Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Posts written by Hole.

view post Posted: 12/1/2020, 18:36 Confronto - Il Lascito degli Dèi
Gli sviluppi deludenti dell'evento, uniti alla necessità sempre maggiore di spendere il mio tempo nello studio, mi costringono a rinunciare al turno. Non lo faccio senza un profondo rammarico ma sono certo che non cascherà il mondo.
view post Posted: 6/1/2020, 18:51 Domande & Chiarimenti - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (Räv @ 6/1/2020, 18:44) 
CITAZIONE (Hole. @ 6/1/2020, 15:43) 
Dobbiamo ancora considerarci appartenenti ai tre gruppi o questa distinzione non vale più? Alcuni punti del regolamento sono stati un po' stravolti, ma per quanto riguarda la possibilità di partecipare in gruppi di utenti? Vale anche per questo giro e in tal caso quali sono le clausole nascoste?

Off GdR siete ancora divisi nei tre gruppi, tuttavia On GdR la trama è ora unica.
Non è più possibile partecipare come gruppo; questa fase verrà affrontata singolarmente.
In che senso clausole nascoste? :mumble:

Questo significa che ogni giocatore prende un voto, che il voto fa media tra le tre fazioni (a parte che nel caso di HIG) e che poi si pondera di nuovo con gli scorsi voti o a questo punto si tratta di valutazioni singole?
Nulla, è per capire bene come funzionerà il turno :v:
view post Posted: 6/1/2020, 15:48 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (~Coldest.Heaven @ 4/1/2020, 14:45) 
Abbiamo voglia di provare ad organizzare qualcosa assieme per l'incontro dei vari eserciti? :mumble:

Io sì :riot:
view post Posted: 6/1/2020, 15:43 Domande & Chiarimenti - Il Lascito degli Dèi
Dobbiamo ancora considerarci appartenenti ai tre gruppi o questa distinzione non vale più? Alcuni punti del regolamento sono stati un po' stravolti, ma per quanto riguarda la possibilità di partecipare in gruppi di utenti? Vale anche per questo giro e in tal caso quali sono le clausole nascoste?
view post Posted: 24/12/2019, 13:32 Domande & Chiarimenti - Il Lascito degli Dèi
Mi accorgo soltanto adesso di non aver inserito il sottotitolo [Contest Edhel - Oneiron] al contest. Si può modificare?
view post Posted: 23/12/2019, 11:56 Il Lascito degli Dèi ~ White Winter Hymnal - GdR



    Per prima cosa ebbe l'impressione di cadere a terra (e così fu: la sua faccia si stampò sul selciato di Lithien e solo per caso non gli si ruppe il naso). Poi gli parve di essersi come appena alzato dal suolo, di scatto e senza fiato. Prima ancora di accorgersi che cosa lo stesse circondando, si scrollò di dosso uno strano peso e si sistemò il mantello rosso sulle spalle.
    Si ritrovò nel mezzo di una nevicata così intensa da ostacolare la vista e attutire gli altri sensi. Qualsiasi sagoma si stagliasse nei paraggi, che fossero alberi, rupi o corsi d'acqua, era uniformemente ammantata. Dallo strato di neve non emergeva nulla che non fosse di un bianco immacolato. Persino spingendo il proprio sguardo verso l'orizzonte più estremo non c'era nemmeno l'ombra dei picchi dell'Erydlyss o di altri paesaggi caratteristici. I grossi fiocchi scendevano fitti ma con una strana delicatezza. Ondeggiavano in qua e in là, come se si stessero prendendo il tempo necessario per posarsi nel punto giusto, quello per loro designato. Ognuno scendeva con la sua unica traiettoria ma tutti che condividevano la missione di ricoprire ogni cosa. La luce del giorno filtrava dalle nuvole in maniera innaturale e si rifletteva sul manto nevoso, esasperandone il candore.
    A qualche passo da lui c'era ancora la volpe d'ombra, grande adesso almeno quanto un essere umano. Poteva distinguerne dei tratti caratteristici, dalla forma degli occhi fino alle fibre del pelo, ma non appena il bardo si concentrava su un qualsiasi dettaglio, dalla coda alle zanne, esso assumeva fattezze grottesche e lo costringeva a distogliere lo sguardo. Ora che essa aveva moltiplicato a dismisura la sua dimensione, quella continua presenza che lo osservava con attenzione era solamente disturbante e minacciosa.
    Taliesin, pur in quel luogo senza nome, fece affidamento al suo solito repertorio: si voltò e cominciò a correre a perdifiato. Farlo in mezzo alla neve così alta e soffice si rivelò ben presto un'impresa impossibile. Dopo una manciata di metri percorsi goffamente con gli stivali già zeppi di neve, si voltò un'altra volta. Aprì le braccia, esasperato.
    «E va bene, allora che gli dèi ti maledicano! Cosa vuoi da me?»
    «Perché devi rendere tutto così difficile, bardo?» gli rispose l'animale con tono stizzito. La sua figura color della pece sembrava fuori posto all'interno del candido quadretto invernale. Tuttavia la neve cominciava ad accumularsi sul dorso, sulla testa e sulla coda della volpe, donandole un aspetto quantomeno buffo. Presto sarebbe scomparsa anche lei sotto uno strato candido come ogni altra cosa, pensò il bardo.
    «Diff--ma cosa significa? Hai visto che sta succedendo a Lithien?» chiese. In quello strano luogo non provava stanchezza né freddo, ma la presenza della gigantesca ombra a pochi metri da lui gli provocava non pochi disagi. «Non c'è nulla che io possa fare. Se raggiungessi i miei uomini, invece, potrei tornare da Jevanni e allora forse...» fece una pausa, come se volesse venire interrotto. La volpe restò immobile e muta. Taliesin scosse la testa. «E allora forse non lo so, che cazzo ne so!»
    «La tua presenza a Lithien sarà determinante, Taliesin
    «Balle!»
    La volpe si scrollò pigramente la neve dal dorso, riemergendo in tutta la sua oscurità.
    «Una mossa non astuta. Resterai qui con me finché non cambierai idea, dunque.»
    «Qui? Ma che vuol dire qui

I was following the pack / all swallowed in their coats
with scarves of red tied around their throats
to keep their little heads / from falling in the snow
and I turned around and there you go
and, Michael, you would fall / and turn the white snow
red as strawberries in the summertime


    Il fastidio fece presto posto all'ansia e poi alla disperazione. Per quanto il bardo tentasse di allontanarsi, la volpe gli rimaneva alle calcagna. Gli bastava restare immobile abbastanza a lungo perché quella venisse perfettamente ricoperta dalla neve e ingoiata dal paesaggio. Tuttavia, al minimo movimento del bardo la sagoma si ridestava, ancor più nera e grande di prima, e lo raggiungeva. Senza una destinazione precisa dove dirigersi, il vagabondo non poteva che stringersi nel mantello e marciare senza mai fermarsi.
    Il vento cominciò a sollevarsi e i fiocchi di neve mutarono la loro danza. Le folate spazzavano la neve in ogni direzione in enormi mulinelli, che il piccolo bardo rosso attraversava senza arrestarsi. Ben presto la tormenta si scatenò in tutta la sua violenza e Taliesin si accorse di essere diventato sempre più minuscolo e insignificante.
    Provò a seminare la volpe addentrandosi in una foresta di alberi gelati. Le impronte che egli si lasciava dietro nella soffice neve ne tradivano la posizione. Attraversò quello che doveva essere un fiume, anch'esso completamente ghiacciato e coperto da uno spesso manto. Lo fece nella vana speranza che la volpe, ora veramente gargantuesca, sfondasse il ghiaccio e vi rimanesse intrappolata. Si fece strada fra guglie rocciose dove il vento si incanalava con violenza. Nemmeno quello bastò.
    Ma fu quando giunse al centro della tormenta che per la prima volta, tra il bianco onnipresente della neve, scorse un colore diverso dalla pece o dal rosso. Una persona china e immobile a pochi passi da un grosso macigno coperto di muschio. A Taliesin parve che altre sagome si muovessero nella tempesta, più in là, ma non fu capace di distinguerne nessuna tranne quella a terra.
    «Glacendrangh?»
    «Lithien non può cadere, bardo, e tu di Lithien avrai bisogno per la battaglia.» La volpe era ora al suo fianco e lo sovrastava una decina di volte in altezza.
    «Mi sto svegliando, non è vero?»
    «Forse.»
    «Ma è così piacevole. Non fa freddo.»
    «Presto ne avrai abbastanza.»
    «Eppure io in fondo sono soltanto un bardo, no?»
    «La solita scusa. La solita autocommiserazione.»
    «Jevanni è--»
    «--l'unica speranza.»


    «Eccolo» mormorò il bardo, con tono privo di entusiasmo o di qualsiasi altra emozione. Soffriva ora il freddo; lo soffriva come mai prima di allora. Ormai le gambe si muovevano meccanicamente, senza che lui le controllasse davvero. Esausto, riusciva a proseguire solo perché prodigiosamente sostentato dalle razioni di Lithien.
    Lui e i suoi uomini avevano davvero attraversato una foresta sconfinata, guadato un fiume ghiacciato nel mezzo della tempesta e si erano infine fatti strada tra guglie rocciose e affilate. La volpe era sempre al suo fianco, ora minuta e silenziosa, e non era più da solo. Alcune centinaia di persone, perlopiù cittadini di Lithien che avevano risposto alla chiamata ma anche membri della Ruadh recuperati durante il cammino, avevano marciato al suo fianco attraverso la bufera di neve. Si erano infine ricongiunti all'esercito di Alder Gwydion proprio nel colmo nel colmo del conflitto, prendendone parte.
    Ma Taliesin non stava combattendo i demoni a spada tratta, no. Quello non faceva affatto parte del suo repertorio. Aveva invece proseguito la sua marcia disperata assieme ai suoi fedeli e a un manipolo di esploratori elfici dell'esercito dell'Edhel. Stavano portando a termine un incarico straordinariamente specifico e di massima importanza.
    «Eccolo» ripeté, quasi per convincersi di non essere impazzito. Di nuovo nessun entusiasmo.
    Pochi passi avanti, accanto a un macigno ricoperto di muschio, vi era un cumulo di ghiaccio e neve dove il vento non spirava. Al suo interno, si poteva scorgere a fatica una sagoma umana. Jevanni Glacendrangh riposava in una bara di ghiaccio che non poteva essere scalfita.
    «Portiamolo via.»

Il contest è l'occasione per chiarire un paio di cose che ho lasciato abbastanza indeterminate in Dark Matters, ossia quello che succede a Lithien quando la volpe blocca la fuga di Taliesin e lo "convince". In effetti lo addormenta e trasporta nell'Oneiron; lì lo trattiene per un tempo indefinito, fino a sfinirlo. Il bardo comincia infatti a muoversi nel sogno finché non ha un'epifania, a metà tra un delirio e una specie di premonizione del futuro che lo motiverà a combattere, liberando la città. Guiderà poi una piccola parte di essa verso il Talamlith. Con l'ultima parte, un enorme fast forward, si ricollega brevemente il personaggio e in generale la timeline di Lithien a quella di Coldest durante la battaglia, alcuni giorni dopo. Taliesin convince un nutrito gruppo di eroi a seguirlo e va a recuperare assieme all'esercito di Alder il Jevanni, catatonico e ghiacciato in mezzo alla bufera magica che ha evocato durante la battaglia del Talamlith. Cercherò di sviluppare a dovere anche questa circostanza del salvataggio non appena ce ne sarà l'occasione. Il titolo proviene dall'omonima canzone dei Fleet Foxes che trovate a inizio post, che da il mood giusto a tutto il resto. Ma tanto le canzoni non si ascoltano, quindi sappiate che è carina.
view post Posted: 21/12/2019, 11:10 Confronto - Il Lascito degli Dèi
Uh, ero fermamente convinto che il termine fosse mezzogiorno di domani. A questo punto sono nella stessa situazione di Gemini, pardon.
view post Posted: 27/11/2019, 11:45 Il lascito degli Dèi ~ Dark Matters - GdR
 
    Il Consiglio Straordinario per la Sicurezza di Lithien era stato costituito diciassette giorni prima, a seguito di un ermetico decreto del Circolo degli Anziani. Da allora il Consiglio si aggiornava con regolarità: riunioni di due ore massimo, due volte al giorno, per perfezionare i piani di emergenza e fare il punto sulla situazione interna. Ne facevano parte eroi di guerra, studiosi, arcanisti e persino qualche civile, accuratamente scelti dagli Anziani per via delle loro qualità più che per posizioni gerarchiche. Il mandato era tanto semplice quanto immensa era la responsabilità: provvedere alla sicurezza di Lithien e dei suoi abitanti, a qualunque costo.
    Josiah stava discutendo animatamente con il resto del Consiglio, riunitosi in una stanza scarsamente illuminata dell'antichissima Biblioteca. Un'ala di essa era stata prontamente sgomberata e riconvertita in una serie di spazi per riunioni e coordinamento, vista l'emergenza imminente. La luce soffusa, sufficiente appena a illuminare i profili seri di una ventina di persone che lì si trovavano, proveniva dal centro dello stanzone. Al di sopra di un pesante tavolo di legno fluttuava Lithien stessa, sospesa e luminescente, con un diametro di cinque metri appena ma riprodotta nel più piccolo dettaglio da un misto di nebbia, luce e arti magiche. Aguzzando la vista era possibile scorgere centinaia di minuscole figure che in quell'istante preciso brulicavano nelle strade, e i piccoli vessilli in cima alle guglie erano mossi da un vento straordinariamente forte. A racchiudere la città vi era uno spesso perimetro pulsante. Lo stratega prese parola, leggendo da alcuni appunti.
    «Colleghi del Consiglio, è con grande rispetto che vi parlo. Ma non posso trattenermi dal dire che stiamo riservando troppa attenzione alla parte delle mura arcane che da sul passo, come se quello dovesse essere il punto prediletto per l'attacco» fece Josiah, con voce roca e stanca. «L'ho detto e ripetuto numerose volte, non possiamo permetterci di sbilanciare i nostri sforzi e scoprire il fianco, qualsiasi fianco. Non si tratta dello stesso nemico che molti anni fa voleva conquistare il nord, quando l'unica preoccupazione di Lithien era conservare i suoi preziosi tomi. Chiunque abbia letto delle battaglie dell'Edhel dello scorso decennio non può che rendersene conto. Quello di oggi è un nemico che non vuole conquistare ma distruggere. Il passato ci insegna qualcosa: ascoltiamolo, perché altrimenti la disfatta è certa. Ma accorgiamoci delle differenze oltre che delle somiglianze. Anche laddove le montagne sembrano prestarci protezione, occorre rinforzare le nostre difese. Le milizie devono essere distribuite equamente.»
    «Le milizie sono distribuite equamente. Con permesso.»
    Prese allora la parola un vecchio che si faceva chiamare il Falco. Nulla del suo aspetto faceva pensare al rapace: centinaia di rughe gli attraversavano la faccia, ma erano evidenti solo laddove non erano ben coperte da una barba perfettamente bianca. Solo i dettagli sull'araldica della sua vecchia e lurida armatura, della quale era rimasto solo qualche pezzo ma che pur indossava spesso, ricordavano il volatile. Era solito aggirarsi per i corridoi disarmato e con lentezza, ma un certo guizzo negli occhi, che emergeva ogni volta che prendeva parola, permetteva di intravedere una ancor prodigiosa vitalità.
    Il Falco era tra le persone incaricate di radunare e gestire la milizia cittadina. Cominciò quindi a illustrare in che punti della città fossero presenti i gruppi di guerrieri permanenti, quanti fossero e come al primo allarme almeno sei volte quel numero sarebbe stato pronto a combattere nel giro di mezz'ora o poco meno. In quei giorni tutta la città era stata mobilitata al medesimo fine e spesso persino bambini, vecchi e donne rifiutavano di farsi da parte e si dimostravano pronti a combattere. Seguivano l'esempio di quegli eroi che a centinaia abitavano le vide di Lithien e che volevano per quel luogo solo pace e prosperità.
    Si discusse ancora a lungo e Josiah rimase in silenzio, riflettendo. Sentiva nel profondo delle sue membra che ben presto il momento di parlare sarebbe terminato, e il valore delle parole sarebbe stato confermato solo dalla forza nelle braccia. Non temeva tale prova—mai lo aveva fatto—ma l'oscura incombenza si faceva sempre più grande. Era da sette giorni che si spostava armato fino ai denti, con l'immancabile tomo sottobraccio. Non poteva permettersi di perdere l'iniziativa.
    «Qualcosa non va» dichiarò improvvisamente un'elfa dal fondo della stanza, interrompendo un'accesa discussione su come provvedere alla scorte di cibo nel caso di assedi molto prolungati. Si scoprì il capo dal cappuccio, e fu evidente a tutti fosse un'Arshaid—cosa rara persino a Lithien. Il Falco chiese spiegazioni.
    «C'è qualcosa che non va, è come se il nemico fosse improvvisamente vicino, da un istante all'altro. Lo posso sentire. Guardate» fece l'arcanista, artefice della mappa della città, indicando la sua creazione. Nei quartieri più bassi sembrava si fosse messo in moto qualcosa. Il consiglio prese a discutere con ferocia.
    La conversazione sul da farsi venne interrotta bruscamente dopo qualche minuto appena. Il portone si aprì, sbattendo contro il muro con fragore. Un piccolo funzionario della città, imbacuccato in vesti pesanti e col fiatone, cominciò a blaterare qualcosa.
    «Sta, sta cominciando! I Demoni sono in c-città! Il borgo è in disordine, non sappiamo da d-dove arrivano, non... non sappiamo» farneticò quello, per poi piegarsi su se stesso e riprendere fiato.
    Josiah fu il primo a scattare mentre gli altri ancora sfoderavano espressioni di sconcerto e si guardavano intorno. Giunse a lunghi passi fino al portone: aveva già la spada sguainata nella mano destra e il Tomo ben stretto nella sinistra. Spinse via il ragazzetto, che non aveva fatto in tempo a scansarsi, e scomparve per i corridoi della biblioteca.
    «Sono pronto» mormorò a se stesso.




    Tra le tante cose in cui Taliesin poteva sostenere di eccellere, lo sgattaiolare tra i vicoli era forse quella che in assoluto gli riusciva meglio. Nonostante preferisse spesso percorrerli a testa alta e in mezzo alla via, non privo di una certa arroganza, anche essere in grado di passare inosservato e darsi alla macchia era una preziosa competenza. Urla e strepiti si alzavano dalle abitazioni e dalle vie vicine mentre il bardo si avvicinava al limitare della città. I quartieri bassi avevano preso fuoco in alcuni punti. Il Bardo aveva contato solo una dozzina di cadaveri per la strada che aveva percorso ma sapeva che ben presto la situazione sarebbe peggiorata.
    Quando il Circolo degli Anziani lo aveva congedato in tutta fretta proprio nel mezzo dell'udienza, il suo istinto gli aveva comunicato chiaramente un imperativo: mettiti al sicuro. Scendendo dalle cime più alte della città aveva capito che difficilmente avrebbe trovato sicurezza a Lithien stessa, tanto e tanto in fretta la situazione era degenerata. Con la volpe d'ombra che gli stava alle calcagna, priva di espressione ma con un fare sospetto e ostile, si era quindi diretto verso la porta più vicina a lui. Avrebbe raggiunto la Ruadh, ricongiungendosi a Jevanni se le circostanze lo avessero permesso.
    In fondo il mio lavoro l'ho fatto, pensava mentre si infilava in un vicolo sudicio e buio e attendeva che una truppa di milizia passasse. Ho portato l'ambasciata di Glacendrangh, ora Lithien è dalla nostra parte e io—
    «Può bastare.»
    Taliesin rimase pietrificato. Guardò prima alle sue spalle, con la coda dell'occhio. Poi fece un giro su se stesso, la mano già sull'elsa di Fabula. Ma era da solo. Riprese a camminare.
    «Taliesin» ripeté la voce. Nella maniera in cui la voce pronunciava il suo nome c'era del disprezzo, decisamente malcelato. Solo allora il vagabondo si accorse che era la volpe a chiamarlo. La stessa volpe che lo seguiva fedelmente, restando sempre a un passo dalle sue caviglie. Parlava direttamente alla sua testa con tono minaccioso.
    «Ascolta, Volpe dei miei stivali, non so cosa tu sia ma puoi anche—»
    Un dolore lancinante colpì il Bardo. Gli parve quasi che il cervello stesse improvvisamente gonfiandosi, premendo verso la fronte e sugli occhi. Dovette chiuderli e se li massaggiò con i palmi delle mani, cercando di attenuare l'improvviso gonfiore. Temette di poterli perdere, temette potessero cadergli fuori dalle orbite. Non riuscì a dire altro.
    «Taliesin, è finito il tempo in cui puoi fuggire. Per cento volte lo hai fatto, ma oggi non puoi. Hai responsabilità che non puoi più eludere.»
    Quando il bardo riuscì ad aprire gli occhi, ridotti a due fessure gonfie, si accorse che della volpe era rimasto poco e che un'ombra ben più grande incombeva su di lui. Provò a balbettare qualcosa ma venne presto inghiottito dall'orcurità.
    «Osserva. Osserva cosa è successo ogni volta che Taliesin il Bardo se l'è data a gambe.»
    Nell'immaginazione dolorante del musico, come in un sogno febbricitante, si dipinse a tinte vivide il passato e le sue immani disgrazie. L'uomo si accasciò a terra, arrendendosi alla forza dell'ombra. Le cento volte in cui egli scappò gli passarono davanti agli occhi in lunghi istanti e con loro le conseguenze delle sue azioni sconsiderate. Uno dopo l'altro, gli innocenti e sconosciuti che avevano perso la vita. Uno dopo l'altro, i luoghi rasi al suolo. Ma più di tutto questo, le persone che non avrebbe più rivisto. Una, più di ogni altra. Comprese allora il suo contrappasso e vi si abbandonò, catatonico. Forse era giunto ad accettarlo.




    Josiah combatteva da solo. Non faticava a distinguere gli abitanti di Lithien dalla progenie demoniaca ed era anche immune alla tragicità della circostanza. Forse era persino incapace di coglierla. Tuttavia, distinguere i nemici dagli alleati e toglierli di mezzo in maniera efficiente era stato il suo lavoro per molti anni; quel giorno, per quanto drammatico, non avrebbe di certo cancellato anni di addestramento ed esperienza. Come un meccanismo bene oliato, egli eseguiva le medesime azioni a ripetizione: guidava la milizia alla carica, ripulendo via dopo via e permettendo agli abitanti barricati nelle abitazioni di ripiegare verso il centro della città. Era il primo ad avanzare e l'ultimo a voltarsi. Brandiva la spada e recitava parole in una lingua sconosciuta, dopo le quali saette fragorose o esplosioni tonanti ripulivano le vie da gran parte dei demoni che le infestavano. Poi avanzava con la milizia e a colpi di arma bianca sbaragliavano i pochi nemici rimasti. Ma per ogni dozzina di bestie tolte di mezzo ve n'era un'altra, poco lontana, pronta a sostituirla. Lo Stratega cominciava ad accusare la fatica. La parte superiore di Lithien ormai non era molto lontana: si trattava solo di dosare con prudenza le energie e attenersi al protocollo.
    Il Consiglio operava così anche nel resto della città, in poco meno di cinquanta gruppi di milizia costituiti nei giorni precedenti. Quando compresero che cosa stava succedendo agli abitanti, che avevano preso a tramutarsi in demoni come se lo fossero sempre stati, fu evidente quanto l'emergenza fosse enorme. La scelta fu quella di dividere la popolazione non infetta dagli abitanti che potevano essere salvati. Solo allora sarebbe stato possibile guidare una vera e propria offensiva e respingere i demoni. Tutti coloro che erano in grado di combattere stavano coprendo la ritirata della popolazione civile, mettendo in sicurezza le vie per cerchi concentrici. Tutto quanto nel minor tempo possibile. Solo allora si sarebbe potuti passare a un contrattacco.
    La fortuna di Lithien fu quella di essere abitata dalle personalità più celebri e potenti del continente. Quegli stessi eroi di guerra che decenni prima avevano difeso il Talamlith o le altre regioni del nord dal primo esercito di Shahryar, e che poi avevano scelto di godersi riposo e gloria proprio in quella città, erano ora chiamati a impugnare nuovamente le stesse armi gloriose e respingere un nemico simile. Molti si sentivano naturalmente portati a opporsi all'orda demoniaca. Così fiumi di fuoco inondavano le strade, carbonizzando le parti infette, mentre paladini nelle loro armature scintillanti e forti della loro rettitudine si muovevano tra i demoni come lame calde nel burro, mietendo vittime e salvando vite. Ognuno combatteva per se stesso, forse scoordinatamente, ma tutti combattevano per Lithien, la città che li aveva accolti. La resistenza fu prodigiosa, mentre gli abitanti rimasti si mettevano in salvo verso quartieri più sicuri, resi salubri dalla magia.
    Se Lithien non fosse stata sul punto di essere travolta da una forza soverchiante da un istante all'altro, forse si sarebbe cercato un modo per bloccare o addirittura invertire l'infezione. Era evidente a tutti, tuttavia, che le radici di quel male fossero troppo profonde per strapparle in una notte appena. Fondamenta di un piano machiavellico in atto da chissà quanti decenni, fecero comprendere a Josiah quanto astuto e subdolo fosse il nemico. Vista l'emergenza e il rischio di venire spazzati via, la parte infetta della città andava trattata come tale: fare terra bruciata, più che strappare le erbacce, era quel che andava fatto. Il Consiglio e il Circolo avrebbero trattato l'infezione come un tumore, e come tale lo avrebbero combattuto.
    Giunto al limitare del perimetro interno, Josiah prese fiato. Avrebbe dovuto guidare l'ultima carica, evacuando anche quella via, per poi celarsi dietro nuove mura magiche e riunirsi col resto dei combattenti. L'orda demoniaca andava però accumulandosi, minuto dopo minuto, e a ogni carica la milizia ne usciva decimata e spossata. Lo stratega guardò i suoi uomini ma non ebbe per loro alcuna parola di conforto. Permise qualche istante ti riposo in più, nient'altro. Fu allora che, con la coda dell'occhio, vide passare un mantello rosso in fondo alla strada. Era certo di non esserselo immaginato.

    Taliesin giunse alla porta centrale della città, laddove era certo che il gruppo più grosso della milizia cittadina si sarebbe riunito. Era lì che voleva dirigersi, perché lì più che in qualunque altro punto avrebbe potuto fare Camminava con sicurezza. Alle calcagna aveva ancora la piccola volpe, ma non ci badava già più. Giunse proprio mentre un vecchio in armatura, imperioso davanti ai suoi uomini, li incitava al coraggio.
    Aveva pronte almeno un paio di cose da dire per fare effetto e rinvigorire il morale dei soldati, ma le parole gli si strozzarono in gola appena il Falco voltò lo sguardo verso di lui. Taliesin per poco non inciampò.
    «Io... io so chi sei» mormorò il bardo, ancora distante molti metri dal vecchio. Quello dovette sentirlo o forse intuì le parole. Parve pronto.
    «Il bardo del buonsenso. Che sorpresa, ti avrei dato per morto. Unisciti a noi, ragazzo. In fretta!»
    Ancora sconcertato, il bardo si unì di corsa alle fila della milizia. Questa volta era davvero pronto a combattere, forse per la prima volta nella sua vita. E lo avrebbe fatto a fianco di Sir Donovan Von Bozeck, proprio come molti anni prima, quando era la Regina Alexandra a guidarlo.

    Nessuno poteva scorgerli ma nelle stanze più alte di Lithien uno stretto collegio di Arcimaghi, riuniti da ore attorno a un altare, stava recitando in coro lunghe formule che da tempo non venivano pronunciate. Fu solo quando le milizie compirono l'ultima ritirata, mettendo in sicurezza il perimetro concordato, che l'energia da loro richiamata cominciò a filtrare dalle guglie più alte. Scese verso la città come una nebbia luminescente. Essa abbracciava ogni cosa, lenendo le sofferenze degli abitanti e proteggendo il marmo che ne rivestiva gli edifici. Presto Lithien, la città della conoscenza e della magia, sarebbe stata pronta al contrattacco.




(Il Crocevia, giorni dopo)



    Quando il Piccolo Popolo giunse nei paraggi, le sentinelle Arshaid non credettero ai loro occhi. Che persino le creature più mistiche e misteriose di tutto l'Edhel, esseri generalmente schivi e pacifici, avessero scelto di unirsi all'alleanza coordinata dalle Lanterne, era un fatto di per sé straordinario. Era indicativo di quanto la minaccia fosse incombente e critica, tale da muovere all'azione anche razze antiche che poco avevano a che fare con i problemi di elfi e umani e le questioni politiche dell'Edhel. Mai, nella loro storia, essi si erano uniti sotto un vessillo e poche volte avevano marciato assieme in quantità simili. Il Piccolo Popolo sfuggiva agli intrighi e ai conflitti del continente, si nascondeva nelle parti più oscure della vegetazione, per riemergere appena la tempesta si sarebbe placata. Ma forse mai come allora la loro esistenza era mai stata minacciata in quella maniera. Non avrebbero potuto aspettare che la tormenta si placasse. Non quel giorno.
    Giunsero all'alba, fermandosi al limitare di un'ampia radura laddove una truppa di Arshaid pattugliava i confini dell'enorme accampamento conosciuto con il nome di Crocevia. Erano migliaia, nascosti nella fitta boscaglia. I più erano folletti, ma tra di loro brulicavano le razze inumane tra le più disparate, dalle piccole fate alate fino alle driadi dalla pelle di quercia. Con loro anche grossi golem dall'aria placida, uomini albero che svettavano dalle fronde immobili dei loro fratelli e gnomi chiassosi che si affollavano ai loro piedi. La marcia pacifica del Piccolo Popolo verso l'esercito dell'Edhel era stata monitorata attentamente dalle sentinelle, che solo su di una cosa erano d'accordo: quella compagine eterogenea di inumani doveva essere tenuta assieme da necessità drammatiche o da un carisma straordinario.
    Fu una fortuna che fosse proprio il vecchio Amdir, che aveva visto più inverni di tutti gli altri suoi compagni, a condurre la pattuglia, quella mattina. Egli era un elfo taciturno e paziente, memore del passato della sua tribù più che molti altri, ma anche tra i più capaci di riflettere e discutere. Si fece avanti e prese parola, parlando nella sua lingua.
    «Il Piccolo Popolo, la mia tribù vi saluta con tutti gli omaggi. Vi accogliamo in pace. Ma non possiamo accogliere in pace anche la feccia che portate con voi. I vagabondi traditori della razza non combatteranno con noi. Non vogliamo altri nemici al nostro fianco.»
    A quelle parole così secche (quelli erano in fondo gli ordini) seguì un mormorio diffuso. A quel punto dalla boscaglia emerse una figura. Amdir trasalì, poiché solo un imbecille non l'avrebbe riconosciuta in pochi istanti.
    «Terminato è il momento dei rancori, amico elfo» fece l'individuo, che vestiva lunghi abiti neri e portava un grosso cilindro del medesimo colore. Fluttuava a qualche spanna dal terreno.
    «Rispetta il Piccolo Popolo e accogli chiunque si sia riunito sotto la mia egida. Io sono il Re delle Fate e loro seguono me. Il rispetto nei miei confronti vi impone di accoglierli» aggiunse Lanhai, con voce estremamente calma. Amdir rimase zitto per qualche istante, insicuro su come replicare.
    «Lanhai, il mio popolo ti è eternamente grato per tutto quello che hai fatto in questi anni. Non intendo mancare di rispetto. Ma quelli che io seguo sono ordini precisi e i Rahm as Aid non possono...»
    «Dimostra la tua gratitudine e risparmia il fiato, Amdir figlio di Galdor. Chiama Alder Gwydion, dille che sono giunto per prestare servizio all'Edhel, e tieni a bada i tuoi soldati. Che non venga scagliato nemmeno un sasso» aggiunse. La falce bianca, in quell'istante, si materializzò nella sua mano.
    «La aspetterò qui.»
    Con un gesto vigoroso ma privo di ostilità egli tracciò un solco nel prato davanti a sé e pianto la falce al suo fianco. Rimase in attesa, come assorbito in pensieri troppo importanti perché dei mortali potessero disturbarlo. Amdir annuì appena e ordinò a due dei suoi di muoversi.


Mi scuso per il post: la versione che ho prodotto è forse la metà di quanto avevo progettato, ma problemi di salute non mi hanno davvero lasciato altra scelta. Credo sia piuttosto chiaro quel che succede, quindi mi limiterò a spiegare i riferimenti un po' più oscuri. Per cominciare, la trama continua a essere coerente con quanto succede ai miei due colleghi, nonostante siamo ormai in due momenti cronologici distinti. Rimando a quanto scritto da Coldest per comprendere tutto il contorno. Il primo quarto del post è un breve scambio di parole in questo Concilio neoistituito per la difesa della città che si fa gabbare dall'attacco del Kishin. Josiah, persona piuttosto pragmatica, esce a fare il culo a parecchi demoni. In questa parte il riferimento a Stygis è legato a quanto fatto dal mio personaggio a Lithien durante quel periodo. Esiste un duello a tal proposito, ma non lo linkerò poiché nemmeno io avrei voglia di leggerlo. Il secondo quarto è Taliesin che torna a indugiare nel suo darsela a gambe nel momento del bisogno, come fatto in svariate occasioni molto tempo fa. Per fortuna c'è chi per Jevanni può metterlo in riga. Lo scontro è molto violento da un punto di vista psichico, ma una volta che Taliesin cede viene risparmiato e anzi guarito. Si rende conto di poter essere un esempio per gli altri e torna indietro. Il terzo quarto è piuttosto lineare. Lithien, dimora di eroi, è casa di molte persone straordinarie che hanno respinto le conquiste del Demoni di anni prima. Uno di loro è una faccia estremamente conosciuta, e guida la resistenza della città che respinge l'avanzata. La strategia è semplice: coprire l'evacuazione di gran parte della città, che viene dirottata nella zona "alta", in modo da dividere più possibile i demoni dalla popolazione sana. Taliesin fa ispirare coraggio +3. A quel punto sarà possibile utilizzare la forza assoluta degli arcimaghi per lanciare un'offensiva magica che spazzi via tutto senza timore di coinvolgere troppi innocenti--ma è un prezzo che si può pagare. Non sono stato conclusivo su questo contrattacco, ma credo che la strategia sia chiara. Infine l'ultima parte è completamente scollegata e serve da ponte. Beh, resuscitare due personaggi di questo calibro è stato un onore. Speravo di poterlo fare con più energie dalla mia parte, ma è andata così.
Edit: qualche errore di battitura


Edited by Hole. - 27/11/2019, 12:44
view post Posted: 25/11/2019, 16:50 Domande & Chiarimenti - Il Lascito degli Dèi
La scadenza di questa settimana è da considerarsi poco fiscale come la settimana scorsa o sarà necessario essere più puntuali? La febbre alta mi sta scombinando i piani e sto cercando di rendermi conto di quanto mi serva per finire.
view post Posted: 16/11/2019, 13:11 Domande & Chiarimenti - Il Lascito degli Dèi
Collegato a quanto detto da Nico: io non posso essere autoconclusivo sugli esisti delle mie azioni a Lithien, quindi quel che succede a Taliesin è legato all'immediato, riferito alle circostanze imminenti (e avviene mentre gli Uomini di Pietra stanno cominciando a marciare a sud). Volessi aggiungere altri filoni paralleli potrei farlo spingendomi più in là (per esempio cosa fa il resto degli scagnozzi di Taliesin o altre cose che mi sembra opportuno aggiungere) ma quel che succede a Lithien rimane un mistero oppure sta a me glissare sul tutto. Corretto?
view post Posted: 11/11/2019, 12:04 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (Räv @ 11/11/2019, 11:49) 
Allungo il termine per postare a oggi pomeriggio inoltrato, verso le 18.

:D
view post Posted: 11/11/2019, 11:59 Il lascito degli Dèi ~ Dark Matters - GdR



(...)


dmmWOTC


    Qualcuno giurò di aver visto un bagliore pulsare all'orizzonte, la notte in cui il Kishin palesò il suo arrivo. Alcuni lo descrissero come una stella, un oggetto celeste che scomparve nel giro di qualche istante appena. Altri giurarono di vedere una fiamma azzurra ardere per ore nella notte, così forte che nessuna nuvola poteva celarla. Certo è che ognuno, quella notte d'angoscia, aveva visto un po' ciò che voleva vedere. Chiunque, tuttavia, fu concorde nell'affermare che già all'alba ogni traccia del bagliore era svanita. L'infausto presagio comparve spesso, da quel giorno in poi, anche nei sogni agitati che avvolgevano tutta Theras. Pochi, al loro risveglio, potevano ricordarsene con chiarezza.
    Quella notte, migliaia di miglia a nord, sulla cima delle montagne più alte del continente, il fuoco di Lithien era stato acceso per davvero. Scorto l'abisso nero che stava affacciandosi in superficie, gli Arcimaghi di Lithien avevano gettato le braccia al cielo, intonando un canto in una lingua dimenticata. Si trattava di un compito antico della città, ma che il collegio conosceva bene. Non solo la culla del sapere, ma un faro di speranza per tutti i vivi quando l'oscurità minaccia di inghiottire ogni cosa: Lithien era anche questo.
    Il pericolo era di proporzioni tanto inaudite e la minaccia tanto incombente che al mondo non serviva davvero il segnale della città. Il Consiglio degli Anziani discusse quindi per settimane nelle sue sale di riunione all'apice delle guglie, laddove il tempo scorreva secondo la loro discrezione. Discusse il da farsi per proteggere la città dalla calamità incombente, deliberando infine che il segnale fosse superfluo, inutile. Il fuoco mistico che divampò sulla cima della città e che illuminava a giorno i monti dell'Erydlyss, scacciando ogni ombra, si spense in dopo pochi attimi appena.
    Lithien si era così affacciata per lunghi attimi al resto del mondo, per poi tornare a nascondersi tra i picchi più inaccessibili delle montagne. Fortezza remota e irraggiungibile, abitata dagli eroi più forti di Theras, aveva deciso di prepararsi a resistere alla marea nera che presto avrebbe inghiottito ogni cosa.
    Da sola.


    «Ed è per questo che siamo riuniti qui, insieme. Il sole splende sul nostro cammino e la strada ci è amica. Ruadh!»
    L'eco della voce di Taliesin risuonò tra le montagne circostanti. Quando esso si placò, centocinquantaquattro persone ruggirono il loro entusiasmo verso il cielo. Cominciarono a rispondere in coro, intonando l'inno della Ruadh.
    Il bardo conosceva il nome e la storia di ognuno di loro: uomini e donne, elfi e pelleverde, nani e inumani. Non esisteva differenza verticale all'interno della Ruadh, se non gerarchie di circostanza. L'obbedienza a Taliesin e al suo braccio destro, il Bedouin, era garantita da una forte ammirazione nei loro confronti, ma anche da fortuna e ricchezza in quantità sorprendenti, confluite nelle tasche di tutti e accumulate negli anni di operato. Centocinquantaquattro persone, sull'avambraccio sinistro, portavano uno straccio grigio sul quale era stato tracciato un cerchio di pittura rossa. Il simbolo della corporazione era una spirale che non si chiudeva nel punto più in alto: un marchio che voleva riunire la straordinarietà e che al contempo la divideva dal resto. Tutti, in quella folla tanto eterogenea, erano tra loro compagni e tutti avevano qualcosa di speciale, che il bardo aveva intravisto nel profondo dei loro cuori prima di sceglierli come compagni di viaggio.
    «Per quanto oscuro sia il futuro, compagni, per quanto accidentata sia la via, noi trionferemo. Sta arrivando la battaglia? Noi saremo pronti. Mai nella storia l'oscurità è stata così vasta? Noi porteremo la luce. Vestiamo il rosso perché abbiamo scelto di vestirlo. Combatteremo perché abbiamo scelto di combattere! Queste montagne saranno il nostro baluardo nell'ora più buia!»
    Il sole era alto nel cielo e un giorno esatto era passato da quando Jevanni aveva scelto Taliesin come suo ambasciatore. Aveva passato il cammino verso il passo di Calon Iâ a discutere con Juan di quale piano operativo adottare, distribuendo ordini e direttive ai suoi collaboratori più fidati. Le prime ore del mattino seguente, non appena il resto dell'organizzazione si ricongiunse a lui tra i monti, le aveva passate a dividere la Ruadh in diciannove drappelli da inviare a est e a ovest. Si avvicinava il pomeriggio e le squadre erano ormai pronte a partire per riunire le numerose tribù degli Uomini di Pietra: si sarebbero presentati come fidate legazioni di Taliesin, il Leone dell'Eden, ambasciatore di Jevanni Glacendrangh. Avrebbero offerto alle tribù di Anahmid aiuto e salvezza in cambio delle braccia dei loro uomini più forti, conducendole infine verso il cuore dell'Eden, verso il Guerriero dell'Inverno e la sua alleanza che andava formandosi.
    Il lungo discorso del loro leader indiscusso, in piedi su di un enorme macigno ghiacciato, volgeva ora al termine. Stava dando fondo alle sue energie per trasmettere determinazione e audacia nei cuori di tutti. Nessuno avrebbe intuito che, dall'altra parte di quel tono tanto sicuro e delle parole di conforto, Taliesin era divorato da dubbi e insicurezze. Avvolto nel mantello, alzò un pugno verso il cielo.
    «Questo è il nostro momento per fare la storia, amici miei. E ascoltatemi quando vi dico: domani tutto questo sarà passato e brinderemo alla nostra gloria. Questa è la nostra ora!»
    Molti alzarono le armi al cielo e risposero a Taliesin con altre urla di rinnovata determinazione. La spada di Juan svettava più in alto di tutte. Erano pronti a partire.
    Taliesin scese dal macigno e si fece largo tra la folla. Distribuì le diciannove vene di pietra ai suoi diciannove luogotenenti, tra gli applausi e i cori degli altri. Finì con usare la ventesima come spilla per il suo mantello. Un segno distintivo che li accomunava. Lui, però, era diretto altrove.
    «Andiamo!»


   «Mai avrei pensato di rivederti, bardo. Di certo non qui a Lithien, e di certo non in questa circostanza» fece Josiah. «Sei qui in cerca di protezione e non per riscuotere i tuoi crediti, deduco. Non so come tu sia entrato ma non ti sarà permesso restare per molto.»
    I due passeggiavano su un meraviglioso portico sospeso di Lithien, deserto a quell'ora tarda della sera. Lo stratega si appoggiò sul balcone marmoreo e osservò la città che, nella sua struttura piramidale simile a una guglia montuosa, si espandeva verso il basso in terrazzamenti concentrici. La luce soffusa che ne illuminava magicamente le vie la faceva splendere con bellezza ancor maggiore che di giorno.
    «Merito tutta questa freddezza? E sappi Lithien è la città del sapere e che io sono un bardo di un certo rilievo. Non te lo scordare. Le storie sono la mia vita. Sarebbe un affronto vero e proprio se le porte di questo posto non fossero spalancate, per uno come me.»
    Josiah rimase impassibile. Non aveva mai apprezzato l'arroganza di Taliesin, ma sapeva che non stava sbagliando: Lithien era abitata da personalità eccezionali, eroi di proporzioni leggendarie e saggi Arcimaghi. Alcuni di questi abitanti erano persino più spavaldi e colmi di sé del vagabondo. Lì non c'era posto per la gente comune--la gente comune, del resto, non sarebbe sopravvissuta al viaggio per giungervi--ma le persone straordinarie, nel bene e nel male, erano le benvenute.
    «E non posso che complimentarmi per la tua promozione. Hai scalato le gerarchie delle accademie di Lithien. Lo studio ripaga, no? Oh, nessuna offesa, non pensare che non me lo aspettassi. Le tue qualità sono veramente straordinarie, ma è stato tutto eccezionalmente... rapido. Ammirevole, mia cara.»
    Josiah si volse verso il bardo. Brandiva ora la spada, sguainata con tanta maestria e rapidità che pochi si sarebbero accorti del gesto. Il suo sguardo era freddo e spietato, la mano ferma. Taliesin, che non si aspettava una reazione così dura, indietreggiò di qualche passo. Temette di aver tirato troppo la corda.
    «Ci penserà il Kishin a masticarti e ridurti in poltiglia. Ma sai bene di non poter restare qui e sai che potrei ucciderti subito, se lo volessi. Quindi parla chiaro, serpe.»
    Taliesin si ricompose, sistemandosi il bel mantello rosso. Con l'indice picchiettò sulla Vena di Pietra, il piccolo dardo affilato adesso utilizzato come spilla. Era un distintivo che persino Josiah, non originario del Nord, riconosceva e rispettava.
    «Sei tra gli esperti militari del Consiglio e la guerra sta arrivando. Voglio un udienza con gli anziani. Il prima possibile.»
    Se solo lo stratega non avesse sviluppato un autocontrollo incrollabile negli anni di rigido addestramento, avrebbe a quel punto riso in faccia al bardo in un misto di incredulità e disprezzo per tanta sfrontatezza. Rimase zitto.
    «Sei in debito con me» gli ricordò.
    «Tu sei il cancro di questo continente, bardo. Tu e i criminali di cui ti circondi.»
    «No, Josiah. Domani forse lo sarò, sì. Oggi sono un semplice ambasciatore di Jevanni Glacendrangh, il Guerriero dell'Inverno. Presentami in questo modo ai tuoi superiori e spargi in fretta la voce. Sono qui perché i popoli dell'Edhel si stanno riunendo in un'alleanza e ques--»
    «Un'alleanza è pazzia. Non posso suggerire una soluzione del genere. Lithien è più sicura qui, isolata, per via della sua collocazione. Non sei un ingenuo, Taliesin. Te ne rendi conto anche tu, eppure sei qui ad avanzare pretese assurde.»
    «Josiah, pazzia è pensare che quello del Kishin sia un semplice esercito e come tale vada combattuto. Non ti sto chiedendo di rinnegare la tua disciplina o i tuoi precetti, ma questo non è un nemico comune. Tu rendimi questo favore e non mi immischierò più nei tuoi affari. Passa questo messaggio a chi di dovere e considerati libero da ogni debito.»
    Taliesin consegnò a Josiah una grossa lettera, scritta di suo pugno alcune ore prima. Si tolse poi la Vena di Pietra che teneva chiusi i lembi del suo mantello e gli diede anche quella. Lo stratega ricevette con riluttanza entrambi gli oggetti. Infine, il vagabondo si congedò con un piccolo inchino.
    Fatto qualche passo per andarsene, un grosso corvo planò nel portico. Voltò il becco verso il bardo, gracchiò rumorosamente e si ridusse in un soffio a un mucchietto di piume nere. Tra di esse c'era una piccola pergamena. Taliesin aprì le braccia in segno di scuse.
    «Con permesso» fece allo stratega, recuperandola. La lesse in fretta e furia.

Il Vanahaim ha giurato fedeltà alla lega e manda forse tre migliaia di guerrieri. La diciannovesima vena è al suo posto. I frammenti di Shaogal Crann sono marciti, e i presagi tormentano il popolo. Dicono che la minaccia non viene più dal sud e che l'Edhel va protetto da un nuovo nemico. Gli Uomini di Pietra seguono i loro oracoli e marciano ora verso nord. Noi aspettiamo tuoi ordini. Juan.

    Ripose il messaggio nella borse, assieme agli altri sedici rapporti e alla piccola volpe d'ombra, lì celata. Con un calcio sparse al vento le piume nere, mentre faceva delle addizioni. Sfoggiò poi un sorriso soddisfatto.
    «Combattiamo per la nostra stessa vita, Josiah. Il tempo della strategia è terminato. Ora siamo tutti dalla stessa parte.»


    Sei giorni dopo l'incontro con Jevanni, Taliesin si ritrovò ad attraversare un massiccio portone, entrando in una delle stanze delle guglie più alte di Lithien. Mai si era spinto così in alto nelle sale del potere in tutta la sua vita. La luce, all'interno dello stanzone circolare, era così forte che gli pareva di fluttuare nel vuoto. Una forza invisibile pareva spingerlo verso terra, limitando i suoi movimenti. Non vedeva nessuno, ma percepiva chiaramente una dozzina di presenze a circondarlo.
    «Il mio nome è Taliesin. Mi prostro a voi savi in nome di Jevanni Glacendrangh, Leone dell'Edhen, di cui porto l'ambasciata. Vi prego pertanto di concedermi udienza.»
    Una voce penetrò prepotentemente nella sua testa. Era già tardi per opporsi a essa.

«Le parole solo futili. Concediti al nostro sguardo e non resistere»



Riassumo brevemente quel che succede prima dell'intervento nelle scena linkate, in cui sono stato più esaustivo di così: Jevanni incontra Taliesin e lo convince ad agire come suo ambasciatore. Nella sua permanenza di alcuni anni presso il Dortan, il bardo ha riunito circa tre centinaia di persone, specialmente avventurieri e criminali di un certo rilievo, in una organizzazione chiamata Ruadh. Il vecchio compagno lo convince a radunare un'alleanza dei popoli dell'Edhel da unire all'esercito della Sfinge e fronteggiare il Kishin. Quel che succede nel post è evidente: mentre il resto dell'organizzazione convince gli Uomini di Pietra, Taliesin il bardo entra a Lithien. Ottiene un'udienza perché Josiah, studioso basato nella città in debito con il bardo (vedi qui, per non linkare troppe cose), ha scalato le gerarchie come consulente per le questioni belliche. Nel frattempo la Ruadh si è divisa in piccoli gruppi, intesi a riunire i popoli delle montagne e spingerli verso nord, per unirsi all'esercito della Sfinge. Ogni drappello porta con sé una Vena di Pietra, artefatto leggendario in possesso del bardo per via del suo passato tra i Leoni, che li rende riconoscibili come suoi seguaci e rispettati in tutto il nord. Si tratta della vecchia passiva un po' romanzata. Nel giro di una settimana circa la Ruadh raggiunge gran parte degli Uomini di Pietra, assoldando le tribù che prendono a marciare giù dalle montagne, verso nord. Tutti quanti sono piuttosto ricettivi anche per il fatto che la minaccia è vasta, e che i sogni dei popoli dell'Edhel sono poco tranquilli e disturbati da questo presagio che giunge loro (opera della Sfinge). Il post termina con gli Arcimaghi di Lithien che scrutano nella mente di Taliesin per giudicare la bontà del suo messaggio--difficile trovarci bontà ma deve sperare; non che lui possa opporsi a una cosa del genere vista la loro potenza.
Ci sono alcuni riferimenti all'ambientazione forse un po' troppo condensati in piccoli passaggi ma pace. Unico dettaglio: il popolo Van e il territorio del Vanaheim/Noatun è un riferimento a cose scritte da Kacktuar in passato; non volevo certo impossessarmi del suo contenuto, ma legarmi meglio al contesto e non continuare ad autocitarmi come ho fatto per Calon Ia eccetera. Si tratta probabilmente della tribù Anahmid più popolosa se presa singolarmente, per quello mandano così tanti uomini solo loro. Ciao.
Edit 15:26: ho sfruttato il termine posticipato per sistemare delle cosine.


Edited by Hole. - 11/11/2019, 15:26
view post Posted: 11/11/2019, 08:46 Hatred's End ~ La Volpe e il Leone - GdR

    «La mia combriccola, dicevi. Un centinaio di persone stanno dall'altra parte delle montagne. Riuniremo le forze a metà strada e...» Taliesin si interruppe. Pensò a quanto fosse distante da lì il porto di Noatun. Immaginò il profilo dei drekar e le onde gelide del mare. Già sentiva il suo odore e quello del vento freddo che gli graffiava le guance.
    «E che gli Dèi ci assistano. Come se ci fossero alternative. Non sono uno stolto. Jevanni, questa è la fine, vero?»
    «Un centinaio. Non male.»
    Jevanni parve smarrirsi nei suoi pensieri. Sembrò tornare in sé solo dopo qualche istante.
    «La fine? Oh sicuramente.» aggiunse, con sorprendente candore. «È la fine di qualcosa, di tutto, di niente - questo lo decidiamo noi.» Si prese un altro istante per riflettere, forse per soppesare meglio le parole. «Lo abbiamo sempre deciso noi.»
    Il guerriero dell'inverno aveva un aspetto diverso da quello che il bardo ricordava, ma se ne accorse solo dopo quelle parole. Quanti anni erano passati, in fondo? Era un uomo cambiato dal condottiero che, con la medesima lunga spada al fianco e sfoderando una voce ruggente, aveva spronato i Leoni a seguirlo verso Pietradisole. Ricordava persino il tono con cui la folla, dopo le sue parole, urlò Viva la Regina! e ricordava di essere rimasto in silenzio, nel mezzo dell'euforia generale. Ma gli occhi del Jevanni che era giunto fino a lui quella mattina erano occhi di pietra. Era evidente che il tempo fosse stato inclemente nei suoi confronti.
    «La più grande fortuna e il più grande peso. Alla fine di tutto, noi siamo riusciti sempre a scamparla. Anche io e te.» Solo allora guardò il bardo diritto negli occhi, provocandogli un brivido di soggezione. «Lasciarsi tutto alle spalle quando il nemico è troppo forte è una scelta furba. Saggia... non lo so più oramai. Poco lungimirante. Non trovi?»
    Un affondo ben assestato che colpì l'orgoglio del musico. Certo: aveva abbandonato i Leoni dell'Eden cercando fortuna più a sud. E di fortuna ne aveva trovata tanta, ora che centinaia di persone lo seguivano e pochi osavano sfidarlo. Si rendeva conto di ciò, come del fatto che molti a nord ricordavano la sua improvvisa defezione e lo consideravano un traditore. Sapeva che nonostante ciò nessuno si azzardava mettergli i bastoni fra le ruote. Pochi cavalieri erranti erano in grado di farlo. Ma quella nomea non gli pesava affatto: in fondo a sud delle montagne ci si riferiva a Taliesin con termini meno lusinghieri di traditore. E non era il solo né il più importante a essere scomparso di punto in bianco.
    «La fai facile, Glacendrangh. Come se a questo punto io e te contassimo qualcosa. Se anche solo un decimo di quello che ho sentito è vero, ciò che sta arrivando per noi è più grande di qualsiasi cosa mai vista.»
    Taliesin vinse la soggezione e guardò Jevanni con aria severa.
    «Se il nostro destino è già deciso, io dovrei galoppare da solo verso la costa. Dovrei salpare e sperare che il vento mi sia amico, mentre tutto quel che ho costruito viene spazzato via. E tu mi parli della differenza fra astuzia e saggezza, quando l'unica cosa lungimirante è avere salva la vita. E la Ruadh è persino fiduciosa che io li tiri fuori da questa palude» rispose, per poi alzarsi in piedi. «Sei passato a salutare un vecchio compagno, Jevanni, o c'è dell'altro?»
    Quello non parve sorpreso dalla reazione del bardo. Anzi, sorrise. E il suo era un sorriso mesto, intriso di quella malinconia che come una patina uniforme rivestiva ogni sua parola.
    «Per salutare, dici. È la fine del mondo Taliesin--se non posso bussare ora alla tua porta, quando potrò mai farlo?» rispose, scuotendo il capo. «Io non conto niente. E tu nemmeno. Io e te contiamo... un po' di più. Poi i più coraggiosi nella Ruadh. Poi l'Ordine delle Lanterne...»
    La voce del guerriero calò a poco a poco, finché non si spense del tutto assieme a uno stanco gesto accennato dalla mano, per enumerare le opzioni. Rimase immobile.
    «Non ho il cuore di ingannare chi mi accoglie. Né le energie per riuscirci--non te, che non sei nato ieri. Per questo ti dico, senza timore di dire una sciocchezza, che qualunque scelta non verta sul fermare il Kishin adesso sarà quella più semplice--ma non la migliore» aggiunse, tornando mortalmente serio e privo di ogni tono confortante.
    «Finito l'Edhel, toccherà al Dortan. Le porte di Baathos si aprono anche nell'Akeran. Quanto credi che ci metterà il Kishin a distruggere, dopo quello che hai amato e odiato, anche tutto ciò che ti è rimasto?»
    Le sue parole travolgenti piegarono lo sguardo di Taliesin verso terra. Dopo quale attimo si risedette e prese ad ascoltare cosa il vecchio compagno aveva in serbo per lui.


    Juan intravide Taliesin mentre usciva dalla tenda. Doveva essere passato un quarto d'ora o poco più.
    Alle spalle del beduino, sparsi in mezzo alle intricate rovine, la Ruadh aveva da poco finito di smontare il campo. Una dozzina di persone erano raggruppate in un chiassoso capannello, intente a giocare con dei dadi. Altrettanti, in punti diversi del complesso, avevano scelto di posare la schiena a terra e cercavano di guadagnare qualche minuto di sonno, prima di una marcia che sapevano sarebbe stata lunga e faticosa, nonostante la loro esperienza e i rimedi degli arcanisti alle intemperie. Altri membri ancora passeggiavano nervosamente da una parte all'altra del sito, svolgendo le loro mansioni; solo un piccolo gruppo di apripista, tra cui Herbert e Solomon, era già in cammino verso il passo di Calon Iâ.
    Ai piedi di Taliesin il beduino scorse una piccola sagoma, alta giusto un paio di spanne. Venne allora colto da un brivido e ascoltò il suo istinto: quell'uomo dal volto malinconico e dagli occhi gelidi non era portatore di buone nuove. Fiducia, mormorò, allontanandosi a lunghi passi. Con un urlo minaccioso prese a radunare gli uomini.
    «La tempesta vera deve ancora colpirci. Sii pronto» fece Jevanni, osservando il cielo che si stava rannuvolando.
    «Ma di tempeste come questa non ne ho viste molte» incalzò il bardo, guardando anch'egli in alto ma senza trovare alcun conforto.
    «Seguimi, ti prego» fece poi all'amico. Bastò un gesto perché dalle rovine partisse un drappello di uomini che avrebbero smontato la tenda in qualche minuto. Condusse allora lo spadaccino giù per il pendio, nella direzione opposta alle rovine, così da essere lontano da occhi e orecchie indiscrete.
    «La Ruadh si sposta in fretta. Partiremo tra pochi minuti e saremo sul passo più vicino prima dell'imbrunire. Entro domani centodiciassette uomini si uniranno alle nostre fila. Una volta lì non perderò tempo, anche se non so ancora da dove cominciare. Gli Uomini di Pietra sono gentaglia del peggior tipo.»
    I due si fermarono. Il Talamlith si estendeva verso l'orizzonte nuvoloso. Fu allora che Jevanni alzò un braccio. Un riflesso involontario spinse il bardo a sottrarsi al colpo, ma l'altro fu più rapido. Il guerriero gli diede una pacca sulla spalla, e poi ci posò sopra la mano.
    «Ricordati cosa hanno perso. Cosa cercano. E chi può darlo.»
    La tensione di una notte intera crollò in quel momento addosso alle sue spalle. Nella stessa maniera in cui Jevanni si era concesso un gesto di amicizia, cosa rara a giudicare dai suoi modi freddi, Taliesin si lasciò andare allo sconforto. In quel luogo il resto della Ruadh non poteva vederlo e, con la mano del guerriero a stringergli la spalla, gli sembrava che qualcosa lo avrebbe sorretto anche nel caso in cui le sue forze sarebbero mancate.
    «Juan mi ha detto che è arrivato il momento della fiducia. E spero tu abbia ragione, Jevanni. Spero di farcela. Ma la fiducia non basta contro il Kishin.»
    «Cosa, credi che abbia un asso nella manica?» rispose l'altro, scuotendo il capo e facendosi scappare una risata colma di amarezza. «Fiducia, speranza, coraggio, chiamale con il nome che ti suona meglio. Da sole non bastano nemmeno a darti la forza di sollevarti dal letto e affrontare la giornata--figuriamoci un duello. Una battaglia. Una guerra. La fine di tutto. Ma è tutto ciò che abbiamo» aggiunse, fissando il bardo. «È tutto ciò che abbiamo.»
    Taliesin non fece in tempo ad annuire.
    «Possiamo riunire tutti quanti e affiancarci alla Sfinge, ma solo se abbiamo fiducia in noi stessi. Perché la pasta di cui siamo fatti, ci servirà tutta fino in fondo. Quella di tutti noi. Non abbiamo altro.» gli fece, ammiccando poi in direzione della bestiola ai suoi piedi. «A parte te. Tu hai anche qualcuno che ti ricorderà il dovere. E dovrai proprio essere quella persona per gli altri, per tutti coloro che ti seguiranno.»
    La sagoma ai piedi del vagabondo era quella di una volpe. Le proporzioni erano quelle di un animale qualunque. Normale sarebbe stato anche l'aspetto, se solo il colore della bestiola non fosse stato simile a quello della pece e i tratti del muso non fossero stati completamente indistinguibili.
    «È tutto, Jevanni?»
    Quello prima guardò la volpe, poi fece di sì col capo.
    «Sii cauto.»
    Strinse la mano a Taliesin e prese a camminare verso nord.
    Il vagabondo avrebbe tanto voluto concedersi ancora qualche attimo di solitudine, magari seguendo l'amico con lo sguardo, fino a quando la sua figura sarebbe diventata indistinguibile dal brullo orizzonte del Talamlith. Ma quella stretta di mano aveva suggellato un accordo. E l'accordo prevedeva che non ci fosse riposo alcuno, fino alla fine.
    Taliesin si inerpicò su per la salita. La prima di tante che di lì a poco avrebbe dovuto affrontare.

(...)


A breve segue il post nel lascito, a cui aggiungerò il link. Cya.
Edit: link aggiunto.


Edited by Hole. - 11/11/2019, 12:01
view post Posted: 7/11/2019, 13:13 Hatred's End ~ La Volpe e il Leone - GdR

Hatred's End
~
La Volpe e il Leone



2Y6lGzd


(...)


    Sedeva da solo nel punto più alto delle rovine. Il tiepido e stanco sole del mattino faticava a riscaldarlo, mentre si celava al di sotto del mantello impolverato. Era quieto; le gambe penzolavano dalla muraglia ma la schiena era curva, come gravata da un peso invisibile. Lo sguardo assente si smarriva nell'orizzonte frastagliato del Talamlith. L'espressione era neutra, le labbra strette appena in una smorfia stanca, ma il movimento degli occhi da un punto all'altro della stretta valle tradiva una tensione profonda e malcelata. Tra le mani, al di sotto di Itinerante, stringeva ancora il dispaccio che non gli aveva fatto chiudere occhio per una notte intera.
    Le parole che la pergamena recava erano state vergate da una mano tremante. Somigliavano più a scarabocchi tracciati in fretta e furia e non recavano sigilli né firme. Frasi confuse e termini gravi dipingevano un cupo presagio che Taliesin, se solo non avesse riposto massima fiducia nei suoi collaboratori, avrebbe liquidato come uno scherzo goliardico. Se lui stesso non avesse udito quella voce, il giorno prima, avrebbe pensato che il messaggio fosse una trovata qualunque per seminare il panico tra le fila dei suoi. Hamek, il vecchio telepate della Ruadh, glie lo aveva consegnato con riluttanza. Nel farlo, i suoi occhi già guardavano altrove: alle spalle del bardo, nel vuoto, verso un futuro che, in una quieta sera di un giorno qualunque, si era tinto di nero. La sua mente era oscurata da centinaia di parole, urla e immagini confuse. Quando gli vennero chieste più informazioni, l'anziano rimase rigido. Allora Taliesin si abbandonò all'ira: lo prese per il colletto e lo scaraventò da una parte, contro un tendaggio che gli crollò addosso con gran fragore. Quello rimase a terra, inerme e tremante sotto il tessuto rosso, ancora troppo impegnato a scorgere figure distanti divincolarsi nel buio. Ci impiegò alcune ore per tornare in sé e mettere in ordine le parole in una frase compiuta. Solo allora, confermati i suoi timori, il bardo stesso gli somministrò una generosa dose di sonnifero e si ritirò riflettere.
    Con lui, a nord, c'erano tre dozzine di uomini più Juan; metà della Ruadh, un manipolo di più di un centinaio tra mercenari, commercianti e avventurieri, stava invece cavalcando a rotta di collo verso nord, attraversando l'Ystfalda e spronando i cavalli al limite delle loro energie. L'ordine di riunirsi in fretta sulle pendici dell'Erydlyss era ormai giunto anche ai membri sparpagliati negli angoli più remoti del continente; in un'altra situazione il bardo si sarebbe persino compiaciuto di tanta efficienza e prontezza dei canali di comunicazione da lui ideati. Il reale significato di tale messaggio era chiaro a tutti: gli uomini troppo lontani per riunirsi alla Ruadh entro qualche giorno di viaggio erano da considerare uomini persi. Avrebbero dovuto provvedere loro stessi alla loro salvezza--e Taliesin non avrebbe potuto contare su di loro per la sua.
    Si perse nel riflettere come lunghi anni erano passati dalle prime scorribande della Ruadh nel Talamlith. Da allora, l'organizzazione si era arricchita e ampliata a dismisura; aveva goduto del caos dilagante nel Dortan e governato, di fatto, numerose strisce di territorio. Si era trasformata da un manipolo di criminali e reietti, perlopiù tagliagole e mercenari occupati principalmente ad arricchirsi e sfuggire alla legge, a una corporazione di avventurieri conosciuta e rispettata quasi ovunque, con propaggini operative verso ogni punto cardinale. Profili diversi ora ne riempivano le fila: commercianti, arcanisti, telepati, esploratori e persino alcuni druidi. Tutti coloro che, come amava ripetere Taliesin, credevano nell'uguaglianza degli uomini ed erano disposti a combattere per la loro libertà. Circa tre centinaia di persone potevano pregiarsi di farne parte ed erano autorizzate a portare sull'avambraccio lo straccio distintivo. Migliaia di persone erano in qualche maniera coinvolte in affari con la Ruadh, ed entrare in affari con essa significava ben più di portare a termine qualche scambio commerciale.
    L'organizzazione era tutto fuorché ferrea e rigida: uomini e donne, litigiosi e ambiziosi, non perdevano occasione di scalare i ranghi facendo valere i loro meriti ai danni altrui. Ma tutti, dal più umile al più pernicioso, ammiravano l'esempio del bardo e tutti, nessuno escluso, temevano gli ordini del beduino. Sotto le loro autorità combinate potevano godere di libertà e uguaglianza e non riconoscere altro signore che se stessi. O così sosteneva il musico. Mantenere le redini di questo enorme carro era spesso un grattacapo per Juan e un fastidio per Taliesin, ma ad anni di sforzi erano seguiti raccolti generosi. Fino a quel giorno.


    Il Beduino risalì il pendio e giunse dal Bardo. Solo allora si tolse il turbante scarlatto che gli copriva gran parte del volto. La pelle arsa dal sole e la barba ispida e incolta esasperavano un'espressione già turbata e sinistra.
    «Eccomi» gli fece, grave. Taliesin lo squadrò con aria smarrita. «Mi hai detto di tornare all'alba» aggiunse. Il bardo annuì e raddrizzò la schiena.
    «Certo. Juan, amico mio. Siediti accanto a me» mormorò. Gli fece posto sulla muraglia. Il beduino vi si inerpicò con uno scatto vigoroso e gli si sedette accanto. Rimasero così, in silenzio, per qualche istante.
    «Abbiamo fatto così tanta strada, vecchio mio. Non è vero?»
    «Non ricordo quanti stivali ho dovuto cambiare, ma ricordo che ogni volta era un paio più comodo del precedente. Cosa c'è di diverso, adesso?» gli chiese, mentre la sua espressione si rilassava appena. Udì un sospiro uscire dalla bocca serrata del bardo: non succedeva mai.
    «Il Kishin.»
    «Abbiamo provviste e risorse a sufficienza, il sostentamento non ci manca. Con la magia di Herbert possiamo attraversare il passo di Calon Iâ in qualche giorno appena e con centocinquanta uomini possiamo occupare una fortezza dell'Ystfalda. Non è la prima volta che provano a spazzarci via. Siamo pronti a questa eventualità e non c'è esercito che possa prenderci per fame o per--»
    «Forse» lo interruppe, «forse dovremmo prendere due dozzine di uomini, i migliori, e scappare verso la costa. Arrivare a Noatun e lasciarci il continente alle spalle. Io e te. Forse dovremmo.»
    «So che non diresti mai una cosa del genere, se non fossi disperato» gli rispose Juan.
    «Prima che ci conoscessimo, fratello mio, ero solito immischiarmi negli affari del Nord. Prima che questo posso si chiamasse Edhel, quando ancora vi era una Regina a cui prestare fedeltà. Conosco ciò che cosa sta arrivando. Questa, Juan, potrebbe essere la fine.»
    Il bardo non era solito farsi prendere dallo sconforto. Il beduino non sapeva bene come comportarsi. Dopo essere rimasto zitto per qualche istante ancora strinse i pugni e incrociò lo sguardo del compagno.
    «E allora non perdiamo tempo, Taliesin» ruggì.
    Rimasero a discutere sul da farsi per quindici minuti. Il beduino fece il punto su uomini e risorse a disposizione, mentre l'altro ponderava le opzioni e gli indicava come procedere. Il bardo prese poi a raccontargli del Sorya, di Alexandra e dei Leoni: non era la prima volta che lo faceva ma in questa situazione il suo tono era privo del solito orgoglio. Non indugiava sui dettagli e sorvolava su ciò che era accaduto tanto che, se il beduino non avesse già udito quella storia una dozzina di volte, avrebbe fatto fatica a seguire il discorso. Quando infine si zittì, a Taliesin parve di trovarsi in un luogo sconosciuto ed essere giunto lì per caso.
    «La Ruadh ti segue, Taliesin. Lo sai» gli fece infine Juan, e tali parole parvero ridestarlo.
    «La Ruadh segue il denaro. Solo io e te siamo mossi da ideali, amico mio. Forse è questo a spaventarmi.»
    Prese a spirare un vento freddo, e Taliesin si rinfrancò nel calore del mantello.
    «Dì alla Ruadh che ci incamminiamo nel giro di un'ora.»
    «Ho svegliato tutti all'alba. Siamo pronti a partire in dieci minuti.»
    Il beduino saltò giù dalle rovine e riprese la sua espressione truce e minacciosa. Taliesin sorrise appena.
    «Juan!» gli fece, da lontano. Quello si voltò. «Sapevo cosa sarebbe diventata la Ruadh dal momento in cui ti ho conosciuto. Ho visto un bagliore in fondo ai tuoi occhi: l'ho visto con grande chiarezza e ho immaginato fino a dove quel bagliore potesse spingersi. Questa è la Ruadh, in fondo. E un bagliore simile lo ho intravisto in tutti coloro che abbiamo deciso di portare con noi.»
    «Conosci ciò che penso. Solo tu sai come mi sono sempre fidato del tuo giudizio. Andremo avanti!» rispose, indugiando appena prima di continuare. «Fratello mio, è giunto anche per Taliesin il momento della fiducia. E senza fiducia nella Ruadh, verremo spazzati via come foglie secche. Ricordo bene il momento in cui lo dicesti tu a me.»


    Quando Juan sparì dietro a un rudere, la luce prese a cambiare. Il sole si fece ancora più tiepido e stanco mentre una foschia gelida risaliva il pendio. Dapprima Taliesin non se ne curò: continuò ad accarezzare la lama di Fabula, perso nei suoi pensieri. Rivedeva le ali di Ashardalon e scorgeva le profondità della terra con straordinaria vividezza, nonostante fossero passati lunghi anni. Udiva voci lontane, prive di un volto, che urlavano la carica in nome di ideali ormai dimenticati. Emise un lungo sospiro.
    Fu solo quando un brivido di freddo gli percorse la schiena che tornò a guardarsi attorno, improvvisamente all'erta. La nebbia aveva ormai avvolto ogni cosa.

Giocata riservata, parte integrante del ciclo Hatred's End e prefazione a ciò che seguirà in Dark Matters. Saluto con affetto i miei due compagni di viaggio. Mi sembra di essere stato anche troppo reader-friendly nello spiegare trama e trascorsi, ma per chi volesse approfondire ulteriormente la trama della Ruadh, qui i link a Ruadh - Prologo; Ruadh - I e, dall'altra piattaforma, Il Lord di Forte Rosso. Qualche informazione è reperibile anche nella scheda di Taliesin. Più informazioni su certi riferimenti arriveranno nel post vero e proprio. Tornare a scrivere è un piacere.
Edit 7/11, 19:19: inserito link (...) al primo capitolo di Hatred's End


Edited by Hole. - 7/11/2019, 19:19
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