Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Posts written by karst

view post Posted: 13/8/2022, 10:23 Te lo ricordi? - Presentazioni
Te lo ricordi quando tornavi da scuola, correvi ad aprire Asgradel e scrollavi in fondo al forum, trovando righe e righe di gente connessa?
Quando dovevi portarti in paro con tutti i post e le giocate da leggere?
Quando pianificavi il tuo personaggio per pagine e pagine per trasformarlo nel tuo magnum opus: la scheda tecnica.

Il tempo passa, ma quello che non ti avevano detto è che ne rimane il profumo.
view post Posted: 9/1/2016, 02:13 Saluti - Presentazioni
Vorrei ricordare che Ray~ è un tipetto simpatico. E passare per un saluto. :sisi:
view post Posted: 25/5/2015, 21:58 Il forum è suo - Altro
Il tuo male ha sfiorato la mia famiglia.
Ecco.
Questi ricordi sono bellissimi.


Vincerai Amore, e Amore ancora. A presto.
view post Posted: 30/11/2014, 12:09 Dazio - Regni del Leviatano

Sollevò l'angolo della bocca senza schiudere le labbra.

“E' sempre interessante sentire parlare di sé”.

Il tenerli sotto tiro non bastò; incuranti delle dita del Vanhove pronte a fare fuoco, i due ripresero l'assalto con, se possibile, più veemenza dei precedenti.
La lingua gli schioccò sul palato, aspra. Spostò la mano verso il cane brado, spalancando il palmo all'istante; la stessa patina iridescente di pochi giorni prima la avvolse all'istante. Le fauci della belva si serrarono sulle dita, capaci di mozzarle di netto. Un bagliore lattiginoso gli rispose violento, come se avesse addentato un ciclone.
L'impatto, ancora una volta, sbalzò i due a breve distanza; l'intero braccio di Caligola gli fuggì alle spalle, sbilanciandolo.
Il pugnale saettava in quegli stessi istanti, scagliato con un'esperienza e una determinazione che colsero pienamente di sorpresa il Principe. Non lo vide con la coda dell'occhio.

Non c'è più tempo.
Arriva.

“...”

Sangue.

“...Ma siamo tutti condannati a morte”.

La lama riluceva scarlatta sul terreno, ai piedi della tenda.
La ferita al costato gocciolava; il rinculo del contrasto con l'animale lo aveva spostato quel tanto che bastava per scongiurare che il pugnale affondasse più al cuore delle sue tenere carni. Eppure restava ben piantato, in linea d'aria viso a viso con il Cousland. Lo fissava negli occhi, come mai aveva smesso di fare. Senza indugiare d'un centimetro.

“Io ti ho dato quella città. Tu mi hai arruolato. Ora sii uomo d'onore e lasciami rendere i miei servizi per la Guardia Insonne”.

Tossì. Si riprese.

“Verrà il tempo per morire. Non avere fretta di libertà”.



CITAZIONE
~ Himneska _ Pergamena Barriera
Una patina iridiscente si disegna sulla pelle di Caligola, attivando per un turno la capacità del Nulla di repellere la materia. Pericoli e tecniche degli avversari vengono così ricacciati in altre direzioni. Come se a reindirizzarli ci avesse pensato un colpo di frusta.
[Medio]
{ Difesa Magica }

Le energie residue sono dell'80% (2x Medio)
Ferita sanguinolenta da arma da taglio di Bassa entità al costato.

Sunto d'azione: Di fronte ai due attacchi, Caligola ha tempo per difendersi da quello del cane applicando Himneska alla mano e offrendogliela in pasto; come nel precedente conflitto, ne risulta che i due vengono sbalzati a breve distanza, anche se nella fattispecie è soltanto il braccio di Caligola a fuggire all'indietro (laddove nel caso precedente aveva ricoperto tutto il corpo con questa tecnica).
Lo sbilanciamento fa sì che la ferita del pugnale non sia mortifera, poiché lo sposta il tanto che basta per subirlo al costato, quasi di striscio; dopodiché la lama termina il suo moto e va a terra.

Ho reputato di sottolineare come la superiorità delle CS del PnG (Maestria e Determinazione) sia risultata decisiva per il mio averne subito i danni. Di fatti ho parlato di "un'esperienza e una determinazione che colsero pienamente di sorpresa il Principe".
view post Posted: 29/11/2014, 15:07 Dazio - Regni del Leviatano

Il fetore di quiete prima della tempesta impregnava la tenda. Ben più del pelo della belva che stava uscendo.
Concesse al Cousland un mezzo sorriso ieratico, impresso sul volto a mo' di maschera vacua. Lasciò tranquillamente intendere di non capire di essere sul punto di venire accerchiato. E sorrideva, vuoto. Sempre più distante.

“L'errore di tutti quegli uomini–”

Il fischio sibilò nell'aria, mozzandogli la parola.
Un turbine grigio: le falde della tenda che si gonfiavano, il guizzo di lama assetata che gli correva al collo, gli artigli, le fauci affilate. Il bianco e il nero presero il posto dell'incolore: lì dove si trovava, dal cuore di Caligola, divampò all'istante un groviglio di saette. Un globo iridescente lo divorò in un sol boccone, sottraendo il pasto ai suoi aggressori. Svanito.

“...è di non credere abbastanza nel teatro”.

Carezzò la superficie dei fogli impilati. Stava in piedi, alle spalle di Ser Gilew, oltre il tavolo. Con l'indice scorse qualche riga di quegli appunti, distratto.

“Se no saprebbero che a chiunque è permesso di recitare le tragedie e farsi dio. Basta indurirsi il cuore”.

Lì dove era riapparso non si muoveva un alito che non fosse la sua voce calma, tenue, ma ferma.
Gettò lo sguardo oltre al tavolo da campo, dove il portale di Nulla andava dissolvendosi, epicentro dell'agguato che gli era stato teso.
Né la rabbia, né il sapore della vendetta gli inumidivano la lingua. Come se tutto fosse normale.

Non attendeva che il congedo.

“Io ho fatto quanto basta”.

Indice e medio, lasciata la superficie del tavolo, erano ora rivolti verso l'uomo e il suo animale.

Impassibile. E sotto tiro.



CITAZIONE
~ Destati _ Abilità personale _ [it]
Fulgido esempio del rapporto unico tra Caligola e il Nulla sta nella foggia di portali per i suoi viaggi. Il Principe fluisce tra spazio e dimensioni attraversando un globo di luce e oscurità, brulicante di saette che corrono come serpenti nelle cavità della terra. Quanto succede al suo interno? Come lo trasporta in un altro dove – o in un altro quando? Domande che cadono nel Nulla.
[Medio]
{ Se in combattimento, conta come Difesa Assoluta }


Edited by karst - 29/11/2014, 15:26
view post Posted: 25/11/2014, 17:43 Dazio - Regni del Leviatano





Il vociare dei mercanti si affievolì fino a spegnersi.
Si scambiavano occhiate tra vicini, le braccia conserte, pensierosi. Il silenzio si intrecciava al masticare dei bovini a capo dei loro carri.

“Signor... Messere...” iniziò a dire uno di loro, rivolto all'uomo dai capelli bianchi.
“Caligola”.
“Ok, Caligola, sì... ma come fate a dire di averli presi tutti?”

Il Vanhove lo squadrò; altrettanto fecero i soldati della Guardia Insonne alle sue spalle.

“Sì, insomma”, proseguì l'uomo, acquistando coraggio. “Dite di aver sgominato una banda di briganti, ok?, e volevano depredarci, sì... Che poi, Ladeca dista ancora quasi un giorno di cammino...”
“Per questo avrete i miei uomini”.

I soldati e i mercanti tutti fissarono il Principe.

“I vosdri uomini? Ma che davéro?”, prese a dire un altro, con un accento ben distinto. “Per dei semplici mercandi?”
“Questi soldati della Guardia Insonne hanno rischiato la vita per rendere sicura l'area. Per le prossime ore non ci sarà al mondo un cammino più sicuro di quello che conduce a Ladeca. Lì”, aggiunse, indicando le torri biancastre della città in lontananza, “ci incontreremo. E le porte del commercio torneranno spalancate. Vi riempirete le tasche”.

I mercanti si scambiarono altre occhiate. Molti si bisbigliavano opinioni.

“Oppure potete provare a tornare indietro finché non morirete in un agguato”.

Quest'ultima osservazione sembrò cogliere nel segno. Quell'uomo, che si era presentato a capo di un piccolo esercito, gli stava fornendo un viaggio sicuro scortati dai suoi stessi militari, per recarsi proprio dove erano diretti a commerciare. E aveva passato i giorni precedenti a sgominare una banda di masnadieri che imperversava in quelle lande: altro che accampamento di soldati per impedire il commercio! Forse, dopotutto, quella Guardia Insonne non era così marcia. O per lo meno quella particolare unità.

“Vabbè”, fece un altro mercante, alzando la voce. “Io me so' fatto un culo quadrato pe' ariva' qua, indietro nun ce torno. Grazie d'a scorta, basta che se sbrigamo”.
Il consenso crebbe, serpeggiando tra i mercanti fino a convincerli.
Caligola fece un cenno ai suoi soldati.

“I miei uomini resteranno con voi finché non avrete raccolto tutto il necessario per mettervi in cammino. Ci vedremo domani a mezzogiorno di fronte alle porte di Ladeca”.

Si voltò senza ulteriori indugi, allontanandosi con soltanto due membri delle unità che gli erano state messe a disposizione, lasciando ogni altro a vegliare sui mercanti.

Mantenendosi a debita distanza per non essere ascoltati da quello strano uomo, i due militari si scambiarono un'occhiata enigmatica. Uno dei due bisbigliò.

“...E ora vediamo che s'inventa”.






Ser Gylew Cousland si allontanò, lasciando un paio di unità a disposizione del Vanhove.
Questi non perse neppure un istante a riflettere, come se quello sviluppo non gli giungesse affatto inaspettato.

“Voi”.

Si rivolse a due degli uomini che fino a poco prima scommettevano sulla sua morte, ora posti sotto il suo comando.

“Raccontatemi cosa vi è successo in queste terre”.

Incerti, gli uomini si guardarono attorno, cercando con lo sguardo i commilitoni.
Caligola li avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Abbiamo cinque giorni. Voi non mi conoscete. Dunque ve ne chiedo solo due. Poi potrete tornare a questo campo. Con o senza la mia testa”.

Li guardò negli occhi con tranquillità nel proporgli quell'accordo.
Sembrarono pensarci qualche secondo, le pupille dell'uomo che non gli si staccavano di dosso, impedendogli di ragionare con più calma.
Alla fine uno dei due annuì.

“Ti faremo a pezzetti se tra due giorni non saremo lì dentro”.
“Sta bene. Ora dammi quello che ho chiesto e io vi guiderò in quella città”.

Raccolse i pensieri, ma il compagno fu più lesto.

“Dunque, è cominciato tutto cinque giorni fa. Le cose stanno così...”






«Messer Leza!»
“Cosa c'è?”
«La Guardia Insonne sta tornando...»
“Ancora? Rispeditela da dove è venuta”.
«Messer, non è l'esercito. Non sono che tre uomini. E solo due...»

Il consigliere cittadino interruppe la guardia, recandosi a guardare coi suoi occhi la scena.
Verso le porte di Ladeca marciavano due membri della Guardia Insonne, alla destra e alla sinistra di un uomo che non vestiva d'armamenti militari. Era più alto di loro, di un pallore lunare, e il sole gli riluceva sulla chioma albina. Si muoveva con l'eleganza di un nobile.

“E ora...?” mormorò Mirio Leza, tra sé e sé.

Dopo pochi minuti i tre erano giunti ormai quasi al loro cospetto.
Una delle guardie prese pronta iniziativa.

«Alt! Chi siete voi?»

L'uomo rallentò il passo, tallonato dalla scorta. Si fermò a pochi metri dai bastioni. Corse un lungo istante di silenzio mentre misurava con lo sguardo il perimetro della città, fino a fissare i guardiani della milizia.

“Heine Caligola Vanhove e la sua scorta. E' questa la signoria di Ladeca?”
«Ovvio! Avete un permesso?»

Ancora una volta, la domanda della guardia cadde in istanti di vuoto. Caligola li squadrava uno ad uno, algido.

“No”.

La guardia si spazientì.

«Allora andatevene!»
“Credevo che questa dogana servisse ad accettare un dazio”.

A queste parole Mirio Leza fece capolino dietro i miliziani.

“Dazio? Voi? Vi portate dietro due uomini della Guardia Insonne. Abbiamo già discusso cinque giorni fa. La nostra posizione non cambia”.
“Le cose sono cambiate. Adesso ci sono io”.
“...Quindi? Avete il pegno?”
“Di più. Vi porto buone nuove. E un dono”.

I miliziani e Ser Mirio soppesarono quelle parole, confusi. Ma curiosi.

“Insomma, dite chiaro e tondo cosa siete venuti a fare”.

Caligola sospirò. Le guardie alle sue spalle non muovevano un muscolo. Osservavano la recita, non riuscendo a capire dove andasse a parare.

“Ho lasciato la Capitale quando ho saputo dell'incidente tra voi e i miei sottoposti. La Guardia Insonne –nei suoi vertici, è chiaro – è rimasta affascinata dalle fertili terre che circondano la vostra signoria, dal florido commercio che la anima. Queste mura conoscono una storia superiore a tante città. Vogliamo riportarvi allo splendore del passato”.
“Ma cos...? Che volete da Ladeca? Non vogliamo rimanere uccisi in una possibile guerra. O, peggio, conquistati”.
“Voi dovete diventare un polo economico. Questa è la questione”.

Cercarono di stare dietro ai discorsi di quell'uomo. Era la prima volta che vedevano una figura autoritaria imporre un futuro radioso. Era strano. Era nuovo.
Il sole toccò la vetta della volta celeste.

“Vi portiamo in dono nuovi flussi commerciali”.

Un bisbiglio lontano, confuso, prese a salire.
Alle spalle del Vanhove, lontani, iniziavano a delinearsi nugoli di persone.
Tacque, mentre prendevano lentamente forma dietro di lui i carri dei mercanti, le bestie cariche di pelli e spezie, i quintali di beni che proseguivano alla volta di Ladeca. Una massa di commercianti degna del più importante giorno dell'anno, attorniata da una ventina di militari. Diciotto, a onor del vero.

“Aspettate un momento”, disse il consigliere, cercando di raccogliere tutte le sue doti analitiche. “Che senso ha tutto questo? Perché dovreste arricchirci? Cinque giorni fa non eravate che arroganti!”

Un'osservazione lucida a tutti gli effetti. Tant'è che le due guardie alle spalle di Caligola presero a guardarlo. La logica poteva schiacciarlo.

Lui sorrise.

“Le regole, adesso, le faccio io. Ser Gylew Cousland, che cinque giorni fa venne di sua sponte a darvi noia, è già stato giustiziato”.

Trattennero il respiro alle sue spalle, affondandosi le unghie nelle nocche. Quella pila di bugie aveva cominciato a sfociare nell'oltraggio.

“Vogliamo la vostra collaborazione. Io la voglio. La storia di questa città merita il sublime”.

I carri si avvicinavano, acuendo schiamazzi e brusio di voci.

“Oppure potrò rivolgermi a un'altra città. Ma non vedrete più né me, né loro”. Con un cenno del capo indicò le genti che si stavano avvicinando per riempirgli le casse.

“Embargo”.

Una parola che significava la morte cerebrale di una piccola signoria.

“Ma perché dovreste sceglierlo?”

I miliziani si strinsero nei loro pensieri, guardando tutti in direzione del consigliere.
I mercanti si avvicinavano come una sentenza, camuffati da fortuna o sventura a seconda della risposta che egli avrebbe dato.
Ognuno di quelle decine di passi rimbombava nel silenzio pesante della scelta.

Ser Mirio Leza si morse i denti, quindi un labbro, quindi arricciò gli angoli della bocca, quindi fissò il vuoto con insistenza.
Tempo, tempo, tempo.


Alla fine rilassò il volto.

Alzò lo sguardo sul Vanhove. Pausa. Sospiro.

“Bene”, disse.

Caligola alzò un sopracciglio.
L'uomo lo stava fissando dritto negli occhi.
Inespressivo.

“Ho deciso”.




CITAZIONE
Così si chiude il mio piccolo racconto. Spero di averti intrattenuto.
view post Posted: 21/11/2014, 18:49 Dazio - Regni del Leviatano
Quella animale non è furia; è devozione.
Assottigliò lo sguardo nelle pupille nere, profonde del cane brado. Gli ordini del padrone valevano la vita e si era già scagliato sul Vanhove, scatenato da un solo sussurro.

Nell'istante in cui latrò, l'eco venne meno.
Attorno si agitavano soldati, gli schiamazzi mischiavano i suoni e il verso dell'animale copriva tutto questo; eppure non lo vide che come una scena di urla mute. Le corde vocali si tendevano nelle gole senza che un soffio arrivasse alle orecchie del Principe.
La sua mente, in quegli istanti, era già lontana.

“Ah...”

Sospirò, a mezza bocca. Chissà se l'avevano sentito.
Un ginocchio gli cedette, mandandolo chino sulla spada. Così pallido, il viso celato da una massa di capelli albini, pareva il ritratto delle umane fragilità.
E invece.

“Ma che stronzate vai dicendo”.

Si era levato in un attimo, la mano stretta all'elsa della spada, la postura adatta a fronteggiare l'attacco della belva, che già era balzata.
Si mosse come un guizzo bianco nel vento. Caricò la lama all'altezza della spalla nell'unico attimo che gli era rimasto per difendersi, quindi la infilzò nel ventre della terra con un affondo rabbioso, rendendola novella Excalibur.
Ogni centimetro della sua pelle era disegnato da una luce nuova, cangiante.
E, lì dove pochi istanti prima stava il ventre, arrivò la sferzata del cane brado.
Una zampata dritta al collo, nudo.

Poteva davvero finire così.
D'altronde, non possiamo morire che in uno smisurato numero di maniere; semplicemente, lo evitiamo. Dilunghiamo nell'inevitabile, lasciando che il corpo implori il ritorno all'inorganico. Il che rende ogni istante di vita un inno al peccato.

“La migliore delle spade taglia soltanto quel che deve tagliare”.

Eccolo lì. Ancora in piedi, di nuovo in piedi.
Distava qualche passo dal punto dello scontro e la sua pelle era tornata normale, perdendo i pigmenti di luce come vernice che viene lavata via da un quadro.
La spada era rimasta conficcata in terra, a debita distanza da ogni sua possibilità di utilizzarla. L'impatto aveva sbalzato entrambi a brevi e opposte distanze.
Levò il mento, lasciando al sole il compito di tracciargli le linee della mandibola. Gettò un'occhiataccia al Cousland.

“Sono qui per combattere i vostri nemici, non per misurarmi con una bestiola”.

Soffiò aria dal naso, stizzito.

“Ora arruolami o mandami al macello”.

Che a una simile pagliacciata, forse, era preferibile la morte.





CITAZIONE
~ Canopia _ Effetto attivo dello Stratega
Una mente lontana è una mente intoccabile. Il Nulla vuota il pensiero del Principe, in concomitanza con il sentore di un attacco psionico. Le offese che bussano alla sua soglia non trovano che una landa desolata; come se avessero tentato di corrompere un vegetale, da cui il Vanhove traveste il proprio intelletto.
[Basso]

~ Himneska _ Pergamena Barriera
Una patina iridiscente si disegna sulla pelle di Caligola, attivando per un turno la capacità del Nulla di repellere la materia. Pericoli e tecniche degli avversari vengono così ricacciati in altre direzioni. Come se a reindirizzarli ci avesse pensato un colpo di frusta.
[Medio]
{ Difesa Magica }

Sunto d'azione: Il mio personaggio si protegge dalla psionica utilizzando Canopia – che, per ragioni narrative, viene descritta come se fosse stata invocata passivamente dal suo corpo. Quindi si china a raccogliere la spada e sfrutta l'unico momento prima dell'attacco del cane per conficcarla al suolo, rendendola inutilizzabile. Essendosi chinato, la belva non lo colpisce al ventre ma al collo; sfugge così al taglio mortale ricorrendo a Himneska, che avvolge l'invocatore indipendentemente dalla sua posizione.
Per effetto di Himneska (da consumo pari a pari) ho ritenuto che entrambi venissero sbalzati a breve distanza dal conflitto, senza però riportare danni oltre a questo effetto scenico.
view post Posted: 21/11/2014, 13:36 Salve - Presentazioni
Ottimo avatar, fanciullo. Benvenuto
view post Posted: 19/11/2014, 01:45 Dazio - Regni del Leviatano
Capitolo IV: Conquiste sull'Iridescente
L'anima è il mezzo che ammaestra la carne. Dunque, vogliamo nutrire l'anima.
Al più spropositato numero di teologi, filosofi, alchimisti, non susseguì un risultato degno di tal nome. Come perfezionare il nostro potere su di lei? Come soverchiare la cultura cui gli dei ci predisposero, carpendo e conquistando gli anfratti negati delle nostre anime? Di ogni ricerca fu detta carta straccia. Chi prima, chi dopo: talune professate per rivoluzionarie, ma nient'altro che il tempo seppe giustiziarle.
Le stirpi della terra, da millenni stanche abitanti di un pianeta vissuto al più nelle loro parole, nei loro scritti, nel loro immaginario, che nelle sue reali sembianze. Stanchi di esistere, secoli addietro, cominciammo a pensare. E il pensiero richiedeva una spada che la mano non poteva impugnare; e il pensiero voleva uno scudo che il braccio non poteva coprire; e il pensiero esigeva uno scettro che la lingua non poteva ordinare. L'uomo si rese conto della scissione fra corpo e qualcosa, cui diede nome anima.
L'anima è dunque ciò che può ove la carne è manchevole; e che, di logica conseguenza, può ciò che ogni cosa materiale non potrebbe – ponendola su di un piano di divina grandezza. L'anima, giunsero alla conclusione i nostri avi, è maestra di tutte le cose fisiche. Governare i poteri dell'anima, e governeremo il pianeta intero, sfamando la cupidigia delle nostre razze, consentendo il definitivo congedo dalla divinità cui, più per necessità che per diletto, abbiamo obbedito.
Ma siamo ancora schiavi delle basi. Il pensiero può averci spinto a ragionamenti di questo o quello spessore: ma se il pensiero stesso è minima espressione dell'anima, ossia quella che già possediamo e che fummo in grado di governare, stiamo dunque scavando un terreno già più e più volte massacrato dalle nostre vanghe. Come raggiungere ciò di cui avvertiamo la mancanza, continuando a rigirarci in ciò che invece possediamo?
Ma è nel metodo, che sbagliammo il percorso. Nell'approccio, che fallimmo la ricerca. Come hanno potuto taluni uomini esprimere la loro anima meglio d'altri? Col pensiero, giusto detto. Dunque possediamo la certezza che il pensiero è misura dell'evoluzione di un'anima, seppur non suo diretto alimento. E cos'è il pensiero di un altro uomo – quel pensiero che non nasce da noi, ma che studiamo? Taluni la dissero induzione; io vedo oltre. Io vedo, nell'istante della compresa induzione, il figurarsi nella mente di un quadro pressapoco simile a quello del pensatore originale. La nascita, in altre parole, di una memoria. Se dunque potessimo governare le memorie, che sono nutrimento primo del pensiero, potremmo alimentare a piacimento l'anima; nostra, o di chi per nostro volere.
La memoria, o uomini, è il mezzo che ammaestra l'anima.

Estratto da "Clessidre per il Metapotere", di Maksim Grothendieck. Biblioteca Reale di Cerventes.






“Non c'è onore nella dimenticanza”.

Aveva seguito in punta di naso le parole di Ser Gylew, prestandovi un'educata attenzione. Ne seguiva con lo sguardo i movimenti e non un altro muscolo del volto mosse nel farlo. Dava alle parole di quell'uomo un completo valore, con il rispetto dell'accortezza.
Non parlò che quando ne venne il momento. Quello giusto.

“Che io sia un de Medich, poi, mi è l'unica cosa rimasta. Qualsiasi voglia significare.
E la mia vita potrebbe cessare qui per mano vostra. Prima di capire cosa mi abbia condotto al patibolo.

Oppure io, come tanti, potrei darle un senso. E cominciare a scriverla con l'unica penna degna di un uomo libero: la spada”.


Sorresse lo sguardo del Cousland, cercandogli nelle pupille il fuoco dell'orgoglio.

“Scoprirò chi sono, pezzo dopo pezzo. Ricaverò la memoria. E con questa vi darò la più fedele tra le cause. La causa di un uomo che ha trovato una strada”.

Vibrò negli occhi.

“La giusta causa. La giusta strada”.

view post Posted: 19/11/2014, 00:59 Richiesta lavori Grafici - Grafica
Mi piacciono molto, sei stato squisito!
view post Posted: 16/11/2014, 15:53 Dazio - Regni del Leviatano

Non conosceva quell'accento.
Dei molti Paesi che aveva visitato nessun abitante parlava a quella maniera, lasciandogli intendere che il Nulla doveva averlo portato molto lontano, fors'anche oltre i confini dell'Impero.
Già, i confini dell'Impero. Come se qualcuno li conoscesse.

Gettò uno sguardo all'abbigliamento delle guardie: come volevasi dimostrare non aveva mai visto quella tenuta, che non riusciva ad associare neanche ai mercenari con cui era venuto in contatto nel corso dei suoi viaggi. Tutto, in quel luogo, gli era nuovo.
Pertanto era reciproco.

“Heine de Medich, signore”.

Stette un istante, a cogliere l'effetto di quelle parole sulle guardie.
Un luogo che non conosceva i de Medich, passandoli per una qualsiasi famiglia in grado di permettersi un cognome, non poteva appartenere alla stessa realtà della sua Cerventes.
Qualsiasi i fatti e le storie che erano stati sacrificati per arrivare a quel giorno, ormai, non avevano importanza.

In un mondo che non poteva distinguere il falso, non gli restava che scrivere nuove verità.

“Ho smarrito la memoria e non ricordo che un boia. Amava il sangue dei miei genitori”, aggiunse, alzando lo sguardo sulle mura in lontananza. “E oggi in questa vuota testa non rimangono che il mio nome e la cicatrice di quella violenza”.

La tristezza lo velò negli occhi, passando fugace sul volto.
Riprese a guardare gli uomini, sollevando la fronte con dignità.

“Datemi una strada. Permettetemi di arruolarmi”.

Che a divergere, nella vita, è un attimo.
Molto più che a non cambiare mai.

view post Posted: 12/11/2014, 13:59 Dazio - Regni del Leviatano
«Questo abisso
in cui mi ritrovo
sempre; questo mare
in cui affogo...»

– A.L.




Il pianista carezzò i tasti, tracciando una melodia nella Sala Grande.
Sotto la luce di un gargantuesco lucernario di cristalli, uomini vestiti di stracci sguainarono spade nascoste tra le sozze vesti e le infilzarono a tradimento nel costato delle guardie, assiepate ai piedi della Scalinata Reale. Caddero, una dopo l'altra. I loro ultimi rantoli erano soverchiati dalla musica.
In pochi istanti i militari risposero all'agguato, menando a loro volta gli stocchi per l'aere. Amputavano – e amputavano ancora, e ancora – le braccia d'ogni uomo che gli capitasse a tiro.
La nenia soffocava il rumore della rivolta, dipingendo il sangue di rossa poesia.

In cima alle scale, di fianco al pianoforte, il Generale Ashurei osservava lo strazio, annoiato.

“Il tuo ultimo spettacolo mi delude, Principe”.

Portò la propria sciabola al volto dell'uomo che, ridotto sulle ginocchia, gli giaceva di fronte. La lama pigiava appena dalle tempie alle guance, scostandogli i capelli bianchi. Perimetrava con dovizia da dove cominciare a sfregiarlo.

“Oh, be'. Perché non guardi tu stesso?”

Lo afferrò dalla nuca e lo strattonò avanti, per un paio di scalini.

“I tuoi sozzi mercenari combattono il muro di guardie. Non è che un tragico spreco di carne, severo”.

Il Principe ansante alzò lo sguardo, stendendolo sulla battaglia che andava devastando la Sala.

“Ultime volontà, Principe?”.
“Voglio la Luna”.

Pausa.

“...La luna”, lo assecondò il Generale. asciutto. “E per farne che?”.
“E' una cosa che non ho”.
“Ahahah, già perdi il senno? Bene! Cercherò di procurartela”.
“Come vedi, non chiedo l'impossibile”.
“Peccato che non avrai la testa per godertela”.
“Tieni presente che l'ho già avuta”.
“Ah?”.
“La luna”.
“Sì, certo”.
“Io l'ho già avuta completamente. Soltanto tre volte, è vero. Ma insomma – sì, l'ho avuta”.
“Guarda che sto cercando di parlarti!”
“L'estate scorsa. L'avevo tanto guardata e accarezzata sulle colonne del giardino che aveva finito per capire”.
“Piantala con questo gioco, Caligola. Se tu non vuoi ascoltarmi–”
“Quello sì che è un fendente! Per tornare alla Luna, era una bella notte d'agosto. Lei faceva storie, io ero a letto. All'inizio vestiva di sangue all'orizzonte, poi ha preso a salire. Diventava un lago d'acqua lattiginosa al centro della notte, animata dal fremito di stelle...”

E così avanti.

Ashurei sospirò con sufficienza, colpendolo alla tempia con l'elsa della spada. Caligola tacque, scosso fin nel cervello.

“Possibile che tu – no; che loro, non abbiano ancora capito?


Ora taci, Baudelaire”.


Il pianista toccò l'ultima nota.
Come destati da un torpore omicida i sopravvissuti smisero per incanto di combattere, levandosi dai mucchi di cadaveri per alzare lo sguardo verso quei due.
Ashurei volse al cielo la spada, che ora rifletteva la luce dei cristalli. Un caldo bagliore di mezzogiorno.

“Dove vai, Generale? A cercarmi la luna?”

“Sei storia, Caligola”.

Giù.






Un tonfo sordo, reso eco dal silenzio adamantino della Sala.
Il corpo di Caligola si afflosciò scomposto, sgraziato, mentre la testa rotolava più in basso.
Il sangue continuava a zampillare dalle arterie del collo inzuppando le scale di rigagnoli.

Nei volti di tutti si dipinse il raccapriccio. Ashurei, per contraltare, era l'espressione della gloria.
Un ghigno trionfale gli deformava il viso, le pupille ridotte a due fessure che guardavano lontano.
Soltanto i fiati spezzati dei mercenari scandivano il tempo della tragedia.

“Così muore Heine Caligola Vanhove, Principe di Cerventes”.

Si pietrificò all'istante, Ashurei. Negli occhi gli si leggeva ancora il sapore della vittoria. Tutti si volsero di scatto verso il portone, che andava schiudendosi.
Un altro Caligola, a passo lento, ne varcò la soglia.

“Ecco dove ti ha portato il tuo desiderio di Storia, Ashurei. Guardati attorno”.

Il Principe schioccò le dita.
Il Generale strabuzzò gli occhi, guardando ora la testa tranciata che giaceva a terra poco più in basso, ora l'uomo che gli si parava davanti, in tutto e per tutto identico alla vittima.
Caligola levò una mano al cielo, a vantare la maestosità di tutta quella morte.
Della sua morte.

“TU...! Tu, dovresti essere morto!”
“E lo sono”.
“Io... ti ho ucciso.”
“Così è”.
“Ma non sono pazzo e mi sei di fronte. Vivo!”
“Nulla e passato hanno lo stesso processo creativo”.

Tutti stettero, in quegli attimi. Cristallizzati al tempo.
Soltanto i due seguitavano a discutere.

“E... parli”.
“Si ha sempre qualcosa da dire. Specialmente da morti”.

Il Principe schioccò le dita.
Filamenti tremebondi d'energia fluirono dalla sua pelle. Ora bianchi, ora neri, si srotolavano per la sala come tappeti. Oltrepassarono la testa mozzata e presero a salire le scale, intrecciandosi al sangue e al cadavere.

“No– fermati. Così morirò”.
“Così tornerai”.

Le guardie e gli uomini superstiti, coi piedi già immersi in quel manto di chiaroscuro, si strinsero all'elsa delle loro spade, paralizzati.

“Questo luogo non esiste. Questi fatti non esistono”.

Ashurei indietreggiò, fino al pianoforte muto. Gettò lo sguardo alle proprie spalle.
Baudelaire era scomparso.

I filamenti gli sfiorarono i calzari. Deglutì.

“...Che cosa sei, Caligola?”
“Mi vorrai un nome migliore del mio”.

Il Principe schioccò le dita.
Tutti i fili saettarono all'unisono, correndo alle carni degli uomini.
Nere grida di dolore riempirono ogni angolo della Sala Grande. Cercavano di difendersi, di menar fendenti contro quei rovi di spine mortifere, ma questi continuavano a segargli le dita, a strappargli la faccia dal cranio, a squarciargli il busto da parte a parte, rovesciando al di fuori le interiora.

“MOSTRO, CALIGOLA, MOSTRO!”

Il Principe sollevò il collo sottile, fissando l'immagine del Generale nelle pupille.

“E' un buon inizio”.

In quell'istante il bianco e il nero precipitarono sotto i suoi piedi. Il lucernario smise di riflettere la luce del mezzogiorno; l'intera scena andrò in frantumi come cristallo. Ogni contorno della Sala Grande si fece più lontano, indistinto.
Il sipario calò di fronte ai suoi occhi, soffiandolo via da quella situazione come vento che va a dissolversi nell'oceano.
E, dolcemente, cadde.






“Dunque lascerai che ti catturino”.

Beramode si passò la spazzola tra i capelli, specchiandosi nuda sullo sgabello.
Caligola, disteso sul letto, fissava la luce lunare sulla finestra, assente.

“Cosa ne pensi del potere?”.
“Vuoi sapere cosa penso della libertà, Caligola?”.
“Sì, in effetti – intendo questo”.
“Penso che essere morto non farà di te un santo”.
“Ma non esiste che una libertà, quella del condannato a morte. Perché tutto gli è indifferente al di fuori del colpo che farà scorrere il suo sangue. Ecco perché in tutto il Principato l'unico uomo libero è Caligola, circondato da una nazione di schiavi”.

Beramode stette a riflettere e a riflettersi. Arricciò appena l'angolo delle labbra.

“Hai male al cuore, Caligola”.
“E' così”.
“E in questo abisso mi ritrovo sempre”.
“”Sei la sola donna che non mi ha mai carezzato i capelli. Rimani.

Beramode si morse un labbro, lasciando cadere la spazzola. Pausa.

“...Resterò al tuo fianco. Forse ne verrò fuori”.

Caligola mormorò.

“Sapevo che si può arrivare alla disperazione. Ma non sapevo cosa volesse dire”.

“Non essere sciocco, Caligola”. Girò il collo verso il suo amante. La luna le baluginava in volto. “Tu sei un mostro”. Sorrise.

Il Principe schiuse le labbra, abbassando lo sguardo su di lei.
Ivi si perse.

“Mostro per aver troppo amato”.






La tela attorno a lui prese a dipingersi.
Ora un cielo macchiato di nuvole, ora i tetti rossastri delle case in lontananza. Venne il tempo di un'aria mite, rinfrancata dal sole – e di manti d'erba trapuntati di frutti e ortaggi, ben ordinati sino all'orizzonte in file di terra.

“...Umpf. E' questo il tuo gioco, Saturnalia*?”.

Il Vanhove si guardò intorno dopo aver mormorato quelle parole.
Alla sua sinistra stava un accampamento, con tende agghindate da lance e spade accatastate nei loro pressi. Il cigolio degli armamenti si scandiva col passo duro ma sordo dei calzari su tappeti d'erba.
Di fronte a lui, invece, distavano una mezza giornata le torri biancastre di un centro abitato.

Flesse il collo su una spalla, soppesando la situazione.
Quindi, senza più di qualche secondo d'esperienza in quella realtà ignota, volse a sinistra e si incamminò verso il campo militare, portandosi al confine con le prime tende.

“Ohilà, del posto”.



CITAZIONE
*Nome dato da Caligola al suo Potere.
view post Posted: 11/11/2014, 16:45 Richiesta lavori Grafici - Grafica
Buonasera,

avrei bisogno di adattare queste immagini (1 2 3) allo sfondo di Asgradel, cosicché risulti dello stesso colore/invisibile.
Note a margine:

Immagine 1 – Se dovesse servire l'originale per lavorare meglio, è questo.

Immagine 2 – Se fosse possibile inventare un altro simile ramo bianco nella stessa immagine sarebbe perfetto. Altrimenti andrà bene comunque.

Immagine 3 – Se dovesse risultare troppo complicato potete lasciar perdere, non è fondamentale. Mi interessano più le prime due.

Grazie
19 replies since 30/5/2014