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Il Lascito degli Dèi ~ Intermezzo

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»Rose
view post Posted on 18/12/2019, 11:25 by: »Rose
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Like a paper airplane


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Campo di battaglia del Nord – pochi giorni fa

La neve era scura di terra e sangue. Qua e là si sentivano gemiti, pianti, clangore esausto di metallo. Alcuni levavano le mani verso il cielo, a pregare per il ritorno di un vero dio. La maggior parte sapeva che la speranza non sarebbe venuta da sopra le nuvole dense.
Riprese ripreso a nevicare con fiocchi grandi e radi come batuffoli di cotone. Si posavano sulle ferite e sui cadaveri, coprendo in un unico velo le sorti di quella battaglia. Non sarebbe passato molto tempo prima che quel luogo divenisse leggenda, che la fossa comune scavata con le mani bluastre e gelate dai soldati del Dortan fosse dimenticata in favore dei racconti sullo scintillare delle loro armature. Nessuno avrebbe più parlato delle lacrime, dell’odore di piscio ed escrementi, della paura folle che aveva fatto tremare le gambe di alcuni, del tentativo inutile di fuga dei più giovani. Nessuno avrebbe parlato di come lei si era chinata a reggere la testa di chi non ce l’aveva fatta ed aveva ceduto sotto la furia cieca di nemici poco più che bestiali, decisi ad affermarsi in un mondo di carne ed ossa, un mondo di uomini e donne.
Dalys del Toryu, Dalys di Dortan, sedeva accanto a un fuoco di fortuna, cercando di medicare le ferite di quello che era diventato il suo generale. Il loro volto era pallido e sporco del sangue di altri. Lei era stata ferita più e più volte, ma era comunque sopravvissuta, perché non aveva alternativa. Anche questo non sarebbe stato detto. Piuttosto si sarebbe parlato di come era torreggiata sopra i suoi nemici, di come li aveva incendiati, smembrati, di come le sue urla di incoraggiamento avevano messo in fuga gli ultimi drappelli rimasti. Li aveva inseguiti finchè aveva avuto fiato, quando il cavallo era stramazzato li aveva rincorsi a piedi. Aveva strappato le teste dal collo a mani nude, li aveva graffiati e morsi con la furia di una bestia feroce. Folle, come era stata abituata ad essere. Sulla bocca dei bardi sarebbe diventata eroica.
Ora sedeva, senza più energia, gli occhi che faticavano a concentrarsi su quello che le stava davanti. Avevano iniziato a riportare a casa i feriti, avevano seppellito i morti, aveva incendiato gli stendardi della moltitudine infernale. Non sarebbero tornati, non tanto presto.


Abbiamo vinto”.


La voce del giovane pareva provenire da un altro universo. Si concentrò, corrugò la fronte, lo mise a fuoco. Lei, perfetta nonostante quella giornata, lui con un lungo taglio sanguinante sul petto. Eppure sorrideva. Le prese una mano nelle proprie, la mano indolenzita con cui aveva stretto la spada. Il guanto era sbrindellato.


Abbiamo vinto”.


Ripetè di nuovo. Dalys si accorse di non riuscire a crederci.
Sulle guance le scesero due lacrime pesanti e solitarie. C’erano riusciti. Ce l’aveva fatta. Gli uomini le si raccoglievano intorno in silenzio, in attesa. Forse anche loro non credevano possibile di essere lì, sotto quella neve gelida, a guardare quella donna che era riuscita, per la prima volta, a non fallire.
Si alzò in piedi: erano tutti guerrieri eppure tra loro pareva troneggiare, risplendere di luce propria. I capelli arruffati le scivolarono sulle spalle. Guerriera, così l’avrebbero chiamata d’ora in poi. Non più concubina, non più puttana.
Pensò che avrebbe voluto il suo Sovrano fosse lì in quel momento, fosse orgoglioso di lei.
Sorrise appena, nonostante ogni minimo movimento le facesse gridare i muscoli di dolore, per rassicurare quei giovani che per la prima volta avevano visto in faccia la morte. Che avevano davvero rischiato tutto.


Torniamo a casa”.



Accampamento nelle pianure dei Regni del Leviatano – ora

È l’alba eppure tutte le fiaccole sono già accese e i soldati sono sull’attenti, le picche levate verso il cielo, i volti fissi in avanti. L’esercito è schierato fuori da una sola tenda, al proprio meglio. Negli occhi si leggono gioia e orgoglio, ma soprattutto speranza, la consapevolezza che non tutto è finito, che c’è ancora una possibilità.
Oltre i ranghi, uomini e donne di ogni ceto sociale, contadini curiosi e menestrelli, signori della guerra e mercanti, si sono radunati per vedere qualcosa. Alcuni non sono nemmeno umani, e dalla serietà dei loro volti si comprende l’importanza di quel momento. Attendono sotto il sole che sorge, quasi trattenendo il fiato.
Dentro la tenda, così sottile da lasciar trapelare i raggi luminosi, Zephyr Luxen Van Rubren, l’Angelo della Cenere, la creatura che più di tutte ha voluto questo momento, attende in silenzio con un mezzo sorriso sul volto. La guerra è passata su di lui senza scalfire la sua bellezza senza tempo.


Ci sono perfino degli orchi”.


Kioshi d'Oriente, il suo generale, pare stupito. La cicatrice che gli scende dal mento al collo gli dona, lo rende più maturo anche se ha deciso di non coprirla con la barba.


Probabilmente sanno che ai vecchi tempi Hoggar aveva gradito la mia presenza”.


Una risatina. L’angelo sorride a propria volta. Incorreggibile – è quello che pensa. Eppure i suoi pensieri non sono più adirati, ma stranamente pacati, quasi con un fondo di dolcezza. Guarda la Rosa socchiudendo gli occhi, riempiendoli della lunga treccia scura che le cade sulla schiena tatuata, del suo profumo che sembra sempre un po’ acerbo, del vestito elegante intessuto per l’occasione. Non è più la lasciva regina d’oriente. Non porta più scarpe rosse.
Gli si affianca. A piedi nudi la sovrasta di tutta la testa. La mano di lei è piccola, morbida, si infila sottile in quella di lui, coperta dai guanti candidi. Lo guarda. Negli occhi le legge una maliziosa risolutezza. Gli sorride. Zephyr si rende conto di aver aspettato a lungo quel momento e ora, mentre Kioshi li precede, si sente quasi impaziente. Da fuori la voce del giovane proviene lievemente attutita.


Soldati, generali, uomini e donne di queste terre. Ecco Dalys, Generale dell’esercito del Dortan, Reggente dei regni degli uomini, Speranza di Basiledra”.


Un boato.
La mano di lei trema lievemente, le punte delle dita sono livide. Gli pare incredibile che possa ancora provare paura, dopo tutto quello che ha visto, dopo tutti quegli anni di immortalità. La avvicina a sé lievemente, senza parlare. Sa che non ne hanno bisogno. Lei ha lo sguardo fisso, le labbra ridotte ad una linea sottile, tesa.
Nonostante questo iniziano a camminare all’unisono, come se avessero provato quel gesto molte volte. Quando escono dalla tenda le grida si fanno più forti, le lance sbattono a terra, i soldati alzano la propria arma e poi si inchinano in segno di rispetto.
Lei cammina senza incertezze, nonostante il tremore della mano e delle spalle. Si ferma soltanto quando è salita in piedi sul palco allestito la sera prima. Su un palo è stata issata una bandiera blu cielo senza alcuna insegna, la bandiera che rappresenta la loro speranza, che cancella le loro differenze.
Lui la aspetta ai piedi dei pochi scalini, le guarda la schiena dritta, i piedi che strisciano incerti sulle assi di legno.
Lei guarda il cielo, le nuvole rade, poi le persone che la fissano attendendo le sue prime parole. Pensa a quando si è svegliata sotto terra, con la consapevolezza che tutto sarebbe potuto finire. Pensa che vuole difendere quel che resta di quel suo mondo disastrato e sconvolto, che vuole farlo con tutte le proprie forze. Che lo farà.
Perché lor credono in lei. Gli occhi le diventano lucidi. Aveva pensato a un discorso, ma al momento di parlare le si spezza la voce, le parole le scappano dalla mente. In una cosa i suoi predecessori avevano ragione: non è brava a pianificare.
Sorride. Basta quel gesto perché alcuni, nella platea, si innamorino istantaneamente di lei.


Grazie”.


È tutto quello che riesce a dire, prima di riprendere fiato, mentre le grida di esultanza la assordano nuovamente.
Zephyr applaude alle sue spalle. È felice che sia lì, per la prima volta dopo tanto tempo. Respira lentamente.
Quando tacciono, le parole sono tornate tutte al loro posto. Nel suo sguardo brilla quella luce di sfida che le è sempre appartenuta. Spera che il Kishin la veda e che tremi. Perché loro hanno appena iniziato.

 
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