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« C O N Q U I S T A D O R E S » b a c k f r o m h e l l
La terra vibrò. Un sussulto sotterraneo, nelle profondità del ghiacciaio. Crepe sottili come lacrime corsero attraverso la superficie cristallizzata e si intrecciarono in ragnatele di vetro, aggrovigliandosi in un intrico inestricabile. Poi il pavimento fu squassato da un terremoto cavernoso, un fragore meccanico risuonò nel ventre della puttana obesa, e la sezione centrale dell'Ora d'aria prese a sollevarsi verso l'alto, un'immensa zolla incrostata di ghiaccio e sangue. Su di essa si fronteggiavano Hyena e Viktor, all'atto finale di quella miserevole guerra. Sotto gli occhi di Caronte, l'Oberkommandierende fu scosso da uno spasmo violento, mentre una risata oscena sgorgava dal suo volto increspato dal tempo e dalla cattiveria. Le membra si rattrappirono e si intrecciarono in noduli di carne marcia, il volto si deformò in una maschera d'orrore, si distorse, si piegò e stravolse, e dalla schiena inarcata due lampi nero pece squarciarono la carne e si proiettarono alle sue spalle, i bordi piumati e taglienti, e dopo che la pelle si lacerò e le giunture si spezzarono e le ossa si modellarono in nuove abominevoli forme, dopo tutto questo von Falkenberg era scomparso, e al suo posto si stagliava l'ombra minacciosa di un corvo. Il corvo, che spolpa le carogne e rosicchia i cadaveri. Il corvo, che sradica gli occhi dalle orbite e sfregia i volti pallidi. Il corvo, portatore di morte. Il Beccaio trascinava il suo avversario in alto, nel suo regno, dove avrebbe avuto fine la loro lotta, una lotta fra esseri necrofagi e corrotti.
Il cielo non è posto adatto a una Iena. E' finita.
Pensò il Traghettatore, e un ghigno sdentato si spalancò sul teschio bianco. L'arena si innalzava sempre di più, mentre macerie ghiacciate si staccavano e piombavano verso il basso, spuntoni gelidi e ammassi rilucenti. Chi si trovava sul bordo del campo vacillò per qualche istante in bilico sull'abisso, prima di muovere un passo nel vuoto e precipitare verso terra. Urlanti, cadevano dimenando braccia e gambe, e si schiantavano sul terreno compatto e ghiacciato in un'esplosione di cervella, frammenti ossei e schizzi rossastri. Di loro non rimanevano che poltiglie sanguinolente a imbrattare il ponte superiore, affreschi di una mente perversa sulla bianca tela del ghiaccio. L'Ora d'aria si innalzò oltre la visuale di Caronte, proiettando un alone scuro sulla superficie scintillante, come se sotto lo strato di ghiaccio gorgogliasse acqua torbida e sporca. Cessò definitivamente di essere un suo problema: aveva altro di cui occuparsi. Un demone da uccidere. Una supremazia da reclamare. Urla, sangue e neve turbinante.
Le raffiche ghiacciate spazzarono l'arena in una tempesta di correnti vorticose e chicchi di grandine grandi quanto pugni chiusi. La tempesta si schiantò sulla creatura smunta e pallida, ma non prima che quella riuscisse a erigere una difesa improvvisata. Dal ghiacciaio sotto i suoi piedi emersero i profili irregolari e aguzzi di ossa pallide come la morte, lorde di sangue nero e cristallizzato. Si intrecciarono in un muraglione irregolare e sghembo, che vacillò sotto la spinta incessante del vento. Le ossa si creparono, tremolarono e alla fine vennero sgretolate dall'impeto di un inverno innaturale. Quando la bufera passò il demone cadaverico era mezzo assiderato, la parte sinistra del corpo ricoperta da uno strato compatto di ghiaccio. Caronte osservò compiaciuto i riflessi grigio azzurri scintillare dagli arti color cenere serrati nella morsa di quel blocco trasparente venato da sfumature indaco. Erano appena all'inizio, eppure il duello sembrava già chiuso. Con una punta di rammarico per un avversario che non si era dimostrato all'altezza, si apprestò a scagliare il colpo di grazia. Fu allora che un secondo boato rintronò nella landa artica, rimbalzò sulle pareti ricoperte di ghiaccio e si incuneò fra i detriti luccicanti, serpeggiando tra mucchi di corpi assiderati e armi spezzate dal gelo. La terra si spalancò e vomitò fuori dalla sue fauci putrefatte un nuovo abominio. L'essere colossale era un ammasso informe di materia organica deteriorata. Arti mozzati, volti deturpati, toraci, schiene arcuate e ossute, pance gonfie e purulente, una putrida amalgama di carne marcia e agglomerati neri affastellati l'uno sull'altro e tenuti insieme da fasci di tendini e nervi. I muscoli di mille cadaveri erano esposti alla vista, un polmone e un cuore raggrinzito erano conficcati nella pila di carogne, da una spalla colavano umori vischiosi che gocciolavano per terra. Un conglomerato di occhi senza palpebre spuntava su un lato del petto, denti guasti e scuri costellavano il corpo gigantesco, bocche fameliche si aprivano nei punti più impensabili. Larve verdi e tumide strisciavano sulla polpa sanguigna che riluceva sotto uno strato di muco. Dal mostro si spandeva un tanfo pesante e insopprimibile.
« Non mi spaventi con questo »
Mormorò - ed era vero.
« Sono fin troppo abituato a morti e dannati. »
La montagna di carcasse putrefatte franò su di lui, ma il Traghettatore era già pronto.
Il ghiaccio deflagrò in un'esplosione di frammenti traslucidi e fiotti d'acqua gelata, le schegge volarono tutto attorno tracciando orbite taglienti nell'aria, e si conficcarono nei corpi martoriati dei combattenti che li circondavano. Dal cratere aperto nel pavimento si erse una creatura monumentale, grande almeno quanto il Golem di cadaveri, alto e sgraziato. Un delirio di ossa spezzate e crani sfondati, impilati le une sugli altri senza alcuna parvenza di logica o razionalità. Femori fratturati, costole sbrecciate e rotule consumate, clavicole, vertebre flesse e peroni, incastrate in grovigli perversi, intrecciate fra di loro e fuse in sinodi deformi. Era un'anatomia mostruosa e impossibile: falangi dinoccolate che si dipartivano da tibie, casse toraciche svuotate poste sotto bacini sbilenchi, ossa di braccia e gambe modellate insieme per formare arti bestiali. Non era un corpo compatto, tanto meno sensato: brecce e fori oblunghi foravano il reticolo d'avorio, ossicini dall'aria fragile sostenevano le strutture più pesanti, ogni parte era nel posto sbagliato. Imponenti speroni cornei trafiggevano l'essere deforme e lo sorreggevano come spilli infilati nel tessuto. Le giunture erano minuscole rispetto alle membra stirate. Il teschio era una maschera d'orrore piatta e mostruosa: orbite vacue sopra una pozza nera contornata da chiostre di denti affilati e zanne poderose che la sostenevano come antiche colonne in un ghigno di odio perenne. Quando il Golem d'ossa si innalzò dall'abisso proruppe in un urlo fragoroso e disumano, pregno di dolore come il muggito di una bestia al macello. Caronte si unì a lui, latrando versi gutturali che gli risalirono dal profondo del corpo scarnificato, e il loro ruggito riecheggiò sul campo di battaglia come la campana di una mezzanotte eterna. La fine per i loro avversari.
Il pugno monolitico si schiantò sulla spalla del Golem e su un lato del petto, polverizzandone una buona metà. Una sottile caligine grigiastra si sollevò nell'area dell'impatto e offuscò per un attimo la vista. La creatura di Caronte si piegò sotto l'impeto prorompente del gigantesco avversario, le gambe flesse e le ossa più disparate che scricchiolavano con lamenti secchi, eppure resistette. Afferrò l'arto che gravava su di lui come una clava immane e lo gettò all'indietro, ma subito il nemico tornò alla carica e abbattè la mano aperta sul torace spropositato del Golem di scheletri: il palmo affondò fra le stecche appuntite e riemerse dall'altra parte, artigliando l'aria. Il braccio marcescente era immerso fino al gomito nel corpo d'ossa: quando lo estrasse, piegò le costole verso l'esterno e le divelse una ad una, con orribili cigolii. Entrambi abbassarono lo sguardo verso lo squarcio. In un attimo, filamenti perlacei e oleosi presero a intrecciarsi dai margini della ferita: si arrampicavano l'uno sull'altro, convergevano verso il centro cavo e si solidificavano in compatte strutture arcuate. In breve tempo, le costole si erano ricreate. La creatura autorigenerante sollevò la testa e il suo cranio fu spaccato da una fenditura sdentata di trionfo, un sorriso beffardo rivolto all'avversario. In tutta risposta, l'evocazione dell'uomo intabarrato di nero gli sfondò ancora una volta il petto. Furiosa, la creatura ossea slanciò le braccia in avanti e con uno spintone poderoso sollevò da terra il nemico, che piombò a parecchi passi di distanza mandando in frantumi una lastra di ghiaccio. Si avventò su di lui prima che potesse rialzarsi: con una mano adunca artigliò un punto a caso del suo corpo, scavò nella carne corrotta fra i mucchi di cadaveri e ne estirpò una massa fradicia e grinzosa: un fegato marcito, che divorò con cupidigia. Umori grigi colarono a vista sulle ossa, fino a gocciolare per terra. Il primo Golem si rialzò, serrò il collo dell'altro con un braccio e con l'altro, a pugno chiuso, prese a martellare sul cranio. Placche e ossa occipitali vennero sfondati, frammenti scagliosi e schizzi di cervella spruzzarono attorno, e quello non accennava a placarsi. Il mostro di Caronte si affannava e divincolava, il cranio che iniziava il processo di rigenerazione ma veniva in continuazione distrutto. Era stretto nella morsa letale, la faccia già sbriciolata a metà: alla fine addentò con le zanne il polso guasto dell'aguzzino e lo strappò dal resto dell'arto, liberandosi. I due si assalirono a vicenda, imprigionati in un abbraccio di ossa spolpate e carne vermosa. Combattevano con ogni mezzo e arma: denti, artigli, pugni e calci, spallate. Pezzi di materia organica fendevano l'aria, brandelli d'ossa, organi decomposti e sterni fracassati. Caronte distolse lo sguardo dalle due aberrazioni, per appuntarlo sul suo avversario. Entrambi apparivano molto più umani, alla vista di quelle creature degli abissi. Sollevò un braccio, la mano come serrata intorno a un'asta invisibile; e infatti un attimo dopo una lunga scheggia ghiacciata sublimò nel pugno del Traghettatore, affilata e tagliente. Con forza la scagliò contro il rivale, dritta verso il petto. La lancia di gelo saettò sul campo di battaglia, superò gli ultimi uomini che ancora si ostinavano a massacrarsi, sibilò sotto l'Ora d'aria innalzata, trafisse gli aliti dei vivi condensati in nuvolette di vapore, superò perfino le due moli gigantesche in combattimento. I Golem erano impegnati in una lotta titanica, senza tattiche o raziocino. Puro e semplice scontro selvaggio e bestiale, indietro fino ai primordi della civiltà, quando le forze della natura si contendevano la supremazia sul mondo. Sotto i loro corpi gargantueschi il ghiaccio strideva e si crepava. Tonfi pesanti accompagnavano ogni movimento. Mulinare di membra, orbite pesanti sospese nel nulla.
E la certezza della morte che aleggiava nell'aria.
C H A R O N «» Infostatus fisico « illeso status mentale « illeso energie « 15% (36-15-6) stats « rec 300, aev 175, perf 150, perm 550, caem 150 consumi « basso 2, medio 6, alto 15, critico 33
» PassiveCapacità di riconoscere magie nascoste, trappole, incantesimi e illusioni sul campo di battaglia Influenza psionica di timore su tutti i personaggi di energia pari o inferiore, purchè non demoni Mantenimento della forma demoniaca in ogni situazione, anche alla luce del giorno Bruciatura di infima entità a chiunque entri in contatto con Caronte Casting di tecniche magiche a tempo zero
» AttiveCITAZIONE Stige « Lo Stige è un gargantuesco fiume che si avvolge più e più volte su se stesso in profonde anse, fino a generare una grande palude venefica il cui lezzo si avverte a miglia di distanza. Nella putrida fanghiglia stanno immerse le anime degli iracondi, condannati a flagellarsi e percuotersi tra di loro, mentre gli accidiosi rimangono sommersi sotto la distesa miasmatica. Dalla superficie nauseabonda si levano alte e stridule continue grida disperate, lamenti senza fine che risuonano nelle volte oscure della cavità infernale; per questo lo Stige è denominato anche "il fiume del lamento". Con un dispendio di energie « Medio » Charon è in grado di richiamare alla vita una moltitudine di anime dolenti provenienti direttamente dall' acquitrino. Queste, sotto forma di ammassi d'ossa e brandelli di carne grondanti putridi umori, emergeranno dal terreno come i dannati emergono dalle acque infangate, e combatteranno al suo fianco attaccando lo sventurato avversario con tutte le armi a loro disposizione: denti, artigli, o sfruttando semplicemente la loro spropositata quantità per sommergere la vittima. Con un consumo « Alto » invece, lo Psicopompo evoca dal buco più profondo dell'Inferno una creatura terribile e ripugnante, un singolo essere, simile ai precedenti ma molto più grande e resistente: un Golem d'ossa. Il golem va trattato a tutti gli effetti come evocazione di potenza bassa e di un grado energetico inferiore a quello del demone, è dotato di una tenacia sorprendente - tanto da doverlo uccidere due volte, prima di potersi sbarazzare di lui - e potrà restare sul campo fino a due turni di combattimento. Con l'aiuto dell'esercito di non morti e del golem, Charon avrà gioco facile a gettare i suoi avversari nella disperazione più cupa, nei lamenti più angosciosi.
CITAZIONE Cocito « L'ultimo fiume dell'Inferno, talmente vasto ed esteso da assurgere alla nomea di lago. Il Cocito è un luogo tremendo, la cui aria risuona dei lamenti delle anime sofferenti continuamente torturate dal morso del gelo, con gli arti congelati ed i volti sfregiati dal freddo; una piatta distesa ghiacciata, uno specchio liscio e vitreo costantemente spazzato da raffiche incessanti, nel quale stanno immersi i dannati che hanno peccato di tradimento, in ogni sua declinazione. Più è grave la colpa, maggiore la profondità a cui sono inabissate le anime, divorate dal ghiaccio, consumate dal freddo e bruciate dal gelo, in eterno. Al centro della landa artica è incastonato nei lastroni cristallini Lucifero in persona, immerso fino alla cintola; il demone sbatte senza sosta le ali nere che gli ornano il dorso squamato, producendo quella bufera che sconvolge l'intero lago e flagella i volti dei peccatori sottoposti alle intemperie più estreme; il vento sradica dalle gola urla disperate e le porta via con sè, in un turbinio confuso e tempestoso, fuse in un unico lamento infinito. Insieme al Flegetonte, è il fiume da cui Charon attinge la maggior parte dei suoi poteri e a cui deve la sua natura di demone di ghiaccio. Con un dispendio di energie « Medio » egli sarà in grado di materializzare nel suo pugno una lancia o una scheggia di ghiaccio, dai bordi affilati e la punta tagliente, che potrà scagliare contro il suo nemico per trafiggerlo e gelargli il sangue nelle vene. [...]
» NoteEccomi Caccia, perdona il ritardo. Dunque, mi difendo dalla creatura evocando a mia volta il Golem d'ossa, che para il colpo. I due poi iniziano a legnarsele di santa ragione, come da precedente accordo, mentre Caronte usa Scheggia di Ghiaccio per materializzare una lancia da scagliare contro Rage. Grazie a Campo Gelo, il danno potenziale è pari ad Alto. Il mio golem è più debole (potenza Basso contro Alta), ma molto resistente (capacità di rigenerarsi, può sopportare due mortali). Diciamo che fra l'attacco parato e le successive schermaglie, ha già raggiunto un buon Mortale. A te!
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