balvanus mi ha rifilato? » - aveva una voce sgradevole: roca, raschiante e catarrosa. Il giovane me annuì compunto, tutto concentrato ad apparire sicuro di se e non spaventato dalla fama terribile di quell’uomo.
Vedendomi così aprì le labbra sottili in un sorriso fatto di denti marci ed anneriti - «Eccellente! Entra dentro! »
La catapecchia a prima vista sembrava l’emporio di un imbalsamatore. Ogni specie d’animale collezionabile era stato accuratamente sottratto dall’abbraccio della putrescente e congelato in una posa fedele alla vita.
C’erano orsi con le fauci spalancate e le zampe tese nell’atto di sferrare un affondo mortale. Un cervo che tendeva il collo rivolgendolo leggermente all’indietro come se scrutasse il cacciatore che gli aveva tirato lo strale letale. E poi un assemblamento di cinghiali, lontre, volpi, lupi, cani, gatti, volatili, rettili e un’infinità di altre creature note e non. Quel serraglio cristallizzato e odoroso di sostanze vicino alla morte iniziò a ruotarmi intorno con foga. L’odore delle sostanze chimiche mi prese alla testa. Sentii un fiotto di bile salirmi lungo la gola. Mi feci forza, mi aggrappai ad un mobiletto e proseguii. Ma la parte più sgradevole doveva ancora arrivare. Seguii la tunica svolazzante del vecchio lungo un corridoio che mi condusse ad uno stanzino angusto, soffocante e infestato da un rivoltante odore di viscere e sangue. Era il tavolo in cui Malachia preparava gli animali per l’imbalsamazione. Sgranai gli occhi nel vedere sul tavolo di marmo la carcassa di una bestia lavorata solo a metà. La pelle dell’animale pendeva sgocciolante in un lato della stanza mentre il resto della carogna mi osservava con le carni ricoperte da cristalli di sale, che – Malachia spiegava- servivano a conservarla.
«Non hai ancora vomitato, questo è un bene. Il mio ultimo apprendista non è arrivato nemmeno al tavolo da lavoro prima di rovesciare persino le budella … » - sospirò e per un attimo sembrò disperato mentre scuoteva quella testa deformata dall’età - «… un lavoraccio il mio. Ma devo pur trovare il danaro per i miei esperimenti no? »
Ero sconvolto. Annui freneticamente e balbettai - « E-esperimenti?»
I suoi occhi luccicarono. «Esperimenti! Si! E’ quelli che vuoi vedere no? »
Mi artigliò la spalla con quelle sue mani lisce, pallide, con le dita lunghe come le zampe di un ragno e le unghie giallastre e rosicate nei suoi numerosi accessi di onicofagia.
«Vieni… Su seguimi! Vieni ad ammirare la mia collezione! »
Quasi mi trascinò lungo una ripida scalinata che conduceva nell’interrato. Mentre scendevamo sentivo lo stomaco contrarsi e un sudore freddo imperlarmi la fronte. Se al piano terra, alla vista di tutti,c’era quel museo di orrori cosa mi avrebbe aspettato nelle viscere di quella stamberga maledetta?
Quando la porta si aprì mi congelai. La bocca si spalancò così tanto che mi parve quasi di disarticolarmi la mascella. «Benvenuto nel mio laboratorio segreto! » - annunciò sollevando le braccia e lasciando che l’odore del suo sudore mi pungesse le narici. Tanfo a parte quello era davvero un luogo di meraviglie in grado di sbalordire persino il più resiliente alla sorpresa.
Allineate perfettamente ai lati della stanza c’erano una serie di sculture antropomorfe che si chinarono all’ingresso del salone salutandolo con voce atona e smorta.
«Golem! » - affermai.
«I migliori! I più fedeli alle proporzioni! I più rispettosi della sconvolgente perfezione della natura umana! »
Iniziai a guardare Malachia sotto un’altra luce. Improvvisamente quell’uomo era diventato un genio, un artista ingiustamente tacciato di orrori.
«Perché la tua reputazione è così pessima? » - chiesi;
«Perché lo è! » - rispose ridacchiando - «Quelli che vedi sono l’opera del maestro ma prima di loro molte opere abnormi sono state partorite dal mio ingegno. Golem orrendi a vedersi, violenti, incontrollabili … » - i suoi occhi si persero nel vuoto del passato e si inumidirono - «Mostri agli occhi degli altri. Tutti meravigliosi e perfetti agli occhi del padre …Che pure ha dovuto ucciderli. » - poi quasi come volesse scacciare quell’amaro ricordo mi prese di nuovo per la spalla e mi condusse al centro del laboratorio. C’era un contenitore, un atanor gigante colmo di una sostanza densa ma limpida come acqua. Un esserino si muoveva all’interno, un umano in miniatura.
Sorrideva e salutava con la mano danzando tra i flutti del suo liquido vitale.
«Homunculus … » - spiegò guardandolo con devozione ed amore che solo un genitore può possedere - « … la mia opera d’arte. Il mio più grande successo! »
Ero al colmo della meraviglia. Guardai la creaturina muoversi ancora un’istante. Poi una sorta d’orrore mi serro le viscere. In un attimo tutte la dottrina dei Dodici iniziò a darsi battaglia nella mia mente.
Ne emerse una certezza: quell’uomo aveva osato violare l’ordine delle cose. Aveva osato creare la vita.
«MOSTRO! BLASFEMO! » - strillai piantandogli l’indice nel petto. Malachia mi osservò con occhi sgranati. Impallidito per la forza del mio sdegno.
«Che-che vai dicendo? »
«Tu ti sei spinto troppo oltre vecchio! Come hai osato arrogarti il diritto che spetta agli dei? Come osi creare la vita? »
«Vita? » - chiese esplodendo in una sequenza di risate - «Oh sciocco studentello, illetterato no, no, no, no … Questa non è vita! Questa è una scimmia della vita. Guardali i miei figlioli! Non amano, non odiano, non soffrono, non provano emozioni, non pensano. Tutto ciò che fanno, tutto ciò che sentono è ciò che io con la mia magia ordino loro di fare e sentire! »
Improvvisamente il suo volto si rabbuiò - «GUAI A FARLO! » - abbaiò - «ANATEMI E DISGRAZIE PIOVANO SU CHI OSA TANTO! »
Sembrava uscito fuori di senno. Tremava, sbavava e sbarrava gli occhi - «Io ho assistito una volta … Tu non capisci … E’ un abominio! » - proseguì così a blaterare finchè non mi stufai e lo lasciai a delirare nella sua baracca.
Quando tornai alla scuola Magister Balvanus mi spiegò che aveva voluto mostrarmi cosa accade a chi si spinge oltre i propri limiti.
«Lui non l’ha fatto! » - affermai io .
«No ma ci è andato vicino e si è giocato il cervello … Solo un mostro può di più e sopravvivere… Un mostro o un dio.»
____________________________________________________________________________________________________





Lo ammiravo e pensavo a lui con una punta di invidia. La spietata determinazione, l’egoistica devozione al successo, il coraggio con cui aveva osato oltre ogni morale e limite umano stuzzicavano una parte di me. Mi ritrovai a pensare che Caino era un uomo solo nel corpo, ma nell’ambizione, nella mente e nei propositi s’era guadagnato il rango di deità. Oh quanto disprezzai l’ipocrisia di chi lo tacciava di immoralità in quel momento! C’era davvero differenza tra Zoikar che massacra Raymond Lancaster dinnanzi gli occhi di tre testimoni per tutelare la propria autorità e Caino che ordina la morte dei Teslat imperfetti per garantire la riuscita del proprio piano? E che dire di tutte le altre volte che, per rabbia, capriccio o necessità uno dei Dodici ha levato la sua mano per manipolare, distruggere o uccidere?
Caino rispondeva ad un imperativo che mi pareva, tutto sommato, apprezzabile: prevalere, innalzarsi dalla massa di mortali e soddisfare la sua ambizione a qualunque costo. Qualunque implicazione morale era un prezzo che valeva la pena pagare. Senza sapere perché lo sentii complice, vicino … Comprendevo le sue ragioni, sposavo la sua scelta, elogiavo il suo ardimento. Pensai - rodendomi d’invidia - a quanto fosse dolce la carezza per l’ego causata dall’essere padrone del potere della creazione. Mi immedesimai, provai a ripercorrere le mille motivazione che lo avevano portato a quello scelta e mi dissi che anche io avrei fatto lo stesso … Come potevo condannarlo?


Poi guardai Teslat. Fissai il suo povero viso di creatura ferita e perduta. Un’ondata di compassione mi travolse … Come potevo rimanere freddo e impermeabile dinnanzi tanto dolore? Come avevo potuto condividere le azioni di uomo reprobo, blasfemo, spietato! Quale mostro ordina la morte delle creature che lo chiamano padre? Con quale diritto quell’infame, bozzolo di carne mortale aveva osato arrogarsi il diritto di creare la vita? Quale arrogante follia gli suggeriva di poter decidere di elargire la morte di esseri senzienti, intelligenti, vivi?
Odiai Caino, lo detestai con tutto me stesso. Ogni azione commessa, ogni suo singolo, ulteriore respiro mi offendeva. Quella bestia che si faceva chiamare uomo, quel disgustoso, immorale, perverso mortale aveva inanellato una dopo l’altra tutta una serie di condotte che gli avevano fatto meritare il mio eterno biasimo.


____________________________________________________________________________________________________


Un secondo grido, disperato, folle, traboccante di rancore. Il filo dei miei pensieri si interruppe. Ebbi una fugace rivelazione, provai a coglierla ma la contingenza degli eventi me la strappò di mano prima ancora che fossi in grado di capirla. Sentii le mie reni impattare contro una superficie dura e fredda. Un rumore come di ghiaccio che si spezza precedette di un istante la pioggia di frammenti di vetro e fluidi.
Compresi di essere andato a sbattere contro uno degli uteri artificiali in cui erano contenute le copie ritenute imperfette solo quando un corpo, un corpo vivo mi cadde tra le braccia.
I nostri occhi si incontrarono. Fu un matrimonio di pelle, sangue, respiri, paura, sbalordimento, orrore, consapevolezza, sofferenza. Urlammo come se possedessimo un’unica gola.

Copie imperfette l’avevano definite. Chi guardandoci ricoperti dal nostro stesso sangue, spaventati, doloranti, poteva distinguere l’essere vivente creato dall’amore di un uomo e di una donna e quello generato dalle perverse arti di un mostro chiamato Dottore? Che differenza c’era tra noi?
Quando le mie pupille si erano fissate in quelle lievemente appannate del Teslat Scartato, quando le mie dita avevano sentito sotto il polpastrelli il calore, il tremito, la consistenza di una carne uguale alla mia, animata dagli stessi insopprimibili istinti, pulsante di una vita in nulla differente rispetto a quella che mi animava … Quando avevo sentito il suo cuore battere per la paura, lo sconvolgimento, il dolore … Quando vidi i suoi occhi dilatarsi, quando sentii il suo urlo unirsi al mio … E’ difficile spiegarlo ma qualcosa si spezzò.
I ricordi di Teslat si unirono alle mie esperienze di vita. Non ero anche io un esperimento?
Mornie e Gwalch Glass erano poi così diversi da Caino? Cosa mi rendeva più umano, più vero della creatura che giaceva tra le mie braccia?
Nella mia mente esplose una luce di consapevolezza. Quel lampo rivelò oscuri meandri ignorati da troppo tempo. Mi resi conto che nemmeno le mie emozioni erano genuinamente mie. Ripensai a pensieri fatti fino a pochi istanti prima e li riconobbi come estranei, alieni. Era davvero Erein che apprezzava l’egoista condotta di Caino, che si doleva della sofferenza di Teslat? No, certo che no … Tutto mi apparve chiaro.
Erano posizioni troppo discordanti, troppo estreme per convivere nell’animo di un uomo. Non ero io in quegli attimi. Non era Erein a pensare quelle cose ma Yon e Yffrie …
Se persino le mie emozioni, i miei sentimenti erano fasulli allora io ero qualcosa di persino più miserabile ed infimo di quella copia scartata che mi era precipitata addosso.
Fui ad un passo dal perdere me stesso. L’istinto di autoconservazione mi salvò dal delirio.
« MORIRETE TUTTI » - urlò mentre decine di lame sfrecciavano in direzione dei nostri cuori. La mia mente reagì prima ancora del mio corpo. Sentii il mio petto nudo ricoprirsi di minuscole scaglie mentre la lama colpiva inutilmente il bersaglio. Una seconda sfrecciò verso il cuore della creatura si insinuò tra le costole, giunse dritta al cuore. I suoi occhi si spensero mentre le labbra si aprivano appena per lasciar fuggire l’ultimo rantolante respiro. Contemporaneamente una folla di imperfetti Teslat, Dulwing e Viluca invase la stanza. Mi sollevai a fatica lasciando il cadavere scivolare a terra.
« Pensa … » - mi imposi di pensare - « Pensa … Abbandona i tuoi dubbi, ignora lo sgomento …. Rifletti … Avrai tempo per piangerti addosso quando sarai vivo e il salvo… Pensa! Sopravvivi!
Facile a dirsi, difficile a farsi. Sentivo il lavorio del mio cervello simile ad un cigolare di ingranaggi malfunzionanti. Bisognava calmare Teslat o almeno prendersi il tempo per fuggire. Dal cumulo di inutili strategie emerse una vincitrice … Era un azzardo, una pericolosa scommessa. Ma che scelte avevo?
Lasciai che la mia mente si espandesse, che invadesse ogni centimetro della stanza e che imbrigliasse tutti in una rete di confortanti inganni.


CITAZIONE

D7g4Hgy
[size=2]
Critico 40| Alto 20 | Medio 10 | Basso 5



Fisico:55% (Danno medio provocato dall’urlo di Teslat)
Mente: 65%.
Energia: 90% - 10% - 20% = 60 %
Passive in Uso:
Attive:


Riassunto : Allora post complicatissimo e molto sperimentale, credo che necessiti di una spiegazione. Il primo “blocco” sono ricordi di Erein e rappresentano il suo passato.
I blocchi in colore blu e rosso rappresentano il flusso di coscienza del mio Pg contaminato dall’influenza di Yon e Yffrie. Il primo lo spinge a condividere le scelte di Caino, essendo l’Esteta patrono dell’autocompiacimento e dell’ego. L’influenza di Yffrie, patrona della vita, gli ispira invece compassione per la sofferenza di Teslat e disgusto per l’opera blasfema portata avanti dal Priore. A seguito dell’urlo di Teslat Erein va a sbattere contro uno dei contenitori in cui sono intrappolati le copie di Teslat e company. Il cilindro di vetro si rompe e uno degli “imperfetti” gli crolla addosso. Segue una crisi morale/spirituale di Erein. Emerge l’Erein più genuinamente umano che non riesce a comprendere ciò a cui assiste, che è sconvolto dalla situazione in cui si trova e che in parte si immedesima in Teslat. Il mio personaggio cade in un vero e proprio delirio da cui ne esce solo nell’attimo in cui la sua vita viene minacciata dal secondo attacco di Teslat. Erein si difende e poi decide di provare a risolvere la situazione utilizzando un’illusione.
Utilizzando la pergamena del mentalista “Illusione amplificata estesa” crea sul campo di battaglia un illusione percepita (potenzialmente) da tutti i presenti. Tale illusione è mirata a rappresentare un evento particolarmente piacevole o rassicurante ed ha ( come ho già detto) l’obiettivo di calmare i presenti.



 
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view post Posted on 7/11/2015, 00:17
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E quindi è così che tutto ha avuto inizio. Con un guscio spezzato per la paura di restare solo. Con un vetro infranto per entrare in un mondo dove tutto sarebbe stato solo rimpianto. Senza sapere che per creature come loro non ci sarebbe mai stato un posto. E nemmeno un'identità.
Ainwen guardava la nascita di un uomo che aveva ammirato, inseguito, cercato. La guardava con l'orrore con cui avrebbe assistito a uno spettacolo di giocolieri deformi, provando pietà ed imbarazzo. Lei, nata tra le braccia di una madre. Lei, che pure, come lui, non aveva identità. Non aveva qualcosa da diventare né un esempio da seguire. Lui aveva cercato un padre, lei ne era stata rinnegata.
Le porte che lei aveva spalancato si erano richiuse alle sue spalle. Si chiese se dietro quelle teche di vetro, dentro il liquido, vi fosse il tepore di una casa. Se quelle creature conoscessero il disprezzo e la sofferenza. Tanto meglio, forse, quell'unico, primo abbandono, alla sofferenza del loro primo fratello.
Piccole lacrime roventi le solcavano le guance mentre desiderava parlargli e spiegargli ogni cosa. Anche per lei, proprio come per lui, qualcosa era finito per sempre. Ma era necessario rialzarsi, combattere, crescere. Non limitarsi a prendersi il volto tra le mani, non cadere preda della follia.
Fece un passo verso di lui, decisa a fare il suo nome, a poggiare una mano sulla sua spalla. In quel corridoio in cui tutti erano lui, provò il desiderio di dirgli che era unico, che forse avevano ancora una speranza. Che la loro storia li rendeva diversi da tutti gli altri. O forse no, forse era solamente
illusione.
Socchiuse le labbra. Lei, che non aveva mai osato parlare di se stessa con alcuno. Protese una mano, incerta. Ripensò all'ultimo sguardo che aveva rivolto al mondo, immergendosi negli occhi di un impostore. Allora aveva desiderato essere diversa da tutti quanti. Ora aveva scoperto che era impossibile: che loro erano solo la scelta casuale tra decine, centinaia di fratelli imperfetti.
Non fece in tempo a fare nemmeno il nome di lui. Il suo grido la colpì sotto lo sterno, rovesciandola indietro come lo schiaffo di una mano gigantesca. Scivolò a terra, sentì il dolore sul braccio. Non se ne curò. Le teche erano infrante, tutto attorno a loro gli spettatori stavano guadagnando il palco. E al centro il protagonista, folle, decideva di voler essere un'anima senza numero.
In un altro momento avrebbe sorriso della sua ingenuità. Mentre i suoi fratelli, uno ad uno, si spostavano da un lato all'altro della stanza, talvolta correndo, talvolta in pianto, lui continuava a gridare, si lamentava come se stesse per morire.
Folle. E pericoloso.
Come le spade che gli nascevano dalle mani. Come l'acciaio che avrebbe potuto fare terra bruciata, inutilmente. Di tutti i suoi fratelli, gli unici che condividessero qualcosa di lui. Gli unici che forse lo avrebbero capito. Lei si era lasciata alle spalle ogni cosa, convinta che nulla avrebbe potuto comprenderla. Si credeva così complicata e invece era solo
banale.
Ripensò allo sguardo di suo fratello, che forse si affacciava ancora alla finestra, aspettando il suo ritorno. Ripensò ai racconti di luoghi che non avevano mai visto, che si inventavano senza quasi doversi mettere d'accordo. Ripensò al contatto della pelle contro la stoffa ruvida del suo mantello. Lui li avrebbe uccisi tutti, ma non gli sarebbe rimasto più nulla.
Si sarebbe avventurato lungo una strada senza ritorno.
Lasciò che l'oscurità ergesse uno scudo davanti a lei, intercettando il colpo, e si diresse verso i due Teslat a passo deciso. Non sapeva nemmeno lei cosa avrebbe fatto.
Mentre camminava, ad un passo da loro, apparve anche lui.
Iakov.
Vestito di azzurro. Sulle labbra aveva un sorriso stanco, nella mano una pergamena. I capelli rossi erano pettinati all'indietro, lo facevano sembrare più maturo. Le lanciò un sorriso storto, come suo solito quando era in imbarazzo. Lei gli si avvicinò, non osando quasi toccarlo.
Illusione.
Se ne rese conto non appena fu a portata degli occhi della bambola. Difficile da notare, subdola. Ingrata. Non aveva alcun diritto di farsi ascoltare.
Si diresse di nuovo verso l'arconte, o quello che si era creduto tale. Che si era creduto il primo e l'ultimo. Decisa a stringergli la mano e chiamarlo per nome, a sussurrargli all'orecchio le stesse parole che una volta a lei erano servite. A parlargli del proprio viaggio.
Teslat.
Era un bel nome, il nome di tutti loro. Il suo nome, nonostante tutto. Proprio come quello di lei era Ainwen. Si concesse un mezzo sorriso, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.





Perchance to Dream

R. 125%.[Mente] 50%.[Corpo] 125%.[Energia]
*Proviene da un Occhio
B.[5%] M.[10%] A.[20%] C.[40%]



Energia. 125% - [(Altox1) + (Medio x2) + (Alto x1)] = 60%
Fisico. 50% - [(Medio x1) + (Basso x1) + (Medio x1)] = 25%
Mente. 125% - [(Medio x1) + (Alto x1 +Medio x1) + (Medio x1 + Alto x1)] =55%

.Passive.


Talento stratega - Ostinazione | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Intuito | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Mente Fredda | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Scetticismo | Numero di utilizzi: 6 --> 5
Passiva Personale 5/25: genera un'aura di disagio e inadeguatezza nei confronti di chi si trovi nel suo campo visivo | Numero di utilizzi: 6
Passiva Razziale umana | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Statiche | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Legate | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagini Fortificanti | Numero di utilizzi: 6
Passiva Personale 16/25, Visione attraverso gli occhi della bambola anche quando essa non è a contatto con Ainwen | 6 utilizzi
Passiva Personale 17/25, Auspex delle anime | 6 utilizzi
Collana Elfica | 6 utilizzi


.Abilità Utilizzate.


Abilità Personale 14/25, Natura Magica, Autodanno Mentale, Dominio delle tenebre con effetto difensivo dalle tecniche magiche | Consumo: Variabile --> Usata a Medio
Infliggendosi un danno mentale Alto, ella potrà costringere i nemici al proprio posto per un intero turno. Schiacciati a terra, gli avversari soffriranno la costrizione sotto forma di un danno Basso all'Energia [Abilità Personale 7/25, Natura Psionica, Autodanno Mentale | Consumo: Alto | Ad Area]

.Riassunto.


Ainwen subisce il danno della tecnica che sbalza lontano, ma si para dalla spada al cuore.
Dopo di ciò, subendo l'illusione di malz ma accorgendosi della presena della stessa, si dirige verso teslat.
Per raggiungerlo nonostante la confusione, casta la tecnica ad area che dovrebbe immobilizzare i cloni nelle immediate vicinanze.

.Altro.


Chiedo perdono del ritardo e del fatto che il post non è epico quanto vorrei ç_ç

 
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view post Posted on 14/11/2015, 16:20
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Chi sa cosa c'è alla fine della strada?
Chi sa quanto ci vorrà a far passare il dolore?
Chi sa a cosa siamo destinati?
Solo il tempo.



Fosso dei Lamenti
stanza della trinità
Un'ora prima


La quiete divorava l'empietà. Una vallata ricolma di gioia si disegnò ovunque; il calore del sole baciava i prati in fiore, mentre il vento soffiava tra le fronde, lasciando che il profumo della primavera scivolasse dolcemente oltre i colli e fino ai campi di granturco. Centinaia di occhi si fermarono a guardare quello spettacolo bellissimo; erano occhi straniti, duri e dolorosi. Erano gli occhi arrossati di lacrime e dolore. Erano le bocce colme di bava, coi denti aguzzi e neri che permanevano indefessi oltre le labbra contratte dalla rabbia. Erano mani ancora impastate di plasma e sangue; erano gambe atrofizzate, accalcate le une alle altre come bestiame in attesa del macello.
Erano le decine di nessuno, come sarebbe stato più lecito chiamarli. Creature senza nome e senza scopo; copie malfatte di qualcun'altro, nate solo per fallire e divenir simbolo di quel fallimento. Copie riuscite male, nate e cresciute in provetta e soffocate dal peso della vergogna senza che nessuno avesse mai spiegato loro il perché.
Fu allora che tutti loro videro qualcosa.

Videro il sole che bacia i colli. Videro le meraviglie del mondo e, in qualche modo, videro ciò che si erano persi.
Videro cosa c'era al di là delle loro gabbie, trascendendo quelle lastricate pietre sporche di lacrime che tumulavano le loro tombe. Videro il creato oltre le sbarre, che loro qualcuno aveva negato e che adesso soffrivano, anche se solo per un momento. Anche se solo per una illusione o un espediente arcano; anche se solo per scherzo. Tanto gli bastava per indicare le rondini in cima agli alberi. I furetti sgusciare dalle loro tane e inseguire le prede nel sottobosco. Il rumore dell'acqua cascare dalla fonte e spargersi nel torrente, fin giù a valle.
Tanto basta loro per valutare le meraviglie del mondo e comprendere che ora - in qualche modo - le potevano ammirare. Dopo anni e anni di rabbia, qualcuno le aveva liberate.
E le aveva dato un colore da ammirare. Un vento da respirare. Una carezza di cui sfamarsi.
E quella stessa creatura se ne stava in un angolo, in posizione fetale.
Era colui che un tempo chiamavano Teslat, che singhiozzava come un bambino. Teneva gambe nude raggomitolate sul petto e braccia forti che cingevano i polpacci. Fissava il vuoto con occhi ricolmi di lacrime, interrogandosi su qualcosa o qualcuno che non conosceva nemmeno lui.
Chiedendosi il perché di tanta follia. Per quale motivo qualcuno avesse dato vita a tanti esseri non vivi, creando coscienza e cuore in meri strumenti di morte.
Perché Caino avesse dato la possibilità di vivere a cose che non avrebbero mai dovuto farlo, permettendogli di soffrire e stranirsi in quella prigione della mente che era divenuta casa, tortura e condanna.
Perché tutto quello era successo? Una cosa del genere non sapeva spiegarsela nemmeno uno come lui.

Eppure lui aveva respirato quel vento.
Era uscito da quel posto, per puro caso. Aveva avuto la fortuna di essere prescelto, perfetto e abominevole al punto giusto da compiacere il padrone. Un caso del destino; uno scherzo che l'aveva sottratto a tanto dolore, solo per riscoprirsene in qualche modo colpevole.
Si perché - per qualche motivo - lui se ne sentiva colpevole. Benché non lo fosse; benché non potesse sapere.

« M-mi dispiace » balbettò, tenendo la bocca tra le ginocchia.
Tentennava il fu Teslat, bandendo quello scherno e quel ghigno divertito che un tempo l'avevano reso l'uomo che era.
Perché adesso non aveva nulla da ridere. Perché ora non sentiva altro bisogno oltre a quello di piangere.
Piangere. Per se e per tutti loro. Per tutte quelle bocche astratte e mostruose che lo guardavano inebetite, indecise se renderlo colpevole o vittima del loro stesso fato. Indecise su chi incolpare di quel destino così orribile, tanto orribile che meritava un colpevole anche solo per essere sopportato.
« Non lui » disse l'Imperfetto numero uno. Il suo corpo nudo era ancora in piedi, eretto di fronte al raggomitolato fu Teslat. Si inarcò, carezzandogli il volto a mano aperta. Istintivamente Teslat avvertì quel calore e si rabbrividì. Fu colto dall'istinto di sottrarvisi, di scivolare indietro. Come se non lo meritasse tutto quel calore. Poi, però, si lasciò andare. Inclinò il capo in direzione della mano calda, che gli scivolava sulla guancia. E vi si accomodò, prendendosi tutta quella carezza.
« È una vittima, come tutti noi » disse l'Imperfetto numero uno, tendendogli una mano. « Merita di essere compreso. »
« Si merita il nostro amore, così come noi abbiamo sempre voluto da qualcuno. »

picche6

L'imperfetto numero uno gli allungò una mano e Teslat rispose, afferrandola.
Poi l'imperfetto lo trascinò a se e se lo abbracciò, come non aveva mai abbracciato nessuno. In quel momento Teslat si sciolse nell'ennesimo pianto disperato. Singhiozzava e rimbrottava con violenza quelle lacrime strappate dal petto. Quel dolore che gli fuoriusciva dalla gola e risaliva in bocca sgomento; troppo forte e troppo terribile per essere sopportato. Per essere compreso da soli. Quel male enorme, quel senso di colpa lacerante che aveva bisogno di una spalla su cui piangere e che pianse a dirotto sul petto nudo dell'imperfetto numero uno.
Il primo che l'aveva capito, l'unico che l'aveva compreso.
Lo stesso che ora lo teneva stretto sul suo petto, stringendogli un braccio intorno al volto e massaggiandogli i capelli con l'altro.
Lasciando che le sue lacrime lo coprissero per intero, quasi a condividerne il dolore. Quasi a volerne reggere il peso nella speranza che questo lo liberasse un poco.
Che lo rasserenasse in qualche modo.

Quando ebbe terminato, Teslat levò il capo. Gli occhi gonfi di lacrime parvero sorridere ammirando il sorriso dell'imperfetto numero uno, che lo fissava con sguardo paterno.
« Ti fa meno male adesso, fratello? » E mentre parlava, anche gli altri abomini sembravano comprendere. In qualche modo il dolore di Teslat era anche il loro; il peso di una volontà che altri avevano imposto loro, aggiungendoci una sofferenza fisica e psichica che nessuno di loro aveva chiesto. E che non era imputabile a Teslat o a nessuno di loro.
Ma solo a un'altra persona. Solo e soltanto a Caino.
« Marceremo insieme, fratello » disse l'Imperfetto numero uno, carezzandolo ancora. « Marceremo verso la libertà »
« E chiederemo insieme spiegazioni a chi non potrà rifiutarsi di darcele. »

Questo disse e tutti annuirono.
Ma nessuno ebbe il tempo di rispondere.
Lui disse solo: « Grazie, fratello. »

Dall'altro capo della sala, infatti, una luce abbagliante si materializzò, rivelando le fattezze di una donna.
Aveva capelli neri, lunghi e un vestito di raso violaceo, succinto, che rivelava un corpo statuario, gambe affusolate e un busto imperioso.
Aveva occhi grandi e marcati di trucco, ma entrambi fissi su Teslat e divorati dalla rabbia.
« V-viluca...? » balbettò Teslat, incerto.
« Adesso basta, fratellino » ribatté lei, schioccando la lingua sulle labbra rosse. « Non ho idea di quante volte tu abbia intenzione di scappare, ma sono stufa di inseguirti. »
Fece pochi passi al centro della stanza, lanciando occhiate gelide a tutti i mostri presenti. « Chiunque di voi pensi di ottenere qualcosa da questa ribellione da bambini, si sbaglia di grosso. »
Poi si girò verso Teslat, nuovamente. « Le guardie della prigione stanno per raggiungere questa stanza e riporteranno l'ordine in questo posto. »
« Tu, fratellino » disse, indicando Teslat « questa volta hai decisamente esagerato. »
« Sua eccellenza è stanco del tuo comportamento e mi ha personalmente incaricata di assicurarmi che tu non esca mai più dalla tua prigione. »

Teslat rimase immobile, fissando la donna come se ne riscoprisse l'arroganza solo in quel momento.
C'era un'espressione esterrefatta nel suo volto, a metà tra lo sconvolto e lo schifato. Le labbra umide balbettarono qualcosa, ma una sola parola uscì: « Tu --- sapevi? »
Viluca lo fissò con sdegno, scostandosi i capelli neri dalle spalle nude. « Che cosa, di questo posto? »
« Certo che lo sapevo. »

Fece pochi passi, avvicinandosi poco. I lunghi tacchi a spillo disegnarono strani ghirigori nel sangue e nelle budella che strisciavano sul pavimento, mentre la bella e terribile Viluca sembrava danzarci sopra con straordinaria indifferenza. « Siamo solo strumenti del grande progetto di Caino » ribatté, schioccando le labbra in un sorriso. « Figli del suo progetto. »
« Lui ci ha creati perché ha bisogno di noi » aggiunse, con scherno, « siamo una vera famiglia. »

Teslat si levò piano, cercando di riguadagnare lucidità. Mentre lo faceva, si reggeva il petto, trattenendo un conato di vomito.
Era quasi incredulo per quelle parole.
« Lui ci ha prodotti » disse, seccato. « E ci ha ingannati, nascondendoci ciò che siamo realmente - o ciò che significhiamo per lui. »
« Lui ci ha scelti » lo corresse Viluca, nervosamente. « Ci ha elevati a divinità, togliendoci dal marciume che ora vedi intorno a te. »
Fissò gli altri abomini, con sdegno. « Ci ha ritenuto migliori di tutti loro; dovremmo solo ringraziarlo per questo. »

Poi fece pochi passi verso di lui, continuando a mantenere una certa distanza.
« Ha scelto sopratutto te » disse, indicandolo. « Ti ha scelto perché ha bisogno di te. »
Incrociò le braccia, battendo il piede nervosamente. « Ti cerca disperatamente perché tu hai qualcosa di cui lui ha bisogno. »
« Bisogno? » Chiese Teslat, incredulo. « Ha bisogno --- » pensò, alzando gli occhi al cielo, « ---di me? »
Poi i suoi occhi si illuminarono, come se avesse compreso qualcosa. « Il libro » sbottò d'improvviso, « lui vuole sapere che cosa ho letto in quel libro. »
« Bonjour, mon petit frère » rispose Viluca, annuendo. « Quel libro, come lo chiami tu, è il Saggio dei Rossi salici »
« È il libro che raccoglie la genealogia dei suoi antenati. »
Teslat fissò il vuoto, meditabondo. « E perché vuole sapere cosa c'è scritto? »
Viluca sorrise, divertita. « Perché vuole qualcosa che i suoi antenati avevano, evidentemente. »
« E tu sei l'unico che ha letto come raggiungere il luogo in cui sono custoditi i loro resti» ribatté, nervosa. « L'unico di cui lui ha disperatamente bisogno. »
Viluca sbuffò, visibilmente indispettita. « Mi fai una rabbia, guarda » ribatté, nervosa, « perché se solo tu volessi, potresti diventare il suo erede predestinato. »
« Invece fai tutte queste storie... »

Teslat la fissò per un attimo. Poi chiuse gli occhi, rimanendo immobile. Infine iniziò a ridere, di gusto.
« Storie...? » Disse, ridendo ancora. « Queste per te sono solo... storie...? »
« Viluca » ribatté ancora Teslat, con tono più deciso e un ghigno sadico tra i denti. « Queste non sono storie; c'è un nome per definire tutto questo. »
« Rivoluzione. »
Poi si voltò verso gli altri, fissandoli uno a uno. « Noi non siamo storie; noi siamo il lamento del suo disgusto. »
« Siamo quella parola di stizza con cui nessuno ha mai pronunciato; siamo quel tumore nel petto che divorerà i potenti nei loro letti. »
« Noi siamo qualcosa che non esiste, che nessuno si aspetta e tutti ignorano. »
La fissò con arroganza. « Noi siamo nessuno »
« E siamo coloro che vi distruggeranno. »

Viluca sorrise di un sorriso amaro.
« Se è questo che vuoi » disse, digrignando i lucidi denti, « allora sarà un piacere eseguire i miei ordini. »
Con un rapido movimento della mano disciolse i lunghi capelli neri al vento. Questi presero quasi vita e, rapidamente, decine di lunghi capelli neri scivolarono giù dalla sua folta chioma, moltipilcandosi e assumendo la forma di lunghi serpenti neri. Ciascun serpente si diresse verso ogni presente, avvinghiandosi al collo e cercando di strozzarlo. Teslat fu colto di sorpresa e un grosso serpente nero gli si avvolse intorno al collo. Viluca colse l'occasione e con un calcio nel petto lo scaraventò lontano. Infine, allungò il braccio sinistro in direzione della sua gamba. Fece scivolare la mano sotto la lunga gonna e dalla giarrettiera tirò fuori un lungo coltello.
« Saluta questo mondo che odi, fratellino » asserì, divertita, « perché non lo rivedrai mai più. »
E con un salto si avvinghiò sul petto di Teslat, intento a trafiggerlo all'altezza del cuore.

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Le porte serrate di ferro battuto si strinsero intorno al suo corpicino esile. La lamiera raschiò con violenza sulla sua pelle candida, mentre il sangue fece capolino attraverso i raschi e le ferite. Subito dopo, la porta si chiuse con un rumore sordo, lasciandosi alle spalle urla di odio e frustrazione. I pugni del finto Re impattarono contro la pesante porta di ferro, rimbombando come tuoni dall'altro lato.
Eppure, con un pizzo di soddisfazione, la giovane poté ignorarne la potenza. Poté sogghignare al di là di quella pesante barriera, rimbrottando soltanto sdegno entro l'empietà di quel regale corpo che null'altro riusciva a essere se non la distorta e becera rappresentazione dell'imponenza che fu il suo reale io.

D'altronde, la stanza al di là del muro sembrava molto diversa da tutto il resto.
Ovunque regnava la penombra; distese di tomi e pergamene se ne stavano sparse su scrittoi e librerie. Legni di massello riempivano le pareti con mobili, armadi e scrivanie, mentre - distante - su di un tavolo altrettanto scuro, se ne stavano alambicchi e boccette di vetro fino, ricolme di sostanze luminescenti.

Oltre di esse, sedute su di un seggio, ella riuscì a vedere la fonte delle loro sofferenze.
Aveva pochi capelli bianchi sparsi sul capo quasi calvo; un camice lungo fino ai pedi e sporco di sangue in più punti, oltre una tunica verdognola stopposa e strappata.
Oltre il naso adunco teneva due occhialetti da lettura, nei quali si rifrangeva il riflesso di tutte le sue preoccupazioni. Gli occhi erano rossi e tremuli, mentre il volto risplendeva di gocce di sudore, che gli scendevano lungo le guance ritmicamente.
Teneva lo sguardo basso; non si era quasi avveduto della presenza di lei. Invero, la sua attenzione sembrava fissa in un punto imprecisato del pavimento, che seguitava a squadrare con vaneggiante apprensione. In realtà fissava il vuoto, dacché la sua mente si concentrava su di uno strano artefatto che teneva sul capo.
Sembrava un anello circolare, di ferro battuto. Gli cingeva il capo da parte a parte, con due anelli saldati insieme. Erano incise rune che sembravano risplendere di quando in quando.
D'un tratto l'uomo si tenne il capo con entrambe le mani e, con tono acido, sbottò apparentemente senza rivolgersi a nessuno: « Uccideteli tutti! »
Continuava a fissare il pavimento, mentre incurvava gli angoli degli occhi lasciando trapelare un'acredine crescente.
« Nessuno dovrà mai sapere di tutto questo » aggiunse, acido. « È chiaro? »
« Niente testimo--- »

Improvvisamente si bloccò. L'ombra della bambina raggiunse il suo sguardo e l'uomo levò il capo d'istinto, spaventato.
Si accorse di non esser solo e la cosa non parve fargli molto piacere. Il sudore sulla fronte aumentò in maniera proporzionale al tremore delle sue labbra. L'anello sul capo quasi gli scivolò, tanto che dovette reggerlo con entrambe le mani, di nuovo.

« I-io... » balbettò, con timore.
« A-ascolta » disse, cercando di riguadagnare lucidità, « se mi prometti di non dire niente a nessuno, ti lascio fuggire da questo posto. »
« T-ti posso pagare, anche! L'importante è che mi garantisci il tuo silenzio. »

Poi indicò un altro portone in lontananza.
« Guarda, da lì c'è l'uscita » asserì ancora. « Se te ne vai senza dir niente a nessuno, faremo finta di non esserci mai visti. »
« Allora? » Ribatté, riguadagnando speranza. « Ci stai? »



CITAZIONE
QM Point

Malzhar, Majo_Anna, Snek. Assistete a quanto accade. Siete liberi di trarre le vostre conclusioni. Dopo questo, ciascuno di voi viene assaltato da un serpente nero. Il serpente conta come una tecnica magica di potenza Alta, che vi causa un danno Medio al corpo e medio alla mente. Il serpente cercherà di strozzarvi, stringendosi intorno ai vostri colli. Dovrete difendervi e poi decidere cosa fare. Teslat è sotto attacco, ed è scoperto perché ha un serpente che gli stringe il collo. Potete difenderlo, attaccare Viluca o ignorare la situazione e fuggire. In fondo alla sala vedete una scala che porta verso l'altro, verso una botola chiusa. La botola salta via con una tecnica media e verosimilmente vi porta verso la libertà. Decidete come agire. Snek a causa del turno saltato subisci autoconclusivamente un altro danno Medio, per l'aggravarsi delle ferite del turno precedente.

Misato Kojima. Nell'uscire dalla porta questa si stringe sul tuo corpo e ti lacera le braccia, causandoti un danno Medio al corpo. Una volta fuori, sei nella stanza principale del laboratorio. Vedi il dottore; indossa una specie di tiara di ferro, con delle rune. Apparentemente è lo strumento di controllo delle guardie; capisci che il suo intento è di uccidere tutti i presenti, affinché nulla di quello che è successo trapeli all'esterno. Quando ti vede ti offre la possibilità di scappare, in cambio di una ricompensa in danaro. Se accetterai la sua proposta, avrai una maggiorazione di un terzo del premio in gold. In tal caso, dovrai soltanto interpretare il tuo pg che fugge dall'uscita e la quest finirà per te un turno prima. Altrimenti, rinuncerai alla ricompensa aggiuntiva (quindi l'avrai senza maggiorazioni); in questo caso, interpreta liberamente (ma non autoconclusivamente col dottore).

Tempi. Giovedì prossimo. Siamo al penultimo turno.
 
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view post Posted on 19/11/2015, 23:25
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♥ Non piangere Nishimiya sai poco fa ti ho parlato in un sogno, mi sembrava di aver rinunciato a molte cose, ma non è così. Ho sempre pensato come te Nishimiya...♥
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Castello di carte - Un’offerta che non si può rifiutare -
La luce della libertà sembrava essere sempre più vicina nonostante il cancello continuasse a chiudersi velocemente, sempre più velocemente. Però doveva farcela, non c’era altra scelta, non poteva permettersi di rimanere indietro e nelle grinfie di quel re. Purtroppo però aveva fatto mali i calcoli perché non riuscì a passare oltre indenne, la lamiera graffiò le sue braccia e un urlo di dolore le uscì dalle labbra squarciando l’aria. Calde lacrime cominciarono a scendere copiose dai suoi occhi e, alla fine, cadde a terra mentre il portone si chiudeva definitivamente dietro di lei. Le ginocchia toccavano il terreno freddo così come anche i palmi delle sue mani mentre il sangue gocciolava dalle braccia creando grandi chiazze rosse. Respirò affannosamente mentre gli occhi sembravano non riuscire a staccarsi da quel colore rosso, quel colore così vitale per quelli come lei. Si sentiva quasi come paralizzata e probabilmente se fosse stata sola sarebbe rimasta lì a lungo, quasi a piangere su quanto il mondo sapeva essere crudele, soprattutto con lei. Però non era sola.

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"Alzati e andiamocene, questo posto non mi piace per niente."


Già, almeno fino a quel momento le attrattive di quella prigione, di quella trappola, non era esattamente stato il massimo. Ririchiyo cercò di mettersi in piedi stringendo i denti e cercando di non pensare alle ferite che bruciavano terribilmente. Quando riuscì a rimanere salda sulle sue gambe fece qualche passo all’interno di quello che non era una semplice stanza ma aveva tutta l’aria di essere un laboratorio e, poco distante, si trovava il dottore, lo stesso che aveva seguito fino a quel momento e che aveva in testa qualcosa, sembrava una corona. Lo scopo a cui serviva poco le importava, fece vagare lo sguardo alla ricerca di una via di fuga ma l’uomo si accorse della sua presenza iniziando a balbettare.
La ragazzina cercò di prendere il suo arco trattenendosi dall’urlare per il dolore, doveva stare attenta, doveva attaccarlo nel caso si fosse rivelato pericoloso.
Qualcosa di straordinario però successe, qualcosa che andava oltre qualsiasi sua speranza. Il dottore non solo le offri la possibilità di andarsene ma anche di ricevere del denaro per tenere la bocca cucita. Cosa poteva rispondere?

”Dobbiamo davvero abbandonare tutti quanti?”


Chiese al demone raggiungendolo con il pensiero mentre le sue labbra rimanevano immobili e gli occhi erano spalancati sul dottore immobili.

"Oh, andiamo, non cominciare. Non ti ricordi nemmeno i volti delle persone che sono qui, non sai i loro nomi…cosa te ne importa delle loro vite. Te lo devo ricordare? Nessuno rischierebbe la propria vita per salvare la nostra. Dovremmo andarcene e lasciarci tutto alle spalle. Questo ti offre pure dei soldi….sei stupida o cosa?"


Il demone sembrava decisamente arrabbiato per quella sua incertezza ma Ririchiyo doveva ammettere che aveva pienamente ragione: come poteva essere tanto sciocca da avere ancora dei dubbi? Fece quindi qualche passo verso il dottore prima di annuire allungando una mano verso l’uomo.

«Accetto l’offerta. Dammi i soldi e io me ne andrò. Non sentirai mai più parlare di me e io dimenticherò tutto appena varcata la soglia, appena conquistata la libertà. Ma non farmi seguire, voglio sparire completamente dalla vostra vita o dai vostri piani, sono stata chiara?»


Concluse con la sua voce atona tenendo lo sguardo fisso sul dottore senza la minima paura. Certo, muovere gli arti le procurava un dolore indescrivibile ma cercò di affrontare tutto in maniera stoica, soprattutto davanti a quello che aveva etichettato come nemico, non aveva intenzione di farsi vedere debole, per nessun motivo al mondo.
Una volta consegnati i soldi con la promessa la giovane avrebbe raggiunto l’uscita per andarsene via. Aveva scritto il suo pezzo in quella storia e aveva avuto la vittoria più grande: riportarsi a casa la propria vita. Il resto non era affar suo e quello che sarebbe successo alle persone ancora intrappolate lì dentro non le importava. A nessuno importava di lei, soltanto a Lilith e stare insieme a lei bastava. Non aveva bisogno di nessun altro.


CITAZIONE

RIRICHIYO


Basso: 5% - Medio: 10% - Alto: 20% - Critico: 40%


»Stato fisico:
    -Medio tagli sulle braccia procurati dal portone
»Stato mentale:
    -Medio da pazzia
»Sinossi: Egoista, indipendente e irascibile; coriacea, corna e occhi viola
»Energia:
    Energia 80/125 %


    Mente 75/125%


    Corpo 40/50 %



»Equipaggiamento:
    -Arco
    -Armatura naturale

»Oggetti:
    -Cristallo del talento
    -Amuleto lunare

»Talenti:
    -Affascinare 2/6
    -Maledire 1/6
    -Focalizzare 0/6
    -Trasmissione 0/6

Specchietto riassuntivo
Accetta l’offerta del dottore e fugge.




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view post Posted on 20/11/2015, 23:02

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Stritolò e strinse contraendo le spire, invano. Tremò e come se fosse fatto di una materia cristallina si infranse mutando in vapori oscuri che di dissolsero più rapidi dell’attacco in cui s’era lanciato .
Gli altri non erano stati altrettanto fortunati. Le serpi evocati dalla fascinosa e perversa Viluca stingevano gole, avviluppavano membra, frantumavano ossa facendo levare un coro di grida soffocate e sinistri stridii di costole rotte.



« Poveri figli … » - sussurrava - « non vedi come soffrono? E’ tutta colpa di quell’abominevole mortale. » - calcò il tono su mortale riempiendo quella parola di disprezzo e disgusto. - « Non sarebbe più misericordioso annullare le loro sofferenze? Non sarebbe meglio fermarli prima che facciano del male a qualcuno? Li hai sentiti … Vogliono una rivoluzione. Altro sangue inutilmente versato. Altra sofferenza. »
« Cosa dovrei fare? – mi chiesi, le chiesi.
« Non agire. Lascia che sia lei a sporcarsi le mani e a guadagnarsi il mio biasimo. Lascia che sia lei a soffocare il loro dolore. Ti supplico … Non intervenire … »
Com’era dolce la sua voce. Quasi riuscì ad ingannarmi.
« Si lascia che sia lei a fare tutto il lavoro … » - suggerì un’altra voce. Ammaliante, piena, simile ad un canto. « Poi uccidila e prenditi il merito … Hai sentito no? Vogliono una rivoluzione. Fermali e diverrai un eroe. Uccidi la sgualdrina, prenditi ciò che ti meriti. Gloria, riconoscenza …. E’ tutto così vicino. Basta allungare la mano … »
« Baggianate! » - abbaiò gracchiante e amara la terza voce - « Uccidili tutti. Fallo ora che sono distratti, fallo ora mentre si azzannano gli uni con gli altri. Lei non è stupida, non pensare di potercela fare da solo. Se aspetti l’unica cosa che guadagnerai sarà un viaggio tra le mie braccia. E non ti piacerà … Te lo assicuro. »

« No … » - riposi piano per poi ribadire a voce più altra -« NO! » - li sentii agitarsi nei miei pensieri. Inquieti, risentiti, offesi per il mio rifiuto. -« Non mi manipolerete. Io non sono come queste povere bestie, frutto di una bestemmia alla creazione. Io non sono la vostra marionetta. Io sono … » - non conclusi mai quella frase. Posai gli occhi sulla donna. Ricordai di aver già visto quel sorriso bieco sulle sue labbra … Quando la vittima eravamo io ed Ainwen. La rabbia, il rancore, il desiderio di vendetta avvamparono.
« ANNIENTALA … » - gridò Lei « FALLE PAGARE OGNI SINGOLA STILLA DI DOLORE CHE HA INFLITTO … »
Era quasi riuscita a convincermi di nuovo. Il buonsenso prevalse. Notai la botola, una via d’uscita per tutti noi. Levai il braccio e la feci saltare. L’odore puro di aria incontaminata invase la stanza mondandola un poco degli effluvi malefici che la impregnavano.
« Lasciaci andare … » - chiesi a voce alta. - « Ognuno per la sua strada e rimanderemo al prossimo incontro eventuali conti in sospeso … » - cercai di sorridere, mi sembrava un buon modo di fare visto che stavo tentando di parlamentare. - « Siamo troppi persino per te Lady Viluca … Voialtri … » - aggiunsi rivolgendomi ai disperati rifiuti di un esperimento contro natura - « Cogliete quest’occasione … Non ha senso morire oggi, nel vostro primo giorno da esseri umani. »

CITAZIONE

D7g4Hgy
[size=2]
Critico 40| Alto 20 | Medio 10 | Basso 5



Fisico:55%
Mente: 65%.
Energia: 60 – 20 - 10 % =30
Passive in Uso:

Passiva, talento eremita, Pacifismo. 5/6
Attive:

Mens agitat molem ~Personale 1/25 Il mago lancia una scarica di potere telecinetico che ha come bersaglio un nemico o un oggetto, con lo scopo di infliggere danni o difendersi. La tecnica ha natura Magica e provoca danni al fisico. Il mago scaglia una scarica telecinetica verso un oggetto o verso il proprio avversario, allo scopo di scagliarli o di attirarli verso di sé. La tecnica infligge danni da impatto o da contatto con l'oggetto scagliato. A seconda delle situazione è possibile utilizzare questa tecnica anche con una valenza offensiva o difensiva. Consumo di energia: Medio. Danneggia il fisico.

Leviathan o Zoikar: Variabile magica, difensiva, personale 10/25. Il corpo del caster viene ricoperto da scaglie come se mutasse nella legendaria bestia divina nota come Leviatano (Consumo Alto)


Riassunto : Brevemente: mi difendo dall’attacco, uso un medio per aprire la botola e tramite la passiva del talento cerco di convincere tutti ( sia il neonato esercito ribelle, sia Teslat che Viluca) ad una ritirata pacifica.



 
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view post Posted on 21/11/2015, 00:18
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La rivoluzione, un canto vuoto verso un cielo incapace di ascoltare. Si scontra contro la ragione e si infrange come tutte le speranze. Questo pensava Ainwen, guardando Teslat ribellarsi all'inevitabile. Eppure lui aveva avuto la forza di resistere, di non esistere, di ribellarsi cercando di essere qualcuno. Stringeva la mano a quelli che avevano fallito, chiedeva un poco di affetto a se stesso, l'unico che potesse darglielo. Si ergeva come un paladino deforme di diritti inesistenti. Li creava da solo, per poterli difendere.
E loro erano come spettatori di quella recita, dei suoi tentativi di emergere, di quella sofferenza incalcolabile. Lo aveva visto morire, nascere. Aveva assistito alla sua follia. E adesso ascoltava la sua determinazione. Commossa, per tutte le emozioni che quella creatura imperfetta era in grado di provare.
Come loro. Viva, nonostante tutto volesse provare il contrario. L'aveva seguito perché sperava lui la aiutasse nel suo progetto. Accumulare potere, vendicarsi di quella terra che li aveva rinnegati. L'aveva cercato perché voleva unire le loro forze verso un destino comune.
E ora si trovava a mettere da parte il proprio sogno, abbagliata da quello di lui, dalla sua visione del futuro. A sentire il brivido della sua forza lungo la schiena. Anche lei voleva una rivolta, contro tutto quello che il potere di Dortan rappresentava. Forse non esattamente negli stessi termini di lui, ma voleva che le cose cambiassero.
Guardò Viluca, la donna perfetta, quel fantoccio che aveva rinunciato ad essere un individuo e si era sottomessa al proprio destino.
Mai.
Le sue parole erano solo rassegnazione mascherata da potere. Non c'era in lei alcun arbitrio. Altri le avevano messo in bocca le proprie falsità, ordinandole di proclamarle. Altri le avevano regalato una vita che non poteva possedere, avevano tracciato la strada che doveva seguire.
Ma per loro non sarebbe stato così. Anche se da qualche parte dieci, cento ainwen, deformi e spezzate, stavano forse attendendo il suo ritorno. Anche se in ogni città cento, mille uomini e donne rotolavano nel fango e nella miseria in cerca di un riscatto. Anche se un solo Teslat, uno su tutti, aveva osato rinnegare quello che per lui era stato deciso.
Lei non si sarebbe fermata e non avrebbe lasciato che qualcuno le impedisse di agire. Si fece avanti, tendendo la mano. Viluca non era l'unica a conoscere qualche trucchetto, a dominare le ombre in molteplici forme. Tra le sue dita un ombrello di energia impedì al primo serpente di raggiungerla. La creatura si infranse contro il suo potere, cadendole ai piedi come cenere. Sotto di lei il sangue, la sofferenza di quei doppioni senz'anima, pieni solamente di viscere rivoltanti e di sogni meravigliosi.


Finiamola qui”.


Tese l'altro braccio verso Teslat, materializzandogli davanti una barriera di energia. Liscia, lucida come uno specchio, capace di spezzare il potere della sua nemica. Era ora di smetterla, era ora di trovare una via di fuga, un modo per attuare quel piano magnifico.


Gioca ad armi pari”.


Una sfida, a quella donna che non aveva la capacità di decidere autonomamente cosa fare. Un sorriso di scherno per quello che a lei mancava e che loro, bagnati di lacrime e follia cieca, avevano saputo trovare.
Una rivolta.
Le piaceva quell'idea. Non era un piano perfetto e forse neppure un progetto. Non aveva dei termini e delle modalità. Era fumosa, come una giornata di nebbia. Eppure era tutto quello che aveva in quel momento, tutto quello per cui valeva la pena di scappare.
Erein aveva offerto loro un'opportunità di fuga, forse cogliendo come lei l'importanza di salvare Teslat. Non potevano lasciarsela sfuggire. Si girò verso di lui, pur non potendo guardarlo negli occhi. Rimpianse di non potergli regalare uno sguardo di speranza, di conforto. Lei sapeva cosa significasse trovarsi in ginocchio, non essere più nulla.


Vattene, vattene finché puoi”.


Non sapeva se sarebbe riuscita a seguirlo in tempo. Ma lui doveva andare per primo, era indispensabile.




Perchance to Dream

R. 125%.[Mente] 50%.[Corpo] 125%.[Energia]
*Proviene da un Occhio
B.[5%] M.[10%] A.[20%] C.[40%]



Energia. 125% - [(Altox1) + (Medio x2) + (Alto x1)] = 60%
Fisico. 50% - [(Medio x1) + (Basso x1) + (Medio x1)] = 25%
Mente. 125% - [(Medio x1) + (Alto x1 +Medio x1) + (Medio x1 + Alto x1) + (Alto x2)] =15%

.Passive.


Talento stratega - Ostinazione | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Intuito | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Mente Fredda | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Scetticismo | Numero di utilizzi: 6 --> 5
Passiva Personale 5/25: genera un'aura di disagio e inadeguatezza nei confronti di chi si trovi nel suo campo visivo | Numero di utilizzi: 6
Passiva Razziale umana | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Statiche | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Legate | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagini Fortificanti | Numero di utilizzi: 6
Passiva Personale 16/25, Visione attraverso gli occhi della bambola anche quando essa non è a contatto con Ainwen | 6 utilizzi
Passiva Personale 17/25, Auspex delle anime | 6 utilizzi
Collana Elfica | 6 utilizzi


.Abilità Utilizzate.


Abilità Personale 14/25, Natura Magica, Autodanno Mentale, Dominio delle tenebre con effetto difensivo dalle tecniche magiche | Consumo: Variabile --> Usata a Alto x 2 volte

.Riassunto.


Ainwen difende sia se stessa che Teslat dall'attacco di Viluca e lo invita a fuggire.

.Altro.


Chiedo perdono del ritardo, quando faccio tirocinio mi sballa totalmente la vita >_>

 
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view post Posted on 24/11/2015, 13:17
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Maestro
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Fosso dei Lamenti
stanza della trinità
Mezz'ora prima


Quando l'ira di Viluca si sprigionò contro un muro di densa oscurità, un rumore ovattato si diffuse nell'aria.
Il coltello cerimoniale scavò brevemente nel muro che vi si opponeva, arrestando la sua corsa in una nuvola di niente. Invero, l'ira iniziale parve stemperarsi immediatamente, da quell'azione irrazionale e piena di rabbia. La stessa Viluca rimase interdetta nel vedersi opporre nient'altro che pacato silenzio.

« Mi fai pena, sorella » commentò Teslat, « davvero pena. »
« Sei schiava di un odio che quasi non ti appartiene, comandata da una volontà che ti impone finanche l'illusione di una coscienza tua. »
Si rialzò, strappandosi di dosso ciò che rimaneva del nero serpente. Ferito e dilaniato, il serpente ripiombò al suolo, trasformandosi nuovamente in una ciocca di capelli sparsi.
« Non sei tu » proseguì Teslat, con tono accusatorio, « questa non sei tu. »
« È il pensiero di Caino che ti comanda di provare odio per me, di inseguirmi o di uccidermi. »
« Non sei tu che lo vuoi » asserì, freddo. « D'altronde, come tu stessa hai detto, non ne avresti nemmeno motivo. »

Poi si guardò intorno, quasi rasserenato. Una schiera di abomini e creature informi ora sembrava fissarlo con più rispetto e approvazione.
Alcuni annuivano con la testa, altri si lasciavano andare a grugniti di approvazione.
« La verità è che sei disperata » sentenziò ancora. « Non hai il coraggio di ammettere a te stessa ciò che sei »
« e ti disperi nel vedere come io sia riuscito a guadagnare quella consapevolezza che a te manca. »
La fissò diritto negli occhi. « A definirmi libero e non più schiavo » aggiunse, secco « molto più di quanto ci sia mai riuscita tu. »

Viluca nel sentire quelle parole quasi tremò.
Per la prima volta, Teslat vide il suo labbro rosso e carnoso vibrare affranto e gli occhi grandi bagnarsi di lacrime.
« Tu--- tu... » balbettò la donna, senza riuscire a dir nulla. Stringeva ancora il coltello nella mano, stritolandone il manico fino quasi a farsi male.
« Io libererò queste persone » disse Teslat, sicuro « e insieme a loro libererò me stesso. »
« Poi le condurrò da Caino, chiedendogli conto di ciò che ci ha fatto. »
Li indicò uno a uno. Poi tornò a fissare Viluca, con sicurezza. « E tu non potrai farci proprio nulla. »

Nel mentre, fuori dalla porta di ingresso si percepivano rumori di passi.
Crescenti, multipli, sempre più vicini. Subito dopo, i passi si udirono distintamente, seguiti da pugni contro la porta.
« Fratello » disse l'imperfetto numero uno, rivolto a Teslat. « Le guardie della prigione sono qui. »
« Dobbiamo fuggire. »

« Andiamo » disse Teslat, annuendo.
« Lasciamo lo spettacolo finché il pubblico ancora si commuove » asserì ironico, fissando Viluca.
« Tu rimani qui, sorella » le disse, con odio. « D'altronde, hai sempre voluto rubare la scena agli altri... »

Immediatamente dopo, Teslat si voltò di spalle, rivolgendosi verso l'uscita.
Nel mentre, Viluca si lasciò andare a un pianto nervoso, sofferente. Il trucco le si sciolse dagli occhi, disegnando linee nere sulle guance.
Poi, rialzò il viso ancora sofferente e fissò con sdegno la sagoma di Teslat allontanarsi verso la botola.

picche7

« Maledetto... » sussurrò a mezza bocca. « Non andrai via così... » sbottò dopo, senza pensarci.
« Muori! »
E scattò rapidamente verso di lui. Le dita della mano destra si chiusero come fosse una lama, con la punta delle unghie che luccicava al riverbero delle fiaccole come fossero la punta di un coltello.
Portò indietro il braccio, mentre le agili gambe la condussero celermente alle spalle di Teslat. Infine, spinse il braccio destro in avanti con tutta la forza, affondando nella carne con vigore.
Teslat si girò, disegnando sul suo volto uno sguardo di orrore.

picche8

Dinanzi a lui c'era il corpo dell'Imperfetto numero uno.
Gli si era opposto come uno scudo; come un padre che protegge il figlio. O come un fratello che protegge l'altro fratello.
Lo sguardo dell'imperfetto numero uno si chiuse piano, con sofferenza. Il sangue prese a sgorgare copioso, mentre le unghie di Viluca erano uscite dalla sua schiena, trapassandolo da parte a parte.
Ancora vivo, però, l'imperfetto numero uno non parve arrendersi. Afferrò Viluca con entrambe le mani e la tenne a se, immobile.
« Va, fratello » disse, mentre la bocca gli si riempiva di sangue, « non lasciarti fermare dalla sua rabbia. »
« Vola verso la libertà » aggiunse, secco « e vivi questa tua vita anche per me. »

Gli occhi di Teslat si disegnarono in una maschera di orrore.
Le labbra presero a tremare, mentre a mezza bocca pronunciava ripetutamente il proprio sdegno.
« No... »



CITAZIONE
QM Point
Ultimo post, molto semplice e riservato solo a Malzhar e Majo_Anna. Considero, infatti, Misato ormai uscita dalla quest (ricompensa nel prossimo turno) e Snek fuori per abbandono (conseguenze nel prossimo post). L'ultimo post è una scelta, più che altro. Viluca è bloccata, immobilizzata dall'imperfetto numero uno. Teslat, invece, è come inebetito, scioccato dall'evento. In questo turno avete la possibilità di essere autoconclusivi con Viluca. Potete immobilizzarla, ferirla in modo che non faccia più del male a nessuno, oppure ucciderla se avete una tecnica di player killing (siete autorizzati formalmente a usare tecniche autoconclusive). Insomma, un post bonus in cui potete essere autoconclusivi con lei. Se volete astenervi da qualunque azione, invece, limitatevi a descrivere la fuga del vostro pg dal fosso. La botola nel soffitto infatti sfocia in una lunga scala che porta fuori dal fosso.

Non servono post lunghi, mi accontento anche di qualcosa di breve.
Scadenza domenica 29 novembre. A voi.
 
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view post Posted on 29/11/2015, 18:15

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E d’improvviso la mia visita al Fosso dei Lamenti si fece davvero profittevole …
« Ti avevo avvertito mia cara … » - sussurrai con dolcezza. -« … Ma tu hai voluto fare di testa tua. »
Scuotevo la testa nella assai poco riuscita imitazione di un maestro deluso. La mia voce trasudava – contro ogni mio intento di dissimulazione – avidità. No, non erano le grazie della voluttuosa Viluca a cui ambivo ma al suo cuore … Le posai un piede sulla cassa toracica per tenerla ferma al suolo.
« Non ti dispiace, vero, Dama Ainwen ? » - chiesi con noncuranza mentre la mia destra già affondava nel petto della creatura, figlia del perverso genio di Caino. Non avrebbe sentito dolore, non avrebbe riportato ferite … Se avessi voluto non se ne sarebbe nemmeno accorta fino ad operazione avvenuta. Le mie dita si strinsero intorno ad una materia cristallina, calda e pulsante. Estrassi la mano e la levai al cielo. Un cuore di cristallo nero, eccetto per qualche macchiolina color rosso cremisi, baluginava nella torbida luce di quel luogo di sofferenze. Viluca dilatò appena gli occhi.
« E’ tutta tua …. » - dissi all’Oracolo mentre mi dirigevo verso l’uscita. « …Eccezion fatta per la sua anima, si intende... »


Ero fuori. L’aria mi pizzicava il volto e si insinuava con dita maliziose sotto gli stracci con cui mi ero coperto.
Da qualche parte, nel mio petto, un nuovo cuore scandiva con i suoi battiti il tempo della sua prigionia.
Non s’arrendeva. Nonostante tutto era forte.
« Adagio Viluca … Adagio … Non è facile abituarsi alla tua nuova condizione ... » - pensai rivolgendomi alla mia nuova ospite - « E’ per tuo fratello che scalpiti? Bruci dalla voglia di rivederlo non è così? Lo rivedrai, ne sono certo… Forse combatterete di nuovo … Ma prima sono curioso: raccontami un po’ cosa pensa l’anima di Caino? »

CITAZIONE

D7g4Hgy
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Critico 40| Alto 20 | Medio 10 | Basso 5



Fisico:55% (Danno medio provocato dall’urlo di Teslat)
Mente: 65%.
Energia: 60 – 20 - 10 % =30


Riassunto : Molto semplicemente, Erein usa la sua nulla di pk per estrarre il cuore cristallizzato di Viluca è aggiungerlo alla sua collezione. Fatto ciò esce dal Fosso dei Lamenti.



 
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view post Posted on 29/11/2015, 23:25
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Like a paper airplane


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L’amore più grande, l’umiltà più grande, il coraggio più grande. Quello di morire per lasciare il passo ad un altro, migliore o peggiore, di fermare il proprio tempo per concedere a qualcuno un minuto in più, di smettere di respirare con il pensiero di cedere a chi verrà dopo il proprio fiato.
Qualcosa che lei non avrebbe mai avuto il coraggio di fare, che aveva cercato di evitare in tutti i modi. E che quella creatura, una copia mal riuscita, un clone di se stesso, aveva avuto la forza di portare a termine. In piedi, trapassato dal destino, pareva in pace.
In pace come lei non era mai stata, come a loro non era concesso. Nonostante avesse finalmente la possibilità di combattere, aveva scelto di essere libero nel modo più radicale. Lo comprese in un solo istante e cancellò tale certezza nell’attimo successivo. Una parte di lei non poteva permettersi di desiderare una conclusione come quella. Una parte di lei aveva bisogno di sognare il riscatto che Teslat proponeva, un finale vittorioso e senza spreco di sangue innocente.
Si rivolse verso Viluca, pietrificata come un’attrice nel momento di maggiore pathos. Guardò i loro tre corpi, che parevano una sacrilega statua all’interno di una cattedrale profanata. Avrebbe voluto poter riavvolgere il tempo, annullare quel momento, ma sapeva bene come allo scorrere lento dei secondi non fosse possibile porre rimedio.
Li lasciava scivolare sotto le palpebre, cercando una spiegazione, una soluzione che spegnesse la sua rabbia e consentisse a tutti di andarsene indenni. Eppure quella vista riusciva solo a farle ribollire il sangue, mentre la pelle le diventava gelida e su tutto il corpo scorrevano brividi. Quella era la rappresentazione dell’unico futuro possibile per quelli come loro? O significava che nulla era perduto, che c’erano ancora speranze?
I suoi occhi ciechi cercarono quelli dell’ammaliatrice, una traccia di rimorso o di paura, un’emozione che non le fosse stata instillata dall’altro. Si chiese chi stesse davvero vivendo: lei o quella creatura trafitta che lentamente se ne andava?
Avrebbe voluto mettere una mano tiepida su quella fronte che diventava gelida, stringere quel viso contro il proprio petto, dargli il poco calore che un cuore arido aveva da offrire, raccontargli delle terre che non avrebbe mai visitato, proprio come lei non avrebbe mai potuto vederle direttamente. Avrebbe voluto stringere la mano di Teslat e dirgli di andare, che ci avrebbero pensato con loro, di non temere.
Avrebbe voluto stringere il collo di Viluca tra le mani e imporle il silenzio. Ancora una volta era stata una creatura debole e senza colpa, una non vita più degna di tutte le loro esistenze, a pagare le spese dell’egoismo. Dell’ambizione altrui.


« Non ti dispiace, vero, Dama Ainwen ? »


Poteva forse dirgli che sì, le dispiaceva? Che voleva tempo per decidere, per fare la cosa giusta, per non lasciare che tutto finisse ancora una volta nell’arbitrio altrui? No, non poteva, perché era dei forti del mondo la scelta, dei gradassi e degli spacconi. Non di quelle come lei, sospese come funamboli immobili a metà percorso.
Lo lasciò fare, continuando a guardarlo come ipnotizzata. Non si mosse finchè lui si fu allontanato, lasciandola a tu per tu con un dilemma quasi risolto. Andarsene in silenzio, rispettosa di quel momento di morte, lasciare che le anime volassero via libere? O restare, imporre la propria volontà?
Anche lei, capace di essere padrona solo di una creatura senza coscienza.
Guardò Viluca, che non sarebbe più stata se stessa. Che non lo sarebbe mai stata. Sotto il dolore e lo sconcerto, una parte di lei rise di quell’ironia. Del fatto che fossero simili eppure talmente diverse. Del fatto che sarebbe potuta tornarle utile.
La bambola rivolse un’occhiata di sbieco a Teslat, ma non riuscì a leggere nella sua mente, nei suoi desideri. Si fece avanti, i piedi nudi sul terreno lordo e umido di sangue. Tese una mano e la poggiò su quel corpo svuotato. Erein si era portato via lo spirito che non era volontà. Si era portato via il soffio di vita che era già morto.
E lei si sarebbe presa il resto, un avvoltoio su una carcassa troppo bella. Le sue dita risalirono, poggiandosi sulle labbra dell’ammaliatrice. Come a intimarle il silenzio, pur sapendo che mai dentro di lei era sorta la volontà di parlare, né prima né poi. Che da ora non sarebbe sorta più. Sarebbe stata la volontà di Ainwen. Come lo era stata di Caino, o forse perfino peggio.


Sorgi, Viluca. Torna a non essere te stessa”.


La sua voce spezzata era la voce del potere distruttivo, banale, come un cancro capace di insinuarsi sotto la pelle. Un brivido in quel cuore immobile. E Viluca sarebbe stata sua.
Diversa da com’era.
Uguale a come non era mai potuta diventare.
Chiuse gli occhi, lasciò cadere la bambola a terra. Li aprì, fissando il corpo dell’Imperfetto che moriva lentamente. Estrasse la mano che non era sua ma le apparteneva. Guardò le dita insanguinate e con un unico gesto fluido raccolse tra le braccia, non le proprie, ma braccia che controllava, quel corpo che non aveva mai ricevuto pietà. Lo strinse a sé, comunicandogli un affetto che non era davvero in grado di provare, un briciolo di pietà che credeva non le fosse rimasto, che fino a poco prima credeva fosse dovuto a lei soltanto.
E la donna che un tempo il Priore aveva controllato ora, per quei pochi secondi, era la sua bambola. Una buona azione senza alcuna volontà, un gesto di dolcezza che lei era troppo bianca, cieca, fragile e nuda per compiere. C’era del grottesco in quegli attimi, che in qualche modo riusciva ad appagare una parte di lei. E c’era quel sapore agrodolce che la faceva sentire stranamente consolata. Poggiò un bacio sulla fronte morente, un bacio vivo eppure già morto. Sarebbe partito con il ricordo di essere esistito, almeno per qualcuno.


Vattene, vattene e torna vincitore”.


Con quale voce aveva parlato? Difficile dirlo. I suoi occhi ora erano lilla, erano occhi inespressivi e sensuali, occhi di un’amante. Si posarono sul suo corpo martoriato, livido, sulle dita bluastre e sui segni di troppe lacrime attorno agli occhi arrossati.
Non sapeva se Teslat avrebbe seguito il loro, il suo consiglio. Ma in qualche modo, ne era certa, avrebbe avuto ancora notizie di lui.
Si diresse a passi lenti, zoppicanti, verso l’uscita. Con un cenno del capo, una mera esternazione del suo potere, ordinò a Viluca la bambola, il clone, l’inesistente di seguirla. La parentesi romantica era finita. Lei aveva fame, freddo. E rabbia, una rabbia sorda e sconfinata, alla ricerca di una vendetta che non avrebbe più provato in quel luogo.
Vattene. Vattene e torna vincitrice.
Non era sicura di aver realmente voluto rivolgersi a lui.
Scosse il capo, sorridendo di se stessa con un senso di malinconia che aveva lo stesso sapore del sudore rappreso sulle labbra.





Perchance to Dream

R. 125%.[Mente] 50%.[Corpo] 125%.[Energia]
*Proviene da un Occhio
B.[5%] M.[10%] A.[20%] C.[40%]



Energia. 125% - [(Altox1) + (Medio x2) + (Alto x1)] = 60%
Fisico. 50% - [(Medio x1) + (Basso x1) + (Medio x1)] = 25%
Mente. 125% - [(Medio x1) + (Alto x1 +Medio x1) + (Medio x1 + Alto x1) + (Alto x2)] =15%

.Passive.


Talento stratega - Ostinazione | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Intuito | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Mente Fredda | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Scetticismo | Numero di utilizzi: 6 --> 5
Passiva Personale 5/25: genera un'aura di disagio e inadeguatezza nei confronti di chi si trovi nel suo campo visivo | Numero di utilizzi: 6
Passiva Razziale umana | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Statiche | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Legate | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagini Fortificanti | Numero di utilizzi: 6
Passiva Personale 16/25, Visione attraverso gli occhi della bambola anche quando essa non è a contatto con Ainwen | 6 utilizzi
Passiva Personale 17/25, Auspex delle anime | 6 utilizzi
Collana Elfica | 6 utilizzi


.Abilità Utilizzate.


Al tempo stesso, nel momento della morte di un nemico, con un consumo Nullo, Ainwen potrà scegliere che sia lo sfortunato a sostituirsi alla sua bambola. Per tutta la durata della giocata o della quest, costui diventerà gli occhi dell'Oracolo, e sarà da lei dominabile nei movimenti e nei gesti, come se fosse una bambola a tutti gli effetti.[Abilità Personale 18/25, Tecnica di pk | Consumo: Nullo]

.Riassunto.


Uso la nulla di pk su Viluca ma non so se posso poi portarmela dietro, questo lo lascio al qm ^^

.Altro.


È stato epico, sono commossa ç_ç

 
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30 replies since 19/9/2015, 15:16   603 views
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