Volevano farla cadere. Hanno tentato di trascinarla a terra e di spegnerla, corde grosse quanto denti di drago. Volevano distruggerla, volevano spegnerla e riconsegnare il mondo all’analfabetismo, all’oscurità. Dietro i loro volti celati dalla cera il mondo proseguiva ignaro, deturpando la natura e obbligando la terra a sostenere il peso di quella che loro chiamavano cultura. Palazzi enormi, templi ed’immense strutture. Tutte edificate nel nome del loro Dio Sole. Artefice della vita, sostentatore di ogni azione che permette al mondo di essere dov’è ora. Ma, l’altra faccia della medaglia, quella più oscura, si definisce con il nome di Luna. Una sorella, un occhio, il cosiddetto “sole della notte”. I tempi ricordano al mondo che tutto ciò esiste sin dalla genesi. La naturale contrapposizione tra ciò che viene ritenuto giusto per una fazione e sbagliato dall’altra parte sostenta gli stomaci affamati di coloro che cercano battaglia. Cavalieri della luna, paladini del sole e quant’altro. Persone che si raggruppavano nel nome di un qualcosa, combattendo armati da futili motivi e dalla stupidità. Ma al di là di tutto quello che è superficiale, visibile allo sguardo di ogni sciocco di paese la questione diviene molto più seria. Volevano farla cadere. Sapevano delle sue potenzialità. Avevano distrutto civiltà del cielo e avevano consegnato quelle terre martoriate dal sangue a pazzi e traditori. La verità era celata nei loro volti, prontamente coperti e nudi di ogni emozione...
Sette Passi dalla luna – Volume IV
Il mondo era andato avanti. Pochi cultori delle nobili arti celesti erano rimasti in vita, numerabili su due mani. Era quella l'ultima frase che gli stava ronzando nel cervello dopo averla letta. Cercava di sforzarsi a comprendere il significato di quelle parole, eppure gli sfuggivano dalle dita; come se avesse cercato di intrappolare dell'acqua tra le mani. Quello era ormai lo stato costante in cui si trovava da diverso tempo, da dopo ciò che era accaduto a Tabula.
Un chiodo fisso gli si era impiantato nel cervello, riempiendolo di terrore e disperazione. Aveva visto troppe cose che non andavano nel mondo per poter continuare a tenere gli occhi serrati, sperando in qualcosa di trascendentale, che potesse avere in pugno le sorti di quel mondo malato. Stronzate; eppure l'attimo dopo averlo pensato la sua pelle si seccava, mentre un brivido freddo gli correva lungo la schiena. Poteva essere blasfemia, ma poteva anche essere verità. Come diavolo faceva a saperlo? Perchè era quello il punto della questione. Conoscere. Si era chiuso in quel buco polveroso di proposito, ignorando le brutte facce del luogo che lo etichettavano come straniero, proprio per scoprire altre informazioni riguardo l'unica cosa che gli avevano insegnato durante la sua permanenza presso i laboratori. Lui era il flagello di un Dio benevolo e caritatevole, e proprio per questa sua natura era al tempo stesso maledetto e benedetto; il figlio che non avrebbe mai voluto avere, ma che gli era necessario. Il degno figlio di Ahasuerus. Aveva cercato quel nome senza trovare alcun riscontro nei testi antichi, leggendo fino a quando gli occhi non avevano sfocato le parole ed iniziato a lacrimare. Non aveva più la forza per credere ciecamente in un qualcosa che non poteva ne toccare ne vedere. I saccentoni su quella carta ammuffita la chiamavano fede, lui preferiva l'appellativo ingiustizia. Perchè chiedere tutto questo sacrificio senza dare niente in cambio? A che prò agire come uno strumento, soffocando ogni altra emozione? Era stanco di zittire quella vocina che sussurrava nel suo petto anelando alla verità. Dopo Tabula non era stato più in grado di controllarla; dopo esser divenuto una bestia questa era esplosa, travolgendo gli argini della sua debole fede per qualche giorno. Non riusciva a liberarsi del suo passato, di tutto ciò che gli avevano insegnato, che in fondo era l'unica sicurezza che aveva. Rifiutarlo sarebbe stato come ammettere di non esistere, perdendo ogni scopo nella vita. La domanda successiva era, voleva davvero saperlo? Si era inoltrato lungo una scalinata difficile da salire, rimanendo sulla soglia del primo enorme gradone. Era ancora in tempo per tornare indietro ed affidargli tutta la sua vita incondizionatamente. Un tonfo sordo, e chiuse uno degli enormi libri che aveva dinanzi. Negli occhi era visibile la disperata confusione.
Tra i tanti luoghi del mondo, Tryujne è sicuramente uno dei più interessanti. Questo lo dico ad Alex, per cercare di convincerlo a farci un piccolo viaggio. In realtà, credo che basterebbero le due parole che descrivono quella città. Pazzi. Traditori.
"Ho sentito dire che è un posto interessante."
Questo lo dice Alex, e probabilmente ne ha sentito le stesse cose che ho sentito io. Non che la cosa mi stupisca, in effetti. Al solito, io e Alex sappiamo le stesse cose. Anche se le pensiamo diversamente. Insomma, è complicato.
"E comunque, pare che abbia una biblioteca piuttosto fornita."
Sono un po' le parole magiche, insomma.
Tra i tanti luoghi del mondo, Tryujne è sicuramente uno dei più divertenti. Le vie dell'antica città sono in rovina, eppure gremite di persone. Le case hanno le porte sbarrate, eppure dalle finestre guizzano luci, voci. Le locande sono tutte chiuse, eppure gli schiamazzi degli ubriachi riempiono l'aria. Patria di pazzi e traditori, è così che la descrivono. Un bel posto dove passare le vacanze. E pare che la biblioteca contenga tutti i libri messi all'indice in tutti gli altri paesi del continente. Questo lo dico ad Alex, e lui annuisce, sovrappensiero.
"Ho sentito che da queste parti ci sono certi meccanici gnomi dal Garmurath."
Questo lo dice Alex, e poi mi strizza l'occhio. Al primo bivio, le nostre strade si separano.
Tra i tanti luoghi del mondo, Tryujne è sicuramente uno dei più intriganti. Ecco, è più o meno così che finisco davanti alla biblioteca. Non si può negare che io e Alex siamo due affamati di conoscenza. Che si tratti di libri all'indice, considerati eretici, o meccanica, o medicina, o scienza, o arte. La verità è che io e Alex siamo schiavi di noi stessi, della nostra sete. Ma sempre con moderazione, come diceva Sid. Sid, saranno secoli che non lo vedo. Confesso di sentire un po' la sua mancanza. Le sue massime erano perfino migliori di quelle di Alex.
Tra i tanti luoghi del mondo, Tryujne è sicuramente uno dei più... L'edificio è strutturato su innumerevoli piani. La polvere si sovrappone ai libri che si sovrappongono al legno che si sovrappone alla nuda pietra, che rende il luogo caldo e freddo allo stesso tempo. Davvero, uno dei più bei posti che abbia mai visto. La cosa più piacevole è che qui c'è una discreta confusione. Persone parlano, scambiandosi idee balorde. Persone sussurrano, scambiandosi segreti inconfessabili rubati da persone che non li avrebbero mai confessati. Persone urlano, facendo il verso della gallina, completamente privi di senno, legati a travi con robuste corde. Davvero, qui ci devo portare Alex, una volta o l'altra, sono certo che lui apprezzerebbe. È passeggiando per i tortuosi corridoi gremiti di polverosa sapienza, che raggiungo infine una piccola sala lettura, che sembra occupata solo da un astante, folle almeno quanto tutti gli altri, almeno a giudicare dalla maschera che indossa, ma quantomeno non legato a una trave, facente versi di animali. Gli sorrido, perché vedo che tra le mani ha un libro interessante, uno di quelli messi all'indice in qualche altro luogo, che parla di religioni antiche. Dèi dai nomi dimenticati. Mi presento, dico che mi chiamo Alex. Ormai è diventata una cosa così naturale da fare, che quasi quasi ci credo. E in effetti, forse è proprio così. Dico che mi interessa il libro che tiene tra le mani. Chiedo, se ha finito di consultarlo, se posso leggerlo.
Anche se non mi metto a citare le varie abilità, Alex è circondato da un'aura di timore reverenziale, dalla quale Joey potrebbe essere colpito. A te la penna!
Il freddo del tavolo di lucido mogano contro la testa che sembrava esplodere. Un piacevolissimo sollievo; quasi come se si sentisse febbricitante, e quella fosse una pezzuola fresca appoggiata sulla sua fronte. Il mondo era completamente nero, immerso nella sua pace e nel silenzio. Da fuori si poteva sentire come gli abitanti del luogo si intrattenessero a vicenda per far concludere quelle lunghe, noiose giornate. Era stato un errore macinarsi tutti quei chilometri; una fatica inutile. A prima vista il suo cuore si era riempito di gioia, non appena era entrato in quell'enorme biblioteca perduta. I volumi erano così tanti che sembravano schizzar fuori dagli scaffali, disposti in maniera del tutto strana. Un pilastro centrale di legno intagliato, che faceva da grembo a tutta quella conoscenza perduta, e protetto da una serie di anelli concentrici da cui i lettori potevano attingere per soddisfare la propria curiosità. Era stato un magnifico edificio una volta, ordinato ed efficente, da come si poteva capire dopo una semplice occhiata. L'intero posto sembrava trasmettere quella sensazione. Ora però era diventato molto più fatiscente, come se fosse stato messo allo stesso livello degli edifici ediacenti. Diverse sezioni del pilastro erano crollate a causa del legno marcio causato dall'umidità, così come avevano fatto la stessa fine alcuni anelli inferiori, riparati alla meno peggio da mani inesperte. Aveva dato un'occhiata fugace al posto, dirigendosi immediatamente verso il settore che gli interessava. Aveva preso tutti i volumi che le sue braccia riuscivano a trasportare , e li aveva gettati su un tavolino illuminato da una lampada ad olio proprio sopra la sua testa. Quanto tempo aveva passato a leggere? Non se lo ricordava nemmeno più. Quegli scritti occupavano la sua mente solo una frazione di secondo; il tempo che lui leggesse e recepisse che non era ancora arrivato alla parte interessante. Era stanco, e non sapeva cosa fare, quando improvvisamente sentì dei fruscii verso la sua direzione, accompagnati da alcuni passi leggeri. Istintivamente Joey sollevò il capo, mentre il mondo parve colorarsi di una luce nuova. Il tizio gli sorrise con le labbra, mentre il suo sguardo andava famelico verso il libro che aveva appena chiuso con un colpo secco; erano occhi affamati. Si avvicinò ancora un pò dicendo di chiamarsi Alex, e con garbo chiese di poter prendere il libro per se, dato che lui sembra aver finito con esso. Il rinnegato rimane abbagliato dalla sua vista, e senza pensarci un momento porge il volume verso il nuovo arrivato bofonchiando qualche parola. « Prego, io non ci ho trovato niente di utile... » Abbassò lo sguardo come sconfitto, mentre con un moto di stizza fa per alzarsi dalla sua sedia. Decise di andarsene da quel fottutissimo buco, di spostare la sua ricerca altrove, quando senza volerlo, fissò nuovamente quella faccia rasata e sorridente. Il secondo dopo le sue labbra si schiusero senza nemmeno pensare a quel che diceva. Un'improvvisa idea gli era balenata nella mente. « ...però forse, lei può dirmi di più riguardo l'argomento. Sempre che non sia un problema ovviamente. » Fu stupito da come era messo in soggezione da quel damerino. Era più giovane di lui, eppure aveva un qualcosa di magnetico ed inspiegabile. Avrebbe dovuto infuriarsi per quel suo comportamento, ma in quel frangente il suo cuore era notevolmente colmo di speranza. Per qualche altro attimo era stato purgato da ogni altra cosa. Pendeva dalle sue labbra.
Ho cercato di rendere al meglio la tua passiva. Inoltre per il carattere del mio pg, sociopatico direi, questo è uno dei pochi modi per intavolare una discussione ^^ Tutto tuo =D
« Prego, io non ci ho trovato niente di utile... »
Senza nemmeno attendere che la parole abbiano smesso di risuonare nella mia mente, appoggio con grazia le dita sulla copertina sgualcita del tomo. Cuoio polveroso. Il mio preferito. Non mi preoccupo nemmeno della possibilità di essere scortese. O forse sì, me ne sto preoccupando, ma non mi interessa. Questi libri sono il pane della mia anima, ed è da molto tempo che non ne faccio rifornimento. Senza nemmeno pensarci, apro ad una pagina a caso investito dalla morbida fragranza di pagine antiche, di inchiostro seccatosi, inebriato dalla sensazione di tenere in mano questo volume. Questo, e tutti quelli che verranno. Ecco, è più o meno mentre sto assaporando questa dolce, dolcissima sensazione, che arrivano le parole.
« ...però forse, lei può dirmi di più riguardo l'argomento. Sempre che non sia un problema ovviamente. »
Questo lo dice il mio interlocutore, di cui nemmeno conosco il nome. Frena l'entusiasmo, e sii educato con lui. A dirmelo è la voce di Alex, nella testa. Alex che mi dice quello che direi io a lui in questo momento, se si stesse comportando come sto facendo io. Sì, insomma, cose da gemelli. È per questo che sorrido, di rimando, a questa strana persona, chiudendo con uno scatto il libro. Una piccola nuvola di polvere si solleva, catturando nella sua danza granelli di luce, che entrano trasversalmente da una finestra. Tutto qui è legno, polvere. Carta, pelle. Un luogo dolce. Sa di casa. Chiedo che cosa cercasse, esattamente, in quel libro.
Un libro, dico, non è necessariamente un luogo in cui cercare la verità. Sollevo quello che tengo in mano, portandolo all'altezza del volto. Senza nemmeno farci caso, vedo l'altra mia mano che segue le mie parole quasi stesse disegnandole in aria. Orchestrando il mio discorso. Dico che ciò che si legge in un libro è ciò che una persona, prima, vi ha scritto. La cosa affascinante di questi libri, dico, è che dopo essere stati scritti sono stati proibiti. Significa che contengono ciò che altri uomini hanno giudicato impuro. Ecco, dico, è proprio questo che sto cercando. Le mie mani si muovono, senza controllo, mentre un sorriso compare sul mio volto. Non sarà certo un libro, dico, a insegnare la religione. Chiedo se sia questo che mi sta chiedendo. No, perché, dico, io non credo. Sorrido.
Il ragazzo avvicinò le lunghe dita bianche al libro, aprendolo per un solo istante. Qualcosa dentro il suo stomaco parve captare un qualcosa di strano, dato che l'eccitazione gli stava facendo quasi tremare le gambe. Rimase a fissare quello strano individuo mentre traeva una boccata dall'aria vecchia e inebriante di quel volume. Rimase per un istante perso nel suo mondo, o così credeva Joey, mentre un'altra sensazione gli risaliva fin dentro al cervello. Cosa si era aspettato? Di vedere la luce fuoriuscire da quelle dita affusolate, o meglio ancora che quel coso ammuffito iniziasse a brillare e cambiare ciò che descriveva? Era così cotto da aspettarsi un miracolo? Si diede dello stupido, mentre i suoi occhi si spensero, perdendo il calore delle braci infernali che li contraddistinguevano. Sembrava quasi che qualcuno le avesse malamente estinte in fretta e furia. Rimase tuttavia immobile, riprendendo un poco di colore, quando quel tizio riprese a parlare. La sua voce era velata, come se trattenesse a stento l'emozione che provava nel cuore, tanto che le mani si muovevano per conto proprio gesticolando nell'aria; come se fosse un pittore, e la sua tela l'aria stessa. Ciò che sentì però era solo una conferma di ciò che credeva.
Gli chiese cosa cercasse di preciso in quel vecchio tomo, ma prima ancora di sentire la risposta continuò con il suo discorso, bloccando le parole che Joey aveva sulla punta delle labbra. Gli spiegò che quello non era necessariamente il modo più giusto di cercare la verità, dato che ciò che stava leggendo non era stato scritto col pugno di Dio, bensì da uomini come loro. Lui trovava semplicemente degno di nota il fatto che le affermazioni che questi avevano fatto fossero state ritenute pericolose per la società attuale, al punto tale da soffocarle e renderle proibite. Il ragazzo continuò su quella scia, dicendo che un libro non potrà mai insegnare qualcosa di tanto complicato come la religione. Le sue mani quasi rigettano quella semplice affermazione. Gli chiese se era quello il motivo della sua ricerca; perchè dopotutto lui non credeva in quelle cose. Bingo amico, era proprio quello il problema. Da troppo tempo ormai Joey aveva la stessa sensazione, ma il suo animo era troppo diviso per poter prendere una decisione con leggerezza. Stava per parlare, quando ancora una volta su interrotto sul nascere del suo pensiero, da uno straniero. Aprì la porta socchiusa inserendosi nel discorso improvvisamente, tant'è che la prima cosa che sovvenne nella mente del maledetto fu l'idea di essere stato attaccato. Si calmò emettendo un sospiro quando il nuovo arrivato si presentò, ribadendo ciò che aveva detto quel fanatico poco prima. Avevano accennato all'universalità, concetto che poteva essere facilmente travisato, o almeno così gli era stato detto. « L'universalità non è Dio a deciderla signor Takeshi, ma l'uomo stesso. » Non era affatto disturbato da quell'intrusione improvvisa. Poteva rivelarsi utile per ampliare i suoi o r i z z o n t i. « Ciò che vorrei sapere è come fa lei ad essere così certo del suo essere ateo. Cosa la fa essere assolutamente sicuro, signor ... ?! » Non parve notare come fosse improvvisamente diventato molto più forbito il suo vocabolario. Stava finalmente per trovare un tassello che componeva il mosaico nella sua testa e attorno al suo corpo. Lasciò cadere di proposito il tono della frase, cercando di mostrarsi sempre educato ed umile per via di chissà cosa. Era magari la sete di conoscenza? L'unica certezza che aveva al momento era che le risposte erano a tiro della Fauce. O almeno una parte di esse.
Molto ma molto bene. Vi ringrazio entrambi per questa opportunità ^^ A te la parola Daiqui, non mi sono presentato perchè non sapevo se potesse interessare ad uno dei due
Aléxandros, dico. Sì, è questo il mio nome. O quello di mio fratello. Questo non lo dico, ma non ha importanza. Perché sono solo pochi istanti che si è riunita questa combriccola mal assortita. Un pirata. Un uomo con una maschera sul volto. Un ragazzo vestito con un kimono. E la miglior persona che potrei essere, ora, è mio fratello. Mio fratello Alex, che come al solito, quando ho bisogno di lui, non c'è.
Ah... per la cronaca, il mio nome è Yusuke Takeshi. はじめまして!
Osservo le ultime sillabe pronunciate mentre escono dalla sua bocca, leggendole tra le sue labbra, del tutto vane poiché non ho la più pallida idea di cosa significhino. Del resto, tende la mano, quindi immagino sia una specie di saluto. È per questo, immagino, che sorrido, e gliela stringo appena. Faccio finta di trovarmi a mio agio. In realtà, dopo che inizi a conoscere persone come me e Alex, tendi a perdere l'abitudine di stringere una mano agli sconosciuti. Ecco, è mentre sto per dire il mio nome, che quello che cercava le sue risposte nei libri parla.
« L'universalità non è Dio a deciderla signor Takeshi, ma l'uomo stesso. »
Dice. E dentro di me penso che abbia ragione. Probabilmente, lui stesso ha centrato il nocciolo del suo problema.
« Ciò che vorrei sapere è come fa lei ad essere così certo del suo essere ateo. Cosa la fa essere assolutamente sicuro, signor ... ?! »
Dice l'uomo mascherato. E io sorrido. Ecco, è in quel momento che dico il mio nome. O il nome di mio fratello, insomma. Quello che è. Aléxandros, dico. È questo il mio nome, dico, mentre non ho mai detto di essere ateo. Le dita, da sole, abbandonano il mio controllo, tornando a tracciale in aria parole. A tracciare in aria concetti.
Faccio un passo indietro, mentre le parole escono spontanee dalla mia bocca, per non dover dare le spalle ad alcuno dei miei anfitrioni. Il tono di voce deciso, quasi concitato, quasi fa ondeggiare il tricorno ben calato sulla mia testa, che ho dimenticato di togliere. Dico che non credere in Dio non significa non credere a nulla. Chi è Dio, domando. Non attendo nemmeno le risposte, senza preoccuparmi di ciò che potrebbero pensare ora, somiglio più ad Alex che a me stesso, forse, in questo momento. Chi è Dio, domando. Gli Dei non sono che un'invenzione degli uomini, necessaria per spiegarsi ciò che non sono in grado di comprendere. Come la morte. Per dar loro qualcosa in cui credere. I concetti di giusto, sbagliato. Buono. Malvagio. Del resto, perché un Dio dovrebbe interessarsi alle sorti degli uomini? Se le divinità esistono, ed è certo che esistano, poiché le loro reliquie riempiono il mondo, allora sono davvero divinità? Chiedo come dovrebbe apparire un uomo visto da una formica. Un'entità capricciosa, capace di decidere la vita e la morte, con il solo proprio volere. Forse coloro che crediamo divinità non sono altro ciò che noi siamo per le formiche. Questo, dico. E una divinità senza seguaci è come un re senza sudditi. Per questo non credo in nessun Dio, più di quanto non accetti il dominio di nessun re. Io sono un uomo libero, aggiungo.
Prendo solo un respiro di un istante. Il fiato è pesante, dopo il lungo discorso. Strano, non è da me lasciarmi andare così. Le dita sono ancora sospese nell'aria, e presto tornano ad accarezzare i tratti delicati della mia voce, che si fa di nuovo tranquilla. Pacata. Per questo, dico, ho detto di non credere. Ma ho anche detto di non essere Ateo. Se esiste qualcosa in cui abbia senso credere, dico, è nel tutto, nell'intero universo. Forse l'esistenza stessa è Dio. Ma ancor più, se c'è una cosa in cui credo, è in me stesso. Dico che, in effetti, l'unico Dio che decido di seguire, sono io stesso. E poi, la mia voce si spegne nel silenzio vibrante di una biblioteca polverosa. Di una città di pazzi.