Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Atto VII: Il cantico cremisi, Le Cronache del Sangue

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Andre_03
view post Posted on 15/4/2010, 17:21




Le Cronache del Sangue » [OpErA pRiMa DeL gIuLLaRe] «
Il cantico cremisi » ]aTTo SeTTiMo[ «

Cantilena » ScEnA pRiMa «

Era già passata una settimana dalla battaglia.
La gente del Sud era nel bel mezzo di uno sforzo collettivo per tornare alla normalità. Dell'equilibrio, ormai spezzato, tra Renothep, Orchi Rossi e -soprattutto- Martell, a nessuno sembrava importare granché. Il commercio doveva riprendere, la vita non poteva fermarsi di fronte a una delle tante guerre che si erano succedute laggiù, nel meridione di Asgradel. Quella gente era abituata al peggio.
Eppure qualcosa, come un sentore comune di pericolo, spinse molti a scappare.
Innumerevoli carovane si trovavano in viaggio per il deserto, per la maggior parte dirette a Laslandes. L'istinto degli abitanti del Sud li guidava verso la sicurezza di un porto franco, neutrale e per questo inattaccabile. A nessuna fazione sarebbe servito distruggere il cuore del commercio; per tutti sarebbe stato un danno incalcolabile. Lo sapevano anziani, donne e bambini. Ma anche i soldati delle compagnie di ventura non coinvolte nella diatriba fra Vipere e redivivi Guitti Sanguinari:
di quei tempi Laslandes era l'unico luogo sicuro di tutto il meridione.

image

Così, in tanti erano scappati da Porto Oscuro.
Abbandonata l'ombra della Torre Nera si erano messi in viaggio, attraverso le sabbie inospitali della loro terra. Qualcuno raccontò, nelle taverne della città mercantile, di aver avvistato un manipolo di cavalieri che andavano -soli- nella direzione opposta.
Voci sempre più insistenti parlavano del prossimo, inevitabile assedio: in sei avevano preso Castamere nel corso di una sola notte. La Torre Nera non avrebbe resistito molto più a lungo. Altri, invece, parlavano di un contingente enorme che avanzava da nord. Privo di stendardi e senza insegne. Un'accozzaglia di strane creature e uomini di ogni razza conosciuta -e non solo.
In un sussurro, quasi, speravano:

"E' il Re che non perde mai. Viene a liberarci dai Guitti!"

Ma non avevano idea di ciò che realmente sarebbe accaduto.


Sentì il profumo del mare invadergli le narici per l'ennesima volta.
Poi lo scricchiolio dell'imbarcazione, sospinta dalle onde ed infine quella sensazione di movimento costante che no, non riusciva a farsi piacere. Il Giullare aprì gli occhi e vide sopra di sé le assi di legno ammuffito. Due giorni su quella bagnarola e già sentiva la mancanza della sabbia sotto ai piedi, tra le dita scalze. Ma sapeva che presto, molto presto, sarebbe tornato coi piedi per terra.

«Figlio di puttana!»

Imprecò contro Asmodeus, colpevole di non averlo svegliato -e di averlo lasciato da solo a marcire là sotto.
Saltò giù dall'amaca improvvisata tra le travi della stiva e tintinnò, nel farlo. Poi prese Iblis Naylah e se la trascinò via, diretto alla scala che portava al ponte superiore. Avevano scelto di attaccare via mare poche ore dopo la loro partenza. Inseguire di gran carriera un esercito di cinquemila uomini ha il suo fascino -come aveva ammesso Bronn- ma attaccare con le poche energie residue dalla battaglia delle Dune sarebbe stato un cazzo di suicidio -sempre secondo il Grigio. Quindi ecco il piano di Oba: due navi, noleggiate per l'occasione da alcune vecchie conoscenze di Hog in un ritrovo di pirati poco più a sud di Porto Oscuro, avrebbero attaccato la città dal mare. Superare la flotta Martell appostata nel golfo sarebbe stato semplice, perché nessuno avrebbe atteso un'offensiva marittima da parte di soli sette uomini. Nascosti a bordo di piccole imbarcazioni mercantili, sarebbero entrati nei quartieri popolari a fare fuoco e fiamme. Nel mentre, gli altri Camerati avrebbero aspettato che vi fosse sufficiente confusione per sfondare le mura frontalmente.
Quindi, Shagwell e Asmodeus erano saliti su una barca e Bronn con Rhagga si trovavano su un'altra.
Si erano formate nuove coppie, tra i Bravi. La suddivisione equa dei poteri era una delle chiavi della loro rozza, ma efficace organizzazione.
Nel momento in cui il Rosso emerse in coperta, la nebbia mattutina offuscava la visuale tutt'attorno al mercantile. C'era un silenzio spettrale, nella baia, rotto solo dalle urla occasionali dei marinai che avvisavano della posizione di ciascuna barca. Intravide la sagoma di un'imbarcazione simile a quella su cui si trovava e intuì che si trattasse del mezzo di Bronn e Rhagga.
Trovò l'Aldeym a prua, e lo raggiunse senza curarsi del rumore. I suoi sonagli, d'altronde, si sarebbero persi nei suoni sommessi delle campane attaccate a ciascuna bagnarola. Quando gli fu vicino non disse nulla, limitandosi ad osservare la carena di una nave da guerra che, assieme a molte altre, stazionava attorno al porto. Con un briciolo di divertimento inaspettato, sorrise per la prima volta in quel giorno: era ridicolo che fosse così semplice superare la rete di difesa dei Martell.
Quand'ebbero superato l'imponente ombra e, attraverso la nebbia, l'abitato fu finalmente visibile Shagwell trasse un profondo respiro. Con aria solenne e una serietà che non gli sembrava appartenere, fissò dritto davanti a sé.
Era la prima volta, da mesi, che si ritrovavano soli.

«Ti sei cacciato proprio in una brutta storia, fratello. In questa favola»
riprese un discorso cominciato
nella tana del ragno Varys
«non ci sarà spazio per un lieto fine.»

E dire che, per quello,
era in ritardo da quasi vent'anni.


Attraccarono senza problemi, come in una normale giornata di duro lavoro nel porto.
Due navi provenienti dalla costa orientale, con un carico di carne e vino del deserto, non destarono il minimo sospetto nelle guardie. I marinai cominciarono ben presto a scaricare le merci, cassa dopo cassa. Fu una scena di routine quotidiana che sembrava destinata a durare a lungo.
Ma non fu così.
Un ruggito scosse la darsena e tutti i suoi occupanti. I pescatori che già erano in procinto di salpare affrettarono i preparativi, temendo il peggio. Qualcuno capì. In molti non furono abbastanza svegli.
Rhagga -in forma di leone- e la sua fidata pantera balzarono giù dal mercantile con una rapidità incredibile. Aggredirono i primi soldati di guardia che trovarono, mentre il Lord delle Acque Nere scendeva lungo la passerella di legno con eleganza e molta calma. Silenzio gli pendeva di fianco, sorretta stancamente dalla mano destra. Fece un cenno ai pirati che li avevano scortati lì per ordine di Hoggar, e quelli ghignarono con malizia estraendo le scimitarre. Di lì a poco si scatenò l'inferno: grida disumane si levarono in diversi punti del porto e coloro che erano stati abbastanza svelti per scappare, corsero a chiamare i rinforzi.
L'attacco era cominciato.


« Hanno iniziato! »

Il Bastardo puntò l'indice verso le sottili colonne di fumo che si sollevavano in direzione del mare.
La città di Porto Oscuro si stagliava a poche centinaia di metri di fronte a loro, con le sue belle mura di cinta e quella torre dall'aspetto tetro. Nera, com'era giusto che si chiamasse, al punto che neppure le prime avvisaglie dell'alba vi riflessero alcuna luce.
Sarebbe stato divertente vederla crollare.
Hog spronò il proprio destriero al galoppo, seguito da Rorge e Oberrin. Si gettarono a capofitto verso il cancello principale, consapevoli che -nonostante il diversivo- sarebbe stato ben difeso. Oltre la portata di soli tre uomini, ma non di tre mostri. Smontarono di sella appena al di fuori della portata di tiro degli arcieri, incuranti di essere completamente in vista. Furono rapidi in tutti i movimenti che fecero: il Titano si era già spogliato della parte superiore della veste, come di consueto, e nel frattempo Rorge si era accucciato a terra in una sorta di trance guerresca. Oberrin lo osservava compiaciuto, in attesa.

« Sbrigati, pezzo di merda. Mi prudono le mani! »

Rise il barbarossa, schioccando le dita della mano destra -quella buona.
Poi volse lo sguardo anch'egli al fratello lì di fianco. Stava emettendo una sorta di ringhio sommesso, per lo sforzo; all'improvviso, dal suo corpo spuntarono innumerevoli lame e fu coperto da una patina di quello che sembrava piombo. Raggomitolato com'era, aveva tutto l'aspetto di una
palla di cannone.
Soddisfatto, "tre-dita" ingigantì all'istante la propria mano e afferrò l'altro con una presa salda.

«Devo ammetterlo, Mastro Hoggar: tutto questo» irruppe il Primo, con aria sognante e un sorriso sornione «mi mancava.»

Ghignò e, nello schioccare le dita, scomparve con un risucchio nero viscido.
L'attimo seguente il Bastardo del Titano vide i camminamenti sopra le mura schizzare sangue e capì che il fratello aveva già cominciato a divertirsi. Sorrideva, ma in cuor suo non sopportava l'idea che stessero tutti tranne lui già massacrando dei figli di buona donna.

« Andiamo, fratellino! Manchiamo soltanto noi alla festa!! »

Così dicendo caricò il colpo, e mentre Rorge gli restituiva un grugnito d'approvazione, lanciò il Macellaio così forte da sfondare una delle torri di guardia. Con i soldati impegnati a contrastare un attacco sulle mura, non avrebbe incontrato una resistenza adatta a ferirlo. Sputò per terra e, col braccio nuovamente normale, corse verso gli imponenti cancelli della città. Legno rinforzato con l'acciaio: una difesa impenetrabile per tanti.
Poco più che burro, per lui.
Senza nemmeno arrestare la propria corsa, ingigantì stavolta la mancina e caricò il pugno.
Sentiva le frecce dei pochi arcieri ancora in grado di scoccarne sibilare tutt'attorno a lui. Non vi fece caso, perché nei suoi occhi c'era già quel lumicino di follia omicida che accomunava un po' tutti i Camerati.

« Toc-Toc, stronzi!!! »

Alle parole seguì un rombo, che fece tremare la terra.
L'impatto delle nocche mozzate contro la grata di metallo ed i massicci cancelli di legno fu terribile. Vide le inferriate piegarsi sotto al suo potere, gli stipiti cedere e le porte farsi in mille pezzi. Era sempre una soddisfazione poter sfondare le difese di una città a mani nude.
Riacquistando dimensioni umane per intero, il Camerata mise mano alle spade: aveva di fronte interi reggimenti di soldati.
Non poteva certo deludere le loro aspettative.


Il rumore dei cancelli che venivano sfondati da Hoggar era inconfondibile, per il Giullare.
Persino dai vicoli della città poté udire quel frastuono, seguito dalle urla di sconforto e terrore che -come sempre- accompagnavano le gesta dei Bravi. Si concesse un altro rapido sorriso, in una giornata che non gli avrebbe regalato troppe occasioni per sfoggiare il suo solito atteggiamento allegro. Serio e concentrato, si fece quindi sotto all'ennesima pattuglia di guardie cittadine che cercarono di affrontarlo. Mulinò la Puttana Cremisi così in fretta -e così bene- che metà di quei poveracci si trovarono senza testa in un battito di ciglia, mentre gli altri si chiedevano cosa diamine fosse successo. Li massacrò tutti, senza pietà né eccezioni. Non sarebbe stato da lui fare altrimenti.
Asmodeus avanzava di pari passo, e quando l'Incubo gli rivolse uno sguardo, il Rosso indicò lontano.
Giù, al porto, le navi con cui erano salpati e giunti a destinazione erano avvolte dalle fiamme. I pirati morti o circondati.
La flotta delle Vipere ci aveva messo poco, per annientarli.

«Ci siamo:»
gli disse, guardandolo negli occhi
-e suggerendo così significati più profondi

«ormai non possiamo più tornare indietro.»


SPOILER (click to view)
CITAZIONE

» ]QM pOiNt[ «



TuRnAzIoNe « Black Pendragon - Ray - il resto del Clan (questi ultimi in ordine libero).
TeMpI « Black Pendragon e Ray hanno tutto il tempo che desiderano a disposizione. Gli altri avranno tutti una settimana a partire dal post di Ray.
AmBiEnTaZiOnE « Città di Porto Oscuro.
iNdIcAzIoNi « Ci siamo. Non vi nascondo una punta di emozione nell'aprire l'ultimo Atto di una Campagna durata così tanto da sembrare stata scritta da qualcuno con più pazienza di me. XD
Spero di potervi(ci) divertire e interessare con questo gran finale. ;D

Tutti - Per capire bene questa giocata penso sia necessario leggere almeno i riassunti delle puntate precedenti (cit.) che trovate qui. In particolare, la discesa in guerra da parte del Toryu che viene decretata dalla scena "Il Re".
In questo post iniziale il Clan arriva in vista della città di Porto Oscuro (consultate la mappa per capire meglio la geografia del posto: la sede del Toryu si trova più o meno al centro del continente, quindi voi arrivate da nord). E' all'incirca l'alba e la Torre Nera (un monolite di ossidiana simile alla torre di Orthanc de "Il Signore degli Anelli") si staglia all'orizzonte circondata da colonne di fumo: la città è chiaramente sotto attacco, ma a voi non è dato sapere da parte di chi e perché. Quel che i membri del Clan sanno sulla faccenda lo stabilirà Ray nel suo post.

Per dubbi, domande o qualsiasi cosa non riguardi il GdR in sé, siete formalmente obbligati (8D vivogliobbene) a postare nell'apposito topic in Bandi Quest. Niente MP e post di OT qui, ok?

Di nuovo -e col cuore: buon divertimento a tutti!
 
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Black Pendragon
view post Posted on 18/4/2010, 21:25




Le Cronache del Sangue
— il cantico cremisi —

L'immortalità è una favola per bambini egoisti.
Nessun uomo, per quanto speciale o potente, può aspirare ad ottenerla nella sua forma più pura: l'unica immortalità concessaci nasce e muore nel momento in cui, con prepotenza, decidiamo di incidere una cicatrice sulla superficie del mondo. Un memento, un monito, un'ancora alla quale la posterità possa aggrapparsi per farci rivivere attraverso i suoi ricordi. Non tutti, però, hanno la forza necessaria a lasciare un solco profondo, e si limitano a tracciare un graffio presto cauterizzato e riassorbito dal rigenerarsi dell'epidermide della storia. Per questi derelitti, incapaci persino di un'immortalità surrogata, esistono déi in grado di ricordare le loro preghiere e condurli con dolcezza nel trapasso verso i piani celesti.
Posto che esista una divinità, naturalmente, sarebbe ancor più egoista presumere di poter vivere nella sua considerazione:
un uomo non è fatto per abitare i pensieri di un dio.
Nessun uomo, o quasi.

Dimensione di Endlos - Montagne del Koldran; Alba

Il baluginare di scintille opache accompagnate dal glauco, diffuso lucore del primo sole contro il crinale faceva davvero giustizia al nome delle Montagne del Drago: i barbagli dell'alba erano confitti nel grigio dei pendii innevati come mille lance nel costato di un titano, caduto sconfitto nella neve dell'Etlerth e pietrificato dal tempo, immortale. Sulla più brillante di queste lance, la luce era divelta dal profilo scuro e allungato di un'entità sconosciuta. Un'entità che, come quello stesso drago, era destinata a sconvolgere il mondo. Quello stesso giorno.
L'Aenemos alzò entrambe le mani, srotolando i lunghi capelli castani dal collo del pastrano scuro. Appena prima di inaugurare l'ultimo atto della propria missione di morte, aveva inspiegabilmente ricordato di un uomo alto, sottile e sagace incontrato prima del realizzarsi della sciarada di Antares.



Asmodeus. Ricordava si chiamasse Asmodeus.

Asgradel - Porto Oscuro

Venne attraversato da un'autentica scossa elettrica, che dalla testa si fece rapidamente strada lungo le estremità nel tentativo di scuoterlo -senza troppo successo- in un brivido di disagio. L'unico segno tangibile di quella folgorazione fu un breve ritardo nel dilatarsi del ghigno sornione con cui si voltò a rimbeccare il rosso,
squadrandolo dall'alto della vecchia polena.
Questo tallone d'achille per le frasi ad effetto non ti fa onore, fratello.
e rise di una risata arida, alla quale Pendragon fece eco con un verso straziante
pigolato attraverso la celata dell'elmo.
Sulle brutte storie, non è davvero il caso di perderci il sonno.
La risata si spense, e il sorriso con lei.
Non per te, almeno.

[...]

Avevano attraccato senza alcun clamore. A testimonianza del loro sconvolgente passaggio, solo l'espressione -congelata- di stupore stupido sul manipolo di guardie travolte dallo stupratore di belve e trapassate dalla puttana cremisi. I membri rimasti della guarnigione di Porto Oscuro diedero l'allarme a pieni polmoni, subito oscurati da un tetro, sonorissimo boato tombale che chiuse il momento presente -e tutti con lui- in una crisalide di silenzio stupefatto.
Oba e Tre-Dita avevano appena sfondato i cancelli.
Scavalcò la prua della piccola nave per balzare sul molo con insospettata agilità, respingendo un gendarme in carica con un colpo laterale ben assestato della partigiana. Sentì il cuneo che ne strappava gli anelli della cotta di maglia, catapultandolo in acqua: i pirati avrebbero fatto il resto.
Pendragon assunse la propria forma umanoide, falciando vittime nella scia del giullare in un tornado rosso sangue e nero inchiostro. Una volta penetrati in una delle tante, piccole arterie urbane della cittadina, il guitto si arrestò -e loro con lui. Il Cavaliere gli si portò di spalle, afferrando
un superstite in fuga per il collo e sfondandogli
il cranio con il guanto d'arme.



Ormai non possiamo più tornare indietro.
L'egomante si limitò ad annuire in maniera sbrigativa, voltandosi per rivolgere al pugno intriso
di frattaglie esibito dall'Incubo un cenno di muta,
morbosa approvazione.

 
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view post Posted on 19/4/2010, 13:49
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La paura è un'emozione multiforme.
Può essere fatta di brividi e di sussulti, come una scossa elettrica, oppure di correnti di aria gelida, notturna, che ti si insinuano nel letto quando porte e finestre dovrebbero essere chiuse. Può arrivare sotto forma di passi conosciuti nel posto sbagliato e al momento sbagliato, o di passi sconosciuti in una stanza familiare. Ma le paure sono tutte collegate, mormorio che aleggia intorno a te nel buio, vibrazioni che ti sfiorano la pelle e ti scostano surrettizie i capelli dal volto per poi svignarsela non appena ti fai coraggio ed apri gli occhi.
Inoltre, la paura è subdola.
Si stabilisce in un punto e se ne sta lì, paziente. Quando la affronti, è piccola e debole e ti guarda con occhi timorosi, tanto che ti chiedi come faccia a turbarti. Ma appena ti volti, si gonfia e scaglia saette e ombre gigantesche che riesci a cogliere appena con la coda dell'occhio, e fa cigolare sadica le assi del pavimento. Si gonfia, si gonfia, si gonfia fino a scoppiare, spargendo frammenti negli angoli più reconditi della tua mente, dove attechiscono e ricominciano a crescere fino a invaderti in ogni tua parte.
Ti inondano, e tu affoghi.

Il Re non ebbe paura mentre guardava il tramonto stagliarsi innanzi a sé, dipingendo uno screziato sentiero cremisi verso i territori del Sud. Erano lì, davanti a lui, e sembravano non vederlo arrivare - né lui, né il suo seguito. Come scorgere un lupo che si aggira nella foresta: se sai dov'è, è solo un animale e non ce l'ha con te. Va tutto bene. Tuttavia, il Re sapeva cosa sarebbe successo se fosse sgattaiolato via di soppiatto e scappato da quella guerra.

( Non avrebbe avuto paura, aggirandosi nei corridoi del proprio maniero.
Non avrebbe avuto paura, nel buio della sua camera da letto.
Poi, una volta stesosi sul suo giaciglio, avrebbe commesso un errore. Il suo fiato si sarebbe accorciato. Sarebbe divenuto impaziente e avrebbe pensato che, non intervenendo subito, avrebbe esposto il suo stato a rischi evitabili. Se i Martell fossero sopravvissuti alla battaglia, le conseguenze sarebbero state disastrose: non avrebbe avuto alcun senso assumersi più responsabilità del necessario. Si sarebbe messo ad ansimare. I Martell li avrebbero attaccati. Avrebbero sguinzagliato i loro uomini. L'avrebbero colpito nel momento in cui era più debole, avrebbero preso il maniero, e sarebbe stata tutta colpa sua. Il fiato si sarebbe fatto ancora più corto. Chevalier si sarebbe avvicinato a lui preoccupato. Avrebbero preso anche lui, l'avrebbero eliminato e sarebbe stata tutta colpa sua. Poi avrebbero preso anche lui, il Re, gli avrebbero fatto cose terribili e sarebbe morto, sparito dalla circolazione, estinto dopo così tanto tempo.
)

Il cielo sbadigliò sopra di lui, richiamandolo alla realtà.
La paura non è razionale; il Re ne era a conoscenza - ne era il maestro.
Per questa ragione era partito subito, portandosi dietro tutti coloro che erano stati disposti a seguirlo, senza spiegare loro né i ma, né i perché.
Poiché il sovrano non conosceva la paura
e non aveva alcuna intenzione di conoscerla. Anzi, la scalzò sprezzante,
armandosi contro nemici che nemmeno poteva dire di conoscere
e amici che gli avevano voltato le spalle.

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Quando edificarono l'accampamento - pochi tendoni accatastati organicamente su di un'altura dalla quale si poteva avere una vista perfetta su Porto Oscuro - era già notte fonda. Era stato un viaggio lungo e faticoso, soprattutto poiché aveva deciso che non si sarebbero fermati in alcuno dei piccoli villaggi che avevano superato: il commercio era ripreso, e voleva evitare di perdersi in pettegolezzi quali: "E' il Clan Toryu! Il Re che non perde mai è giunto per salvarci!" - stronzate.
Non avrebbe aiutato proprio nessuno: viceversa, non poteva non ammettere che le dicerie non l'avessero aiutato nel rintracciare il proprio obiettivo.
Dai mercati era venuto a sapere che la battaglia delle dune danzanti - così era stata nominata - aveva visto i Martell sconfitti fuggire verso Porto Oscuro; colpevoli di un inutile massacro.
In realtà, al sovrano non interessavano i Martell.
Essi dominavano una buona parte del territorio meridionale delle terre che un giorno sarebbero state sue di diritto, e disponevano di una grande forza umana armata ottimamente. Ma ciò che avrebbe colpito loro non sarebbe stato nient'altro che un misero attacco d'opportunità.
Il sovrano era lì per un'altra ragione.

Quando raggiunse gli uomini, essi si stavano rifocillando attorno a un grande fuoco - abbastanza grande da illuminare l'intero accampamento, ma non abbastanza dal destare troppa attenzione - proprio come nei migliori ideali cameratisti: alcuni si rifocillavano, altri riposavano in vista dello scontro, altri ancora chiacchieravano tra loro. Pochi, quasi nessuno, sapevano per quale ragione si trovassero lì.
Doveva loro delle spiegazioni, innegabilmente, dunque si sedette ad un lato del grande fuoco, batté le mani un paio di volte e attese che tutti centralizzassero la loro attenzione su di lui, prima di parlare.

« Io... non ho una moglie. »

Un esordio inaspettato, forse, ma la captatio benevolentiae voleva che si avvicinasse ai suoi interlocutori prima di abbarbicarsi in un'arringa.

« Non sono sposato, né ho dei figli. Non ho nessuno che mi aspetta a casa, in questo momento. Nessuno che, prima di partire, mi abbia fermato per chiedermi: "Perché stai andando?". »

Trasse un lungo respiro.

« ..."Perché stai andando?"; "Perché combatti questa guerra?". »
riprese
« Ma non posso certo dire che sia lo stesso per voi. »

Allungò lo sguardo verso Porto Oscuro, accompagnandolo con un gesto di sufficienza che fu più eloquente delle sue successive parole.

« Non vi mentirò: quella che combatteremo oggi è una guerra d'opportunità. Non abbiamo ricevuto alcuno sgarbo, né i Martell hanno mai minacciato il nostro regno direttamente. Sono solamente un potenziale nemico, ancora troppo debole per anche solo poter pensare di sconfiggerci. »
alzò un dito in ammonimento, come se volesse tacere ogni potenziale obiezione, prima di riprendere. Non aveva bisogno di ricordare loro le circostanze: i Martell sarebbero divenuti potenti, se lasciati fare, e attaccarli in questo momento era senza dubbio una mossa strategicamente eccellente per eradicare il loro potere dal meridione, prima che divenissero una vera e propria minaccia al clan. Una mossa che, in termini scacchistici, viene definita come uno scacco matto.
« Tuttavia, non sono i Martell il nemico che combatteremo oggi. »

sillabò la seguente conclusione, così che si dilungasse nelle orecchie degli ascoltatori per quanto fosse necessario.

« ...ma la Paura. »

silenzio.

« di non tornare dai propri cari. Di perire in battaglia. Di non essere all'altezza. Di ciò che i Martell potranno o non potranno diventare. Di un popolo afflitto da continue battaglie per cui noi - proprio noi! - ci siamo ridotti ad essere l'unica salvezza, pur senza chiederlo a nessuno. »
abbassò la mano.
« Il nostro nemico - oggi - sono queste paure, e mille altre ancora. »
Sbuffò, per tutta la melassa che gli si era appiccicata in bocca.

« Dunque non aspettatevi di essere aiutati da qualcuno, quando sarete sul campo di battaglia, »
e finalmente gli si ridipinse quel lungo taglio scuro ed alterco sul viso: uno stupro fra i sorrisi
« poiché state combattendo per non altri che per voi stessi. »
soffocò una risata in gola che sarebbe stata a dir poco sfacciata - altro che captatio benevolentiae!

Lasciò che il suo sguardo si perdesse per un attimo nelle fiamme innanzi a lui, senza che i mormorii dei Toryu innanzi a lui disturbassero i suoi pensieri.
La situazione, in realtà era ben diversa.
Non era lì per inseguire i Martell, né per inseguire le proprie paure.
Era lì per riprendersi Shagwell. Solo per quello.
E benché nessuno gli avesse dato la certezza che i guitti volessero finire i Martell a Porto Oscuro
conosceva il giullare tanto bastante per sapere che alle luci dell'alba
lui sarebbe stato lì
e il Sovrano l'avrebbe raggiunto
e ripreso con sé.


Nient'altro aveva importanza.

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Alle prime luci dell'alba, la sua mente gli dimostrò d'essere ancora abbastanza allenata.
Tutto era proceduto come aveva previsto, e loro erano lì: pronti ad attaccare prima ancora che la battaglia fosse effettivamente iniziata.
La figura del Re che non perde mai aleggiava su Porto Oscuro, controllando le sorti del combattimento come una partita a scacchi contro il fato; una partita che i Martell non potevano vincere.
Le prime esplosioni segnarono l'inizio del conflitto e, dalla loro posizione, si poteva persino scorgere la figura imponente del bastardo del titano che sfondava i cancelli come fossero burro.
I guitti erano dalla loro.
Nient'altro che pedoni nella partita di Ray, nient'altro che carne da cannone - l'avanguardia del loro attacco.
Dall'alto di una delle spalle di Chevalier, Ray si rivolse alle sue truppe, già pronte a caricare.

« Fermi. »

image

« ...Non è ancora il nostro momento. »
SMILE


CITAZIONE
Status fisico: Illeso (100%)
Status psicologico: Illeso (100%)
Energia: 150%
Tecniche e Abilità: Sii la mia voce: "Ma la poca prudenza degli uomini comincia una cosa che, per sapera allora di buono, non si accorge del veleno che vi è sotto." Nessun Re è mai resistito tanto senza l'appoggio del popolo. E per avere quest'ultimo bisogna essere sempre assennati, dare sempre priorità alle necessità dello stato sulle proprie e ascoltare pazientemente i propri sottoposti; oppure, semplicemente sapre mentire con efficacia. E Ray è il maestro di quest'arte, come di tutto ciò che comprenda l'inganno. Ogni parola che uscirà dalle sue labbra, infatti, suonerà alle orecchie dell'ascoltatore come inoppugnabilmente vera, indipendentemente da quanto grande sia la menzogna che il Sovrano sta raccontando. Ciò non significa che egli possa dare ordini diretti; semplicemente le bugie che racconterà suoneranno sempre agli altri come una verità assoluta e incontestabile.
Sii la mia forza: "Dal momento che l'amore e la paura possono difficilmente coesistere, se dobbiamo scegliere fra uno dei due, è molto più sicuro essere temuti che amati." La paura; l'inganno; le fobie e il terrore: Tale è il dominio del Re che non perde mai. Egli sa che un popolo tenuto sotto il gioco dello spavento sarà sempre cento volte più obbediente di un popolo amato e lasciato libero a pascolare. Egli sa che la paura è il mezzo più sicuro, ovvio e piacevole perché gli venga riconosciuto il comando dai suoi sottoposti. E così l'aura del sovrano è cambiata, lentamente, in tal senso. Chiunque lo veda, lo senta, ne percepisca l'odore o addirittura l'aura, infatti, inizierà a provare una profonda paura incontrollata e inspiegabile: Lo stesso terrore che si prova innanzi ad una porta che da su una stanza completamente buia. La stessa fobia che fa credere che sotto il proprio letto vivano dei mostri terribili, o che il rumore che si è appena sentito siano i passi di uno sconosciuto. La paranoia di chi crede che qualcuno potrebbe eliminarti da un momento all'altro e la consapevolezza che quel "qualcuno" è dentro di Ray, senza che si sappia esattamente cosa sia. Tale potere è passivo, ma può anche essere convogliato tramite la propria energia in una tecnica attiva di potenza Variabile, direttamente dipendente dal consumo.
Note: Penso che sia chiaro, ma lo specifico: Ray ordina di non attaccare, ancora.
Per qualsiasi domanda, il bando. Da questo post tutti i Toryu hanno una settimana di tempo per postare.



Edited by Ray~ - 19/4/2010, 21:14
 
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view post Posted on 19/4/2010, 16:58




Trollhammaren sveper igen,
Hugga ned, broder igen!
Hör det sista ropet:
Trollhammaren är här!



E Già all’alba l’aria fremeva di tensione, tesa come la corda di una balestra, pronta ad esplodere ad un minimo gesto, un gesto del Re, un gesto che avrebbe lasciato un solco indelebile nella storia.

Ed il Re era lì, pallido e regale, gracile e imponente al contempo; ed in una mano teneva già molte vite, e con quella mano le avrebbe spezzate; con un unico gesto ci saremmo gettati nell’inferno gioioso della battaglia, e avremmo versato fiumi di sangue di validi uomini e grida strazianti di innocenti immolati al suo turpe trionfo: al trionfo del Re Leviatano.

E tutto tace, in quel infinito interludio, come se il tempo trattenesse il fiato prima di intonare la prima nota della sinfonia della distruzione; e gli archi si tendono e le trombe si alzano al cielo.

Ed un boato fremette nell’aria, e poi un rivolo di fumo; è il segnale, il dado è tratto: la morte gioirà oggi.

Ma il Re attende, impassibile scruta le mura: là una imponente figura avanza e si apre la strada innanzi a se, furioso e distruttivo riduce in polvere tutto ciò che gli si pone innanzi, e quando raggiunge le porte, chiuse, senza esitazione alcuna le colpisce , e , come non esistessero realmente, queste cadono distrutte a terra, impotenti , come le guardie accorsi a difesa , ed anche questi cadranno inutilmente, perché il re non perde, Mai.

Ma il Re attende, con una mano ci trattiene alle nostre posizioni; con quella mano ci guiderà al assalto.
E come un direttore d’orchestra che governa i suoi strumenti di morte, attende paziente, perché tutti si attengano allo spartito, perché ogni arma suoni la propria nota al momento giusto, e presto quello spartito sarà colmo delle note di dolore e di morte. E ad ogni strofa si leverà un coro di lamenti.

M
orte, morte, morte

Una melodia che si ripeta per ogni via fino alla torre più alta.
Siamo folli al comando di un folle, e la follia ci guida e la distruzione ci segue.
Ci disseti il sangue dei caduti in battaglia.
Ci trafiggan' le freccie degli arceri nemici.
Affondino le lame nella carne dei soldati.
La guerra ci chiama, è una brama ardente.

Presto! Oh Re , concedici di suonare la nostra marcia.

 
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Il Peccato
view post Posted on 19/4/2010, 20:27




War - The Supreme Art



Le nubi nere della guerra si stagliavano lontane all'orizzonte cremisi. Una città in fiamme, una città piegata, una città nostra. Nostra ancora prima di entrare, questo lo sapevo. Stavo fra altri compagni, eravamo tutti dissimili, sembravamo l'abito di arlecchino. Diversi per specie e abilità eppure uniti dal nostro Re, Ray, il Re che non Perde Mai.
C'era un che di confortante nel suo nome, forse perchè è baluardo di sicura vittoria e gloria? Forse. Ma io non ero li per quello. Sinceramente della gloria non me n'è mai fregato un cazzo. Uccidere. Quello si che era divertente.
Con fare scocciato tiravo un ennesimo tiro alla mia dose di veleno giornaliera. Nuovelette di acre fumo uscivano voluttuose dalla mia bocca, il fumo faceva davvero schifo, ma ormai non riuscivo a smettere, era un vizio che mi piaceva troppo.
Da lontano giungevano grida e urla infernali. Dinnanzi ai portali della città si poteva distintamente vedere un gigante che aveva abbattuto la porta con un solo pugno.
Sarebbe stato bello averlo nel giardino di casa. Insieme ai sette nani.
Ero davvero divertito. Chissà quanto stavano soffrendo quelli la. Desideravo davvero vedere la faccia di quelli che stavano di guardia alle porte. Mi immaginavo i loro visi sconvolti dalla paura mentre cadevano dalle mur per spargere le loro budella al suolo.

Ahahahaha

Risi sguaiatamente. Chissà se i nani con il piede equino ottenevano giustizia in paradiso. Non so perchè lo pensai, lo pensai e basta. L'esercito del Toryu si fermò. Il nostro caro Re scese dalle spalle del suo immenso golem e si rivolse a tutti noi.
Lo osservai con falso interesse mentre faceva la sua arringa. Era davvero un bravo oratore, bravo a inculare la gente con le parole. Bravo perchè tutto quello che diceva suonava dannatamente vero.

"Guardati sempre da coloro che parlano bene, perchè stanno cercando di mettertelo in quel posto"


Questo era solita dire mia madre, prima che la uccidessi naturalmente. Non potevamo fidarci di quell'essere, definirlo uomo sarebbe stato sbagliato, era più che un uomo. Sentivo che era pericoloso, sapevo che se avesse voluto mi avrebbe eliminato senza pensarci due volte, dovevo stare in guardia . Cercai di pensare ad altro posando nuovamente il mio sguardo sulla città assediata. La polis si mostrava paesagigo irreale. Le fiamme toccavano quasi il cielo con le loro roventi mani. Sull'urbe si stagliava l'imago mortis. Nera sorrideva la mietitrice. Io le sorrisi di rimando. Dopotutto era un buon giorno per morire.
Il nostro Cesare ci intimò di stare ai nostri posti. Presto avremmo superato il Rubicone.

Alea Iacta Est.



SPOILER (click to view)
Per questa speciale quest ho deciso di cambiar eun pò il mio stile, cercando di renderlo un pelino più epico XD le frasi senza senso sono mese li apposta, ricordate John è pazzo. Scusatemi ma non potevo non mettere quella stupenda canzone, War The Supreme Art degli Stormlord


Edited by Il Peccato - 19/4/2010, 21:45
 
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view post Posted on 19/4/2010, 20:53
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Like a paper airplane


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Un grande fuoco.
Come quello delle feste di paese, dove amava ballare e mescolarsi alla gente comune. Leggeva nei loro sguardi la semplice legge del carpe diem. Cogliere l'attimo prima che andasse perso. Cogliere il riverbero delle fiamme, i sorrisi tra le ombre, gli occhi scintillanti. Danzava per loro attorno a quel fuoco, i movimenti sinuosi come le fiamme stesse. Li amava, amava la loro semplicità, la loro gioia goliardica. Il loro desiderio senza pensare alle conseguenze. Li amava giacendo contro i loro corpi, donando loro il proprio calore. Carpe diem, il tempo di una fiamma per consumare quella passione.
Un grande falò.
Come quello che ardeva nella sua anima, che le bruciava le viscere e il cuore. Che si mangiava la sua vita secondo dopo secondo. Un roveto ardente che non si consumava, ma da cui nessuna voce divina parlava. Solo le Voci, loro, incessanti. Loro che parlano rivelandole come sarà il suo futuro, come sia già discesa tra le mani del torturatore che non la lascerà più fuggire.
E attorno a quel fuoco, a quel falò, uomini, umani come lei, mangiavano e giocavano a carte, chiacchieravano e bevevano. Sdrammatizzavano l'attesa per quello che sapevano dover accadere. Sapevano che le spade presto si sarebbero incrociate e le guardavano, distese fuori dalle tende come corpi dormienti, mastini in attesa di scagliarsi all'attacco. Guardavano le proprie mani distese in grembo, impegnate, bagnate o asciutte, e le immaginavano già lorde di sangue. Sangue non loro, probabilmente. Sangue non loro, o almeno questo speravano.
E poi sollevavano lo sguardo e si fissavano tra di loro. Guardavano l'amico, il fratello, il compagno di bevute. Si chiedevano se li avrebbero rivisti il giorno dopo. Se avrebbero potuto scherzare ancora come in quel momento. E nei loro gesti, gesti abituali, si rifletteva la sottile ansietà, l'angoscia, la paura. Parevano rallentati, come se li studiassero per la prima volta guardandoli dall'esterno.
E i loro sorrisi erano tirati. Le loro battute inframmezzate da lunghi silenzi. Non erano più uomini, ma manichini sull'orlo di un baratro, in attesa che il vento li spingesse nel vuoto.
E lei li guardava come se fosse in presenza di uno spettacolo teatrale. Lei che ogni giorno vedeva se stessa vivere e morire. Lei che ogni notte era vittima dei propri incubi, che ne era perseguitata, che per zittirli doveva soffocarli nella libidine o nel sangue. Lei godeva. In quello che era il suo mare, il suo ambiente di caccia. Lei godeva. Occhi negli occhi con loro.
Quando incontrava i loro sguardi, le sue labbra si stiravano in un sorriso sardonico. Lei era l'altra faccia della morte. La faccia infuocata e calda, la faccia sensuale e dolce. Lei li avrebbe affiancati e accompagnati. Lei avrebbe cavalcato i loro incubi e i propri.
Si coprì il volto con il manto scarlatto, mantenendosi distante dalle luci. In una notte qualsiasi sarebbe stata tra loro, senza quel manto, senza quella veste. Sarebbe stata tra le loro mani come una ninfa, una regina del piacere. Ma non quella notte. Quella notte lei era solamente uno spettro, si teneva a distanza.
Carpe diem.
Ma come fare, quando l'attimo è già fuggito? Quando non ci sono più attimi da cogliere?
La mano sinistra scese fino alla lama legata alla cintura, poi lungo la coscia, lungo la gamba nuda. L'altra, la destra, era stretta da piccole dita fredde. Era protetto sotto il suo manto, il cucciolo che le era stato affidato. Aveva seguito il suo Re e non poteva abbandonarlo. Lo stringeva contro il corpo, protettiva, decisa a non lasciare che gli accadesse nulla. Per non deludere il Burattino. Come era lì per non deludere il Sovrano. Come sarebbe scesa in battaglia per non deludere alcuno di loro. Lei che era già morta. Lei che era senza pietà.
Stava con le palpebre socchiuse, lasciandosi abbracciare dalle loro voci, dalle loro risate false. Lasciandosi inebriare dallo scoppiettio della legna che si bruciava e dagli odori della cena. Ultime tracce di vita qualunque di persone qualunque. Ultime tracce prima della fine.
Stava per allontanarsi, rispettosa di quella gente impaurita, quando Lui si fece strada tra loro.
Avrebbe potuto riconoscere la sua presenza tra altri mille. Istintivamente fece un passo indietro, al solo suono della sua voce raccolse il corpo di quello che chiamava figlio e se lo strinse al petto. Lo guardava con occhi di brace, domandandosi dove sarebbe andato a parare. Lo trapassava con le iridi d'acciaio, come volesse penetrare nei suoi più intimi pensieri.
Parlava di paura.
Una parola che lei ben conosceva. Una parola tristemente famosa.
Ma proprio per questo una nemica abituale, una che avrebbe potuto affrontare e trattenere in ogni istante. Le Voci già chiedevano il sangue di quei corpi così vicini, dei loro cuori pulsanti. Chiedevano la furia senza pace della guerra. Chiedevano che si lavasse nel sangue. E forse che morisse, liberandole finalmente, liberandosi di quell'inutile tribolazione.



« poiché state combattendo per non altri che per voi stessi. »



Sorrise, sarcastica. Le sue labbra si deformarono imitando quelle di lui.
Naturalmente.
Combattevano per loro stessi. Per riportare a casa la pelle, per qualcuno in cui credevano, per l'amore. E sarebbero morti rimpiangendo quei pochi istanti di gioia che avevano sperato.
Lei invece combatteva per la gioia di combattere. Non le importava come sarebbe finita. Combatteva per uccidere il nemico successivo, per fare in modo che non trafiggesse lei. Combatteva per combattere. Poggiò le labbra sui capelli scuri del proprio cucciolo. In silenzio.
Non voleva comunicargli il proprio odio.



Non correre rischi.
Stammi lontano
”.



Tutto quello che seppe dirgli.
Con voce modulata, elegante.
Tutto l'amore di cui fu capace, e forse l'ultimo che avrebbe potuto donargli, l'ultimo tentativo di proteggere quella sprezzante creatura.
Carpe diem.
Avrebbe dovuto cogliere l'occasione.
E invece l'aveva sprecata. Chiuse gli occhi, mentre le ciglia fremevano di un dolore profondo, viscerale, che raramente aveva provato.



. . .



All'alba erano già schierati.
Lei, in prima linea, la prima carne a gettarsi contro l'avversario. Il manto rosso a coprirne l'elegante figura. E nonostante ciò nessuno avrebbe potuto scambiarla per un semplice soldato. La mano in quella del ragazzino, pronta a lasciarlo al segnale di carica.
Guardava avanti a sé, le labbra conserte, per non vedere nessuno. Nessuno che potesse poi ricordare con nostalgia. Lei combatteva per combattere. Questo dicevano le Voci. Questo negava la sua stretta attorno alla piccola mano, una stretta timida, protettiva.
Ma quello non era il momento per cambiare, per invertire la rotta.
Quam minimum credula postero.
Non pensare al futuro, per nulla.
Un nemico ancora debole, pronto per essere spazzato via. Un arrosto sul piatto d'argento, un pasto facile, ma che rischiava di restare sullo stomaco. Strinse i denti, mentre le prime esplosioni spandevano il proprio eco. Percepì molti irrigidirsi. Quelle comunicavano a tutti la misura della realtà. Sangue e morte e grida.
La porta cadde, frantumata da una figura imponente. Una figura conosciuta. Abbozzò un sorriso.
Dunque ci rivediamo, mastro Hoggar, mercante solitario delle foreste orientali.
Immaginò li avrebbe rivisti tutti, prima o poi. Forse avrebbero perfino incrociato le spade. Il sole si riflettè sul suo volto ombre rossastre. Quasi un'anticipazione di ciò che sarebbe stato.
Una nuova esplosione. Anche da quella distanza era possibile intuire lo spegnersi di quelle vite. Con le dita coprì gli occhi del ragazzino. Non sapeva se fosse avvezzo alla morte, a una morte straziante come quella.
Dall'alto della spalla di Chevalier, dall'alto di quell'enorme mostruosità che li dominava, si levò un dito. Un piccolo pinnacolo su quella torre. Eppure sufficiente a comandarli tutti. Levò il capo, seguendo quel gesto. Seguendo quella parola, il dispiegarsi delle lettere nelle nuvole gettate sul cielo da un pittore distratto.



« ...Non è ancora il nostro momento. »

image



Lui sorrideva, lei invece fremeva.
Ogni respiro rubato a quella guerra era un ultimo rimpianto, un'occasione per ritirarsi, per ridiscutere i termini di quel contratto già stipulato. Ogni gesto sprecato era un piccolo frammento di energia in meno per la battaglia.
Lasciò che il fiato le scivolasse dalle labbra dolcemente. E guardò gli altri attorno a sé, gettando indietro il cappuccio. Con un movimento fluido della mano si era levata interamente il mantello e l'aveva gettato nell'aria alle proprie spalle.
Era il suo modo di decretare la fine dei convenevoli.
Dum loquimur, fugerit invida aetas.
Mentre parliamo, l'età invidiosa fugge.
Come un manto rosso nel mattino.
Non ci sarà tempo per riprenderlo. Lasciamolo fuggire. Lasciamogli fare ciò che noi non possiamo.
E speriamo che un'anima pietosa ce lo ponga sul volto, poi, quando ci ritroveranno entrambi.

 
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view post Posted on 19/4/2010, 22:04

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Le Cronache del Sangue


Il cantico cremisi


Atto VII


Chapter 1
Il Re che non perde mai

La guerra non è altro che un semplice restauro della pace, o in alcuni casi della protezione di essa.
Perché l'uomo dunque, professa il bene e fa il male?
Quindi, perchè la guerra?
Alcuni pensano che Dio dal momento in cui ha donato il libero arbitrio ha concesso il male, il male porta alla guerra.
Altri affermano che nell'uomo c'è un'ineliminabile spinta aggressiva e distruttiva, che solo l'incessante processo di civilizzazione può tentare di tenere a bada.
Ma oltre tutte queste ragioni filosofiche che a nessuno interessano, ogni dannato uomo su questo mondo ha un proprio motivo per lottare.

Persino un Re che fino a quel momento MAI aveva mosso guerra.
Ergo un motivo serio deve pur esserci?
Oppure era solo un capriccio?

Di quelli che hai da piccoli, quando tu, nonostante sei ben conscio che quel pesciolino rosso morirà dopo tre settimane, piangi, urli e ti disperi, finché la tua adorata mammina non ha le palle piene.

Una cosa sola sappiamo, che quando il Re che non perde mai, scende in guerra, tremate voi che siete gli avversari, perchè se così si chiama non è per farsi lo sbruffone con quattro amici al pub.







Il focolare antecedente ad una battaglia animava il campus, intorno la quasi totalità del bel clan Toryu, chi stanco per le lunghe ore di viaggio si riposava per l'indomani, chi come Lucifero, che di dormir non aveva bisogno, osservava i pedoni dell'imminente partita a scacchi.
Poi c'erano i melanconici, quelli che tra le mani stringevano un ricordo della propria amata, o un dono di famiglia, struggenti si chiedevano per quale motivo decisero di seguir quel folle di un Re in quest'impresa.

Suonavano di patetico.


Infine altre persone strambe, qualche bambino, qualche mamma, poi persone che probabilmente già aveva conosciuto, insomma in quell'accampamento si poteva trovare di tutto.
Era seduto su un pezzo di legno accanto al focolare, e da lì poteva davvero osservare chiunque.
Il pugno era noiosamente posato sotto il mento, di tanto in tanto sbuffava, rimarcando hai presenti la sua noia.

Era impaziente.
Questo può suonare strano ma lo era.



Impaziente perchè era la sua prima vera guerra nel suo nuovo corpo.
Perché la guerra faceva parte del suo essere.
Perché la guerra semplicemente lo esaltava.


Ma qualcosa a cui non si poté stranamente sottrarre interruppe il suo dolce pensare.
Ancor prima che iniziasse a parlare seppe chi era, l'aura di timore che lo precedeva lo aveva presentato.

LUI ERA IL RE.


Finalmente.


Un bisbiglio a mezza voce che si confuse nelle parole dello stesso e nei rumori della notte. Aveva sentito parlare molto di questo Re, finalmente avrebbe saputo se le dicerie sul suo conto erano vere o false.
Poi qualcosa di altrettanto strano fece credere ad occhi chiusi a quello che quell'uomo diceva, sembrava tutto sacrosantamente vero.

« Dunque non aspettatevi di essere aiutati da qualcuno, quando sarete sul campo di battaglia, »


« poiché state combattendo per non altri che per voi stessi. »


Ovviamente, aveva ragione, ma qualcosa gli urlava che loro combattevano per lui.
Ma quel che contava e che dovevano riportare la pellaccia a casa, o perire come uomini sul campo di battaglia.

Si sarebbero cantate lodi eterne su quella guerra.
I nomi dei partecipanti sarebbero stati ricordati, quella fu l'ultima notte prima della battaglia.
Al sorgere del dì, si sarebbe scatenato l'inferno.




Il sole sorgeva, le truppe erano schierate sopra al colle, sotto qualcuno aveva già sfondato le porte della città, una gigante, un colosso, aveva sfondato le porte come fossero cracker, a quel punto i già timorosi avrebbero volentieri arretrato.
Ma lui no.
Con la spada sguainata attendeva il segnale, dinanzi a lui una donna col bambino, sembravano personaggi di un quadro michelangiolesco sull'apocalisse, pronti quasi tutti a combattere.

Mancava solo il segnale.

Dopo si sarebbe davvero scatenato l'inferno.




CITAZIONE
Spero di essere stato all'altezza di voi mostri sacri, impossibile ovvio, ma ci ho provato!
Spero non sdegni più di tanto, soprattutto dopo il post della rosa! uffi!
Ah, un piccolo omaggio al nostro Re, il mio pg non si è potuto commuovere ma io si!!

 
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Allea
view post Posted on 20/4/2010, 16:45




Noki non sa cosa voglia dire la parola paura – o, almeno, non sa cosa voglia dire la parola paura, per lei è solo un’insieme di lettere simboli senza senso, che nella sua mente non vogliono dire nulla.
Noki non sa cosa voglia dire paura ma conosce il nero e la sensazione agghiacciante di non essere in grado di muoversi, di trovarsi impotente davanti agli avvenimenti, di sentire il ritmo del fiato aumentare e il battito del cuore (bu-bum bu-bum bu-bum) sempre più forte e sempre più vicino. Però non sa cosa voglia dire la parola paura.
Noki semplicemente non dà un nome a quella sensazione, la vive passivamente, l’osserva con gli occhietti spalancati per poi addormentarsi e quando riapre gli occhi tutto è sparito, come se nulla abbia mai cercato di farle male. Come se non fosse mai successo nulla.
Noki è una codarda, in realtà, ma nessuno ne è a conoscenza.


~



Lei non era una bambina che si fa domande, era stata abituata a non farle e, sinceramente, le era sempre piaciuto così: niente fastidiosi mal di testa, niente confusione e, soprattutto, niente preoccupazioni. Noki-chan si limitava a seguire gli ordini – le regole – e tutto andava bene, non poteva certo sbagliarsi se seguiva tutte tuttissime le regole all’assoluta perfezione, ne?
Per questo non aveva fatto molte domande nemmeno quella volta – cosa cambiava da qualsiasi altro gioco a cui aveva partecipato? A lei bastava solo che le dessero delle regole, delle linee guida e poi lei avrebbe anche potuto giocare da sola – e non le interessava il motivo, davvero, quelle erano cose che toccava decidere ad altri e che la sua piccola mente non riusciva bene a capire senza farsi male alla testolina.

Guerra, la chiamavano, con quel tono spaventato e un po’ eccitato e Noki li guardava, il nasino all’insù e piegava la testa di lato: cosa c’era di così speciale in questa Guerra?


Se lo chiedeva ancora, a dire il vero, anche dopo che erano partiti tutti assieme, se l’era chiesto durante il cammino, mentre tutti marciavano chi guardandosi i piedi, chi il cielo, chi semplicemente guardando avanti, nulla in particolare e se lo chiedeva ora mentre erano seduti davanti al falò, mentre vedeva negli occhi e nei movimenti e nelle parole di tutti una certa tensione.
Avrebbe voluto chiedere “Che succede, Fratelloni? Perché quelle facce, Fratelloni? Noki-chan può aiutare? Noki-chan vuole aiutaaaare tutti perché lei è un’eroina, fueh!” ma c’era sempre qualcosa, una sensazione, che la bloccava.
Apriva la bocca, pronta ad urlacchiare e saltellare e fare sparire dal viso di tutti quell’espressione, per richiuderla subito dopo e guardarsi in giro confusa.
Noki-chan non li capiva proprio questi grandi.
Fu allora che il Fratellone Re fece il suo ingresso, proprio mentre la piccola stava per dare un calcio ad un sassolino che aveva trovato per terra, ed improvvisamente tutti si zittirono e i loro occhi si riempirono di qualcosa di strano che Noki-chan non conosceva e la bambina si voltò anche lei a guardare il Fratellone Re.
Paura disse, Paura sentì bisbigliare, Paura ripetè e Noki-chan lo guardò con uno sguardo strano.

image


No, Noki-chan non voleva pensare, non voleva pensare a tutte quelle parole strane che in bocca agli altri sembravano enormi e che, per lei, non significavano assolutamente nulla.

Guerra, avevano detto, con le mani tremanti e gli occhi che guardavano lontano e Noki aveva pensato ad un nuovo entusiasmante gioco in cui tutti sarebbero stati felici e si sarebbero divertiti e invece non c’era nessuno che si stava divertendo. E Noki-chan non capiva quale fosse la differenza


Ma non importava, perché il Fratellone Re aveva continuato a parlare e Noki-chan era rimasta catturata da quel discorso di cui non capiva assolutamente nulla e da parole che perdevano significato troppo presto. Noki-chan si era convinta immediatamente perché non aveva mai davvero avuto bisogno di essere rincuorate.

Noki era una codarda, ma, non sapendo cosa fosse la paura, nemmeno lei se ne rendeva conto.


~



Era quasi come se il mondo si fosse fermato, come se il vento avesse deciso di fare una pausa per permettere alle truppe di godersi quel momento. Ed erano tutti fermi, immobili, e Noki-chan non ce la faceva più.
Noki-chan che non capiva, Noki-chan che voleva solo giocare e perché nessun’altro è felice? E’ un gioco, un gioco bellissimo e siamo così tanti, perché non siete felici?
E poi un’esplosione e i colpi e i rumori e la piccola Noki-chan guardava, mettendosi sulle punte per capire meglio. Perché erano ancora lì? Perché non stavano giocando?

«Fermi… Non è ancora il momento»

E nessuno si mosse, quasi trattenendo il respiro. Oh, che stessero aspettando il “Via”? Che il gioco, in realtà, non fosse ancora iniziato?
Che cosa stavano aspettando? Perché non si muovevano, Noki-chan voleva giocare e muoversi e lasciare scivolare nel gioco tutte le cose che non capiva.
Noki-chan non era brava a pensare, Noki-chan odiava pensare, le veniva così male, quindi lasciava che gli altri pensassero per lei, spesso – andava bene, davvero, a lei bastava giocare e vincere e andare avanti e ricominciare da capo – ma stando fermi, aspettando, uno comincia a pensare e Noki-chan non pensava mai a cose piacevoli.
Voleva giocare e dimenticare tutto. E si guardò intorno, aspettando anche lei il «Via».

Noki-chan sarebbe stata una codarda per sempre, ma non ci avrebbe pensato mai.
Quindi andava tutto bene.


SPOILER (click to view)

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Energia: 150%
Condizione Fisica: Illesa
Stato: Umano
[ReC: 225; AeV: 195; PeRf: 400; PeRm: 185; CaeM: 245]
Armi: Minesht - riposta | Aki - riposto | Leviathan - Forma: Berzenev; Luogo: Cappuccio | Piccoli e Fastidiosi Dentini - riposti
Abilità:
Passive:
Presenza Demoniaca; Noki, in quanto demone, incute timore a chi gli sta accanto [Energie pari od inferiori; Non funziona sui demoni];
Resistenza; Noki può avvalersi di un'incredibile resistenza fisica che si presenta come: pelle più coriacea del normale, più difficile da scalfire; ossatura pressochè indistruttibile; un sanguinare ridotto per la maggiore difficoltà di creare emorragie;
Energia!; Noki è una bambina molto energetica tanto che, al contrario di molti, Noki comincerà l'incontro con il 150%
Attive:

CITAZIONE
»La forma base del Leviathan è quella di una sfera del diametro di quindici centimetri, solida e simile al vetro, anche se non altrettanto fragile, e di colore grigio. Al suo interno si potrà scorgere come un'acqua limpida e pastosa al tempo stesso, di una consistenza assolutamente inconcepibile. Questa forma è, però, quasi uno stato intermedio in quanto essa, reagendo alla personalità del suo possessore, è in grado di cambiare colore e mutare forma prendendo le sembianze dell’arma o dell’oggetto che più si adattano al suo proprietario. Non potrà, inoltre, assumere che quella stessa forma - spendendo un nullo e consumando uno slot tecnica all’inizio di ogni scena o duello, infatti, il Leviathan perderà la forma sferica e assumerà la forma designata. Qualunque sia la forma presa, comunque, essa sarà pericolosa come una qualunque spada o resistente come uno scudo.

Note:
1. Fueh \o/ Perdonatemi, ho un personaggio troppo stupido for her own good ;3


 
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dra31
view post Posted on 20/4/2010, 22:37




Accampamento Toryu.
Territori Meridionali.

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   L'ultima volta che si è trovato coinvolto in una battaglia, è stato circa dieci anni prima. Alloggiava e costruiva nella città libera di Barcino, nelle Terre Occidentali, dove vige l'usanza del via fora, una chiamata alle armi cittadina utilizzata soprattutto quando si presentano dei pericoli o dei torti nei confronti degli interessi e la vita di ogni abitante della città. Quella volta il via fora è stato per una questione territoriale, dove la sua impresa militare si è consumata nelle retrovie di un breve assedio a un piccolo fortino, ma erano altri tempi e altri luoghi.
In questo tempo e luogo, il via fora chiamato dal re è per qualcosa che ancora non si conosce. Certo, la maggioranza dei presenti sa solo che si va alla guerra ma la loro informazione si ferma lì, coscienti solo del fatto che difficilmente ci saranno retrovie da difendere.
A tappe forzate, con poche soste accampate lontano da ogni sorta d’insediamento urbano, i Toryu si sono spinti a Sud, seguendo un re e i suoi pensieri. L'ultimo campo è allestito a notte inoltrata, con pochi alloggiamenti ordinati e un robusto fuoco da campo. Il costruttore partecipa attivamente all'edificazione del campo, lieto di scaricare la fatica della marcia in un’occupazione a lui adatta. Ha finito di allestire il campo, o almeno di fare la sua parte, ed è intorno al calore e al chiarore delle fiamme del falò che costituisce il centro dell'accampamento, quando il Toryu è invogliato a riportare la propria attenzione sulla figura del re. Il "Re che non perde mai", il signore di quel monumento all'opulenza denominato "Il Bianco Maniero". Insomma, il datore di lavoro. È la prima volta che Serhat ha modo di vederlo e ascoltarlo, e non vuole perdersi l'occasione di conoscere e capire qualcosa di chi l’ha assunto.

Io... non ho una moglie.
Non sono sposato, né ho dei figli. Non ho nessuno che mi aspetta a casa, in questo momento. Nessuno che, prima di partire, mi abbia fermato per chiedermi: "Perché stai andando?".



..."Perché stai andando?"; "Perché combatti questa guerra?".

Ma non posso certo dire che sia lo stesso per voi.

   Lo deve ammettere, le sue parole sanno incatenare l'animo e la coscienza delle persone, perfino la sua che solitamente è restia a fidarsi delle parole di un altolocato. Non è chiaro se tale potere è dovuto alla capacità oratoria del Sovrano, di saper parlare al cuore delle persone, o a quella fastidiosa sensazione di sudore freddo che gli percorre la schiena, costringendolo a sfruttare la pausa del re per trovare un momentaneo sollievo con una robusta grattata sulle spalle. È indubbio che quel "Re che non perde mai" abbia un certo fascino, qualcosa che ti costringe a riservargli un rispetto timoroso, se non terrorizzato. Serhat inizia a capire un po' del perché di quel titolo esagerato.

Non vi mentirò: quella che combatteremo oggi è una guerra d'opportunità. Non abbiamo ricevuto alcuno sgarbo, né i Martell hanno mai minacciato il nostro regno direttamente. Sono solamente un potenziale nemico, ancora troppo debole per anche solo poter pensare di sconfiggerci.

Mors tua vita mea, la tua morte è la mia vita. È un ragionamento egoistico, barbaro, immorale; dite quello che volete ma è un ragionamento concreto, efficace e reale, anche se brutale. Dopotutto non si dice che prevenire è meglio che curare?

Tuttavia, non sono i Martell il nemico che combatteremo oggi.

...ma la Paura.

Silenzio. Una platea ammutolita di cuori rapiti attende il continuo dell'arringa del re. Non vola letteralmente una mosca, solo il crepitare del falò si concede il lusso di far sentire la sua voce.

di non tornare dai propri cari. Di perire in battaglia. Di non essere all'altezza. Di ciò che i Martell potranno o non potranno diventare. Di un popolo afflitto da continue battaglie per cui noi - proprio noi! - ci siamo ridotti ad essere l'unica salvezza, pur senza chiederlo a nessuno.

Il nostro nemico - oggi - sono queste paure, e mille altre ancora.

Sbuffa il re. Divertente, sembra che non ci creda nemmeno lui alle sue parole. Serhat ha iniziato a farsi un'idea dell'uomo che sta ascoltando, un'idea che decide di tenere stretta per se, mentre sposta il peso del corpo da una gamba all'altra, poiché è fermo in piedi dall'inizio del discorso reale. Non ha intenzione di terminare i suoi giorni come disertore e traditore, rompendo un contratto e un giuramento per un'opinione personale.

Dunque non aspettatevi di essere aiutati da qualcuno, quando sarete sul campo di battaglia, poiché state combattendo per non altri che per voi stessi.

Non è chiaro dove vuole andare a parare, il re, con questo discorso.
Serhat lo sa, non ha una cultura sufficiente per comprendere i ragionamenti che muovono le azioni dei nobili e dei signori. Si concede solo di arrivare dove può, con la sua conoscenza del mondo e delle persone. E la sua esperienza gli suggerisce che qualcosa non quadra, in questa storia, seppur non abbia chiaro se sia colpa della sua diffidenza nei confronti degli altolocati o sia colpa della parlantina del re.
Qualunque sia la realtà, un’eventuale discussione su di essa non avrebbe tolto spazio al riposo necessario, giacché gli sbadigli iniziano a ripetersi con una maggiore frequenza, sul volto del costruttore.

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   Il sole non ha nemmeno avuto il tempo di fare capolino all'orizzonte che un esercito è già in posizione sul campo di battaglia; un'armata vigile e attiva, una bestia nervosa che scalpita, trattenuta dalle briglie strette nella mano di un solo uomo anzi, dalla voce di un solo uomo.

Fermi.

Nessuno muove un passo oltre il colosso che primeggia sulla massa, nessuno. C'è qualcuno che smette perfino di respirare, ma è giusto per un istante, il tempo per espellere gli ultimi residui del sonno spezzato con un lungo e sommesso sbadiglio.

...Non è ancora il nostro momento.

Un ultimo battito di ciglia, e il costruttore è completamente sveglio, la vista di un gigante e il suono di esplosioni hanno l'efficace capacità di riportare il costruttore alla realtà del momento. Siamo in guerra gente, ed è iniziata ora.
Il re dice che non è ancora il tempo di agire, ma per Serhat è il momento giusto per la scaramanzia, l'amica del cuore di chi vuole campare a lungo e in salute. Portata la mano sinistra sulle parti basse, il costruttore da una poderosa rimescolata al suo portafortuna naturale, prima di mettere mano agli attrezzi da lavoro.

   Ora non resta altro che andare alla guerra.

-------------------------------------------------------------------------
Altro paese, altra guerra.
Basta che si ritorni, però.


Serhat Satu
-------------------------------------------------------------------------


Basso × 5% | Medio × 10% | Alto × 20% | Critico × 40%
ReC × 325 | AeV × 175 | PeRf × 250 | PeRm × 175 | CaeM × 250

   ✖ Condizioni ~ Ottimali
   ✖ Forma ~ Pimpante [100%] | Fatica ~ 0% [0B+0M+0A+0C]

   ✖ Attrezzi di cantiere ~ Mazzetta x 1, Accetta x 1, Piombo x 1, Punte x 8, Scalpelli x 7, Sacchetti di gesso x 15] + [Borsa degli attrezzi x 3]
   ✖ Accessori ~ [Ciondolo]

   ✖ Ragionare ~ Il lavoro? Un incessante cigolio di ingranaggi arrugginiti. Scherzandoci sopra, Serhat evidenzia così uno dei tanti aspetti della sua vita. Vent'anni di esperienza e di gavetta interpretando gli ordini più disparati fanno si che, volente e nolente, si affini ancor di più quel cervello fino donato da mamma Natura. E a lungo andare i ragionamenti che servono si compiono in tempi infimi e senza rallentare la velocità di lavoro di Serhat, oltre a riuscire con un po' di concentrazione a non farsi ingannare dalle sporadiche assurdità cui è costretto assistere. Difficile a credersi ma ci sono volte in cui gli ordini dei capocantiere riescono a illuderti sulla loro effettiva riuscita. Ultimamente è diventato capace di intuire se lo stanno ingannando o se stanno raggirando gli altri. [Passiva e Attiva di Dominio II]
   ✖ Faticare ~ La vita? Una continua fatica. Serhat riassume così vent'anni d’incessante lavoro, iniziato facendo il semplice manovale e continuato esercitando ancora il manovale. Caricare, trasportare, scaricare e stoccare i materiali da costruzione, spostandoli sul luogo di lavoro a braccia o a spalla; questo è il lavoro di un manovale, non molto diverso da quello di uno sguattero o di un facchino; un lavoro, dove il fisico diventa l'arma in più per non cedere alla fatica.
E in vent'anni di pietre, terra e legname portati a spalla, è normale entrare in possesso di qualità fisiche, come una forza capace di compiere consistenti sforzi variabili in base all'esigenza e che necessitano sempre di un poco di concentrazione, e una resistenza alla fatica tale da impedire di svenire precocemente per lo sforzo eccessivo, che fa sì che il manovale Serhat possa continuare a lavorare a cottimo e con un occhio di riguardo all'ernia. [Colpo Duro + Accumulo di energie [PeRf: +50/B ~ +100/M] + Passiva di Razza]

   ✖ Note ~
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Il cantico cremisi - zero
 
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Mirkito15
view post Posted on 21/4/2010, 02:39




Fade to Black ~ Sfumando verso il Nero.

Life, it seems, will fade away
Drifting further every day
Getting lost within myself
Nothing matters, no one else

I have lost the will to live
Simply nothing more to give
There is nothing more for me
Need the end to set me free

Things not what they used to be
Missing one inside of me
Deathly lost, this can't be real
Cannot stand this hell I feel

Emptiness is filling me
To the point of agony
Growing darkness taking dawn
I was me, but now he's gone

No one but me can save myself, but it's too late
Now I can't think, think why I should even try

Yesterday seems as though it never existed
Death greets me warm, now I will just say goodbye

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Apri gli occhi John.
Stanche le palpebre si alzano.
Inspira.
Nel silenzio le narici inglobano l'aria. Gli abiti lentamente si stirano all'altezza del petto, mentre un'infinita serie di impulsi elettrici comunica al cervello gli odori presenti.
Lo senti, vero?
I polmoni si sgonfiano veloci. Il respiro si assesta. Gli occhi si serrano riflessivi.
Sì, certo che lo sente!
Prima o poi doveva capitare anche qui. La pace eterna è un'utopia.
Sì, prima o dopo, sarebbe accaduto. Gli uomini sono fatti così. La pace non è nella loro natura.
Gli occhi si aprono, le pupille col loro intenso colore - sporco e marcio nero - si posano sul giardino del Maniero.
Questione di giorni e poi parecchie vite si sarebbero spente.
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Alla fine erano partiti - il bel clan al gran completo - verso una meta che non gli era data sapere. Eppure, mentre la notte calava e quegli uomini edificavano il campo provvisorio, John iniziò a sospettare che molti si stavano dirigendo in un luogo dal quale un ritorno non era garantito. Chi fremente di poter estrarre la propria arma, chi tremante, nella fredda nottata, per timore dell'ignota sorte, tutti si impegnavano comunque a far del loro meglio.
Lui, uno dei gerarchi, semplicemente giochicchiava con una pietra. Lo sguardo basso, i capelli scompigliati, i pensieri inscrutabili.
Non aveva mai tentennato difronte ad una battaglia e non avrebbe iniziato a farlo quel giorno. Non era un lusso che si poteva permettere. Alzò lo sguardo sugli astanti, uomini pronti a morire per tener fede ad un giuramento, coraggiosi finché sotto l'influenza del sovrano. A milioni ne aveva visti di combattenti come loro: una volta nella mischia, alcuni sarebbero morti istantaneamente, altri avrebbero cercato riparo tra le macerie, i più fortunati avrebbero avuto giusto il tempo di fuggire lontano. Certo la vittoria non era messa in dubbio quella volta. Non era a conoscenza della reale potenza dei nemici, ma sapeva bene quali erano le qualità dell'esercito Toryu; non sarebbero caduti se non contro gli stessi Dei.
Poi apparve lei. La danzatrice si nascondeva dietro un velo, ma scambiarla per un soldato qualunque era una cosa inaudita. I suoi stessi movimenti sensuali, accompagnati da una grazia divina, la tradivano; L'aveva incontrata raramente e mai aveva avuto occasione di riscuotere il proprio pegno: una cena promessa, un patto d'onore. Il volto passionale dell'amore, opposta alla cruda realtà di un uomo destinato alla Triste Mietitura. Lei, che col solo sguardo poteva far impazzire un uomo, si era trovata quasi coinvolta in un caloroso abbraccio con John. Sussurri, profumi e sospiri avevano dato il benvenuto all'uomo che ora sedeva in attesa. "La sua visione segnerà anche la fine di questa mia avventura?" il pensiero balenò improvviso, irrefrenabile per la comune ragione. Lo stesso uomo rifletté sull'ipotesi di andarle incontro, trascinandola poi in una delle tante tende. Lì, tra ansimi e gemiti, l'avrebbe resa sua, sua per quella notte. Le mani sarebbero scivolate sulle cosce di lei, stringendosi all'altezza dei glutei; le labbra avrebbero assaporato il dolce sapore di quel collo color neve, scendendo lentamente verso i seni di lei, testimoni dell'eccitazione della donna; poi infiniti baci, un susseguirsi di carezze, tocchi leggeri e sensuali; la penetrazione avrebbe stampato la parola F I N E su quel rapporto. Un rapporto crudo e violento, carico di quel testosterone che accompagna gli uomini prima di una grande performance. Lui sarebbe MORTO di piacere; lei sarebbe MORTA di desiderio inespresso. I corpi sarebbero giaciuti poi insonni, ansiosi di sentire il canto del gallo, segno che l'ultima giornata stava per avere inizio.
Pensieri, amabili pensieri che mai avrebbero trovato spazio nella realtà. Quando John rialzò nuovamente lo sguardo non vi era più nessuna Rosa ad attenderlo, bensì un ragazzo, non inferiore alla Scarlatta stessa in grazia. Non si presentò, ma il solo scorgerne il volto distingueva la sua figura: Ray.
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Finalmente John poteva scorgerlo in viso, seppure si era aspettato di provare emozioni differenti. Poteva tranquillamente percepire quell'aura di timore che lo circondava, ma un qualunque combattente attento e preparato avrebbe potuto evitare la trappola psichica. "Suvvia nostro Re, puoi fare di meglio", DOVEVA anzi far di meglio. Quell'oggi avrebbe avuto modo di dimostrare la propria imbattibilità, in un giorno come quello si combatteva ben più che una semplice guerra.
«Io... non ho una moglie.
Non sono sposato, né ho dei figli. Non ho nessuno che mi aspetta a casa, in questo momento. Nessuno che, prima di partire, mi abbia fermato per chiedermi: "Perché stai andando?".
..."Perché stai andando?"; "Perché combatti questa guerra?".
Ma non posso certo dire che sia lo stesso per voi.
»
Si espresse in maniera impeccabile, intervallando giuste pause. Come un abile comandante si era calato allo stesso livello dei propri uomini. La Guerra stessa gli aveva insegnato che un uomo è molto più propenso a combattere per un suo pari, che per uno spocchioso superiore. John iniziava a capire il motivo per cui fosse Re.
«Non vi mentirò: quella che combatteremo oggi è una guerra d'opportunità. Non abbiamo ricevuto alcuno sgarbo, né i Martell hanno mai minacciato il nostro regno direttamente. Sono solamente un potenziale nemico, ancora troppo debole per anche solo poter pensare di sconfiggerci.»
S... S... S...

Sincero. Non nascondeva i motivi, che forse molti avrebbero trovato avventati, che avevano condotto a quella battaglia.
Schietto. Pochi giri di parole, era andato dritto al dunque senza perder altro tempo inutile.
Scabro. Qualcosa però, in tutto quel discorso, stonava. La frase riecheggiava nella mente di John come solo una ferita pulsante poteva fare.


Perché ora? Perché non aveva convocato la corte per spiegare la cosa? Se davvero erano un POTENZIALE nemico c'era tempo per organizzarsi diversamente, evitando magari di smuovere l'intero clan. Il caro Re doveva nascondere qualcosa, ma non era certo compito di John indagare in tal senso. Lui avrebbe combattuto, dopotutto aveva deciso di seguire la strada del ragazzo che ora parlava; i motivi che portavano il Re ad agire non dovevano interessargli. Se aveva un fine da raggiungere era libero di usufruire dei mezzi di cui disponeva.
«Tuttavia, non sono i Martell il nemico che combatteremo oggi,
...ma la Paura.
Di non tornare dai propri cari. Di perire in battaglia. Di non essere all'altezza. Di ciò che i Martell potranno o non potranno diventare. Di un popolo afflitto da continue battaglie per cui noi - proprio noi! - ci siamo ridotti ad essere l'unica salvezza, pur senza chiederlo a nessuno.
Il nostro nemico - oggi - sono queste paure, e mille altre ancora.
Dunque non aspettatevi di essere aiutati da qualcuno, quando sarete sul campo di battaglia,
poiché state combattendo per non altri che per voi stessi.
»
S... S... S...

Sinistro. Aveva cambiato strategia in un attimo. Prima, da buon comandante si era assimilato all'esercito, ora faceva in modo che ognuno prendesse le distanze dai compagni.
Subdolo. Addirittura aveva allontanato l'idea dei Martell come nemici, invocando le personali paure di ognuno dei presenti.
Stratega. Confondeva i presenti. Molti si sarebbero trovati a seguire gli ordini del Re senza nemmeno capire cosa stava succedendo. Avrebbe potuto convincere buona parte dei presenti a gettarsi in pasto a qualche pescecane, senza che questi si fossero accorti di nulla, almeno non prima dell'arrivo del morso dell'animale.


Il discorso, in ogni caso, era terminato.
Buonanotte soldati.
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«Fermi.
...Non è ancora il nostro momento.
»
Attesa. Mentre non molto lontano persino titaniche figure facevano il loro ingresso. Era stato detto che i Martell erano assai inferiori allo stesso Clan Toryu. Le urla che giungevano dalla cittadina innanzi sembravano suggerire il contrario. Due soli scenari si aprivano: il Re aveva sottovalutato il nemico, improbabile. Oppure vi erano altre forze in gioco quell'oggi, interessante.
In qualunque caso, quello, sarebbe stato un giorno di straordinari per Morte John.

La vita, sembra, sfumerà via
Scivolando più lontano ogni giorno
Perdendosi dentro di me
Nulla importa a nessun'altro

Ho perduto il desiderio di vivere
Semplicemente null'altro da dare
Non c'è nient'altro per me
Ho bisogno della fine per sentirmi libero

Le cose non sono più ciò che erano
Manca qualcosa dentro di me
Mortalmente perso, ciò non può essere reale
Non posso sopportare questo male che sento

Il vuoto mi sta riempendo
fino al limite dell'agonia
Crescente oscurità che porta all'alba
Io ero me, ma ora se n'è andato

Nessuno a parte me può salvarmi, ma è troppo tardi
Ora non riesco a pensare, pensare perché anche solo dovrei provarci

Ieri sembra quasi non essere mai esistito
La morte mi saluta calorosamente, ed ora io dirò semplicemente Addio.



CITAZIONE

John Doe
Energie • 145% (1 Basso ○ 0 Medi ○ 0 Alti ○ 0 Critici).
Stato Mentale • Lucido&Calmo.
Stato Fisico • Indenne.
R&C•250 ○ A&V•225 ○ P&Rf•325 ○ P&Rm•225 ○ Ca&M•850
Passive in uso •

L a V i a D e l G u e r r i e r o

SPOILER (click to view)
Una peculiarità che distingue indissolubilmente la figura del Samurai è senza dubbio la raffinatezza della tecnica. Un Samurai, nonostante appartenga alla categoria dei guerrieri, non si macchia dello stereotipo del cosiddetto "Berseck"; egli infatti non fa della forza il suo punto cadine, ma concentra tutti i suoi sforzi nella maestria con la quale controlla la propria arma. John, in veste moderna, si fa portavoce di quella categoria di antichi combattenti. Egli si può definire un Samurai a tutti gli effetti e proprio presso uno tra i più esperti di essi ha svolto il lungo apprendistato che lo ha poi condotto alla "Via della Spada", raggiungendo un perfetto connubio tra corpo, arma e anima. [In termini di gioco, fino a quando John riuscirà a mantenere il sangue freddo e a non lasciarsi prendere dall'ira il suo valore di CaeM risulterà raddoppiato. Questo non influirà nelle sue doti di tiratore ma lo renderà estremamente abile in ogni genere di schivata, affondo o anche nel disarmare il proprio avversario. Dopotutto chiunque apprenda la disciplina legata alla "Via della Spada" risulterà essere un combattete eccezionale e ogni suo duello sarà un vero spettacolo in quanto a grazia e maestria. Inoltre, focalizzando la propria calma sui movimenti da eseguire, John diviene in grado di contrastare avversari anche enormemente più forti di lui. Rispettando le condizioni di calma infatti ogni colpo del Dio risulta esser pari ad una tecnica di livello Basso, con tutte le dovute conseguenze del caso.]

V e r a N a t u r a D e l l a M o r t e
SPOILER (click to view)
Si dice che in epoche antiche, esseri umani destinati alla nascita alla morte secondo la maledizione della mortalità inferta loro dagli dei ingannarono la morte stessa e divennero immortali. Allora la morte giurò loro che sarebbe giunta, un giorno, a reclamare le loro vite mietendoli e ricordando loro quanto effimera è la loro esistenza, ma questi si beffarono della morte e ne scatenarono l'ira.
Vogliono gli antichi tomi che la terribile peste nera e l'isteria di massa che essa ha generato siano in realtà da implicare alla terribile ira della morte, quando essa ha strappato dal suo corpo il manto che la nasconde alla vista mostrando all'umanità tutta il suo vero volto ed il suo vero aspetto. Non a caso nei deliranti bassorilievi, nei dipinti e nelle opere d'arte dell'epoca, la morte viene sovente raffigurata come uno scheletro nudo e non come la figura mortifera ammantata di nero.
Come avviene per la tecnologia, però, anche la Morte si è evoluta; ai giorni d'oggi la si può osservare sotto le sembianze di un normale uomo, vestita con i più costosi capi d'alta moda. Nonostante ciò essa continua ad esercitare, attraverso la sua presenza, un'inconfondibile senso di disagio e timore. Questa sensazione non è altro che una percezione passiva del suo potere e, per questo motivo, non ha alcun effetto su creature più potenti di lei o che appartengono alla classe Demoniaca, tanto abituata a stare in contatto con i suoi poteri. [In termini di gioco, John gode di una influenza passiva costante. Questa influenza ha pieno effetto su tutte le creature prive di difese adeguate, a meno che esse posseggano un livello energetico superiore o appartengano alla classe Demoniaca.]

Attive in uso •

V e r a E s s e n z a D e l l a M o r t e

SPOILER (click to view)
Creato affinché celasse le vere sembianze della morte agli uomini, il Nero Sudario svolge il ruolo di "velo", cioè impedisce che sia visto ciò che nessuno deve vedere. Ma i mortali, si sa, sono creature grette e sciocche, abbastanza stupide da osare scavare ugualmente in un pozzo che non deve mai essere osservato da uno spettatore mortale. In tal caso, solo ombra attende colui che ha osato tanto. [In termini di gioco, John è in grado di determinare se sono in atto eventuali intrusioni nella sua mente e in seguito chiudere la propria psiche all'aggressore. Tale tecnica non possiede una potenza specifica, ma è adattabile alla potenza stessa dell'intrusione, risultando così di consumo Variabile. ○ Utilizzata a consumo Basso]


Note • Ho utilizzato una difesa psionica di livello Basso per difendermi dalle influenze di Ray. Spero che un Basso sia sufficiente a coprire le due passive. Al massimo moddo e aumento il consumo nel prossimo turno. Spero possa piacere. La canzone è senza parole poiché ho utilizzato la versione degli Apocalyptica che apprezzo di più. I due testi a lato del post sono un "piccolo" tributo alla versione originale della canzone.


 
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view post Posted on 21/4/2010, 09:51
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Esempio
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- Le Cronache del Sangue -
Il cantico cremisi


| Bianco Maniero, stanze della fata_
Un tiepido raggio di luce pomeridiana, ormai prossima a eclissarsi in favore delle tenebre, passa attraverso i vetri finemente lavorati della stanza da letto della fata, creando -nel suo scomporsi- giochi di colori che tinteggiano le bianche lenzuola con riflessi dal rosso al viola, per poi riunirsi in un unico punto e tornare -nella loro interezza- incolori. E la ragazza dai lunghi capelli bruni dorme, di un sonno tranquillo, appagata di esser finalmente giunta al castello dopo il lungo viaggio -a tratti piacevole, ad altri meno- con la Rosa, passando da una realtà ad un'altra simile, ma anche totalmente opposta. Peccato che, a turbare il suo riposo rigeneratore, arrivi un valletto poco educato, che -allarmato in volto- spalanca la porta della camera per comunicarle che non c'è tempo da perdere, che tutto il Toryu si sta preparando per paritre il giorno seguente. Stizzita, per tutta risposta, gli tira contro uno dei cuscini, di quelli duri e rotondi, cacciandolo via in malo mado, per poi risdraiarsi sul letto e, con gli occhi aperti a fissare il soffitto, riflettere sul perchè di quella adunata.

| Porto Oscuro, accampamento Toryu_
Da donna vanitosa e piena di sè, Morgana l'aveva immaginato un po' diverso il primo incontro con Lui. Tuttavia, delusa, la mattina dell'esodo si era dovuta ricredere quando, ai primi pallidi raggi solari, era dovuta partire assieme a centinaia di sconosciuti, potendo scorgere la sua figura solo da lontano, mentre -appoggiato sulla spalla di un titano- apriva la fila di quella carovana di uomini.
Difficile a dirsi il motivo di fondo di quella mobilitazione di massa, sebbene alcune supposizioni -nella sua testa- avessero già iniziato a vorticare di un moto frenetico. Forse per il fatto di essere una donna -e quindi più intuitiva- forse perchè aveva già vissuto più volte quella scena, nella sua mente si erano sovrapposti passato e presente, preannunciandole il tanfo pesante e disgustoso delle carni lasciate a marcire, delle viscere dilaniate e seccate al sole, dei corpi tremendamente mutilati. E l'odore, più acre, del fuoco, il fuoco che sovrano purifica, cancella via ogni cosa avvolgendola nelle sue fiamme cremisi. Il fuoco che, ora, allegro e scoppiettante danza innanzi ai suoi occhi, nell'accampamento notturno.

Prima ancora del duplice battito di mani, basta il suo semplice porsi in mezzo alla scena -a fianco del focolare- a far annodare le budella dei presenti, costringendoli a un tacito silenzio reverenziale e a concentrare le attenzioni su di lui. Nonostante sia il re -e il solo guardarlo lo dimostra- in mezzo a quegli uomini comuni le sue parole sembrano dire il contrario, lo fanno apparire uno di loro, con le stesse paure e debolezze di tutti. E Morgana -per un attimo lungo quanto il suo discorso- rivede il fratello che, come l'ombra di un fantasma, aleggia attorno alla figura del monarca.
Finita l'arringa, segue qualche secondo di mutismo generale, in cui ognuno riflette individualmente su quanto appena udito. Ma è niente più che un istante, fuggente e sfuggevole -come l'acqua che scorre tra le dita delle mani aperte- in cui si ricaccia lontano il pensiero della morte, lo si sigilla nei reconditi, negli abissi più profondi del proprio animo per lasciar spazio alla vittoria, alla gloria eterna. La ragazza dai lunghi capelli bruni sa che sono degli illusi, dei novellini che devono ancora fare il loro primo bagno nel sangue di una battaglia. Per questo -e per molti altri motivi- tornata nella sua tenda, prima di coricarsi, sterilizza i suoi strumenti e prepara la sacca da lavoro: secondo le sue previsioni, ci sarà parecchio da fare, il giorno seguente.

Un nuova alba fa capolino sulla sommita del colle. La maggior parte degli uomini sono già pronti e radunati, disposti ordinatamente in file serrate e compatte dietro al sovrano invincibile, mentre lui, come solo i grandi strateghi fanno, osserva Porto Oscuro -già tramutato in un campo di battaglia dalle prime esplosioni e dall'irruzione di un gigante che ne ha sfondato i bastioni- aspettando il momento adatto per fare la sua comparsa sulla scacchiera e mettere a segno lo scacco matto. E tutti, di fronte alla sua mano protesa verso il cielo e l'indice disteso -come a volerlo raggiungere, far suo- restano immobili aspettando il segnale che permetterà loro di partire alla carica, smaniosi di combattere e mostrare il proprio valore. La fata, invece, ben più distante dalle prime file, li guarda sconfortata.
Dolore porta dolore. Guerra porta guerra. E' un ciclo che non avrà mai fine.


image
CITAZIONE

Energia Verde

ReC [300] • AeV [300] • PeRf [100] • PeRm [400] • CaeM [225]


Status fisico Illesa
Status psicologico Sconfortata
Energia 100%

Capacità

• Firmitatem Fatae [Passiva]
Morgana è nata e cresciuta in una città militare e il fatto di essere imparentata con il comandante capo, le ha garantito diversi privilegi. Uno di questi, oltre a una preparazione fisica di base, è lo studio di medicina e "arti magiche". Già, i bauli degli stregoni Caspar e Memnone sono stati aperti da Caio Merlino, che nel corso degli anni è riuscito a classificare la maggior parte di polveri e veleni. E Morgana, con i suoi studi, ha raggiunto lo stesso livello di conoscenze del suo magister -se non superiore, in certi campi- allenando la mente nel ragionamento logico-deduttivo e tattico. L'insieme di questi incessanti addestramenti fisici e psichici, le ha permesso inoltre una maggiore resistenza rispetto ai suoi simili: difatti la ragazza, anche nel caso raggiungesse il 10% delle energie, non sverrebbe come gli altri umani o le creature appartenenti ad altre razze. Ciò però non significa che non sarà stanca raggiungendo il venti e che non morirà una volta che le sue energie si saranno definitivamente esaurite.

• Parsimoniam Fatae [Passiva]
Una volta "riempita" la testa della ragazza con nomi, formule e schemi, suo zio Merlino ha iniziato a far sviluppare in lei il lato magico. Una delle prime nozioni insegnatele in tal senso -fondamentale per chiunque osi definirsi un mago- è che bisogna sempre calibrare con attenzione i propri colpi, evitando di dissipare forze ed energie in assalti esagerati o inutili. Esercitandosi quindi su questo aspetto -finora trascurato- Morgana è via via migliorata, tanto che ad oggi è in grado di ridurre notevolmente i consumi energetici di ogni sua tecnica. A livello gdristico, quindi, i costi di tutte le pergamene e abilità attive saranno ridotti del 5%, ma se -in questo modo- una andasse sotto lo 0% (o allo 0% stesso), verrebbe riportata all'1%.

• Affinitatem Fatae [Passiva]
Morgana, data la sua affinità con la terra e il mondo della Natura, è in grado di parlare con piante, vegetali e qualsiasi tipo di animale. Questi non sararanno però obbligati a seguire i suoi ordini o a rispondere alle sue domande, tanto che si comporteranno seguendo la loro particolare impronta caratteriale, dettata dalla stessa ragazza. Nel caso in cui la pianta/bestia risponda al suo volere, questa si muoverà come per magia per compiere ciò che le è stato ordinato. Altro vantaggio da non sottovalutare è quello di poter utilizzare il proprio compagno animale all'interno del duello, indipendentemente dalla razza.

• Persuasionem Fatae [Passiva]
Morgana è un dottoressa e, in quanto tale, ha bisogno che i suoi pazienti la ascoltino sempre e -allo stesso tempo- mettano poi in pratica i suoi consigli di medico, perchè se così non accadesse, nessuna cura potrebbe mai avere successo su un malato, nemmeno nei casi più semplici. Ed è sempre per questo motivo che la ragazza ha sviluppato negli anni una notevole capacità dialettica, tale da riuscire a convincere anche la più testarda delle creature che ciò che lei dice è giusto e che ciò che gli consiglia di fare è solo per il suo bene e niente più. Certo, qualcuno potrebbe pensare che la Fata possa anche ingannare gli altri in questo modo -e così in realtà potrebbe essere, se lei fosse un'altro tipo di persona- ma, per fortuna, non è questa la realtà delle cose: già, come sopra spiegato, tutto ciò che Morgana dirà sarà solo e soltanto per il bene del malato, nel tentativo di convincerlo a tranquillizzarsi, a fidarsi di lei e fare tutto ciò che la ragazza riterrà opportuno.

• Serum Fatae [Passiva]
Morgana, grazie ai suoi studi di erboristeria ed anatomia, è riuscita a fondere le due scienze nel tentativo di creare qualcosa di unico. La ragazza è quindi in grado di ingerire foglie o semi officinali senza risentire degli effetti delle stessi che, invece, verranno concentrati nella secrezione seriosa delle sue ghiandole sottolinguali. In questo modo, se la sua saliva entrerà in contatto con quella del suo avversario -o anche solo con il suo sangue- sarà in grado di trasmettergli le proprietà caratteristiche delle erbe medicinali precedentemente ingerite (che potranno quindi risultare benefiche o venefiche, a seconda della pianta da cui sono state colte).
Data la complessità dell'operazione, però, la produzione vera e propria del siero avverrà a partire dal turno seguente a quello di masticazione e ingestione delle foglie/semi e terminerà il turno stesso.



Note personali

Nell'introduzione cito la pg di Anna -con il suo consenso- ipotizzando che la guerra è, cronologicamente parlando, successiva agli eventi del festival. Spero non ci siano problemi per questo.
Buona giocata a tutti. :v:

P.S. Le passive -tutte- le cito interamente in questo post, riassumendole solo in quelli successivi.


 
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view post Posted on 21/4/2010, 13:43
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Accampamento Clan Toryu
Sera...



F
uoco. Il crepitio delle multiformi lingue fiammeggianti che componevano la grande fiamma al centro dell’accampamento faceva da sottofondo a quel bizzarro affresco da romanzo. Un groviglio di voci, pensieri, paure, inquietudini si era riunito in quella vallata, con l’unico scopo di seguire la fedeltà del proprio giuramento ed essere pronti a morire per esso. Cosa mi rendeva tanto diverso da loro? Cosa mi impediva di offrire la mia morte alla causa di qualcun altro?
Come un’ombra errante, vagai tra i coscritti per diversi minuti: scrutavo quelle presenze nel buio illuminato dal fuoco, disaminando le movenze, gli occhi, le emozioni e contemplando l’angoscia, il turbamento, la frenesia che potevo leggere in loro. In verità, cercavo qualcuno di familiare, uno in particolare: cercavo l’unica ragione che mi avesse spinto a seguire quell’esercito di esagitati verso il Sud. Cercavo l’uomo della sera prima, quel profugo della bella Lithien, quel guerriero tormentato che, con le sue rivelazioni, mi aveva trascinato in quella folle marcia verso la morte, precludendomi anche il sonno prima della partenza.

K r e i s l e r d a L i t h i e n…? Dove – diavolo – sei?!



B
iascicai quasi a labbra serrate, ripetendolo a me stesso. Poi, finalmente, scorsi la sua figura accanto al fuoco. L’avevo trovato! Mi avvicinai a grandi falcate, abbandonando il fare da spettro inquieto: non avrei badato al rumore, non sarei sopraggiunto alle sue spalle in silenzio. Doveva vedermi, doveva capire che bramavo delle ragioni, pur senza saperne il motivo. Doveva cogliere il mio desiderio di sapere! Ma come avrei cominciato? Cosa mai avrei potuto dirgli? Il dubbio mi assalì: avevo p a u r a di parlare del mio passato. Avevo paura delle risposte che avrei avuto… da lui. Avevo paura di rivangare quelle che erano le mie irreparabili colpe, inconsapevole di come le avrebbe vissute. Infine mi ritrovai quasi ad un passo da lui, immobile e spaventato. Non avevo considerato cosa quell’uomo avrebbe potuto pensare di me. Dunque, aprii la bocca per emettere un fiato qualunque che mi levasse dall’imbarazzo, ma un battito di mani sopraggiunse a salvarmi.

U
n giovane uomo era apparso vicino al fuoco, ove pocanzi ero sicuro che non vi fosse nessuno. Nonostante il buio, i suoi tratti mi furono inconfondibili: era l’uomo seduto sul trono, che un tempo non molto lontano aveva applaudito al mio scontro. La sua presenza, e le parole che seguirono, mi furono da conferma: era il Re c h e n o n p e r d e m a i, l’essere cui avevo giurato fedeltà senza nemmeno conoscerlo. Il fatto che fosse lì, tra noi, incoraggiò ulteriormente il mio desiderio di sentire le sue ragioni. Nel silenzio totale dei timorosi presenti, apparentemente preda di un reverente mutismo intriso di uno strano terrore verso il misterioso sovrano, costui iniziò un evocativo discorso. Silente, mi posi anch'io all’ascolto...

<< Tuttavia, non sono i Martell il nemico che combatteremo oggi…ma la Paura. >>



P
er quanto le considerazioni sulle presunte vittime del nostro attacco potessero essere interessanti, a colpirmi fu sopratutto il discorso sulla paura. Anch’io lottavo contro la paura: la paura di non riuscire a redimermi, di non riuscire ad espiare le mie colpe, la paura di rimanere nuovamente solo e di non essere all’altezza della mia volontà di penitente, la paura di ricadere nuovamente negli errori del passato. Tutto questo mi impediva di parlare a Kreisler: tutto questo mi impediva di affrontare il mio passato. Era bello – era facile trovare qualcuno cui dare la colpa, spaventarlo e torturarlo, scaricando su di lui ogni frustrazione. Per quello non servivano parole: eppure era solo quello ciò che avevo fatto fino a quel momento. Ora, invece, avevo trovato qualcuno che probabilmente mi avrebbe costretto a farci i conti – direttamente – con quel passato.

<< Il nostro nemico - oggi - sono queste paure, e mille altre ancora…poiché state combattendo per non altri che per voi stessi. >>



N
on potevo ignorare quelle parole, che parvero così sincere. “Quanto hai fottutamente ragione” – pensai. La guerra è il luogo migliore per affrontare le nostre paure, il luogo migliore per ritrovare nuovo vigore nei propri intenti e vincere ogni ostacolo. Di certo quel Re sapeva il fatto suo, ne ebbi ulteriore prova, e forse meritava veramente la mia fedeltà… almeno per il momento. Comunque non era ancora il tempo di affrontare il discorso con Kreisler: non ero pronto. La guerra, forse, mi avrebbe dato nuova forza e nuove ragioni. Mi rigirai, dunque, verso di lui: non era ancora il tempo, ridissi a me stesso. Eppure gli dovevo qualcosa a quell’uomo, dovevo fargli capire che c’ero anch’io e che avrebbe potuto contare su di me: non avrei permesso al mio passato, infatti, di morire in battaglia prima ancora che io potessi parlarci...


Kreisler da Lithien... le tue parole hanno aiutato molto la mia riflessione di questa notte, per cui ti ringrazio. Domani spero saremo fianco a fianco quando affideremo le nostre vite alle armi...


A
llungai un braccio, come se d’istinto sperassi in una stretta di mano. Poi, preda del rimpianto, mi resi conto che forse non la meritavo: rimediai, dunque, allargando il braccio e dissimulando quel gesto con un saluto stentato.


Per qualsiasi cosa puoi contare su di me, Shakan Anter Deius: “il fantasma”, come ormai penso mi conoscano da queste parti...

V
oltandomi subito dopo, affrettai il passo lontano da lui. Non volli guardare il giudizio sul suo volto: non volli sapere quale effetto avesse fatto quel mio tentativo di avvicinamento. La paura me lo impediva: quella stessa paura che avrei affrontato il giorno dopo in guerra.



Porto Oscuro - Fronte Nord
Alba del giorno dopo



L
e luci dell’alba non avevano mai trovato i miei favori. Avrei preferito una guerra coperta dal buio di una notte gelida, ambiente decisamente più consono a ciò che ormai ero. Mi mischiai comunque alla massa, facendomi strada attraverso di essa, fino a raggiungere Kreisler. Non volevo perderlo di vista, non volevo perdere la mia possibilità di redenzione: non avevo davvero idea di cosa quell’essere potesse pensare di me, ormai, ma non mi importava un c a z z o d i n u l l a. Il mio posto era li, tra lui e le mie paure.
Dal punto in cui il nostro esercito si era stanziato, ammiravo una grossa città fortificata con una torre oscura svettante nel centro, circondata da fitte coltri di denso fumo nero. Un colosso di almeno due metri sfondò il portone principale, suscitando lo stupore di alcuni presenti… e anche il mio. Mi resi conto della portata della battaglia che ci accingevamo a combattere e, mentre da sotto al mantello una tremula goccia di sudore freddo bagnava il mio viso, mi augurai che quella c o s a non fosse un nostro “nemico”.
Il Re raggiunse la prima linea e, parlando dalla spalla del colosso di metallo che ormai conoscevo a sufficienza, ci ordinò di esitare.

<< Fermi... non è ancora il nostro momento. >>



P
assando uno sguardo veloce da Kresiler agli altri mercenari che mi circondavano, mi lasciai andare in un sorrisetto leggero, non potendo fare a meno di cogliere quanto potesse sembrare ironico ordinare ad un fantasma... di rimanere immobile. Ero comunque un sorriso nervoso, fottutamente nervoso.



SPOILER (click to view)

~ReC:275~ ~AeV:250~ ~PeRf:150~ ~PeRm:250~ ~CaeM:200~


~Immenso: 40%~ ~Alto: 20%~ ~Medio: 10%~ ~Basso: 5%


image
Stato fisico - Illeso
Stafo psichico - Ansioso, nervoso, preoccupato per la battaglia, ancora turbato per la scoperta della sera prima.
Energia - 125%
Abilità Attive/Pergamene usate - ///
Abilità passive -
CITAZIONE
Autosufficienza (razziale) - "Di tutte le razze, i mezzi demoni sono senz'altro quelli più denigrati, allontanati e scacciati di tutti. Proprio per questo, quindi, hanno dovuto imparare a cavarsela da soli e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. A forza di crescere in questo modo, i mezzi demoni si sono abituati a gente che tenta di intimorirli, minacciarli o irretirli e hanno sviluppato quella che potrebbe definirsi una particolare "Abilità razziale". Sono infatti parzialmente immuni alle influenze psicologiche. Non a tutte, si intende, altrimenti risulterebbero atoni e privi d'emozioni, ma senz'altro, a differenza di tutte le altre razze, si lasciano intimorire meno facilmente e persuadere con notevole difficoltà.
Il timore provocato dalla vista di demoni o possedenti della "Forza del toro", ad esempio, non avrà su di loro effetto.
Sensazioni profonde come forti paure, o tanto grandi, però, avranno comunque effetto" (cit.).

CITAZIONE
Non pago per le mie colpe (Dominio, I livello) - L'abbraccio del demone ha consentito a Shakan di acquisire una notevole attitudine alle illusioni, decisamente superiore a quella di un essere normale. La sua perfetta comprensione delle stesse e la naturale predisposizione farà si che le tecniche illusorie vengano castate istantaneamente, senza alcun vincolo fisico. Basterà il suo solo volere per attivare all'istante qualsiasi delle sue tecniche illusorie.
Naturalmente è necessario un contatto con l'avversario, se non fisico, almeno poterlo seguire con lo sguardo. Qualsiasi tempo di concentrazione necessario però ad attivare un'illusione sarà totalmente azzerato.

CITAZIONE
Il potere è parte di me (Dominio, II livello) - Shakan ha ormai una padronanza tale delle proprie capacità illusiore da essere in grado di castarle con estrema facilità, limitando il suo consumo energetico. Pertanto ogni sua tecnica illusoria, di manipolazione o di evocazione illusoria, avrà il costo abbassato del 5%. Se una tecnica scendesse al di sotto dello 0%, il costo sarà automaticamente dell'1%. Questo effetto non è cumulabile ad eventuali altre tecniche di risparmio energetico.

CITAZIONE
Che io sia dannato (Personale di Metagame) - L'abbraccio del demone ha consentito a Shakan di sviluppare una innata propensione verso la magia più oscura, nonostante non abbia mai avvicinato tale potere prima d'ora, scoprendo di riuscire ad apprenderla rapidamente e a servirsene con facilità. Shakan può utilizzare abilità da Necromante.

CITAZIONE
Vivi il mio tormento (Personale) - Attraverso la magia oscura che ha imparato ad utilizzare dopo la fusione con Borgan, la divinità ancestrale che lo tormenta dal profondo dell'animo, Shakan può evocare creature in battaglia di singolare natura. Tale magia, infatti, in quanto derivante da Borgan, è inevitabilmente "corrotta" dal suo potere illusorio: pertanto, tutte le evocazioni di Shakan appariranno del piano materiale come spiriti erranti, immagini fugaci o illusioni spettrali. Le evocazioni da necromante, dunque, non avranno la consistenza di corpi materiali, ma saranno spiriti traslucidi, apparizioni spettrali, in grado, però, di causare normalmente danni fisici o magici a seconda del tipo e classe dell'evocazione. In quanto spiriti, però, saranno intangibili al tatto evitando, dunque, ogni danno fisico, che li attraverserà come se non esistessero, ma non magico.

Armi e oggetti -
CITAZIONE
Washi, guanto artigliato - indossato, artigli non estratti.
Frusta - Legata alla cintura
Anello del Potere - +25% all'energia di partenza


 
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Bastard de la Nuit
view post Posted on 21/4/2010, 17:53




Accadde al tramonto.
Si ricordò di un tramonto ormai perso in quel luogo inafferrabile dove le memorie vanno a morire, o a vivere per sempre. Quelle mura, adesso dorate, quel giorno lontano erano in controluce, nere come l'anima della Strega bella e impossibile che le custodiva. Già le stagioni si erano volte a opporre il sole ai cancelli e lo Straniero non se n'era accorto. Ironico che ci fosse qualcosa di più inosservato di lui, e tuttavia questo solo pensiero lo faceva sentire fastidiosamente a disagio.
Salutò con uno sguardo gli scintillii dubbiosi delle prime stelle nel momento in cui l'esercito si mise in marcia.

Membro di una falange disordinata, di uno schieramento la cui forza era la totale differenza tra i singoli, il soldato marciava verso il luogo che gli era stato detto ideale per costruire un accampamento. Pensava tante cose nel suono che mancava ai suoi passi, nella polvere sollevata da piedi non suoi. Pensava che l'uomo della notte precedente non si era fatto vivo, e che il mondo era piano di gente come lui, che bruciava le lettere inviategli dal destino e rimaneva lì, nel buio di una stanza, a sfogare nelle lacrime il rimpianto delle occasioni buttate, in attesa di un'altra alba grigia di una vita vuota. Ironico che invece proprio lui, che recava il vero Nulla nel corpo, cercasse tutti i modi per affermare al mondo di esistere, a costo di sentirsi perennemente solo. Ripensò al tocco color della luna di una mano fresca sulla sua guancia e sospirò in silenzio, temendo di non sentirlo più.



image

Accanto a lui, il fuoco.
Attorno al fuoco, l'onnipresente Rosa che danzava in onore del Clan, il vessillo scarlatto la cui arma più terribile era il sorriso.
Attorno alla Rosa uomini, i famelici maschi del Toryu, tanto potenti quanto inermi davanti a quel sorriso.
Attorno ad essi, il caos multiforme dell'esercito intento nei suoi preparativi, in un sistema concentrico dalla precisione perversa: tale era l'infallibile macchina bellica di un Re ancora senza volto.
Seduto su di un ciocco di legno, Kreisler guardava le vampe danzare, distorcere il merletto di nuvole nel cielo soprastante. Chi avrebbe detto che anche lui si stava preparando allo scontro imminente? Il suo sguardo non era rivolto al fuoco, alla gente, alla piccola Noki che lo urtava senza riconoscerlo: lo Straniero guardava dentro di sé, alla ricerca di quell'entità rintanata nel profondo delle sue viscere che l'aveva redento e dannato insieme. Pregava il Nulla di non tradirlo, mentre strisciava tra lo stomaco e i polmoni e gli toglieva il fiato.
E fu pronto quando uno, due schiocchi fermarono per un istante le voci le danze il crepitio stesso del fuoco, perché quell'improvviso e ingiustificato brivido che diedero ce l'aveva già dentro. Si riscosse, volgendosi in direzione di quel suono.
E lo v i d e.
A dire la verità si aspettava un vecchio. Uno di quei regnanti con le spalle curve per la troppa saggezza o per i troppi soprusi ai danni del popolo, magari con un siniscalco che parlava in luogo della sua bocca troppo occupata dai banchetti e dalle cortigiane per poter pronunciare un discorso. Invece non dimostrava più della sua età la figura longilinea da cui promanava quell'autorità così inequivocabile. Persino il cumulo di acciaio e artigli che silente gli si stagliava accanto sembrava poca cosa, al confronto.
Parlò, il Re. Parlò di ritorni a casa e di attese, di lotte e del nemico - Martell, era questo il nome del sangue che avrebbe insozzato il suolo la mattina dopo. Parlò di p a u r a, quel peculiare senso di oppressione di chi non si impone al mondo, di chi sceglie la facile via del non essere avendo poi da temere ciò che non domina. Kreisler ascoltò il discorso con gli occhi socchiusi, distinguendo nel tono di voce del Re qualcosa che trascendeva la mera capacità affabulatoria, un carisma che incideva nelle carni e nella mente conferendo credibilità a quanto egli andava dicendo. Gli piaceva.
E dunque Paura era ciò su cui il sovrano aveva fatto leva per smuovere i cuori dei suoi uomini, in un discorso arguto quanto superfluo, a modo di vedere di Kreisler: a lui bastava l'ordine impartito e avrebbe combattuto per trovare nella storia degli altri il suo destino, all'ombra di un Re che come ogni altro lì nel campo non l'avrebbe nemmeno riconosciuto tra la folla un domani.
Questo pensava lo Straniero, e subito fu contraddetto dall'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere. Dalla luce di una candela si erano ritrovati alla luce di un falò, ma la strana compagnia della notte precedente conservava i suoi tratti quasi immateriali. Aveva qualcosa di diverso però, un piglio più deciso nel viso, un saluto quasi troppo affettato con la mano, parole cariche di speranza, un nome curioso e un soprannome quantomai calzante: Shakan "il fantasma". Sostenne il suo sguardo per un lungo istante, nel quale il gelo suscitato dal discorso del Re si sciolse in ammirazione per quell'uomo che infine aveva fatto la scelta giusta. Poi annuì, un mezzo sorriso sulle labbra. Tanto bastava.

image


Fianco a fianco sarebbero stati, aveva detto Shakan, e così fu: i primi raggi del sole si inerpicarono sul colle e colsero lo schieramento, e in esso i due soldati vicini. Nel silenzio che precedette l'attacco si avvertì la tensione salire allo spasmo: perfino lady Dalys rinunciava ad ammiccare, perfino la piccola Noki taceva, perfino il vento trovava sconveniente soffiare troppo forte. In lontananza una città riposava cullata dal tremolar della marina, ignara che il destino avrebbe bussato alle sue porte. Anzi, che le avrebbe divelte.
Bastò un dito levato dal sovrano a trattenere l'orda dei Toryu. Assiso sul servitore metallico come un monello su un muretto o un dio in trono, sorrideva burlescamente ai suoi guerrieri. E sebbene fosse quantomai marginale nella sua missione principale la persona che gli dava ordini, Kreisler non potè fare a meno di pensare che quel Re gli piaceva.



SPOILER (click to view)
[ReC: 300] [AeV: 350] [PeRF: 100] [PeRM: 250] [CAeM: 225]

Stato Fisico:
Illeso.

Stato Psichico:
Teso per la battaglia, impaurito sebbene non voglia ammetterlo a sé stesso.

Energia:
100%

Passive in uso:
FUORI DELL'ABITATO DI MALBORK
Mi chiedi che città sia Malbork? Non lo so, mi piaceva il suono del nome. Ha un che di aspro che mi ricorda la pronuncia della mia lingua, della parlata in uso nella mia terra... Già, perché io non sono di qui. Parlo strano, intercalo parole che conosco ad altre in una lingua che spero sia la più vicina possibile a chi mi ascolta. Sogno di inserirmi pienamente in questa vita, in questa ricerca che sarà lo scopo dei miei anni a venire. Ma per ora sono solo uno straniero, uno che la gente non nota per strada. Uno che non può essere rintracciato da un semplice sguardo attento, da un orecchio sensibile, da un fiuto allenato o perfino da percezioni che vanno oltre i cinque sensi.
Cammino in terra estranea in punta di piedi.
-Abilità passive dei livelli I, II e III del dominio Void Runner.
-Abilità personale 1/5 [sblocco del terzo livello del dominio, Passiva]

SENZA TEMERE IL VENTO E LA VERTIGINE
Ci avete mai provato? No? Nella mia terra sono tante le rupi a picco sui torrenti pigri. Le bande di selvaggi delle pianure usano far guardare in basso i nuovi arrivati per determinarne il coraggio e decidere se accettarli o meno. Ogni tanto uno di loro scopre la pura bellezza del guardare il fiume scorrere a miglia sotto di lui, e vi si reca una volta al giorno a far volare in basso lo sguardo, e viene acclamato dagli altri come loro capo. Io? Su, non scherziamo, non sono un selvaggio. Al massimo sarò stato un soldato poco disciplinato o un figlio degenere. Ma un selvaggio mai. Non vivo alla giornata, ho uno scopo. Ho una missione. E non mi importerà niente di quanta energia ci metterò, rimarrò cosciente fino alla morte per riuscire a compierla.
-Abilità razziale degli Umani

SUL TAPPETO DI FOGLIE ILLUMINATE DALLA LUNA
Sono le apparenze ciò che ci salva dalla noia di vivere. Vuote apparenze. La mia dannazione è quella di poterle cogliere per quelle che sono, semplici spoglie prime di significato, come le foglie dorate del gingko per terra, di notte, nei giardini della mia infanzia. Porto nel mio cuore la certezza che la cosiddetta "realtà" è un artificio illusorio. Così so sempre cosa, di tutto ciò che percepisco con i sensi, con la mente, con il cuore, è una debole imitazione di questo artificio, creazione di intelletto mortale. E pur non essendone immune, saprò sempre che sono di fronte alla variopinta veste del Nulla. Se poi lo desidero, posso anche liberare la mia mente da questi trucchi, spostare il Vuoto nei miei pensieri in maniera da cancellare ogni elemento non necessario: mi basterà solo pensarci...
-Abilità personale 2/5: In termini di gioco, Kreisler sarà sempre a conoscenza di qualsiasi tecnica illusoria o psionica agente su di lui o sul campo circostante, pur non essendone protetto in alcun modo [Passiva]
-Pergamena "Disarmante" [consumo Variabile]

Mantello: Indossato.
Everyman: Niente più che una maschera. Come, direte voi, una maschera invisibile? Ebbene sì. E' una maschera del tutto speciale, forgiata in un vetro del tutto speciale. Una volta applicata sul viso vi aderirà perfettamente, modellandosi sui tratti del proprietario. Sua unica e inimitabile virtù è quella di rendere il portatore "uno come un altro". Chiunque lo vedesse tenderà a non prestargli attenzione, anzi, ad evitare il contatto con lui e a dimenticare di averlo veduto. Solo cercandolo volutamente sarà possibile riconoscerlo e trovarlo.
Questo artefatto non modifica in alcun modo i tratti del volto, il suono della voce, o alcunchè d'altro del portatore. Non è indistruttibile, ma una volta calzato può essere sfilato solo da colui che l'ha indossato, in quanto per chiunque altro sarebbe totalmente impalpabile. Ah, certamente, se il possessore morisse o la perdesse per qualsiasi motivo, la maschera tornerebbe visibile e chiunque potrebbe impossessarsene.


Abilità/Pergamene usate: -

Armi:
Daekir - Nel fodero.
Nihil - Indossato sulla mano sinistra.
Corazza - Indossata.


Note: Mi sono permesso di fare i nomi dei pg che Kreisler conosce. L'aver avvertito "qualcosa" nelle parole del Re è dovuto alla passiva "Sul tappeto di foglie illuminate dalla luna" descritta sopra. Buona giocata a tutti!
 
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view post Posted on 21/4/2010, 20:50
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Esempio
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I - I
PORTO OSCURO,
VILLAGGI DEL SUD


Da quel giorno, il tempo s’era abbandonato in una folle fuga: si sentì improvvisamente travolto e trascinato dal corso degli eventi e, privato della cognizione del tempo, si ritrovò scavato nella memoria un vuoto come se quei giorni si fossero consumati in un istante. Solo un’immagine si ritrovava ancora dipinta con colori ancora vividi, come un magnifico sogno: la sala del trono, il Re, i suoi occhi di perla che parevano fissarlo e le sue labbra incresparsi in due parole.
« E' Guerra. »
« E' Guerra. »
« E' Guerra. »
E' - G U E R R A

~
Si risvegliò ancora una volta da quel sogno. Ancora concentrato, scrutava il cielo tinto di nero del Sud di Asgradel: profonde rughe solcavano la sua fronte, come se cercasse di aguzzare la vista oltre le fessure, che erano soltanto stelle, di quel muro di tenebre.
Abbassò lo sguardo: i lembi delle fiamme di un falò avvolgevano l’aria come dei rampicanti, e disegnavano molteplici ombre in un magnifico gioco di luci sul volto del Re, che vi stava accanto. In un ironico dejà-vu, di nuovo vide soltanto le labbra del re incresparsi, mentre l’udito sembrava essere stato messo a tacere.

« Tuttavia, non sono i Martell il nemico che combatteremo oggi. »
diceva al suo esercito, radunato intorno a lui
« ...ma la Paura. »

Il re tacque per un istante: non udì un sibilo. Solo il crepitio del falò infrangeva quel silenzio.

« Dunque non aspettatevi di essere aiutati da qualcuno, quando sarete sul campo di battaglia, poiché state combattendo per non altri che per voi stessi. »

Indovinò un sogghigno disegnato sulla bocca, benché la notte distendesse un manto d’ombra sul suo volto.
Anche le labbra di Sennar, quasi in risposta, mutarono in un debole sorriso di rassegnazione.
Al congedo, il fuoco s’era mutato ormai in una debole fiammella che s’aggrappava pietosamente al nulla, consumando i suoi ultimi istanti di vita. Sennar si sollevò e, scrollando le spalle, girò sui tacchi: le parole del re risuonavano ancora nella sua mente, come le invitanti ma ingannevoli parole di una strega.

~
La sua vita non valeva nulla, non riteneva che valesse granché. Nessun legame lo teneva ancorato alla terra, diversamente dai suoi compagni. Non aveva nessuna ragione per vivere, e nessuna per morire. Era lì; una pedina, non diversa da tutte le altre. Il destino aveva finito di giocare con lui: gli aveva dato sofferenza, gioia e, infine, lo aveva posato in cima ad uno scaffale come un giocattolo rotto, immerso nella polvere.
Non aveva paura. Cosa aveva da perdere? Cosa da ottenere? Sapeva che sarebbe sceso da quello scaffale impolverato solo quando un legame lo avrebbe ancorato nuovamente al mondo dei vivi.
Perciò lui passava così il tempo: un’eterna fuga da i legami che tentavano di lambirlo appena per poi aggrovigliarsi intorno a lui, lasciandosi trascinare dagli eventi e spendendo ogni suo istante di vita in passatempi come la guerra.
E dunque sollevò le palpebre con una calma serafica; il sole, sorto appena, tingeva il cielo con calde pennellate rosee. Le mura di cinta di Porto Oscuro si stagliavano, imponenti, alle prime luci dell’alba. Una macchia scura, l'esercito del Re che non Perde Mai, attendeva il segnale.

image
S’udirono le prime esplosioni.

« Fermi. »
Il Re sollevò il dito.
Sennar fremette, in un’attesa perfino angosciante e martoriante.
In un misero scherzo, il tempo si ridusse a pochi interminabili istanti, interrompendo quella sua fuga continua.

Dalle porte distrutte di Porto Oscuro, si udirono ancora più vicini i fragori delle esplosioni.
«...Non è ancora il nostro momento. »
~

SPOILER (click to view)
CITAZIONE
Status fisico: Illeso.
Status psicologico: Fremente.
Consumi energetici: -
Energia: 100%
Passive influenti:

CITAZIONE
Determinazione
Il compito di Sennar non è mai stato facile per nessuno e, sebbene abbia poteri che pochi riusciti a ottenere, egli sa bene che per lui sarà ugualmente difficile. Ma non è disposto a rinunciare; farà ogni sacrificio possibile per raggiungere il suo scopo. Infatti, egli dispone di una determinazione unica nella sua grandezza, tale che nessuno potrà interrompere la sua strada, e tale da essere diventata anche uno strumento di difesa. Il suo desiderio è diventato così forte da costituire un muro infrangibile intorno al suo cervello, che lo protegge da chiunque tenti di entrare dentro di esso. Perciò è immune ad ogni incantesimo o potere o abilità che tenti di influire su di lui, o di carpire informazioni dalla sua memoria.

Tecniche attive:

CITAZIONE
/

Note: /


 
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.:Mira:.
view post Posted on 22/4/2010, 00:33




Narrato
Pensato
Parlato
Parlato Ray


image
"Saiph… dove andiamo?”

“In guerra”

“Cos’è la guerra?”

“Uomini che uccidono altri uomini, questa è la guerra.”

“E perché ci andiamo?”

“Perché lo vuole il Re”

image



Mira non sapeva cosa fosse la guerra.
Saiph le aveva detto che andavano ad uccidere altri uomini e che a volte, per quanto brutta, era necessaria.
Mentre lo diceva sembrava eccitato.
Mira sapeva di non capire tante cose, però più ci pensava e più trovava che fosse davvero stupida, quella cosa che chiamavano “guerra”.
Ma proprio perché sapeva di non capire tante cose, aveva concluso che forse era lei a sbagliare.
Allora si era messa in marcia insieme a tutti gli altri e aveva camminato camminato e camminato ancora finché non erano arrivati lì, su quella collina, intorno a quel falò, solo per finire accomunati dal pensiero che forse si, era stupida quella cosa che chiamavano “guerra”.
Se ne stava seduta intorno a quel fuoco che gettava la sua luce su una manciata di tende sbiadite, guardandosi intorno con quella sua aria assente, intenta all’impegnativa occupazione di capirci qualcosa.
Capire perché, se era lei a sbagliare, erano così pochi ad essere saldi e sicuri.
Capire perché anche chi rideva lo facesse con gli occhi spenti.
Capire perché sembrava che tutti attendessero qualcosa che in realtà non volevano.
Sentiva il marasma delle sensazioni di ogni singola persona gorgogliarle nel fondo dello stomaco, come il ronzio fastidioso di una mosca che non puoi semplicemente mandare via.
Ecco perché odiava i posti pieni di gente.
Sospirò, facendo scorrere gli occhi su quei volti divisi tra luce ed ombra. Non ne conosceva quasi nessuno.
Vide passare la Dama Rossa insieme ad un bambino e la osservò curiosa. Era strana, quella donna, come uno scrigno con troppi fondi segreti, qualcosa che neppure lei riusciva a dipanare. Ed ora che si portava dietro quel bambino, lo sembrava ancor di più.
Nell’attimo in cui distolse lo sguardo dalla Danzatrice, i suoi occhi furono guidati ad una nuova figura da un rumore.
Un rumore secco, ma lieve, che non sarebbe stato neppure tanto strano in quel caos mormorato di tanti uomini messi assieme.
Non un’esplosione, né uno squillo di tromba, no. Per annunciare il Re bastò il solo battito delle sue mani e tutto l’ossigeno contenuto nell’aria sembrò essere risucchiato dalla sua persona.


Mira non sapeva bene cosa fosse un “Re”.
Saiph le aveva detto che un Re era una persona che comandava su altre persone, ma perché lo facesse e perché gli altri gli obbedissero, questo non lo sapeva.
Nella sua mente, poi, quella parola richiamava un’immagine relegata ai margini di vecchie favole che la mamma le raccontava nella sua memoria sbiadita.
“Un vecchio re aveva una bellissima figlia”.
Punto. Niente di più.
E per quanto non le fosse sembrato un vecchio quando l’aveva visto per la prima volta sulla spalla del suo gigante, mentre li guidava su quella collina, e per quanto sapesse che di figlie non ne aveva, nulla avrebbe preparato Mira alla prima visione del suo Re.
Un ragazzo, normalissimo.
Eppure, perché doveva averne paura?

Senza accorgersene, strinse la mano intorno alla manica del fratello, seduto accanto a lei, e gli si avvicinò un po’.
Continuava a guardare Ray, ascoltando le sue parole e non capendone quasi nessuna.
Ma allora com’era possibile che, pur non capendolo, riuscisse a pensare che aveva ragione?
Era proprio così, proprio come diceva lui.
Stavano combattendo la paura! Perché tutti avevano paura, o no?
Anche Mira aveva paura, sempre, costantemente, ma non aveva mai pensato di muovere guerra alla paura.
Sarebbe stato bello, sarebbe stato fantastico battere la paura sul campo che il Re aveva scelto per loro.
Per questo aveva ragione, per questo ciò che diceva era vero.
Ma Mira non riusciva a non pensare che la “guerra” proprio non le piaceva. Era colpa sua, lo sapeva, perché non capiva tante cose e non aveva capito neppure il Re.

“Saiph...”

Bisbigliò quando il re ebbe finito di parlare, rivolgendo lo sguardo su suo fratello.
Era chiaramente perplessa, ma le sue iridi d’oro mantenevano una strana, lucente innocenza.

“Non capisco... se non ci hanno fatto niente... perché li dobbiamo attaccare?”

Chiese allora, inclinando lievemente il capo di lato, lasciando che la sua domanda si perdesse negli scoppietti del fuoco.
Quella notte era l’ultima, poi non ci sarebbero state più risposte.



L’alba giunse in punta di piedi. E’ sempre così, quando si aspetta qualcosa e tutti, al campo, non aspettavano altro.
Forse con impazienza o forse con timore, poco importava, poiché ormai erano tutti lì.
Mira guardava verso la città con gli occhi sgranati, assistendo ai colpi che l’abbattevano piano con profondo stupore.
Era come un mobile divorato dalle tarme: prima cadeva un pezzo, poi un altro, ma nessuno poteva vedere cosa stesse succedendo di preciso né prevedere quale sarebbe stato il prossimo pezzo distrutto.

"Fermi... non è ancora il nostro momento."



Mira guardò Saiph e gli fece un cenno come per tranquillizzarlo.
Forse non avrebbe mai capito la “guerra”, né i “re”, né tante altre cose, ma una cosa la sapeva:
tutto ciò che dovevano fare quel giorno era sopravvivere.




SPOILER (click to view)
Informazioni Generiche
{ReC: 250|AeV: 175|PeRf: 75|PeRm: 275|CaeM: 225}
Energia: 100%
Amrita: Riposta
Lesath: Riposti 20/20
Stato Fisico: Illesa
Stato Mentale: Dubbiosa e un pò preoccupata, ma concentrata.
Abilità Usate: Innata Empatia

CITAZIONE
Empatia: capacità di comprendere cosa un’altra persona sta provando,di percepire le emozioni e i sentimenti altrui,quasi di avvertirli come se fossero propri. Questa abilità è sempre attiva,non comportando alcun dispendio di energia e senza sapere come Mira ha imparato a controllarla,così da riuscire a dividere le sensazioni che percepisce dalle proprie. Nel caso in cui siano estremamente forti,allora potrà subirne lei stessa l'effetto finchè non riprenderà il controllo.




Edited by .:Mira:. - 22/4/2010, 01:48
 
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