Mentre i suoi occhi, definizione peraltro puramente analogica, assistevano ancora una volta all'apparizione del Flagello, Illidan perse ogni dubbio sul fatto che quella fosse la sua terra.
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Erano bastati dieci minuti, dieci minuti di inattività sulla torba nerastra, e l'attesa si era fatta opprimente, insostenibile.
Così, aveva ricominciato a battere solitario la zona, seppure sapesse che non faceva altro che percorrere sempre lo stesso sentiero, in un circolo infinito.
Cosa cercasse non era chiaro neppure a lui, il giovane re non aveva fatto in tempo a descrivere questo Archetipo, prima che il nuovo paesaggio sostituisse la sala del trono insanguinata.
Un vivente o uno spettro?
Un elfo o un nano?
Un uomo o una donna?
Qualunque cosa fosse, ne avrebbe portato la testa, o qualsiasi organo ne facesse le veci, al sovrano dei Toryu.
Un lezzo sgradevole aggredì le narici del cacciatore di demoni, facendogli storcere il naso al tipico puzzo della putredine.
Immerso nella ripetitività dei passi leggeri, non aveva fatto caso all'inaspettato cambiamento del paesaggio.
Inaspettato, si, poiché l'ultima volta che aveva percorso quella strada non aveva notato nulla del genere.
Era sopraggiunta la notte, o almeno così faceva intendere la grigia tenebra, ma non era per questo che i suoi sensi ora percepivano con grande difficoltà le caratteristiche della zona.
L'oscurità, di per se, non aveva alcun effetto sull'elfo della notte, anzi, influiva positivamente.
Piuttosto, una foschia densa e nauseante, umida e verdastra, avvolgeva
ogni cosa.Ricordava quella nebbia: era la stessa che aveva seguito gli spostamenti della Legione e ora, a distanza di più di diecimila anni, Illidan ebbe la sensazione, ben lungi dal diventare però timore, che i mostruosi guerrieri potessero nascondersi a pochi metri di distanza.
Cauto, attraversò la landa distrutta.
Gli alberi non trasudavano più veleno, ma erano rinsecchiti e carbonizzati, e proiettavano ombre sinistre nella foschia. Nemmeno sforzando al massimo la sua vista, Illidan riusciva a penetrare lo strato di nebbia.
Di tanto in tanto, si cominciarono però a distinguere i resti distrutti di qualche abitazione, svellate dal terreno per poi essere del tutto devastate.
Un brivido cominciò a percorrere perfino la sua schiena.
Conosceva quell’architettura, case ricavate direttamente dal tronco degli alberi…
Un tempo, anche lui aveva abitato in una dimora simile.
Possibile che lo spazio-tempo gli avesse tirato uno scherzo simile?
I tasselli si accatastavano uno sull’altro, pronti per essere incastrati a comporre la conclusione finale.
In effetti, aveva sempre dato per scontato che dopo la sua partenza, in un modo o nell’altro, il patetico Malfurion avesse trovato il modo di salvare le genti di Kalimdor, ma non aveva mai avuto la possibilità di accertare questa idea.
Poteva quello scenario di morte corrispondere alla realtà presente?
Un soffio di vento, foriero di odori acri, eppure così innocuo… apparentemente, spirò.
In una attimo, e per un attimo, la nebbia si ritrasse, svelando i segreti di quel luogo.
E il perenne autocontrollo di Illidan, vacillò.
Cadaveri, a decine, disseminati in tutto il vecchio insediamento.
Erano le spoglie mutilate di soldati ancora bardati delle loro inutili armature, o di sfortunati civili.
Tutti, o quasi, erano feriti alle spalle.
Fuggivano.
Nessuna vittima era rimasta perfettamente integra: braccia, gambe, perfino le teste erano state mozzate.
Diverse salme erano chiaramente state smembrate in
fasi successive, il che era indice del grado di barbarie dei loro carnefici.
Non c’era più dubbio: quella, era opera della Legione.
Arduo, il compito di colui che avesse voluto descrivere le emozioni di Illidan in quel momento: in rapida successione, si alternarono disgusto, incredulità, rabbia, soddisfazione.
E tutto questo, partorì un:
Hanno avuto ciò che si meritavanoRinchiuso com’era nella sua prigione di cinismo, la preoccupazione per le sorti di suo fratello, di Tyrande, e di tutta la sua gente, non lo turbò più del tempo necessario alla nebbia per tornare a coprire quello scempio.
Perché una convinzione sopra a tutte gli negò la possibilità di piangere i suoi cari: che se non lo avessero scacciato, tutto quello non sarebbe accaduto.
Eppure, la consapevolezza di trovarsi di nuovo sul suo suolo natio, non portava certo risposta a molte scomode domande.
Come era arrivato fin lì, perché, chi lo aveva trasportato…
Doveva scoprirlo, non poteva accettare il fatto di essere all’oscuro di qualcosa in cui era coinvolto così tanto.
Oramai lo scopo della sua missione aveva completamente perso importanza, anche perché se quello non era davvero il piano dell’Archetipo come aveva finora creduto, non era certo lì che avrebbe incontrato il suo bersaglio.
Così, sforzando al massimo la sua arcana vista, cercò di dare un nome a quel villaggio distrutto, per potersi poi orientare nella geografia del suo paese.
Improvvisamente, un leggero movimento di rocce attirò la sua attenzione verso un sentiero che si inoltrava nella città.
Chi è là?Intimò a voce alta, mentre muoveva alcuni passi verso l’imboccatura della strada.
Non riuscì ad avvistare nessuno, neppure un cadavere.
Anzi, a dire la verità, per quel poco che era in grado di vedere la via era completamente vuota.
Come aveva potuto quel sentiero rimanere sgombro della morte degli abitanti?
Un altro rumore, più vicino, lo fece scattare a destra.
Una figura lentamente si materializzò nella foschia: sembrava un elfo della notte, un fante, con l’arma sguainata.
Illidan rimase a bocca aperta, sbigottito, incerto fra la gioia e l’odio.
Uno della sua gente, sopravvissuto al massacro, forse un eroe, si stava trascinando verso di lui! Doveva aiutarlo, o sfogare la sua fame di vendetta, che così a lungo lo aveva corroso, insaziata?
C-cosa è successo?Riuscì a farfugliare, poiché prima di tutto aveva desiderio di informarsi sugli ultimi mesi di storia della sua patria.
Il soldato non rispose, ma avanzò incerto verso di lui. Aveva l’armatura completamente lorda e la bocca spalancata.
Quando finalmente poi il suo volto divenne più visibile, Illidan notò costernato che una parte della faccia era stata squarciata. Un occhio era stato completamente asportato e il taglio lacerato correva fino al centro della gola… o di quel che ne rimaneva.
Non appena si avvicinò al cacciatore di demoni, la macabra figura alzò l’arma.
A bocca aperta, Illidan rimase immobile davanti all’aggressore semi-putrefatto, mentre la sua spada ormai arrugginita calava verso di lui, pronta a squarciarlo.
Fu l’istinto a salvarlo dal condividere lo stesso destino dell’altro: senza che quasi se ne accorgesse, il suo braccio si mosse da solo, e colpì con forza il petto dell’elfo non-morto, scaraventandolo lontano come un giocattolo.
Ma non fece in tempo a riprendersi, e a riordinare i suoi pensieri, che il soldato si rialzò, e tornò alla carica. Il viso e il torace erano ora ancora più tremendi da vedere. Barcollando ancora, afferrò la spada e si diresse verso l’elfo bendato.
Un secondo colpo, preciso, delle sue lame, e questa volta l’assalitore non si rialzò più.
Che io sia dannato!Imprecò, senza accorgersi dell’ironia di quella frase. Lui, era
già dannato.
Ma dopotutto, perché si stupiva tanto?
Cosa c’era di strano? Ormai avrebbe dovuto saperlo: ovunque passasse la Legione, la terra moriva, e i morti risorgevano.
Probabilmente, da qualche parte, un Nathrezim, i terribili negromanti demoniaci, stava lanciando sulla città la sua terribile maledizione.
E con lui, probabilmente, c’era la sua scorta di Guardie dell’Abisso.
Bene!Esclamò, passandosi la lingua sulle labbra.
Ma prima che potesse fare alcunché, i suoi ricordi cominciarono a fuoriuscire dal terreno.
”Con un gemito, tesero i muscoli e si levarono,
Non dissero verbo o ruotarono gli occhi,
Era ben strano anche in un sogno,
Vedere i morti rialzarsi dal sonno”.
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Prima uno o due, poi sempre di più, una selva di pugni sorse dalla terra, spaccandola, e aprendo la strada al resto del corpo.
Una visione apocalittica, un esercito di elfi della notte in avanzato stato di decomposizione trascinò le sue stanche membra fuori dal giaciglio approntato in fretta e furia dai propri cari prima di essere a loro volta uccisi.
Tutti condividevano la stessa espressione vuota, e si mossero con la stessa lenta determinazione verso l’intruso vivente.
Chiunque, chiunque, anche il più freddo degli assassini, sarebbe impazzito, o quantomeno avrebbe lasciato le armi e sarebbe battuto in ritirata, di fronte a una simile apparizione.
Ma non lui.
Simili debolezze erano ormai state relegate in una buia cripta del suo subconscio, e lasciate morire di stenti.
Per l’elfo bendato, ora, davanti a lui c’era solo un gran numero di nemici, indifferente che si trattasse dei cadaveri riesumati della sua gente.
In breve, i cadaveri ambulanti si raccolsero in gruppo, diventando un caotico oceano di mani frementi, toraci imbrattati di sangue e gole dilaniate, dal quale si levava un coro di lamenti che lacerava i suoi timpani.
Poi, fecero per muoversi verso di Illidan, ma furono preceduti.
L’elfo, si era lanciato nella battaglia.
Con un salto, atterrò dall’alto sulla prima fila di non-morti, e un ampio colpo a forbice delle lame incrociate dilaniò più di un paio di nemici, mentre quelli tutto intorno venivano sbilanciati e crollavano a terra.
I volti sbiancati, che non conservavano più neppure un ricordo della carnagione violacea, turbinavano attorno a lui, ma il cacciatore di demoni non subiva affatto l’espressione quasi accusatrice.
Lui, non aveva colpe, nulla da rimproverarsi.
Tutto quello che aveva fato, era sempre stato in buona fede.
Feroce, menò fendenti a destra e a manca, e i pezzi di cadavere volarono alti.
Quella che un tempo doveva essere stata un’elfa anziana, ora avvolta nei brandelli, incrostati di sangue, di un abito che si indovinava fosse stato scintillante di argento, rosso e turchese, lo afferrò per la gamba con aria famelica.
Illidan le assestò un calcio sulla schiena e, per precauzione, le mozzò la testa con il suo Cacciatore di Anime, eppure, perfino dopo quell’attacco, il corpo dell’elfa cercò di avventarsi selvaggio su qualsiasi cosa fosse alla sua portata. Fortunatamente, Illidan si era già spostato verso un altro gruppo di non-morti.
Nel mentre, da una zona boscosa che un tempo doveva crescere rigogliosa lungo la via, cominciarono a emergere nuove e più imponenti figure, che in un primo momento, impegnato com’era ad abbattere i suoi vecchi fratelli, l’elfo bendato non notò.
Poi, una possente zampata lo colpì alla schiena, ribaltandolo in avanti, e aggiudicando al suo proprietario il primo sangue versato da Illidan in quello scontro.
Come osavano? Come osavano arrecargli danno?
Con un ruggito di ira, il cacciatore di demoni si rialzò, incurante dei tre tagli paralleli che spiccavano sul suo dorso, e voltatosi tentò di decapitare il nemico che con tanta noncuranza gli aveva fatto baciare il suolo nerastro.
Non riconobbe subito la razza del nemico che si trovò davanti.
Una colossale massa di muscoli decomposti, ricoperta da un secco pelame scrostato in più punti spiccava sugli altri nemici, spazzandoli via senza fastidio per aprirsi la strada verso l’intruso vivente.
La testa, che sovrastava persino lo slanciato Illidan di un paio di spanne, era lunga, e terminava in un nero tartufo.
Con un ruggito la creatura cercò di abbattere ancora su di lui un braccio pesante, e munito all’estremità di temibili artigli neri, ma venne parato dalle lame dell’elfo, che vi aprirono un largo squarcio.
Un furbolg, ecco cos’era, o meglio il
cadavere di un furbolg.
Solo ora si ricordava di quegli esseri simili a orsi, placidi e fidi alleati degli elfi della notte, abitatori dei remoti recessi delle foreste.
Agile, l’elfo bendato si arrampicò sulle spalle del grosso bestione, conficcando le punte delle armi a mezzaluna nella carne per issarsi, mentre la montagna vivente cercava senza successo di scaraventarlo via.
Giunto in cima, si mise a cavalcioni del collo, prima di sgozzarlo.
Gorgogliando, il mezzo orso crollò a terra.
Ma fu una piccola vittoria, poiché il cadavere di quell’esemplare fu subito scavalcato da una nuova ondata di elfi e furbolg riesumati, che ormai si erano uniti in gran numero alla torma sinistra.
Altre teste, e braccia, volarono via, mentre a poco a poco la via si sgombrava, e i cadaveri che ancora sfidavano Illidan si facevano sempre meno numerosi.
Attorniato dagli ultimi quattro giganteschi orsi rimasti, l’elfo bendato fu costretto a ricorrere al suo potere demoniaco, scatenando un intensa vampata di luce cremisi, che accecò gli assalitori, e gli diede il tempo di elaborare una mossa devastante.
Saltato verso l’alto, piroettò nell’aria, come un letale ciclone, e le sue lame dilaniarono i musi dei furbolg.
Poi, approfittando del loro smarrimento ne sventrò due, riversando a terra i loro fluidi, e fece cadere un terzo a terra, per poi saltargli sopra e straziarlo con ripetuti fendenti.
L’ultimo, oppose una certa resistenza, afferrando il vivente con le zampe per portarselo alla bocca, e sbranarlo, ma il lesto Illidan infilò il Cacciatore di Demoni nelle fauci spalancate, arrivando tramite il palato al cervello putrefatto.
Ma non era finita.
Proprio mentre il cacciatore di demoni stava per tirare un sospiro di sollievo, cinque nuovi, torreggianti avversari si diressero dondolanti verso di lui dal fondo della via.
Sagome enormi, che a prima vista scambiò per altri furbolg, ma che in breve si rivelarono esseri
ben peggiori.
Su un corpo grasso e flaccido, erano saldate per mezzo di semplici cuciture appendici che evidentemente non avevano nulla a che fare con la struttura di base.
Le gambe corte e tozze di qualche orco, le braccia, spesso anche più di un solo paio, di umani o elfi, e una testa a dir poco grottesca, nella quale occhi, naso, bocca e orecchie sembravano uniti senza apparente logica.
In più di un caso, le teste erano poi più di una, e spuntavano senza collo dalle spalle, dal ventre, o anche dalle braccia, e tutte fissavano il medesimo punto: Illidan.
Ma neppure questo nuovo, raccapricciante abominio riuscì a destare emozioni che non fossero la furia omicida nell’elfo, che senza indugio e senza riflettere partì alla carica contro il gruppo.
Un nuovo flash, e quando il viottolo fu di nuovo inghiottito dalla semi-tenebra, solo tre di quei costrutti cadaverici si ergeva ancora in piedi.
Gli altri due, giacevano smembrati al suolo.
Ma non era stata una mossa saggia, scagliarsi così a testa bassa incontro ai macabri mostri.
Una mannaia sibilò a pochi centimetri da lui, mancandolo, ma era solo questione di tempo perché l’instancabilità degli abomini avesse ragione della loro bassa precisione.
Infatti, dopo pochi istanti di serrato combattimento, una scure superò la guardia del cacciatore di demoni, aprendogli uno squarcio sul braccio sinistro.
Argh!Il dolore per un momento lo sopraffece, facendogli perdere la concentrazione, e permettendo a un secondo colpo di raggiungere, questa volta, la scapola destra.
Un colpo potente, che lo ridusse in ginocchio, e gli fece sputare sangue e saliva.
Ma non è facile, piegare Illidan Stormrage.
Non senza trattenere un urlo a causa delle molte lesioni, si avventò dal basso verso il ventre del nemico più vicino, conficcando entrambe le lame nel sacco flaccido, e squarciandolo con una rotazione dei polsi.
Poi venne il turno del più grosso degli, che perse tutte e tre le braccia, prima di essere decapitato.
Infine, Illidan si concentrò sull’ultimo rimasto.
Scivolando sotto la guardia nemica, conficcò la punta dell’arma nella giuntura del ginocchio sinistro, e l’imponente assembramento di cadaveri crollò sul ginocchio.
Una mannaia volò oltre la spalla dell’elfo.
Misero tentativo.
Non sgorgò sangue, quando il torace dell’abominio venne completamente spalancato.
***
Cosa diavolo ci fa qui?Ancora una volta, tentò di dirigersi verso di lui.
Ancora una volta, il muro invisibile lo bloccò.
Uno dei Toryu che avrebbe dovuto essere suo compagno si ergeva poco lontano, alla base della collina dalla quale in quel momento Illidan lo stava guardando.
Con lui, un pallido elfo, assolutamente non uno della stirpe della notte, che gli stava medicando il braccio, e in una pozzanghera, un corpo insanguinato, che purtroppo da quella distanza non era riconoscibile, tanto più che giaceva con il volto nel fango.
Diverse erano state le ipotesi che Illidan aveva formulato riguardo a quell’insolita scena, mentre seduto sull’erba un po’ meno mefitica di quella da lui vista in precedenza si riposava dalla battaglia contro il Flagello e fasciava alla bell’e meglio le ferite.
Che quello riverso a terra fosse il famoso Archetipo, appena ucciso dal suddito del re e dal suo medico? O forse il cadavere era solo di un luogotenente secondario?
E che invece il Toryu ferito fosse un traditore, il brutale assassino di uno degli altri componenti del gruppo?
In ogni caso, avrebbe di certo saputo chiarire i dubbi di Illidan.
Bastava solo trovare il modo di abbattere quel muro magico, compito dopotutto non impossibile per il potente incantatore bendato.
Così, l’elfo della notte si prese la testa fra le mani, e iniziò ad analizzare le maglie della barriera.
CITAZIONE
Scusate il post eccessivamente lungo e quindi noioso e povero, ma non sapevo proprio dove tagliare
CITAZIONE
[ReC: +225] [AeV: +200] [PeRf: +150] [PeRm: +250] [CaeM: +175]
Ferite: Tagli lievi su tutto il corpo, sfregio alla schiena, ferita media alla scapola, ferita al braccio sinistro
Energia: 88%
Tecniche utilizzate: -Fuga (Flash Abbagliante) 2x
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