Ladeca, città piegata sotto il peso di troppi crimini, aveva ancora delle guardie disposte a difenderla, in armature mal lucidate che non nascondevano alcuna gloria. Di malavoglia si stavano dirigendo verso una locanda ben nota per ospitare solo gente ricca, quindi gente esigente. Quindi un sacco di guai.
Ladeca, città che danza a piedi nudi nel fango, aveva una locanda rispettabile il cui prezzo era un vero furto eppure nessuno se ne lamentava. L’oste scuoteva il grosso capo passandosi una mano sulla fronte sudata, mentre pensava a come trattare il corpo morto al piano di sopra. Ben sapeva cosa avrebbero fatto le guardie una volta che avesse aperto loro la porta.
In piedi accanto a una serva troppo sveglia per essere solo una paesana, contemplava la disfatta del proprio buon nome.
Nel frattempo tutti gli attori di quella magra recita si dirigevano verso nuovi orizzonti, pronti a tirare le fila della propria avventura. Nessuno di loro si era curato delle conseguenze delle proprie azioni. Non la ragazzina ammantata di rosso, la finta sguattera, che aveva deciso di addossare ad altri la propria colpa. Là dove le sue mani avevano sfiorato la morte, ora sostituiva il nome di un innocente, reo di aver provato troppa pietà.
Non il guerriero giunto da lontano, che era stato testimone del passato. Era fuggito dalla fine del proprio sogno glorioso come un ladro all’alba, dimenticandosi l’invito a prestare fiducia a colei che gli aveva donato il proprio corpo. Ben presto dai suoi palmi sarebbe scomparso il ricordo di quel tepore di cui, per lunghe ore, si era innamorato.
E non l’alfiere dai candidi capelli, divorato dalla rabbia e dall’astio, che aveva sentito da lontano le grida delle guardie. Avevano infiammato il suo sguardo scarlatto come pece bollente, convincendolo che la fiducia di un uomo potesse andare solo alle sue armi, ai suoi cani e alla donna che aveva scelto di non amare.
Senza aspettare che venissero a prenderlo, gettando un’ultima occhiata al corpo gelido sopra le lenzuola, aveva aperto la finestra, salendo in piedi sul balcone. Il guerriero non aveva troppo vantaggio su di lui, non abbastanza da sfuggirgli. Per quanto i vicoli della città fossero stretti, visti dall’alto erano piani come il delta di un grande fiume. Quindi aveva aperto le braccia, lasciando che il terreno gli si avvicinasse disperatamente.
Ed era volato via.
Le guardie erano poco più di una manciata di ragazzini reclutati dall’entusiasmo del nuovo regno. Alcuni di loro si erano tagliati da poco la prima peluria che insistevano a chiamare barba e non avevano ancora visto una donna, una donna vera, distesa al loro cospetto. Tenevano la mano sulla spada cercando di nascondere il polso tremante.
Si rivolsero all’oste senza garbo, cercando di apparire più forti, e per tutta risposta una giovane cameriera li accompagnò al piano superiore, senza che lui si scomodasse a seguirli. Camminavano in formazione, pestando forte i piedi e producendo un rassicurante clangore. La ragazzina aveva occhi critici, ma loro cercarono di ignorarli, perché erano la forza costituita di Ladeca, la nuova capitale.
Erano pronti a tutto, a qualsiasi mostruosità, eppure rimasero pietrificati davanti a quel corpo disteso come addormentato sul letto. I piedi nudi emergevano appena dalla vestaglia scarlatta, una mano era scivolata lungo il fianco e le labbra erano appena socchiuse, contraltare delle palpebre livide.
La fissarono, e tutti si posero la stessa domanda, che nessuno osò esprimere. Il più vecchio di loro fece qualche ulteriore considerazione, archiviandola nei pensieri da fare prima di mettersi a dormire. Pensò a quella mano abbandonata, alla linea decisa del polso, a quelle cosce ambrate che si intravedevano sotto la gonna.
“Cosa dovremmo farne?”
Uno dei gendarmi si avvicinò, tendendo timidamente la mano senza toccarla. Piccole gocce d’acqua erano imprigionate tra le ciglia, come se fosse appena emersa dal bagno.
“Non ci riguarda. Ma spero la porterete via prima che inizia a puzzare”.
La sguattera puntò le mani sui fianchi e mosse il capo perentoria. Tutti ebbero un sobbalzo. Tutti si chiesero come andasse spostata. E poi il loro capo si avvicinò e con gesto deciso afferrò due lembi del lenzuolo.
“Datemi una mano. La porteremo alla caserma”.
Aveva un tono che doveva essere professionale. Karima lo guardò attentamente, senza accordargli alcuna fiducia. Altri obbedirono. Uno si disse che avrebbero dovuto coprirle il viso, ma quello si girò di lato, accompagnato da una cascata di fili d’ebano. Nessuno si avvicinò per riportarlo alla posizione originaria.
“Ehi ehi, bentornata, da quanto tempo. O forse non abbastanza”.
L’uomo in verde poggiò le carte sul tavolino, muovendo appena le lunghe gambe. Il cappuccio gli copriva ancora in parte il viso, ma non abbastanza da impedirgli di squadrare attentamente la propria interlocutrice.
“Se sei qui immagino tu non voglia parlare del tempo. Anche se è una bella fortuna che non abbia piovuto, non trovi?”
Allineò qualche seme, fece schioccare il dorso liso della carta, passò la lingua sulle labbra. Assaporò lentamente la tensione di quella situazione. aveva un buon sapore, uno di quelli che gli piacevano.
“Quando piove i cadaveri puzzano prima”.
Ammiccò, prendendo fiato.
“Immagino tu ce l’abbia fatta, dico bene?
Oh beh, ovvio che dico bene. Complimenti, b r a v a!”
Un battito rapido di mani, non troppo, ma comunque abbastanza. Con la mano destra scompigliò le carte, affondando la sinistra dentro il mantello. Il suo sorriso candido scintillò nella penombra.
“Meriti la tua ricompensa. Il nostro rapporto sfortunatamente finisce qui”.
Le lanciò una nuova scarsella di monete, rivolgendo sguardi fugaci attorno a loro. Si chiese perché fosse tornata lei soltanto di tutti quelli che aveva inviato. Aveva sperato di meglio. Almeno due, forse perfino tre. Allungò una gamba di lato alla sedia di lei. Una
Vera
Delusione. Sospirò. Ma un certo risparmio, a ben vedere.
Per quanto uno in realtà fosse tornato, certo, anche se dubitava si sarebbe fermato a parlare.
“Dimenticati quello che hai visto e io mi dimenticherò di te. È sempre bello essere amici di ignoti”.
Attese, certo che prima o poi quella se ne sarebbe andata. E infatti, succede quando sei uno sveglio, abbandonò la posizione.
Riunì le carte, quel banale diversivo, nell’ampio palmo. Era una fortuna che fosse tutto finito almeno per quel giorno. Si era nauseato a forza di giocare a carte. Distese le braccia verso l’alto, sentendo scricchiolare le ossa che si erano anchilosate. Era il momento di concedersi una bella
“Per chi lavori, figlio di puttana?”
Spalancò gli occhi d’oro, fissando quelli rossi dell’altro. L’aveva preso con una sola mano per un polso e lo teneva sollevato a mezz’aria. A più che mezz’aria, all’altezza del secondo piano. Avvolto in quella che sembrava una grossa tenda pelosa. O forse no, forse erano ali. Magnifiche, ampie ali di volatile che gli impedivano di guardarsi attorno.
Cercò di divincolarsi, di sfuggirgli tramutandosi in fumo, ma le mani di lui erano salde dentro i guanti, la sua fronte aggrottata si avvicinava disperatamente al viso di lui. La stretta si faceva inesorabilmente più forte.
“Per chi lavori?”
Lo scosse, e la sua voce era soffocata. La rabbia gli ribolliva come in un calderone. Aveva paura, pensò l’uomo in verde. E si chiese cosa avrebbe potuto portarlo a fare quel terrore rabbioso. Gli sorrise.
“Ehi amico, perché non ne parliamo?”
Se solo l’altro avesse allentato l’attenzione gli sarebbe sfuggito. Per sempre. Stando ben attento a non tornare. Che si fottessero gli assassini del quarto giorno, meglio vivere cent’anni senza averli ricompensati che ventiquattro ore per mantenere una promessa.
Ma l’altro rise, una risata che non gli chiuse le palpebre. Violenta. Qualcosa di gelido risalì lungo le braccia della spia, fino al gomito. Gelido e incredibilmente doloroso.
“Mi dirai per chi lavori. Poi mi porterai dove vi nascondete. E forse non vi ucciderò tutti”.
Ricordava il suo nome, lo aveva studiato attentamente nelle cronache.
Zephyr Luxen Van Rubren, l’angelo di cenere, l’araldo del Toryu, reso folle dall’amore per la donna sbagliata. Un pusillanime incapace di agire senza la sua padrona, a detta di chi lo conosceva. Eppure in quel momento gli sembrava più un folle, un cane idrofobo senza più legge. Qualcosa di cui non aveva alcuna intenzione di occuparsi. Cercò di scattare e colpirlo, ma la cosa gelida che non poteva vedere gli provocava i brividi per il dolore.
Evitando di gridare, si limitò ad annuire.
La guardia fissò per qualche minuto il corpo disteso sul tavolaccio di legno. I suoi compagni avevano proseguito la ronda, lasciandolo solo. Lui, che era più vecchio di loro di qualche anno, ma che già aveva conosciuto l’amore. Lui, che si credeva più forte di tutti grazie al proprio passato da mercenario nelle terre meridionali.
Che aveva viaggiato perfino in oriente. E che mai, nemmeno una volta, aveva veduto una fanciulla così bella. Le carezzò la guancia con la mano, delicatamente, immaginando di udire dalle sue labbra un invito. L’armatura era posata di lato e i suoi pantaloni erano tenuti solo da una corda, troppo facile da slacciare.
Si issò sul tavolo, immaginando cosa lei avrebbe potuto dirgli, le sedette accanto, abbracciandole con un palmo il fianco. La attirò verso di sé, annusando il profumo del suo collo liscio. Sarebbe stato abominevole, pensò. Qualcosa da non raccontare a nessuno.
Per questo aveva chiuso la porta a chiave.
Le sollevò la vestaglia, scostando le gambe. Sarebbero andati d’accordo, loro due. Era questo che lei gli stava dicendo tra quelle labbra. forse le avrebbe dischiuse ancora un po’.
“Sarà il nostro piccolo segreto, mh?”
Lo disse a mezza voce, abbassando lo sguardo su quel piccolo tesoro che presto sarebbe stato suo. Per l’ultima volta.
Per questo non se ne accorse.
Per questo l’adrenalina non colorò il suo odore di quel puzzo acre di piscio in fiamme.
Tutto quello che ho cercato era semplicemente inutile. Priorità crollate come un domino di bicchieri di cristallo in un terremoto. Spezzate dalle azioni degli uomini che non capiscono nulla della vita. Incrinate dalle convinzioni di chi non sa credere nella verità. Tutto quello che cercavo era solo il frutto di un’illusione di superiorità che non ha più senso.
Per questo adesso deve cambiare. Per questo ora l’imperativo non è salvare loro. Ma sopravvivere abbastanza a lungo da poter salvare me stessa.
La porta della stanza spoglia si aprì e due paia di passi entrarono, subito seguiti da altri, più pesanti. la bambola spalancò gli occhi scricchiolanti, fissando il suo servo e lo sconosciuto, di cui però già conosceva il nome. La ragazza dagli occhi brumosi regalò al suo ospite un sorriso pallido e sarcastico, come carta velina stropicciata. Le sue guance si colorarono di un’ilarità dolorosa.
“Perché?”
La voce dell’angelo si scompose in minuscoli granelli di sabbia, ricadendo muta a terra. Lei inclinò il capo, chiedendosi se sarebbe finito a quel modo, con il mostro iracondo che stringeva le mani attorno al suo collo e spegneva ogni sogno. Avrebbe dovuto prendere tempo, ma non se ne diede pena. Ne era già passato troppo.
Il piano è talmente pazzo da essere impossibile. Si aggrappa alle fiabe delle vecchie nei regni d’oriente e alle paure dei fanciulli. È più bollente del fuoco dell’inferno e più gelida del cuore di un padre nelle terre del nord. Eppure è il mio piano, l’ennesimo, l’ultimo. E se non funzionerà tanto vale allargare le braccia e perdere il corpo che ne è responsabile.
Prendimi ora, perché altrimenti la mia anima si nasconderà troppo in fondo.
Non gli rispose. Allargando le dita sui braccioli della poltrona, senza aprire le mani. La sua spia taceva, pronta a colpire per difenderla. Alle loro spalle Akela attendeva, incerto sul da farsi, spostando il peso da un piede all’altro. Il loro nemico avrebbe potuto essere troppo rapido, o troppo temibile.
“Perché lei? Era sola. Stava fuggendo. Non ha più nemmeno un regno”.
L’angelo scivolò sulle ginocchia, lasciando cadere la propria sporta. La sua spada tintinnò sul legno. E lei lesse in lui la debolezza di cui le avevano parlato. Inspirò di sollievo.
“Proprio per questo”.
Si fissarono. O meglio, gli occhi scarlatti si puntarono con malevolenza su di lei. E gli occhi di cristallo si socchiusero su di lui, considerando la possibilità che si rialzasse abbastanza in fretta. I secondi si dilatarono in quello che parve il respiro di un gigante. Poi lei rivolse la propria attenzione ad Akela, le labbra sottili si distesero in un’espressione seria. Un cenno impercettibile del capo lo fece spostare di lato.
Quanto era passato dalla fuga dalla locanda, dall’incontro con l’uomo in verde, dalla strada sopra la città, con la quale il suo servo gli aveva fatto perdere tempo?
Quanto era passato dalla mattina in cui una goccia di veleno era stata versata tra le labbra innocenti di una puttana? E il suo corpo si era spento?
La porta era un semplice battente di legno tarlato dall’odore stantio. Eppure pareva una cornice d’oro attorno al corpo nudo di lei.
Zephyr volse il capo, come se quel sorriso morbido lo avesse chiamato silenziosamente. Spalancò le labbra mentre lei spalancava le braccia mostrando il seno tornito. La sua pelle era rovente, ancora macchiata dalla cenere di un uomo dai piccoli, sordidi segreti. Che sarebbero rimasti tra di loro.
Tra i capelli ancora qualche frammento smozzicato del vestito con cui lui l’aveva avvolta.
Zephyr le corse davanti, avvolgendole le gambe con le braccia e baciandola delicatamente sull’addome.
La ragazza dai capelli di neve sorrise.
La donna che si era chiamata Darlene le rivolse una mezza risata.
“Proprio per questo? Immagino tu abbia una proposta”.
Il mio piano.
È riuscito.
“Dopo che ti sarai vestita. I miei uomini potrebbero eccitarsi. E sarebbe disgustoso”.
Non riuscì a mostrare del vero disappunto. Perché se la leggenda era vera, se Lady Darlen aka Dalys era davvero immortale, allora c’era ancora speranza.
Per entrambe.
CITAZIONE
Qm Point
Benvenuti alla fine della quest e complimenti per avercela fatta *_*/
Forse questo finale vi ha stupito o forse no, ma sappiate che è totalmente frutto delle vostre azioni e che non era esattamente quello programmato. Per entrambi voglio dire complimenti: mi avete messo davanti a delle scelte inaspettate e, ruolando i vostri pg, mi avete messo alla prova più di una volta. Mi sono molto divertita e spero che lo stesso valga anche per voi. Per quanto all'inizio ci sia stato qualche rallentamento, sono molto fiera di come la quest si è svolta ed è terminata.
Ma passiamo a parlare di ciascuno di voi:
Ramses III: Molto bene davvero. Sei riuscito a scrivere assiduamente e con una qualità dei post sempre più che buona. Ruolando coerentemente il tuo pg hai fatto anche scelte che non erano in linea con il percorso suggerito dalla quest, arrivando a creare uno scenario particolare (la tua relazione con Dalys e il suo mancato omicidio da parte tua) che non mi aspettavo de tutto all'inizio.
Anche le tue interazioni con i png sono state ben condotte e ti hanno consentito di ricavare una buona parte delle informazioni che ti servivano. Hai speso i punti a tua disposizione in modo oculato, anche se forse avresti potuto distribuirli meglio sul finale, che aveva l'aspetto di una strategia un po' affrettata e che sfruttava parecchio informazioni off game.
Per quanto riguarda la scrittura, hai dimostrato dimestichezza con il personaggio e la sua interpretazione, pur senza eccedere in virtuosismi. Come già dicevo, la qualità dei tuoi post è sempre parecchio buona, anche se a volte potresti dare maggiore enfasi alle situazioni che crei e rischiano di restare un po' impersonali. Sei un giocatore che conosce bene il regolamento e non si lascia spaventare da quello che succede nel corso del gioco, quindi i miei complimenti.
Ricompensa: 1.000 Gold
Lucius: Anche per te, una qualità dei post sempre buona e una buona assiduità, che ti ha consentito di mantenere sempre il polso sulla situazione in quest. Si vede che ti destreggi bene con il tuo personaggio, anche se ho qualche volta l'impressione che ti stia un po' "stretto" e che potresti tentare qualcosa di più approfondito e complesso a livello di caratterizzazione. Lo stesso vale per lo stile, che riesci a ritagliare su Odette, ma che potrebbe spingersi anche oltre, e diventare ancora più maturo, come alcuni tuoi post sembrano suggerire.
Ho apprezzato la tua strategia, ben calibrata sul tipo di personaggio che usi, e che ha sortito pienamente i suoi effetti, di fatto mettendomi nella condizione di non poterla evitare. Meno oculata è stata la spesa di ben 8 punti per un veleno che avrebbe potuto uccidere Dalys anche più facilmente. Ugualmente poco chiara mi è risultata la strategia di incolpare Ramses anzichè, per esempio, vantarti della tua abilità di assassina.
In ogni caso sono state tutte scelte che ti hanno consentito di raggiungere lo scopo, quindi la mia è una valutazione personale.
Ricompensa: 1.000 Gold