Il corpo dell'anziano aggredito giaceva in una pozza di sangue, il quale, sporco e tetro, andò ad intaccare la bellezza di uno scenario nivale che ormai di fiabesco non aveva più alcunché, avendo il sole lasciato posto alla luna invidiosa ed avida di una luce mai propria. Nello stesso momento in cui il suo rammarico aumentava a causa della morte dell'inerme civile, quel frenetico pulsare nella mente di Shelozagh si arrestò, concedendogli il tempo di sospirare all'anima in partenza.
“Il tuo sacrificio non sarà vano...” pensava e singhiozzava mentre si dirigeva a passo di carica verso il paladino bianco che, per qualche irrazionale nume, si manteneva il capo come in preda ad una disumana emicrania. Ormai era vicino al suo obiettivo, e la spada tracciò il suo letale percorso lasciando dietro sé una perversa luce livida.
Ma prima che il Jian potesse scalfire la corazza con cui si faceva schermo il rivale, intervenne, in favore di quest'ultimo, una mano eterea. Questa si frappose fra preda e predatore, afferrando con possanza lo strumento di morte, ed eludendo quindi un colpo che, se incassato altrimenti, avrebbe causato non poche rogne al malcapitato.
Lo scudo che difese il “buono” non era palesemente visibile, ma si lasciava a malapena intravedere attraverso dei lievi riflessi di luce e distorsioni dell'aere. La difesa eretta dal Bianco fu stabile in maniera ottimale, per non dire oltre misura, e fece in modo da far fallire il tentativo di offesa del Mezzorco che, colto alla sprovvista, si ritrovava ad opporre resistenza ad una forza che a tratti gli ingannava i sensi.
Tuttavia non bisognava abbassare la guardia: toccava al Bianco muovere il prossimo pezzo.
Estrasse con grazia una spada decorata d'oro dalla guaina che ne salvaguardava le semi-divine fattezze, una sottile sciabola a doppio filo la quale, scintillante, venne innalzata – e quasi immolata – alle Forze Superiori. Era richiesto un aiuto attraverso una muta preghiera composta non di parole ma di gesti, pregni in ugual misura di sconsiderata supplica.
E la risposta non tardò ad arrivare.
Un'esplosione di luce andò ad illuminare con inaudita violenza le mura dell'abitato che, in quegli interminabili minuti, era stato progressivamente inghiottito dalle tenebre. Queste vennero immediatamente scacciate via, finendo con l'annidarsi sulla faccia opposta delle superfici sulle quali si abbatté il candore divino, in attesa, cupide, di poter instaurare nuovamente la propria egemonia.
Ciò che andò a colpire maggiormente il gigante non fu tanto la magia attuata in sé, ma anzi il fatto che perfino i Celesti sembrava parteggiassero per altri.
Che la sua esistenza risultasse così bassa perfino
a coloro i quali egli aveva consacrato sé stesso per così tanti anni?
La fervida sorgente luminosa finì col nuocere alla vista di Shelozagh, non accecandolo completamente, ma impedendogli a tutti gli effetti una corretta visione di ciò che gli stava succedendo intorno. Sotto il severo abbraccio di quel balenio, era vulnerabile come un infante senza la propria madre. Avrebbe dovuto occuparsi di quell'impedimento il prima possibile, se avesse avuto l'intenzione di uscire da quello scontro apocalittico come vincitore.
Quello che ricopriva allora era solo un ruolo. Non era parte integrante del suo essere l'indossare le vesti, agli occhi altrui, di uno spietato “Cavaliere Nero”. La situazione in cui si era cacciato allora non aveva alcun senso: di frivola importanza era la questione della lettera, così come lo era l'indagare su due entità misteriose il cui unico scopo era quello di infastidire dei poveri cittadini che già senza il suo intervento traevano a stento il nutrimento per sopravvivere.
Eppure sentiva di nuovo, e ancora, quei dannati cuori.
Doveva ribellarsi alla sadica autorità che aveva indetto quello spettacolo a dir poco osceno, era suo compito quello di difendere i buoni, non quello di annientarli senza alcuna ragione. Doveva procedere ed agire al passo con i propri ideali, assumendosi la responsabilità dell'essere coerenti in ogni evenienza.
Perché non saranno di certo dei lamenti prodotti dall'immaginazione, per quanto vivida e credibile, ad allontanarlo dal duro percorso in salita che aveva deciso di intraprendere.
Dai comportamenti finora tenuti dal Candido Difensore si evinceva uno strano senso di follia, di inquietudine: quasi come se perfino a lui era stato ceduto di peso il compito che si ritrovava a svolgere. Ebbe l'impressione che nemmeno il Paladino accettasse la sua mansione di buon grado, ma quasi per costrizione, proprio come il Mezzorco. La luce aveva fatto la sua comparsa da pochi ed impercettibili istanti, ma Shelozagh si accinse ad estinguerla sul nascere, prima che potesse causare effettivi danni.
«Dimmi la verità...» sussurrò, risultando la sua voce più triste e grave di quanto invero fosse.
I suoi occhi erano socchiusi, onde non mirare a palpebre spianate l'urticante bianco che incombeva oltre le loro teste. Con apparente imprudenza, li spalancò e si concentrò sul violento flash che lo costrinse a versare una lacrima dal bruciore.
«...non sei davvero il Cavaliere Bianco.»
Eseguire con successo un diversivo del genere non era un'impresa semplice, ma revocarlo era un'opera di difficoltà indubbiamente maggiore, ancor più se la mossa di auto-supporto non era la propria. Focalizzò l'attenzione sul fulcro dell'attacco, ed in un istante questo venne soppresso.
Magia? Fortuna? Semplicemente un'immensa forza di volontà, la stessa carica emotiva che gli aveva permesso di non ricorrere al suicidio dopo aver saggiato tutto (o almeno buona parte de) il male nel mondo. Chiunque avrebbe optato per l'atto estremo, dopo aver realizzato che per gli altri non si è nulla fuorché feccia; ma lui no.
Era convinto di poter cambiare il sistema sociale su cui faceva leva il mondo. Questo era il suo ideale, e ci credeva forse anche troppo. Ma in fondo è meglio morire per qualcosa, realizzando i propri sogni, piuttosto che vivere per nulla, nella più totale accidia.
Nello stesso istante in cui annichilò la luce, vide la spada, quella che aveva annunciato il sacro accecamento, cadere incautamente all'altezza del suo collo, sulla destra. Non era un gesto ponderato, tuttalpiù dettato dalla fretta e da un disordine mentale che, sotto le vesti di bastione impenetrabile – quale il Bianco avrebbe dovuto essere – sfiguravano e non poco. Non fu per lui un grande disagio spostare di poco lo scudo, che imbracciava con la sinistra, per deviare l'insicuro colpo, il quale rivelò una certa debolezza d'impatto.
«Sai? Io non sono il Cavaliere Nero.» mormorò sconsolato il Mezzorco, mentre respingeva con forza la lama avversaria, e cercando il più possibile di mantenere la calma dopo l'immorale atto di pochi secondi addietro. Quel gesto, d'altronde, lo privava di ogni credibilità: qualunque Paladino, degno di questo nome, non avrebbe mai prestato le sue orecchie ad un lurido omicida.
“Ti prego di fidarti...”Nell'esatto momento in cui decise di risparmiare ulteriori vite umane per concentrarsi invece sull'avversaria figura, i cuori dei popolani, come ingrata risposta, rimbombarono con ancora più violenza nel cervello. Una sensazione repellente, nauseabonda, e per certi tratti così forte da far tendere la vittima alla pazzia fu ciò che ne conseguì. Quel pulsare, quasi dotato di propria intelligenza, era come se stesse rimproverando il Nero nella stessa maniera in cui un genitore biasima il figlio inadempiente. Forse chi cercava di manipolarli affidava ad un senso di
abietta ammonizione il compito di garantire che ognuno mantenesse la propria posizione senza discutere sul come e sul perché. Non era comunque nulla che non si potesse superare con un po' di spirito.
Cercò di trapassare il ventre del Paladino con la spada, ancora arsa dalle fiamme di luce nera, in un massiccio ma prezioso affondo orizzontale: l'essere feriti allo stomaco non sarebbe risultato mortale per il nemico, con un colpo ben assestato, ma in ogni caso gli avrebbe sottratto buona parte delle forze che facevano sì che si tenesse spontaneamente in piedi.
Ma non avrebbe di certo ridotto la sua strategia d'attacco ad un nuovo, misero colpo con la Shelojian. Doveva accumulare più chance di successo aumentando il numero dei colpi inferti: doveva spingere ad ogni costo l'avversario a rimanere sulla difensiva, così da passare, e possibilmente rimanere, in vantaggio tattico. Spinto da questa necessità, laddove prima splendeva una luce trascendente, materializzò cinque scaglie nere, della stessa natura del fuoco che ornava la spada, la cui lunghezza era approssimativamente di due metri l'una.
Era venuto a generarsi un pittoresco quanto insensato contrasto: il Bianco chiamava a sé la luce e la giustizia in tutte le sue forme; il Nero non solo la combatteva, ma anzi cercava di far prevalere quelle che, ad occhi meno attenti, potrebbero essere sembrate tenebre. In quel
gioco di ruolo ognuno sembrava stesse dando, fin dalle prime battute, il meglio di sé.
Le lance nere si abbatterono perpendicolarmente sul Bianco, e avrebbero trapassato il ferro della corazza e la carne insieme al Jian.
Un attacco simultaneo, portato su più fronti.
“...”
I secondi, dilatati dall'ansia di quel combattimento, non trascorrevano più così veloci ed inesorabili. D'altra parte, un combattimento del genere non sarebbe potuto durare più di qualche minuto, o sarebbe risultato disastroso non solo per gli sfidanti ma, eventualmente, anche per gli innocenti che brulicavano per le strade, in preda al panico.