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La Miseria, ~ Contest S a c r i f i c i o ]

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La Tour
view post Posted on 5/9/2008, 21:58




Ciao,

A m i c o mio.


« A volte, il destino gioca tristi scherzi.
A volte, permette che due personalità del tutto diverse si incontrino, solo per scontrarsi tra di loro.
A volte sembra quasi che architetti tutto con cura, in precedenza, perché le cose prendano la peggiore piega possibile.
A volte, pare persino una partita a scacchi.
Una partita che non puoi vincere.
»


Non era la prima volta che si trovava faccia a faccia col Re.
Benché senza ombra di dubbio l'altro non riuscisse a riconoscerlo, nella memoria di Venatrix il luogo del loro primo incontro era ancora come scolpito nella pietra.
Ricordava con chiarezza cristallina lo scroscio della pioggia e il puzzo dei cadaveri. Il livore marcescente della terra, divelta dal passaggio degli arieti, e il ritiro puerile delle forze alleate, fin dalle prime ore della battaglia.
Ricordava che i bastioni stavano per cedere sotto i colpi del Re che non perde mai: sarebbe stata solo una questione di tempo.
Lui e gli altri mercenari erano stati abbandonati dietro la barricata, con un unico ordine. Difenderla fino alla morte. Sapevano esattamente cosa significasse.
Ricordava Toma, che, ridacchiando in un buio talmente fitto da non riuscire a scorgerlo in viso, affermava che erano stati lasciati lì a morire.
...Ricordava anche di non avergli replicato nulla.
I mercenari non hanno nulla da dirsi sul campo di battaglia: In uno scontro successivo potrebbero ritrovarsi su fronti opposti. In momenti simili, poi, quando si tratta di proteggere la barricata dall'attacco sferzante del nemico, non hanno nemmeno il tempo di guardarsi in volto.
Toma l'avrebbe imparato poco prima di morire, leggendolo nel ghigno malizioso dipinto sul viso del Re, intento a sviscerare le terre per costruirsi un suo "Regno".
Al compagno aveva detto che l'avrebbe raggiunto in breve, durante la battaglia. Gli aveva mentito, perché questo l'avrebbe aiutato nel trapasso.
Ricordava...
R i c o r d a v a . . .

A quel tempo lui e il Re si erano scontrati come nemici, e ora, uno di fronte all'altro, una scacchiera a dividerli, stavano combattendo ancora, per il loro diletto personale.
Non provava rancore per il suo sfidante, né per quello che era successo tra loro. Era passato talmente tanto tempo da quella battaglia che a Toma, del quale non riuscì neppure a scorgere il viso, aveva persino smesso di dedicare le proprie preghiere.
Tentennò per qualche secondo con l'indice sulla figura della regina, passando l'altra mano fra i lunghi capelli rossi, riassettandoli.
Ray era temibile proprio come quanto si sentiva in giro. In poche mosse, e senza che lui se ne accorgesse, lo aveva costretto a una decisione, e a sacrificare un pezzo piuttosto che un altro. Minacciati, in quel momento, erano l'agile pezzo del cavallo e la salda figura della torre.
Il suo sguardo si spostò lentamente verso i pezzi neri del Regnante, prima di tornare con calma a valutare la propria situazione.
Dopo lungo tempo, decise di risparmiare l'animale, e lasciò che il suo sfidante si impossessasse del bastione.
Nonostante la stesse cercando da diverso tempo, non riuscì a trovare un'apertura nel gioco del ragazzo, o almeno una abbastanza ampia da permettergli di proporre un'offensiva degna di questo nome.
Per un breve attimo, si chiese perché il suo Lauth, i suoi compagni, l'avessero mandato a sostenere quella partita.
Per un istante, si domandò che cosa mai si aspettassero di scoprire.
Il Re non era cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto, né era cambiato il ghigno sul suo volto, che gli si ripresentò mentre l'alfiere nero abbatté la sua torre, inevitabilmente.
Decisamente, quello era il Sovrano che n o n p e r d e v a m a i .

Eppure, qualcosa non andava. Qualcosa non funzionava.
Ray, sprezzante di ciò che erano entrambi, lo guardò per la prima volta, come un lupo pregusta la sua preda girando attorno al recinto degli agnelli. Poi gli rivolse la parola per la prima volta da quando la partita aveva avuto inizio.

« Non prendertela. Non sai che non si può vincere una partita a scacchi senza sacrificare qualche pezzo? »

Il tono di una minaccia, più che quello di un compatimento.
Lo ascoltò, ma non distolse lo sguardo dai suoi pezzi. Poi mosse, e solo in seguito rispose.

« ...Suppongo che il Re, quindi, per uscirne sempre vittorioso, debba sacrificare una quantità incredibile di cose. »

Non ebbe bisogno di guardarlo in viso per sapere che l'altro avrebbe reagito alla sua provocazione con un sorriso carico di malizia; dunque continuò a studiare la scacchiera in cerca di un'apertura che Ray, forse turbato dalla sua preoccupazione, gli concesse.
Senza la minima reazione, tamburellò sulla regina bianca, soppesandone il peso, e la spostò in avanti, fino a colpire il cavallo che il Sovrano aveva stupidamente scoperto.
Tuttavia, questa mossa non sorprese il suo sfidante, che pareva assorto nei suoi pensieri, e, spostando il pezzo "mangiato" dalla scacchiera, si limitò a rispondere al suo quesito.

« Molte. Tra cui tutto ciò che ha d'animale... »

Il Re scoprì un secondo pezzo, e Venatrix, vistolo servito come su un piatto d'argento, se ne impossessò con una calma innaturale, come aveva fatto col primo.
Anche la torre del Sovrano fu presa.

« ...La sua forza... »

Un altro errore. Un alfiere che metodicamente andò a sparire, spostandosi a bordo scacchiera.

« ...La sua fede... »

Il monarca coprì un altro pezzo del campo di battaglia, e due pedoni si fecero pericolosamente vicini al bordo esterno. Venatrix bloccò l'incedere di uno dei due sul nascere, che andò a raggiungere i suoi compagni periti nel corso della battaglia.

« ...La sua felicità... »

In un'avventatezza, quindi, Ray spostò la regina dalla sua posizione sicura, esponendola al pericolo, e cambiando completamente gioco, minacciando al tempo stesso molti tra i pezzi del suo sfidante.
Con una freddezza degna del più distaccato dei generali, il mercenario dai capelli rossi allontanò l'ultima sua torre rimasta dal Re, rendendo innocuo il pezzo dell'avversario, e annientandolo una volta per tutte.
Solo allora alzò lo sguardo verso il tiranno, come se avesse potuto leggere nei suoi occhi il suo gioco, ma quello in tutta risposta si limitò a concludere la sua complicata elucubrazione, come se nulla fosse, allontanando la piccola Regina nera dalla scacchiera.

« ...E, a volte, persino il suo amore. »


Un sorriso tornò a dipingere il suo volto, mentre le lunghe dita affusolate si chiusero sul pedone più vicino al termine del campo di battaglia, come la tela di un ragno.
Lo mosse avanti di una sola casella. Quanto bastava per cambiarlo con un vecchio pezzo, e chiudere la partita.

« Ma, alla fine, finché il Sovrano si mostrerà vincitore, almeno una di queste cose tornerà da lui. »


S c a c c o M a t t o.

[...]


Era il momento dei saluti, e Venatrix si alzò dalla sua sedia per dirigersi mestamente verso l'apertura che portava fuori dalla sala del trono. Prima di lasciarla, però, si rivolse per un'ultima volta al suo sfidante, pacato come era sempre stato durante tutta la partita.

« ...Toglimi una curiosità, A m i c o mio, giacché dubito che potremo reincontrarci in tempi brevi. »

Iniziò ad infilarsi il lungo impermeabile color porpora che l'aveva accompagnato fino al maniero, e lo studiò con velata curiosità.

« Gli altri pezzi, quando tornano a te? »


Senza sorpresa, il sovrano gli sorrise, felice e beato come un bambino. Nei suoi occhi, non vi era l'ombra nemmeno del più piccolo dubbio, e il mercenario intuì già la risposta prima che lui potesse anche solo aprire bocca.
Così, senza scomporsi, si voltò e lasciò la sala, lasciando che il verbo dell'altro lo inseguisse per i corridoi: l'ultima informazione che il tiranno gli avrebbe dato.

« Non è ovvio? ...Prima della prossima partita. »
 
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