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| Il Consiglio Straordinario per la Sicurezza di Lithien era stato costituito diciassette giorni prima, a seguito di un ermetico decreto del Circolo degli Anziani. Da allora il Consiglio si aggiornava con regolarità: riunioni di due ore massimo, due volte al giorno, per perfezionare i piani di emergenza e fare il punto sulla situazione interna. Ne facevano parte eroi di guerra, studiosi, arcanisti e persino qualche civile, accuratamente scelti dagli Anziani per via delle loro qualità più che per posizioni gerarchiche. Il mandato era tanto semplice quanto immensa era la responsabilità: provvedere alla sicurezza di Lithien e dei suoi abitanti, a qualunque costo. Josiah stava discutendo animatamente con il resto del Consiglio, riunitosi in una stanza scarsamente illuminata dell'antichissima Biblioteca. Un'ala di essa era stata prontamente sgomberata e riconvertita in una serie di spazi per riunioni e coordinamento, vista l'emergenza imminente. La luce soffusa, sufficiente appena a illuminare i profili seri di una ventina di persone che lì si trovavano, proveniva dal centro dello stanzone. Al di sopra di un pesante tavolo di legno fluttuava Lithien stessa, sospesa e luminescente, con un diametro di cinque metri appena ma riprodotta nel più piccolo dettaglio da un misto di nebbia, luce e arti magiche. Aguzzando la vista era possibile scorgere centinaia di minuscole figure che in quell'istante preciso brulicavano nelle strade, e i piccoli vessilli in cima alle guglie erano mossi da un vento straordinariamente forte. A racchiudere la città vi era uno spesso perimetro pulsante. Lo stratega prese parola, leggendo da alcuni appunti. «Colleghi del Consiglio, è con grande rispetto che vi parlo. Ma non posso trattenermi dal dire che stiamo riservando troppa attenzione alla parte delle mura arcane che da sul passo, come se quello dovesse essere il punto prediletto per l'attacco» fece Josiah, con voce roca e stanca. «L'ho detto e ripetuto numerose volte, non possiamo permetterci di sbilanciare i nostri sforzi e scoprire il fianco, qualsiasi fianco. Non si tratta dello stesso nemico che molti anni fa voleva conquistare il nord, quando l'unica preoccupazione di Lithien era conservare i suoi preziosi tomi. Chiunque abbia letto delle battaglie dell'Edhel dello scorso decennio non può che rendersene conto. Quello di oggi è un nemico che non vuole conquistare ma distruggere. Il passato ci insegna qualcosa: ascoltiamolo, perché altrimenti la disfatta è certa. Ma accorgiamoci delle differenze oltre che delle somiglianze. Anche laddove le montagne sembrano prestarci protezione, occorre rinforzare le nostre difese. Le milizie devono essere distribuite equamente.» «Le milizie sono distribuite equamente. Con permesso.» Prese allora la parola un vecchio che si faceva chiamare il Falco. Nulla del suo aspetto faceva pensare al rapace: centinaia di rughe gli attraversavano la faccia, ma erano evidenti solo laddove non erano ben coperte da una barba perfettamente bianca. Solo i dettagli sull'araldica della sua vecchia e lurida armatura, della quale era rimasto solo qualche pezzo ma che pur indossava spesso, ricordavano il volatile. Era solito aggirarsi per i corridoi disarmato e con lentezza, ma un certo guizzo negli occhi, che emergeva ogni volta che prendeva parola, permetteva di intravedere una ancor prodigiosa vitalità. Il Falco era tra le persone incaricate di radunare e gestire la milizia cittadina. Cominciò quindi a illustrare in che punti della città fossero presenti i gruppi di guerrieri permanenti, quanti fossero e come al primo allarme almeno sei volte quel numero sarebbe stato pronto a combattere nel giro di mezz'ora o poco meno. In quei giorni tutta la città era stata mobilitata al medesimo fine e spesso persino bambini, vecchi e donne rifiutavano di farsi da parte e si dimostravano pronti a combattere. Seguivano l'esempio di quegli eroi che a centinaia abitavano le vide di Lithien e che volevano per quel luogo solo pace e prosperità. Si discusse ancora a lungo e Josiah rimase in silenzio, riflettendo. Sentiva nel profondo delle sue membra che ben presto il momento di parlare sarebbe terminato, e il valore delle parole sarebbe stato confermato solo dalla forza nelle braccia. Non temeva tale prova—mai lo aveva fatto—ma l'oscura incombenza si faceva sempre più grande. Era da sette giorni che si spostava armato fino ai denti, con l'immancabile tomo sottobraccio. Non poteva permettersi di perdere l'iniziativa. «Qualcosa non va» dichiarò improvvisamente un'elfa dal fondo della stanza, interrompendo un'accesa discussione su come provvedere alla scorte di cibo nel caso di assedi molto prolungati. Si scoprì il capo dal cappuccio, e fu evidente a tutti fosse un'Arshaid—cosa rara persino a Lithien. Il Falco chiese spiegazioni. «C'è qualcosa che non va, è come se il nemico fosse improvvisamente vicino, da un istante all'altro. Lo posso sentire. Guardate» fece l'arcanista, artefice della mappa della città, indicando la sua creazione. Nei quartieri più bassi sembrava si fosse messo in moto qualcosa. Il consiglio prese a discutere con ferocia. La conversazione sul da farsi venne interrotta bruscamente dopo qualche minuto appena. Il portone si aprì, sbattendo contro il muro con fragore. Un piccolo funzionario della città, imbacuccato in vesti pesanti e col fiatone, cominciò a blaterare qualcosa. «Sta, sta cominciando! I Demoni sono in c-città! Il borgo è in disordine, non sappiamo da d-dove arrivano, non... non sappiamo» farneticò quello, per poi piegarsi su se stesso e riprendere fiato. Josiah fu il primo a scattare mentre gli altri ancora sfoderavano espressioni di sconcerto e si guardavano intorno. Giunse a lunghi passi fino al portone: aveva già la spada sguainata nella mano destra e il Tomo ben stretto nella sinistra. Spinse via il ragazzetto, che non aveva fatto in tempo a scansarsi, e scomparve per i corridoi della biblioteca. «Sono pronto» mormorò a se stesso.
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Tra le tante cose in cui Taliesin poteva sostenere di eccellere, lo sgattaiolare tra i vicoli era forse quella che in assoluto gli riusciva meglio. Nonostante preferisse spesso percorrerli a testa alta e in mezzo alla via, non privo di una certa arroganza, anche essere in grado di passare inosservato e darsi alla macchia era una preziosa competenza. Urla e strepiti si alzavano dalle abitazioni e dalle vie vicine mentre il bardo si avvicinava al limitare della città. I quartieri bassi avevano preso fuoco in alcuni punti. Il Bardo aveva contato solo una dozzina di cadaveri per la strada che aveva percorso ma sapeva che ben presto la situazione sarebbe peggiorata. Quando il Circolo degli Anziani lo aveva congedato in tutta fretta proprio nel mezzo dell'udienza, il suo istinto gli aveva comunicato chiaramente un imperativo: mettiti al sicuro. Scendendo dalle cime più alte della città aveva capito che difficilmente avrebbe trovato sicurezza a Lithien stessa, tanto e tanto in fretta la situazione era degenerata. Con la volpe d'ombra che gli stava alle calcagna, priva di espressione ma con un fare sospetto e ostile, si era quindi diretto verso la porta più vicina a lui. Avrebbe raggiunto la Ruadh, ricongiungendosi a Jevanni se le circostanze lo avessero permesso. In fondo il mio lavoro l'ho fatto, pensava mentre si infilava in un vicolo sudicio e buio e attendeva che una truppa di milizia passasse. Ho portato l'ambasciata di Glacendrangh, ora Lithien è dalla nostra parte e io— «Può bastare.» Taliesin rimase pietrificato. Guardò prima alle sue spalle, con la coda dell'occhio. Poi fece un giro su se stesso, la mano già sull'elsa di Fabula. Ma era da solo. Riprese a camminare. «Taliesin» ripeté la voce. Nella maniera in cui la voce pronunciava il suo nome c'era del disprezzo, decisamente malcelato. Solo allora il vagabondo si accorse che era la volpe a chiamarlo. La stessa volpe che lo seguiva fedelmente, restando sempre a un passo dalle sue caviglie. Parlava direttamente alla sua testa con tono minaccioso. «Ascolta, Volpe dei miei stivali, non so cosa tu sia ma puoi anche—» Un dolore lancinante colpì il Bardo. Gli parve quasi che il cervello stesse improvvisamente gonfiandosi, premendo verso la fronte e sugli occhi. Dovette chiuderli e se li massaggiò con i palmi delle mani, cercando di attenuare l'improvviso gonfiore. Temette di poterli perdere, temette potessero cadergli fuori dalle orbite. Non riuscì a dire altro. «Taliesin, è finito il tempo in cui puoi fuggire. Per cento volte lo hai fatto, ma oggi non puoi. Hai responsabilità che non puoi più eludere.» Quando il bardo riuscì ad aprire gli occhi, ridotti a due fessure gonfie, si accorse che della volpe era rimasto poco e che un'ombra ben più grande incombeva su di lui. Provò a balbettare qualcosa ma venne presto inghiottito dall'orcurità. «Osserva. Osserva cosa è successo ogni volta che Taliesin il Bardo se l'è data a gambe.» Nell'immaginazione dolorante del musico, come in un sogno febbricitante, si dipinse a tinte vivide il passato e le sue immani disgrazie. L'uomo si accasciò a terra, arrendendosi alla forza dell'ombra. Le cento volte in cui egli scappò gli passarono davanti agli occhi in lunghi istanti e con loro le conseguenze delle sue azioni sconsiderate. Uno dopo l'altro, gli innocenti e sconosciuti che avevano perso la vita. Uno dopo l'altro, i luoghi rasi al suolo. Ma più di tutto questo, le persone che non avrebbe più rivisto. Una, più di ogni altra. Comprese allora il suo contrappasso e vi si abbandonò, catatonico. Forse era giunto ad accettarlo.
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Josiah combatteva da solo. Non faticava a distinguere gli abitanti di Lithien dalla progenie demoniaca ed era anche immune alla tragicità della circostanza. Forse era persino incapace di coglierla. Tuttavia, distinguere i nemici dagli alleati e toglierli di mezzo in maniera efficiente era stato il suo lavoro per molti anni; quel giorno, per quanto drammatico, non avrebbe di certo cancellato anni di addestramento ed esperienza. Come un meccanismo bene oliato, egli eseguiva le medesime azioni a ripetizione: guidava la milizia alla carica, ripulendo via dopo via e permettendo agli abitanti barricati nelle abitazioni di ripiegare verso il centro della città. Era il primo ad avanzare e l'ultimo a voltarsi. Brandiva la spada e recitava parole in una lingua sconosciuta, dopo le quali saette fragorose o esplosioni tonanti ripulivano le vie da gran parte dei demoni che le infestavano. Poi avanzava con la milizia e a colpi di arma bianca sbaragliavano i pochi nemici rimasti. Ma per ogni dozzina di bestie tolte di mezzo ve n'era un'altra, poco lontana, pronta a sostituirla. Lo Stratega cominciava ad accusare la fatica. La parte superiore di Lithien ormai non era molto lontana: si trattava solo di dosare con prudenza le energie e attenersi al protocollo. Il Consiglio operava così anche nel resto della città, in poco meno di cinquanta gruppi di milizia costituiti nei giorni precedenti. Quando compresero che cosa stava succedendo agli abitanti, che avevano preso a tramutarsi in demoni come se lo fossero sempre stati, fu evidente quanto l'emergenza fosse enorme. La scelta fu quella di dividere la popolazione non infetta dagli abitanti che potevano essere salvati. Solo allora sarebbe stato possibile guidare una vera e propria offensiva e respingere i demoni. Tutti coloro che erano in grado di combattere stavano coprendo la ritirata della popolazione civile, mettendo in sicurezza le vie per cerchi concentrici. Tutto quanto nel minor tempo possibile. Solo allora si sarebbe potuti passare a un contrattacco. La fortuna di Lithien fu quella di essere abitata dalle personalità più celebri e potenti del continente. Quegli stessi eroi di guerra che decenni prima avevano difeso il Talamlith o le altre regioni del nord dal primo esercito di Shahryar, e che poi avevano scelto di godersi riposo e gloria proprio in quella città, erano ora chiamati a impugnare nuovamente le stesse armi gloriose e respingere un nemico simile. Molti si sentivano naturalmente portati a opporsi all'orda demoniaca. Così fiumi di fuoco inondavano le strade, carbonizzando le parti infette, mentre paladini nelle loro armature scintillanti e forti della loro rettitudine si muovevano tra i demoni come lame calde nel burro, mietendo vittime e salvando vite. Ognuno combatteva per se stesso, forse scoordinatamente, ma tutti combattevano per Lithien, la città che li aveva accolti. La resistenza fu prodigiosa, mentre gli abitanti rimasti si mettevano in salvo verso quartieri più sicuri, resi salubri dalla magia. Se Lithien non fosse stata sul punto di essere travolta da una forza soverchiante da un istante all'altro, forse si sarebbe cercato un modo per bloccare o addirittura invertire l'infezione. Era evidente a tutti, tuttavia, che le radici di quel male fossero troppo profonde per strapparle in una notte appena. Fondamenta di un piano machiavellico in atto da chissà quanti decenni, fecero comprendere a Josiah quanto astuto e subdolo fosse il nemico. Vista l'emergenza e il rischio di venire spazzati via, la parte infetta della città andava trattata come tale: fare terra bruciata, più che strappare le erbacce, era quel che andava fatto. Il Consiglio e il Circolo avrebbero trattato l'infezione come un tumore, e come tale lo avrebbero combattuto. Giunto al limitare del perimetro interno, Josiah prese fiato. Avrebbe dovuto guidare l'ultima carica, evacuando anche quella via, per poi celarsi dietro nuove mura magiche e riunirsi col resto dei combattenti. L'orda demoniaca andava però accumulandosi, minuto dopo minuto, e a ogni carica la milizia ne usciva decimata e spossata. Lo stratega guardò i suoi uomini ma non ebbe per loro alcuna parola di conforto. Permise qualche istante ti riposo in più, nient'altro. Fu allora che, con la coda dell'occhio, vide passare un mantello rosso in fondo alla strada. Era certo di non esserselo immaginato.
Taliesin giunse alla porta centrale della città, laddove era certo che il gruppo più grosso della milizia cittadina si sarebbe riunito. Era lì che voleva dirigersi, perché lì più che in qualunque altro punto avrebbe potuto fare Camminava con sicurezza. Alle calcagna aveva ancora la piccola volpe, ma non ci badava già più. Giunse proprio mentre un vecchio in armatura, imperioso davanti ai suoi uomini, li incitava al coraggio. Aveva pronte almeno un paio di cose da dire per fare effetto e rinvigorire il morale dei soldati, ma le parole gli si strozzarono in gola appena il Falco voltò lo sguardo verso di lui. Taliesin per poco non inciampò. «Io... io so chi sei» mormorò il bardo, ancora distante molti metri dal vecchio. Quello dovette sentirlo o forse intuì le parole. Parve pronto. «Il bardo del buonsenso. Che sorpresa, ti avrei dato per morto. Unisciti a noi, ragazzo. In fretta!» Ancora sconcertato, il bardo si unì di corsa alle fila della milizia. Questa volta era davvero pronto a combattere, forse per la prima volta nella sua vita. E lo avrebbe fatto a fianco di Sir Donovan Von Bozeck, proprio come molti anni prima, quando era la Regina Alexandra a guidarlo.
Nessuno poteva scorgerli ma nelle stanze più alte di Lithien uno stretto collegio di Arcimaghi, riuniti da ore attorno a un altare, stava recitando in coro lunghe formule che da tempo non venivano pronunciate. Fu solo quando le milizie compirono l'ultima ritirata, mettendo in sicurezza il perimetro concordato, che l'energia da loro richiamata cominciò a filtrare dalle guglie più alte. Scese verso la città come una nebbia luminescente. Essa abbracciava ogni cosa, lenendo le sofferenze degli abitanti e proteggendo il marmo che ne rivestiva gli edifici. Presto Lithien, la città della conoscenza e della magia, sarebbe stata pronta al contrattacco.
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(Il Crocevia, giorni dopo)
Quando il Piccolo Popolo giunse nei paraggi, le sentinelle Arshaid non credettero ai loro occhi. Che persino le creature più mistiche e misteriose di tutto l'Edhel, esseri generalmente schivi e pacifici, avessero scelto di unirsi all'alleanza coordinata dalle Lanterne, era un fatto di per sé straordinario. Era indicativo di quanto la minaccia fosse incombente e critica, tale da muovere all'azione anche razze antiche che poco avevano a che fare con i problemi di elfi e umani e le questioni politiche dell'Edhel. Mai, nella loro storia, essi si erano uniti sotto un vessillo e poche volte avevano marciato assieme in quantità simili. Il Piccolo Popolo sfuggiva agli intrighi e ai conflitti del continente, si nascondeva nelle parti più oscure della vegetazione, per riemergere appena la tempesta si sarebbe placata. Ma forse mai come allora la loro esistenza era mai stata minacciata in quella maniera. Non avrebbero potuto aspettare che la tormenta si placasse. Non quel giorno. Giunsero all'alba, fermandosi al limitare di un'ampia radura laddove una truppa di Arshaid pattugliava i confini dell'enorme accampamento conosciuto con il nome di Crocevia. Erano migliaia, nascosti nella fitta boscaglia. I più erano folletti, ma tra di loro brulicavano le razze inumane tra le più disparate, dalle piccole fate alate fino alle driadi dalla pelle di quercia. Con loro anche grossi golem dall'aria placida, uomini albero che svettavano dalle fronde immobili dei loro fratelli e gnomi chiassosi che si affollavano ai loro piedi. La marcia pacifica del Piccolo Popolo verso l'esercito dell'Edhel era stata monitorata attentamente dalle sentinelle, che solo su di una cosa erano d'accordo: quella compagine eterogenea di inumani doveva essere tenuta assieme da necessità drammatiche o da un carisma straordinario. Fu una fortuna che fosse proprio il vecchio Amdir, che aveva visto più inverni di tutti gli altri suoi compagni, a condurre la pattuglia, quella mattina. Egli era un elfo taciturno e paziente, memore del passato della sua tribù più che molti altri, ma anche tra i più capaci di riflettere e discutere. Si fece avanti e prese parola, parlando nella sua lingua. «Il Piccolo Popolo, la mia tribù vi saluta con tutti gli omaggi. Vi accogliamo in pace. Ma non possiamo accogliere in pace anche la feccia che portate con voi. I vagabondi traditori della razza non combatteranno con noi. Non vogliamo altri nemici al nostro fianco.» A quelle parole così secche (quelli erano in fondo gli ordini) seguì un mormorio diffuso. A quel punto dalla boscaglia emerse una figura. Amdir trasalì, poiché solo un imbecille non l'avrebbe riconosciuta in pochi istanti. «Terminato è il momento dei rancori, amico elfo» fece l'individuo, che vestiva lunghi abiti neri e portava un grosso cilindro del medesimo colore. Fluttuava a qualche spanna dal terreno. «Rispetta il Piccolo Popolo e accogli chiunque si sia riunito sotto la mia egida. Io sono il Re delle Fate e loro seguono me. Il rispetto nei miei confronti vi impone di accoglierli» aggiunse Lanhai, con voce estremamente calma. Amdir rimase zitto per qualche istante, insicuro su come replicare. «Lanhai, il mio popolo ti è eternamente grato per tutto quello che hai fatto in questi anni. Non intendo mancare di rispetto. Ma quelli che io seguo sono ordini precisi e i Rahm as Aid non possono...» «Dimostra la tua gratitudine e risparmia il fiato, Amdir figlio di Galdor. Chiama Alder Gwydion, dille che sono giunto per prestare servizio all'Edhel, e tieni a bada i tuoi soldati. Che non venga scagliato nemmeno un sasso» aggiunse. La falce bianca, in quell'istante, si materializzò nella sua mano. «La aspetterò qui.» Con un gesto vigoroso ma privo di ostilità egli tracciò un solco nel prato davanti a sé e pianto la falce al suo fianco. Rimase in attesa, come assorbito in pensieri troppo importanti perché dei mortali potessero disturbarlo. Amdir annuì appena e ordinò a due dei suoi di muoversi.
Mi scuso per il post: la versione che ho prodotto è forse la metà di quanto avevo progettato, ma problemi di salute non mi hanno davvero lasciato altra scelta. Credo sia piuttosto chiaro quel che succede, quindi mi limiterò a spiegare i riferimenti un po' più oscuri. Per cominciare, la trama continua a essere coerente con quanto succede ai miei due colleghi, nonostante siamo ormai in due momenti cronologici distinti. Rimando a quanto scritto da Coldest per comprendere tutto il contorno. Il primo quarto del post è un breve scambio di parole in questo Concilio neoistituito per la difesa della città che si fa gabbare dall'attacco del Kishin. Josiah, persona piuttosto pragmatica, esce a fare il culo a parecchi demoni. In questa parte il riferimento a Stygis è legato a quanto fatto dal mio personaggio a Lithien durante quel periodo. Esiste un duello a tal proposito, ma non lo linkerò poiché nemmeno io avrei voglia di leggerlo. Il secondo quarto è Taliesin che torna a indugiare nel suo darsela a gambe nel momento del bisogno, come fatto in svariate occasioni molto tempo fa. Per fortuna c'è chi per Jevanni può metterlo in riga. Lo scontro è molto violento da un punto di vista psichico, ma una volta che Taliesin cede viene risparmiato e anzi guarito. Si rende conto di poter essere un esempio per gli altri e torna indietro. Il terzo quarto è piuttosto lineare. Lithien, dimora di eroi, è casa di molte persone straordinarie che hanno respinto le conquiste del Demoni di anni prima. Uno di loro è una faccia estremamente conosciuta, e guida la resistenza della città che respinge l'avanzata. La strategia è semplice: coprire l'evacuazione di gran parte della città, che viene dirottata nella zona "alta", in modo da dividere più possibile i demoni dalla popolazione sana. Taliesin fa ispirare coraggio +3. A quel punto sarà possibile utilizzare la forza assoluta degli arcimaghi per lanciare un'offensiva magica che spazzi via tutto senza timore di coinvolgere troppi innocenti--ma è un prezzo che si può pagare. Non sono stato conclusivo su questo contrattacco, ma credo che la strategia sia chiara. Infine l'ultima parte è completamente scollegata e serve da ponte. Beh, resuscitare due personaggi di questo calibro è stato un onore. Speravo di poterlo fare con più energie dalla mia parte, ma è andata così. Edit: qualche errore di battitura Edited by Hole. - 27/11/2019, 12:44
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