All Heavens sent to dust ········ - Group:
- Member
- Posts:
- 10,687
- Location:
- ex somnis
- Status:
| |
|
S O A R I N G M E M O R I E S R O A R I N G H E A R T S
L'armatura accusò il colpo abbastanza da non ferire seriamente il Guerriero.
Un normale uomo sarebbe rovinato pesantemente e violentemente sulle scaglie, tingendole del rosso del proprio stesso sangue. Ansimante per la mancanza di aria dovuta all'impatto con il torso, in preda al dolore più atroce, e stordito per il colpo improvviso. Facile preda per un drago che, una volta mossosi, lo avrebbe fatto rotolare giù dal suo dorso, nel fango.
E una zampa colossale a chiudere l'ultimo capitolo della sua vita, sotto forma di una tomba scavata con un passo. Non tutti possono combattere ad armi pari con i draghi, per questa ragione. Un solo passo e tutto è finito. Un soffio più forte del respiro, o un movimento incontrollato. Ed è la fine.
Non si nasce Cacciatori di Draghi, avrebbe detto Asmus. "Spiegami che cazzo devo fare allora" gli avrebbe replicato in un atto isterico un normale Jevanni.
Ma non era tempo per essere normali, da ormai tantissimo tempo.
Affondò il pentadente con tutte le forze e con tutto il peso nella carne, scoperchiando la squama colpita e divellendola dal gigantesco collo corazzato. Ignorò il dolore allo stomaco e smise di respirare per una decina di secondi, in attesa che i polmoni smettessero di bruciare. Mantenne la testa lucida nonostante l'attacco di vertigini, e si aggrappò con la mente e il corpo all'asta metallica che spuntava dal rettile, come una bandiera scarlatta il cui tessuto liquido e sventolante era formata dal sangue schizzato dalla ferita.
Una piccola, quantomai temporanea bandiera a commemorare che l'uno percento degli uomini che s'erano ersi contro una di quelle bestie volanti aveva successo.
Non s'è mai perfetti. Si rimane sempre, sebbene in minima parte, normali. Era per quello che i draghi venivano uccisi più dagli umani che non dai loro stessi compagni.
Scaglie dure come -forse più- dell'acciaio, zanne affilate come le spade benedette dagli dei occhi luminescenti del sole, veggenti come quelli delle bestie più ferali respiro mortale, più della morte stessa Ma gli umani sono peggio. [...]
E Jevanni, a dispetto di tutto ciò che era divenuto negli ultimi avvenimenti, rimaneva fondamentalmente umano.
"E ora?" chiese a sé stesso senza poterlo dire con la propria voce bruciata.
La domanda più legittima, più pura e sincera. Quella che chiunque, sul dorso di una figura mitologica emblematica nella lista delle creature più pericolose di tutti i tempi e i mondi, reali o frutto di immaginazione, quali sono i draghi si chiederebbe.
"E ora che diavolo faccio?" Le ginocchia stremate cercarono di mantenere in piedi il corpo dell'uomo, ma queste crollarono sotto il movimento del colosso che prima s'era voltato su sé stesso per scagliare una zampata ad un umano non visibile al Guerriero, poi aveva spalancato le ali membranose. Le scaglie si mossero sotto la sua degli stivali, che persero la presa costringendolo nuovamente ad aggrapparsi all'arma spasmodicamente.
Un attimo prima, avrebbe potuto buttarsi di sotto verso il drago e sperare che si rompessero solo metà delle costole.
Ma un istante dopo, quell'opzione sparì. Dissolta nell'ampissimo cerchio di polvere sollevato dal battito d'ali del drago che aveva spiccato il volo.
« CESSATE IL FUOCO! SMETTETE DI TIRARE! » L'ordine di Maurice lasciò spiazzati alcuni, che credettero di aver capito male.
Il soldato aveva rapidamente guadagnato il controllo dei compagni rimasti dopo l'attacco, quelli più vicini. Gli altri più distanti avevano seguito con lo sguardo e con le orecchie le azioni dei colleghi, e avevano scoccato frecce e sparato proiettili nella stessa direzione in cui gli altri lo stavano facendo. Con un brivido che era sceso lungo la schiena, egli aveva compreso cosa significava - per la prima volta - comandare.
Non era semplicemente sbraitare un verbo, metterlo in fila magari con qualche avverbio come specifica. Era qualcosa di diverso: dozzine, centinaia di uomini che fanno esattamente ciò che dici. Affidarsi a loro, che si affidano a loro volta a chi li comanda. Un patto equo, che se tutto fosse andato bene li avrebbe fatti uscire tutti vivi.
Forse come l'amicizia. Forse come l'amore. Ma quella era guerra. E la guerra poteva devastare come un fiume in piena, se non arginata con una rapida vittoria.
O pazienza.
« HO...HO DETTO FERMI TUTTI! » Urlò ancora, cercando di darsi più tono, e finalmente dopo qualche angosciante momento in cui si spense l'eco dell'ultimo sparo tutti si fermarono.
« Ma cosa ti salta in mente, Maurice!? » strepitò Louis, uno dei compagni di branda, rompendo le righe e avvicinandosi con un cipiglio minaccioso. Levò il braccio ad indicare il drago che s'era librato in volo a diversi metri d'altezza, schivando le frecce e le cannonate, mentre le pallottole finivano di rimbalzare sulle scaglie.
« Quel bastardo ci sta scappando, DOBBIAMO riportarlo a terra! »
Ma il nuovo vice-capitano scosse vigorosamente il capo, lo sguardo reso più freddo e calcolatore dalla situazione. « Non comprendi? Non riusciamo più a colpirlo con le frecce, e le pallottole potrebbero colpire il capit- »
« VUOI DIRMI CHE QUELL'IDIOTA CHE E' SALITO SULL'AQUILA ERA QUEL COGLIONE DELL'ALBINO? » insorse con aria stravolta l'amico, che divenne improvvisamente pallido nel notare il cenno affermativo dell'altro. Molti si voltarono, chi inarcando le sopracciglia chi sbottando in una risata, come credendo fosse una battuta. Maurice circondò con un braccio l'ampia spalla di Louis, e abbassò la voce in maniera che nessun altro lo sentisse. « Lo so, può sembrare una cosa stupida...ma sono sicuro che abbia un piano. » affermò, gli occhi colmi di fiducia e sicurezza. « E sta solo attendendo il momento per metterlo in atto. »
Mai come in quel momento, il Guerriero ringraziò di avere la gola troppo arsa per poter urlare. "MORTOMORTOmortomortomortomortomortomortomortomorto"
. . .
S'era sentito come schiacciare dalla gigantesca massa d'aria che lo aveva schiacciato sul dorso squamoso della bestia, quando questa s'era sollevata. Gli occhi nuovamente ricolmi delle lacrime causate dal vento pungente si annebbiarono, e il senso di vertigini si acuì ulteriormente provocandogli un senso di nausea tale da forzarlo a tentare di raggomitolarsi su sé stesso quasi in una posizione fetale e calare le palpebre. E poi? Poi vi fu il colpo di grazia. Il ruggito. Quando si dipanò nell'aria come l'esplosione di un vulcano, quasi fosse il suo stesso soffio infuocato che divampava, l'aria stessa vibrò di qualcosa ch'era ben più che semplice terrore: era puro odio, riversato nel mondo con la stessa nitidezza di una macchia di vino su una tovaglia di cotone candido. Aggrappato come si trovava, questi non poté nemmeno tentare di coprirsi le orecchie. Come aveva fatto sino a quel momento serrò la presa su Tempo, concentrando tutti gli sforzi mentali e fisici in esso, ma questa volta non bastò. Il corpo rimase saldo, ma la coscienza scivolò in un baratro cupo di tenebra, portata via dal boato assordante.
Venne dunque il silenzio.
Ci volle qualche attimo perché Jevanni comprendesse. Qualche lungo attimo.
Era buio. Tutto buio. No, non è buio: un mezzo respiro dopo il cielo s'è tinto di stelle d'ogni colore e scintilla, ammicca agli occhi celesti dell'uomo. Passano le stelle infinite, roteando attorno a lui, e solo quando si sollevarono l'albino riuscì a capire del tutto. Era un drago nero, che sino a quel momento era stato sopra di lui. Le stelle non erano altro che i bagliori luccicanti delle scaglie. Eppure non aveva sentito dolore, schiacciato come sarebbe dovuto essere sotto il peso Come se lo stesse...covando?
Uova. Tre, quattro. Altre tre alla propria destra, ne scorge cinque alla sinistra. Dopo essersi guardato attorno, ne conta una dozzina circa, probabilmente. Non saprebbe dire con certezza: mamma drago copriva il sole con la sua enorme mole dall'aspetto letale. Jevanni non si intendeva granché di tipologie di draghi, sapeva solamente che non tutti soffiavano fuoco, ma non poté non notare la somiglianza cromatica fra lei e il drago che aveva affrontato sino a quel momento. Non poteva essere una coincidenza.
Tentò di arretrare, allontanarsi, fuggire da quello che da un momento all'altro sarebbe divenuto un nido di draghi ("mortomortomorto") ma semplicemente non ci riuscì. Un passo dopo l'altro sembrò richiedere più sforzi del dovuto, e distogliere lo sguardo da quelle visioni sembrava costringerlo a crollare nell'oblio - per sempre. Come se si trovasse su una piattaforma scivolosa di cristallo sospesa sopra un abisso, sul quale era costretto a viaggiare. Ebbe un giramento di testa, e tutto accelerò improvvisamente: le uova si schiusero, i cuccioli di drago si mossero a velocità insensata, la madre, le nuvole, il sole, la luna, luci ed ombre, giorno e notte si alternarono per secondi che parvero infiniti.
Quando sembrò di non potercela più fare, di essere sopraffatto, il mondo fittizio riprese a girare, i contorni più netti.
Ora non era più nel nido. Una cappa di angoscia gli s'era avvolta alla gola, assieme alla sabbia del deserto spinta dal vento che sbatteva sul viso delle zaffate calde delle dune. Come se respirassero. Come se fossero vive.
Uno sguardo più attento a ciò che lo circondava, e mura gigantesche si eressero, celandogli una città evidentemente esotica - svettavano solamente le punte dei palazzi più alti. Un posto che d'un tratto gli parve stranamente familiare.
"...Vento d'Oriente?" Forse lo era. Forse qualche secolo addietro, a giudicare dallo stato delle mura. Sicuramente prima dell'assedio in ogni caso. Non vedeva nessuno nei paraggi, v'era silenzio. Se non per due figure gigantesche, scure, che si stagliavano davanti alle porte. Riconobbe al volo il drago di prima, mentre l'altra era un cucciolo che veniva lasciato.
Jevanni non sapeva nulla dei draghi, si rese conto: non era a conoscenza di pressoché niente - sapeva che sputavano fuoco, che erano talmente grandi da essere calamità persino se non aggressivi, e tutte le cose che persino i bifolchi sapevano. Favole dei draghi, leggende vaghe, ballate imbecilli o abbellite. Eppure, quando vide lacrime scintillare sul piccolo muso e udire una voce provenire dal corpo piccino, il Guerriero rimase spiazzato. "Mamma, non mi abbandonare" aveva sussurrato. Ma lei non rispose. Non disse nulla, ammesso che anche lei potesse, e con un battito d'ali già s'era portata al di fuori della visuale dell'uomo. In quel momento comprese da cosa provenisse l'angoscia. Da chi provenisse quell'angoscia. E cosa stesse vedendo in quel momento.
"Sono i ricordi di quel drago..." pensò, e il vortice di immagini si susseguì senza pietà nella mente del Guerriero, il quale non poteva certamente combattere gli spettri della memoria, non con la spada, né con la propria mente spezzata. Si limitò a lasciarsi trasportare dalla corrente, come un corpo privo di vita in un fiume macchiato dello stesso sangue.
Doveva essere una sorta di tradizione, quella? Per quale motivo una madre abbandonerebbe un proprio figlio, il proprio primogenito, per lasciarlo poi alle braccia umane dei fragili umani? Umani che, dall'alto della loro falsa sicurezza, s'erano illusi di poter dominare persino quelle creature tanto più alte di loro? Poi fu tenebra, illuminata solo a sprazzi, nei punti in cui comparivano i padroni che si succedevano incessabilmente ad ordinar lui di spazzare gli eserciti.
Li vide tutti. Uno per uno, coloro che portavano la corona tempestata di diamanti e gioielli. Uno per uno, tutti quanti. Erano simili. Tristemente simili, sia nei lineamenti, negli zigomi come nel loro portamento. Nero, cupo, avido. Uno dopo l'altro. Tutti quanti. Li chiamavano Maharajah, sultani. L'equivalente dei loro re. L'equivalente dei loro criminali.
Anarchia. Libertà. Parole che risuonavano nell'anima del drago e del Guerriero ogni giorno di più. Ogni attimo con più forza. E ad echeggiare, nell'ombra che tornava ad inghiottirlo, il cigolare assordante della catena che lo tratteneva.
Ma ora per il rettile ciò era solo una fiamma sopita, assieme al turbine di emozioni e memorie che s'andavano spegnendo nella mente di Jevanni, e l'aria gelida che tornò a graffiargli ferocemente la pelle sbattendo i capelli sulle guance e negli occhi.
Tutto sfumò, nuovamente. Ma l'angoscia, la tristezza, il disprezzo tutto ciò che Jevanni aveva udito e sentito quello rimase.
A quella sensazione, tuttavia, l'uomo poté finalmente dare un nome.
Sorrise, le labbra arse, mentre la mano batté debolmente su una delle scaglie, e la voce fievole fuoriuscì prepotentemente riempiendogli la gola di dolore.
« A...kron. »
Si rimise in piedi e staccò una delle mani dall'arma, sventolando il braccio vistosamente cosicché l'aquila capisse. Questa stridette e planò verso lui, sfuggendo alle fauci ed artigli del drago, spalancando le ali e avvicinando il capo a lui per poter udire i suoi ordini.
"Un animale intelligente" riconobbe l'albino portando la mano libera al proprio fianco. "Troppo per la sua incolumità."
La lama scarlatta del pugnale commise l'inaspettata efferatezza, perpetrata con la stessa facilità con cui si taglia il burro. Prima nel cranio, perpendicolarmente al becco, poi lungo la gola, infine sulla nuca per ultimare la decapitazione. La testa e il corpo dell'animale glorioso rotolarono per le squame nere come la notte, venendone lacerati ulteriormente dall'impatto poderoso con le spine di cui era ricoperta il carapace della bestia sputafuoco, per cadere infine nel vuoto in una pioggia di sangue. « Akron. » ripeté Jevanni, guardando fisso il cranio sperando d'essere ricambiato. Sperò che lo udisse, dato che non aveva ancora la facoltà d'urlare. Non aveva idea se i draghi avessero fra le tantissime caratteristiche anche un udito sopraffino. Non si narrava di eroi che bisbigliavano le condanne a morte ai loro arcinemici squamosi. « E' questo il tuo nome, vero? Il mio è Jevanni. Per quanto sembri idiota da parte mia crederlo, voglio che tu mi ASCOLTI. » Perse per un attimo l'equilibrio per un giramento di testa e cadde in ginocchio, cercando di resistere alla nausea. « Conosco il tuo passato oltre che il tuo nome, e che ti sembri vero o meno, io sono come te. » Batté la mano sul petto, lo sguardo arrossato dal pulviscolo nero della fiammata di prima ma ancora sincero. Perché Jevanni era sincero. Akron, Abdel. Jevanni, Crystal. « Serviamo chi odiamo. Chi ci ha schiavizzato. Ci stiamo scannando per loro, ma a che pro, ti chiedo? » Indicò in direzione di dove era caduta l'aquila, o dove credeva che essa fosse in quel momento. Alzò la voce sforzandosi un po' di più, sentendo la zona del collo stridere per la sofferenza, ma la ignorò. Tolse Tempo dalle carni del drago e si gettò sulle scaglie tentando di trovare un nuovo appiglio. Strinse i denti mentre l'aria cercava di trascinarlo via.
« Ho...ho appena tradito chi mi ha aiutato. Sotto i tuoi occhi. Non voglio ingannarti né prenderti per stupido, come vedi non uso nemmeno stregonerie per piegarti a me. Conosco il tuo passato, e in esso intravedo un frammento del mio. Non sarò tanto arrogante da dire che io te siamo simili. Io penso - no...CREDO che adesso, ora, sia il momento di ribellarsi! Akron Squamanera, non come padrone ma come compagno di sventura io chiedo il tuo aiuto per liberare te e porre fine a quest'insensata schiavitù! Aiutami ad uccidere chi ti trattiene, io ti prego! »
Disse l'uomo al drago.
"Scaglie dure come -forse più- dell'acciaio, zanne affilate come le spade benedette dagli dei occhi luminescenti del sole, veggenti come quelli delle bestie più ferali respiro mortale, più della morte stessa Ma gli umani sono peggio.
Gli umani hanno un cuore."
|
|