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Il Lascito degli Dèi ~ Oriente

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»Rose
view post Posted on 16/11/2019, 00:16 by: »Rose
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Like a paper airplane


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Regni del Leviatano – Una locanda al crocevia

L’oste sorrise al nuovo arrivato, una smorfia di cortesia che metteva in mostra i denti avariati dal troppo masticare tabacco. Lo invitò a sedersi con la mano callosa, che si asciugò sul grembiule prima di dare un’energica rimestata alla minestra nel pentolone sopra il camino. Era la sua serata fortunata: un certo numero di viaggiatori si era fermato proprio lì, lungo quella strada che dal giorno in cui la voce era risuonata nelle loro orecchie era rimasta quasi del tutto deserta. La gente temeva il ritorno del mostro, l’apocalisse, la fine del mondo. A parte qualche intraprendente mercante, nessuno si spostava più da una parte all’altra della regione.
Il ragazzo aveva un aspetto strano, inusuale per quelle terre. La sua pelle era color dell’avena e gli occhi, allungati e scuri, parevano sempre sul punto di sfuggire per evitare il contatto diretto. Anche i suoi capelli, dritti, neri come le ali di un corvo, suggerivano che fosse uno straniero. Indossava un curioso abito tradizionale, una casacca con le maniche ampie, legata in vita e che terminava in modo simile a una buffa gonna poco sopra le ginocchia. Avrebbe fatto quasi ridere se non fosse stato per la coppia di spade che gli pendeva al fianco.


Prenderò della zuppa, buon uomo, ma solo tra poco”.


Gli rivolse un inchino, altra cosa molto strana, prima di dirigersi a passo sicuro verso uno dei pochi tavoli occupati. L’oste si grattò la fronte stempiata e annuì leggermente: i casini e di freak finivano sempre per attirarsi l’uno con l’altro. Niente da stupirsi, perciò, che al tavolo bersaglio dello straniero fossero seduti due individui altrettanto fuori dall’ordinario. Un uomo con i capelli candidi come neve si sporgeva a sussurrare qualcosa all’orecchio di una donna coperta a malapena da un’ampia gonna, un mantello leggero e una fascia sul petto. I capelli di lei ricordavano quelli del giovane, ma gli occhi, quelli erano delle terre del Leviatano, verdì come smeraldi e freddi come argento. L’aveva subito identificata come una puttana, una di quelle per ricchi, con tutti i denti sani e la striscia nera sopra gli occhi, con il denaro per tatuarsi. Non aveva saputo resistere al sorriso di lei, si era subito ammorbidito consentendo loro di fermarsi per la notte. Era proprio curioso di sapere se i due uomini avrebbero impugnato le armi per lei.


Vi ho cercato a lungo, Rosa, Signora d’Oriente”.


Il giovane proferì un nuovo inchino, la testa così in basso da sparire dietro il profilo dei tavoli. L’oste si sporse in avanti, per sentire cosa stessero dicendo sopra il crepitare delle fiamme. Le labbra di lei si dischiusero in un sorriso che pareva divertito, gli occhi si illuminarono di una luce inaspettata. Si protese verso il proprio compagno, nascosta dietro il suo orecchio disse qualcosa di inudibile, di certo qualche strategica considerazione sul da farsi.


. . .

Come fa questo cazzone a conoscermi?


Le labbra di Dalys si stirarono in un nuovo sorriso, metà ostile e metà incuriosito. Lui non l’aveva sentita, perché era ancora chinato verso il basso. Se solo avesse voluto avrebbe potuto spezzargli il collo con un solo gesto. Zephir aveva lasciato cadere la mano sul pomolo dell’arma, noncurante. Sapeva che al primo accenno di pericolo avrebbe distrutto quel luogo.


Mi stupisce che mi abbiate cercato. Fino a poco fa nemmeno io sapevo di esistere ancora”.


Il giovane si rialzò, intrecciando le mani davanti al petto. Si sporse un poco, quasi a rivelare un temibile segreto. Aveva occhi innocenti, da adolescente che non ha conosciuto il mondo. Occhi che lei aveva perduto da troppo tempo. La sua voce sapeva vibrare per le piccole emozioni e le punte delle dita dovevano essere fredde, ancora incapaci di scaldare un’amante in autunno. Provò una stretta al cuore gelido, il desiderio di poterlo compatire, stringere a sé, consolare come una madre. Ma il suo ventre vuoto e buio glielo impediva, avrebbe potuto solo divorarlo.


Naturalmente, Signora. Ma la vostra…rinascita…se posso permettermi di chiamarla così, è merito nostro. Noi l’abbiamo voluta e quindi abbiamo confidato che fosse andata…a buon fine. Che vi avremmo trovata”.


Lei sollevò un sopracciglio. Con la mano sinistra strinse la coscia di Zephir, sentendolo rabbrividire. Non sapeva nemmeno lei se il suo fosse un modo sottile di stuzzicarlo oppure il segnale per impedirgli di tagliare la lingua all’impudente. Cercò di cancellare la propria perplessità.


Vostro?


Non poteva essere. La sua città, la sua capitale circondata dalle mura, era stata conquistata e distrutta. La sua gente, le sue guardie, i suoi fedeli, erano stati dispersi, acquisiti, avevano cambiato nome. Erano diventati i servi di qualcun altro. Non lo aveva visto accadere, ma sapeva che doveva essere successo: accadeva per tutti i regni, per tutti i sovrani. Le sue paure erano morte con lei, i suoi confini dovevano essere stati aperti e profanati come un corpo desiderato troppo a lungo.


Noi, signora, ci siamo chiamati il Secondo Regno d’Oriente. In vostro onore”.


Questa volta non riuscì a trattenersi. Rise forte, troppo forse, senza nemmeno coprirsi la bocca con la mano. Gettò indietro la testa, scoprendo il bel collo sottile. Durò poco, poi tornò a sporgersi avanti, questa volta poggiando al piano del tavolo entrambe le mani, il petto leggermente proteso, come un felino sul punto di azzannare la preda alla gola.


Voi – quanti? – avreste RIFONDATO il regno d’Oriente?


Gli piantò gli occhi dentro, sentì il suo tentennare. Seppe che la desiderava dal modo in cui le guance gli avvamparono. Debole, aveva ceduto istantaneamente, non le avrebbe mentito. Si alzò in piedi, scivolò al suo fianco, gli avvolse il mento tra le dita, obbligandolo ad abbassare la testa per respirare il suo profumo, il suo fiato intriso di alcool, la sua minaccia bollente.


Siamo una trentina, ma ci consideriamo il seme di qualcosa di più grande”.
Dove?
Abbiamo una base, non l’antica città, quella non potevamo. Abbiamo fatto il possibile. Noi credevamo nel vostro messaggio, dovevamo riportarvi indietro”.


La stretta di lei si fece più forte. Alle sue spalle Zephir aveva spinto indietro la sedia con uno scivolio prudente. Non si sarebbe fatto attendere. Se l’altro avesse reagito, l’angelo lo avrebbe separato dalla Rosa con un netto, preciso, taglio di lama. Avrebbe separato anche lui da se stesso, probabilmente.


Il mio messaggio…” Gli sospirò addosso. Gli sfiorò il naso con la mano libera, quasi una carezza. “Ho un messaggio?
Il ragazzo era turbato, quasi tremava, eppure cercò di riacquistare compostezza.
Proteggere i deboli e gli innocenti. Difendere il regno del Leviatano. Fedeltà al Re Invincibile. Onore”.


Evitò di ridergli in faccia, ma fu faticoso. Erano così vicini che avrebbe potuto slacciargli quello stupido kimono cerimoniale che indossava e lasciarlo mezzo nudo, imberbe e ridicolo in mezzo a una taverna. Erano così vicini che avrebbe potuto atterrarlo e renderlo inerme prima che riuscisse a raccontarle di nuovo quella scemenza sulla fedeltà e sull’onore.


Tu. non. Sai. Un. Bel. Cazzo”.


Pronunciò quelle parole quasi senza voce, articolandole solamente con le labbra. Gli afferrò le mani nelle proprie poggiandogliele contro il petto. Sentì il suo cuore accelerato, incredulo, spaventato. Sentì il suo coraggio palpitarle contro i pugni. Le ricordò una creatura che aveva conosciuto, anni prima, prigioniera di un corpo senza volto, una creatura che credeva negli ideali. Forse avrebbero avuto gli stessi occhi.
Si staccò con una piroetta, ritornando vicino a Zephir, appoggiandosi alla spalla dell’angelo che la cinse con un braccio.


Difendere il regno. Certo. È proprio quello che faremo. Io, il mio amico angelo, voi. Mostratemi questa vostra base, EROE, e io vi insegnerò a pulirvi la bocca di tutti quei paroloni e a parlare come si conviene a un guerriero”. Carezzò la guancia di Zephir. “Non è proprio un bel bocconcino con tanto da imparare?


Rise, felice di aver provocato l’angelo. Felice di aver trovato una soluzione.
Una da due soldi, inesperta e troppo ottimista, ma pur sempre una soluzione.


 
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