Rovine. Intorno a lui le macerie di quella che in passato doveva essere stata una vecchia fucina si aprivano il tanto bastante da creare uno spazio circolare del diametro di trenta metri. Luminosi cocci di vetro e compassati catenacci di metallo costellavano il circo scelto per il terzo turno dell'abiezione, rovesciati in terra o penzolanti dal soffitto. E al centro del girone - Sì, esattamente al centro, dove presumibilmente sarebbero andati a scontrarsi gli attacchi degli avversari - stava il Re che non perde mai, come fresco Lucifero, con l'aria sazia di chi deve macinare tre adulteri per il resto dell'eternità.
« Benvenuti. »
Si annunciò ai tre con alterigia, malcelandola nella cordialità, ben sapendo che Chevalier, preoccupato, assisteva alla scena da un angolo del campo di battaglia.
« Non ha importanza né come né perché abbiate raggiunto questa plaga. »
Aggiunse, abbandonandosi lungo il trono di indecoroso acciaio battuto che s'era fatto scavare dal Cavaliere qualche minuto prima.
« Ciò che ha importanza è che solo chi di voi io decreterò trionfate potrà andarsene di qui vivo. »
Compì solo un ultimo cenno di superbia, concludendo l'arringa.
« Accapigliatevi, ora. »
CITAZIONE
Zephyr Luxen VanRubren Vs. Xain Vs. Noki
Verde Vs. Verde Vs. Rossa D Vs. C Vs. D Ordine dei post: Zephyr Luxen VanRubren / Xain / Noki Durata: Un solo post di presentazione e quattro post di combattimento. Tempi di risposta: A quattro giorni dalla risposta dell'avversario precedente al proprio turno, sconfitta a tavolino. Premi: 150G Per l'ultimo classificato, 300G per il secondo classificato, 500G per il primo classificato. Arena: Uno spazio creatosi tra le rovine di una vecchia fabbrica con trenta metri di diametro. Al centro perfetto dell'arena - che è di forma circolare - sta Ray, apparentemente privo di difese, seduto su un trono di ferro battuto che sembra essere stato appena costruito. E' il tramonto, quindi demoni e angeli non hanno limitazioni per quanto riguarda le rispettive forme demoniache/angeliche. Regole: Il duello non deve interrompersi per alcun chiarimento - usate il bando, nel caso. Non si possono modificare i propri post dopo le risposte dell'avversario. Si seguono le normali regole di un duello ufficiale, più una piccola aggiunta: chiunque dovesse attaccare Ray o Chevalier perderebbe immediatamente il duello e mi costringerebbe a intervenire con un'azione da QM. Nel caso in cui un utente non debba rispondere nei quattro giorni stabiliti, interverrò per inserire un post di circostanza (che probabilmente modificherò in seguito con le azioni di Chevalier) dal quale partirà il conteggio di quattro giorni per la risposta dell'utente seguente. Background: I vostri personaggi sono stati invitati a partecipare a "L'abiezione" che gli è stata presentata come un normalissimo torneo. In seguito, dopo essere stati accettati, è stata consegnata loro una biglia da spezzare (la descrizione di tale biglia sarà a vostro piacimento). Dopo averla spezzata, i personaggi semplicemente si materializzeranno all'interno dell'arena e potranno assistere al discorso di Ray. Ray ha una passiva (che non cito) che fa passare tutto ciò che dice alle orecchie degli ascoltatori come assolutamente vero.
Believe in stories that were overrated In this world so complicated Felt so right, you tried to make it wrong Why can't I just get along?
S O M E T H I N G - T O - P A Y - Y O U - B A C K
Told myself stand up, be strong This kind of phase doesn't last for long They can say that you won but I'll never believe it 'Cause I won't ever be defeated
Aveva provato. E poi fallito. Forse fu quel pensiero a costringerlo ad accettare, forse solo la voglia di evadere da una vita monotona e priva di svago. Forse, invece, fu la prospettiva di un duello a spingerlo a tanto. Si conosceva abbastanza bene, d'altronde; tanto da capire che si sarebbe pentito di quel gesto, dell' aver accettato quella biglia color ossidiana che ora stringeva tra il pollice e l'indice, la stessa che ora fissava intensamente, come se potesse svelargli le vicissitudini che di lì a poco l'avrebbero investito come un fiume in piena. Cenere si era lasciato trasportare ancora una volta dalle emozioni, disobbedendo alla razionalità che gli imponeva -saggiamente- di riflettere prima di prendere decisioni avventate come quella. Sconsiderato e privo di logica. Fu questa la conclusione cui giunse poco adempiendo a ciò che lui stesso aveva pronosticato solo pochi minuti prima. Per un attimo si chiese se quello fosse il comportamento corretto che un Oracolo dovesse tenere, preoccupandosi prima dei crudi commenti con cui Jeral l'avrebbe sommerso una volta saputo del torneo, e poi del suo stesso orgoglio da appartenente all'Ordine. Significava davvero cadere in basso? In piedi, immobile come una candida statua giovane e longilinea, represse quei pensieri dietro una coltre di apatico dubbio, regalandosi preziosi istanti di tranquillità e ripromettendosi di meditare sull'accaduto solo una volta tornato indietro dal torneo. Aveva appena deciso di buttarsi nella mischia, combattere vanamente per un diletto che aveva sentito suo per poco tempo; sangue sarebbe stato sparso sopra il campo di battaglia, scatenando urla d'eccitazione e rantoli di rabbia. Un lento sospiro rassegnato, e la dritta si mosse a massaggiare la fronte, stanca. La ragione per la quale aveva risposto affermativamente all'invito portogli divenne chiara come la stessa luce che serbava nell'anima angelica: il Leviathan, il torneo del Re Invincibile. Persi nei meandri della mente, cinici ricordi tornarono solerti a galla, rivelando immagini che aveva cercato di relegare negli angoli più bui della psiche, sperando che prima o poi il dolore da essi provocato venisse lenito, assimilato dal tempo. Quando capì che il cervello non aveva assecondato le sue speranze, solo un termine gli sovvenne ..vendetta. Furono le immagini reperite dalla sadica memoria a suggerirglielo. Mostravano una landa ghiacciata, priva di vita, e due figure che combattevano sopra il paesaggio spoglio. Sagome contrastanti, antagonisti naturali e diametralmente opposti. Il primo era candido, vestiva intermanente di bianco, il volto pallido e i capelli argentati, gli occhi del colore del sangue. L'altra era una graziosa bambina che non doveva avere nemmeno dieci anni, con strani occhi e un'ascia bipenne quasi più grande di lei. ...l'immagine della sconfitta che ancora bruciava in lui.
Don't want to think about it Don't want to talk about it
Partecipando al torneo con il solo scopo di compiacere il Monarca suo salvatore, non potè che rammaricarsi di non essere arrivato sino in fondo, alla meta cui ogni Toryu ambiva: la finale, il combattimento sotto gli intransigenti e compiaciuti occhi del Re Invincibile. Per colpa della bambina lui non era riuscito nel suo obiettivo. Per colpa della bambina il sogno era sfumato in quella fredda giornata senza sole. Per colpa di ...Noki. Quel nome, inciso a fuoco dentro di lui, ancora sfrigolava, riempiendolo di fremente rabbia ogni volta che i suoi pensieri si soffermavano su di essa. La vergogna era talmente grande che non aveva proferito parola con nessuno di quel torneo; il Leviathan era divenuto in fretta un ricordo da dimenticare. Era stato un fallimento. Cenere era anche venuto a sapere che Noki era stata promossa a ufficiale -più in alto di lui, quindi-, ma nemmeno la consapevolezza di aver perso contro un avversario troppo più grande di lui riuscì a lavare cicatrici ancora roventi. Non aveva importanza chi fosse il suo avversario, un Oracolo non poteva permettersi di perdere, figurarsi poi contro una bambina senza nemmeno due lustri di vita.
I'm just so sick about it Can't believe it ended that way
Per questo motivo aveva preso istintivamente la biglia, strappandola con bramosia dalle mani del messaggero che gli aveva porta. Scrollò lentamente il capo, costatando con rammarico quanto la sua parte umana fosse avventata e priva di logica. ...aveva bisogno di mettersi alla prova, in attesa che arrivasse il momento della v e n d e t t a. Simile in tutto e per tutto ai mortali che tanto disprezzava, si chiese se vi fosse un modo per estirparla dal proprio corpo e liberarsi di quel fardello sconsiderato, decidendo, infine, di rinviare anche quel proposito alla conclusione della faccenda in cui si era appena invischiato. Non sarebbe stato conveniente per un Campione dare sfoggio di un simile comportamento, ma dovette ammettere a se stesso che, in quanto tale, non poteva permettere che la sua funzione venisse messa in discussione da un demone. Legando alla cinta perlacea la fodera contenente la Bahamut, indossò il giaccone bianco, stirandolo sulla maglietta color arancio che indossava sul petto magro, poi con un rapido gesto delle mani il mantello fluttuò oltre le spalle, sulle quali si poggiò legato poco sotto al collo diafano da alcuni legacci argentati. Un rumore di cristallo infranto, e la biglia si ruppe sotto la leggere pressione delle dita che la brandivano. Un solo pensiero a distrarre la mente ora concentrata:
prima o poi, l'avrebbe ripagata con la stessa moneta.
Scomparso in un bagliore luminoso dal Bianco Maniero, si guardò distrattamente intorno, gli occhi socchiusi e arroganti, capendo di essere stato dislocato in una stanza circolare che in passato doveva essere stata qualcosa di molto simile a un enorme fucina. Scarti metallici, ciottoli e macerie di diverso tipo si alternavano in quell'arena insolita e sporca, dal diametro ampio e con un curioso e insolito costrutto metallico al centro. Strizzò gli occhi, cercando di riacquisire la vista sfocata a causa del lampo di luce che l'aveva trasportato, puntando le iridi cremisi sul ferro in mezzo al campo di battaglia. ...ma quando lo sguardo tagliente e determinato si spostò al centro, lo stupore spalancò gli occhi e le gambe vacillarono; la gamba sinistra si piegò lesta in avanti, il ginocchio destro incontrò rapido il suolo. Il capo chino, la schiena inarcata in avanti, l'avambraccio mancino a poggiare sulla coscia. Si era inginocchiato. Davanti al Re. Era leggermente defilato alla destra del trono ma, lo riconobbe subito ,al primo sguardo, quando gli orbi sanguigni si erano sbadatamente possati sulla figura dai capelli scuri seduta sullo scanno di ferro che regnava al centro della sala. Non aveva identificato la Sua persona sin dall'inizio, mancando di mostrare il rispetto che questa meritava, curvandosi subito al suolo, in deferente silenzio, per rimediarvi a modo.
« Benvenuti. »
Avrebbe riconosciuto quella voce autoritaria in mezzo a mille altre. Solo in un'occasione aveva avuto modo d'incontrare il regnante, e quel suono gli era entrato nella pelle, ora irretita da un gelido brivido.
« Non ha importanza né come né perché abbiate raggiunto questa plaga. »
Aveva organizzato Lui quel torneo. Come il Leviathan. L'ipotesi dell'evasione dalla monotonia sfumò in un attimo nell'obbligo di adempiere al volere del Sovrano nonostante tutto. Se quello era un altro gioco del re che non perde mai, lui -da suddito asservito- avrebbe giocato per compiacerlo. Solo per compiacerlo.
« Ciò che ha importanza è che solo chi di voi io decreterò trionfate potrà andarsene di qui vivo. »
Un fremito, un battito del cuore mancato. Avrebbe dato volentieri il braccio destro se il Re ne avesse avuto bisogno -o lo avesse anche solo desiderato per capriccio. Chiudendo gli occhi in un lento e comprensivo battito di ciglia, rinnovò con serenità la propria promessa di servirLo, e di obbedire a quanto gli era appena stato impartito.
« Accapigliatevi, ora. »
Imperioso, lasciò spazio a poche interpretazioni. Avrebbe dovuto combattere lì, in quel momento, contro sconosciuti che non aveva avuto il tempo di scorgere. Se il Re voleva divertirsi non gli avrebbe certo messo di fronte due esseri qualunque, al contrario -pensado all'esperienza del Leviathan-, ne sarebbe uscito alquanto malconcio.
You got me in the palm of your hand « Come desiderate, Maestà. » You know I'll give You the world
Alzò il capo fissando con un impercettibile vena di timore il Monarca che aveva di fronte, per poi issarsi con fare stanco e slacciare la spilla che legava il mantello poco sotto collo liscio e pallido, lasciando che cadesse dietro di lui, al limitare dell'arena. Un fremito d'eccitazione, e la consapevolezza che l'opportunità che la piccola demone gli aveva tolto, gli si era ripresentata davanti, benvoluta eppur inaspettata. Non se la sarebbe lasciata sfuggire. E avrebbe combattuto. Lì, ora. Sotto gli occhi del Re. E avrebbe demolito il suo avversario per scorgere la soddisfazione negli scuri occhi che parvero inghiottirlo per un istante; niente necessità di trapassare qualche anima, nessuna volontà di mostrare la propria superiorità. Perchè se il Re voleva divertirsi andando al circo, lui gli avrebbe dato lo spettacolo che meritava. Senza chiedere niente in cambio.
Energia Verde Energia 150% Consumi: // Equipaggiamento - Bahamut nella fodera - Occhio della Lince [+50 PeRm] - Anello del Potere Maggiore Status Fisico: Illeso Status Psicologico: Lucido, triste Forma: Umana
Il Candore Accompagna Il Mio Cammino ~ Fear Passiva di timore reverenziale dovuta alla razza Avatar angelico. Non Funziona su pari energia e avatar angelici. [Passiva Razziale] La Magia Pregna Il Mio Spirito ~ Energy Risparmio del 5% su ogni consumo energetico. Tecniche che consumano l'1% nel caso in cui il costo venga abbassato a zero. [Pergamena Risparmio Energetico]
Azioni: //
Note: In pratica non mi trovo proprio davanti al trono del Re ma sono leggermente defilato sulla destra, al limitare dell'arena. - Benchè la passiva razziale non abbia alcuna influenza l'ho citata lo stesso, spero non causi problemi - Il titolo si rifà ovviamente a Noki (malgrado il mio pg non sappia che sia effettivamente lì) e al Re, per ripagarlo dell'aver fatto diventare Zephyr un Toryu.
Sudato fradicio, steso sul legno sudicio della camera. Ora sono sveglio, nel buio. Ti è piaciuto? Le sue antenne sfiorano le pareti del mio cervello, le sue lingue vibrano dentro le mie orecchie. Affondo il viso nelle mani, soffoco un pianto. Lo so che ti è piaciuto. Sì, ma io sono ancora qui. Me ne ero liberato, non lo sentivo più. Singhiozzo. L'ampia camera è troppo buia per l'orario, il tramonto. Gli scuri sono serrati, non sopporto di vedere con quanta prepotenza l'esterno voglia trapassare le finestre ed imporsi sul mio sfondo. Lo rifiuto.
Non pensate che io sia una marionetta dagli arti legati a fili invisibili. Non pensate che io sia solo un corpo vuoto governato dall'Orrore. Il mio domatore non se ne sta su un piedistallo d'oro a frustarmi, obbligandomi a saltellare continuamente dentro cerchi infuocati. Lui mi sodomizza ogni giorno, ogni notte, e il suo sperma cresce dentro come una pianta di rovi, un rampicante parassita che collega i pistilli alle mie vene. Il cuore pompa ad un ritmo arbitrario, regola la mia sudorazione e la mia respirazione. Decide quali emozioni debba provare. La sensazione è quella di avere una seconda anima.
Lo Sciame accarezza le mie sinapsi, poi le stritola e le fa esplodere come pesche mature. Per pochi secondi sono io, poi è lui. Relega il mio pensiero in un angolo buio e umido dell'inconscio. Non ho più la padronanza dei miei muscoli: le mani si muovono da sole, le gambe si stirano contro la mia volontà, gli occhi roteano impazziti e una risata agghiacciante riempie la camera. Seduto. Ho dormito ancora per terra. Il mio odio turbinante termina solo quando bussano alla camera.
Nell'oscurità, fra gli strilli acuti di animaletti impronunciabili e i ronzii delle zanzare, il mio corpo scricchiolante si alza e si avvicina alla porta. Un occhio rigonfio si spiaccica contro l'uscio, chiedendosi chi abbia bussato e che cosa voglia da me, da noi. Oltre la lente: nessuno. La maniglia si piega come un muscolo ritorto, schiocca come un osso rotto. Il cigolio, triste e lungo, di un pulcino caduto dal nido. Oltre la soglia: nessuno, ma non niente. Qualcosa c'è, a terra: un vasetto di vetro, chiuso, e un foglio di carta.
Le mie ginocchia si piegano sotto uno sforzo esterno ed invisibile che non riesco a controllare. Le mie mani da burattino di carne e peli sollevano gli oggetti, poi sbattono la porta. La lettera è breve e concisa, la leggo quando la mette davanti ai miei occhi: Spero possiate gradire il nostro regalo, firmato: L'Abiezione. Il delizioso presente è dentro le circolari e trasparenti pareti di vetro: uno scarafaggio, immobile e pensieroso come un muro di pece. Uno spuntino? Un dolcetto? Uno stuzzichino? Una piccola spilla di incubo zampettante.
Osservo le mie mani che svitano il tappo, e vedo che lo schifoso bacherozzo casca di dorso al centro del mio palmo. Che pensiero gentile. L'essere si dimena, incapace di girarsi, follemente terrorizzato dal ritrovarsi il mondo alla rovescia. Sei pronto per il secondo giro, Xain? No. Non sono pronto. Perché me lo chiedi quando puoi leggermi fra le pieghe della mente? Perché è più gratificante sentirtelo dire. Cosa vuoi andare a farci a quel torneo? Uccidere, nutrirmi. Da troppo tempo non vedo tormenti, voglio il sangue, voglio i cadaveri delle foche macellati contro le punte di ghiaccio. Senza di questi non può sopravvivere. Se sparisce l'odio, sparisce anche lui. Ecco perché mi ha portato qua: dopo l'estinzione della vita sulla Terra lui non poteva continuare ad esistere.
Lo scarafaggio, nero come me, si avvicina alle mie labbra spalancate; è trattenuto fra il medio e il pollice. I denti lo stringono a metà, sento il suo zampettare frenetico contro le gengive. La lingua lo arrotola bagnandolo. Si spacca a metà e dense frattaglie gialle infiammano le papille. Vomiterei se non fosse che non mi trovo più al Clan. Con il cadavere dimezzato di un insetto in mano, con un senso di nausea nello stomaco, con il sole che tramonta romanticamente alle mie spalle, con le carcasse fredde di macchine arrugginite tutt'intorno ai miei anfibi, non posso fare a meno di sentirmi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, nella vita sbagliata.
Dritto di fronte ai miei occhi c'è ancora lui ed è sempre il primo a parlare: « Benvenuti. Non ha importanza né come né perché abbiate raggiunto questa plaga. Ciò che ha importanza è che solo chi di voi io decreterò trionfate potrà andarsene di qui vivo » l'espressione allucinata dello Sciame non cambia. C'è una cosa che non ti ho detto. Cosa? Siamo qui per il Clan. Cosa significa? Questo torneo è ottimo per fare a pezzi qualche umano che non appartiene al Goryo. Devi smetterla di dare per scontato che vincerai. Io vinco sempre, Xain. Quello che perde sei tu.
Ormai privo di controllo, posso solo guardare il mio corpo muoversi sotto la sua influenza. Estrae dalla sacca nera la Saimyosho e vi infila dentro il mio braccio destro. La lama doppia schiocca come una chela, poi il ronzio si diffonde in tutta la sala. Ho paura che, questa volta, non potrò fare nulla per fermarlo.
Zucchero, Cannella e Tutto ciò che è Bello Questo è ciò di cui sono fatte le bambine
Noki rimase seduta, le gambine che non arrivavano a toccare terra e che andavano avanti e indietro, avanti ed indietro in un moto continuo: non era esattamente arrabbiata, magari un pochino infastidita, ma non lo era con il Fratellone, non esattamente. Si potrebbe semplicemente dire che Noki era annoiata ed essere annoiata, per la coniglietta, era la cosa peggiore che potesse succedere. Berzenev, seduto sulle sue ginocchia, la guardava con la testa leggermente piegata, privo anche lui di idee su come far passare il tempo. Annoiata, dunque, e quale modo migliore di sconfiggere la noia che andare a cercare persone con cui giocare? E così si era ritrovata a cercare il Fratellone Liam e il suo Signor Lupo sperando che volessero giocare con lei – beh, perché non avrebbero dovuto? Era una bambina adorabile lei, dopotutto! – e invece aveva trovato il Fratellone in ospedale, tutto fasciato. All’inizio aveva pensato che il Fratellone si stesse mascherando, per una qualche festa o ricorrenza di cui la coniglietta non sapeva nulla, e l’aveva realmente creduto fino a che un’infermiera non le aveva spiegato che il Fratellone era ferito. Povero, povero Fratellone! Ferito e costretto ad un letto di ospedale! Si stava probabilmente annoiando a morte ed era dovere di una Brava Bambina fare in modo che questo non accadesse! Il problema era che Noki aveva poi scoperto perché il Fratellone era ferito. Noki non si era esattamente arrabbiata alla scoperta, davvero, ma il Fratellone avrebbe anche potuto invitarla! E così era lì, seduta su una sedia troppo alta con il Fratellone Liam – stranamente agitato, che fosse ridoto davvero così male? – ed un piccolo, minuscolissimo, quasi-non-c’era broncetto. «Quiiiiiiindi» e strascicò le parole giusto un poco, cercando di sembrare completamentissimamente disinteressata alla faccenda «questo gioco a cui il Fratellone ha preso parte… si chiamava l’abiezione?» «Ehm sì,» rispose il Fratellone, guardandosi intorno nervosamente «ma, err, è una mia impressione o, eh, la ehm, la temperatura si sta abbassando...?» «E questo gioco…» e si bloccò, giochicchiando con le orecchie di Berzenev e mordicchiandosi il labbretto come se si vergognasse un pochino «…se Noki-chan, per dire, volesse partecipare… potrebbe? Non che Noki-chan sia realmente interessata! E’ più una curiosità ecco, se non hanno invitato Noki-chan allora a Noki-chan non interessa per nulla nullissima! E-ecco sì, ma comunque, se volesse…» Doveva mostrarsi disinteressata! Disinteressatissima! Lei non voleva certo partecipare a qualcosa per cui non era stata invitata! Noki-chan era una Persona Importante ora! Non poteva certo abbassarsi a partecipare a giochi del genere, ecco. Lo diceva solo per pura curiosità, perché le piaceva tenersi informata. Tutto qui davvero. «Uh... certo. Cioè, certo! Non vedo perché, hm, no... ma, hm, seriamente, non senti questo strano brivido? Cioè, davvero? Venner?» Ma Noki-chan nemmeno lo stava ascoltando. In un attimo si dimenticò di essere completamente non interessata alla questione e, saltando giù dalla sedia, si lanciò sul lettone del Fratellone Liam – ricevendo in cambio uno «EEEK! Nonono giù via! C-cioè, no, err, mi fai male, eh, molto, molto male, ah...» di cui davvero non si diede pena. «A-allora magari Noki-chan potrebbe partecipare, sì, come favore, ecco» mormorò, sorridendo e facendo saltellare Berzenev felicemente «Noki potrebbe anche non giocare, ecco, ma gli altri Fratelloni ci rimarrebbero male, ne? Quindi magari Noki-chan giocherà» E si voltò verso il Fratellone, cercando la conferma delle sue parole. «S-sì! Certamente! Noki-chan è una bravissima bambina! Ora per favore scendi, mio Dio. No, cioè, le mie gambe, le mie povere gambe, ci sei seduta di sopra, scenderesti dal letto ora, ehm, per favore? » Noki guardò il Fratellone Liam confusa, prima di scendere dal letto, il buonumore completamente ritrovato. Aveva qualcosa da fare, ora! E doveva andarsi ad iscrivere subitissimissimo, o altri Fratelloni avrebbero potuto essere tristi per la sua mancata partecipazione. Una Brava Bambina come lei non poteva certo permetterlo! «Bene allora, Noki-chan va a rendere qualche Fratellone felice ♥ Ci vediamo dopo, Fratellonee!» e lo salutò con la manina, facendo in modo che Berzenev salutasse subito dopo – era un coniglietto educato, lui – e corricchiò fuori dall’ospedale, felice come una pasqua, non sentendo minimamente il povero Liam che, stremato, diceva «Ciao, piccola Noki-chan… oh! Il brivido freddo è sparito… saranno stati i macchinari?»
What are little boys made of? Snaps and snails, and puppy dog's tails! What are little girls made of? Sugar and spice, and all that's nice!
Destra, Sinistra, Centro, Sinistra, Sinistra… I piedini battevano sulla strada mentre la piccola Noki saltellava allegramente tra i quadrati appositamente disegnati con il gessetto. Destra, Destra, Centro, Sinistra, Centro… Sull’ultimo quadrato, un singolo quadrato disegnato in uno sgargiante rosa, spiccava una piccola biglia rosa anch’essa. E Noki, saltello dopo saltello, si avvicinava alla piccola sfera, incapace di trattenere i risolini che le nascevano quasi spontanei. Centro, Sinistra, Destra, Sinistra, Centro… Mancavano solo due quadratini, due piccoli quadratini e Noki-chan sarebbe arrivata a prendere la biglia e a quel punto il vero gioco sarebbe cominciato. Doveva rompere la sfera, le era stato detto. Doveva rompere la sfera per partecipare a quel nuovo ed entusiasmante gioco di cui il Fratellone Liam le aveva parlato. Due soli quadratini e avrebbe reso dei Fratelloni estremamente felici. E Noki rise.
Destra…
E Noki fece l’ultimo balzo, era un Sinistro, probabilmente, ma Noki-chan ritenne che, una volta tanto poteva anche rompere una piccolissima regola. Unì i due piedini e, ridendo, la piccola bambina cadde sulla biglia, urlando. Poté quasi sentire i pezzi di vetro rompersi sotto il suo peso – e, se fosse stata anche solo leggermente più intelligente, avrebbe capito che davvero non era una grande idea – e in un attimo la stradella che era stata lo sfondo del suo gioco scomparve. «Fueh!!!» urlò la coniglietta mentre, intorno a lei, tutto cominciava a deformarsi e scomparire sotto i suoi occhi. Che strano gioco era quello?, il Fratellone Liam non l’aveva menzionato. Sotto gli occhi spalancati della piccola macerie e rottami apparvero quasi all’improvviso – che si fossero nascosti, prima? Che quello non fosse altro che un’incredibilmente coreografico nascondino? Non lo sapevano che Noki era bravissima a quel gioco? Il mondo intero sembrò cambiare e quando, intorno a lei, il paesaggio sembrò finalmente stabilizzarsi Noki, occhi e bocca spalancati, portò una manina a strattonare Berzenev, quasi a svegliarlo. «Berzenev, ne ne! Hai visto? Fueh! Noki-chan già si sta divertendo un mondo!» ed era vero, certo, ma la piccola sapeva che non era tutto semplicemente finito. Doveva esserci qualcun altro, il Fratellone Liam le aveva parlato di un gioco, di un Fratellone Insetto e Noki si guardò intorno curiosa ed eccitata. La prima persona che Noki vide fu quello strano personaggio che se ne stava tranquillamente seduto e poi quello strano Fratellone Enorme che, manco a dirlo, Noki avrebbe tanto voluto andare a conoscere – era altissimissimissimo e sembrava davvero un’enorme montagna! Forse era una montagna che si era persa, come quell’altro Fratellone che aveva incontrato una volta all’entrata al clan e che… Stava già pensando di avvicinarsi davvero e chiedergli se essere una montagna era noioso come sembrasse quando il suo piccolo ed infantile sguardo fu catturato da qualcos’altro. Per la prima volta in tutta la sua vita, Noki non seppe come comportarsi. Essere una Brava Bambina lontano dalla Nobile Fu era difficile, difficilissimo, ma Noki faceva sempre del suo meglio. Però ora non sapeva cosa fare. Ricordava quel Fratellone, lo ricordava molto bene. Era quel Fratellone che l’aveva messo in punizione. Era il «Fratelllone Angelo di Neve Non Fatto di Neve» Lo aveva sussurrato, come a cercare di capire cosa farne, con quel nome. Non le piaceva il Fratellone Angelo di Neve e la Nobile Fu le aveva sempre detto di stare attenta agli angeli, doveva dunque essere scontenta di vederlo? Ma… ma il Fratellone forse era lì per giocare con lei… forse voleva farsi perdonare per l’ultima volta! Forse aveva saputo che Noki-chan partecipava al gioco ed era venuto a scusarsi. Forse potevano essere amici, ne? «F-Fueh… Noki-chan è felice di rivederla, Fratellone Angelo di Neve…» o almeno, pensava di esserlo, il che era abbastanza per lei. Fu allora che si rese conto che c’era un quarto Fratellone lì – il che, davvero, la prese di sorpresa. Un quarto Fratellone stava, dall’altro lato della sala, in piedi a guardare il Fratellone seduto sul trono… ora che ci faceva caso, anche il Fratellone Angelo di Neve lo stava guardando. E Noki ancora non sapeva chi fosse! Perché Noki-chan era sempre l’ultimo a sapere le cose? Aspetta, aspetta! E se fosse stato l’organizzatore? Aveva un senso, no? Era chiaro! …E chi era l’organizzatore, esattamente? Troppo eccitata all’idea di questo nuovo, esilarante gioco Noki aveva completamente tralasciato dettagli come chi l’aveva organizzato: si era fatta spiegare le regole, le aveva imparate a memoria, ripetendole più volte per essere sicura, e poi si era gettata sulla biglia – e, a proposito di questo, i suoi piedini cominciavano a fare un po’ male e, guardandosi le scarpe, notò effettivamente che alcuni pezzettini di vetro si erano infilati nelle suole, nulla di grave! Noki-chan aveva una pelle estremamente robusta, fueh! In ogni caso il problema era, ora, capire chi fosse questo Fratellone Organizzatore. Il che era un gran problema. Forse Noki-chan avrebbe dovuto presentarsi, a quel punto il Fratellone Organizzatore avrebbe dovuto presentarsi anche lui, no? Era Buona Educazione, almeno. Inspirò profondamente, gonfiando le guancette e si preparò ad urlare – per nessuna ragione apparente – quando il Fratellone cominciò a parlare.
CITAZIONE
« Benvenuti. »
«GRAZIEFRAtellone» rispose la piccola, urlando, inizialmente, per poi abbassare a mano a mano il tono della voce. Non avrebbe voluto rispondere urlando, non esattamente comunque, ma la preparazione per l’urlo di prima e l’improvviso discorso dell’altro l’avevano lasciata un po’ di sprovvista «Oh, ehm, scusate?» Scusarsi era quello che le Brave Bambine facevano. Anche se aveva fatto un errore sarebbe andato tutto bene, ne?
CITAZIONE
« Non ha importanza né come né perché abbiate raggiunto questa plaga. »
Non… non aveva importanza? Ma erano arrivati lì seguendo delle regole, come potevano delle regole non avere importanza? Era impossibile, no? No? Eppure, eppure sembrava perfettamente logico, assolutamente giusto. Noki-chan non riusciva a trovare cosa potesse esserci di sbagliato nelle parole del Fratellone Organizzatore. Non c’era nulla di sbagliato, proprio nulla.
CITAZIONE
« Ciò che ha importanza è che solo chi di voi io decreterò trionfate potrà andarsene di qui vivo. »
E Noki si illuminò come un albero di natale. Quella, Noki ne era supersicurissima, era una regola. Una regola che Noki si ripetè un paio di volte in testa, giusto per essere sicura di aver memorizzato perfettamente, con ogni lettera al posto giusto. Perché seguire le regole era importante.
CITAZIONE
« Accapigliatevi, ora. »
Noki annuì con la testolina più volte, piena di entusiasmo. Quello era l’inizio di un bellissimissimo gioco! Lo poteva quasi sentire nell’aria, sotto le ossa. Oh, era tempo di giocare, neh? Ma prima che Noki potesse dire qualcosa –e, davvero, questo stava diventando noioso – il Fratellone Angelo di Neve parlò, rivolgendosi al Fratellone Organizzatore e stupendo completamente la piccola coniglietta.
CITAZIONE
« Come desiderate, Maestà. »
Maestà? Aveva già sentito questa parola, ne era certa, ma dove? Per quanto ci provasse non riusciva proprio a ricordarlo… Ce l’aveva sulla punta della lingua, davvero! Noki-chan non dimenticava mai niente ed era sicurissima di averlo già sentito quindi… Quindi… E fu allora che l’illuminazione la colpì. «Il Fratellone Re?» strillò la piccolina, portandosi le manine davanti alla bocca. Oh, oh, ooooh! Non aveva mai incontrato il Fratellone Re prima d’ora. Mai, mai, maimaimaimai. Quindi… quindi il Fratellone Re era l’organizzatore? Non era stato anche l’organizzatore di quel gioco in cui aveva vinto il suo piccolo Berzenev? Se quello era davvero un gioco organizzato da lui allora Noki-chan non aveva il minimo dubbio: quel gioco sarebbe stato incredibilmente divertente. Sorrise, prendendo il piccolo Berzenev e portandoselo al petto. I due coniglietti erano pronti.
«Fueh! Diamoci da fare Fratelloooni ♥ Noki-chan vuole g i o c a r e con voi ♥»
Crimson on her tiny figure Blades on the unexpected guest Come to think of it and it's funny
CHAPTER I: M o r n i n g A f t e r D a r k
The time has almost come Just a little bit and will be over Breath, deeply Can you see the light?
Aveva pensato di poter prevedere le mosse del Re, finendo così con il peccare d'ingenuità. Gli occhi solitamente socchiusi in espressioni che spaziavano dalla malinconia al disprezzo, si erano d'improvviso aperti, stupiti davanti alla sorpresa che gli era stata riservata. La figura seduta sullo scanno metallico al centro della sala l'aveva stupidamente illuso che quel torneo fosse una replica del Leviatano, un suo doppione. Mai ipotesi fu più sbagliata. Un lieve cenno di costernazione, un angolo delle labbra debolmente inarcato espressero il suo rammarico per aver creduto di poter sapere cosa il Re Invincibile avesse avuto in mente per lui, per loro. Per loro tre. Il duello non sarebbe stato, infatti, il solito scontro tra una sterile coppia di individui, no. Distogliendo lo sguardo dal Monarca per imprimere nella memoria la figura che era stato chiamato a dilaniare, costatò di essere divenuto parte di un triangolo alquanto bizzarro. Audace e imprevedibile, il Re che non perde mai aveva optato per un combattimento insolito, tra un trittico di contendenti che non lasciava spazio a previsioni certe. La noia, o forse solo la prospettiva dell'imprevedibile, aveva spinto il Monarca a una simile decisione. E Cenere non poteva certo deludere le aspettative riposte in una simile scelta. Per soddisfare la curiosità, seconda solo al rispetto della figura che sedeva comodamente al centro della sala, si voltò verso coloro che, a causa della deferente priorità concessa al Sovrano, erano stati in un primo momento -giustamente- ignorati. Scorse così il primo, le fattezze trasandate e i vestiti logori, trattenendo una smorfia di disgusto per evitare di trovarsi a costretto ad ammonirlo e urlargli in faccia quanto fosse poco opportuno presentarsi in quel modo davanti a un Re. Le iridi si mossero lente, speranzose di trovare dall'altra parte qualcuno che avesse decisamente più senno. Ma quando gli occhi vacui e altezzosi si girarono dalla parte opposta, incontrando la piccola e gracile figura del secondo sfidante, si sgranarono incredule su di essa.
«Fratelllone Angelo di Neve Non Fatto di Neve»
Quel lieve susurro aveva accompagnato la discesa sulla seconda figura, sostenendo reminescenze di tragici ricordi che celeri avevano preso a vorticare, sospinti solo dalla remota eventualità che il passato fosse già tornato a trovarlo, che la tortura stesse finalmente per finire. Che fosse un ammaliamento o un'allucinazione, il capo si era fatto rapido e deciso, girandosi di scatto verso quella sagoma ancora senza forma.
The night has gone The dawn is here on your way
Era davvero l e i. Se la ricordava, se la ricordava eccome. Ambulante menzogna pregna di un'oscurità impossibile da rischiarare, quella bambina giocosa celava una natura demoniaca dietro un involucro grazioso e ilare, preservando nel proprio animo l'esistenza di un essere rinnegato, simile a un comune ragazzo, con i capelli ardenti e un occhio bendato. Il cappottino, gli occhioni lucenti da fanciulla, l'apparente innocenza che contraddistigueva ogni suo gesto. Quella bambina avrebbe combattuto contro di lui. E per un istante gli parve di vederla sul serio: la fine del tunnel.
«F-Fueh… Noki-chan è felice di rivederla, Fratellone Angelo di Neve…»
La vocina acuta di lei gli gracchiò nella testa, rimbombando pericolosamente come se le pareti della ragione potessero collassare da un momento all'altro su loro stesse, lasciando che la cenere esplodesse attorno a lui e, portatrice di morte, avvampasse nell'arena colpendo indistintamente chiunque vi fosse all'interno, sfogando mesi di patimenti repressi. L'ennesimo brivido freddo gli puntellò la schiena, destandolo dall'insensato proposito che avrebbe finito con il deludere il Re e trovarlo costretto a evitare quell'attacco che Lui, sicuramente, avrebbe trovato banale. Il ragliare fastidioso e insensato, l'ascia bipenne che si portava dietro. Nulla era cambiato dal precedente incontro, nemmeno l'abitudine di appuntarlo con quella fastidiosa nomea.
« Ufficiale Noki... » Pacato, calmo. Si trattenne. «Quale onore averla qui. »Bugiardo
Strinse spasmodicamente i pugni abbandonati lungo i fianchi fino quasi a tagliarli con le sue stesse unghie, sfogando una rabbia impossibile da mostrare a causa del contegno da tenere in presenza del Regnante. E di un suo superiore. Distoglse lo sguardo da quello di lei, scrutandola attentamente dalla testa ai piedi, come a cercare conferma che si trattasse davvero della stessa persona che tempo prima era riuscita a batterlo. Intrise di una punta di disprezzo, le labbra si dischiusero nuovamente.
« Vedo che -rispetto al nostro precedente incontro- avete un nuovo giocattolo. »
Essere fedeli al Toryu significava essere fedeli anche agli uomini che lo comandavano, e non aveva la minima intenzione di mostrarsi impertinente davanti a due di loro, malgrado uno di questi lo indisponesse più di quanto non lasciasse intendere. Scorto il coniglietto rosa ch'ella si portava dietro, ne approfitto per dare al Re la parvenza del rispetto che intercorreva tra i suoi sottoposti. Da cretino pensava che Colui che non perde mai si facesse fregare da un mentitore di terza categoria; e comunque non era nemmeno sicuro che del rispetto gliene fregasse qualcosa, a Sua Maestà. Il tenero oggetto che la bambina portava con sè gli diede l'input per rivolgergli la parola, dimostrando il ricordo ancora vivo che ardeva in lui. Per quanto insolita, l'arma usata da Noki era l'ascia bipenne con la quale aveva provato più volte ad affettarlo e farlo esplodere. Era un'arma strana per una bambina -anche se demone-, ma ella la usava con provata maestria; per questo fu colto da un fremito di terrore al solo pensiero di come potesse servirsi di un oggetto che si confaceva così tanto alle sue forme mortali. Quel coniglietto gli ispirava insani pensieri di preoccupazione. Con un lento e comprensivo battito di ciglia sancì la fine del reverenziale teatrino, decidendo che era giunto il momento di cominciare i giochi, dando al pubblico quello per cui i contendenti erano lì. Mosse lentamente la dritta sul pomolo di Bahamut, preparandosi a brandirla, ad avvinghiare le proprie dita su di essa per menarla contro i loro avversari, quando un fastidioso ronzio cominciò a risuonargli in testa. Strizzò gli occhi con evidente fastidio, portando il palmo che prima mirava a ghermire Bahamut verso la tempia, premendovi sopra con forza. Subito spostò lo sguardo sulla figura sudicia e trasandata poco lontano, identificandolo come la causa di quel lieve e irritante malessere che l'aveva colpito. Non l'aveva mai visto prima, tantomeno -dato il putridume che lo ricopriva- avrebbe desiderato un secondo incontro con lui. Non era umano, perchè la spada -ancora infoderata- non dava segni di riconoscerne la natura caratteriale, ma ciò non bastava certo a spiegare com'egli potesse minare in quel modo l'altrui concentrazione.
Throw on your break lights or your train of thought will be altered
Il rumore che sembrava atto unicamente a frantumare la concentrazione, già difficile per via del rapporto che aveva con Noki, gli aprì in realtà gli occhi su quello che sarebbe successo di lì a poco. Lui che agognava un combattimeno contro il demone, lui che non aspettava altro che una seconda possibilià, lui, l'Oracolo sconfitto da un demone voleva d a v v e r o che nella sua vendetta si immischiasse anche quell'illustre sconosciuto ronzante? No di certo. Una smorfia appena accennata, velata di sadismo s'aprì sul volto. Quell'essere era d'impiccio, s'intrometteva impunemente tra lui e il demone, e per di più osava infastidirlo con quell'osceno rumore. E allora decise sarebbe stato il primo, quel coso. Non aveva ovviamente bisogno di trovare scuse o espedienti per attaccare qualcuno o qualcosa, ma il solo pensare a ciò che lo spingeva a prendere simili decisioni l'aveva sempre fatto sentire un gradino più in alto rispetto alle bestie quali i comuni mortali erano. Prese così a camminare verso di lui, lento, calmo, mettendo in atto un piano architettato sul momento, conscio del fatto che avrebbe funzionato. Sorrise tra se al compimento del primo passo, rivolgendo la parola alla triste figura davanti a lui. Noki avrebbe aspettato solo qualche altro secondo. Cercò così di concentrarsi, provando a fissare il rivoltante nemico negli occhi senza che la nausea gli pervadesse le interiora. Pur guardandolo, si concentrò sull'incanto ormai prossimo al rilascio piuttosto che sui caratteri della tetra sagoma da cui nascena il ronzìo.
Temporis Titano, lineae Domino, Crono, fluxum interrumpi. Ventus desiniat, Continuum consistat, Aer immotus et cum eo omnes qui id spirant factus sit. Mihi potestatem eos qui te rinnegant deridere das.
Esordì quindi verso di lui, per attirarne l'attenzione e fargli voltare il capo verso su di sè. Il tono era calmo, vagamente sardonico, assolutamente sincero. Quel mortale si era solo trovato nel posto sbagliato, al momento sbagliato, con la gente sbagliata.
« Scusa » La finzione smacherata da mezzo ghigno « niente di personale. »
Un momento dopo, quando anche il secondo passo toccò il terreno dell'arena, la clessidra del tempo si arrestò per qualche istante. Ferma, immobile la vecchia fucina che faceva da palco divenne all'istante un dipinto incredibilmente reale e vivo. Gli attori all'interno parvero divenire statue di cera dalla fattura più che ottima, e lo costrinsero a posare il proprio sguardo su quell'effimera creazione da lui creata. Represse a stento un sorriso compiaciuto, piegando le ginocchia per darsi la spinta verso l'alto, con candide ali piumate che, nate dalla natura lucente tracimata verso l'esterno dall'anima, si spalancarono all'esterno, sostenendo il balzo compiuto dalle gambe ora distese. Si librò così in volo, rapido e deciso, portandosi oltre il nemico sconosciuto in modo da lasciarlo sbigottito una volta esaurito l'incanto. Aveva pensato di attirarne l'attenzione con poche parole per farlo voltare verso di lui, per poi balzare dalla parte opposta e attaccarlo. Atterrò lentamente, prima con un piede e poi con l'altro, tenendo alta la concentrazione vista l'assenza di quel fastidioso ronzio. L'avrebbe attaccato ancora prima che si accorgesse della sua sparizione, colpendolo di sorpresa. Voleva rimanere solo con il demone e, per sua sfortuna, quell'essere dalla razza indefinita era solo un impiccio. Tragico malcapitato in una lotta che non gli apparteneva.
Tropo, strato, meso, aero, iono, exo. Elementi io v’invoco. Aria, terra, fuoco e acqua. Datemi la forza, elettrizzate l'atmosfera.
Tese quindi il braccio verso di lui, spalancando la mano in attesa che l'incanto temporale si sciogliesse, abilitandolo a lanciare la magia successiva. Il tempo avrebbe ripreso a scorrere, stupendo coloro che prima fissavano le candide forme del ragazzino, sorprendendo coloro che si sarebbero interrogati su dove quella strana figura dagli occhi rossi fosse scomparsa. Un lampo avrebbe indicato loro la via da far seguire ai loro sguardi. Un rombo avrebbe suggerito alle loro orecchie dove voltarsi. Le urla lancinanti del nemico, forse, gli avrebbero suggerito che aveva fatto bene a lasciarlo di stucco per poi colpire alle spalle. Il fulmine squarciò così l'aria, sfrigolando in toni bluastri verso le spoglie del sudicio mortale. Qualcuno l'avrebbe potuto definire meschino come gesto, in fondo stava cercando di attaccare alle spalle il proprio nemico per farne polpette, ma chiunque avesse osato tanto non poteva chiaramente comprendere quanto Zephyr agognasse la rivincita con la maledetta bambina. Tantomeno avrebbe potuto capire quanto un angelo fosse superiore ed estraneo, viste le circostanze, a simili concetti. Il lordo, tra i tre, era solo l'intruso. L'ostacolo che gli impediva di bearsi nuovamente della luce della vittoria, di uscire dal tunnel del disonore. L'alba era finalmente vicina, dopo la notte senza stelle.
Energia Verde Energia 130% Consumi: Medio x1 (Stop) + Alto x1 (Jupiter) = 5% + 15% = 20% Equipaggiamento - Bahamut nella fodera - Occhio della Lince [+50 PeRm] - Anello del Potere Maggiore Status Fisico: Illeso Status Psicologico: Determinato Forma: Angelica
Il Candore Accompagna Il Mio Cammino ~ Fear Passiva di timore reverenziale dovuta alla razza Avatar angelico. Non Funziona su pari energia e avatar angelici. [Passiva Razziale] La Magia Pregna Il Mio Spirito ~ Energy Risparmio del 5% su ogni consumo energetico. Tecniche che consumano l'1% nel caso in cui il costo venga abbassato a zero. [Pergamena Risparmio Energetico]
Il Fulmine Condanna I Miei Nemici ~ Jupiter Affinando la propria capacità sul controllo degli elementi naturali, Zephyr ha acquisito la straordinaria capacità di plasmare saette direttamente dal palmo della sua mano, al modico costo di qualche istante di concentrazione e un dispendio Alto di energie. Nell'immaginario di Zephyr, il fulmine rappresenta l'espressione massima della giustizia divina, della quale, avendo accettato l'incarico di Oracolo, lui è uno dei massimi esponenti. Insomma, è un incanto che gli piace molto. Come biasimarlo d'altronde? La folgore sarà incredibilmente veloce (non quanto il suono però) e colpirà rombando e sfrigolando il nemico provocando ustioni di media entità sparse per il corpo e un generale senso di stordimento, e ovviamente diversi danni magici magici per un totale complessivo danno Alto. [Abilità Attiva - Consumo Alto][Pergamena Scarica Elettrica]
Domina la Magia le Sabbie del Tempo ~ Stop Dopo almeno un secondo di ferma concentrazione, Zephyr è in grado di fermare il flusso del tempo per un massimo di dieci secondi. In questo lasso di tempo, però, non potrà attaccare il proprio avversario in alcun modo, né tramite attacchi fisici, né tramite pergamene, né tramite artefatti, né tramite abilità, ma muoversi, nascondersi, o identificare un nemico troppo veloce. Infatti, una volta attivata la tecnica, solo lui sarà in grado di muoversi come niente fosse, spostandosi senza che gli avversari immobili come statue possano scorgere il percorso da lui intrapreso, riapparendo semplicemente in un punto diverso da quello cui era stato visto l'ultima volta. Tecnica utilissima in GdR e soprattutto in combattimento. Il tempo dev'essere fermato in un post, e deve tornare a "muoversi" al termine dello stesso. Zephyr riesce a fermare il tempo per una decina di secondi. Utilizzata per difendersi va considerata una Difesa Assoluta. [Abilità Attiva - Consumo Medio][Pergamena Stop]
Azioni: Parlo a Xain cercando di attirare la sua attenzione (e il suo sguardo) verso di me, poi uso lo Stop per portarmi dalla parte opposta e attaccare con Jupiter prima che possa capire che fine io abbia fatto.
Note: Ovviamente il mio pg vuole Noki, e non è disposto a condividerla con qualcun altro xD - Nel caso abbiate problemi a postare in questo periodo mi scuso per non aver atteso altro tempo io stesso per postare. Scusate ma non so oggi o domani cosa avrei potuto fare xD
Tre. Siamo in tre. Anzi, siamo in cinque, ma solo da tre involucri sgorgherà il sangue. Beh, io sono due, quindi forse sarebbe più corretto parlare di quattro. Siamo in quattro. Siamo in tre e mezzo. Io sono il mezzo. Anzi, forse sono solo uno stupido quarto, o un insignificante sedicesimo. Uno fratto infinito, sono una forma indeterminata schiacciata da due sudice parentesi quadre. Anzi, io non sono qui, è tutto un incubo da cui non posso più svegliarmi. Sento ancora le spine sulla pelle.
Il primo è un angelo, un altro. Tanto tempo fa mi sono nutrito delle loro ali, ho strappato le loro piume e li ho visti gridare rosso. Guardateli, con la loro purezza che, come un fiume, infradicia la sporca terra dove io ho poggiato i piedi, e dove non cresce più nulla. Forse non proviene dalla Terra, forse non sa nulla del mio passato. La sua chioma argentea, il suo piumaggio eburneo, sì, non ci sono dubbi. Dovrò macchiarmi di un altro delitto così immondo? No, io no, Lo Sciame sì. Ma per lui è tutto così... normale.
La seconda è una bambina, un'altra. Eppure, dopo aver squartato l'innocenza di tanti infanti, dopo aver visto madri e padri piangere di fronte al supplizio del loro neonato, dopo essermi sporcato dei liquidi fuoriusciti dai cordoni ombelicali di feti di pochi mesi, e dopo aver pianto sui cadaveri di madri dal ventre scoperchiato come una bocca senza denti, come fa a farmi paura? Da tanto, troppo tempo non la provavo per qualcosa che non fosse lui. Lo Sciame mi scuote, mi dice che se ho paura di quella vuol dire che sono proprio degno di essere un umano. Ma non riesco ad ignorare il brivido freddo che percuote la mia spina dorsale densa di ragnatele.
La Saimyosho squassa l'aria come una cesoia ancora due volte, poco prima di rendermi conto che il primo mi si sta avvicinando. Il mio capo si volta, morto, per osservarlo. Biascica qualche parola che, dalle mie insufficienti reminiscenze, sembra assomigliare al latino. Risparmia il fiato, non ti capisco. Glielo vorrei dire, ma la mia bocca rimane serrata, come cucita. « Scusa » Oh, un ghigno. Nonostante il suo tono così infinitamente elevato, quella smorfia lo tradisce. Non ho mai visto angeli con una simile espressione. « Niente di personale »
L'attimo in cui il mio sguardo si perde nel vuoto è veloce come un lampo estivo. Non è più lì. Un fruscìo alle mie spalle, coperto da un rombo. Un fulmine, la carne bruciata, i vestiti laceri. La testa mi gira, le parole del parassita risuonano confuse, rimbalzando dentro la scatola cranica. E solo allora noto che sono stato colpito. E solo allora noto che sono sdraiato pancia a terra, e che il mio corpo è quasi tutto ustionato. Come ha fatto ad essere così veloce? Già lo amo. Un punto in meno per Lo Sciame, anche se quello che soffre sono io. Quello che soffre sono solo e sempre io.
Le mie membra tremanti sono al centro di una piccola pozza di scarafaggi fritti, immobili e più neri di loro stessi. Basta sfiorarli perché si sbriciolino. Alzati. No. Alzati. No. Rimango sdraiato, si sta così bene. Lui non mi forza, non ha bisogno di muovermi per combattere. Le mie labbra si schiudono e, anche se non lo guardo in faccia, gli parlo: « Personale? » no, non sono io, è Lo Sciame. « Io non sono una persona »
Gonfi tumori maligni crescono sulla mia schiena. La circolazione si blocca formando emorragie interne che nessuno può notare, tranne me. La camicia si strappa, il giubbotto viene fatto a brandelli quando una palla di carne, una strana placenta, si innalza dalla mia spina dorsale. Un uovo, un ventre, un portale verso il male. Lo sentite il ronzio? Io sì, lo sento da troppi anni ormai, così tanti da non farmi nemmeno dormire la notte. Non mi ci sono mai abituato. Dicono che quando si è soliti soffrire dopo si sopporta anche il dolore. Fisico o mentale. Volete la mia opinione? Già lo sapete come la penso a riguardo.
Poi esplodo, la mia schiena partorisce quaranta figlie sporche del mio sangue e delle mie angosce. La pelle intanto si richiude, lascia una nuova ferita sulla mia anima gonfia e pelosa. Api, vespe blu. Combattono il fuoco con il fuoco, il fulmine con il fulmine. I loro aghi, i loro pungiglioni vogliono la carne, vogliono bagnarsi, vogliono eiaculare il loro sperma velenoso contro il viso della bambina, vogliono violentare quel debole angelo asessuato. Sarà uno stupro di gruppo, e io sarò costretto a guardare.
Le vespe ronzano furibonde attorno al mio corpo, mi nascondono agli occhi dei due avversari. Lo Sciame non odia l'angelo perché ci ha colpiti, Lo Sciame non odia la bambina perché mi fa venire i brividi. Lo Sciame è equo, indifferente, ogni vita è uguale ad un'altra, le azioni sono tutte uguali. Ecco perché lo sciame di vespe si dimezza, e si dirige furibondo verso entrambi. E io sono ancora sdraiato, prono, disperato.
Ha deciso di combattere, e per evitare fastidi mi lascia qui, a terra, a crogiolarmi nelle mie agonie. La Saimyosho schiocca, e la sua oscurità raggiunge gli occhi dei due poveri ingenui, come una nube nera che obnubila il senso su cui si è basata tutta l'evoluzione umana. Già, perché il senso più sviluppato dell'homo sapiens sapiens è la vista, e senza quella cosa può fare? Solo soccombere.
Tutto questo accade poco prima che le vespe raggiungano la giovane vergine. Le avrebbe viste avvicinarsi sempre di più, poi il nero avrebbe avvolto le sue orbite immacolate e tanti spilli assetati avrebbero trapassato la sua carne con un furore indescrivibile. L'angelo invece dovrebbe perdere il dono della vista quando già le vespe stanno violentando la sua pelle candida. Io questo lo so perché lo sa Lo Sciame.
Noki-chan gongolò, spostando la testa prima a destra e poi a sinistra, estremamente compiaciuta: il Fratellone Angelo di Neve le aveva chiesto di Berzenev! Si era ricordato di lei così bene che si era reso conto che Berzenev non era stato con lei al loro primo gioco. Doveva proprio trovarla adorabile, ne? ♥ Strinse il piccolo coniglietto maggiormente al petto, trattenendosi dal saltellare per l’agitazione. Ora doveva fare in modo che Berzenev si presentasse, era fondamentale, era Buona Educazione e Berzenev era un Coniglietto Educato. Stava per farlo quando uno strano rumore cominciò a disturbare le orecchie della bambina. Era un rumore estremamente fastidioso, un ronzio continuo ed incessante e Noki si voltò prima da una parte e poi dall’altro cercando di capire da dove provenisse: era fastidioso, avrebbe dovuto smetterla. Le dava fastidio. Perché non stava smettendo? Si rese conto soltanto allora che, mentre lei si era concentrata a cercare la fonte di quel rumore, qualcuno aveva apparentemente dato il via al gioco – via che la bambina non era stata in grado di sentire a causa di quel maledetto rumore, evidentemente. La cosa importante, comunque, era che stavano per giocare ♥ Il gioco stava iniziando e Noki-chan non aveva alcuna intenzione di perdersi un singolo attimo di quell’incredibile divertimento. Noki-chan era prontissimissima a giocare con i due Fratelloni e rendere quel gioco il più bello bellissimo del mondo. Lo era davvero. La Coniglietta guardò con profondo stupore e divertimento mentre il Fratellone di Neve mandò a segno il primo attacco contro l’altro Fratellone – che fosse stato scarso come Fratellone questo nuovo? Aveva preso un solo colpo eppure rimaneva sdraiato senza muoversi. La piccola si portò un ditino al mento e posizionò il coniglietto dentro il cappuccio del cappotto, giusto per avere le mani libere, e avanzò due passettini, incerta. Avrebbe dovuto chiedere come stava? Quello era un gioco, quelle cose non si sarebbero dovute fare, ma Noki-chan era anche una Bambina Molto Buona e…e…non sapeva cosa fare. Comportarsi bene a volte era così difficile. E poi c’era quel rumore, quel rumore che non le permetteva di ragionare. Perché nessuno aveva fatto andare via il rumore? Tossicchiando due volte la piccola cominciò a parlare, la vocina quasi un bisbiglio «Tutto bene, Fratellone, ti sei fatto la bua?» non era sinceramente preoccupato, ma un gioco diventava più divertente più persone vi partecipavano, ne? E Noki-chan voleva che tutti giocassero, voleva che tutto il mondo si unisse in quello strano gioco senza regole. Poi il resto avvenne così velocemente che Noki-chan ebbe fatica a seguirne i fatti con la sua piccola e stupida testolina. Ricordava solo il corpo del Fratellone che si inarcava e poi quelle vespe che volavano contro di lei e il fatto di aver pensato "Ma allora deve essere il Fratellone Insetto contro cui ha giocato il Fratellone Liam!... Ew". Ricordava di aver estratto Minesht, pronta a farla girare davanti a lei, come protezione per quelle vespe, e poi più nulla.
Il nero li aveva presi tutti E non se ne sarebbe andato fino a che sangue non fosse scorso Fino a che tutto sarebbe stato inondato da una marea di sangue
Noki non vedeva più nulla, sentiva solo quel ronzio fastidioso e le vespe e i loro pungiglioni e le scariche di elettricità che le percorrevano i muscoli ed era spaventata ed era stata inghiottita dal nero ed era sulla torre e c’era Luki… Oh, Luki. Luki odiava il nero. E qualcuno li aveva fatti piombare nuovamente nel nero e Noki doveva portare Luki lontano da lì, in un luogo dove il rosso avrebbe brillato sul nero. Doveva farlo per lei, per lui, per loro, per nessuno e per tutti. Non importava null’altro. Perché il nero aveva inghiottito tutto e tutti, perché erano stati mangiati e niente poteva battere il nero. Niente, se non il rosso. E nel mezzo dell’attacco, nella confusione generale la bambina prese in mano i piccoli dentini che aveva in tasca, portandoseli alla bocca. Doveva fare qualcosa per fermare tutto quello, doveva fare qualcosa per far sparire quel nero.
Doveva fare qualcosa e l’avrebbe fatto. E pian piano la bambina perse la ragione e il cappellaio rise dentro di lei, prendendo il suo posto. Dovevano fare qualcosa, lui doveva farcela, lei doveva dilaniare e, improvvisamente, non vi era differenza tra i due e le due personalità divennero una soltanto.
Ed era ora di giocare. Il ragazzo dai capelli rossi non si diede pena di constatare cosa stava succedendo. Nella sua bocca i denti di criceto stridevano contro i suoi, ma non si mosse per rimuoverli e, a poco a poco, il suo udito si affinò e il suo olfatto gli permise di percepire ogni singolo odore lì intorno. E in un attimo, anche senza la vista, tutto divenne chiaro. Il rumore era insopportabile, un ronzio potente ed incontrollato che gli martoriava le tempie che premeva e pressava ed era due volte più potente di prima. Non poteva vedere, non poteva sentire, ma poteva odorare. Odore di carne bruciata, l’odore della terra, l’odore del sangue: tutti si univano a poco a poco, si mescolavano per poi tornare nitidi per Noki e, in un attimo, sapeva cosa fare. In un attimo tutto divenne chiaro. E il rumore era tutto intorno a lui, e il nero li aveva inghiottiti, ma gli odori, gli odori, lo guidavano con forza e con prepotenza e Minesht, nella sua mano, sembrò quasi pulsare mentre l’ennesima vespa gli si piantava sul braccio sinistro e i suoi muscoli si contraevano dolorosamente. Era tutto indolenzito, si sentiva quasi come se non potesse muovere, come se, qualunque cosa avesse fatto, il dolore sarebbe stato insopportabile ed opprimente. A Noki l’idea piaceva così tanto Avrebbe riso, se avesse potuto. Avrebbe urlato – se di gioia o di dolore non lo sapeva – se avesse potuto. Avrebbe fatto risuonare la sua voce così forte che il ronzio non sarebbe stato più un problema. Se solo avesse potuto. Invece si limitò ad aprire la bocca il più possibile, come se stesse davvero urlando, e provando quasi la sgradevole sensazione che ogni muscolo del suo corpo non avesse intenzione di obbedirgli, lanciò contro le vespe tre lame, tre piccole lame d’aria che si sparsero nell’area con grazia, cercando di tagliarle a metà, di recidere loro le ali, di scoprire che odore aveva il loro sangue. Non poteva vederle, non poteva sentirle – quel ronzio, oh quel ronzio – ma poteva annusarle, non erano inodore, niente in quella stanza lo era. Nulla, comunque, che a lui interessasse distruggere. Quello che lui voleva, quello di cui lui aveva bisogno, era raggiungere quell’odore di carne bruciata e si lanciò correndo verso di esso, come una bestia che non vede altro davanti a sé se non la preda tanto agognata. L’avrebbe diviso a metà, si trovava a terra, no? L’avrebbe diviso a metà e poi avrebbe pulito il pavimento di quelle rovine con il suo sangue rosso come il sole, rosso come la vita. Con quel rosso che li avrebbe salvati tutti. Si sarebbe avvicinato a quel corpo sdraiato e, quando sarebbe stato abbastanza vicino, avrebbe cercato di fargli cadere addosso la sua Minesht, (la sua cara adorata Minesht, non era bella, era bellissima) all’altezza dello stomaco. Voleva dividerlo a metà, voleva distruggerlo. E poi sarebbe stato in grado di vedere, e poi sarebbe stato in grado di sconfiggere il nero.
Confidence is a must Happyness is a plus Edginess is a rush
CHAPTER II: I Got You On M y R a d a r
Interesting sense of style A mucky junk-bug smile Think I can't handle that
Rimase a guardare il suo colpo andare segno, aprendo il volto a una leggera smorfia di soddisfazione. Attuato dopo un movimento che la lorda sagoma avrebbe interpretato come istantaneo, il fulmine a ciel sereno sfrigolò sul trasandato corpo, lanciandolo per terra, ricoperto da ustioni di diversa entità. Massima espressione della giustizia divina di cui si era fatto esecutore, quell'incanto non lo tradì nemmeno quella volta. ...contrariamente a quanto fatto più volte contro Noki. I pensieri s'involarono inconsciamente verso la sagoma della bambina poco distante, muovendo le iridi rosse nella medesima direzione, come a volergli intimare di stare attenta; perchè questa volta le cose sarebbero andate diversamente. Fortunatamente a distrarlo dai suoi pensieri tornò quella pressante sensazione di essere circondato da uno sciame d'insetti, dandogli la parvenza che il nemico -il cui corpo giaceva ora a terra, prono- fosse tutto intorno a lui, pronto a colpirlo alla prima distrazione, pronto a ucciderlo al primo passo falso. Riportò lo sguardo scocciato su di lui, deciso a farlo fuori il prima possibile per provando a se stesso che quel corpo era fatto di carne e sangue come chiunque altro, che la presenza aleggiante tutt'intorno al campo di battaglia era in realtà un mero ammaliamento che non meritava nemmeno di essere degnato. Un istante dopo, dovette subito ricredersi di quanto pensato. Sgranò gli occhi, scorgendo il fato gioire mentre contraddiceva i pensieri appena accennati, resi improvvisamente stupidi e privi di senso davanti a quell'evidenza tanto lampante quantoimprobabile. Lacere e divelte, le vesti di quell' -apparente- uomo partorirono un putrido sciame di marcescenti insetti. Sgorgarono fuori da lui come li avesse tenuti dentro di sè fino a quel momento, serbandoli con cura per scagliarglieli contro alla prima occasione. Erano chiaramente troppi e troppo grossi perchè potessero essere contenuti all'interno di un singolo fantoccio di carne umana, quindi, Zephyr intuì, dopo lo stupore iniziale, di come dovesse trattarsi di una qualche strana -e orrida- pratica magica. Oscura, probabilmente. Sospirò sconsolato nel vedere come il nemico fosse rimasto a terra solamente per dare il via a quel parto lurido, invece che lasciare che i due Toryu si sfidassero per la vittoria. Per un istante aveva erroneamente pensato che dopo il fulmine si fosse convinto di non dover interferire, di essere di troppo in mezzo a un angelo e un demone, e invece no. Aveva approfittato della posizione prona per liberare uno sciame di schifo volante, per attaccare i due contendenti che ambivano a sfidarsi l'un l'altro, senza intrusi. Specialmente quelli dai quali uscivano insetti giganti. L'orrida flotta di vespe enormi e bluastre gli volò incontro, triste esempio di come l'ostinazione portava il più delle volte a fare cose incredibilmente stupide e senza senso. C'erano altri possibili motivi a spingere un mortale a battersi con degli Avatar, personificazione terrena di potenze ancestrali? L'essere si stava lasciando prendere la mano, risultando agli occhi dell'Oracolo semplicemente patetico. Forse; f o r s e, fino a qualche istante prima avrebbe potuto perdonare -nemmeno lui ci credeva più di tanto- all'essere ancora disteso a terra la malcapitata intromissione nella personale sfida contro il demone Noki, ma ora, dopo che gli aveva deliberatamente lanciato un insieme indefinito di essere putrescenti, sarebbe stato impossibile persino per il più misericordioso degli angeli trovare una giustificazione plausibile che avrebbe scampato l'uomo lordo dalla punizione che meritava. E visto che, tra tutti gli angeli, lui non era certo il più benevolo, Cenere non vide altre soluzioni se non il totale annichilimento. Non avrebbe reso l'anima agli Abissi del Chaos, anzi, forse non l'avrebbe nemmeno ucciso preferendo lasciare al Re una simile decisione. Dopotutto, in quella fucina a cielo aperto, sotto la luce del crepuscolo, loro erano solo le marionette che Colui che non perde mai aveva lasciato libere al solo scopo di scannarsi. Prendendo nuovamente coscienza della situazione in cui si trovava, si decise a difendersi, un angolo della bocca alzato a pregustare i suoi successivi attacchi. La dritta si mosse rapida verso la fodera della spada, estraendola nell'esatto istante in cui le prima vespe gli arrivarono addosso, tentando di sfondare le loro piccole teste con il primo ruggito della candida lama ora salda nel pugno. Una spazzata orizzontale che mirava a aprire a meta il muso delle prime due che le iridi cremisi furono in grado di scorgere, menata con malcelato disprezzo per l'orrido essere che deteneva un potere così tristemente ripugnante. Non fece in tempo a costatare la riuscita del primo fendente, che subito dovette girarsi di scatto verso quelle che si erano dirette alle sue spalle nel vano tentativo di attaccarlo da dietro, vili. Una tattica che -dovette ammetterlo- gli avrebbe causato un sacco di problemi nel caso non avesse saputo controbattere adeguatamente. Cosa che si premurò di fare pressoché subito, attivando la percezione della Figlia un istante dopo averne recitato mentalmente la formula.
Aradia figlia bendetta di Thespia, Dea degli smarriti il sentiero è buio, la foresta è fitta l'oscurità domina, Io ti invoco, porta la luce
whether it's now or later I got you You can't shake me
Rinvigorito dall'incanto, mulinava la spada con notevole consapevolezza, sapendo esattamente dove e come colpire, usando sia la spada sia le ali. Menava fendenti mirati a tranciare le deboli carni degli insetti, sbattendo al contempo le ali per disturbarne il volo e allontanarli dal corpo impegnato in spazzate ed eleganti giravolte. Era divenuto in grado in grado di percepire le presenze attorno a lui: gli insetti, l'uomo a terra, la piccola Noki, persino il Re comparve nella mappatura mentale dell'area circostante. Ma non era abbastanza. Accompagnata dai denti digrignati e dal dolore causato dai muscoli tirati dal dolore, la consapevolezza di non poter tenere testa alle scosse elettriche, che gli insetti gli stavano procurando, si fece strada in lui con inaudita velocità, serpeggiando rapida verso l'ovvia decisione che restava da prendere. Non riusciva a colpirle tutte; irretito dai quei colpi ripetuti e incessanti il corpo non faceva in tempo a trovare il giusto equilibrio e i movimenti risultavano così scoordinati e fuori tempo. Fu così che, nata dal disappunto per le movenze poco fluide, balenò l'idea di disinfestare l'area prima dal padrone e poi dagli scagnozzi. Piegò le gambe, liberando un fioco alito di voce causato dall'ennesimo scossa. Ma quando fece per spiegare le ali e lanciarsi all'indietro, librandosi in alto per togliersi di dosso quelle opprimenti evocazioni, una strana nebbia violacea gli offuscò la visuale con una fumata che di salubre seppe avere davvero poco, visti gli effetti seguenti. Scomparsa la lugubre fumata, essa si trascinò dietro tutto, t u t t o. I fendenti decisi della spada, le strane vespe giganti, persino la luce del crepuscolo che avvampava nell'arena. Qualsiasi cosa le iridi cremisi potessero vedere vennero inghiottite dalle tenebre più cupe, lasciando l'angelo cieco e privo del principale supporto su cui faceva affidamento in battaglia. Ebbe un attimo di esitazione nel quale gli parve di cadere, destabilizzato dall'improvviso svantaggio che lo aveva colpito. Rimase immobile un attimo, gli occhi privati della consueta tonalità sanguigna sgranati verso il terreno. Si doveva per forza trattare di una tecnica a supporto dei putridi esseri dei quali ora subiva impunemente l'offensiva, l'ennesimo trucchetto sfruttato dall'uomo -ancora- sdraiato per attaccare i due Toryu. Sì, doveva essere per forza così. La stupida Noki non avrebbe mai usato un simile espediente. Fu necessario un istante di esitazione e diverse punture di quegli esseri scoccianti a riportarlo alla realtà dei fatti. Lo stupore per l'handicap improvviso svanì, comprendendo di come con la benedizione della Figlia non fosse affatto necessario vedere. Forte della mente d'auspice seguitò nel muovere la dritta armata di spada, riprendendo il movimento interrotto poco prima a causa dello spiacevole contrattempo. Quindi, ancora un veemente battito d'ali e le gambe piegate, e poi s'involò verso l'alto, spostandosi rapidamente sopra lo scanno del regnante per avere una visuale ottimale. Gli occhi privati della luce, si assottigliarono, assaporando il momento in cui la forza divina avrebbe divelto il cranio dell'uomo. O l'avrebbe sfracellato in mille pezzi. O ustionato brutalmente. Non aveva davvero importanza, non a quel punto. Percepì anche l'aura di Noki, accanto a quella del comune nemico, e nell'ennesimo flashback la rivide rifiutare il suo giudizio, subendo una saetta dopo l'altra senza crollare, sostenuta da quella forza di volontà che la opponeva agli angeli, risultando oltremodo ostinata. Nemmeno in quell'occasione si stava comportando diversamente, decidendo di frapporsi fra la sua magia e l'obiettivo. Convinse se stesso a fare il possibile per non colpirla, ma senza vista non poteva garantire il raggiungimento del risultato. La dritta armata di Bahamut cadde lungo il fianco, gli occhi inutilmente chiusi in meditazione. Non aveva tempo da perdere, non aveva il tempo di cambiare i propri piani. Desiderava combattere contro il demone da solo, senza intrusioni, eliminando il terzo incomodo prima di passare all'obiettivo più ambito, ma, se l'ostinazione di Noki era tale da voler mettere in discussione qualsiasi idea gli balenasse in testa, allora tanto peggio per lei. Lui ci aveva provato.
Tra la vita e la morte io t'invoco. Tra l'alba e il tramonto tu risorgi Il fuoco, l'aria brucia Il fuoco, l'aria spegne. Sorridi Thespia Dea della rinascita dona il tuo potere al figlio del Chaos che ti chiama Aria, fuoco e cenere Aria, fuoco e cenere C e n e r e. Muori e risorgi Che il cerchio si chiuda.
La mancina scattò in avanti, liberando una bordata di grigia cenere dalla potenza esorbitante che sfruttava la frustrazione nata da quel ronzio indistinto nato e dall'uomo e dalle api. Quel rumore aveva leso irrimediabilmente la calma già provata dalla presenza di Noki, finendo con il convincerlo a chiudere la questione senza mezzi termini. Rombante, Thespia tuonò nella sala, liberando un raggio d'uggiosa magia largo quanto il palmo della mancina, il cui contraccolpo quasi lo costrinse a volteggiare all'indietro, stupendo persino il caster. Memore della posizione dell'uomo e forte della propria percezione, lanciò l'attacco dove ricordava essere la testa che lui stesso aveva lanciato a terra poco prima. Noki, però, sembrò volerlo contraddire a ogni costo. Ancora una volta. Aveva percepito l'aura demoniaca muoversi verso il nemico, attaccandolo corpo a corpo come lui sapeva fin troppo bene. Probabilmente aveva mulinato l'ascia un paio di volte, provando poi a dividere a metà il corpo del malcapitato. E lui si era trovato costretto a ridurre le dimensioni dell'immenso potere delle Forze per evitare di colpirla. Se gliel'avessero predetto avrebbe ucciso il cartomante per palese incompetenza. Con sorriso laconico dovette ammettere che quello era il giusto prezzo da pagare per combattere con Noki. E questo si sarebbe avverato solo dopo aver eliminato l'intruso scelto dal Re; lo stesso che, invano, l'aveva privato della vista, inconsapevole del fatto che la preda di un Oracolo era sempre sotto tiro. Un Campione non poteva permettersi di farsi sfuggire l'obiettivo, e presto anche il padre degli insetti l'avrebbe imparato. Sbattendo nuovamente le ali si allontanò da quella posizione, sapendo bene che le vespe l'avrebbero presto raggiunto. Volle evitare di far piovere sul Re i cadaveri degli insetti rimasti, preferendo spostarsi di qualche metro a lato, abbastanza lontano perché eventuali schizzi di sangue non raggiunsero le sacre spoglie regali. Si sarebbe mosso di lato, frapponendo diversi metri di distanza tra lui e lo scanno del Regnante, troppo deferente e rispettoso per avvicinarglisi troppo senza che questi desse il proprio assenso a una tale avventatezza. Poggiati gli incerti piedi a terra un sussurro rammaricato uscì dai denti stretti dell'angelo.
« Chiedo venia, Mio Signore. »
Malgrado la noia delle piccole ferite subite a causa degli insetti riuscì a chiedere perdono. Si sentì in dovere di farlo, per aver attaccato da una posizione dalla quale il Re non l'avrebbe potuto scorgere e per aver rischiato di dover trafiggere le vespe sopra il suo capo, rischiando che gli cadessero addosso dei viscidi corpi d'insetti morti. Rimase così in attesa, traendo un respiro profondo per controllare il fiato speso a causa dell'ingente porzione di energia rubatagli dall'incanto di cenere, ben conscio del fatto che nessuno si sarebbe premurato di rispondergli nel mezzo dello spettacolo. Cieche, le iridi si assottigliarono evitando il dolore delle punture e dei muscoli tesi dal dolore elettrico per concentrarsi sull'esito degli attacchi portati da lui e dalla bambina.
Perché nel caso Thespia avesse fallito ci avrebbe riprovato. Perché se l'ostinazione dell'uomo era tale da opporsi ai due Toryu loro avrebbero continuato la loro opera di distruzione. Perché se gli aveva tolto la vista nel tentativo di scappare con maggior facilità, non ci sarebbe riuscito.
Energia Verde Energia 94% Consumi: Basso x1 (Vision) + Critico x1 (Thespia) = 1% + 35% = 36% Equipaggiamento - Bahamut nella fodera - Occhio della Lince [+50 PeRm] - Anello del Potere Maggiore Status Fisico: Danni totali tra il Basso e il Medio sparsi per il corpo (concentrati sul braccio sinistro e la gamba destra) Status Psicologico: Determinato Forma: Angelica
Il Candore Accompagna Il Mio Cammino ~ Fear Passiva di timore reverenziale dovuta alla razza Avatar angelico. Non Funziona su pari energia e avatar angelici. [Passiva Razziale] La Magia Pregna Il Mio Spirito ~ Energy Risparmio del 5% su ogni consumo energetico. Tecniche che consumano l'1% nel caso in cui il costo venga abbassato a zero. [Pergamena Risparmio Energetico]
La Vista Svela Le Mie Incertezze ~ Vision Aradia, figlia di thespia, è la Dea dei dispersi e aiuta chi la invoca a trovare al retta via anche in situazioni dove gli occhi risultano inservibili. Legato alla Dea a causa del patto che la famiglia VanRubren ha stipulato con Thespia sua madre, Zephyr è in grado di invocare una piccola parte del suo potere dal piano astrale al solo consumo Basso e, con la capacità donatagli da questa divinità, diviene in grado di percepire le aura degli esseri attorno a lui in un raggio di venti metri. Questa tecnica è quindi utile nel caso vi sia carenza di luce o l'angelo sia impossibilitato a vedere, aiuta anche nel caso si combatta contro mostri invisibili e altri casi che non è necessario elencare. [Abilità Attiva Personale - Consumo Basso][Durata: ooo]
Cosparge il Mondo la Cenere ~ Thespia La cenere. Il simbolo della vita e della morte, quanto il marchio di fabbrica che suo padre gli ha lasciato. Keros, era l'Oracolo di Cenere e, al momento della sua morte, ha lasciato tutto ciò che possedeva al figlio, Zephyr. In virtù di questo sin da piccolo l'angelo era stato allenato nella padronanza di quest'elemento ma per l'elevata difficoltà che esso comporta, è riuscito solo da poco a padroneggiarlo perfettamente. Quest'abilità gli conferisce un potere praticamente assoluto sulla cenere che da il nome al suo titolo di Giudice. Egli è infatti in grado di manipolare quest'elemento come meglio crede, creando dai propri palmi sfere, raggi, barriere et simili. Essi potranno prendere vita dalle mani dell'angelo o a un massimo di trenta centimetri dal suo corpo. Una volta castata la tecnica egli sarà ancora in grado di controllarla, in maniera limitata, con gesti delle mani e della dita per indicare la direzione da seguire. La cenere è in pratica un attacco non-elementale di livello Variabile. [Abilità Attiva Personale - Consumo Variabile][Usato Critico]
Azioni: Mi difendo dalle vespe e attivo l'auspex, mentre provo ad allontanarmi rimango cieco ma grazie all'auspex riesco a contrattaccare le vespe e andarmene. Volo a qualche metro d'altezza sopra lo scanno di Ray e ti attacco dove mi ricordo essere la tua faccia con un raggio critico dal diametro che è circa la larghezza di un palmo; provo a non colpire Noki che ti si è lanciata addosso. Atterro a qualche metro dallo scanno.
Note: Per le vespe ho supposto fossero abbastanza deboli singolarmente visto che ognuna contava come un ventesimo di energia gialla evocate con consumo Medio e che tecnicamente io dovrei essere forte il doppio di una comune energia gialla. Ho evitato di calcolare quante volte io sia più di forte di una singola vespa, sperando di essermela quantomeno cavata nell'evitarle e attaccarle xD - Un'altra cosa, non ricordo se sono concessi movimenti dopo il secondo slot o alla fine del turno, nel caso sia così mi dispiace, ma volando sopra la testa del Re per ottenere una visuale ottimale dell'arena, non potevo certo rimanere sopra di lui per troppo tempo per le ragioni spiegate nel post xD Specifico che mi sono spostato dall'altra parte dell'arena, non sono tornato dove mi hanno attaccato le vespe. - Quando capirò che questo è un combat forse farò dei post leggermente più corti e adatti - Non sto citando Chevalier volutamente, non vogliatemene.
Questo era il grido di battaglia dell'Insetticida, un gruppo congiunto di polizia e militari che agiva allo stesso modo in ogni parte del mondo. Il movimento era stato allestito quando la minaccia dello Sciame iniziava a diventare più seria del previsto, e prima che avatar angelici e demoniaci scendessero sulla Terra nel tentativo di fermarmi, di fermarci. Purtroppo l'Insetticida non ebbe molta fortuna, visto che vennero tutti quanti uccisi. Tutti. Uno dopo l'altro. Divorati vivi, sventrati e avvelenati.
Ammetto che questa scena è molto simile a tante altre già vissute: una persona che mi corre incontro con l'unico scopo di schiacciarmi come un comune scarafaggio. C'erto è vero anche è la prima volta che provo paura per una cosa simile. Forse anche l'Insetticida ha compiuto lo stesso errore, ovvero tentare di eliminarmi come se fossi una vespa, o una zanzara. Poi si sono resi che non potevano fare nulla, e sono tutti morti. Chissà se oggi cambierà qualcosa. Chissà se oggi, finalmente, sarò io a morire.
La bambina, o qualcosa che assomiglia ad una bambina, si avvicina mentre l'angelo, o qualcosa che assomiglia ad un angelo, si allontana. Si danno il cambio? Due contro uno? Se io sono due, e loro due, alla fine siamo pari. Già, ma io non combatto, me ne resto qui sdraiato e chiudo gli occhi. Ti prego, colpiscimi, tranciami metà, sventrami. Liberami. Salvami. Ma so che non succederà, perché io sono il protagonista, e non posso essere salvato.
La mannaia piomba verso la mia unta spina dorsale, fischiando, e sento che la pelle della schiena si apre. Per un attimo penso di essere vicino alla morte, e mi scappano un sorriso e una lacrima. L'accetta si piantata, sì, da qualche parte si deve essere piantata. Eppure non mi convince, perché sento che il dolore sparisce e che qualcosa di pesante mi sovrasta. Quando apro gli occhi sono ancora lì, ma con un grosso insetto nero sulla schiena.
Il Cervo Assassino che mi è uscito dalla schiena ha subìto il colpo, e la sua corazza si è aperta come una vulva, perdendo liquami marroni e sudici. Lo sento soffiare, tremare, è nato da due secondi e già rischia di finire nell'Ade. Ha solo un'ultima cosa da fare: si lancia in avanti, spalancando le tenaglie. Tenta di lanciarsi contro il demone e la sua aura di brividi che continua a squassarmi le costole. Vuole infilare le lame sotto le sue glabre ascelle, per poi stringere il busto e far esplodere le spalle, dividendo la testa dal resto del corpo. Ma questo non basta, perché sento anche il mio braccio destro vibrare.
Il ronzio aumenta, e tanti viscidi esseri alati mi escono dagli occhi e dalla pelle. Si appoggiano sulla chela per avvelenarla con piccoli frammenti della mia anima corrotta. Mentre il Cervo salta addosso alla piccola avversaria la Saimyosho si muove velocemente, per colpire con entrambe le proprie punte la coscia sinistra dell'avversaria, e trapassarla da parte a parte. Così da impregnare quelle membra con una parte di me, come se la stessimo violentando. Se le lame l'avessero colpita, si sarebbero poi spalancate per fare a brandelli la carne.
Intanto che succede tutto questo le voci delle vespe rimanenti risuonano nei nervi dello Sciame. Sono soltanto quindici le superstite. Accerchiatelo, accerchiate l'angelo candido. Violentate anche lui. Ve lo sta ordinando vostro padre. Sollevate le ali, vibrate ancora una volta le vostre punte di agonia. E quelle volano, malconce, verso l'angelo. Lo devono circondare ancora, lo devono attaccare ancora. Finché non sarà morto, o finché loro non saranno state sterminate.
Io, intanto, rimango qui sdraiato, fra i rumori e i pensieri. Chiudo ancora gli occhi, vorrei dormire, ma la carne arrostita e i brividi di paura me lo impediscono. Forse anche Lo Sciame me lo impedisce. Forse il fatto di essere al centro di un ring me lo impedisce. Forse la mia coscienza me lo impedisce. Forse l'uomo seduto me lo impedisce. Forse il golem malforme me lo impedisce. Forse il fatto di essere malato me lo impedisce. Forse essere lo scrigno di tutta l'iniquità dell'universo me lo impedisce. Oppure è Lenore che, ancora una volta, mi toglie il sonno. Già, forse...
«Both of my arms are in red handcuffs Someone is surely spilling the color of blood Both of my ankles are in blue chains They are surely the color of someone's tears»
Luki-chan, non ti vedo E’ colpa del nero, Noki-chan; è il nero che non ti va vedere nulla. Luki-chan, mi sento solo. E’ colpa del nero, Noki-chan; ha inghiottito tutto. Luki-chan, non riesco a sentire. Perché non c’è nessuno, Noki-chan. C’è soltanto il nero.
Noki non sentiva, Noki non vedeva, Noki poteva solo annusare il sangue e l’odio e la carne e il nero, nero, nero, nero. Non c’era altro intorno a lui perché il nero uccideva e inghiottiva e faceva sparire tutto. E Noki era solo. Luki-chan? Luki-chan, Noki ti proteggerà, ci pensa Noki. Luki-chan? ma c’era solo il ronzio a rispondergli, quel fastidioso incessante ronzio. Sarebbe mai smesso?. Doveva solo far sparire il nero, sarebbe stato facile! Doveva solo creare del rosso da qualche parte. Erano tutti pieni di rosso, sarebbe bastato squarciarli tutti, no? Squarciarli, tagliarli, spezzarli. Gettarli a terra come bottiglie di vetro e lasciare che il loro sangue uscisse e li ricoprisse tutti. Ci pensa Noki-chan, ci pensa lui. Sentì la sua ascia entrare in contatto con qualcosa (squarciare, dilaniare, distruggere, divorare) e presto l’odore del sangue gli inebriò le narici. Non era forse l’odore più bello del mondo? Aveva preso la causa del nero? Aveva distrutto chiunque stesse cercando di fare del male a Luki? (Luki-chan, Luki-chan dove sei? Noki non riesce a sentirti, Noki si sente sola. Perché avete lasciato Noki da solo?) Poteva sentire il calore del sangue, il liquido che scivolava tra le sue mani lentamente, poteva avvertirne il profumo metallico. Ma non poteva vederlo. Non era forse abbastanza il sangue? Ancora di più ancora di più ancora di più. Fino a che il mondo non fosse stato sazio, fino a che i suoi occhi non fossero tornati a vedere. Fino a che non fosse stato più solo. Fino a che persino l’aria sarebbe stata pregna ed i loro polmoni si sarebbero tinti di uno scintillante cremisi.
Ancora di più, ancora di più.
Le ferite che quegli insetti gli avevano procurato pungevano e facevano male e i suoi arti cominciavano a risentirne – ma non aveva importanza. Forse avrebbe dovuto attaccare un’altra volta, affondare la sua cara Minesht più a fondo - forse avrebbe dovuto tagliargli la testa… Ma prima che la fidata arma potesse compiere la volontà di Noki qualcosa attirò l’attenzione del demone – un rumore che si intrometteva nel ronzio, un odore che si avvicinava, sempre di più sempre di più. C’era qualcun altro? Non lo vedeva, non lo sentiva, ma stava arrivando. Avrebbe sanguinato? L’avrebbe scoperto. Con un gesto veloce portò Minesht in avanti, cominciando a farla ruotare sempre più velocemente – arrivava dall’alto, com’era possibile? C’era qualcuno che stava volando? Cosa si stava dimenticando? Forse avrebbe dovuto pensarci, forse avrebbe dovuto riflettere, ma il demone non riusciva a concentrarsi. Voleva sangue, voleva sangue e basta. Il sangue degli avversari, il suo sangue, il sangue che sarebbe sgorgato dal mondo quando l’avrebbe fatto a pezzi. Voleva il rosso, qualunque rosso e poi sarebbe andato tutto a posto. Tutto a posto. Una barriera si creò davanti al ragazzo, mentre Minesht girava e girava e girava come in un giro tondo senza fine, ma non bastò e presto il demone sentì che la barriera s’infrangeva e si spezzava in mille piccoli pezzettini – cosa l’aveva distrutta? Non vedeva, non sentiva, ma si faceva più vicino e quando il raggio lo colpì in pieno petto Noki fu incapace di respirare per un secondo.
Un dolore lancinante, un dolore assolutamente insopportabile lo colmò immediatamente. Ma non era questa la cosa più importante perché il sangue gli stava inondando la bocca e sporcando le bende – poteva sentirlo, poteva annusarlo ed assaggiarlo ed andava bene. Andava tutto bene. Il colpo l’aveva lasciato traballante sui suoi piedi e ancora prima che potesse ritrovare l’equilibrio qualcosa gli si buttò addosso. Qualcosa che profumava di sangue e andava bene. Voleva sangue, ancora più sangue, non c’era abbastanza sangue per sconfiggere il nero, avrebbe dovuto crearne altro. E, qualunque cosa fosse, quello che gli si era buttato addosso avrebbe fatto al caso suo. Caddero all’indietro entrambi, il demone sulla sua schiena e l’altro sopra di lui e Noki rise e rise – risate senza suono mentre il ronzio si impossessava della sua mente e lo faceva lentamente e letteralmente impazzire. Doveva solo alzare Minesht, che era ancora nella sua mano destra, e prepararsi ad attaccare. Poteva farlo, non avrebbe avuto scampo, l’avrebbe aperto completamente e poi il suo sangue si sarebbe riversato tutto su di lui – e tutto sarebbe andato a posto. Ma prima che il suo colpo potesse raggiungerlo l’ascia venne bloccata in orizzontale, Noki aveva quasi l’impressione che avesse appena bloccato qualcosa, come se due possenti mani si fossero chiuse intorno alla sua ascia e la stessero trattenendo. Forse avrebbe dovuto cominciare a chiedersi cosa avesse esattamente sopra di sé ma, ancora una volta, non poteva e portò anche il braccio sinistro su Minesht, cercando di respingere indietro qualsiasi cosa stesse bloccando l’ascia (Minesht doveva squartare e dilaniare e qualsiasi cosa fosse ciò che lo stava bloccando doveva sparire immediatamente). Non aveva tempo di pensare, non aveva tempo di riflettere. Noki poteva solo uccidere. Cercò di dare un calcio alla pancia dell’essere che lo teneva stretto a terra e fu in quel momento che lo sentì, un dolore lancinante, ma non alla gamba che si era appena mossa, no, ma al braccio. Nella caduta, la gamba era uscita dalla traiettoria del colpo dell’altro – per puro caso, dato che il demone era completamente incapace di vedere cosa succedeva – e quando Noki aveva alzato il braccio sinistro per portarlo a sostenere Minesht esso era entrato in perfetta collisione con l’arma dell’altro. E un dolore lancinante, nuovamente, lo colpì mentre poteva quasi sentire la sensibilità nel suo braccio scomparire lentamente – chi l’aveva colpito? Chi era stato? E perché l’essere che lo teneva bloccato a terra non moriva? Non potè fare altro che rimuovere il braccio sinistro da Minesht e allontanarlo dalla fonte del dolore – appena in tempo, poco prima che ne perdesse completamente il controllo, poco prima che l’arma dell’avversario potesse aprirgli a metà il braccio. C’erano troppe persone intorno a lui, troppi esseri e troppo poco sangue e poteva sentirlo di nuovo, finalmente, l’odore dell’avversario. Non era morto, sopra di lui c’era qualcos’altro - perché non era morto? Non lo sopportava, doveva morire, doveva morire. Doveva morire. Ma Noki non poteva muoversi, Noki non poteva muovere il braccio sinistro – ormai completamente paralizzato – e non poteva lasciare la presa su Minesht e fu solo allora che si accorse di quell’odore. L’odore familiare di sé stesso, di the e di stoffa, un odore che la bambina amava e che il demone odiava e che lui – che non era né l’uno né l’altra ma entrambi allo stesso tempo – sapeva essere il piccolo coniglietto che la bambina portava sempre con sé. Era lì, e allungando un po’ il piede sinistro poté toccarlo, sfiorarlo e seppe cosa fare. Diede nuovamente un calcio all’essere sopra di lui, sperando che questa volta sarebbe bastato a fargli mollare la presa e poi posizionò il piede sinistro sotto il piccolo coniglietto. Non ci volle molto per far compiere al piccolo peluche un saltello, un piccolo insignificante saltello e poi questo cominciò a trasformarsi. Il piccolo e tenero coniglietto rosa si modificò pian piano, mentre schizzava in aria guidato da forza propria. A Noki non interessava cosa avesse fatto, non interessava cosa (chi) avesse colpito. Voleva solo che tutto quello finisse. E le orecchie del coniglietto si allungarono e si trasformarono in ali e le braccia si strinsero e si allungarono e davanti all’avversario vi era un insetto, un insetto su cui non aveva alcun potere. Una vespa, un calabrone, una mosca, non era niente di tutto ciò, un miscuglio di tutto, semplicemente la realizzazione dell’immagine mentale di Noki, solamente una fantasia perversa e una zampa dell’animale si allungò improvvisamente – affilata come una spada si diresse verso il corpo dell’avversario, cercando di trapassarlo da parte a parte, di trapassargli il torace per arrivare ad infilzargli il cuore come uno spiedino. E il demone rideva e rideva una risata senza bocca e senza suono. Una risata che nessuno avrebbe potuto vedere. Presto il rosso sarebbe cominciato a sgorgare e lui avrebbe riacquistato la vista. Loro avrebbero potuto vedere di nuovo e Luki sarebbe stata lì e la Nobile Fu sarebbe stata lì ed era solo colpa del nero. Solo colpa sua se non poteva vedere nient’altro, se loro non erano lì, ed era colpa del ronzio se non poteva sentirli. Perché loro li amavano e non li avrebbero mai lasciati da soli. Chiuse gli occhi e quando li avrebbe riaperti loro sarebbero stati lì. E tutto sarebbe andato bene
E come posso fare sparire il nero, Luki-chan? Tu puoi fare qualsiasi cosa Noki-chan.
«When I woke up, I was alone In a room painted black I couldn't see or hear anything One person shivering in the darkness»
You shout and no one seems to hear neither you, nor the others
CHAPTER II: Despite of the sight, everything is paint in P i t c h B l a c k
There's someone in my head but it's not me And if the cloud bursts, thunder in your ear
Tentò di muovere un passo in avanti, sconcertato, ma scoprì le gambe dure come tronchi di legno di quercia, impossibli da muovere senza la volontà che sentì scemare all'istante, trasportata via con la stessa velocità alla quale le sue speranze vennero distrutte. Sgranati gli occhi ancora ciechi in un gesto istintivo, sentì la testa divenire pesante, incapace di reggere una situazione simile. Una circostanza creata da nessun altro che lui stesso. Nel buio della mente d'auspice aveva percepito distintamente una delle due luci lampeggianti vibrare sotto la forza del colpo di cenere lanciato poco prima, ma rimase allibito nel comprendere che non era stato il padre degli insetti a ricevere il suo personale trattamento. Era stata Noki. Distante diversi metri da lui, l'auspex gli disse chiaramente che era stata lei a subire il colpo, contraddicendo le sue reali intenzioni che con tanta fatica aveva mantenuto sino a quel momento. No, non poteva essere. Aveva calcolato tutto, volando persino sopra la testa del Monarca per avere una maggiore visuale, lanciando l'incanto a dimensioni ridotte per evitare di colpirla. Era impossibile che il suo colpo avesse preso un avversario intento ad attaccare il terzo incomodo. Non gli importava niente dell'onore o delle menzogne che gli umani usavano per giustificare comportamenti stupidi e fuori luogo, tantomeno ne avrebbe fatto uso dopo che il Re gli aveva chiaramente ordinato di "accapigliarsi". Non aveva senso farlo; il Re li aveva chiamati lì per vederli combattere e soffrire, sudare e offrirsi a lui per regalargli lo spettacolo che bramava, non c'era motivo di pensare che ci fossero norme da rispettare, no; figurarsi poi la cavalleria. Ma lui non voleva colpire Noki; lei doveva rimanere sino a che non sarebbero rimasti in due, loro due, per combattere come nella semifinale del Leviathan, per prendersi la rivincita contro quella dannata bambina. Le spalle si curvarono in avanti, desolate dall'errore commesso. Zephyr chinò il capo; deluso, affranto nell'animo per quella colpa. S c o n f i t t o.
« ... »
Pallido tentativo di esprimere il costerno che sentiva nascere e rimbombare dentro di lui, solo un fiato uscì dalla bocca dischiusa. Nessuna parola, nessun sussurro. Come se all'improvviso fosse divenuto muto si limitò a un sorriso tirato, finto, il classico buon viso a cattivo gioco. Una smorfia che costatava con cinica puntigliosità quanto fosse ironico scusarsi con un demone, e quanto fosse dannatamente patetico continuare a farlo innanzi al proprio Sovrano. Nel buio della cecità le fiammelle bluastre dell'auspex continuavano a muoversi intorno a lui, raggiungendolo in breve tempo, un lasso per nulla sufficiente perché si ridestasse dal dal tiepido torpore nel quale si era rinchiuso pur di non pensare all'accaduto. Occhio non vede, cuore non duole? NO, decisamente. Per quanto i suoi occhi fossero stati privati dalla luce del crepuscolo che avvampava nell'arena e delle sagome degli altri contendenti, i patimenti non accennavano ad alleviarsi. Troppo p r o v a t o e pensoso per alzare il capo verso di loro, si limitò a rinsaldare la presa su Bahamut, trasformandola nello strumento con il quale avrebbe sfogato la rabbia, liberando dalla frustrazione il proprio animo che seguitava nel rimproverare sè stesso per l'accaduto. Avrebbe alleviato le proprie colpe lasciando che l'ira sfumasse colpo dopo colpo e lo abbandonasse. Il rimpianto sarebbe rimasto, sì. Ma, riacquistata una certa lucidità, sarebbe stato più sopportabile. Le sentì farsi sempre più vicine, ormai prossime a lui. E decise che sarebbero state testimoni della rabbia che l'errore aveva risvegliato in lui.
I can't hear a thing I have got no service
Fendendo l'aria nella loro direzione, avrebbe combattuto quelle evocazioni mentre la bambina tentava di affettare l'uomo per terra che, per qualche motivo, era riuscito a sopravvivere ai loro attacchi, soprattutto alle asciate -che sapeva essere mortali- che il demone era in grado di scagliare. La sua eleganza, i movimenti fluidi e composti tenuti nella precedenti schermaglia con gli insetti parvero svanire in favore di una più liberatoria furia, fatta di pesanti colpi portati con foga e rabbia che però non invasero il volto gelido e inespressivo. Si muoveva come fosse divenuto lui stesso un demone, sbattendo le ali per atterrare i nemici con violenza e mulinando la spada come fosse una mazza o un'ascia, senza cambiare il placido atteggiamento con il quale era solito mascherare qualsiasi emozione. La rabbia e il rimpianto, in quella circostanza. Le avrebbe macinate, triturate quelle dannate vespe. Perseveranti nell'infastidirlo, proseguivano a ronzargli intorno, facendosi beffe di lui, aumentate ancora di numero solamente per schernirlo. Non sarebbe rimasto niente di loro. Niente. Nessuno avrebbe avuto testimonianza della loro esistenza, trovando solo corpi dissolti in mucchietti di grigia cenere, dissolti da un potere che nemmeno potevano comprendere con le loro testoline prive di una qualsivoglia coscienza o memoria. Si sfogò su di loro, dando adito all'incessante voce che sentiva crescere dentro di lui, liberando la frustrazione per un errore non calcolato, non previsto nei suoi piani di vendetta. E allora approfittava del peccato di cui loro si stavano macchiando per punirle ed estirpare dall'anima il proprio dolore. Sentiva i pungiglioni stuzzicarlo con le scosse, i fori nella pelle sempre più frequenti e sparsi sul corpo; e finalmente si placò. L'ennesimo battito d'ali e una veemente spazzata orizzontale, e la Bahamut si fermò all'istante, lasciando che fossero gli arti inferiori a completare a proseguire. Piegate di poco le gambe si diede una spinta verso l'alto tendendo il braccio mancino verso la sagoma del demone, attirandolo a sè con il palmo spalancato, ora non più infastidito da quei viscidi insetti magici. Durante il tentato sterminio delle vespe -placata l'ira- aveva realizzato in pochi istanti quale fosse il passo successivo da compiere per farsi perdonare con i fatti; visto che le parole adatte non erano state in grado di uscire dalla gola stretta nel rimorso. Alzatosi in volo percepì infatti le sagome immobili distese a terra, riconoscendo in Noki quella appena caduta -data l'immobilità che l'altro aveva tenuto per tutto il duello. Con la sinistra avrebbe quindi provato ad attrarla a se, cavandola dall'impiccio che lui stesso si sarebbe premurato di compiere. Ancora in volo si sarebbe poi diretto di lato, planando sempre più lontano dal Re, e incrementando il divario che intercorreva tra eventuali vespe rimaste. Il tragitto della bambina non sarebbe stato rettilineo per via della traiettoria eseguita dal volo, ma quelli erano solo dettagli. Toccato nuovamente il suolo, l'angelo non perse tempo, liberando la stretta che teneva Bahamut nella destra per lasciare che il metallo bianco tintinnasse a terra, poco lontano dal ginocchio che si premurò di poggiare nello stesso istante; assumendo la posizione adatta a lanciare quello. Sperò di sentire l'aura di Noki involarsi verso di lui, attratta verso di lui da quella magia tanto banale quanto utile a pareggiare i conti con la bambina.
Diprecht. Doh-tehenlo nu-Eryishon. Il figlio alla madre. Il fiume al mare. Eryishon, ascolta la mia preghiera
Nel momento in cui Noki si fosse trovata a metà tra lui e l'essere prono a bordo arena, la mancina si sarebbe stretta a pugno annullando l'incanto, lasciandola libera o di cadere con un tonfo o di saltare a piedi uniti sul terreno. Non voleva che Noki lo raggiungesse, non era ancora il momento. La magia era servita solo a toglierla di mezzo per evitare di causarle altri danni collaterali. E un incanto di tale portata li avrebbe sicuramente fatti.
« Non fare domande, non saprei risponderti... » Piatto, la invitò a non stupirsi di quel gesto. « Noki. »
Sorry, I cannot hear you I'm kinda busy.
Il capo ancora chino, questa volta in sommessa preghiera, si alzò, incatenando lo sguardo alla sagoma bluastra che tingeva lo spazio buio dell'auspex. Potente, la colonna di luce sarebbe comparsa dallo stesso terreno che l'uomo sembrava amare a tal punto da rimanerci per tutta la durata dello scontro, senza degnare i suoi nemici di un movimento o un singulto. La luce avrebbe sbalzato quelle carni viscide in aria, ustionandone le parti che non si era premurato di proteggere. Da capo a piedi, sarebbe stato investito da uno dei poteri più grandi di Krevuall.
.Bless.
E di lui non sarebbe rimasto niente. Rischiarato dalla luce più potente, il buio più cupo si dissolse.
Energia Verde Energia 54% Consumi: Medio x1 (Gravity) + Critico x1 (Bless) = 5% + 35% = 40% Equipaggiamento - Bahamut, per terra - Occhio della Lince [+50 PeRm] - Anello del Potere Maggiore Status Fisico: Danni sparsi per un totale di Medio/Alto Status Psicologico: Rammaricato per l'attacco fallito, deciso a terminare lo scontro. Forma: Angelica
Il Candore Accompagna Il Mio Cammino ~ Fear Passiva di timore reverenziale dovuta alla razza Avatar angelico. Non Funziona su pari energia e avatar angelici. [Passiva Razziale] La Magia Pregna Il Mio Spirito ~ Energy Risparmio del 5% su ogni consumo energetico. Tecniche che consumano l'1% nel caso in cui il costo venga abbassato a zero. [Pergamena Risparmio Energetico]
La Vista Svela Le Mie Incertezze ~ Vision Aradia, figlia di thespia, è la Dea dei dispersi e aiuta chi la invoca a trovare al retta via anche in situazioni dove gli occhi risultano inservibili. Legato alla Dea a causa del patto che la famiglia VanRubren ha stipulato con Thespia sua madre, Zephyr è in grado di invocare una piccola parte del suo potere dal piano astrale al solo consumo Basso e, con la capacità donatagli da questa divinità, diviene in grado di percepire le aura degli esseri attorno a lui in un raggio di venti metri. Questa tecnica è quindi utile nel caso vi sia carenza di luce o l'angelo sia impossibilitato a vedere, aiuta anche nel caso si combatta contro mostri invisibili e altri casi che non è necessario elencare. [Abilità Attiva Personale - Consumo Basso][Durata: ooo]
Sia il Mio Corpo il Fulcro ~ Gravity Il mago, allungando il palmo verso un qualsiasi oggetto o persona, è in grado di esercitare una forza su di esso per attirarlo verso di se. Spendendo un consumo Basso di energie, Zephyr è in grado di attirare a se piccoli oggetti come pugnali, sassi, frecce o shuriken, non troppo distanti dall'agente che, levitando, si dirigeranno piuttosto velocemente verso il palmo della sua mano, aperto e teso verso di loro. A consumo Medio, invece, la forza è tanto grande da sradicare un piccolo albero, quindi è praticamente impossibile opporsi ad essa. Non sono necessari particolari tempi di concentrazione, e l'attacco risulta essere piuttosto utile e versatile. [Abilità Attiva - Consumo Medio] [Pergamena Attrazione Violenta]
HeavenMagic ~ Bless Sebbene la fonte di questo incanto, come tutti quelli del HeavenMagic, sia esclusivamente a luce dell'anima di chi lo evoca, si è solito pregare al momento nel momento del casting l'angelica Eryishon, essera antico tra i fondatori di Kreuvall, pregando la sua benevolenza per ottenere la concentrazione necessaria a compiere questa potente magia. Ovviamente come già precisato la formula è solamente un vezzo di chi modella la luce, una sorta di segno del rispetto che il paladino porta verso l'ideatrice dell'incanto. Per quanto concerne la modalità d'attuazione, all'angelo sarà sufficiente poggiare una mano in terra per generare una potente colonna di pura luce, con diametro di cinque metri, sotto le gambe dell'avversario e, investendolo, lo scaraventerà in aria con notevole violenza. La colonna può essere generata solamente dal terreno e arriverà a un altezza massima di dieci metri. La forza dell'incanto è tale da poter sbalzare via anche il più pesante dei nemici. Se castata da distanza troppo ravvicinata c'è il rischio che persino il caster ne rimanga travolto. L'incanto ha consumo Critico e, oltre a lanciare in aria l'avversario, ha il fantastico pregio di infliggere all'obiettivo ustioni su tutto il corpo, o almeno sulle parti scoperte, di entità Alta. Contro i demoni è notevolmente più efficace, provocando danni incalcolabili. [Abilità Attiva - Consumo Critico] [Pergamena Colonna di Luce]
Azioni: Attacco le vespe come fatto nel turno precedente, poi volo in alto, attraendo Noki verso di me e spostandomi al contempo di lato. Una volta terminata la parabola discendente tocco nuovamente il suolo raggiungendone il limite dell'arena che sta a lato dello scanno (voi dovreste essere di fronte a lui ). Portata Noki a distanza di sicurezza sciolgo l'attrazione violenta e lancio l'incanto di Colonna di Luce del paladino.
Note: - Specifico che, avendo combattuto io le evocazioni, Cerco di attrarre Noki solo dopo ha sferrato il suo attacco, quindi, la mia attrazione arriva subito dopo il suo attacco, o comunque non tanto più tardi. - Per le vespe ho calcolato la stessa quantità di danni riportata nel turno precedente, infatti, malgrado loro fossero cinque in meno rispetto al turno prima, ho giustificato il tutto con la poca lucidità e la foga con la quale Zephyr attacca le evocazioni. - Non so se si evince dallo scritto ma il mio tentativo di attrare Noki e, appunto, un tentativo, nel caso non si capisse vi dico qui che lei è liberissima di difendersi nel caso si voglia prendere la mia Colonna di Luce o volesse atterrare al suolo prima che io sciolga l'incanto. - La mia altezza iniziale, durante il volto -quando inizio ad attrarre Noki- è di 4-5 metri, quindi non dovrebbero esserci ostacoli tra me e lei. Poi, siccome lei segue il mio palmo, dovrebbe fare in tempo a tornare radente al terreno mentre viene verso di me o, al massimo, cadrà da un metro d'altezza (non fatemi fare calcoli geometrici, please). - Io mi trovo più o meno al limitare dell'arena, lateralmente rispetto a Ray (dovrei essere alla sua destra ma non penso faccia differenza), voi -all'inizio del turno- dovreste trovarvi sul limitare dell'arena, davanti a lui. - Quando dico che delle vespe sarebbe rimasta solo cenere intendo dire che Zeph ha in mente di dissolverle con la propria abilità di Pk. Ovviamente non la usa, e probabilmente non lo farà nemmeno a fine duello. - Riguardo al turno precedente, ho supposto che Xain -essendo stato colpito dal fulmine da posizione laterale- non potesse essere caduto in linea retta con lo scanno, per questo mi era parso chiaro il fatto di poterlo colpire. Questo vuole solo essere un breve chiarimento per le mie azioni, so bene che per i giudizi c'è Ray xD
Probabilmente per il sovrano assistere a uno scontro tra tre ufficiali (o quasi) non si stava rivelando emozionante come aveva pensato: d'altro canto un genio come lui (!) non poteva che annoiarsi nel vedere tre bambini - o meglio, due contro uno (sempre pressapoco) - scannarsi per una caramella (o almeno era questa l'idea che gli davano) Così gli sfuggì un esclamazione che i tre avversari non avrebbero di certo colto, nell'intensità del duello, ma che fu percepita potentemente da Chevalier, che non poteva sentire altro che le parole del Re. E poi uno di loro era così lento...
In meno di un attimo il Golem di ferro si alzò dalla sua posizione e si scagliò verso Xain, sollevandolo da terra e stringendolo nelle proprie mani con grave stretta. Venne investito in pieno prima da un insetto, poi da una gigantesca colonna di luce - questo per essersi intromesso - e sentì che il braccio che non reggeva la vittima nella propria mano aveva iniziato a sbriciolarsi, sventrando il suo corpo e disegnandovi sopra una gigantesca cicatrice. Ma, nonostante ciò, il Sovrano continuò come se nulla fosse successo.
« Lasciamo perdere »
Asserì il sovrano alla volta dello sventurato, mentre il Golem lo scagliava fra i detriti, facendogli perdere i sensi.
« Continuate in due. Noki-Chan? Vincerà solo chi di voi due sconfiggerà l'altro, ovviamente. Queste sono le regole. »
CITAZIONE
No, non sono impazzito. So che c'è ancora tempo, ma, previo mp, Dubbio annuncia il suo ritiro dal duello a causa di spiacevoli problemi con la linea. Xain è svenuto. Le sue evocazioni spariscono. Chevalier si è beccato i due attacchi che sarebbero dovuti andare addosso a lui. Continuate come in un duello normale (sarete valutati comunque per questa prima parte del duello, come di consueto). Dal mio post, quattro giorni di tempo per Allea.
«Then he opened his eyes And all was red But no one was to be seen Nothing but blood»
Doveva solo colpirlo, doveva solo ucciderlo e poi tutto sarebbe tornato a posto e loro, loro sarebbero stati lì, accanto a lui. Lo sapeva, non ne aveva il minimo dubbio. Doveva solo inondare l’intera stanza di rosso, doveva solo ucciderli tutti e poi sarebbe tornato a vedere e il nero, l’odioso nero, sarebbe scomparso. E se non fosse bastato, se dilaniarli tutti non avesse avuto affetto avrebbe semplicemente dovuto usare il suo sangue. Era così facile. Poi sentì qualcosa, una voce che lo chiamava, qualcuno che gli chiedeva di non fargli domande e Noki si sentì sollevare, quasi ipnotizzato – Chi era? Chi era che lo stava chiamando? C’era qualcun altro lì con loro? Chi?. Le memorie della coniglietta erano così lontane, come appannate nella sua mente non il demone e non la bambina e non riusciva a ricordare a chi appartenesse quella voce, non riusciva a capire cosa stesse succedendo. E perché ancora non riusciva a vedere, che non fosse ancora abbastanza? Che ci volesse altro sangue? Era pronto a tutto per trovane ancora, per sconfiggere il nero e proteggere Luki e far tornare la Nobile Fu perché nien’altro aveva importanza, nient’altro al mondo, né quella voce, né la sua vita, né il mondo intero. Poi accadde e Noki cominciò a scendere a terra, lentamente, e un rumore lancinante gli graffiò le orecchie, un’esplosione, probabilmente, ed era tutto finito? Ce l’aveva fatta? Poi il ronzio scomparve, si dissolse nel nulla, come se non fosse mai esistito e Noki ammirò il silenzio che invase le sue orecchie - ora avrebbe potuto sentirli, Luki-chan, Noki-chan può sentirti di nuovo, tutto andrà bene, il nero scomparirà presto. Poi sentì una terza voce, una voce che aveva già sentito, ma che non riusciva a collegare a nulla, una voce che aveva qualche sfumatura simile a quella della Nobile Fu… che fosse lei? Poteva sentirla di nuovo e tutto perché il nero stava scomparendo. Tutto grazie al rosso che sgorgava e sgorgava e poteva quasi sentirne l’odore e il sapore. Poi il pupazzo tornò nelle sue mani, obbediente, e Noki ghignò sotto le bende.
CITAZIONE
« Continuate in due. Noki-Chan? Vincerà solo chi di voi due sconfiggerà l'altro, ovviamente. Queste sono le regole. »
E quelle parole sapevano di rosso e loro avrebbero seguito le parole della Nobile Fu fino alla morte.
Poi aprì gli occhi. E il nero era scomparso e l’occhio del demone bruciò per alcuni secondi mentre si adattava nuovamente alla luce. Dov’era la Nobile Fu? Aveva sentito la sua voce prima, ne era sicuro. Dov’era Luki? Doveva mostrargli che l’aveva protetto, che sarebbe andato tutto bene. E non c’era nessuno. E Noki era solo un’altra volta.
«Tu non mi servi, Noki-chan» Poi aprì gli occhi e il nero era scomparso e non c’era altro che lui, un golem mal messo, il Re e quel Verme che aveva incontrato qualche tempo prima e il demone si rese conto di essere tornato in sé stesso. Aveva aperto gli occhi colmo di speranza – non lui, esattamente – come se si fosse dimenticato. Ma lui non aveva dimenticato e odiava quella strega ogni singolo secondo che ci ripensava. «Devi andartene, Noki» Lei non era importante, non era lei che voleva, ma a causa di quella donna era stato costretto a lasciare l’unica cosa che gl’interessava a quel mondo. E questo lo infastidiva. L’avrebbe uccisa, alla prima occasione, ma ora non era il momento di pensarci. Sapeva perfettamente che lei non era lì, lui era in grado di comprendere cosa gli succedeva intorno. Si portò la mano che poteva muoversi a sistemarsi il cappello, per abitudine, e si stupì di non trovare nulla sopra la sua testa. Non andava bene. Ecco perché odiava perdere la calma, ecco perché odiava quella bambina e le situazioni in cui si andava a cacciare ogni volta. Toccava sempre a lui sistemare i suoi disastri e lui avrebbe preferito dormire, semplicemente, e dimenticarsi di esistere in un mondo talmente noioso. Un mondo in cui Luki non era da nessuna parte. Ma la bambina non rispondeva e, per quanto cercasse di svegliarla, sembrava quasi sparita. Perfetto, una volta tanto che aveva bisogno di quella mocciosa… Si guardò intorno brevemente e andò a prendere il cilindro, lasciato abbandonato a pochi metri da dove si trovava. Era stropicciato e pieno di polvere e a Noki non interessava delle stupide regole, lui non era come la bambina, ma quel verme l’avrebbe pagata per quello che era successo al suo cappello – beh, non che fosse esattamente colpa sua, ma Noki doveva pur prendersela con qualcuno. Perché quel cappello era un regalo, un regalo di Luki e nessuno, nessuno, aveva il diritto di sporcarlo. Fu per questo che con la mano andò a cercare la Voce Scarlatta, per poter finalmente dilaniarlo, come avrebbe dovuto fare l’ultima volta, ma il fazzoletto non era nel taschino, il suo solito posto e si ricordò solo dopo il perché. Il piccolo coniglietto rosa lo guardava con uno sguardo ebete e Noki alzò un sopracciglio in rimando. Tutto questo stava diventando ridicolo, ma non c’era molto altro che potesse fare. Sospirando si voltò nuovamente verso il verme, lanciando il coniglietto in aria – probabilmente un po’ troppo velocemente, ma la sola idea di toccare quel coniglio più del necessario lo faceva quasi sentire male – e pensò a cosa fare apparire. Avrebbe potuto far nascere un uccello di fuoco, una tigre bianca o un dragone, avrebbe potuto fare apparire qualsiasi cosa volesse, ma per qualche ragione strana la sua mente cominciò a ricordare e il coniglietto, che saliva e saliva, cominciò a trasformarsi di sua spontanea iniziativa. «No! Noki-chan non può andarsene! Luki-chan se ne andrà con Noki-chan!» Era stata una bambina che non riconosceva a parlare, nonostante sapesse che si trattava di Luki non riusciva a riconoscere in lei il gemello. Ma le sue parole erano comunque così calde. E le braccia e le gambe del coniglietto si allungarono e la figura di un ragazzo divenne più chiara secondo dopo secondo. E Noki sapeva già cosa stava nascendo. «Nobile Fu! Per favore» Nei suoi ricordi ora vi era un ragazzo del tutto identico a lui, solo privo del cilindro, con entrambi gli occhi visibili e la bocca priva della copertura delle bende. E nella sua mente v’era una voce rauca e mani forti. E la figura del ragazzo si colorò del rosso del sangue e quando esso atterrò al fianco di Noki il demone strinse la mano destra a pugno. E sapeva che sarebbe scomparso in fretta, che non appena avesse compiuto il suo attacco sarebbe tornato ad essere uno stupido coniglio di stoffa, ma Noki lo guardò avido e nient’altro importava se non quel falso Luki uscito direttamente dai suoi ricordi. Poi il ragazzo - Luki - alzò una mano e davanti ad essa si formò una sfera rossa come il sangue e Noki sapeva cosa stava per succedere.
E nonostante Noki fosse una persona razionale per un attimo sentì il suo corpo tendersi per fermare quel colpo, per trattenere quell’illusione ancora per un po’. Poi si morse un labbro, sotto le bende, e il minuto passò.
«Ti amo» E Noki prese Minesht in mano, il ferro che passava sotto la sua mano destra in maniera così naturale. E fendette l’area per tre volte e da Minesth partirono tre lame d’aria, due orizzontali – una diretta al collo e l’altra al bacino – e una verticale, che mirava all’ala sinistra. Nello stesso minuto dalla mano di Luki partì un raggio di un metro di diametro che si dirigeva verso il busto dell’avversario. E Noki non si diede la pena di controllare cosa stesse succedendo, se i colpi erano andati a segno e si voltò a guardare il corpo del gemello che, piano piano, cominciava a riassumere le sembianze del coniglietto. E per un attimo sentì come uno strappo al cuore, come se qualcosa gli avesse trapassato il petto da parte a parte. «Ti amo» Ma fu solo un attimo e poi tutto era andato via.
Ancora genuflesso strizzò gli occhi per abituarli alla luce che nuovamente era tornata a riempirli, scorgendo ombre offuscate, macchie indistinte che si muovevano poco più avanti. Riconobbe la colonna di luce e l'essere titanico ma, distratto, non badò all'auspex, chiedendosi che fine avesse fatto l'uomo prontamente sostituito dal golem. Aguzzata la vista quanto bastante a fargli comprendere l'accaduto, sospirò rammaricato, chinando il capo in chiaro segno di sconfitta. Il fato era chiaramente contro di lui, quel giorno. Restio a dargli la possibilità di combattere degnamente, il destino si faceva beffe di Cenere, rendendo vana un'offensiva dopo l'altra, lasciandolo stanco, provato per aver lanciato la luce di Kreuvall. Alzato nuovamente il capo, gli occhi individuarono all'istante la sagoma di Chevalier, metallico vendicatore della noia del Sovrano che, solerte, si era sobbarcato l'onere di allontanare il terzo incomodo dall'arena, subendo in pieno gli attacchi dell'altra coppia di duellanti. Titanica bestia, persino la guardia del Re non potè che uscire distrutto dall'impatto con le loro offensive, facendo sì che un debole sorriso di deferente compiacimento spuntasse sulle labbra dell'angelo. Malgrado il rammarico per la noia del Re e il fiato pesante, si concesse quel piccolo vezzo, sintomo inoppugnabile di una potenza finalmente dimostrata.
All the mistakes that went for too long wish there was a way I colud delete them
CHAPTER IV: R e d e m p t i o n
More than this, whatever it is. Caught in a trap, can't look back.
Poggiò un palmo al ginocchio flesso, issandosi lentamente, quasi esausto per via dell'esubero di energie dilapidate. Tentò di assestare il respiro con uno sbuffo, preparandosi a ciò che il Re aveva appena reso loro noto: erano rimasti in due, e dovevano continuare a combattere.
«Continuate in due. Noki-Chan? Vincerà solo chi di voi due sconfiggerà l'altro, ovviamente. Queste sono le regole. »
Nell'accorgersi delle parole proferite dal Re gli occhi dell'angelo si mossero verso il basso, di lato, fissandosi malinconicamente su un punto indefinito del terreno dell'arena. Nel momento in cui il Re aveva parlato, motivando le proprie azioni, Zephyr era stato troppo preso dai pensieri e dagli attacchi per sentirle; ma la volontà di suddito fedele aveva fatto sì che, benchè distratto, l'angelo notasse gli ordini appena impartiti -anche se con leggero ritardo. Sentendole, però, non riuscì a esimersi dall'abbassare nuovamente lo sguardo, poggiandolo di lato su un punto indefinito dell'arena. Oltre le iridi il cervello dell'angelo si arrovellava, pensando a come il Re si fosse rivolto esclusivamente a Noki, appuntando Cenere solo come l'altro. Strinse spasmodicamente i pugni in una morsa d'acciaio, geloso del trattamento che un demone -!- un essere stupido e impuro come quello fosse visto con un occhio di riguardo da Lui, l'Invincibile, il Re che non perde mai. Deciso a terminare quel teatrino il prima possibile, l'angelo si girò di scatto verso Noki, pronto a gettarla nell'ombra di cui un'anima demoniaca era pregna. Non si sorprese della trasformazione della bimba; aveva già visto il ragazzo dai capelli ardenti durante il loro precedente incontro, e chi fosse il gemello che lo accompagnava non aveva la benché minima importanza. Si convinse che fosse una strana emanazione del demone, una qualche sorta di squallida tecnica per replicare la propria essenza o dare corpo alla parte opposta del proprio io. Quelle pratiche magiche non erano mai state branche degne di nota per uno come lui, e quindi non se ne interessò, conscio di poterle annullare semplicemente schioccando le dita, o volendolo. L'avrebbe distrutto, quel dannato demone. Lui e il suo accompagnatore. E allora forse sì che il Re si sarebbe accorto di lui. Perchè? Perchè? P e r c h è ? Cosa doveva fare perchè il Re pronunciasse il suo nome? Non aveva forse combattuto anche lui fino a quel momento? Qual era il motivo che l'aveva spinto a rivolgersi solo a uno stupido demone che stentava a comprendere il funzionamento del mondo, che viveva tutto come un gioco, che uccideva e macinava carne senza il diritto di farlo? Erano forse le apparenze fanciullesche? O il menefreghismo del ragazzo? O forse era stata la vittoria al Leviatano?
In the day, in the night Say it right, say it all You either got it or you don't You either stand or you fall
Tentando di calmare i battiti e riacquisire la giusta lucidità mentale, liberò un ultimo rantolo prima di serrare le labbra in una smorfia piatta, pronto a incenerire il proprio avversario al primo sguardo. Geloso, si convinse che fosse stata la vittoria nel Leviatano a concedere al demone le simpatie del Regnante. Una vittoria cui lui aveva contribuito. ...e che non voleva si ripetesse una seconda volta. Con le vesti che cominciavano a macchiarsi di sangue, sentì le ferite sparse sul corpo acuirsi a causa dei muscoli tesi e frementi, disegnando figure cremisi dove prima non ve n'era traccia. Digrignò i denti in una smorfia che mirava a celare il reale fastidio che il demone instillava in lui. Erano stati alleati per il tempo di qualche attacco, scoprendosi nuovamente nemici non appena il Re aveva dato loro l'opportunità di affrontarsi apertamente, senza nessun intruso a intralciare i loro attacchi. Proprio ciò che aveva desiderato all'inizio. Ma per quanto questa fosse la volontà che inizialmente lo mosse, si trovò contrariato ad ammettere che ormai quel duello aveva esaurito tutti gli spunti, tutti gli sproni che una mera lotta potesse regalargli, macellando il furore che bruciava a causa della vendetta, lasciando in lui solo un vago senso di asservimento che lo costrinse a combattere nonostante tutto. Malgrado desiderasse annichilire il demone, una vittoria raggiunta contro un avversario già ferito non avrebbe certo dato soddisfazione al proprio animo, bramoso di rivincita. Aveva scelto di combattere per il Re e per se stesso ma, alla luce di tutti gli accadimenti intervenuti nel corso del duello, dovette cambiare idea. Quel combattimento non era più in grado di liberarlo dai patimenti subiti a causa dell'Ufficiale, quindi avrebbe combattuto per il Re e per lui soltanto, portando a termine il combattimento come se davvero volesse vincere. Intimando l'alt agli attacchi lanciatigli contro dai due -?- demoni, l'Oracolo pose loro un palmo lasciando che il moto dell'intera arena si fermasse per qualche istante, dandogli giusto il tempo di godere dell'immoto spettacolo che lo circondava. Non perse però a tempo a scorgere ne il Regnante ne i demoni, troppo concentrato sul termine della battaglia. Sapeva già cosa fare, dopo che il tempo avesse ripreso a scorrere, sapeva già quale espediente utilizzare per dilaniare il corpo del demone. La soluzione ai problemi che vorticavano in testa era una sola. Non cambiava mai. Era sempre la stessa: la cenere, la sua anima. Ciò che rimaneva del suo spirito infranto, arso e spento. Il potere che la sua famiglia ereditava da millenni di generazione in generazione. Alzatosi dalle punte dei piedi con estrema calma, spiccò un leggero balzo verso l'alto, innalzandosi a una mezza dozzina di metri dal suolo con l'aiuto delle ali che battevano eleganti e compassate.
Paint my face in your memories Make it look darker than it seems Paint me over with your dreams
Dimentico delle gerarchie, si prese la libertà di parlare senza che la loro differenza di grado fosse da ostacolo. Voleva godersi quegli istanti, gli ultimi, prima di dare fondo alla propria forza e terminare il proprio scontro. Voleva vedere in lei, o in lui, o qualsiasi cosa fosse, un barlume di paura, il terrore scatenato da quella morte che ti si presenta in faccia ineluttabile, che non ti lascia alcuna via di scampo. Questo voleva far vedere a Noki. Questo voleva diventare ai suoi occhi. Malgrado non potesse uccidere un sottoposto, un ufficiale del proprio Re, desiderava lasciare comunque un'impronta nel torbido cuore del demone. Così non si sarebbe dimenticato di lui troppo facilmente, e la volta successiva -perché ci sarebbe stata- avrebbero ripreso tutto da dove quel combattimento stava terminando. Non ci sarebbero state nè tregue, nè alleanze. Indispettito per non aver ancora ottenuto ciò a cui agognava, dischiuse le labbra parlando flebilmente.
« Con il tramonto... » Esordì per attirare l'attenzione del demone « si spegnerà anche la mia luce. » guardò in basso, volgendogli i palmi. « Ma prima che il giorno volga al termine, lasci che le dica una cosa Ufficiale... » Laconico, accompagnò quella frase a un debole sorriso. « questa volta, il piacere sarà mio. »
E poi il Drago di Cenere. Dai palmi il potere di Thespia sarebbe fluito all'esterno, forte e potente; la bestia avrebbe ringhiato contro il demone spalancando le grige fauci. E l'angelo avrebbe ottenuto una vittoria necessaria, seppur non meritata. E sarebbe stata la fine del combattimento. Alla prossima, Noki Hai no Ryu.
I Apologize, I apologize and swear on this body made of mortal flesh and eternal light that I regret my wrongs and renew my trust that the next time I'am gonna give you the game you want Please, wait a bit more. Because I will give You Something to pay you back
Energia Verde Energia 14% Consumi: Medio x1 (Stop) + Critico x1 (Thespia) = 5% + 35% = 40% Equipaggiamento - Bahamut, per terra - Occhio della Lince [+50 PeRm] - Anello del Potere Maggiore Status Fisico: Danni sparsi per un totale di Medio/Alto Status Psicologico: Stanco, deciso a terminare il duello il prima possibile Forma: Angelica
Il Candore Accompagna Il Mio Cammino ~ Fear Passiva di timore reverenziale dovuta alla razza Avatar angelico. Non Funziona su pari energia e avatar angelici. [Passiva Razziale] La Magia Pregna Il Mio Spirito ~ Energy Risparmio del 5% su ogni consumo energetico. Tecniche che consumano l'1% nel caso in cui il costo venga abbassato a zero. [Pergamena Risparmio Energetico] Domina la Magia le Sabbie del Tempo ~ Stop Dopo almeno un secondo di ferma concentrazione, Zephyr è in grado di fermare il flusso del tempo per un massimo di dieci secondi. In questo lasso di tempo, però, non potrà attaccare il proprio avversario in alcun modo, né tramite attacchi fisici, né tramite pergamene, né tramite artefatti, né tramite abilità, ma muoversi, nascondersi, o identificare un nemico troppo veloce. Infatti, una volta attivata la tecnica, solo lui sarà in grado di muoversi come niente fosse, spostandosi senza che gli avversari immobili come statue possano scorgere il percorso da lui intrapreso, riapparendo semplicemente in un punto diverso da quello cui era stato visto l'ultima volta. Tecnica utilissima in GdR e soprattutto in combattimento. Il tempo dev'essere fermato in un post, e deve tornare a "muoversi" al termine dello stesso. Zephyr riesce a fermare il tempo per una decina di secondi. Utilizzata per difendersi va considerata una Difesa Assoluta. [Abilità Attiva - Consumo Medio] [Pergamena Stop]
Cosparge il Mondo la Cenere ~ Thespia C e n e r e Dalla polvere sono nati, e polvere ritorneranno. Il ciclo infinito dell'esistenza, un cerchio che continua a essere ripercorso infinite volte dalla stessa anima. Così è sempre stato e così sempre sarà. Il totale e completo dominio della Cenere, non è quindi solo il dono di una divinità fatto in tempi antichi alal famiglia VanRubren, essa è anche la raffigurazione dell'anima di Zephyr, comprendendo in pieno il dovere che come Oracolo egli è tenuto a compiere. Non si tratta di una benedizione, nè di un anatema, questo potere è ciò che Luxen è, e che sarà, la raffigurazione più limpida e chiara della luce che porta al suo interno. Una luce torbida e sporcata dagli umani, ma che rimane pur sempre luce. Luce argentea, in fiocchi quasi intangibili, pregni di un potere magico che non è nato nel continente di Asgradel, e nemmeno a Kreuvall. Nello specifico, l'angelo è in grado di manipolare alla perfezione la cenere, facendola fluire al di fuori del proprio corpo o, in casi eccezionali, di generarla a non più di mezzo metro da lui. Argentei e brillanti, questi lievi fiocchi obbediranno alla volontà del caster che potrà manipolarli come meglio crede, raggiungendo così gli obiettivi che egli stesso si è prefissato. Potrà infatti agire sia in attacco che in difesa, sia coprendo l'intera area intorno all'angelo, sia sottoforma di raggi o scudi. Non vi sono limitazioni alle forme o alle dimensioni che potrà raggiungere. Data la provenienza divina di un simile potere, e la combinazione con un'anima angelica come quella di Zephyr, la cenere avrà un effetto più dannoso per i persecutori delle arti oscure o sui demoni, mentre sugli angelici e i paladini avrà effetti più blandi. La tecnica ha un consumo Variabile. [Abilità Attiva Personale -Consumo Critico]
Azioni: Dopo aver schivato l'attacco con la difesa assoluta, mi alzo in volo mentre il tempo è fermo, e dopo aver parlato a Noki (dovrei riconoscere quale dei due è D!Noki xD) gli sparo Hai No Ryu.
Note:- L'auspex è stato tolto in quanto la tecnica si è sciolta al termine di questo turno (e in questo post non l'ho praticamente utilizzato). - Mi scuso con Allea per averle lanciato un critico ma era da tanto che non usavo il drago, spero tu mi capisca "Signora Vicepresidentessa (di sta cippa )" - Nel post non l'ho scritto perchè mi pareva meglio farlo finire con l'attacco, comunque, vista la stanchezza, nel caso Noki voglia attaccarmi nel suo ultimo post (sempre che si possa ) specifico che il mio pg dovrebbe tornare a terra, causa ingente dispendio di mana.^^ - Considera la tecnica di Cenere come una testa di drago larga un paio di metri che spalanca le fauci e si dirige contro di te. Anche se nel post ho parlato del suo "ruggito", è chiaro che è una manipolazione della cenere che quindi non fa alcun verso. Nel casto ti faccia comodo puoi interpretarlo come il boato scatenato dalla tecnica -altrimenti non calcolarlo proprio. - Sappi che per il solo fatto di aver usato due attacchi in contemporanea non considererò questo combat come rivincita. Ergo, ne abbiamo ancora uno in sospeso. - Volevo ringraziare i miei avversari... è' stato un piacere combattere contro avversari come Allea e Il Dubbio ^^
E a volte è la mente a giocarci gli scherzi più strani. E a volte anche se sappiamo che nulla è reale, che siamo solo noi che immaginiamo qualcosa che non potremo mai avere, allo stesso tempo il nostro corpo reagisce da solo, incapace di fermarsi, incapace di comprendere che non è altro che un sogno che finirà presto.
Noki non si era voltato verso il verme, che egli vivesse o morisse era assolutamente indifferente per lui. Noki non aveva distolto lo sguardo mentre il gemello ricominciava ad assumere una forma così disdicevole. Noki non aveva respirato, aspettando il momento in cui l’arma sarebbe tornata a lui, ubbidiente, e quel sogno ad occhi aperti si sarebbe sgretolato – com’era giusto che fosse. Lui non si lasciava andare a sentimentalismi, lui non si lasciava stregare da false promesse; lui odiava le illusioni così tanto. Prima fosse finito tutto quello meglio sarebbe stato per tutti, si sarebbe dimenticato di quell’incidente, avrebbe dato la colpa alla bambina, alla trasformazione, al verme, a qualsiasi cosa. E poi avrebbe dimenticato, tornando a dormire nei meandri della sua mente. Aveva solo bisogno di vederlo, vedere la trasformazione con i suoi occhi, vedere i capelli rossi trasformarsi in piccole orecchiette rosa e le braccia accorciarsi sempre di più, fino a raggiungere la lunghezza della sua mano. Aveva solo bisogno di seguire il cambiamento. Solo questo. Era stupido e se Noki avesse avuto il tempo di ragionare avrebbe provato disprezzo per sé stesso, ma non aveva importanza. Quel Luki nato dai suoi ricordi aveva i capelli più lunghi, o almeno così gli sembrava, e l’occhio destro di una diversa tonalità di azzurro, più chiara, e Noki lo sapeva non perché erano uguali, ma perché il viso di Luki era l’unico viso a non essere mai sparito dalla sua mente, persino durante il sonno, persino quando si richiudeva all’interno della mente della bambina. Lui era comunque lì. Era diverso e uguale allo stesso tempo e sentitelo, sembrava una donnicciola innamorata. E fu in quel secondo – mentre continuava a ripetersi che doveva voltarsi, ora! – che sentì la voce del verme: non era morto, buon per lui e se fosse rimasto zitto sarebbe stato perfetto Ma non tutto va come dovrebbe nella vita.
« Ma prima che il giorno volga al termine, lasci che le dica una cosa Ufficiale... questa volta, il piacere sarà mio. »
Le sue parole non avevano significato alle orecchie iper-sensibili del demone, erano come una zanzara fastidiosa, come se il ronzio fosse tornato a tutta forza: qual era la differenza? Inutili insetti, vermi che non erano degni della minima attenzione, inutili e fastidiosi. Non poteva essere felice di essere vivo? Non poteva andarsene? Non poteva lasciarli soli per quei pochi secondi che gli erano concessi?. Sparisci. Sta zitto. O dovrò farti stare zitto io. Ma il verme non sembrava intenzionato a tacere, a rintanarsi nel suo buco, no, e gli sembrò quasi di sentire un ruggito ed ebbe giusto il tempo di voltarsi che un drago gli apparve davanti agli occhi. Un drago che l’aveva costretto a spostare lo sguardo, una zanzara più fastidiosa delle altre. Avrebbe dovuto semplicemente schiacciarla. Il respiro usciva a fatica dal suo corpo stanco e provato e la ferita all’addome pulsava e il sangue continuava ad uscire ed imbrattagli i vestiti, la mano sinistra era immobile sul suo fianco, ma qualcosa di tutto questo aveva davvero importanza? Doveva far girare Minesht, bloccare quel drago e poi strappare le ali al verme, insegnargli ancora una volta quale fosse il suo posto. Poi però qualcosa si mise tra lui e il drago. Era assurdo, era come se una parte della sua mente avesse cominciato a pensare da sola, una parte della sua mente completamente ossessionata, che apparentemente controllava il peluche al posto suo. E il gemello, improvvisamente un po’ più alto di lui di qualche decina di centimetri, era davanti a lui, braccia spalancate e Noki sapeva che apparentemente aveva ricreato la stessa immagine di poco prima, solo in una posizione differente, ma appena realizzò cosa stava per accadere fece un passo in avanti. Un piccolo insignificante passo in avanti, che non voleva dire assolutamente nulla, che non serviva a niente. Un passo e il drago si era andato a schiantare contro l’addome di Luki, squarciandolo, come se lo stesse mangiano e no, no, no!. Noki non poteva urlare, ma i suoi polmoni bruciavano e sembrava che qualcosa stesse raschiando la sua gola fino a farla sanguinare e per un attimo, nuovamente, non c’era distinzione all’interno della mente del demone.
E non era il demone né la bambina colui che abitava quel corpo in quel momento e non era della bambina quella tristezza incolmabile che alimentava la sua frustrazione e non era del demone la rabbia cocente che muoveva la sua mano. Ed era come se entrambi sentissero le stesse cose, come se per un attimo la coniglietta si fosse staccata l’occhio e il ragazzo potesse parlare liberamente ed era come se entrambi fossero vivi nello stesso momento. E questo non era possibile.
Luki era tutto ciò che avevano e che fosse un’illusione o un sogno questo non importava; che fosse la realtà o meno il verme avrebbe dovuto pagare con la sua vita, con il suo sangue, ogni singola goccia, ogni singola minuscola goccia rossa. Eppure non riusciva a muoversi e la mano, allungata in avanti come per afferrare qualcosa che gli era impossibile raggiungere, pesava tonnellate e tonnellate. E la voce di Luki che sussurrava “Mi dispiace” gli arrivò alle orecchie, anche se non era possibile, anche se lui non era reale e lui avrebbe voluto dirgli che non c’era nulla di cui dovesse dispiacersi, ma il drago aveva frantumato il corpo che proteggeva il demone e Noki potè sentire qualcosa che lo colpiva, come se qualcuno gli avesse dato direttamente un pugno sulla ferita. Stava cadendo all’indietro, lo sapeva, ma non poteva fermarsi. Sangue gli arrivava alla bocca, il suo sapore ferroso che cercava di mantenerlo cosciente, ma sapeva perfettamente che era impossibile. E mentre sentiva il confortevole abbraccio del sonno avvolgergli le membra promise a sé stesso che la prossima volta il piacere sarebbe stato tutto suo. Che la prossima volta avrebbe banchettato con ali di angelo e allora, allora, sarebbe stato soddisfatto.