Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Parfume of Roses, Scena GdR Dalys - Ray

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view post Posted on 7/2/2009, 16:51
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Parfume Of Roses



Musica, maestro.



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La giornata era appena iniziata, il sole stendeva ancora le sue dita fameliche sulle spalle curve dei monti, il vento iniziava a spirare fosco e sbuffante nell'aria disincantata. Tutto dormiva, ancora assopito, attendendo che il primo canto di gallo annunciasse senza possibilità di fraintendimento che era ora di iniziare il lavoro. Innocenti sogni e orribili incubi si mescolavano nell'atmosfera densa delle stanze da letto, dove i corpi sudati o scossi da brividi si rivoltavano sotto le lenzuola.
Palpebre chiuse e incollate dal sonno rifiutavano di aprirsi e gli ultimi, già quasi volontari, movimenti inducevano i dormienti a riscuotersi. Così faceva anche l'uomo, l'uomo dagli splendidi occhi e dal corpo forte e protettivo che aveva attirato nella propria stanza. Giaceva indifeso, rannicchiato sotto le coperte di seta, il viso nascosto contro il suo ventre tiepido. Gli era parso strano, la notte prima, che lei non sentisse freddo. Forse aveva trovato interessante quella particolare abilità che le consentiva di riscaldarlo sebbene si trovassero sulla piazza principale, sotto un cielo stellato e inclemente, fitto di stelle e portatore di brina. Le era bastato uno sguardo per attirare la sua attenzione, per far sì che non potesse fare a meno di fissarla, dimenticandosi di tutte le altre giovani danzatrici in cerca di compagno.
Aveva capito subito che lei non era come le altre: come avrebbe potuto fraintendere? Non tutte le ragazze vestivano come lei, avevano il suo stesso sguardo profondo e spassionato, velato di insoddisfatta sete e di un potere terribile quanto nascosto. Aveva danzato al suo fianco ed era stato sopraffatto, aveva sfiorato il suo corpo, aveva sentito il profumo inebriante e dolce dei suoi capelli e il tocco soffice delle sue labbra. Aveva tessuto abilmente la sua tela, promettendogli tutto in cambio di nulla. Lei non voleva amore, lui non voleva darne. Lei non voleva nemmeno i suoi soldi. Un affare raffinato, senza la rozza diatriba sul prezzo di qualcosa che non ne ha, senza le recriminazioni che rendono amaro il ricordo della notte.
Lei aveva trovato una strada, ed intendeva percorrerla con la grazia e la sensualità che le era abituale. Era nobile, non aveva bisogno di denaro. Voleva vendetta, ma quella lui non poteva dargliela. Voleva potere, e uomini come quello potevano essere un mezzo per ottenerlo. Non gli aveva strappato promesse, non aveva fatto improvvise dichiarazioni. Si era semplicemente divertita, amatrice esperta e silenziosa, delicata silfide orientale in quella terra di bionde contadine e di guerriere senza sentimenti.
E ora, con gli occhi aperti rivolti verso lo specchio che luccicava nella penombra, guardava la propria immagine appena visibile, un'ombra più scura stagliata contro il bianco del cuscino e della parete, e si chiedeva a cosa le servisse la danza, a cosa le servisse il falso amore, a cosa le servisse illudersi. Forse soltanto a scacciare la paura, a rendere meno gravose le lunghe ore buie che precedevano l'alba. Si passò le dita tra i lunghi capelli neri, sempre più in basso, lungo i fianchi e sul viso di lui, sulle guance dove iniziava a crescere la barba.
Si alzò sinuosa, sfuggendo alla sua stretta, e poggiò i piedi nudi contro il pavimento freddo. Era una sensazione piacevole, semplice. Un brivido risalì dalle caviglie lungo tutto il corpo, lungo la schiena dolcemente arcuata fino all'anello d'oro, unico oggetto che portasse in quel momento sulla pelle. La vista del metallo brillante le riportò alla mente il motivo per cui si era arrischiata tanto con quell'individuo. Non li portava tutti nella propria stanza, potendo scegliere decideva di non compromettere mai la propria rispettabilità. Cosa avrebbe fatto se l'avessero cacciata anche da lì, anche dal Bianco Maniero che l'aveva tanto generosamente accolta?
Ma negli occhi di quel soldato, occhi castani da cerbiatto, profondi e acquosi, aveva letto qualcosa che le interessava: lui avrebbe dovuto andare a una festa, la sera successiva, una festa che si sarebbe tenuta all'interno del castello, nella sala dei ricevimenti, e alla quale avrebbero potuto partecipare solo i cortigiani che possedessero un invito.
Lui naturalmente non le aveva detto nulla, forse perché aveva già una compagna da portare con sé, forse perché la considerava troppo plebea per fare parte di quella cerchia di eletti o forse perché non è conveniente portare la propria amante al cospetto dei favoriti dal sovrano, ma a lei non importava più di tanto il suo parere.
Lei voleva l'invito. Si accoccolò ai piedi del letto, dove giacevano sparse le loro vesti. I suoi sensi si erano risvegliati in un attimo, corroborati dall'aria frizzante che entrava attraverso le tende scarlatte. Coperta soltanto dai propri capelli frugò in tutte le tasche della giacca, poi nei pantaloni, infine nel mantello, finché non trovò quello che cercava. Una pergamena spessa e liscia sotto le dita, simile a un foglio di seta, vergata con inchiostro d'oro, invitava il portatore a comparire il tal giorno, alla tal ora, per festeggiare il Bianco Re.
Sorrise furbescamente. Era sicura che il Re non ci sarebbe stato: cosa poteva indurlo a partecipare a una festa come mille altre, a passare la notte in compagnia di uomini noiosi e pedanti non avrebbero avuto altro scopo che gettarsi ai suoi piedi invocando favori? Se assomigliava solo un poco al re dei regni d'Oriente, e nella sua mente i re si assomigliavano tutti, allora avrebbe avuto campo libero e nessuno si sarebbe accorto della sostituzione. E anche se avessero capito che lei non era il robusto soldato che loro credevano, chi si sarebbe lamentato di una danzatrice supplementare? Di nuovo le sue labbra si inarcarono verso l'alto, stillanti di malizia.

Sera. La giornata è passata in fretta, stupendamente in fretta, tra il bagno, i profumi, la complicata pettinatura e l'andirivieni dall'armadio allo specchio. Si sorride, sorride al suo viso quasi senza trucco, alle ciglia lunghe e vibranti, alle guance arrossate dal tepore.
Poi veloce, a lunghi passi, con le scarpe di velluto rosso che paiono stille di sangue sul marmo bianco dei corridoi. Le piace questa immagine, rosso su bianco, con il mantello lungo che assomiglia ai petali setosi di una rosa. Si abbassa il cappuccio sul viso, perché nessuno possa riconoscerla prima che sia entrata.
È questo il momento che più teme, l'unico istante in cui il suo piano potrebbe andare a monte. Se ora, davanti alla porta carica di intagli, di scene di caccia e di danze campestri, qualcuno vedesse in lei la danzatrice delle piazze non la lascerebbero certo passare. E invece porge l'invito e fissa i propri occhi brillanti in quelli del guardiano. Ombre di porpora si stendono sulla sua fronte, impossibile resistere alla sua richiesta. I battenti si aprono davanti a lei come per incanto, rivelando ai suoi occhi la sala ricolma di gente di ogni genere.
Uomini, donne, amanti e guerrieri in armatura da parata. Alcuni sono vestiti riccamente, altri si aggirano servili in cerca di favori. Ovunque si diffondono i profumi dei fiori che sono stati appesi in lunghe ghirlande ai soffitti e centinaia di candele illuminano soffusamente la scena. Lei voleva venire, e vedere, voleva capire cosa rendesse diverse le feste del re dalle mille altre a cui aveva assistito. E voleva prendere parte a questi raduni pressoché segreti al volgo, per poter dire a se stessa di aver recitato fino in fondo la propria parte.
Si era ripromessa di constatare che nulla era diverso da ciò a cui era abituata, che erano solo antiche leggende dei servi quelle sulla magnificenza della sala da ballo. Ma rimane quasi commossa a quella vista, all'udire il chiacchericcio melodioso e diffuso di centinaia di voci educate. Anche lei faceva parte di quel mondo, un tempo, o si trattava soltanto di un sogno? Ora è diversa da loro, nel cuore e nell'animo, indelebili cicatrici solcano la superficie levigata della sua mente di razza.
Ma non può andarsene. Lascia cadere il manto, lentamente, rivelando la veste di seta e oro che nessuno degli altri potrebbe portare in una notte tanto fredda. Sa che i primi già la stanno guardando, che i loro occhi lascivi trascorrono sui suoi monili d'oro e arrivano fino al suo collo flessuoso, ai movimenti ondeggianti dei fianchi perfetti. Ma li ignora: lei non vuole i deboli. Lei vuole la musica, e la danza. Perché in una festa come quella vuole per una volta riassaporare il piacere di esibirsi davanti a occhi che possono comprendere.
Era ancora molto giovane quando le avevano insegnato l'arte della seduzione, l'arte di soddisfare lo sguardo. Tutti i nobili, a qualsiasi cultura appartengono, hanno radicato dentro di sé il gusto del bello. Sono esteti, necessitano di qualcosa a cui aggrapparsi. Vide che già alcune danzatrici tentavano di imitare le movenze della sua terra, contorcendosi come goffe anguille sotto gli occhi di annoiati conversatori. Si preferivano i tavoli ricolmi di cibo alle loro inutili evoluzioni. E così avrebbero creduto che l'Oriente producesse solo vaghe meretrici, donne diseducate e inopportune.
Si affiancò al musicista e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Forse la sua voce calda, forse il contatto della sua pelle, ma quello cambiò immediatamente musica. Un registro più grave, più avvolgente, che pareva portare con sé il profumo distante dell'incenso.
Le fu sufficiente. I suoi piedi parvero iniziare a muoversi da soli, trascinandola nel lento vortice delle stoffe e dei colori. Nero, bianco, rosso e verde, oro e argento, tutto si confondeva mentre i polsi si alzavano morbidi verso l'alto. Gettò la testa all'indietro, in un'onda corvina che investì l'aria.
Sapeva che presto avrebbero perso la voglia di mangiare. E avvertiva il pericolo. Aveva trovato un ottimo modo per farsi scoprire. Ora l'avrebbero additata come una clandestina e l'avrebbero cacciata da quel ricco ritrovo. Ma poco importava. Sulle sue labbra si allargò un candido sorriso di piacere. Fai la vita come si fa un'opera d'arte, questo le avevano detto. E nessuno la avrebbe mai potuta privare della sensazione di perfetta armonia di quella danza, di quella musica. Esisteva solo lei, e intorno il buio, il nulla. Tutto scompariva, anche le candele, anche le ghirlande di fiori. Esisteva solo il suo profumo delicato, solo il fuoco che bruciava dentro di lei.
Un inchino, la testa rivolta a terra, gli occhi semichiusi. Ora avrebbe dovuto sollevare il capo, forse rivolgere l'ultimo sguardo a quel luogo. Avrebbe dovuto prendere tempo ma non lo fece. Aveva imparato a non essere codarda: era diventata folle, forse, ma aveva imparato la lezione. In un lampo i suoi occhi color smeraldo si fissarono sulla gente davanti a lei.
 
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Favola di Belfagor Arcidiavolo
« Andando infinite anime di quelli miseri mortali, che nella disgratia di Dio morivano, all'inferno, tucte o la maggior parte si dolevono, non per altro, che per havere preso moglie essersi a tanta infelicità condotte. »

Al Re non erano mai andate a genio, le feste. Mondanità triviali e fastidiosamente impegnative nella loro superficialità, che spesso sfociavano in un indecoroso spettacolo circense con il dilungarsi dei balli, dei canti e del convivio. Bolgie di lussuriosi che vorticavano da un lato all'altro della sala, condotti dalle loro stesse fantasticherie e sballottati dolorosamente contro le pareti da chi dimostrava più presenza di loro.
Per sopravvivere bisognava che gli invitati sapessero dominare le correnti del tifone, cavalcare le sferzate di ipocrisia come le poiane cavalcano il vento e spostarsi fra i danzatori, leggiadri come le gru si librano nel cielo, sperando di scontrarsi con chi ha attirato la propria attenzione.
Per quanto trovasse incredibilmente tedioso tutto questo, il Monarca ne era maestro e, ben presto, finì col sentirsi un'aquila chiusa in un pollaio pieno di galline che a stento riuscivano a sbattere le ali. Pareva che nessuno dei suoi ospiti riuscisse a dimostrarsi interessante senza che qualcuno d'altri lo soppiantasse, schiacciandolo dolorosamente a terra con la propria personalità, e beccandolo lungo i fianchi a suon d'ipocrisia e menzogne.
Fossero stati solo i lussuriosi, comunque!
Ovunque guardasse, golosi si ingozzavano del fango che era stato loro servito, iracondi si trascinavano il peso della presenza dei loro inimicati, e malinconici prendevano le distanze dal gruppo, mettendo radici una volta trovato un posto a sedere.
Le guardie reali li deridevano sotto i baffi, facendo del loro mestiere quello di punzecchiare i più incerti e smascherare i bugiardi prima di rigettarli nelle fiamme del ballo dell'orchestra.
Il Minosse della situazione se ne stava rigido e fermo come una statua all'ingresso, vestito d'un frac e d'una cravatta, esaminando sapientemente ogni invito che gli veniva presentato sotto lo sguardo e indicando a ognuno la sala del trono, dove si stava svolgendo la festa.
Tanti sembravano aver bisogno di qualcuno che li guidasse, e solo il Re sembrava possedere l'esperienza necessaria ad attirare tanta attenzione perché il proprio ego potesse sostentarsene, senza però mostrarsi volgare. Come uno spettro, si aggirava fra le anime perdute dei festanti senza trovarne una abbastanza viva alla quale accompagnarsi, e alla quale mostrare le gioie e le sfide di quell'occasione.
Passata la selva di colonne scure, difatti, tutti parevano accontentarsi delle decorazioni rosso fuoco e dei drappi lividi d'oro dove si lasciavano tormentare consapevolmente dalla molestia dei guardiani e degli altri conviviali.
Agli occhi del Re, quello era proprio un inferno.

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Sospirò, spostandosi in direzione del proprio trono con malcelata supponenza. Il chiocciare dei complimenti che gli venivano rivolti dai ruffiani si spense lungo le pieghe delle sue lunghe vesti nere, restandone soffocato come lo sono i passeri alla vista di un grosso merlo pronto a sottrarre loro il verme che avevano catturato tanto faticosamente.
Si fece strada con grazia fra le genti che si scontravano tra di loro, perdendo le piume, sollevando voluttuosi drappi delle proprie vesti perché non venissero catturati dagli artigli dei più pretenziosi, e scivolò via a due dita dal pavimento, come sospeso nell'aria con la leggiadria di un airone.
Ben presto riuscì a raggiungere il suo seggio, congelato fino alla vita nella pietra, immobile e terribile nella sua maestosità.
Vi si sedette con regalità, e nessuno parve più essere così desideroso di avvicinarglisi per ragione alcuna.
Nel gioco dell'attore che interpreta la Commedia bisogna poter mascherarsi da Dante e da Virgilio, ma, spesso, anche da Lucifero.
Un gesto così semplicemente autoritario bastò a ricordare a tutti gli ospiti quanto fosse temibile e temuto, tanto che per un breve istante calò il silenzio nei pressi del trono, come se un'ondata di marea avesse infradiciato e appesantito le ali dei più vicini alla spiaggia.
Da quella posizione poteva scorgere i danzatori, in lontananza, che vorticavano e fluttuavano spinti dalle violente sferzate degli orchestranti che, a suon di ottoni e violoncelli, guidavano il tifone in modo che si scontrassero più persone possibili, inopportunamente gioiose di quel contatto tiepido e dolce che tanto andavano cercando.
Nulla che potesse soddisfare il suo sguardo. Goffi fagiani impomatati che si sentivano tanto importanti da soffocare le poche, piccole pavoncelle che li attorniavano, artigliandone i fianchi e facendo di loro la propria preda, ingabbiandole in una danza lenta e impacciata.
Stava per allontanarsi, quando cambiò la musica.
Il suono si fece più caldo e avvolgente, più lussurioso e piacevole, sinuoso e speziato. Vi trovò una saturazione tale da poter essere considerata pari a quella che si vede nel silenzio; tanto esteta da richiamare la sua attenzione, costringendolo ad alzare nuovamente lo sguardo affilato sulla pista da ballo.
Una donna attirò la sua attenzione. Era certo che fosse salita sulla pista solo in quell'istante.
La danzatrice dondolava i fianchi con aggraziata maestria, incantando gli sguardi dei suoi spettatori. Le sue forme parevano delinearsi fra le vesti con subdola circospezione, lasciando soltanto immaginare ai più desiderosi le meraviglie che potessero offrire. Con seduzione la ragazza mostrava solo piccole parti della propria pelle nuda, incatenando lo sguardo famelico degli uomini. Un erotismo che andava ben oltre quello comunemente riconosciuto del nudo.
Come se non bastasse, la donna pareva un tutt'uno con la sua danza: Come fosse nata unicamente per quello.
Muoveva sinuosamente il proprio corpo lasciando roteare i polsi e altalenando le braccia in mosse che parevano sospinte dalla stessa melodia che accarezzava il suo corpo con ricamata attenzione, sollevandone prima un fianco e poi allontanandone una caviglia, abbracciandola e facendole da sapiente guida.
Il viso di lei era poi degno di una Venere. Pallido come la luna e coronato da due gote rosse risplendeva della passione e della concentrazione che metteva nella danza, liberandosi solo di tanto in tanto in qualche lieve sospiro in grado di rapire il cuore anche al più prode dei guerrieri.
Era meravigliosa. E come tale, doveva averla.
Non gli ci volle molto per capire che quella ragazza doveva essersi intrufolata alla festa priva di invito, oppure avendolo sottratto a qualcuno. Lui di certo non l'aveva chiamata a se; altrimenti l'avrebbe notata di gran lunga prima.
Si avvicinò con regalità alla pista da ballo, lasciando che i suoi ospiti di disponessero in due lunghe file per aprirgli la strada, intimoriti dalla sua espressione innaturalmente festosa. Quando la raggiunse, la musica era terminata e la danzatrice stava inchinata innanzi a lui, come se volesse chiedere perdono per la propria scortesia.
Da vicino era ancora più bella. Il Re si leccò le labbra rapito, famelico, assaporando il momento in cui le sue dita ne avrebbero accarezzato la pelle, scendendo lungo le curve di lei e sfiorandone solamente la schiena. Desiderava porre le proprie labbra sul collo di lei, e scavarvi un segno con i propri denti, stringendola a se con più forza e ossessività di quanta gli fosse permessa. L'avrebbe lasciata elegantemente sospirare, prima di conquistarla del tutto, dischiudendole le labbra in un bacio leggero come il tocco di una farfalla.

« Pare che tra i miei polli si nasconda un pavone. »

Allungò una mano verso di lei, nella gentile intenzione d'aiutarla ad alzarsi da terra, sorridendole con malizia. Nel suo sguardo si leggeva desiderio, certo, ma anche una malcelata ironia. Come se la situazione lo divertisse particolarmente.

« ...Hai intenzione di discolparti in qualche modo, o credi che rapire lo sguardo di tutti i miei ospiti sia una motivazione sufficiente a farti guadagnare un invito? »


SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Non ho riletto, quindi chiedo scusa preventivamente per eventuali errori di grammatica.
Spero che si riescano a cogliere, inoltre, le innumerevoli citazioni all'inferno dantesco :gk?:

Abilità in uso: S i i l a m i a M a s c h e r a ~ Ray è una persona estremamente egoistica ed egocentrica. Questo suo modo di fare, a volte tipico da "sovrano del mondo", a volte scherzoso, ma sempre superiore a quello dell'avversario, la portato a rendersi ininfluenzabile sotto qualsiasi campo. Il ragazzo non sarà affetto infatti da attacchi che potrebbero influenzare ogni sua azione, sia fisica che psicologica. Ammaliamenti, timori, blocchi magici, nulla di tutto ciò funzionerà sul ragazzo che sarà talmente sicuro di se stesso da non poter essere influenzato, appunto, da niente e nessuno. Generalizzando, quest'abilità impedisce a Ray di essere influenzato da fattori esterni in ogni sua azione, sia fisica che psichica.
Ma sei il ragazzo non lascia sfuggire le proprie emozioni, non lascia sfuggire nemmeno la propria energia, per quanto strano il nesso possa sembrare. E se non crolla sotto ammaliamenti e quant'altro, non crollerà per nient'altro al mondo. [...]
S i i l a m i a F o r z a ~ Ray è in grado di incutere paura nelle persone a lui accanto. Il livello di paura sarà sempre presente, e non condizionato dalle caratteristiche psicologiche dell'altro, ma in quantità diverse, a seconda di quanto e come si entrerà in contatto con lui. Percepirne solo l'odore, infatti, provocherà semplicemente un leggero brivido lungo la schiena. Ascoltare le sue parole, o i suoi passi, accrescerà questa sensazione, alimentando i brividi e la paura. Entrare in un contatto visivo profondo e analitico, oppure troppo prolungato con Ray causerà un lieve senso di terrore. Percepirne la presenza ma non poterlo vedere aggiungerà a questo anche un lieve senso di ansia. Un contatto prolungato con il suo corpo provocherà vero e proprio terrore, e cercare di entrare nella sua testa per utilizzare un'illusione, o qualsiasi altra tecnica che necessiti di manipolare la sua mente, è un rischio che nemmeno i più coraggiosi potrebbero arrischiarsi a compiere, uscendone sani. Quest'ultimo effetto risulta praticamente inutile in quanto Ray, possessore della abilità "Sii la mia Astuzia", resterebbe immune alle illusioni in ogni caso. Questi effetti sono comunque attuabili solo su utenti di energia pari o inferiore. La paura, in sostanza, equivale a quella di ritrovarsi da soli in una stanza completamente buia, senza sapere da cosa si è circondati.
La paura non è né magica, né illusoria. E' semplicemente una sensazione emanata dal personaggio più assimilabile al concetto che "Ray fa paura" per i suoi comportamenti e il mistero che aleggia intorno alla sua figura. Un'abilità quindi più utile a scopo narrativo che all'interno di un duello.
 
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È stato detto che la bellezza è una promessa di felicità. Inversamente, la possibilità del piacere può essere un principio di bellezza.
[Proust - La prigioniera]



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Capì subito di chi si trattasse prima ancora di vederlo. Lo capì da come risuonavano i suoi passi, da come frusciava il suo mantello che, avrebbe potuto giurarci, doveva essere nero come le ali del falco sotto la luna. E un ovattato suono lo seguiva in distanza, l'eco della sua forza, il clangore delle armi della battaglia, il suono dei tasti di un pianoforte dimenticato chissà dove, in una delle sale silenziose.
Si era chiesta molte volte che tipo di uomo potesse essere il Re, lo aveva immaginato in mille modi, ma mentre sollevava gli occhi, risalendo dalle caviglie fino al viso, qualcosa le disse che quello non assomigliava affatto a ciò che lei aveva sempre creduto. Era giovane, forse della sua stessa età, e nulla nel suo aspetto avrebbe fatto presagire la sua reale posizione. Aveva un viso dolce, forse un po' malinconico, provocatorio, con due occhi brillanti e luminosi. Il loro colore grigio azzurro pareva inghiottire chi li fissava.
Un brivido iniziò a correrle per la schiena. Aveva già provato qualcosa di simile. Capitava la notte, da bambina, quando sua madre spegneva l'ultima candela. Allora se ne stava nel letto, gli occhi spalancati per fendere quella nuova coltre di buio, cercando di intuire i contorni della propria camera, così vicini eppure separati da una forza invisibile. Ogni volta che un rumore risuonava la faceva sobbalzare lievemente, come un animale in trappola. Proprio come in quell'istante, mentre sentiva un qualche pericolo avvicinarsi eppure non avrebbe saputo dove localizzarlo.
Doveva essere lui, per forza lui, a darle quella strana sensazione. Lui era il cacciatore, glielo si leggeva sulle labbra sottili e ancora umide. Lei doveva essere la preda. Non le sarebbe affatto dispiaciuto. Sorrise, rispondendo alla sua ironia con un vibrare lieve delle lunghe ciglia. Non voleva essere troppo avventata, ma non era nemmeno la fanciulla sottomessa che, anni prima, era stata condotta al palazzo del re d'Oriente. E non era nemmeno una delle innocenti dame che la guardavano piene di riprovazione. Poteva quasi sentirle mormorare, piccole oche ai margini della pozza dove solo il cigno può immergere le candide penne.
Nel modo in cui si atteggiava, nell'interesse velato delle sue parole, poteva intuire quanto fino a quel momento dovesse essersi annoiato. Si chiese se un re come quello avesse molte donne a propria disposizione. Poi si corresse, domandandosi quante donne alla sua altezza avesse mai incontrato. Una, forse due, molto probabilmente.
Guardò in quegli occhi, vide che non era rimasto ingannato dall'incanto che la circondava. Se era lì non era per la sua magia, ma perché lo aveva voluto, perché aveva coscientemente attraversato la grande sala. Le parve subito molto interessante la sua totale resistenza all'ammaliamento, quanto la difficoltà a leggere attraverso la sua anima. Riuscì solo a passare veloce sulla superficie, come se avesse infilato le dita in un condotto troppo stretto e non riuscisse che a sfiorarne il fondo.
Lesse desiderio, ironia, disincanto, interesse. Le parve di vedere qualche cosa di simile all'amore. Ma doveva essere più in profondità, il riflesso di una perla nascosta nel fondale del grande mare blu di quello sguardo. Doveva essere infelice a causa dell'amore, tutti lo sono prima o poi.
Chissà se tutti quei cortigiani, se tutti gli uomini del suo seguito si fossero mai accorti di ciò che provava? Forse avrebbe avuto bisogno anche di qualcosa in più che di guardie del corpo e vassalli armati. Forse avrebbe potuto desiderare altro genere di compagnia.
Gli doveva essere piaciuta la sua musica, altrimenti perché sarebbe venuto a controllare? E doveva essersi accorto che lei non era come gli altri, altrimenti non avrebbe compreso che si era infiltrata con un altro invito. Si passò la lingua sulla labbra, lenta, in un gesto studiato, senza smettere di guardarlo, come se fosse un pericoloso serpente.
Infine decise che fingersi una brava ragazza sarebbe stato completamente inutile. Lei tendeva a chiamare le cose con il proprio nome. Chiamava lui Re, preferiva non pensare a come avrebbe dovuto chiamare se stessa.
Quindi, mettendo da parte ogni vergogna, appoggiò la sua mano tiepida in quella di lui. Avrebbero gridato allo scandalo, ora, pensò con un sorriso divertito che le affiorava illuminandole gli occhi. Si sollevò in piedi aggraziata, senza fare forza e senza stringere quella mano fredda che le era stata porta. Al solo contatto con lui provava un lieve terrore. Altri sarebbero fuggiti, ma sentirsi viva era un privilegio che non le era concesso tutti i giorni. Alcuni combattevano per poter provare qualche emozione. Forse non sapevano che sarebbe bastato sfiorare la mano del Re per tornare indietro di anni, per tornare all'innocenza dell'infanzia.
Lui voleva divertirsi, voleva giocare. Lei non era una fanciulla in età da marito, non aveva alcuna remora nel lasciarlo fare, non aveva padri che avrebbero lamentato di avere una figlia compromessa. Non ne aveva più. Una ruga appena accennata si dipinse tra le sopracciglia, subito rimpiazzata da un altro sorriso e dalle parole che sorgevano spontanee.

Non credevo che in una tana di gatti abitasse un leone, altrimenti non sarei mai venuta a destarli.



Rise piano, di gola, facendo ancora un passo e giocando con la trasparenza delle vesti leggere. Aveva sempre più paura, il fiato le si mozzava in gola, quasi stesse affrontando veramente un leone. Ma non si sarebbe più tirata indietro, lo aveva promesso.

Temo proprio che dovrò farmi perdonare in qualche modo. Qualcuno ha un'idea?



Guardò in quegli occhi, diretta, provocatoria. Sentì il brivido che percorse tutti coloro che facevano ala al sovrano, come se un vento spirato direttamente dagli inferi avesse scompigliato le tristi chiome della selva. Seppe che tutti avevano un'idea, probabilmente la stessa, e che non avrebbero mai osato parlare.
Ma era la risposta di lui quella che le interessava. Aveva sempre pensato che un re con dei desideri dovesse essere un re fortunato. Perché il regno si regge sui desideri del proprio re, e decade nella sua noia. Il re che governa senza mai perdere è il re che ha un sogno irrealizzabile e lotta in eterno per esaudirlo. Lo stato che muore ha un sovrano che ha ottenuto l'ultima delle sue voglie.
Lei amava esaudire i desideri. Lei poteva leggerli dentro le persone e si era convinta che la mente umana non si presenta in molte varianti. Ma ora aveva trovato una mente diversa, sarebbe stato interessante sapere cosa lui desiderasse, in quell'istante. Sarebbe stato divertente poter comprendere ed esaudire i suoi desideri minori, circuendo quello principale, coccolandolo come un prezioso infante da non lasciar crescere.
Di solito sapeva sempre quello che l'altro avrebbe risposto, lo leggeva nella sua mente prima che parlasse. E di solito il suo fascino aveva effetto. Ed ecco che davanti a lei c'era il buio, la notte nera, e i muri della stanza parevano lontani mille miglia, come le certezze. Le pareva di essere improvvisamente diventata cieca. Quando la risposta fosse arrivata, lo avrebbe fatto senza preavviso, l'avrebbe stupita. Strinse più forte la mano di quello strano uomo.
I suoi occhi brillavano di aspettativa. Era una preda strana, una preda che vuole sentire gli artigli del cacciatore e inspirare il suo stesso fiato.
Stupiscimi, dicevano i suoi occhi. So che ci riuscirai, diceva il suo sorriso. Ma potrebbe non bastare diceva tutto il resto del suo corpo, tiepido e immobile a pochi centimetri dal mantello nero del grande re. Quando si viaggia attraverso l'inferno si può essere Dante o Virgilio, ma si può anche stare dall'altra parte, tra quelli che non potranno mai risalire. E allora non resta che scendere, fino in fondo, dove Lucifero aspetta, silenzioso, il nostro arrivo.
 
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« Dal momento che l'amore e la paura possono difficilmente coesistere, se dobbiamo scegliere fra uno dei due, è molto più sicuro essere temuti che amati. »

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Bastò poco perché tutta la passione nell'aria scemasse. Poche, semplici, sincere parole.
Sentì la mano della danzatrice poggiarsi sulla sua e stringerla con dolcezza, in una presa che avrebbe lasciato sussultare anche il cuore dei più impavidi. Le loro dita scivolarono incontrandosi e incatenandosi le une alle altre, con salda fermezza, e lei si alzò con la stessa grazia che aveva contraddistinto la sua danza.
La mano di lei era calda, di un calore che solo le madri sapevano trasmettere.
Tuttavia, appena la sentì parlare, la magia sembrò dissolversi come la nebbia alle prime luci dell'alba, e intorno a lui tornò a formarsi l'inferno dei golosi e dei lussuriosi, che sussurravano sibilanti ingiurie nei suoi confronti e in quelli della danzatrice.
Nelle parole di lei lesse la supponenza di un genitore che capisce il figlio. L'arroganza di chi sa di rivolgersi ad un proprio pari e ad un proprio destinato, circondata da una marea di galline incapaci di spiccare il volo. Nessun sogno, nessuna speranza: Solo la mondanità di un incontro che, dipanandosi col dilungarsi delle righe, sembrava non avere nulla di speciale.
La sua fronte si corrugò in un'espressione repentinamente ostile mentre cercava di sondare la mente di lei; espressione non nuova a chiunque fosse abituato alla pericolosa lunaticità del monarca.
Voleva salvarla, per non credersi tanto stupido da essere stato preso in trappola da un'illusione che si era creato da solo, per non doversi convincere di aver fatto un errore tanto idiota, allontanandosi dal suo trono. Ben presto, tuttavia, il suo sguardo si perse nel vuoto, deluso e infastidito.
...O lei non era che priva di interesse... O si aspettava che fosse lui a sorprenderla.
Non gli restava, quindi, che plasmarla al suo volere. Sorprenderla e stupirla come solo il Re che non perde mai avrebbe saputo fare.

« Noioso, noioso, noioso! »

Spezzò il silenzio durato pochi secondi quasi con un grido, liberando ciò che, fino a quel momento, pareva essere stato ampiamente raccontato solo dai suoi sguardi.

« Prenderti ora sarebbe così triviale... Nessuna speranza da alimentare! Nessun sogno da infrangere! Solo la mondanità di un incontro galante e raffinato... Nessuna passione, né interesse. »

Parlava come un direttore d'orchestra. Come se potesse effettivamente plagiare la realtà e gli avvenimenti al suo volere, e cambiare le sorti della loro sfortunata diatriba.
Ciò che più lo infastidiva della danzatrice, in realtà, non era affatto la sua mondanità o il suo impeto, bensì l'incredibile maturità che pareva dimostrare in ogni gesto e in ogni mossa. Una maturità che solo lui, in quella sala, doveva e poteva superficialmente lasciar apparire.
Inoltre, in un rapporto adulto, nulla è interessante ed emozionante come lo è quando uno dei due si dimostra particolarmente immaturo.
Sospirò, stanco.

« Vorrai perdonarmi, ma desidero che il mio pubblico non si annoi. »

Fu un sussurro.
Il viso del Re cambiò, divenendo scheletrico e ghignante; vi si disegnò sopra la figura di una maschera di porcellana che i più, all'interno di quella corte, temevano come l'arrivo della morte stessa.
Sorrise sardonico alla danzatrice per un solo attimo, e una scossa parve partire dalla mano del sovrano, stretta ancora in quella che gli aveva gentilmente porto poco prima, impercettibile per chiunque se non per la ragazza stessa. Quando quella scossa ne avesse raggiunto la mente, tutto sarebbe cambiato.
Ray non sarebbe più stato il Re incontrato ad una serata di gala, bensì l'uomo del quale la danzatrice è sempre stata perdutamente innamorata dal suo arrivo al bianco maniero e che ha abusato di lei senza ritegno ogni giorno ed ogni notte, costringendola a perdere ogni orgoglio per soddisfarlo. L'uomo che tanto l'aveva fatta soffrire e tanto l'aveva imprigionata fra le mura di una prigione, impedendogli di sbattere le ali. L'uomo che aveva iniziato ad odiare, benché amasse con tutta se stessa la sua forza e il suo potere. L'uomo che lei stessa aveva cercato di assassinare più di una volta, inutilmente, finendo solo col subire orrori sempre più grandi. L'uomo che l'aveva trattata come un proprio possedimento per anni, fino a quel momento, quando aveva abusato di lei innanzi a tutta la corte, sulla pista da ballo, e l'aveva costretta a ringraziarlo. L'uomo che più di ogni altro avrebbe voluto vedere morto e al tempo stesso perdutamente innamorato di lei.
Si levò la maschera con metodica flemmaticità e le sorrise dolce, ipocrita.

« E' stato bello, Dalys. »


SPOILER (click to view)
Energia: 64%
I n g a n n a r e l' E s i s t e n z a ~ Persona contiene un grammo dell'essenza divina di Loec, e pertanto è dispensatrice della sua volontà, non può essere veramente distrutta. Può essere spezzata, data alle fiamme, carbonizzata e poi seppellita nelle profondità di un baule incatenato e magicamente chiuso, ma finché colui a cui appartiene è in vita, ricomparirà puntualmente nelle profondità delle tasche di una sacca, fra le falde di un abito, negli abissi di un cassetto o più semplicemente nel letto di chi la possiede, nel momento in cui egli si sveglia. Disfarsi o perdere Persona è ugualmente impossibile, essa farà sempre ritorno alla dimora del suo proprietario nel giro di poche ore, ovunque egli sia. Al costo di un consumo Basso di energia, se richiamata, può materializzarsi istantaneamente sul viso del possessore, ovunque essa si trovi ed anche se è stata precedentemente distrutta. Una volta indossata, Persona può anche rendersi automaticamente invisibile, mimando il viso originale di chi la porta.
I n g a n n a r e g l i I n g a n n a t o r i ~ La maschera permette al possessore di riconoscere immediatamente quando qualcuno mente (Udirà una risata sgangherata nella propria testa, che spesso si confonde con la risata altrettanto diabolica del portatore che si avvicina e si confonde con la personalità della maschera. Non necessita di indossarla per usufruire di quest'effetto). Inoltre, Loec era famoso per la sua pratica di ingannare i propri amici ed alleati e perfino se stesso per rendere i propri machiavellici piani assolutamente realistici ed impossibili da scoprire. La maschera può quindi convincere di qualsiasi cosa un amico, un alleato o perfino chi la porta, sostituendone ricordi con altri fittizi oppure fuorviandone il significato. Questo richiede contatto fisico ed un consumo energetico Variabile in base alla quantità della manipolazione stessa. Indipendentemente dall'entità della manipolazione, l'influenza della maschera sugli altri svanisce all'avvento della luna nuova (Novilunio) che corrisponde al momento di massima debolezza della magia ingannatrice di Loec (Da sempre legata all'influsso mistico lunare).
La sola eccezione a ciò riguarda il possessore. Si dice che in passato un grande principe possedesse una persona di Loec. Avendo dovuto giustiziare la propria amata perché eretica, ne fece uso modificando i propri ricordi ed autoconvincendosi che furono gli eretici ad ucciderla. Questo tipo di influenza dura per tutta la vita, a meno che non sia lo stesso possessore a voler spezzare l'incanto di Persona. Si dice però, che un istante prima di morire, se quei ricordi furono cancellati per sopprimere il dolore, Persona mostri al suo possessore quegli stessi ricordi che ha voluto cancellare sghignazzando e deridendolo per la sua sciocca scelta. Questo perché la maschera apprezza veramente che questa pratica sia fatta per l'uso originario del Dio degli inganni, e non per queste sciocche azioni dettate dai sentimenti che sono proprie degli uomini.
Per manipolare la mente dell'avversario è necessario avere la maschera indosso. [Usato un consumo pari a Critico]
 
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view post Posted on 10/2/2009, 17:09
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Torrei donne giovani e leggiadre, vecchie e laide lasserei altrui



Accadde tutto troppo, troppo velocemente. Un attimo prima cercava di capire cosa lo avesse infastidito in lei, cosa potesse trovare di inadatto nella sua persona, e un attimo dopo lo sentiva dichiarare di essersi annoiato. Decisamente non era solo una sorpresa, era quasi un insulto. Se non fosse stato lui a dirlo, avrebbe pensato cercasse di mascherare la propria ipocrisia. Invece quello era il re, l'uomo dalla mente insondabile, e chissà cosa altro si nascondeva oltre i suoi pensieri, chissà cosa altro tramava.
CITAZIONE

« Vorrai perdonarmi, ma desidero che il mio pubblico non si annoi. »


Abbozzò un sorriso, mentre attorno a lei si propagavano risate di scherno. Voleva imbastire un qualche spettacolo, una qualche scena per loro? Sarebbe stata pronta ad accontentarli: nulla le era mai parso tanto pericoloso come quegli istanti.
Sentì una strana scossa risalire dalla mano che ancora stringeva, proprio mentre il volto del sovrano cambiava aspetto. Non aveva mai visto nulla di così inumano, di così malvagio come l'oggetto che si sostituì ai tratti del giovane. Pur da quella distanza riuscì a percepirne la magia. La scossa risaliva lungo il braccio e lei non si sentiva più troppo sicura di sé. Le gambe iniziavano a tremarle, sentiva un vago sapore sanguigno in bocca. Scosse il capo, per scacciare quella sensazione che deformava gli angoli delle sue labbra in una smorfia di malessere.
Ma nella sua mente, nell'arco di quel breve gesto, cambiò qualcosa. Quando aprì gli occhi, quando lo vide, le parve di ricordare. Immediatamente tutto fu chiaro ai suoi occhi che parevano pietrificati a quella vista.
Era Lui. Nella sua mente pareva esistere solo quella parola, la parola che si era ripetuta per infinite notti fino all'alba, mordendo il cuscino di rabbia e di amarezza. Il suono che si era sentita sussurrare dai servi con la lingua piena di veleno e che aveva gridato mentre cercava di forzare la porta, insanguinandosi le mani nel tentativo. Quel sibilo acuto, lontano, che annunciava il suo arrivo, e che offuscava il sole chiaro, appena visibile dall'alto finestrino della stanza in cui era rinchiusa. Interi giorni potendo bagnarsi solo di una lama di luce, intere notti in cui l'unico calore che poteva sentire era Lui.
E allo stesso tempo l'unica figura umana che le fosse veramente cara sin dal suo arrivo. Restava ore, davanti allo specchio, a pettinarsi i lunghi capelli pensando al suo arrivo. Un misto di orrore e amore si mescolava nel suo cuore confuso. Un misto di vergogna e passione, di odio e gelosia. Se lo sapeva lontano stringeva i pugni fino a far sanguinare i palmi. Se sentiva le sue risa nei corridoi resisteva a stento dall'invocarlo a venire, a non lasciarla sola.
Eppure quando era davanti a lei, quando le sue mani la avvolgevano, l'unica cosa che era in grado di fare era implorare pietà, perdono, per qualsiasi cosa gli avesse mai fatto. Non riusciva a dirgli ti amo, non sarebbe servito. Non riusciva ad essere quella che lui avrebbe voluto. Piangeva, la testa girata di lato, tentando di addormentarsi pur senza alcuna speranza di riuscirvi.
Più e più volte aveva tentato di ucciderlo, aveva meditato mille inganni. Tra il palato e la lingua rigirava sempre quella parola: Lui. Aveva affilato armi rudimentali, aveva provato a soffocarlo nel sonno. Conosceva ogni cosa di lui, ogni centimetro della sua pelle. Curioso come si fossero conosciuti. Lui aveva bisogno di una danzatrice per bene, questo lei aveva pensato. Da dove veniva, dove era diretta allora? Non se ne ricordava, non era importante. Si era lasciata guidare, rinchiudere, imprigionare da quell'uomo. E sapeva tutto dei suoi segreti, che le confidava a mezza voce in quelle notti infinite, alla luce fioca delle candele. Sapeva tutto sui suoi cortigiani, sulle stanza che lui era solito frequentare e sui suoi incontri. Riusciva ad immaginarseli vividamente, riusciva a ricostruire i suoi movimenti solo sentendo frusciare il suo manto.
Sapeva anche di Lei, naturalmente, e non era stata l'ultima goccia. Ma da allora aveva rinunciato a troncare la sua vita. Aveva provato ad assomigliarle, ad essere quello che lui sognava nell'altra. Lui aveva capito, e l'aveva schernita di nuovo, l'aveva insultata, le aveva promesso che le avrebbe spiegato ciò che si sarebbe dovuto fare. E lei era rimasta silenziosa, come sempre, a rivoltarsi tra le candide coperte sognando di volare via, con le ali di un angelo, eppure di rimanere incatenata a lui, come nel profondo dell'inferno.
E poi era giunta quella sera, la sera della grande festa, quando lui era arrivato prima, cogliendola impreparata. L'aveva afferrata e trascinata fuori, dove l'aria non era stantia e i lampadari illuminavano a giorno il mondo. Lei non osava guardarsi intorno, non voleva leggessero la verità nei suoi occhi. Non voleva leggessero l'odio e l'amore, il desiderio e il pudore che aveva perduto. Sperava l'avrebbe lasciata andare, temeva l'avrebbe venduta a uno dei suoi, per liberarsene definitivamente. E così si era stretta a lui, al suo nero mantello, in un patetico tentativo di proteggersi ed essere protetta, in un patetico abbandono tra le braccia dell'unico vero nemico che avesse mai avuto fino a quel momento.
Non ricordava molto di quella sala. Solo una vista del pavimento lucido, poi qualcosa l'aveva scaraventata a terra e aveva avuto il tempo di vedere ghirlande piene di fiori tese tra le colonne. Proprio come l'aveva immaginata, l'unico modo in cui avrebbe potuto vederla senza possedere un invito. Ma era stato veloce, come sguardo, troppo per poter rammentare chiaramente. A tutto si era sovrapposto il suo viso, il suo sorriso, quell'espressione che ben ricordava di aver intravisto notte dopo notte, ora dopo ora. Aveva spalancato gli occhi terrorizzata, ma non lo aveva respinto. A che sarebbe giovato farlo?
E le sue orecchie si erano riempite di risa, risa malvagie e occhiate languide. Un pubblico che si divertiva, un re che dava spettacolo, e lei che ancora una volta non faceva assolutamente nulla. C'era una musica in sottofondo, dolce, e qualcuno danzava. Doveva essere una brava ballerina, perché i suoi passi si udivano appena. Le sarebbe piaciuto conoscerla, poterle parlare, poter sentire una volta tanto la voce di una donna e non la bassa risata di quegli uomini.
La vista le si era annebbiata: troppo imbarazzo, forse, forse semplicemente il desiderio di nascondersi per sempre. Ma lui l'aveva risvegliata, lo faceva sempre, sapeva come fare. Le aveva sollevato il mento tra le dita fredde e le aveva ordinato, lentamente, di ringraziarlo. Avrebbe potuto rifiutarsi e andare incontro al proprio destino. Ci aveva pensato. Aveva calcolato il macigno di umiliazione che avrebbe dovuto sopportare se avesse parlato. Sarebbe bastato rimanere in silenzio, come aveva sempre fatto. Ma morire avrebbe voluto dire perdere Lui, sempre quella parola. E così, con estrema dolcezza, con un soffio di voce soltanto, aveva ringraziato, forbita, con la sua cadenza nobile e addestrata.
Ed ecco che lui, invece di lasciarla stare, di scomparire, l'aveva aiutata ad alzarsi. Era a due passi da lei, più vicino di quanto non fosse mai stato nelle poche occasioni in cui avevano solamente parlato. Le stringeva una mano, con forza, come se non volesse lasciarla scappare, come se in essa fossero nascoste le enormi ali con le quali avrebbe potuto fuggire.
E la canzonava di nuovo, con gli occhi brillanti per il divertimento, mentre tutti gli altri erano muti e trattenevano il fiato.
CITAZIONE

« E' stato bello, Dalys. »



Lo odiò, con tutta se stessa, con tutto quello che le era rimasto del suo piccolo mondo infranto. Lo odiò e desidero che lui, quella sala, tutto, sparissero in un istante. Sentì la voce, un suono familiare eppure che pareva provenire da un'altra vita, e la voce le consigliava di ucciderlo lì, in quel momento, sotto gli occhi dei suoi cortigiani, di umiliarlo fino all'ultimo. Le diceva che già una volta l'aveva fatto, che ora nulla sarebbe cambiato. Ma lei non riusciva a ricordare, non sapeva a che evento la voce misteriosa si riferisse. Sentiva solo caldo, molto caldo, quanto non ne aveva mai provato prima.
E sentiva di amarlo, di volerlo per sé, quanto mai non lo aveva voluto prima. Sentiva di voler esaudire i suoi desideri di nuovo, ricominciando daccapo se fosse stato necessario, rispondendo ancora sì un milione di volte.
Il calore aumentava, tanto da soffocarla, mentre le guance le si arrossavano. Spalancò gli occhi, sorpresa, sentendo una nuova energia invadere il suo corpo. Le iridi iniziarono a brillare come braci ardenti, assumendo una vaga tinta rossastra, mentre un vento innaturale le rovesciava i capelli sul viso e tra le labbra. Si accorse che sulla sua pelle, come acqua da una sorgente nascosta, si riversavano tante piccole fiamme. Lacrime bollenti scendevano fin sul mento, fin sul collo, mentre l'entità del fuoco che la bruciava andava aumentando.
Era certamente un castigo di Dio, che la puniva per la propria colpa, per i propri desideri indecisi e impuri. Era certamente il demonio che se la veniva a prendere e l'avrebbe portata via da lui, per sempre. La voce le diceva che sarebbe bastato trattenere la sua mano nello stesso modo per scottarlo, per lasciargli un suo indelebile ricordo. Ma lei aveva troppa ammirazione per lui, troppo amore, per poterlo concedere. Lui era il Re che non perde mai, lei la ballerina che aveva giurato di essergli accanto fino alla fine, qualunque cosa avesse dovuto affrontare.
Cercò di liberare la mano dalla sua, stringendo i denti, soffrendo più per il distacco da quell'unico punto di riferimento che per le occhiate sempre più sgomente della folla.
Abbassò gli occhi, pronta a vedere il proprio corpo ridotto in cenere, arso vivo dal rogo degli inferi. E invece non succedeva nulla, pareva che fosse immune da quelle fiamme. Che fossero una specie di potere, un'altra di quelle cose che non ricordava e non sapeva spiegare? Aggrottò la fronte, richiamando tutti i propri pensieri, cercando di dominarsi.

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Con un'ultima, decisa fiammata, il fuoco si spense. E ritornarono lui e lei, uno davanti all'altra in quella notte non più così fredda. E sapeva di dover dire qualcosa, qualsiasi cosa, perché altrimenti tutto sarebbe finito. Si sentiva appesantita o confusa, ma si era liberata della paura di morire. Che la uccidesse pure, se avesse voluto. Troppe volte lo aveva aspettato, lo aveva lasciato fare, aveva concesso che fosse Lui a decidere. Troppe volte aveva voluto essere adulta, dimostrarsi forte e nascondere i propri lati più deboli. E aveva visto troppo di lui per non sapere che non era tanto malvagio quanto voleva sembrare, o almeno che non lo era per lei.
Senza lasciargli alcun preavviso, senza neppure esserne pienamente consapevole, appoggiò con la testa al suo petto, stringendosi a lui come se fosse il suo unico e ultimo appiglio. Aveva paura di tutto lì dentro: dello scherno di quella gente, del fuoco, del buio, delle mani che avrebbero potuto trascinarla lontano. Era sola, completamente, questo lo ricordava con chiarezza. Ed era inutile negare che lui fosse tutto quello che aveva.
Sollevò gli occhi, ancora umidi, verso di lui.

Uccidimi pure, se vuoi. Fallo ora.


Abbassò la testa, premendo la fronte contro il suo petto. Non voleva vedere. Sapeva che era disarmato, sapeva che non aveva bisogno di nulla per torcerle il collo e lasciarla morta a terra. Quante volte aveva potuto sentire la forza nascosta nelle sue mani affusolate e pericolose.

Perchè io non ti lascerò. Io sono cosa tua, non ti lascerò liberarti di me tanto facilmente.


Tremava, non sapeva nemmeno lei se di paura, di tensione, di sorpresa per quanto era stata in grado di dire, per quanto aveva potuto dire. Non era lei che avrebbe voluto ucciderlo se solo avesse trovato l'occasione? Eppure si riprometteva di proteggerlo fino alla morte, di usare quel fuoco che pareva essere nato dal suo corpo per interporsi tra lui e il nemico, per evitare che anche lui la abbandonasse, sola nella buia prigione da cui filtrava soltanto una scheggia di sole.
Che la portasse pure mille altre volte davanti a tutti, che la obbligasse a dire ciò che lui voleva. Ma non sarebbe rimasta mai più al buio, a mordere il cuscino invocando e maledicendo il suo nome senza sapere.
Tremava, ma si sentiva viva. Sentiva di aver toccato il fondo e di avervi trovato qualcosa di tiepido e inaspettato. Poteva sentire il cuore di lui battere sotto il suo orecchio, poteva sentire che anche il suo corpo, tutto sommato, andava protetto e rassicurato. Poteva capire qualcosa di lui che non aveva compreso mai, semplicemente rimanendo senza guardarlo, con gli occhi chiusi sulle tenebre dell'anima.
Aveva trovato Lui, la stessa cosa che aveva invocato per tanto tempo senza sapere. E ora non lo avrebbe abbandonato, a costo di morire. Mai.

SPOILER (click to view)

Passione


Si parla spesso degli effetti della passione. I poeti l'hanno paragonata a molte cose, ma una la rappresenta più di tutto: il fuoco. Ardere, bruciare di passione, lasciare che invada il corpo e l'anima come un'unica forza, un unico sentimento.
Dalys, ancella della morte e dell'amore, conosce bene di cosa si tratti. Sa quanto possa essere avvolgente, quanto possa diventare pericolosa. L'ha sentita dentro di sè danzando, nel deserto riarso, danzando negli incubi e nei miraggi, uccidendo il nemico che diceva di amarla. E' così che è nato il potere, che la donna e la maga sono diventate un'unica cosa. Sarà nella lotta, nella danza, letale gioco di sensuale battaglia, sarà sotto gli occhi del nemico che si manifesterà la sua forza. Sacerdotessa dell'eleganza e dell'inganno, evocherà la passione e diverrà fiamma, torcia ardente che saetta lucente e rapida nella notte. Un soffio non vi basterà per spegnerla, un gesto le basterà per farvi suoi.
Praticamente, con una minima concentrazione il corpo di Dalys si coprirà di fiamme che non potranno in alcun modo scottarla e i suoi capelli arderanno come il fuoco, i suoi occhi diventeranno del colore rossastro delle braci. La ragazza potrà controllare le fiamme modificando la loro estensione attorno al proprio corpo e in tal misura il loro calore, in modo da infliggere danni bassi, medi, alti o critici al contatto in base all'energia spesa per evocare le fiamme stesse (l'estensione delle fiamme varia da un livello di pochi centimetri superficiale alla pelle ad uno spessore di due metri attorno al corpo).
Questa tecnica può essere usata solo in attacco.
In conseguenza di questo potere, la temperatura corporea della giovane sarà lievemente più alta del normale. Questo non avrà alcun risvolto pratico se non il fatto che la sua pelle risulterà sempre tiepida al contatto.
[Consumo utilizzato: Basso]

Note: :wow: ero veramente indecisa su quello che avrei dovuto fare...e dunque parlò l'istinto...e dunque probabilmente ora sarà un disastro xD
 
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view post Posted on 13/2/2009, 12:18
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« Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
»

Gli sarebbe piaciuto avere con sé il suo blocco note, in quel momento.
Fra le innumerevoli reazioni umane che aveva annoverato nel corso dei suoi osservamenti, ancora non gli era capitato di incontrare qualcuno che letteralmente "Esplodesse" alle sue parole; non che non ve ne fosse motivazione.
Le fiamme divamparono improvvisamente dalla pelle della ragazza, lambendone ogni centimetro e divorandone le vesti, che si sollevarono sospinte dal calore, senza però esserne danneggiate. Gli invitati che prima osservavano incuriositi la scena si allontanarono improvvisamente, impauriti da un potere che non sarebbero mai stati in grado di fronteggiare. Alcuni gridarono, addirittura, terrorizzati da ciò che la ragazza aveva appena scatenato.
La sentì allontanarsi da lui, lasciando libera la stretta che li aveva legati sino a quell'istante, e la studiò a qualche passo di distanza.
Ora le cose andavano per il verso giusto.
Ora la passione di lei ardeva, lambita dal suo stesso compianto, illuminando la sala.
Ora le sue parole sarebbero tracimate d'emozione, come nemmeno il migliore fra gli attori sarebbe stato capace di fare.
Ora i suoi spettatori assistevano rapiti alla scena che era stata loro regalata, incapaci di distogliervi lo sguardo.
Alla vista di Dalys, così potentemente impegnata a recitare il proprio ruolo, costretta nei panni di un personaggio tanto simile e al contempo tanto dissimile da quanto fosse in realtà, non poté che lasciarsi sfuggire una sottile smorfia di compiacenza al pensiero di ciò che notoriamente era stato insegnato da Stanislavskij nell'ambito del teatro.
Quando poi lei gli si fece vicina, poggiandosi al suo petto e sussurrandogli dolcemente i propri sentimenti, non poté che sussultare al contatto così intimo col corpo caldo della ragazza, che rendeva quell'abbraccio incredibilmente piacevole. Cercò d'apparire il più gelido possibile, per non perdere il proprio ruolo nella tragedia.
Gli suggerì d'ucciderla e il suo volto si contrasse in una smorfia di delusione, mentre soppesava quell'alternativa. L'assassinio di lei avrebbe solamente concluso tragicamente quel breve atto, senza però trasmettere una contenutistica appropriata a quanto il Re si sarebbe aspettato. Un'ipotesi che assolutamente, quindi, avrebbe deciso di scartare.
Piuttosto... la sorpresa. L'impossibile. L'improbabile. Quelle erano scelte degne del calibro di un suo componimento.
Se, come Belfagor, voleva poter raccontare una favola, allora avrebbe fatto in modo che tale fiaba fosse tra le più coinvolgenti.
Purtroppo per lui, sul suo volto era ancora dipinta l'incontrollabile delusione provocata dalle affermazioni della danzatrice: Nel vederlo recitare la successiva battuta, qualsiasi critico l'avrebbe pesantemente bocciato. Se solo il suo sguardo avesse potuto essere tanto convincente quanto la sua voce...

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« Come potrei mai ucciderti, Dalys? »

Esordì caldo e avvolgente, ricambiando il suo abbraccio e stringendola al proprio petto.

« Io ti amo. »

Menzogna, menzogna, menzogna! Ma mai parole parvero più veritiere di quelle da lui appena pronunciate. Il potere autoritario del Monarca fluiva dalle sue labbra incontrollato, recitando una parte che nulla sembrava avere a che fare con quella del Re che non perde mai.
Eppure ciò che disse suonò tanto dolce, tanto esitante, tanto vero...
Decise che avrebbe aggiunto un tono Shakespeariano alla tragedia, per movimentarne la scena, e afferrò il volto della danzatrice con due dita, poco sotto il mento, sollevandolo con sorprendente delicatezza.
Se il comune accordo l'avesse voluto, le sue labbra di sarebbero posate su quelle di lei con gentilezza, dischiudendole e assaporandone il respiro, nel tentativo di mozzarle il fiato. Le avrebbe passato una mano poco sotto la nuca e l'avrebbe avvicinata a sé ancor di più, per godere dello stretto contatto coi suoi seni e con la sua pelle calda, prima di allontanarsi velocemente, improvvisamente, come se qualcosa l'avesse folgorato.
Si allontanò dandole le spalle, rivolgendosi al pubblico in attesa del monologo che avrebbe chiarito i loro dubbi, e ancora una volta la sua voce suonò cento volte più convincente della sua espressione, che questa volta si era premunito di nascondere a Dalys.

« Ma come posso dare sfogo a questo amore? Tu ben sai quanto me che il mio cuore è spezzato in due fra l'amore per ciò che più mi è simile è ciò che più mi è distante; fra la Regina che ho conquistato e la Danzatrice mi ha fatto suo prigioniero.
La mia vita è infranta, Dalys, e i suoi frammenti giacciono in una malefica tela che potrà spezzarsi solo con la morte di uno di noi tre.
»

Si concesse qualche attimo prima di voltarsi e concederle uno sguardo pieno di risentimento, decisamente convincente.

« Eppure io non sarei in grado di eliminare nessuna di voi due... »


SPOILER (click to view)
S i i l a m i a F o r z a ~ [...]
Tuttavia, questo potere può essere canalizzato tramite la parola.
Come molti dei suoi avversari avranno potuto notare, infatti, Ray è una persona che ama molto ascoltare la sua stessa voce, nonché distruggere e infrangere l'orgoglio avversario tramite di essa, parlando e conversando all'interno del duello come se lui e l'altro fossero tranquillamente seduti a fare salotto. Tutto ciò ha conferito al ragazzo un carisma non indifferente, e un'invidiabile capacità persuasiva, impressionante a dire la verità. Impregnando le parole di terrore e paura, infatti, tutto ciò che Ray dirà alle orecchie dell'avversario passerà per vero, indipendentemente da ciò che lui dica. Le sue capacità di parlatore possono perfino convincere le menti più deboli del contrario di tutto ciò che pensano, distruggere i loro ideali, rigirarli a piacere o, addirittura, variarne i ricordi. In ogni caso, la veridicità delle parole di Ray sarà inoppugnabile in qualsiasi situazione, non importa quanto sia grande la bugia da lui architettata. Anche se questo non comporta all'avversario di comportarsi in un qualche modo. Non è infatti possibile per Ray ordinare a qualcuno di fare qualcosa tramite questo potere, e sperare che lui lo faccia, e non solo che vi creda.
 
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view post Posted on 14/2/2009, 12:32
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E quale è di pazzia segno più espresso
che, per altri voler, perder sé stesso?



Tremava appoggiata contro il suo petto, tremava eppure si rifiutava di abbandonarlo. Come ogni volta che entrava in contatto con lui provava paura, paura fredda e inveterata, eppure quella volta aveva deciso che non le importava.
Sentì le sue parole, poi il contatto delle sue braccia attorno alla schiena. Ebbe un brivido, a metà tra il disgusto e l'irosa passione. Finalmente la sfiorava, finalmente rispondeva con gentilezza a un suo gesto! Eppure a quanto aveva dovuto abbassarsi, per ottenerlo. Aveva dovuto rischiare la propria vita, sottometterla a lui perdendo ogni valore.
Udì le sue parole, ma non ebbe il coraggio di guardare i suoi occhi. Tante volte li aveva visti, nel buio, luminosi e impassibili, quasi un artista bizzarro avesse deciso di mutare espressione giunto a metà della propria opera. Non seguivano le labbra, non seguivano le parole. Erano occhi terribili e li temeva più di qualunque altra cosa. Perché avrebbe potuto leggervi il disinteresse e la condanna, mentre a lei piaceva credere, lei voleva credere ad ogni cosa lui avrebbe detto.
CITAZIONE

« Io ti amo. »


Come una coltellata, un colpo in pieno petto che le mozzò il respiro. E non solo perché era stato lui a parlare. Dai meandri della sua coscienza, dal profondo dello stomaco e dagli arti che si erano raggelati, sentiva provenire una vaga consapevolezza, poco più consistente di un sogno. Non era la prima volta che udiva parole simili, pronunciate allo stesso modo. Parevano appartenere ad un'altra vita, come il fuoco e la voce, come quei sussurri terribili che la turbavano. Forse non erano così calde, non così avvolgenti, ma ugualmente dolorose.
Dio quanto, quanto avrebbe voluto potersi affidare completamente, poter essere come Giulietta tra le braccia del suo Romeo. Le dita di lui scivolarono sul suo collo, sotto il mento. Le sollevò il viso e poggiò le labbra su quelle di lei. Di nuovo un brivido, di nuovo il ricordo. E a quel viso, a quel gesto, se ne sovrapponeva un altro. Occhi a mandorla, capelli scuri, un sorriso in grado di eguagliare la luce del sole. E lei era in un incubo e in un sogno insieme, sentiva di amare e di odiare, voleva morire e vivere quell'attimo per sempre.
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Era la preda più miserevole e più felice, come se i mille cocci del vaso dei suoi sentimenti stessero ricomponendosi per un'ultima, tragica volta. Si lasciò prendere, si lasciò sfiorare da quella delicatezza per lei inusuale. E proprio come se tutto il mondo non esistesse, le parve di congiungersi con l'infinito di cui parlano i santi e i libri delle lontane religioni. Possibile che fosse sempre stato lì, che lei non l'avesse mai notato?
Ma ecco che di nuovo la voce tornava a gridare nella sua mente. Le parlava dell'altro uomo, dell'altra immagine. E di questa, e di entrambe e di nulla. Molti ragionamenti senza senso si affollavano nei suoi pensieri, come fili di cui manchi il gomitolo e la terminazione. Tante strade senza partenza né arrivo, che galleggino molli e desolate nel vuoto del non ricordo.
Sentiva risate, sentiva grida, pianti e danze al chiaro della luna. E non sapeva più a quale dei due mondi appartenessero, se al reale, a quello che stava vivendo, al Re, o semplicemente alla triste cantilena che era iniziata al suo ingresso nella sala. E lei chi era, e cosa avrebbe dovuto fare ora?
Sentiva il suo fiato su di sé, ma il contatto era terminato. Ebbe una visione fuggevole del suo viso, dei suoi tratti freschi e perfetti, perfino della luce azzurra delle sue iridi. Ma non volle interpretare, non volle capire. Lui le voltava le spalle e chinava il capo, muovendo le braccia come solo un ottimo attore sa fare. Seguiva come ammaliata la falda del suo nero manto, afflosciandosi a terra, sulle ginocchia, le mani a contatto con le pietre gelide.
Lui l'amava, lui l'amava. Ma. C'è sempre un ma. Perché lei non aveva dimenticato la Regina, quella che lui ora nominava, sostenendo che il suo cuore era diviso tra loro. Sapeva quanto ne fosse attratto, quanto ambivalente potesse essere la sua passione. Forse lei gli assomigliava, forse era più appetibile perché più facile da ottenere. Forse già era riuscito a vincere in lei ogni resistenza. Ma non era abbastanza.
Umiliazione, dolore, amore e passione, odio e possesso non erano sufficienti. Lui voleva di più, lui voleva tutto, anche quello che lei non riusciva a comprendere.
CITAZIONE

« Eppure io non sarei in grado di eliminare nessuna di voi due... »


Iniziò con l'immaginarlo intento all'opera di ucciderla, di ucciderle, ma nella sua mente ci fu come uno scatto. I suoi occhi si velarono, mentre una nuova visione occupava il posto della precedente. Una mano, candida e infantile, tesa attraverso le tenebre. Un piccolo viso dagli occhi dilatati di paura, i capelli sparpagliati sulle guance e umidi di sangue. E una ferita, enorme, come un grosso fiore dai rossi petali grottescamente sbocciato sul petto.
Quella mano, ne era certa, la chiamava, e le porgeva un nastro rosso. E lei, che avrebbe dovuto essere al fianco di quella creatura, era distante. La sua mano si protendeva, ma non riusciva a raggiungerla. E sopra di lei una voce, seducente e piena di affetto. Una voce che diceva amore mio, che le chiedeva perché si era svegliata.
Da dove veniva tutto quell'orrore, quell'improvviso sgomento che sentiva di provare. Le tremavano le ginocchia e nuove lacrime spuntavano ai lati dei suoi occhi.
Ed ecco che di nuovo pensava a lui, alla sua vita trattenuta dalla ragnatela di cui lei e la Regina, come due contrappesi, due mosche imbrigliate, cercavano di rompere i legami. Se una ci fosse riuscita tutto sarebbe precipitato.
Nei suoi occhi si accese una luce scaltra, malvagia, mentre ascoltava la voce. Parlava di sangue e di morte, di omicidio. Avrebbe potuto fare lei il lavoro, uccidere l'altra e liberare il campo. Avrebbe immerso le mani nel suo sangue, ne avrebbe bevuto come nei sacrifici, e sarebbe finalmente stata pura. Finalmente il sacrificio si sarebbe compiuto e il suo peccato sarebbe stato per sempre cancellato. Una sorta di folle esaltazione si dipinse sul suo viso assente, una contrazione nervosa delle labbra verso l'alto, la perdita di controllo quasi completa. Voleva chiedergli di dirle dove si trovasse la nemica, voleva che le ordinasse di eseguire la condanna. Ma si fermò, giusto un aggrottar di fronte per capire che lui non l'avrebbe mai perdonata. Forse avrebbe apprezzato il gesto, ma l'avrebbe cacciata lontano, nel deserto. Dove mai aveva già sentito il deserto, il suo caldo assurdo e sfiancante, il suo bacio mortale?
E se invece fosse morto Romeo? Dopo tutto lui aveva detto uno di loro tre. Poggiò una mano a terra, facendosi forza, rimettendosi in piedi. Non se ne era neppure accorta, ma ecco che il fuoco divampava di nuovo, avvolgendola tutta, diventando ancora più intenso di prima. Anche i capelli ora parevano scarlatti come forti fiamme e quasi un metro di incandescente materia infernale la separava dal resto del mondo, dalle grida intimorite dei cortigiani che non capivano. Uccidere l'amante e poi uccidere se stessa, ritrovarlo nel girone del vento impetuoso, vagare insieme a lui, mano nella mano, per sempre.
Ma di nuovo qualcosa non quadrava. Le bastava ripensare a lui, alla sua voce suadente per quanto non sincera, ai suoi occhi, alla sua pelle, e subito sentiva che le mancava la forza. Sarebbe potuta arrivare a un passo da lui, ma poi si sarebbe fermata. Perché lei non era un'assassina, giusto? Lei non avrebbe recitato quella parte nell'orrida tragedia della vita.
E perché no, cantava la voce, ora rimbalzando in una cavità piena di echi. Ti sei forse fermata la prima volta? Eppure lei non ricordava, non provava altro che disgusto per quelle parole. Non bisognerebbe mai uccidere chi si ama, seppure l'amore in realtà non esista, anche se tutto non è che illusione. Lei come, come avrebbe potuto troncare il suo carnefice e il suo amante, colui che più le assomigliava e da cui più avrebbe voluto essere diversa?
Gettò indietro la testa, come folle, guardando quel soffitto pieno di luci attraverso lo schermo delle fiamme. Si sentiva forte, sì, ma non abbastanza. Inspirò e l'aria attorno a lei era rovente. Questa era la vera tragedia, la tragedia di tutti i personaggi pusillanimi e infelici di fronte al destino. Si passò le mani sul viso, sentì che esisteva, che non era scomparsa, i suoi tremendi pensieri ancora non l'avevano ingoiata.
Vedeva la Regina come un'ombra e lui, il re, come il suo nero mantello che sventolava al vento. Poteva quasi udire il canto, la sinfonia triste che li separava, atto dopo atto, sempre più lontani. E più si avvicinava la consapevolezza, l'ultima certezza, più il suono saliva e diventava rintocco di timpani nelle sue orecchie.
Inspirò. Espirò. Riprese fiato, tornò a ricadere a terra, mentre anche le fiamme si ritraevano lente sotto l'onda del dolore. Ogni desiderio di uccidere era scomparso. Anche la voce si era acquietata, anche gli incubi.

Cosa vuoi che faccia?


Domandò alla fine, rivolta verso di lui. O forse lo sussurrò soltanto, piano, in modo inudibile. Lei già sapeva cosa doveva fare. L'unica che lì poteva veramente morire era...doveva essere lei.
Aveva giurato notte dopo notte fedeltà a quell'uomo. Fedeltà assoluta, fedeltà senza condizioni. Aveva giurato di esaudire ogni suo desiderio, di rendere la sua vita migliore. Gli altri parlavano di fedeltà, di notti passate nella cappella prima di essere fatti cavalieri. Dicevano che al re bisogna consacrare ogni cosa. Ma, al momento della resa dei conti, tutti pensavano a se stessi.
Lei no. Per lui tutto. Il suo corpo, la sua anima, la sua vita. Doveva andarsene uno perché la tela fosse spezzata. Non sapeva a quale malvagio ragno potesse appartenere, ma avrebbe riso precipitando nel vuoto. Sarebbe stato molto tragico, molto appropriato, rifletteva una parte di lei, cinica, lontana e ormai soffocata.
Ma non voleva che tutto accadesse così, mentre lui non la guardava. Sarebbe stata l'ultima vergogna. Come si chiamava quella donna, quella che era morta mentre il suo impossibile amore non poteva vederla? Le pareva Ofelia, ma non poteva esserne certa. E quale ricompensa aveva avuto? Il suo corpo, gonfio d'acqua e di vergogna, era scomparso poco dopo sotto la terra nuda, indegna perfino di una sepoltura, accompagnata dalla sua sola passione.
Sentiva di delirare, sentiva ciò che si avvicendava nella sua mente senza logica né ordine. Guardò gli uomini attorno a lei, cercando qualcuno che possedesse un'arma. Ma parevano essere venuti tutti senza coltelli, senza spade, senza neppure una pistola. Si portò le mani agli occhi, si lasciò avvolgere dalle tenebre.
Solo quando le riabbassò, poggiandole a terra, si accorse che le mattonelle erano state spezzate, cotte dall'impeto della sua fiamma. Sorrise. Forse qualcosa di lei sarebbe rimasto, qualunque fosse stata la conclusione di quella notte. Rivedeva macchie di sangue in distanza, uomini morti in una camera con un grande letto, corpi riversi sotto i suoi occhi. E sapeva di averli uccisi, e ne aveva paura, aveva paura della parte di lei che aveva compiuto tutto ciò.
Ma aveva giurato fedeltà, fedeltà fino alla fine.
Si avvicinò, quasi strisciò, fino all'uomo dal nero mantello. Ricordò il suo sguardo pieno di risentimento, gli occhi di un uomo deluso e imprigionato. E le parve di vedere i suoi, folli, non quelli di quella sera, ma quelli di un'altra epoca, lontana.
Tese una mano tremante, chiedendosi se fosse veramente la sua o se si trattasse semplicemente di uno scherzo. Era affusolata, raffinata, bella, ma non stringeva alcun pugnale, alcuno strumento di morte. Nemmeno su se stessa poteva portare a termine quella tetra condanna.
Fallito, totalmente, su ogni fronte. E ora, che avrebbe fatto? L'avrebbe tesa, si sarebbe aggrappata a lui, richiamando misera il suo sguardo sprezzante?
No. La appoggiò su un ginocchio e si alzò in piedi, racimolando quella poca fierezza che le restava. Non di se stessa, ma dei propri propositi, dei propri desideri. Ancora nel suo sguardo brillavano confusione e follia, energie come rinate in quell'impeto divorante. Girò davanti a lui in modo da fronteggiarlo, sentì che sopra l'amore, sopra l'odio, era la passione a divampare. Avrebbe gridato, se solo non fosse stato tanto inappropriato e inelegante.
Lo fissò, fissò le sue labbra e i suoi occhi. Nella sua indecisione ardeva il suo desiderio. Il desiderio di essere sua fino all'ultimo, fino alla morte. Di non renderlo infelice, nemmeno uccidendo la propria rivale. La pretesa di poter valere per lui qualcosa in più dell'ultimo di quei servitori. Lei, sì, lei, sarebbe stata fedele fino alla morte. Glielo avrebbe dimostrato.
Se solo lui avesse avuto un'arma, un'arma soltanto. Gettò lo sguardo intorno. Vide un uomo con uno spadino da parata. Poteva bastare. In uno scatto, feroce e fulmineo, era su di lui, aveva afferrato l'oggetto per l'elsa, se lo era stretto al petto come fosse il suo bene più caro. Ed era tornata indietro.
Una tragedia, sì, ma senza lieto fine, senza deus ex machina. Non era ammesso questa volta. Era pazza? Forse, ma l'amore è pazzia in fondo. Proprio come la fedeltà. Si pose davanti a lui. Non c'era più bisogno di fiamme. Non temeva più di guardare i suoi occhi.

Forse un giorno diranno che ti sono stata più fedele di tutti gli altri, fino alla morte. Forse diranno che ti ho fatto libero, che ti amavo.


Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra che ho detto la mia.
Chissà perché quel vecchio detto stantio le ritornava alla mente, residuo delle favole che ascoltava da bambina. E si faceva strada, grottesco e bizzarro, proprio mentre gli sfiorava la guancia con un bacio per l'ultima volta. Già il suo braccio destro era sollevato. Nel momento in cui si ritrasse, fluida ed elegante come sempre, iniziò la danza. Un sollevarsi di veli, capelli che le volavano negli occhi. Anche questo le era familiare. Rosso e nero, nero e rosso. E lui, azzurro e terribile, al centro di tutto. L'avrebbe vista un'ultima volta, solo qualche secondo, solo il tempo di dire addio a tutto quanto. Poi avrebbe calato il braccio, un colpo solo, un colpo al cuore. E lo avrebbe reso libero, e sarebbe stata sua, fedele, per sempre. Nulla è più incancellabile del sangue, sussurravano le serve maldicenti dopo che il re aveva battuto la danzatrice, la ballerina di cui avrebbe avuto tanto bisogno. Nulla.

Conosco l'arti del fellone ignote,
ma ben può nulla chi morir non pote


SPOILER (click to view)

Passione



Si parla spesso degli effetti della passione. I poeti l'hanno paragonata a molte cose, ma una la rappresenta più di tutto: il fuoco. Ardere, bruciare di passione, lasciare che invada il corpo e l'anima come un'unica forza, un unico sentimento.
Dalys, ancella della morte e dell'amore, conosce bene di cosa si tratti. Sa quanto possa essere avvolgente, quanto possa diventare pericolosa. L'ha sentita dentro di sè danzando, nel deserto riarso, danzando negli incubi e nei miraggi, uccidendo il nemico che diceva di amarla. E' così che è nato il potere, che la donna e la maga sono diventate un'unica cosa. Sarà nella lotta, nella danza, letale gioco di sensuale battaglia, sarà sotto gli occhi del nemico che si manifesterà la sua forza. Sacerdotessa dell'eleganza e dell'inganno, evocherà la passione e diverrà fiamma, torcia ardente che saetta lucente e rapida nella notte. Un soffio non vi basterà per spegnerla, un gesto le basterà per farvi suoi.
Praticamente, con una minima concentrazione il corpo di Dalys si coprirà di fiamme che non potranno in alcun modo scottarla e i suoi capelli arderanno come il fuoco, i suoi occhi diventeranno del colore rossastro delle braci. La ragazza potrà controllare le fiamme modificando la loro estensione attorno al proprio corpo e in tal misura il loro calore, in modo da infliggere danni bassi, medi, alti o critici al contatto in base all'energia spesa per evocare le fiamme stesse (l'estensione delle fiamme varia da un livello di pochi centimetri superficiale alla pelle ad uno spessore di due metri attorno al corpo).
Questa tecnica può essere usata solo in attacco.
In conseguenza di questo potere, la temperatura corporea della giovane sarà lievemente più alta del normale. Questo non avrà alcun risvolto pratico se non il fatto che la sua pelle risulterà sempre tiepida al contatto.
[Consumo utilizzato: Alto]
 
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view post Posted on 17/2/2009, 20:27
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« E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante".
»

Quel giorno più non vi leggemmo avante ««

Voltare pagina e vedere la propria opera dilaniata dall'impulsività dell'improvvisazione degli scadenti attori è senza dubbio ciò che più scatenerebbe le ire di uno sceneggiatore. Sentirli implorare per una conclusione, poi, è certamente cento volte più denigrante. Pochi sanno apprezzare lo studio curato del svilupparsi delle battute di un interloquio, e ancora meno riescono a scorgere fin dall'inizio i fili invisibili che si dilungano resistenti come quelli d'un fuso dalle punte delle dita del regista, fin dalle prime righe del copione.
Fortunatamente, Ray era un Re, e non un'artista: il livello dei suoi sceneggiati ne era la prova. Un Sovrano incredibilmente lontano dall'immagine che questo appellativo richiama nella mente dei meno Machiavellici, certo, ma in quanto tale sempre capace di non lasciarsi mai sfuggire nulla dalle dita.
"La ballerina danzava sul palmo della mano del Monarca", avrebbero detto alcuni.
Eppure, eppure... Non si aspettava certo che la pantomima imbastita fosse così di cattivo gusto.
Quando Dalys sollevò la mattonella scheggiata, poco dopo essersi nuovamente abbandonata ai bollenti spiriti, gran parte del loro pubblico intuì con immediatezza cosa stava per succedere, e si lasciò sfuggire un clamore spaventato, allontanandosi più del dovuto. Alcuni alzarono le mani al viso, incapaci di continuare a guardare una scena che, fino a quando lui sarebbe stato lì, non sarebbe stata rappresentata.
E lei lo sapeva.
Immolarsi...? Quella era solo la rappresentazione di una comprensione che andava al di là di quella fornita dalle esperienze e dai ricordi. Una maturità che l'aveva spinta a compiere una sconsideratezza tale senza realmente preoccuparsi di cosa potesse significare perdere la propria vita.
Una coscienza di sé tanto arrogante da averla indotta a testare il Sovrano. Così prepotente da non riuscire ad essere cancellata nemmeno dai suoi poteri, e talmente radicata che parlarne non avrebbe avuto alcun senso.
Una persona che non poteva sconfiggere, tirante i fili.
Una cosa era certa: Non le avrebbe certamente lasciato infangare la sua immagine, ancora intonsa.

Quando partì lo sparo, dagli spettatori si levarono alcune sporadiche grida di terrore. Lo sguardo tagliente del Sovrano era un messaggio chiaro a chiunque possedesse un minimo di capacità di contestualizzazione: Più gelido dell'inverno, decretava una sentenza di morte.
Si levò un filo di fumo dalla canna dell'arma, che si dissolse timido nell'aria circostante.
Lo sparo aveva letteralmente frantumato la mattonella impugnata dalla ragazza, prima che riuscisse a ferirsi.
Con fredda metodicità, il Regnante risistemò l'arma lungo la vita, nascondendola ancora una volta con le vesti nere e voltandosi lentamente, dando le spalle alla donna dietro di lui. Mosse qualche passo in direzione dell'uscita, certo che gli invitati si sarebbero scostati per lasciarlo passare e che le guardie avrebbero spalancato i portoni della sala, verso l'esterno.
Le sue labbra si contrassero in un'evidente smorfia di disappunto, mentre si sistemava per affrontare il gelo della notte che lo aspettava al di là delle porte.

« ...Donne. »

Fu un sussurro incredibilmente udibile, da chiunque.
Si sentiva incredibilmente misogeno.
Oltrepassò le porte e l'oscurità inghiottì l'entrata, lambendone i più vicini. Non c'era nessuna luce ad illuminarla, quella notte. Né le stelle, né la luna.

SPOILER (click to view)
L'incanto che modifica i ricordi termina nelle notti di Luna Nuova. Ovviamente ciò non significa che tu ti dimenticherai di ciò che è successo in questi ultimi post: Semplicemente, con lo spezzarsi della tecnica, capirai cosa è effettivamente successo XD
Sono stato autoconclusivo colpendo la mattonella, e me ne scuso, ma penso fosse ciò che mi stesse venendo chiesto. Se non è così, basta un mp.
 
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view post Posted on 21/2/2009, 12:36
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Donne...diavoli senza i quali la vita sarebbe un inferno



Lo guardò un'ultima volta, mentre un sorriso folle e beato si dipingeva tra le sue labbra. Era certa che se ne sarebbe andata guardandolo, un'ultima, lunga occhiata che avrebbe riempito tutti i suoi sensi fino alla fine. Sentì la folla gridare, pensò che lo facesse per la tragicità di quel momento, per il dolore al vedere la sua fine. La mano le tremava, ma non avrebbe sbagliato il proprio colpo. Sentiva la dolce consapevolezza che presto avrebbe dormito, nel buio avvolgente, fino all'infinito. Nessuno sarebbe più venuto a svegliarla, con il lume fioco, insinuandosi tra le candide coperte e gettando orrore nei suoi pensieri. Nessuno le avrebbe più sussurrato insulti e false parole d'amore tra i denti.
Il fischio fu un sibilo impercettibile, proprio sopra le sue orecchie, attraverso la massa dei capelli. Capì subito che qualcosa non funzionava. Davanti al suo sguardo, ora non c'era più la sala, ma di nuovo una di quelle visioni. Un uomo dagli occhi spalancati, lividi di terrore, la fissava con insistenza, con accusa. E sapeva di essere stata lei a provocargli dolore, e sapeva di aver avuto ragione. Le lacrime affiorarono tra le sue palpebre, offuscandole la vista. Sentì che avrebbe ceduto, presto. Alzò gli occhi per prendere la mira. Ma sopra di lei c'era soltanto un moncone, un misero rimasuglio della sua già ridicola arma.
Vide un fruscio nel nero, capì che era stato lui. Non aveva voluto concederle nemmeno quello. La mano ricadde, un peso morto lungo il corpo, mentre finiva la danza. Quegli occhi ancora la guardavano, ma non avevano più la stessa aria accusatrice. Forse un sorriso di sornione trionfo si dipingeva tra quei tratti infernali. E tutto si mescolava al nero, a lui.
Era immobile, davanti a tutti, piccolo burattino di cui sono stati perduti i fili. Posò il mento sul petto, lasciando che il dolore fluisse libero. Non aveva bisogno di vedere per sapere che i suoi passi si stavano allontanando, che lei l'aveva deluso. Non aveva capito, ancora una volta non ne era stata in grado, quello che lui avrebbe realmente voluto.
Tutti gli facevano ala, in un confuso brusio. Poi una porta scricchiolò, l'oscurità se lo portò via.
E rinacque.
Come da una nuova genesi, come se un vento impetuoso l'avesse scossa, come se il mare si fosse scaricato sulle sue spalle.
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Si sentì mancare, sentì una forte scossa attraversarla, passare dai piedi, dalle mani, fino a defluire all'esterno. E una sfaccettata miriade di ricordi e immagini la invasero. Antiche e recenti. Il deserto, la sete, la lingua gonfia contro il palato. E poi quell'oasi di benessere, le battaglie. Le danze attorno al fuoco, l'amore, il suo corpo tiepido e il suo cuore sempre freddo. Lei che non credeva all'amore eterno, lei che aveva giurato fedeltà a un traditore, lei che ora non aveva nessuno a cui credere veramente.
Ricordò la bambina del nastro rosso, le grida e gli scricchiolii nel grande palazzo distante. E quella sera, quando si era intrufolata senza permesso, il gusto del proibito che la faceva sorridere tra le labbra. E poi il Re, il sovrano che tanto avrebbe voluto incontrare. Che le aveva preso la mano e doveva averla stregata. Orrore e solo orrore quello che aveva instillato nella sua mente, ma forse non molto peggiore del suo reale passato. In lei e fuori di lei, due entità tanto simili che le era difficile ricostruire quale mondo appartenesse a Dalys, la danzatrice, assassina, guerriera venuta dall'Oriente.
E tutti quelli che aveva intorno non potevano capire, non potevano sapere. L'unica cosa di cui si stavano rendendo conto era che in lei, senza preavviso, si era riacceso qualcosa. Le sue labbra si incresparono in un tremendo sorriso. Aveva voluto giocare, un gatto con il topo alquanto originale. Sì, e soddisfacente, in fondo. Sollevò il viso, spavalda, carica di rabbia e di orgoglio. Ma anche di tetra soddisfazione. Aveva avuto quello che voleva, quello che meritava? Era stufa di uomini infimi, di soldati senza futuro? Eccola ripagata.
Avrebbe riso, se solo le fossero rimaste le forze per farlo. E l'immagine di lui, fino a poco prima tanto nitida sotto i suoi polpastrelli e nei suoi occhi, ora pareva lievemente sbiadita, come avvolta da antiche nebbie.
Sentì la sua voce, che la fece sobbalzare. Sentì quello che diceva e una strana sensazione di straniamento montò in lei. Orrore per quello che le aveva fatto pensare di aver commesso, il grido di un'anima violata e allo stesso tempo consapevole di essere arrivata al termine di una ricerca. E ora lui non insultava lei soltanto. Insultava tutte loro, tutte le dame presenti lì dentro. E chi avrebbe avuto il coraggio di ribattere?
Le sue labbra si inclinarono sulle ventitrè, in una ferita di doloroso sdegno. Tutti mugugnavano ma nessuno avrebbe tentato di ribellarsi. Avevano tutti qualcosa da perdere. Tutte quelle ballerine, quelle gallinelle starnazzanti speravano ancora di poter in qualche modo attrarre la sua attenzione. Solo lei poteva sapere quanto si sbagliassero. Nonostante i suoi pensieri paressero avvolti da una sostanza vischiosa, che li rallentava paurosamente, l'immagine di quella regina, di quell'ombra incombente, non le era sfuggita.
Guardò tutte le altre, le abbracciò con un'occhiata. Non poteva non capirlo, in fondo. Vedendole, rannicchiate tra le braccia di uomini che sostenevano di amarle, potevano apparire pietose. Ma lei, lei che aveva condiviso con loro speranze e desideri, che se li era visti spezzati per la seconda volta, non riusciva più a provare astio. Solo un forte, pungente, lacerante, bisogno di vendicarsi. Anche per loro. Anche se loro non avrebbero certo potuto sapere.

Un uomo sulla luna non sarà mai interessante quanto una donna sotto il sole.


Anche lei non alzò la voce, ma era certa che l'avessero udita. Lo capiva dai loro sguardi. Alcuni si erano fatti avanti, come se volessero mettere giustizia. Ma era bastato un gesto del capo, il timore che lei potesse di nuovo bruciare come una torcia, per allontanarli.
Guardò a terra, soddisfatta, sconfitta eppure intimamente vincitrice, e vide il bossolo. Certo, lui aveva sparato, ovviamente. Le parve tanto piccolo e insignificante, muto spettatore di quella notte miracolosa, che ne provò pietà. Avrebbe voluto calciarlo con forza, tanto da fare e da farsi male. E invece lo raccolse tra le dita, meditabonda, esaminandolo come preziosa reliquia. Forse era ancora folle, pensò, ma non mollò la presa, stringendo l'acciaio nel palmo.
Non avrebbe dimenticato, pensò mentre sentiva che fuori, dove lui si trovava, doveva fare freddo. Anche lei presto sarebbe uscita in quel gelo. E avrebbe passato il resto della notte da sola, le mani sotto la testa, a ricordare, a ripercorrere anni e minuti in un unico, enorme abbraccio della coscienza.
Donne...
Scosse il capo, sentendo che qualcosa le sfuggiva. Era qualcosa di importante, altrimenti non avrebbe avuto quella specie di campanello d'allarme nella testa. Si diresse verso la porta, agilmente. Nessuno le avrebbe impedito di uscire. E restò silenziosa, questa volta, come l'attrice che abbandona la scena, prestandosi alle ultime occhiate degli spettatori.
E il regista, il primo attore, il grande protagonista? Lui doveva essere già lontano, chissà, in qualche segreta ala di quella reggia immensa. Forse accanto alla buia prigione, dalla cui finestra passava soltanto il bacio delicato della luna.
Non lo avrebbe scordato, no. Arrossì lievemente. Sapeva che l'avrebbe fatto spesso da quel momento in poi, sentendo parlare del sovrano. Mentre spingeva la maniglia sentì che già i più lontani iniziavano a commentare, a parlottare. Sarebbe stato volgare fermarsi a sentire.
Il corridoio era illuminato, ma gelido. Le torce non riuscivano a riscaldare l'ambiente in quella notte troppo oscura. Il buio la ingoiava e la restituiva agli aloni luminosi con sempre rinnovata resistenza. O forse era lei, soltanto lei, che non avrebbe voluto farsi abbagliare ancora. Stava riprendendo coscienza di ciò che era, e non le piaceva molto più di ciò che si era considerata. Amare, anche solo per qualche minuto, era stato bello. Ora avrebbe accarezzato quell'emozione, nei suoi lunghi silenzi, come con una seta preziosa e rara. Chissà, forse si sarebbe sgualcita. O forse avrebbe saputo mantenerla intatta fino alla fine.
Strano, rammentò d'improvviso, non aveva neppure giurato fedeltà a quell'uomo tanto enigmatico. Era probabilmente stata questa consapevolezza a renderla inquieta, prima di andarsene. Vide una finestra, poco distante. Forse non dava sul parco dove lui si trovava, forse non condividevano quello spezzone di cielo color pece. Ma in qualche modo doveva farglielo sapere.
Si sporse, un mezzo busto invisibile circondato da una vaga aureola luminosa. Prese fiato, sentì una risata liberatoria sopraggiungere.

Giuro!


Gridò, e subito si sentì infantile e sciocca. Come una bambina, come se avesse qualcosa da farsi perdonare. Eppure ne era certa: se mai avesse dovuto morire per qualcuno, combattere al fianco di un capo, avrebbe scelto lui, nonostante tutto. Lo avrebbe scelto per la sua forza, la sua scaltrezza, il suo dolore e i suoi desideri irrealizzati. E, perché no, anche per la sua strana misoginia, per quel misto di attrazione e repulsione che sembrava provare.
Si sentì subito lieve, leggera, desiderosa di ricominciare, di veder sorgere il sole. Da quanto non lo era? Buffo, proprio buffo. Coccolava il senso di pace, di amore, che aveva ricavato come distillato da quella notte.
I capelli le arrivavano in faccia, mentre correva per raggiungere la propria stanza. Sentiva il cuore battere, l'aria fischiarle addosso. Aprì la porta, la richiuse, con pochi passi atterrò sul morbido materasso. E oltre le tende il nero la guardava, ampio come la calotta silenziosa del cielo.
Chiuse gli occhi.
Quando il sonno la prese ancora non si era cancellato da suo viso quel vezzoso sorriso.


SPOILER (click to view)
Mi scuso per il ritardo. E ringrazio per la scena :wow:
 
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8 replies since 7/2/2009, 16:51   341 views
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