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| « E dai, bello. D'accordo lo studio, ma tu esageri! Cos'è, hai forse intenzione di diventare un Re o simili? » Le parole scivolarono lente lungo la pelle del ragazzo che, di spalle, concentrava il suo sguardo e i suoi pensieri solo sul libro che aveva sotto gli occhi. "Il principe", di Macchiavelli. Una lettura che il loro professore aveva trovato talmente interessante dal costringersi a condividere tale sapienza anche ai suoi alunni, durante le vacanze. L'aneddoto ironico dell'amico non era quindi sfuggito a Ray, che di sovrani e monarchi, in quel momento, ne aveva piena la testa. « Davvero, non puoi mancare! Hanno detto che i vecchi stanno organizzando un poker per aggiudicarsi quelle del secondo anno. Devi venire per forza! » Questa volta le parole dell'altro riuscirono a catturare la sua attenzione. Non tanto perché gli interessassero le ragazze del secondo anno, quanto più perché se i vecchi organizzavano un poker, lui, effettivamente, non poteva assolutamente mancare. Lui che era la guida di tutta l'accademia. Le sue dita scivolarono sulla copertina del libro, chiudendolo. « Forse hai ragione. » Disse con voce atona. « Non ho la minima intenzione di diventare un Principe, e qualcuno li dovrà pure spogliare delle loro vesti, quei vecchi bastardi. » Sul volto di Ray si delineò un sorriso, mentre il suo amico gli rispondeva con un gesto eloquente prima di reindossare la giacca e scortarlo fuori. I corridoi dell'accademia erano sempre bui, a quell'ora della sera. Il coprifuoco era rigido, e spegnere le luci era un modo per far desistere gli alunni dall'uscire dalle loro camere la notte, a rischio di inciampare negli sfarzosi ostacoli che avrebbero trovato sulla loro strada. Comodini, bacheche, lampade morte e lucernari ambigui. Persino lui s'era stufato di contare la quantità esorbitante di persone che andavano a sbattere contro i vetri, ogni volta che calava la sera. Fortunatamente quel giorno la luce della luna proveniente dai lucernari era abbastanza per concedere ad entrambi di seguire un percorso ben preciso. Ray allungò lo sguardo verso l'ampio cortile al centro dell'accademia, che faceva da parco per gli studenti stanchi che cercavano riposo tra una lezione e l'altra. Vuoto, solo la grande fontana di marmo bianco al centro sembrava viva, e come lei la grande scritta che la circondava da capo a capo. "Trone du Roi ~ Charles Étienne Chevalier ". Sollevò un sopracciglio, scettico. Ancora non riusciva a capire chi avesse il coraggio di sponsorizzare un progetto simile. Una scuola per geni. Il così chiamato "Trono del Re". E non riusciva nemmeno a spiegarsi chi diavolo trovasse il coraggio di dare dei soldi ad un preside che di cognome faceva "Cavaliere". Ma decise di non soffermarvisi più di tanto, e continuò a seguire il suo amico. Non dovettero camminare molto. A discapito delle sfarzose apparenze, il Trono del Re non era una grande scuola, e si poteva dire che di maestoso, in qualsiasi senso lo si voglia intendere, vi era solo il cortile centrale e la grande fontana di marmo bianco. Così bastò una rampa di scale per giungere nell'atrio, e da lì andarono verso sinistra, innanzi a un pesante drappo argenteo che pendeva dall'alto. Ray lo scostò con la mano, rivelando un passaggio celatovi alle spalle, e i due vi si inoltrarono, scendendo una scalinata di pietra tanto nera e tanto lunga da sembrare dover portare all'inferno stesso. Un passaggio nascosto che sembrava stare lì sin da prima della scuola stessa, buio e lugubre. Quando la musica sostituì il rimbombo dei loro passi, seppero di essere arrivati. Come già detto, il Trono del Re aveva ben poco di maestoso. E non solo per quanto riguarda l'aspetto esteriore dell'edificio, ma anche per la fine che facevano, prima o poi, tutte le persone che vi si trovavano, per una ragione o per l'altra. Innanzi ai due si apriva un salone di proporzioni gigantesche, illuminato dal fuoco di un camino che da solo conteneva lo spazio necessario per costruirvi un salotto. Lugubri, le lingue di fuoco illuminavano gabbie appese al soffitto, tavoli di ferro battuto e le mura vermiglie di quella che una volta doveva essere stata una perfetta sala delle torture. La musica, più che altro grida e ruggiti, battevano con forza contro la roccia, graffiandone le pareti, e la folla non aiutava. Persone ovunque. Sedute ai tavoli, dietro a quelli che sembravano banconi destinati all'alcool, distesi sopra a brande o, peggio ancora, dimenandosi dietro a sbarre o allacciati a macchine dall'aspetto tutt'altro che innocuo. Nessuno piangeva, però. Tutti sembravano divertirsi come mai avevano fatto in vita loro, e nonostante ogni tanto si vedesse volare anche qualche schizzo di sangue, nessuno sembrava farci caso per più di qualche secondo. Gli uomini ballavano e ridevano dietro a lugubri e contorte maschere scheletriche, corteggiando le donne che, dal volto e dal corpo tutt'altro che celato, civettavano fra le poltrone. Il suo habitat. Lento, infilò una mano fra le vesti picee, cercando il suo specchio di tragedia. Trovatolo, le dita si permisero di chiudersi con ossessione sulla candida porcellana solo per qualche istante, prima di coprire il volto del proprietario. E ora che aveva indossato la corona, poteva muoversi nel suo regno. L'amico lo seguì innocuo, anche lui la maschera ghignante a velarne il viso. Man mano che Ray camminava, la gente sembrava accorgersi della sua presenza, e terminava quello che stava facendo, concedendosi qualche secondo solo per ammirarne il portamento, muti. La musica smetteva di suonare e gli uomini di corteggiare. I baristi non servivano da bere, e i torturati non gridavano più. Per qualche attimo, gli unici suoni nella camera delle torture sembrarono essere i passi dei due ragazzi, o meglio, di Ray, che s'avvicinava al tavolo da poker. Col passare del tempo era diventato una sorta di leggenda, in quella scuola. Migliore negli studi, nelle giocate, di bell'aspetto e carismatico, potente nelle arti magiche e talmente influente da poter sottomettere a se gran parte del corpo docenti. Comparso dal nulla, e proclamato il vero sovrano del "Trono del Re", incontrastabile da chiunque. Un genio che non aveva mai conosciuto la sconfitta. Sedutosi al tavolo, riconobbe delle maschere familiari, e si sorprese di quanti tra i vecchi avessero deciso di partecipare a quel gioco. Neanche a dirlo, una folla incredibile si accalcò alle sue spalle, rapida e silenziosa, quasi ognuno di essi volesse essere il primo a sentire Ray parlare, e assaporarne le parole. Lui, dal canto suo, non si sarebbe certo fatto attendere. Si accoccolò al suo seggio porpora, lascivo, e non si sorprese vedendo alle spalle dei suoi avversari una quantità incredibile di ragazze impaurite e nude, chiuse in una gabbia. « Ma guarda un po'. Allora non era una balla quella di giocarsi quelle del secondo anno. » Disse ad alta voce, sorridendo mefitico. « Non preoccupatevi ragazze... presto vi tirerò fuori di lì. » L'affermazione fu tutt'altro che rassicurante. Forse per il tono sarcastico, o forse per lo sguardo folle, o forse ancora perché il gruppo alle sue spalle, sentendo quell'ultima sentenza, scoppiò in una risata incredula e fragorosa, che s'insinuò fin nelle ossa delle tremolanti ragazze. Il divertimento, però, non sembrava destinato a durare. « Zitto, stronzo! » Una delle maschere davanti a lui batté un pugno sul tavolo, scatenando un boato di sdegno. « Fin che ci saremo noi in questa scuola, non ti permetteremo di fare il bello e il cattivo tempo! Pensi forse che ci divertiamo a minacciare delle ragazze e portarle qui, solo per insegnarti un po' di disciplina?! » Ray rise, da sotto la maschera. Ridicolo, come sempre. « Come non mi diverto io a leggere i libri che lei mi da per compito, professore. Trovo "Il Principe" una delle peggiori letture che abbia mai affrontato... dunque lo scambio non può essere più equo di così. E' sempre comunque triste denotare come l'unico modo che abbiate per mettermi in riga sia... il Poker. » Aveva colpito nel segno. La maschera ritrasse la mano e si abbandonò sul suo seggio, dedicando uno sguardo impietosito alle ragazze catturate alle sue spalle. Il Re però non aveva terminato, e allungò un mazzo di carte verso un'altro personaggio che, il volto celato, scrutava tristemente abbattuto le sue stesse ginocchia. « Cavaliere, prego... a lei la mano. »
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Distrattamente, s'era perso nei ricordi. Forse per l'ora tarda, che lo spingeva a rimembrare avvenimenti del passato, piuttosto che ha discorrere del presente. Il suo sguardo si riaccese e sorrise al suo interlocutore, che sembrava tanto stanco quanto lui.
« ...Paura? Oh, no... Come potrei averne? » Si fece assente una seconda volta.
« Vedi, io non sono diventato "il Re che non perde mai"... Sono nato con questo ruolo addosso. E' la mia stessa esistenza che lo impone su di me e sugli altri. Il mio carattere e la mia persona. » Facendo uno sforzo immane, sorseggiò il suo bicchiere di vino un'ultima volta, fino a non lasciarne nemmeno una goccia.
« E Tuttavia la tua preoccupazione è ammirevole quanto la tua dedizione. Io ti chiedo: Il dubbio sulla propria ragione non nasce forse dalle domande che si farebbero altri? Non è forse interagendo con la personalità delle persone che noi iniziamo ad esitare, specchiandoci nel riflesso che loro ci regalano? Questa stessa discussione che abbiamo avuto, nasce dalla nostra differente linea di pensiero, dalle nostre diverse esperienze e da ciò che la vita ci ha posto innanzi fino ad ora; e dal nostro rispettivo desiderio di condividerlo con altri. » Sospirò, insoddisfatto.
« Può sembrare un'argomentazione complessa, ma non è realmente così. ...Semplicemente, tu non farmi domande sulla tua vocazione, e io non ne farò sulla tua. Solo guardando unicamente a te stesso e al tuo ruolo scoprirai quanto esso potrà essere corretto in questo mondo. L'egoismo e l'arroganza sono solo delle illusioni: Io sono felice e pienamente soddisfatto della mia vita. Se la gente vede in me un simbolo del male, è semplicemente perché non riesce né a considerarsi come un elemento solo, né come parte di una totalità, e pretende che io mi comporti allo stesso modo. » Tacque per qualche secondo, pensieroso, poi scoppiò in una fragorosa risata.
« D'altronde, se tu avessi ragione e veramente esistesse un Dio, di certo la sua mano invisibile servirebbe a regolare l'egoismo di ogni uomo in quanto elemento perché insieme possano formare realmente un'"Umanità" solida e compatta, o mi sbaglio? » Non attese una risposta. Non se la aspettò neppure. Si alzò lentamente dalla sua sedia, e si diresse nuovamente verso uno scaffale, deciso a intraprendere una nuova lettura. Ma prima, si congedò con il suo interlocutore, sincero come mai era stato fino a quel momento.
« Sono molto contento di aver intrapreso questa discussione con te, Jonas: Dovremmo parlare più spesso. Ti auguro una notte ricca di bei sogni. »
CITAZIONE Questo è il mio ultimo post. Rispondi pure se vuoi, Wolf. Mi sono divertito molto, davvero. XD Perdonami ancora se ho dovuto farti aspettare tanto per poter concludere questa scena.
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